Papa Francesco: dialogo e accoglienza per un Mediterraneo di pace fra i popoli

Posté par atempodiblog le 21 juin 2019

Papa Francesco: dialogo e accoglienza per un Mediterraneo di pace fra i popoli
Da Napoli il Papa lancia un forte appello per una teologia di accoglienza basata sul dialogo e sull’annuncio e che contribuisca a costruire una società fraterna fra i popoli del Mediterraneo, Il suo intervento ha chiuso le giornate di riflessione che si sono tenute alla Pontifica Facoltà di Teologica dell’Italia Meridionale. Dopo il suo discorso, il Papa ha fatto rientro in Vaticano
di Debora Donnini – Vatican News

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Annuncio, dialogo, discernimento, misericordia, fare “rete” fra istituzioni, università, religioni: sono i “criteri” che devono ispirare una teologia dell’accoglienza, una teologia rinnovata nel senso di una Chiesa missionaria perché gli uomini possano ascoltare “nella loro lingua” una risposta alla ricerca di vita piena. Nel tracciarne la rotta, Papa Francesco guarda soprattutto al Mediterraneo, da sempre luogo di scambi e talvolta di confitti, che “pone una serie di questioni, spesso drammatiche”. Per affrontarle serve un dialogo autentico e sincero in vista della costruzione di una “convivenza pacifica” fra persone di religioni e culture diverse, che si affacciano sulle sponde di questo “Mare del meticciato”, in particolare nel discorso si fa riferimento a Ebraismo e Islam.  Si tratta di uno spazio che si vede bene dalla collina di Posillipo dove sorge la sezione san Luigi della Pontifica Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, affidata fin dal ‘500 ai gesuiti, che ospita il convegno. Dal palco che incornicia il mare il Papa con il suo discorso a tutto campo offre in qualche modo una risposta alla domanda su come la teologia oggi possa rinnovarsi, domanda che è stata poi il tema al centro del convegno che lui è chiamato a chiudere dopo le riflessioni della mattinata: “La Teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo. È chiaro il riferimento a questa Costituzione apostolica del 2017, che ha voluto imprimere appunto agli studi teologici ed ecclesiastici un rinnovamento nel senso di una Chiesa in uscita. Centrale, ricorda anche il Papa, è che i teologi siano uomini e donne di compassione, toccati dalle sofferenze di tanti poveri per guerre e violenze. Si tratta quindi di riprendere la strada “in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria”. E specifica che si tratta di avviare processi, non di occupare spazi.

Il sole brilla sul mare di Napoli così come gli occhi dei 650 presenti che lo seguono nel Piazzale che si affaccia sul Golfo, tra studenti, docenti anche di altri Paesi, e le cariche più alte dell’Ateneo tra cui il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e Gran Cancelliere della Facoltà, il Decano della Facoltà padre Pino Di Luccio, il vescovo di Nola, mons. Francesco Marino in rappresentanza dei presuli della Campania, e il gesuita padre Joaquin Barrero Diaz, assistente regionale per l’Europa del Sud. Altre 500 persone seguono i lavori del Convegno dalle aule interne attraverso monitor.

La teologia espressione di una Chiesa ospedale da campo
All’inizio del discorso il Papa ricambia il saluto del patriarca Bartolomeo che ha voluto contribuire alla riflessione con un messaggio e lancia un forte invito a “ripartire dal Vangelo della misericordia” perché la teologia nasce in mezzo ad esseri umani concreti, incontrati con lo sguardo di Dio che va in cerca di loro con amore:

Anche fare teologia è un atto di misericordia. Vorrei ripetere qui, da questa città dove non ci sono solo episodi di violenza, ma che conserva tante tradizioni e tanti esempi di santità ― oltre a un capolavoro di Caravaggio sulle opere di misericordia e la testimonianza del santo medico Giuseppe Moscati ― vorrei ripetere quanto ho scritto alla Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica Argentina: «Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini. La teologia sia espressione di una Chiesa che è “ospedale da campo”, che vive la sua missione di salvezza e di guarigione nel mondo!».

Dialogo e kerygma
Per rinnovare gli studi nella direzione di “una teologia dell’accoglienza” i pilastri sono il kerygma, cioè l’annuncio di Cristo morto e risorto, e un dialogo autentico, al servizio di una Chiesa che deve mettere al centro l’evangelizzazione, non l’apologetica o i manuali ma l’evangelizzazione “che non vuol dire proselitismo”. Dialogo anche come “un metodo di discernimento” e di annuncio, sottolinea Francesco esortando a praticarlo sia nella posizione dei problemi, sia nella ricerca di soluzioni, per poter contribuire allo sviluppo dei popoli con l’annuncio del Vangelo”. E’ san Francesco d’Assisi a tratteggiare come dialogo e annuncio possano avvenire, cioè vivendo da cristiani, senza liti né dispute, e annunciando come in Gesù si manifesti l’amore di Dio per tutti gli uomini. E in particolare, come già altre volte, il Papa ricorda quello che Francesco diceva ai frati sulla testimonianza: “Predicate il Vangelo; se fosse necessario anche con le parole”.

Pertanto serve docilità allo Spirito, cioè “uno stile di vita e di annuncio senza spirito di conquista, senza volontà di proselitismo e senza un intento aggressivo di confutazione”. Un dialogo con le persone e le loro culture che comprende anche la testimonianza fino al sacrificio della vita come fecero, tra gli altri, Charles de Foucauld, i monaci di Tibhirine, il vescovo di Oran Pierre Claverie. Per Papa Francesco l’orizzonte a cui la teologia deve guardare è anche quello della “nonviolenza” e, in questo senso, sono d’aiuto, le testimoniane di Martin Luther King e Lanza del Vasto e anche il Beato Giustino Russolillo e di Don Peppino Diana, il giovane parroco ucciso dalla camorra, che studiarono qui. E, a braccio, il Papa fa riferimento alla “sindrome di Babele” che non è solo non capire quello che l’altro dice ma – sottolinea – la vera “sindrome di Babele” è quella di “non ascoltare quello che l’altro dice e di credere che io so quello che l’altro pensa e l’altro che dirà. Questa è la peste”.

Dialogo con Ebraismo e Islam
Concretamente questo dialogo si intesse incoraggiando nelle facoltà teologiche e nelle università ecclesiastiche i corsi di lingua e cultura araba ed ebraica. Questo per favorire conoscenza e dialogo con Ebraismo e Islam, comprendendo radici comuni e differenze. Con i musulmani, dice, “siamo chiamati a dialogare per costruire il futuro delle nostre società e delle nostre città”, “a considerarli partner per costruire una convivenza pacifica, anche quando si verificano episodi sconvolgenti ad opera di gruppi fanatici nemici del dialogo, come la tragedia della scorsa Pasqua nello Sri Lanka”.

Ieri il cardinale di Colombo mi ha detto questo: “Dopo che ho fatto quello che dovevo fare, mi sono accorto che un gruppo di gente, cristiani, voleva andare al quartiere dei musulmani per ammazzarli. Ho invitato l’imam con me, in macchina, e ambedue siamo andati lì per convincere i cristiani che noi siamo amici, che questi sono estremisti, che non sono dei nostri”. Questo è un atteggiamento di vicinanza e di dialogo.

Con gli ebrei, per “vivere meglio la nostra relazione sul piano religioso”. Importante è poi considerare il dialogo anche come un metodo di studio, e per “leggere realisticamente” un tempo e un luogo – in questo caso il Mediterraneo all’alba del terzo millennio – come “un ponte” fra l’Europa, l’Africa e l’Asia, uno spazio dove l’assenza di pace ha prodotto squilibri regionali e mondiale e dove sarebbe importante avviare processi di riconciliazione. Come direbbe La Pira, nota il Papa, per la teologia si tratta di contribuire a costruire sul Mediterraneo una “grande tenda di pace” dove possano convivere nel rispetto reciproco i diversi figli del comune padre Abramo. Francesco ricorda anche di aver studiato al tempo della “scolastica” decadente, una teologia di tipo difensivo, apologetico, chiusa in un manuale.

Teologia in rete e con i naufraghi della storia
Si tratta anche di fare una “teologia in rete”, in collaborazione fra istituzioni civili, ecclesiali ed interreligiose, e in solidarietà con tutti i ‘naufraghi’ della storia.

Ora che il cristianesimo occidentale ha imparato da molti errori e criticità del passato, può ritornare alle sue fonti sperando di poter testimoniare la Buona Notizia ai popoli dell’oriente e dell’occidente, del nord e del sud. La teologia ― tenendo la mente e il cuore fissi sul «Dio misericordioso e pietoso» (cfr Gn 4,2) ― può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria. Ambedue nascono, si alimentano e crescono dalla paura. La teologia non si può fare in un ambiente di paura.

Un lavoro nella “rete evangelica” per discernere i segni dei tempi in contesti nuovi.

Una Pentecoste teologica
Il compito della teologia è quindi quello di sintonizzarsi con Gesù Risorto e “raggiungere le periferie”, “anche quelle del pensiero”. In questo senso i teologi devono “favorire l’incontro delle culture con le fonti della Rivelazione e della Tradizione”. “Le grandi sintesi teologiche del passato” sono miniere di sapienza teologica ma “non si possono applicare meccanicamente alle questioni attuali”:

Si tratta di farne tesoro per cercare nuove vie. Grazie a Dio, le fonti prime della teologia, cioè la Parola di Dio e lo Spirito Santo, sono inesauribili e sempre feconde; perciò si può e si deve lavorare nella direzione di una “Pentecoste teologica”, che permetta alle donne e agli uomini del nostro tempo di ascoltare “nella propria lingua” una riflessione cristiana che risponda alla loro ricerca di senso e di vita piena. Perché ciò avvenga sono indispensabili alcuni presupposti.

Centrale nel dialogo rapportato alla teologia, anche “l’ascolto consapevole” del vissuto dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo per cogliere le vicende che collegano il passato all’oggi. In particolare di come le comunità cristiane hanno, anche recentemente, incarnato la fede in contesti di conflitto e di minoranza. Per generare speranza servono “narrazioni” condivise, in cui sia possibile riconoscersi. Così si forma la realtà multi culturale e pluri-religiosa di questo spazio. In questo senso è quindi importante ascoltare le persone, i grandi testi delle religioni monoteistiche e soprattutto i giovani. E come Gesù ha annunciato il regno di Dio dialogando con ogni tipo di persona del Giudaismo, così nel discorso si ricorda che l’approfondimento del kerygma si fa con l’esperienza del dialogo. Nel dialogo sempre si guadagna mentre nel monologo si perde tutti, rimarca.

I teologi della compassione
Per una teologia dell’accoglienza, sottolinea poi il Papa, servono teologi che sappiano lavorare insieme e in forma interdisciplinare, con profondo radicamento ecclesiale e, al tempo stesso, “aperti alle inesauribili novità dello Spirito”, teologi che sfuggano alle logiche competitive e accecanti che “spesso esistono anche nelle nostre istituzioni”, rileva Francesco. Ma soprattutto il Papa li esorta alla compassione attinta dal Cuore di Cristo per non essere inghiottiti nella condizione di privilegio di chi “si colloca prudentemente fuori dal mondo”, non condividendo nulla di rischioso:

In questo cammino continuo di uscita da sé e di incontro con l’altro, è importante che i teologi siano uomini e donne di compassione – sottolineo questo: che siano uomini e donne di compassione – toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”. Senza comunione e senza compassione, costantemente alimentate dalla preghiera – questo è importante; soltanto si può fare teologia in ginocchio -, la teologia non solo perde l’anima, ma perde l’intelligenza e la capacità di interpretare cristianamente la realtà.

Quindi, si fa riferimento alle complesse vicende di “atteggiamenti aggressivi e guerreschi”, di “prassi coloniali” di “giustificazioni di guerre” e “persecuzioni compiute in nome di una religione o di una pretesa purezza razziale o dottrinale”. “Queste persecuzioni anche noi le abbiamo fatte”, aggiunge a braccio richiamandosi alla Chanson de Roland, quando “dopo aver vinto questa battaglia i musulmani erano in fila”, “davanti alla vasca del battesimo” e “c’era uno con la spada, lì”. E li facevano scegliere: “o il battesimo o la morte. Noi lo abbiamo fatto questo”.  Il metodo del dialogo, guidato dalla misericordia, può arricchire una rilettura interdisciplinare di questa dolorosa storia facendo emergere anche “per contrasto, le profezie di pace che lo Spirito non ha mai mancato di suscitare”.

Ricordando, poi, l’importanza di reinterrogare la tradizione, a patto però che sia riletta con una sincera volontà di purificazione della memoria, il Papa ricorda che è una radice che dà vita, non un museo. La tradizione per crescere è come la radice per l’albero.

E’ poi necessaria una “libertà teologica” perché senza la possibilità di sperimentare strade nuove, non si lascia spazio alla novità dello Spirito del Risorto. Sulla libertà di riflessione teologica, Francesco sottolinea che gli studiosi, sono chiamati ad “andare avanti con libertà”, “poi in ultima istanza sarà il magistero a dire qualcosa”, e si raccomanda nella predicazione a “non ferire la fede del Popolo di Dio con questioni disputate. Le questioni disputate soltanto fra i teologi”. Al Popolo di Dio va data infatti sostanza che alimenti la fede e che non la relativizzi.

Servono anche strutture flessibili e leggere, che manifestino la priorità dell’accoglienza. Dagli statuti all’ordinamento degli studi fino agli orari: “tutto deve essere orientato” a “favorire il più possibile la partecipazione di color che desiderano studiare teologia”, oltre ai seminaristi e ai religiosi, anche i laici e le donne, rileva Francesco sottolineando il contributo “indispensabile” che le donne stanno e possono dare alla teologia e quindi bisogna sostenerne la partecipazione come si fa in questa Facoltà.

Sogno Facoltà teologiche dove si viva la convivialità delle differenze, dove pratichi una teologia del dialogo e dell’accoglienza; dove si sperimenti il modello del poliedro del sapere teologico in luogo di una sfera statica e disincarnata. Dove la ricerca teologica sia in grado di promuovere un impegnativo ma avvincente processo di inculturazione.

In conclusione, il Papa aggiunge fra i “criteri” anche “la capacità di essere al limite, per andare avanti” e rilancia il suo appello a fare del Mediterraneo luogo dell’accoglienza praticata con il dialogo e la misericordia di cui – ricorda – questa Facoltà teologica è esempio. Il Santo Padre “è stato felice di poter partecipare al Convegno”, ha fatto sapere al termine il direttore ad interim della Sala Stampa vaticana, Alessandro Gisotti, spiegando che “concluso il Convegno, che era la finalità della visita a Napoli, il Papa non si intrattiene per il pranzo, ma fa ritorno a Roma”.

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Il Mistero del Natale nelle parole dei santi e dei mistici

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2018

Il Mistero del Natale nelle parole dei santi e dei mistici
Pensieri e riflessioni nell’Ottava di Natale. Dai primi cristiani e dai Padri della Chiesa, fino ai santi contemporanei e ai mistici, le meditazioni più significative e poetiche sull’Incarnazione del Verbo. « Volle farsi pargolo, volle farsi bimbo, perché tu possa divenire uomo perfetto » (S. Ambrogio)
di Fabio Piemonte  – La nuova Bussola Quotidiana

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“Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest’anno simile a te, e porti la pace fra il cielo e la terra”. Esprime così il desiderio del Natale del Signore Efrem il Siro, un poeta del IV secolo.

“Gesù posto nella mangiatoia è il cibo dei giumenti che siamo noi”, scrive invece il cantore del desiderio di Dio Sant’Agostino, che conclude un suo discorso sull’Incarnazione del Verbo ricordandone il significato profondo: “Voi siete il prezzo dell’incarnazione del Signore”.

Soffermandosi sul paradosso di un Dio uomo anche Sant’Ambrogio evidenzia con grande lirismo che Gesù Bambino “volle farsi pargolo, volle farsi bimbo, perché tu possa divenire uomo perfetto; fu avvolto in pochi panni perché tu venissi sciolto dai lacci di morte; giacque nella mangiatoia per collocare te sugli altari; scese in terra per elevare te alle stelle; non trovò posto in quell’albergo perché tu potessi avere il tuo nella patria celeste. Da ricco che era, si fece povero per voi – dice l’apostolo – perché per la sua povertà voi diventaste ricchi. Quella povertà è dunque la mia ricchezza, la debolezza del Signore è la mia forza. Volle per sé ristrettezze e per noi tutti l’abbondanza”.

Sono queste alcune delle meditazioni più significative e poetiche dei Padri, di santi, mistici e Dottori della Chiesa sul mistero mirabile dell’Incarnazione del Verbo raccolte dal noto angelologo Marcello Stanzione nel volume Il Natale nella vita e negli scritti di mistici e santi (Mimep-docete).

“Che ogni nuovo Natale ci trovi sempre più simili a colui che, in questo tempo, è divenuto un bambino per amor nostro – scrive  John Henry Newman – che si convertì dall’anglicanesimo al cattolicesimo nel desiderio di “riaffermare la centralità e la realtà dell’Incarnazione per ricordare all’essere umano la sua dignità, all’uomo insidiato dall’idolatria e dalle ideologie materialistiche, positivistiche e immanentistiche”.

A meditare sul mistero del Verbo fatto carne non sono infatti soltanto i Padri della Chiesa, ma ne hanno contemplato e cantato la bellezza anche numerosi santi e mistici del nostro tempo. Tra costoro vi è Luisa Piccarreta (1865-1947), una mistica che si nutrì per molti anni soltanto dell’Eucarestia, la quale in una delle sue visioni della Natività racconta di un tripudio di luce nella grotta di Betlemme: “Chi può dire la bellezza del Bambinello che in quei felici momenti spargeva anche esternamente i raggi della Divinità? Chi può dire la bellezza della Madre che restava tutta assopita in quei raggi divini? E S. Giuseppe mi pareva che non fosse presente nell’atto del parto, ma se ne stava in un altro canto della spelonca tutto assorto in quel profondo Mistero e se non vide con gli occhi del corpo, vide benissimo cogli occhi dell’anima, perché se ne stava rapito in estasi sublime”.

Un invito alla gioia viene invece dalle parole del sacerdote santo Guido Maria Conforti (1865-1931): “Oh! Si rallegrino pure gli uomini nel Signore come la terra si rallegra ogni mattina quando sorge il sole a liberarla dalle tenebre. Il Natale è la grande aurora della nostra liberazione”.

Ne era consapevole già a 8 anni il  giovane Giuseppe Moscati, il medico santo, che in una lettera ai suoi genitori così scrive: “Io prego Gesù Bambino, affinché vi conceda quella pace, che egli promise agli uomini di buona volontà ed ogni altro bene in questa vita e nell’altra”.

In Avvicinandosi il Natale, una delle poesie più struggenti legate agli ultimi giorni della sua vita, il rosminiano Clemente Rebora invoca per sé un nuovo ‘natale’: “Se ancor quaggiù mi vuoi, un giorno e un giorno, / con la tua Passion che vince il male/ Gesù Signore, dammi il Tuo Natale / di fuoco interno nell’umano gelo”.

Una figlia spirituale di Padre Pio, Lucia Iadanza, racconta di aver assistito a una delle diverse volte in cui Gesù Bambino veniva a visitare il santo frate: “Vidi apparire tra le sue braccia Gesù Bambino. Il volto del Padre era trasfigurato, i suoi occhi guardavano quella figura di luce con le labbra aperte in un sorriso stupito e felice”. Il frate di Pietrelcina desiderava augurare anche ai fedeli tale esperienza del Verbo: “Il celeste Bambino faccia sentire anche al vostro cuore tutte quelle sante emozioni che de’ sentire a me nella beata notte, allorché venne deposto nella povera capannuccia”.

In un suo pensiero sul mistero del Natale un altro santo del nostro tempo, il fondatore dell’Opus Dei, José Maria Escrivà de Balaguer, invita caldamente così ciascun figlio di Dio: “Spingiti fino a Betlemme, avvicinati al Bambino, cullalo, digli tante cose ardenti, stringitelo al cuore. Non parlo di bambinate: parlo di amore! E l’amore si manifesta con i fatti: nell’intimità della tua anima, lo puoi ben abbracciare!”. Sia questo l’augurio più bello per ogni persona che attende con fiduciosa speranza ed esultanza un altro Natale del Signore nella propria vita.

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Il vostro amore mi rende sublime

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2013

Il vostro amore mi rende sublime dans Citazioni, frasi e pensieri San-Giuseppe-Moscati

“Mio Gesù amore! Il vostro amore mi rende sublime; il vostro amore mi santifica, mi volge non verso una sola creatura, ma a tutte le creature, all’infinita bellezza di tutti gli esseri, creati a vostra immagine e somiglianza!”.

San Giuseppe Moscati

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San Giuseppe Moscati il medico Santo di Napoli (1880 -1927)

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2013

Un medico povero – Beatificazione e Canonizzazione
di Antonio Tripodoro s.j. e Egidio Ridolfo s.j.
Tratto da: Giuseppe Moscati, il medico Santo di Napoli e il Gesù Nuovo

San Giuseppe Moscati il medico Santo di Napoli (1880 -1927) dans San Giuseppe Moscati San_Giuseppe_Moscati

San Giuseppe Moscati

CARTA D’IDENTITÁ (a cura di Don Bosco Land)
Nome Giuseppe
Cognome Moscati
Nazionalità Italiana
Residenza Napoli
Nato il 25/07/1880 (Benevento)
Morto il 12/04/1927 (Napoli)
Beatificato 16/11/1975 da Paolo VI
Santificato 25/10/1987 da Giovanni Paolo II
Stato Laico e celibe
Professione Medico
Gruppo di riferimento Gesuiti


V dans San Giuseppe Moscati
Un medico povero

Moscati era un medico povero. Sembra un controsenso parlare di povertà nella vita di un uomo che per le capacità, l’ingegno, la fama e la posizione sociale avrebbe potuto avere tutti i beni materiali che poteva desiderare. Eppure è così: Moscati era povero. Lo affermano tutti coloro che l’hanno conosciuto, citando particolari di questa povertà. Non solo non era attaccato al denaro, ma dava ai poveri ciò che aveva; vestiva modestamente ed era la sorella Nina a interessarsi del suo vestiario. Parco nel cibo, rifuggiva ogni ricercatezza; non aveva carrozze, cavalli, né automobili, come i suoi colleghi.

Il dott. Domenico Galdi, che negli anni 1925-27 era studente di medicina e, nella clinica Lettieri frequentemente incontrava il prof. Moscati, ha scritto che molti direttori di cliniche (Cartellino, Boeri, D’Amato, Bossa, De Carli, Brutti) si recavano in quella clinica per curare i propri ammalati privati. Vi andava anche Moscati e, dice, «noi giovani allievi chiedevamo a Moscati perché egli non avesse un’auto come i suoi colleghi (infatti veniva sempre a piedi). A tale domande egli si infastidiva e diceva: Io sono povero; non ho la possibilità, per i miei impegni, di affrontare una simile spesa! Vi prego di credermi!.
Continua poi il dott. Galdi: «Ciò che riceveva era destinato ai poveri, che egli non solo curava gratuitamente, ma che assisteva affettuosamente, fornendo loro medicine e quant’altro fosse necessario per vivere».

Duecento lire per quattro consulti

Il Dott. Francesco Brancaccio narra che Moscati era stato chiamato d’urgenza a Portici per visitare un giovane, che aveva avuto un attacco d’appendicite e doveva operarsi. Il Professore si oppone energicamente all’intervento e ordina una borsa di ghiaccio da tenere in permanenza sull’addome del paziente. In quindici giorni torna quattro volte a visitarlo, finché il giovane non si ristabilisce completamente. Al termine, come onorario, gli viene data una busta.
«Il Maestro (racconta il dott. Brancaccio) nella via, assalito da un dubbio esclama:
chi sa quanto mi hanno dato!…, apre la busta: mille lire. Torna di corsa sui suoi passi e sale dalla famiglia, che si meraviglia al vederlo. Il prof. Moscati affronta il padre del giovanetto e con cipiglio burbero gli dice: O siete pazzi o m’avete preso per un ladro!. Tutti stupiscono, e credendo d’aver dato poco al Professore, il padre prende un altro biglietto da mille e lo porge al Maestro, che con energia lo rifiuta, e cavando dal portafogli ottocento lire, le lascia su di un tavolo, facendo la scala di corsa. Così un clinico sommo – conclude – per quattro consulti veniva ricompensato con la misera somma di lire duecento!»
Cinquanta lire per tre visite a tre persone

Racconta il Prof. Mario Mazzeo:
«Un giorno, un medico mio amico inviò alla sua consultazione tre infermi appartenenti alla medesima famiglia e provenienti da Montorsi in provincia di Benevento. Alla fine della terza visita colui che accompagnava gli infermi, non avendo potuto sapere dalla parola del Servo di Dio il compenso che doveva, posò sullo scrittoio di lui un biglietto da 100 ed un altro da 50. Il Servo di Dio che di abitudine non guardava nemmeno quello che ponevano sullo scrittoio, rimase meravigliato e fece un cenno come di orrore, senza molte parole prese il biglietto da 100 lire e l’offrì a chi gliela aveva dato dicendo:
«Cinquanta lire per tutti e tre sono anche troppe; andate in pace e salutatemi tanto il dottore».

V Medico dei poveri

Se si volessero raccogliere gli episodi che manifestano la predilezione del Prof.Moscati per la povera gente, non basterebbe un libro. Ne riportiamo solo alcuni.

Una volta – attesta il Dott.Brancaccio – mandai al professore una giovane donna ammalata di tubercolosi con un biglietto, con cui gli facevo notare le condizioni economiche della povera inferma.
Il professor Moscati la visita, prescrive la cura, non prende alcun compenso e congeda l’inferma; ma questa, con grande meraviglia, si accorge che nel foglio della diagnosi vi era un biglietto da 50 lire, messovi dal professore senza dir nulla”. Quando io lo ringraziai della sua pietà, riverendolo, mi rispose: Per carità, non lo dite a nessuno.

Studio2
Studio medico di S.Giuseppe Moscati, così come era stato ricostruito dopo l’apertura delle Sale dedicate al Santo.

Racconta il gesuita P.Antonio de Pergola che, insieme a Moscati, tornando da Vico Equense, si fermarono a Castellammare di Stabia e si diressero alla povera e miserabile dimora di un ferroviere infermo, presso il cui capezzale i colleghi del malato, nel treno medesimo, avevano pregato il Professore di andare.
Moscati cominciò la visita e intanto i ferrovieri raccoglievano denaro per pagare il Professore.

Moscati se ne accorse e allora si avvicinò e con elequente semplicità rivolse loro queste poche parole: «Poiché voi, sottraendo parte del vostro duro lavoro, siete venuti in aiuto del vostro amico infermo, io mi associo al vostro senso umanitario e contribuisco alla sottoscrizione con la mia quota, onde l’infermo possa avere, con la somma raccolta, i mezzi necessari per curare la malattia», e consegnò loro tre biglietti da lire 10.

Il Dott. G. Ponsiglione racconta Si presenta un giorno al suo studio un distinto signore dell’aristocrazia di Napoli con la preoccupazione sul volto e lo prega di visitare subito la madre inferma. Il Professore sta sulla negativa, tanto che il signore gli chiede spiegazione di questo noreciso. – Gliela dò subito- rispose il Prof.Moscati – Ella ha ricchezze e può benissimo pagare un naltro professore. Io sono diretto ad un povero prete a San Giovanni a Teduccio. – Quel signore rimase edificato E – soggiunse – se l’accompagnassi prima a San Giovanni, verrebbe poi a casa mia?Volentieri, Ella vuol concorrere ad un’opera buona. E così fu fatto.

Una Religiosa del Sacro Cuore ha riferito che Moscati, chiamato da un’inferma, le prescrisse una cura, ma tornandovi un’altra volta vide che la cura non era stata fatta. Egli, resosi conto che – nonostante l’ampiezza – la casa nascondeva invece povertà, trovò subito il modo di provvedere senza destare ammirazione; e diede in parole di rimprovero, dicendo che quando si chiama il medico, se ne devono adempiere le prescrizioni, indi si allontanò.
Quelli della famiglia restarono afflitti; ma di lì a poco, rimuovendo i cuscini dell’inferma, trovarono un biglietto di 500 lire. Il dottor Moscati, per sfuggire all’ammirazione della sua carità, aveva assunto la veste del rimprovero e dell’asprezza.

V La morte improvvisa

Ti spiace accompagnarmi?”. Sentì chiedersi lo studente dal giovane Primario a cui riconosceva tutta Napoli un prestigio già fuor dall’ordinario per aver legato saldamente alla Scienza la Fede più fervente.

Non è per esrcizio di diagnostica che desidero averti insieme a me. Le discussioni sopra i casi clinici le sai fare benissimo da te. Vorrei che da cristiano già temprato tu vedessi l’autentico malato.

Si avviarono in un dedalo di vicoli stretti e fangosi, non sensa disagio. Poi, dentro il corridoio di un tugurio, (il Prof. Moscati più a suo agio per la pratica certo dell’ambiente; un poco più a tentoni lo studente), si spinsero all’estremo pianerottolo contemplando uno squallido spettacolo: un uomo dall’aspetto cadaverico sopra una branda retta per miracolo fissò lo sguardo sopra il professore, quasi in attesa del suo salvatore. Il quale, prontamente inginocchiatosi presso il giaciglio come a un rituale, conchiuse un minuzioso esame clinico con la puntura di un medicinale, furtivamente alla famiglia ansiosa, lasciando anche un’offerta generosa.
Poche parole al bravo allievo espressero il senso di quel gesto (abituale al Maestro) e so quanto ne orientarono l’esimia attività professionale:
Ricordalo: tu hai visto nettamente l’immagine del Cristo Sofferente!”.
[Dall'Osservatore Romano della Domenica, 23/11/1975]

Trasla1
Traslazione del corpo di Giuseppe Moscati nella chiesa del Gesù Nuovo: 16 novembre 1930.

Il 12 aprile 1927, martedì santo, il prof. Moscati, dopo aver partecipato, come ogni giorno, alla Messa e aver ricevuto la Comunione, trascorse la mattinata in Ospedale per poi tornare a casa. Consumò, come sempre, un frugale pasto e poi si dedicò alle consuete visite ai pazienti che andavano da lui.

Ma verso le ore 15 si sentì male, si adagiò sulla poltrona, e poco dopo incrociò le braccia sul petto e spirò serenamente. Aveva 46 anni e 8 mesi.

La notizia della sua morte si diffuse immediatamente, e il dolore di tutti fu unanime. Soprattutto i poveri lo piansero sinceramente, perché avevano perduto il loro benefattore.

Tra le prime testimonianze dopo la sua morte, significativa è quella del cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi. Dopo pregato dinanzi al corpo di Moscati, rivolto ai familiari disse: Il Professore non apparteneva a voi, ma alla Chiesa. Non quelli di cui ha sanato i corpi, ma quelli che ha salvato nell’anima gli sono andati incontro quando è salito lassù.

Nel registro delle firme, posto nell’ingresso della casa, tra le altre fu trovata questa frase: Non hai voluto fiori e nemmeno lacrime: ma noi piangiamo, perché il mondo ha perduto un santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto!”.

Il corpo fu sepolto nel Cimitero di Poggioreale, e precisamente nella Cappella cimiteriale dell’Arciconfraternita della SS.Trinità dei Pellegrini.

Ma tre anni più tardi, il 16 novembre 1930, in seguito all’istanza di varie personalità del clero e del laicato, l’Arcivescovo di Napoli concesse il trasferimento del corpo dal Cimitero alla Chiesa del Gesù Nuovo, tra due ali imponenti di folla.

Particolarmente felice di questo fu Nina Moscati, sorella del Professore, che dopo essergli stata sempre vicina in vita, aiutandolo nell’esercizio della sua carità, dopo la morte aveva donato alla chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili del fratello.

Nel 1977, due anni dopo la Beatificazione, ci fu la ricognizione canonica del corpo: le ossa furono ricomposte, e il corpo di Moscati fu collocato nell’urna di bronzo, opera del Prof. Amedeo Garufi.

Al Gesù Nuovo il corpo fu tumulato in una sala dietro l’altare di S. Francesco Saverio, e la lapide a destra sotto l’altare della Visitazione lo ricorda ancora.


NOTA: Il 10 febbraio 2001, vigilia della IX Giornata Mondiale del Malato e della festa della Madonna di Lourdes, per iniziativa del Primicerio dell’Arciconfraternita della SS.Trinità dei Pellegrini, Avv.Giuseppe Di Rienzo, una lapide commemorativa indica nel cimitero di Poggioreale la tomba nella quale, per circa tre anni dopo la morte, riposarono i resti mortali di S.Giuseppe Moscati, nella cappella cimiteriale dell’Arciconfraternita.

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Beatificazione di S.Giuseppe Moscati. Paolo VI con i gesuiti Molinari, Marranzini e Tripodoro [Foto Osservatore Romano]

Dopo la traslazione al Gesù Nuovo, il 16 novembre 1930, questa sepoltura era rimasta anonima e non era stata più utilizzata. Era nota solo a un piccolo gruppo di Dirigenti dell’Arciconfraternita.

La lapide commemorativa è stata benedetta dal Vescovo Ausiliare di Napoli, Mons.Vincenzo Pelvi, dopo una liturgia eucaristica da lui presieduta. Erano presenti – insieme con alcuni Medici e un gruppo di membri dell’Arciconfraternita dei Pellegrini – il Parroco della chiesa del Gesù nuovo, P.Pasquale Puca s.j., il Primicerio Avv.Giuseppe Di Rienzo e Mons.Enrico Cirilli, Assistente spirituale dell’Arciconfraternita. Era presente anche il Cappellano dell’Ospedale dei Pellegrini, P.Vincenzo Esposito OFM Cap.

V Beatificazione (Paolo VI)

La stima e la venerazione che avevano circondato il Prof. Moscati durante la vita, esplosero dopo la sua morte, e presto il dolore e il pianto di coloro che lo avevano conosciuto si tramutò in commozione, entusiasmo, preghiera. Si ricorreva a lui in ogni circostanza, e molti affermavano di ricevere grazie fisiche e spirituali per sua intercessione.

Il 16 luglio 1931 iniziarono i Processi informativi presso la Curia di Napoli, primo atto ufficiale nel cammino verso la canonizzazione. Il 10 maggio 1973 la Congregazione per le Cause dei Santi, a Roma, emanò il Decreto sulle virtù eroiche, per cui Giuseppe Moscati viene dichiarato Venerabile.

Nel frattempo venivano istruiti i processi per l’esame di due miracoli: due guarigioni improvvise attribuite a Moscati. Un maresciallo degli agenti di custodia, Costantino Nazzaro, nato ad Avellino il 22/05/1902 e vissuto in perfetta salute fino al 1933, quando cominciò ad avvertire i primi sintomi di una malattia che avrebbe potuto stroncargli la vita.

Canoniz
Canonizzazione di S.Giuseppe Moscati: 25 ottobre 1987 [Foto Osservatore Romano]

Era affetto dal morbo di Addisone aveva avuto prognosi sicura di morte, poichè non si conoscevano casi di guarigione e le terapie servivano solo a prolungare la resistenza del malato. Infatti, nonostante le cure, il Nazzaro non migliorava ei medici non gli davano alcuna speranza. Conosciuto nella chiesa del Gesù Nuovo il Servo di Dio Giuseppe Moscati, lo pregò insieme alla sua famiglia e vi ritornò ogni quindici giorni. Una notte vide in sogno che Moscati lo operava, e svegliatosi si trovò perfettamente guarito.

Il secondo miracolo approvato dalla Congregazione per le Cause dei Santi è quello di Raffaele Perrotta, di Calvi Risorta (CE), guarito da meningite cerebrospinale meningococcica. Quando già i familiari avevano preparato per lui l’abito per la sepoltura, ecco che tra il 7 e l’8 febbraio 1941 si ebbe una instantanea e definitiva guarigione.

Il 16 novembre 1975, il Papa Paolo VI dichiarò Beato Giuseppe Moscati, durante una solenne celebrazione in Piazza San Pietro.
Quel giorno la pioggia si presentò varie volte durante la funzione, ma la folla che gremiva la piazza seguì con commozione il sacro rito fino alla conclusione, riparandosi sotto gli ombrelli.

V Canonizzazione (Giovanni Paolo II)

Nel 1977, due anni dopo la Beatificazione, ci fu la ricognizione canonica del corpo: le ossa furono ricomposte, e il corpo di Moscati fu collocato nell’urna di bronzo, opera del Prof. Amedeo Garufi, sotto l’altare della Visitazione.

La devozione per Moscati cresceva sempre più. In vista della canonizzazione, fu scelta ed esaminata la guarigione da leucemia, o mielosi acuta mieloblastica, del giovane Giuseppe Montefusco, avvenuta nel 1979.

Quest’uomo era considerato ormai spacciato. La madre, Rosaria Rumieri, avvilita per la diagnosi infausta, vide una notte in sogno la foto di un medico in camice bianco. Raccontò il sogno al suo Parroco, che le parlò del Beato medico Giuseppe Moscati. La signora venne al Gesù Nuovo, e subito riconobbe il volto della foto vista in sogno.

Da allora iniziò a pregare Moscati, coinvolgendo anche parenti e amici. Il figlio Giuseppe dopo poco tempo guarì perfettamente. Non ha più fatto alcuna cura e ha ripreso il suo pesante lavoro di fabbro. Poi si è felicemente sposato, e vive ora felicemente con moglie e figli.

Dopo lunghi esami, finalmente nel concistoro del 28 aprile 1987 il Papa Giovanni Paolo II fissò la data della canonizzazione al 25 ottobre dello stesso anno.

Dall’ 1 al 30 ottobre era in corso a Roma la VII assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, che trattava della Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, a 20 anni dal Concilio Vaticano II.

Non poteva aversi una coincidenza migliore: Giuseppe Moscati era un laico, che aveva svolto la sua missione nella Chiesa e nel mondo. La sua canonizzazione era auspicata da studiosi, medici e studenti universitari, che ricordavano la sua figura di scienziato e di uomo di fede, impegnato a lenire le sofferenze e a condurre gli ammalati a Cristo.

Alle 10 del 25 ottobre 1987, in Piazza San Pietro, il Papa Giovanni Paolo II, dinanzi a circa 100.000 persone, dichiarava Santo Giuseppe Moscati, a 60 anni dalla morte.

Alla Messa di Canonizzazione era presente il miracolato Giuseppe Montefusco, di 29 anni, con la madre, che offrì al Papa un volto di Cristo in ferro battuto, da lui stesso realizzato nella sua officina di Somma Vesuviana (Napoli).

La festa liturgica di San Giuseppe Moscati fu fissata, in seguito, al 16 novembre di ogni anno.

Il miracolato Giuseppe Montefusco

Giuseppe Montefusco, nato a Somma Vesuviana (NA) il 15-2-1958, agli inizi del 1978 cominciò ad accusare pallore, stancabilità, vertigini, inappetenza. Poiché i globuli rossi e le piastrine erano fortemente diminuiti, il 13-4-1978 fu ricoverato all’Ospedale Cardarelli. Qui tutti i sanitari furono concordi nella diagnosi: leucemia acuta mieloblastica: che, prima dei chemioterapici e dei citostatici, portava in breve termine alla morte. Dalla letteratura medica risulta che solo una piccola parte dei pazienti, affetti da leucemie acute non linfatiche, sopravvive oltre i cinque anni, sempre che vengano eseguiti cicli di chemioterapia superintensiva.

Però dal giugno 1979 il Montefusco smise ogni cura e riprese il pesante lavoro di fabbro. Racconta la mamma, Rosaria Rumieri, che una notte in sogno vide la foto di un medico in camice bianco, al quale tutti portavano offerte. Lo fece anche lei, offrendo 2.000 lire. Raccontando il sogno, il parroco le disse che si trattava di Moscati, il cui corpo era nel Gesù Nuovo La signora vi andò e riconobbe la foto vista in sogno. Volle acquistare un quadro e le chiesero un’offerta di 2.000 lire. Da allora parenti ed amici pregavano Moscati e ritornavano spesso al Gesù Nuovo. Giuseppe intanto cominciò a star meglio e dopo un mese guarì.

Esame del miracolo

Esame del miracolo Avvenuta la guarigione di Giuseppe Montefusco nel 1979, fu istruito un processo presso il Tribunale Ecclesiastico Campano di Napoli; gli atti furono inviati alla Congregazione per le Cause dei Santi; il Consiglio Medico, il 3 dicembre 1986, confermò la diagnosi letale di “leucemia acuta non linfoide”, e confermò «la modalità della guarigione relativamente rapida, completa e duratura… non spiegabile secondo le conoscenze mediche».
Il 27 marzo 1987 il Congresso dei Teologi riconobbe la validità delle prove giuridiche e teologiche. I Cardinali della Congregazione per le Cause dei Santi espressero parere favorevole, e il Papa Giovanni Paolo II decise la Canonizzazione, fissandone la data al 25 ottobre 1987.

V Festa Liturgica: 16 novembre

L’urna di bronzo realizzata da Amedeo Garufi

La morte, per i cristiani, è la nascita al Cielo e per questo le feste dei santi si celebrano nel giorno della loro dipartita dal mondo. Anche la festa di S. Giuseppe Moscati doveva tenersi il 12 aprile di ogni anno, ma, per motivi pastorali, si è ottenuto dalla Congregazione per il Culto Divino di celebrarla il 16 novembre. In questo giorno, infatti, nel 1930, i resti mortali del Santo furono trasferiti nella chiesa del Gesù Nuovo e riposti sul lato destro dell’altare di San Francesco Saverio, dove ancora si conserva la lapide.

Nel 1977 furono collocati sotto l’altare della Visitazione, nell’urna scolpita dal Prof. Amedeo Garufi. I motivi pastorali sono dettati dalla coincidenza delle prime due settimane di aprile con la settimana santa o con il periodo della risurrezione del Signore. L’Urna di bronzo, che racchiude il corpo di S. Giuseppe Moscati, è composta da un trittico che raffigura tre aspetti significativi della vita del Santo.

Il pannello di sinistra ci mostra il Professore in cattedra con gli alunni attorno; quello centrale raffigura il Santo che, illuminato da Cristo, conforta una mamma col bambino; sulla destra si vede il Medico accanto al letto di un ammalato. Il 7 ottobre del 1990 è stata inaugurata la Statua di bronzo collocata alla sinistra di chi guarda l’urna, opera dello scultore Prof. Luigi Sopelsa, di Venezia. Prima di giungere a Napoli, la statua è stata benedetta da Papa Giovanni Paolo II a Benevento, dove 110 anni prima era nato Giuseppe Moscati.

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Festeggiamenti in onore di San Giuseppe Moscati (16/11/2013)

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2013

FESTEGGIAMENTI IN ONORE
di
SAN GIUSEPPE MOSCATI

presso la Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli (piazza del Gesù Nuovo)

San Giuseppe Moscati festa

Sabato 16 novembre 2013 – Festa del Santo

ore 7:30 – 9:00 – 10:00 – 11:00 – 12:00 – 13:00
ss. Messe con omelia all’altare maggiore

ore 17:30 solenne concelebrazione
presieduta da Sua Eccellenza Monsignor PIETRO LAGNESE
Vescovo di Ischia

Triduo in preparazione

Mercoledì 13 – Giovedì 14 – Venerdì 15 novembre
s. Messa ore 18:30

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Giuseppe Moscati, la carità trasforma il mondo

Posté par atempodiblog le 6 novembre 2013

La carità trasforma il mondo
Giuseppe Moscati preferì il lavoro nell’ospedale alle glorie accademiche. Fu un medico, un laico, un cristiano che si adoperò per tutta la sua vita in un “amore” senza limiti per i poveri ammalati, membra sofferenti di Cristo.

di Maria Di Lorenzo – Madre di Dio

Giuseppe Moscati, la carità trasforma il mondo dans San Giuseppe Moscati Blessed-Moscati

«Da ragazzo guardavo con interesse all’Ospedale degli incurabili, che mio padre mi additava da lontano dalla terrazza di casa, ispirandomi sentimenti di pietà per il dolore senza nome, lenito in quelle mura. Un salutare smarrimento mi prendeva e cominciavo a pensare alla caducità di tutte le cose, e le illusioni passavano, come cadevano i fiori degli aranceti che mi circondavano. Allora compreso tutto negli iniziati studi letterari, non sospettavo e non sognavo che, un giorno, in quell’edificio bianco, alle cui vetrate si distinguevano appena, come bianchi fantasmi, gli infermi ospitati, io avrei ricoperto il supremo grado clinico».
Ai tempi di Giuseppe Moscati, l’Ospedale degli incurabili era uno dei più famosi d’Europa. Era costituito da vari edifici, circondati da giardini, chiostri e fontane. Lì vi tenevano corsi universitari e vi insegnavano uomini famosi, della statura di Gaetano Rummo e Antonio Cardarelli. Oltre ad essere casa di cura era anche un centro di fede, pietà e misericordia. Un luogo fortemente legato alla vicenda e alla memoria di Giuseppe Moscati, il medico santo. Che aveva rinunciato alla cattedra universitaria per stare vicino agli ammalati, vero samaritano del Cristo sofferente. 

Ricco di virtù
Giuseppe Moscati nacque a Benevento il 25 luglio 1880; l’8 dicembre 1888, solennità dell’Immacolata, ricevette la Prima Comunione, e dopo aver conseguito alcuni anni dopo la maturità classica con ottimi voti, si iscrisse alla Facoltà di medicina: il 4 agosto 1903 conseguì la laurea con una tesi sull’urogenesi epatica, con il massimo dei voti e la lode, mentre la tesi veniva dichiarata degna di pubblicazione.
A 31 anni il dott. Moscati vinse il concorso di coadiutore ordinario negli Ospedali riuniti di Napoli, e da allora l’ospedale e i poveri che visitava gratuitamente a domicilio furono tutta la sua vita.
Libero da ogni ambizione terrena, dedicò tutto se stesso, il cuore e la mente, ai suoi infermi ed anche all’educazione dei giovani medici. Gruppi di giovani studenti e di giovani dottori infatti lo seguivano di letto in letto nelle sue visite agli ammalati, per poter apprendere il segreto della sua arte.
Ma questo “segreto” in realtà era assai semplice. Esso, prima ancora che nella scienza medica che pur possedeva perfettamente, era racchiuso nella sua vita di carità e nel profondo spirito di preghiera che animava la sua giornata terrena.
Scrivendo un giorno ad un collega, Moscati gli dice: «Pensate che i vostri infermi hanno soprattutto un’anima, a cui dovete sapervi avvicinare, e che dovete avvicinare a Dio; pensate che vi incombe l’obbligo di amore allo studio perché solo così potete adempiere al grande mandato di soccorrere le infelicità».
Molti di quelli che l’avevano conosciuto lo ricordavano in preghiera, inginocchiato dinanzi al Santissimo Sacramento nella chiesa del Gesù nuovo o di santa Chiara, particolarmente al mattino, prima di recarsi in ospedale. «Quanta dolcezza provo nel comunicarmi ai piedi della Madonna, mi sembra di diventare più piccolo e le dico le cose come sono». 

Devotissimo di Maria
L’Eucaristia era il centro della sua vita e a questa si univa una profonda devozione alla Madre di Dio. È stato ritrovato a tal proposito un commento di Giuseppe Moscati ai versetti dell’Ave Maria, che ci fa comprendere meglio la sua spiritualità mariana. Lo scritto non è datato e porta il titolo: Come recito l’Ave Maria.
In esso il futuro Santo scrive: «Per evitare distrazioni, e per recitare con maggiore fervore l’Ave Maria, sono solito riportarmi col pensiero ad una immagine, o meglio al significato di una immagine della beatissima Vergine, mentre pronuncio i vari versetti della preghiera contenuti nel Vangelo di Luca. E prego in questo modo: Ave, Maria, gratia plena… Il mio pensiero corre alla Madonna delle Grazie, così come è rappresentata nella chiesa di santa Chiara. Dominus tecum… Mi si presenta alla mente la Santa Vergine sotto il titolo del rosario di Pompei. Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus… Ho uno slancio di tenerezza per la Madonna sotto il titolo del buon consiglio, che mi sorride così come è effigiata nella chiesa delle Sacramentine. Innanzi a questa immagine di lei ed in questa chiesa io feci abiura degli affetti impuri terreni. Benedicta tu in mulieribus… E se sto davanti al Tabernacolo mi rivolgo al Santissimo Sacramento: Benedictus fructus ventris tui, Jesus.
Sancta Maria, Mater Dei… Volo con l’affetto alla Madonna sotto il privilegio della Porziuncola di Francesco di Assisi. Ella implorò a Gesù Cristo il perdono dei peccatori; e Gesù le rispose di non poterle nulla negare, perché sua Madre! Ora pro nobis peccatoribus… Ho lo sguardo alla Madonna quando apparve a Lourdes, dicendo che bisognava pregare per i peccatori… Nunc et in hora mortis nostrae… Penso alla Madonna venerata sotto il nome del Carmine, protettrice della mia famiglia; confido nella Vergine che sotto il titolo del Carmine arricchisce di doni spirituali i moribondi e libera le anime dei morti nel Signore!».

Scienziato e santo
Il 12 aprile 1927, Martedì santo, il prof. Moscati, dopo aver partecipato, come ogni giorno, alla Messa e aver ricevuto la Comunione, trascorse la mattinata in ospedale per poi tornare a casa. Consumò, come sempre, un frugale pasto e poi si dedicò alle consuete visite ai pazienti nel suo studio. Ma verso le tre del pomeriggio si sentì male, si adagiò sulla poltrona, e incrociate le braccia sul petto spirò serenamente. Non aveva ancora compiuto 47 anni.
La notizia della sua morte si sparse velocemente, e il dolore di tutti fu grande. Soprattutto i poveri lo piansero a dirotto, perché con lui avevano perso anche il loro più grande benefattore.
La devozione per il “Medico santo” cominciò a crescere di giorno in giorno finché, tre anni dopo la sua morte, il 16 novembre 1930, in seguito all’istanza di varie personalità del clero e del laicato, l’Arcivescovo di Napoli concesse il trasferimento del suo corpo dal cimitero di Poggioreale alla chiesa del Gesù nuovo, tra due ali imponenti di folla. 

16 luglio 1931
La commozione e il rimpianto della gente si trasformarono presto in preghiera e in richieste di grazie fisiche e spirituali, che molti asserirono di aver ricevuto per la sua intercessione, finché il 16 luglio 1931 iniziarono i processi informativi presso la Curia di Napoli, primo atto ufficiale nel cammino verso la sua canonizzazione.
Dichiarato Venerabile nel 1973, fu beatificato da Paolo VI il 16 novembre 1975 e canonizzato da Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987, mentre era in corso a Roma la VII Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, che trattava della “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, a 20 anni dal Concilio vaticano II”. Non poteva esserci una coincidenza migliore: Giuseppe Moscati era un laico che aveva svolto la sua missione nella Chiesa e nel mondo.

La sua festa liturgica venne fissata, in seguito, al 16 novembre di ogni anno
La canonizzazione del medico Giuseppe Moscati era stata fortemente auspicata da studiosi, medici e studenti universitari, che avevano davanti agli occhi come guida e modello la sua splendida figura di scienziato e di uomo di fede, impegnato a lenire le sofferenze degli uomini e a condurre gli ammalati a conoscere l’amore di Cristo.

Agostino Gemelli
Come aveva già intuito appena due anni dopo la sua morte, nel 1930, padre Agostino Gemelli che in un articolo apparso su Vita e Pensiero tracciava un ritratto di Moscati definendolo «una fusione perfetta e cosciente del cristiano, dello scienziato e dell’uomo». Un fenomeno, sottolineava Gemelli, abbastanza raro tra i cultori delle scienze mediche, ma Moscati «nel riconoscimento che Dio è autore dell’ordine materiale e di quello soprannaturale aveva trovato il mezzo per giungere alle armonie di scienza e fede». Come lui stesso, il “Medico santo”, aveva compreso e quindi affermato in uno scritto davvero illuminante del 1922: «Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo…».

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Novena a San Giuseppe Moscati (da recitarsi dal 7 al 15 novembre)

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Come San Giuseppe Moscati recitava l’Ave Maria

Posté par atempodiblog le 1 octobre 2013

Come San Giuseppe Moscati recitava l’Ave Maria dans San Giuseppe Moscati 9wyw
Tomba di San Giuseppe Moscati – Chiesa del Gesù Nuovo, Napoli

La signorina Emma Picchillo manifestò al biografo Fernando Bea (Storia di un medico, Marietti, Torino, 1961, p.134) che Moscati soleva scrivere suoi pensieri su pezzi di carta, che gettava poi nel cestino, per mantenere così sempre sgombra la sua scrivania. La sorella Nina talvolta trovava per caso questi frammenti e li conservò con grande amore. Ed ecco uno di questi preziosi frammenti, che qui si riporta integralmente:

“Come recito l’Ave Maria.
Per evitare distrazioni, e per recitare con maggiore fervore l’Ave Maria, sono solito riportarmi col pensiero ad una immagine, o meglio al significato di una immagine della Beatissima Vergine, mentre pronuncio i vari versetti della preghiera contenuti nel Vangelio di S.Luca. E prego in questo modo:
Ave, Maria, gratia plenaIl mio pensiero corre alla Madonna delle Grazie, così come è rappresentata nella chiesa di S. Chiara.
Dominus tecum… Mi si presenta alla mente la Santa Vergine sotto il titolo del Rosario di Pompei.
Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus… Ho uno slancio di tenerezza per la Madonna sotto il titolo del Buon Consiglio, che mi sorride così come è effigiata nella Chiesa delle Sacramentine. Innanzi a questa Immagine di Lei ed in questa Chiesa io feci abiura degli affetti impuri terreni.
Benedicta tu in mulieribus… E se sto davanti al Tabernacolo mi rivolgo al SS.Sacramento: Benedictus fructus ventris tui, Jesus.
Sancta Maria, Mater Dei…
Volo con l’affetto alla Madonna sotto il privilegio della Porziuncola di S.Francesco di Assisi. Ella implorò a Gesù Cristo il perdono dei peccatori; e Gesù le rispose di non poterle nulla negare, perché sua Madre!

Ora pro nobis peccatoribus… Ho lo sguardo alla Madonna quando apparve a Lourdes, dicendo che bisognava pregare per i peccatori…
Nunc et in hora mortis nostrae… Penso alla Madonna venerata sotto il nome del Carmine, protettrice della mia famiglia; confido nella Vergine che sotto il titolo del Carmine arricchisce di doni spirituali i moribondi e libera le anime dei morti nel Signore! Io domando: è superstizioso riferirsi a tante immagini, o meglio a tanti titoli della Vergine durante un’unica preghiera? Durante l’Ave Maria?”.

Alla domanda di Moscati non si può dare una risposta negativa, perché, essendo noi legati alla sensibilità, è indispensabile aiutare lo spirito mediante immagini ad elevarsi al Signore o alla Vergine, a cui è rivolta la nostra preghiera.

di Padre Alfredo Marranzini S.J. – L’Osservatore Romano

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Un pensiero mariano di san Giuseppe Moscati

Posté par atempodiblog le 6 mai 2013

Un pensiero mariano di san Giuseppe Moscati dans Citazioni, frasi e pensieri Blessed-Moscati

O Maria, ricordateVi che siamo vostri, proteggeteci Voi, rendeteci penitenti, convertiteci.

dagli scritti del Prof. G. Moscati

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San Giuseppe Moscati

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2012

San Giuseppe Moscati

San Giuseppe Moscati dans Francesco Agnoli San-Giuseppe-Moscati

Medico e professore di prim’ordine, dedicò la sua vita ai malati ed ai poveri, consapevole che sovente “la scienza gonfia”, mentre “la carità edifica”.
Riflettendo sul lavoro del medico, nobilissimo ma incapace, in ultima analisi, di sconfiggere la morte corporale, ricordava che il medico non deve solo essere uomo di scienza, ma anche uomo di carità e amore.
Scriveva: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene”.

di Francesco Agnoli

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Novena a San Giuseppe Moscati (da recitarsi dal 7 al 15 novembre).

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2012

Preghiera a San Giuseppe Moscati utilizzabile sia come novena sia come triduo. Può essere recitata in preparazione della festa del santo, il 16 novembre, dal 7 al 15 novembre, o in qualsiasi momento per le proprie necessità:

Novena a San Giuseppe Moscati (da recitarsi dal 7 al 15 novembre). dans Preghiere san-Giuseppe-Moscati

O San Giuseppe Moscati, medico e scienziato insigne, che nell’esercizio della professione curavi il corpo e lo spirito dei tuoi pazienti, guarda anche noi che ora ricorriamo con fede alla tua intercessione.

Donaci sanità fisica e spirituale, intercedendo per noi presso il Signore.
Allevia le pene di chi soffre, dai conforto ai malati, consolazione agli afflitti, speranza agli sfiduciati.
I giovani trovino in te un modello, i lavoratori un esempio, gli anziani un conforto, i moribondi la speranza del premio eterno.

Sii per tutti noi guida sicura di laboriosità, onestà e carità, affinché adempiamo cristianamente i nostri doveri, e diamo gloria a Dio nostro Padre. Amen.

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Dio non abbandona nessuno

Posté par atempodiblog le 12 avril 2012

Dio non abbandona nessuno dans Citazioni, frasi e pensieri san-Giuseppe-Moscati

“Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno.
Quanto più vi sentite solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la sensazione di un’infinita forza arcana, che vi sorregge, che vi rende capace di propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio!”.

San Giuseppe Moscati

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La caducità di tutte le cose

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2011

La caducità di tutte le cose dans Citazioni, frasi e pensieri Blessed-Moscati

«Bellezza, ogni incanto della vita passa! Resta solo eterno l’amore che sopravvive a noi, che è speranza e religione, perché l’amore è Dio. Grandiosa morte che non è fine, ma è principio del sublime e del divino, al cui cospetto questi fiori e la bellezza sono nulla. [...] Da fanciullo, guardando dal terrazzo l’ospedale, mi prendeva un salutare smarrimento, e cominciavo a pensare alla caducità di tutte le cose, e le illusioni passavano, come cadevano i fiori dagli aranceti che mi circondavano…».

San Giuseppe Moscati

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Un lampo nell’eterno

Posté par atempodiblog le 27 février 2011

Un lampo nell'eterno dans Citazioni, frasi e pensieri Blessed-Moscati

«Ma la vita fu definita un lampo nell’eterno. E la nostra umanità, per merito del dolore di cui è pervasa, e di cui si saziò Colui che vestì la nostra carne, trascende dalla materia, e ci porta ad aspirare una felicità oltre il mondo.
Beati quelli che seguono questa tendenza della coscienza, e guardano all’al di là dove saranno ricongiunti gli affetti terreni che sembrano precocemente infranti».

San Giuseppe Moscati

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Mirate al Cielo

Posté par atempodiblog le 1 février 2011

Mirate al Cielo dans Citazioni, frasi e pensieri San-Giuseppe-Moscati

In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all’eternità della vita e dell’anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene.

San Giuseppe Moscati

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San Giuseppe Moscati nella terra dei suoi avi

Posté par atempodiblog le 15 novembre 2009

San Giuseppe Moscati nella terra dei suoi avi dans Articoli di Giornali e News Blessed-Moscati

Un aspetto poco conosciuto della vita di Giuseppe Moscati è il legame con la sua terra “natale”. Argomento a noi caro perché nostra nonna paterna, Luisa Moscati, lo conosceva bene essendo sua cugina e coetanea.
Parlando di terra “natale” non ci riferiamo a Benevento, città in cui Giuseppe Moscati nasce nel 1880, e neppure a Napoli, città in cui si trasferisce con i genitori nel 1884 e in cui vive fino alla prematura morte nel 1927, bensì alla culla della famiglia Moscati, che è l’antichissimo paese di Santa Lucia di Serino, a sette chilometri dal capoluogo Avellino. Il borgo è situato sulla riva destra del fiume Sabato il quale dà il nome all’omonima ridente valle. Alle spalle dell’abitato troviamo, invece, i suggestivi monti di Serino con i loro ricchi boschi.

Famiglia gentilizia e cattolica
La famiglia Moscati, d’origine gentilizia, è presente in Santa Lucia di Serino sin dal sec. XVI e numerosi documenti la indicano già in tale epoca come ricca ed influente. Capostipite del casato è Palmiero Moscati (1480-1560), guarda caso medico come il suo virtuoso discendente!
Sarà suo pronipote Domenico (1608-1675), laureato in legge, ad abbellire ed ingrandire la sua dimora cinquecentesca che è poi quella in cui nasce nel 1836 il magistrato Francesco Moscati, padre di san Giuseppe. Nel 1867 l’apprezzato uomo di legge, nonché di profonda fede, è costretto, per motivi di lavoro, a lasciare l’amato paese natio, ma ogni anno vi torna in villeggiatura, con tutta la famiglia, per riassaporare piacevolmente le proprie radici.
Nel 1868, infatti, sposa donna Rosa De Luca dei marchesi di Roseto la quale gli dona nove figli. Uno di questi, l’ingegnere Eugenio, testimone al processo di canonizzazione del fratello Peppino, così li rammenta: «I nostri genitori furono ferventissimi cristiani e come prova vada la loro scrupolosità nell’educarci in grembo alla religione cattolica colla frequenza esatta dei doveri cristiani e con la recita quotidiana del santo rosario alla Madonna». Quale migliore esempio di santità, quindi, per il giovane Giuseppe, se non quello di mamma e papà?

Palazzo Moscati
Palazzo Moscati, a Santa Lucia di Serino, è una costruzione quadrata con un grande cortile interno. Uno scalone austero conduce al piano superiore ove il primo ambiente che s’incontra, dopo il pianerottolo sovrastato dallo stemma nobiliare, è un salone di attesa.
Qui troviamo una grande tela della Madonna del Carmine, protettrice della casata, e tre ritratti ad olio di antenati (l’amore di Giuseppe Moscati per la Vergine Maria sarà tale da fargli emettere il voto di castità proprio dinanzi a quella immagine della Madonna posta nella chiesa delle Sacramentiste, a Napoli, dove ogni giorno c’era l’esposizione del Santissimo Sacramento).
Durante i soggiorni a Santa Lucia di Serino il Santo occupa sempre la camera da letto più piccola, che è quella che dà sul primo balcone della facciata. A pian terreno della dimora troviamo una cappella gentilizia con ingresso dall’interno e dall’esterno del palazzo, in essa sono stati battezzati per secoli diversi esponenti della famiglia Moscati. Giuseppe, sin dall’infanzia, ama molto pregare nella cappella, custodire i suoi arredi sacri, ornarla di fiori e servire la Messa, la quale è sempre celebrata dal sacerdote Carmelo Moscati, da lui molto amato, nonché cugino di suo padre.
Nei giorni festivi, invece, il magistrato Moscati e famiglia partecipano al Sacro Rito celebrato nella stupenda chiesa settecentesca del Monastero delle Clarisse, ubicata a pochi metri dal palazzo. Ecco cosa dichiara suor Maria Chiarina Rossi: «Il signor presidente Francesco Moscati alcune volte serviva la Messa e godeva tanto di portar l’ombrello al Santissimo, quando si esponeva durante il mese di ottobre. Egli ed i ragazzi se ne stavano tutti inginocchiati a lungo come statue». In tale monastero si sono monacate molte antenate del Santo e ancor oggi si conservano i banchi dove in chiesa i Moscati si accomodavano.
Il luogo che il giovane Peppino più ama della dimora avita, dopo la chiesina, è indubbiamente il giardino sopraelevato che si trova dietro il palazzo. Da esso, infatti, può osservare con meraviglia la verdissima cerchia dei monti di Serino dominata dal monte Terminio (m.1786). E nel silenzio del suo giardino, a cui a 17 anni dedica una bella poesia dialettale, studia, prega e si diletta a coltivare piante e fiori.
Con il padre e i fratelli ogni giorno fa allegre passeggiate o lungo il fiume Sabato, o sui monti serinesi, o andando a far visita a parenti oppure raggiungendo la chiesa del Convento dei Padri francescani che dista da casa una mezz’ora.
Anche dopo la morte dell’amato genitore, il Medico Santo continua periodicamente a tornare nella terra dei suoi avi, terra che ha sempre nel cuore, pure quando si trova molto, molto lontano da essa. Per esempio il 20 luglio 1923, durante il suo viaggio di andata a Edimburgo attraverso la Francia, così annota sul suo diario: «…Attraversiamo delle valli chiuse da monti ricoperti di castagni (Borgone). Qua e là il nastro argenteo dei fiumi: come è simile questo paesaggio a quello indimenticabile di Serino, l’unico posto al mondo, l’Irpinia, ove volentieri trascorrerei i miei giorni, perché rinserra le più care, le più dolci memorie della mia infanzia e le ossa dei miei cari».

“Medico dei poveri”… povero per i poveri
Giuseppe Moscati non sceglie di diventare medico perché suggestionato dai lauti guadagni, bensì perché vuole aiutare i malati in quanto in essi scorge il Cristo sofferente. Il grande clinico Moscati, quindi, è povero, povero perché ciò che guadagna lo dà ai malati poveri, trattiene per sé giusto quel poco che gli basta per vivere! Tutti coloro che lo conoscono, con grande ammirazione, sono consapevoli di ciò. Agli infermi, inoltre, con amore e delicatezza, rammenta pure le “medicine” per “curarsi” l’anima… e quante anime aiuta, il dott. Moscati, in extremis, a salvarsi!
Quando Giuseppe Moscati, in età adulta, va “in campagna”, con questa espressione, infatti, chiama la terra dei suoi avi, lo accompagna di solito la sorella Nina, instancabile catechista e sempre pronta ad assecondare le sue opere caritative.
I due fratelli invero, sono molto uniti e a Napoli vivono insieme. Legatissimi a loro e anch’essi sinceramente credenti erano i cugini, tra cui nostra nonna paterna, Luisa Moscati; costei, una donna minuta e vispa, aveva avuto, per l’epoca, un’ottima formazione scolastica presso l’educandato del Monastero delle Clarisse.
Fino al 1910, anno in cui si sposa con nostro nonno (il farmacista Rocco Perrottelli di San Michele di Serino), vive con i suoi in un secondo palazzo Moscati, a Santa Lucia di Serino, ubicato a pochi metri da una graziosa seicentesca chiesetta dedicata a San Rocco. Nel 1902 i familiari del Santo elargiscono una generosa offerta per il suo restauro.

Scene di vita familiare
L’anno dopo Peppino si laurea, ma rinuncia a feste e a doni da parte dei suoi a condizione che la somma corrispondente venga versata per terminare i lavori di restauro di tale chiesetta. E così avviene! Peppino, quando si trova in paese, spesso va a pregare nella “sua” chiesetta di San Rocco, la quale, di solito, è chiusa, ma lui, avendo avuto la chiave dal rev. don Mariano De Luca, ha libero accesso.
Terminate le orazioni, va a far visita ai suoi cugini che abitano poco distante e sovente è raggiunto dalla sorella Nina. Vengono pertanto accolti con gioia dai nostri bisnonni, entrambi Moscati, da nostra nonna Luisa, la primogenita, e dai suoi sette fratelli. Tutti si radunano nel grande salotto di casa il quale, all’occorrenza, viene illuminato da artistici lumi a petrolio. In questo caso le pareti, rivestite di velluto rosso con piccoli ricami floreali in oro, assumono una calda tonalità che ben accompagna il clima d’affetto e di cordialità in cui si svolge l’incontro tra parenti.
Una volta accomodati su divani e poltrone, la conversazione inizia con il reciproco aggiornarsi sulle novità della città (Napoli) e quelle della campagna (il serinese). I più piccoli di casa intanto servono dolcetti fatti con antiche ricette di famiglia.
Dopo un po’Peppino si alza perché la “tentazione” è troppo forte… in fondo al salone infatti troneggia il pianoforte e lui, amando e conoscendo la musica, non resiste dall’andare a suonare allietando i presenti. Spesso, inoltre, su un grosso volume trascrive musica, trattasi di noti pezzi classici.
A volte poi, in età giovanile, si diverte a fare anche dei bei disegni umoristici che i cugini contenti conservano. Immancabile, infine, e bel tempo permettendo, la passeggiata nel grande giardino dei parenti dove il Santo, forse, si trova ancora più a suo agio in quanto è risaputo il suo amore per la natura.

Verso il Paradiso
Il 12 aprile 1927, martedì della Settimana Santa, improvvisamente, lasciando tutti costernati, “sorella morte” abbraccia il Medico Santo. Il cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi, tra i primi a giungere alla camera ardente, si rivolge ai presenti con queste significative parole: «Il professore non apparteneva a voi, ma alla Chiesa. Non quelli di cui ha sanato i corpi, ma quelli che ha salvato nell’Anima gli sono andati incontro quando è salito lassù».
Il giorno del funerale una folla immensa e commossa si stringe attorno alla bara, il Municipio di Santa Lucia di Serino, culla del suo casato, invia una delegazione con l’antico gonfalone comunale.
Le spoglie del medico dei poveri, come sovente veniva chiamato già in vita Giuseppe Moscati, riposano a Napoli, nella chiesa del Gesù Nuovo. Tra i suoi scritti, in famiglia, abbiamo sempre pensato che uno più di tutti potesse riassumere lo stato d’animo che per una vita intera lo ha animato.
Eccolo (datato 17 ottobre 1922): «Ama la verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio».

Tratto da: Radici Cristiane

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