Il Paradiso era tra le sue braccia

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2024

Il Paradiso era tra le sue braccia dans Citazioni, frasi e pensieri Mamma-Maria-e-il-Bambino

Ogni madre, quando abbraccia una nuova vita nata da lei, alza gli occhi al cielo per ringraziare Dio del dono che ancora una volta ha reso giovane il mondo. Ma c’è una madre, la Madonna, che non alzò lo sguardo. Maria guardò in basso, verso Gesù Bambino, perché il Paradiso era tra le sue braccia.

del venerabile Fulton John Sheen

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Perché sant’Alfonso dice che i pastori, accorrendo alla mangiatoia, trovarono nel viso di Gesù un “morso” di Paradiso?

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2024

Perché sant’Alfonso dice che i pastori, accorrendo alla mangiatoia, trovarono nel viso di Gesù un “morso” di Paradiso?
Fonte: Il Cammino dei Tre Sentieri

Perché sant’Alfonso dice che i pastori, accorrendo alla mangiatoia, trovarono nel viso di Gesù un “morso” di Paradiso? dans Canti Adorazione-dei-pastori

Una strofa del celebre canto Quanno nascette ninno di sant’Alfonso Maria de’ Liguori recita così: “Correttero i Pasture a la Capanna; Là trovajeno Maria / Co Giuseppe e a Gioja mia; / E ‘n chillo Viso / Provajeno no muorzo e Paraviso.” Che tradotto dal significa: “Corsero i Pastori alla Capanna e là trovarono Maria con Giuseppe e la Gioia mia e in quel viso provarono (cioè gustarono) un morso di Paradiso.”

Soffermiamoci sul termine “muorzo”, cioè “morso”. “Morso” sta significare “boccone”, ovvero un qualcosa che si gusta come antipasto. Ebbene, questa espressione alfonsiana ci presenta due importanti verità.

La prima verità è che scegliendo Cristo noi possiamo vivere un “morso”, cioè un “anticipo” di Paradiso già su questa terra. In che senso? Non nel senso che la vita cristiana faccia sparire qualsiasi prova o sofferenza, tutt’altro, visto che il cristiano deve uniformarsi al Cristo crocifisso, bensì che la sofferenza che comunque ci tocca, con Cristo, acquista senso e diventa alternativa a qualsiasi disperazione, cioè a qualsiasi assenza di speranza. Infatti, ciò che ci sembra negativo, alla luce di Dio, non è tale, anzi.

Giovanni Pascoli (1855-1912) nel suo La mia sera scrive: “O stanco dolore, riposa! / La nube del giorno più nera / fu quella che vedo più rosa / nell’ultima sera.” Certamente Pascoli, in considerazione delle sue idee, non alludeva alla risposta cristiana; ma è interessante come poeticamente ci dica che non bisogna mai disperare…perché anche un giorno “nero” può produrre una nube “rosa” nell’ultima sera.

La seconda verità che ci fa capire l’espressione alfonsiana “…in quel viso provarono un morso di Paradiso” è che la vita cristiana è gusto ed è bellezza, infatti il morso richiama l’assaporamento. La Verità cattolica è Bellezza. Cristo va conosciuto, ma non per collocarlo all’interno di una serie di grandi maestri e pensatori; no! Cristo va conosciuto (e bisogna conoscerlo: guai a costruirsi un Cristo a proprio uso e consumo), ma per amarlo, cioè per gustarlo. Con Lui, solo con Lui, la vita si illumina di splendore. Splende ciò che non ha in sé una luce propria, ma è capace di riflettere la luce che le viene donata. Lo splendore rende bello tutto, perché è quel luccichio che definisce e fa risaltare tutto, anche i dettagli più nascosti.

Diceva santa Teresina che è bello pensare che anche un piccolo ed insignificante gesto come raccattare un ago da terra, se fatto per amore di Cristo, rimane scolpito nell’eternità nella serie dei gesti santi. E quindi quel piccolissimo gesto diverrà nell’eternità più importante di qualsiasi gesto che il mondo avrà potuto ritenere eroico ma fatto senza l’amore di Cristo. Dunque, con Gesù la vita di ognuno di noi può splendere. Dunque, ecco perché sant’Alfonso dice che quando i pastori andarono alla capanna scoprirono nel viso di quel Bambino “…nu muorzo e Paraviso”.

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Natale: un calore che scioglie i cuori induriti

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2024

Natale: un calore che scioglie i cuori induriti
L’intervento del Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione: per quanto ci si impegni ad oscurarne il significato, questa rimane la festa che unisce tutti, credenti e atei
di Davide Prosperi – Corriere della Sera

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Caro direttore,
in una recente intervista al Corriere, Lorenzo Jovanotti dice a un certo punto, commentando Imagine di John Lennon: «Un mondo senza religioni sarebbe peggiore, perché la fede è la cosa più umana di te. (…) Il punto non è liberarsi delle religioni; è liberarci». E più avanti: la Chiesa è «casa mia». In questo, Jovanotti descrive un’esperienza che è anche la mia. Ma soprattutto ha espresso una posizione rivoluzionaria rispetto al pensiero comune.

Le sue parole aprono interrogativi che credo riguardino tutti: in che senso la fede può liberarci? E in che modo la Chiesa, cioè una realtà umana fatta di persone limitate e fragili come tutti, può essere luogo di vera liberazione? Sembra solo una favola, o un’assurdità. C’è però un dato innegabile: tutti hanno il desiderio di essere davvero liberi. Liberi da quel sentimento d’essere niente, numeri casuali persi in una massa indistinta; un sentimento che neanche l’espandersi di una libertà fondata sui diritti e sulla tecnologia è in grado di sopire.

Ci ritroviamo così a sopprimere questo desiderio con svariate distrazioni, immersi in una cultura che fa di tutto per favorirle. E dunque? Scrive Italo Calvino, riferendosi a quella sorta di “inferno” che è spesso la vita quotidiana: «Due modi ci sono per non soffrirne; il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più; il secondo è rischioso ed esige attenzione ed approfondimento continuo, cioè cercare e saper riconoscere chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno e farlo durare, e dargli spazio».

In apparenza, di fronte al moltiplicarsi di guerre e di episodi di intolleranza e violenza, di fronte all’aridità che spesso prevale nelle nostre giornate, viene la tentazione di rassegnarsi al primo modo. A meno che, in mezzo all’inferno, ci sia davvero qualcosa che inferno non è. Don Giussani commenta così la frase di Calvino: «“Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno”. È accaduto, questo! (…) il Destino, il Destino nostro, si è reso Presenza. Ma Presenza come padre, madre, fratello, amico, come un compagno improvviso di cammino. Un compagno di cammino: Emmanuele, il Dio con noi! È accaduto questo!». In un momento preciso della storia, è accaduto qualcosa di nuovo che ha cambiato tutto. Eppure, senza apparentemente cambiare niente.

Ecco la cosa veramente “rivoluzionaria” del Natale. Che cosa può cambiare infatti un bambino che giace in una mangiatoia? Per quanto ci si impegni ad oscurarne il significato, questa rimane la festa che unisce tutti, credenti e atei. Quasi inconsciamente tutti sentono lo strano, paradossale calore che si sprigiona da quel neonato che giace al freddo. Un calore che scioglie i cuori induriti, che unisce e riconcilia, ridando speranza. Non credo sia un caso che il Natale si tenda a festeggiarlo con i propri cari. È proprio a Natale, davanti a questo Dio bambino che dorme tra le braccia di sua madre, che riscopriamo il potere che anche i nostri fragili corpi hanno di dirci gli uni gli altri ciò che è più essenziale, scambiandoci l’unica parola che davvero libera: sei amato. Don Giussani diceva che «occorrerebbe guardare alla famiglia come all’esempio più impressionante dell’Incarnazione».

Attraverso la pochezza apparente della nostra umanità continua a passare il calore della compagnia di Dio alla nostra vita: padre, madre, fratello, amico. Dante allude a tutto questo da par suo, nel XXX Canto del Purgatorio: “Io vidi già nel cominciar del giorno / la parte oriental tutta rosata, / e l’altro ciel di bel sereno addorno; / e la faccia del sol nascere ombrata, / sì che per temperanza di vapori / l’occhio la sostenea lunga fiata”. Come l’intensità abbagliante della luce del sole diviene all’alba sopportabile alla vista, grazie ai “vapori rosacei” che a quell’ora la “temperano”, così, l’amore divino, si rende afferrabile, percepibile, attraverso il “rosa” della nostra carne, attraverso cioè una compagnia umana. Non c’è un annuncio più paradossale e al tempo stesso più ragionevole. Ed io mi ritrovo a dire, con umile gratitudine, assieme a tanti altri amici, che questa compagnia guidata dal Papa, la Chiesa, “è casa mia”. Con il desiderio di darle spazio, offrendola a tutti.

L’autore è Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione

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Giubileo, il Papa apre la Porta Santa: “Portiamo speranza nei luoghi profanati da violenze”

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2024

Giubileo, il Papa apre la Porta Santa: “Portiamo speranza nei luoghi profanati da violenze”
Francesco compie il rito che dà inizio all’Anno Santo. Per primo attraversa il varco di San Pietro, dietro di lui oltre 50 pellegrini di ogni angolo del mondo in abiti tradizionali. Circa 25 mila persone in Piazza, altre 6 mila in Basilica dove il Pontefice celebra la Messa della Notte di Natale. Nell’omelia l’invito a “trasformare” un mondo piagato da povertà, schiavitù, conflitti: “Pensiamo ai bambini mitragliati, alle bombe su scuole e ospedali”
di Salvatore Cernuzio – Vatican News

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In silenzio, sulla sedia a rotelle, con il capo chino in preghiera e l’espressione assorta. Due colpi alle valve di bronzo tra le formelle che narrano la storia della salvezza. La Porta Santa della Basilica di San Pietro si spalanca e Papa Francesco per primo la attraversa.

Inizia il Giubileo. Inizia l’Anno Santo della speranza. Inizia il tempo delle indulgenze, del perdono, della rinascita, del rinnovamento. Il tempo dell’impegno a “portare speranza là dove è stata perduta”.

Dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza

“Pellegrini di speranza” da ogni angolo del mondo
Il momento è solenne. I rintocchi delle campane accompagnano il lento incedere di Francesco. I fedeli – 25 mila fuori nella Piazza a seguire la celebrazione dai maxi schermi, circa 6 mila all’interno di San Pietro –, che fino a quel momento hanno atteso l’arrivo del Papa con la preghiera, rimangono per tutto il tempo in silenzio. Si uniscono alla Schola Cantorum intonando l’inno d’ingresso che risuona nell’atrio e all’esterno.

Cinquantaquattro pellegrini di diverse nazionalità, anche da Cina, Iran e zone dell’Oceania, attraversano la Porta Santa dopo il Papa. Si vedono copricapi piumati, cerchietti di fiori, sombrero, turbanti, mettersi in fila e attraversare il varco che il Pontefice chiuderà il 6 gennaio 2026. Sono i primi “pellegrini di speranza”, insieme a cardinali, vescovi, concelebranti, rappresentanti di altre religioni cristiane, autorità tra cui il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la premier Giorgia Meloni.

Il dolore per le guerre
“A ogni uomo e donna sia dischiusa la porta della speranza… che non delude”, scandisce Francesco durante il rito nell’atrio della Basilica. Ha il volto serio, ma negli occhi si legge la commozione. È al suo secondo Giubileo, dopo quello straordinario indetto nel 2016 per ricordare al mondo l’importanza della Misericordia. Questo è il XXVII Anno Santo ordinario della Chiesa cattolica, oltre mille anni dopo il primo, venticinque dopo il “grande Giubileo” di San Giovanni Paolo II che traghettò la Chiesa nel nuovo millennio. Ora un Papa ottantottenne, “venuto dalla fine del mondo”, vuole dare un’iniezione di speranza ad un mondo afflitto come mai negli ultimi decenni da crisi, violenze, guerre che costringono ad assistere a scene drammatiche come “bambini mitragliati” o “bombe su scuole e ospedali”, come Francesco denuncia – a braccio – nell’omelia della successiva Messa della notte di Natale.

Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi. Ma non dimenticatevi, sorelle e fratelli, che Dio perdona tutto, Dio perdona sempre

La speranza una promessa, non un happy end
La “speranza cristiana” che si fa dono nel tempo giubilare “non è un lieto fine da attendere passivamente”, “non è l’happy end di un film”, bensì “la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme”, dice il Papa in una Basilica gremita, ornata di fiori, dove all’altare è esposta la statua della Madonna Madre della Speranza. Questa speranza è “qualcos’altro”; chiede di muoverci “senza indugio” verso Dio. “A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo”.

“La speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre!”

Trasformare il mondo
“Fratelli e sorelle, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza!”, esclama Papa Francesco. L’Anno Santo “ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù”.

“Senza indugio”
Il Papa invita a mettersi in cammino “senza indugio” così da “ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo”. Tante desolazioni: “Pensiamo alle guerre”, afferma il Papa. “Non indugiare”, “non trascinarci nelle abitudini”, “non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia”, esorta ancora. La speranza “ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”.

La speranza che nasce in questa notte non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità, e tanti di noi abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità. La speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri

“Audacia”, “responsabilità”, “compassione”, sono le strade che indica il Vescovo di Roma in questo tempo speciale, a partire già da questa notte in cui si apre la “porta santa” del cuore di Dio: “Con Lui – conclude il Papa – fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia”. Con Lui “la speranza non delude”.

Al presepe della Basilica
Al termine della Messa, il Papa, accompagnato da un gruppo di bambini di diverse nazionalità, si reca al presepe all’interno della Basilica per posare nella grotta la statua di Gesù Bambino. Anche lì qualche istante in preghiera dinanzi alla natività a cui ha esortato a guardare come riferimento per la vita. Poi un passaggio attraverso la navata centrale per salutare le due ali di fedeli.

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“Tu scendi dalle stelle”, storia di un canto che ha fatto la storia del Natale

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2024

“Tu scendi dalle stelle”, storia di un canto che ha fatto la storia del Natale
Uno dei canti più popolari del Natale nasce dall’ispirazione che ebbe Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
di Antonio Tarallo – ACI Stampa

“Tu scendi dalle stelle”, storia di un canto che ha fatto la storia del Natale dans Antonio Tarallo Tu-scendi-dalle-stelle

Natale vuol dire anche musica: note che entrano nel cuore. Una melodia aiuta sempre a pregare. Lo sapeva bene Sant’Agostino: “Chi canta prega due volte”. Ed è proprio vero. E fra i canti natalizi più conosciuti vi è il famoso “Tu scendi dalle stelle”: una melodia che commuove e muove l’animo alla grotta di Betlemme. 

La canzone ha origini antiche: il testo che tutti conosciamo deriva da un motivo scritto nel dicembre 1754, dal titolo “Quanno nascette Ninno” (chiamato anche con il nome “Pastorale »). Autore del brano, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787). Fu scritto in lingua napoletana. Una grande novità per l’epoca: il primo testo di un canto religioso scritto in lingua partenopea. Quando fu pubblicato nel 1816, venne chiamato « “Per la nascita di Gesù ». 

Già i versi dell’incipit rendono bene l’idea: “Quanno nascette Ninno a Bettlemme / Era nott’e pareva miezo juorno. / Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí: / E a cchiù lucente / Jett’a chiammà li Magge all’Uriente. / De pressa se scetajeno l’aucielle / Cantanno de na forma tutta nova: / Pe ‘nsí agrille – co li strille, /  E zombanno a ccà e a llà; / È nato, è nato, / Decevano, lo Dio, che nc’à criato”. Proviamo a tradurre questo napoletano così antico in un moderno italiano per avere meglio il quadro della scena: « Quando nacque il Bambino a Betlemme / Era notte eppure sembrava mezzogiorno. / Le stelle così belle e lucenti non si videro mai così: / E la più lucente/ andò a chiamare i Re Magi dell’Oriente. / Velocemente si svegliarono gli uccelli / cantando in nuova forma: / così anche i grilli, con le stelle, / e saltellano qui e lì; / È nato, è nato, / così dicevano, il Dio che ci ha creato ». E’ la natura che parla e che partecipa a tutta la bellezza della nascita di un bambino, anzi del Bambino. Tutti partecipano a questa Natività, con stupore e meraviglia.

Ma come nasce “Quanno nascette Ninno”? In merito a questo racconto abbiamo diverse versioni. Una, ci parla della città campana di Nola, un’altra della città Scala o Santa Maria dei Monti; altra versione, quella che fa riferimento al convento della Consolazione di Deliceto, in provincia di Foggia. La versione che vede nascere la famosa canzone nei pressi di Nola è quella con più dettagli. “In questo palazzo S. Alfonso Maria de’ Liguori, ospite dei Rev.mi Canonici Giuseppe, Michele e Felice Zamparelli, nel corso della Novena alla Beata Vergine Maria nel dicembre del 1754 compose la celebre pastorale natalizia “Tu scendi dalle stelle”, presentata per la prima volta nella Cattedrale di Nola in occasione del Santo Natale”, così recita una targa posta nel 2010 nel palazzo dove si crede abbia soggiornato, per un periodo, il santo redentorista, ospite di un sacerdote del luogo, tale Don Michele  Zamparelli, citato nella targa.

Nel corso di una delle sue missioni popolari, nel 1754, Sant’Alfonso stava predicando a Nola, in provincia di Napoli. Poche ore prima della Santa Messa di Natale voleva comporre un nuovo inno natalizio. La famosa melodia – denominata “Pastorale” – fu scritta in presenza dello stesso don Zamparelli che fu il primo, in assoluto, ad ascoltarla. Il sacerdote, emozionato dall’evento, chiese subito al santo di poterla copiare. Il santo però si oppose, volendola prima farla stampare. Poco dopo, il santo scese per celebrare la Messa di Natale, lasciando i fogli del componimento in vista. Don Michele li copiò e nascose i preziosi foglietti nelle sue tasche. Aveva raggiunto l’ambizioso traguardo. Ora poteva andare a concelebrare. E fu in questo momento che accadde un episodio assai divertente. Sant’Alfonso era proprio nel momento di cantare quel canto che aveva composto poco prima, quando gli mancarono le parole. Ma si sa, i santi conoscono tutto e, allora, mandò un chierichetto a chiedere a don Zamparelli “quei fogli che stavano nel suo taschino”. La chiesa fu “riempita”, finalmente, dalle note del nuovo canto sacro. Era nata quella che noi oggi cantiamo come “Tu scendi dalle stelle”.

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Parigi. C’è un presepe di Napoli nella cattedrale di Notre-Dame

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2024

Parigi. C’è un presepe di Napoli nella cattedrale di Notre-Dame
Esposto il capolavoro settecentesco appartenuto al collezionista Ravaglioli. L’allestimento potrà essere ammirato fino a inizio febbraio
di Daniele Zappalà – Avvenire
Tratto da: 
Radio Maria

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Questo primo Natale celebrato a Parigi nella Cattedrale di Notre-Dame appena riaperta ha pure un sapore e colori un po’ italiani. Avanzando nella navata Nord, i fedeli e visitatori vengono presto attratti dall’incanto di un’isola di luce che suggerisce già a distanza il mistero fulgido della Natività. Si tratta proprio di uno splendido presepe di tradizione napoletana settecentesca, allestito grazie a una felice comunanza d’intenti fra i due versanti delle Alpi.

L’insieme si deve al critico d’arte e collezionista Alberto Ravaglioli, deceduto prematuramente l’anno scorso. Lungo i decenni, per studio e passione, aveva esplorato i segreti della nobile arte partenopea, instaurando un rapporto speciale proprio con le due botteghe artigianali all’origine del presepe esposto ora a Parigi: quella dei fratelli Sinno, per quanto riguarda le figure, e quella di Biagio Roscigno, per le scenografie.

Il sì della Cattedrale è giunto anche grazie all’impegno dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, prima di un sostegno offerto pure dall’Ambasciata d’Italia a Parigi. Allestito su una lunghezza di 6 metri, il presepe incanta tanto per il numero delle figure — circa 160, di un’altezza attorno ai 25 centimetri —, quanto per la pregevolezza di ogni singolo dettaglio, oltre che per la variopinta armonia d’insieme.

Destinato ad essere ammirato da oltre 2 milioni di persone fino a inizio febbraio, il presepe ha ricevuto venerdì scorso la benedizione di monsignor Olivier Ribadeau Dumas, rettore della Cattedrale, pronto a sottolineare pure il felice contesto di questa presenza dell’arte napoletana a Parigi:

«Papa Francesco, qualche giorno fa in Corsica, ha parlato della religiosità popolare, della necessità di vivere la nostra fede con dei segni. Il presepe è una manifestazione essenziale di questa religiosità popolare e permette alle persone di raccogliersi e di riconoscersi in questi pastori che illustrano così bene la vita di tutti i tempi, di tutti i giorni».

Per il rettore, la natura stessa dell’iniziativa ha un forte valore simbolico: «È un nuovo segno dell’amicizia fra la Francia e l’Italia. È un nuovo segno della cattolicità della Chiesa, cioè della sua universalità. La Chiesa è universale, tutte le tradizioni vi si ritrovano. E la tradizione napoletana di questo presepe ci dice magnificamente che è fatto affinché chiunque passi davanti possa pregare».

L’opera è stata posta ai piedi della Natività trecentesca rappresentata sulla facciata esterna del coro di Notre-Dame, all’insegna dunque pure di un felice gioco di corrispondenze artistiche fra Medioevo e Settecento.

Per la realizzazione del sogno di Alberto Ravaglioli di vedere il proprio presepe esposto a Notre-Dame si è molto speso il fratello Marco, già corrispondente Rai e deputato Dc: «Opere come queste sono pure straordinari biglietti da visita e strumenti dei rapporti internazionali. In un modo che resta al di sopra degli interessi contingenti, danno visibilità allo spirito italiano più autentico e genuino. Così, si porta nel mondo il messaggio della cultura e della spiritualità italiane». Al fianco della realizzazione, pure sponsor quali Banca Intesa San Paolo, Ferrero, Generali e World Cargo.

L’avvocato Agatino Alajmo, amico intimo di Alberto Ravaglioli, è un altro protagonista dell’iniziativa: «Si tratta innanzitutto di una promessa mantenuta. È stato un lavoro duro, ma pure un’esperienza bellissima, oltre che una grande soddisfazione. Il risultato è un messaggio di fede e di fiducia».

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Il valore apologetico del presepe napoletano

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2024

Il valore apologetico del presepe napoletano
di Corrado Gnerre

Il valore apologetico del presepe napoletano dans Avvento Presepe-napoletano-del-700

Il presepe è una devozione autenticamente cattolica. Escludendo i cosiddetti presepi viventi che hanno avuto san Francesco come iniziatore, tra quelli classici il presepe napoletano è sicuramente il più famoso e, diciamolo anche francamente, il più bello.

Ci sono almeno sei fondamentali caratteristiche che rendono questo tipo di presepe non solo unico, ma anche fortemente apologetico, nel senso che esso più chiaramente esprime la verità cattolica.
Tutti i presepi sono autenticamente cattolici, ma quello napoletano lo è ancora di più.

La prima caratteristica cattolica del presepe napoletano è la collocazione della Natività sotto un rudere dell’antica civiltà romana. Il significato è chiaro: il Cristianesimo ha superato il paganesimo.
Chiediamoci: perché i presepisti napoletani del XVIII sec. – secolo di maggiore splendore di quest’arte – ci tennero ad esprimere questo messaggio? Perché proprio in quel tempo si voleva diffondere, ancor più che nel periodo umanistico-rinascimentale, l’idea della superiorità del mondo classico rispetto a quello cristiano; è il neoclassicismo. Era questa un’idea di cui si facevano maggiormente sostenitori gli intellettuali. Nel presepe napoletano, invece, il popolo basso ribadì attraverso l’arte presepiale che anche se intellettualisticamente si può dire quello che si vuole, resta che il Cristianesimo ha vinto e superato il paganesimo.

Il tempio rotto e incompleto sta proprio a significare il crollo di un mondo. Un semplice Bambino ha vinto la presunzione di secoli e secoli di cultura… che pur non raramente arrivava ad esprimere la sapienza naturale, figura, comunque, come qualcosa di incompleto rispetto alla Sapienza di tutte le sapienze, che è, appunto, il Verbo incarnato. A tal proposito si racconta che un Vanvitelli, o il padre Luigi o il figlio Carlo, entrambi neoclassicisti, soleva disprezzare i presepisti napoletani ritenendoli ignoranti.

Un particolare non secondario: sarà sempre il popolo basso, i cosiddetti lazzaroni e non gli intellettuali, a ribellarsi contro la laicizzazione imposta dalla giacobina repubblica partenopea del 1799 e sarà sempre il popolo basso, i cosiddetti briganti e non gli intellettuali, a ribellarsi ad un’altra laicizzazione, questa volta imposta dalla conquista piemontese.
La riaffermazione della Civiltà cristiana rispetto a quella pagana è autenticamente cattolica.

La seconda caratteristica del presepe napoletano è un’apparente contraddizione: da una parte il superamento del paganesimo, dato storico, e dall’altra l’utilizzazione della contemporaneità, dato metastorico. Chiarisco: abbiamo visto che in tale presepe si vuole sottolineare, in polemica con il neoclassicismo illuminista, che il Cristianesimo ha vinto il paganesimo e lo si fa ponendo la Natività sotto un rudere di un tempio romano. Ora ci si attenderebbe che per far questo il presepe napoletano riproduca fedelmente il dato storico, ovvero l’ambiente della Betlemme della nascita di Gesù, invece non è così.
Per quanto riguarda l’ambientazione il presepe napoletano è volutamente antistorico, anzi dovremmo essere più precisi: volutamente metastorico. L’ambiente, infatti, è quello della Napoli del ‘700.

Ci sono almeno due elementi che ne spiegano il motivo:
1) il mistero è nella contemporaneità: i presepisti napoletani sanno bene, e lo vogliono esprimere, che l’Incarnazione ha una dimensione di contemporaneità perché segna la possibilità della salvezza per tutti i giusti, tanto per quelli che erano già vissuti, tanto per quelli che stavano vivendo allora, quanto per quelli che sarebbero vissuti anche dopo;
2) il mistero è nella quotidianità: i presepisti napoletani sanno anche che l’Incarnazione riguarda tutti, non solo nella dimensione temporale – ieri, oggi e domani –, ma anche in quella spaziale: ricchi e poveri, colti e ignoranti. Tocca dunque tutto il reale con le sue innumerevoli sfaccettature. Tutto questo è ovviamente cattolico e autenticamente cattolico.

La terza caratteristica cattolica del presepe napoletano è il riferimento ad alcuni dati apocrifi. Teniamo presente che ci sono due tipi di vangeli apocrifi, quelli innocui che non stravolgono la figura di Gesù, ma la mitizzano solamente, e quelli più specificamente eretici perché deformano la figura di Gesù. I primi, quelli innocui, tendono al miracolismo e sono pieni di particolari anche per quanto riguarda la nascita e l’infanzia di Gesù. Ed è in questi apocrifi che si parla del bue e dell’asinello ed è in questi che si parla anche di due lavandaie, Salomé e Zelomi, che avrebbero aiutato la Madonna dopo la nascita del Bambino.
Ebbene, il presepe napoletano oltre al bue e all’asinello, che sono presenti i tutti i tipi di presepe, pone sempre due lavandaie vicino alla Natività: sono appunto Salomé e Zelomi.
Ora, questo voler riprodurre particolari che vanno oltre i dati scritturistici canonici, muove dalla convinzione che non tutto è contenuto nella Scrittura e questo è tipicamente cattolico e, quindi, alternativo al ‘sola Scriptura’ del luteranesimo, ovvero a quella convinzione protestante secondo cui l’unica fonte della rivelazione sia la Bibbia.

La quarta caratteristica cattolica del presepe napoletano è la presenza della dimensione mondana. In esso c’è sempre una locanda con dei tipici personaggi, fra cui il celebre Ciccibacco seduto su delle botti o con in mano dei fiaschi di vino, dal volto chiaramente brillo. E’ un personaggio che rappresenta l’uso del vino per perdere il controllo di sé e darsi ai vizi. Non a caso il nome popolare è il richiamo al dio Bacco presente nei rituali dionisiaci. In questo caso i presepisti napoletani vollero esprimere che la vita è una scelta tra la virtù e il vizio, e che non basta solo la fede. Ricordo che Lutero, che aveva appunto affermato la necessità della sola fede, era arrivato a legittimare la pratica di qualsiasi vizio: “pecca fortemente, l’importante è che tu creda ancor più fortemente”, aveva detto.
Il presepe napoletano, invece, ci dice che la fede deve essere sempre accompagnata dalle opere e dall’esercizio delle virtù. Quindi anche dalla temperanza.

Inoltre, a detta di alcuni studiosi, questa centralità del vino nel presepe napoletano, rappresentato dalle tante locande ed osterie, starebbe anche ad evidenziare come questa bevanda sarebbe stata poi trasformata e sublimata proprio da Cristo con l’istituzione dell’Eucarestia. Insomma il vino da bevanda di perdizione a bevanda di santificazione.

La quinta caratteristica cattolica del presepe napoletano è l’immancabile figura di Benino. Si tratta del famoso personaggio che dorme non lontano dalla Natività. Solitamente si dice che la sua presenza stia nel fatto che il presepe costituisca il suo sogno. Si tratta però di un’interpretazione che contraddice le palesi convinzioni da cui nasce il presepe napoletano. In realtà la spiegazione sembrerebbe essere un’altra: Benino è colui che rimane indifferente dinanzi alla Salvezza. Anche questo è tipicamente cattolico. Dinanzi a Dio ci possono essere l’accettazione, il rifiuto, ma anche l’indifferenza. Dipende da quella volontà libera dell’uomo che invece nel protestantesimo non è riconosciuta o, se lo è, lo è molto parzialmente.

Un’ultima caratteristica cattolica del presepe napoletano è l’attenzione al particolare. Un’attenzione che arriva fino all’esasperazione. Le rocce, gli intonaci screpolati delle case, le botteghe con le loro mercanzie, il volto dei pastori, tutto è di un realismo portato all’estremo. Si tratta di quella spiritualità tipicamente cattolica secondo cui non può sfuggire nessuna sfaccettatura. In alternativa alla convinzione già luterana, ma poi soprattutto calvinista, secondo cui vi sarebbe una sola discriminante fra eletti e non eletti: o si è scelti da Dio o no. Se questo fosse vero la realtà non sarebbe affatto complessa, ma estremamente semplice e lineare.
La visione cattolica, invece, è ben diversa. Tutti sono chiamati alla salvezza e le risposte a questa chiamata possono essere anche molto complesse e sfumate, ciò rende il reale esuberante e tutt’altro che riducibile a pura equazione matematica.

Un’ultima considerazione: questa attenzione al particolare del presepe napoletano rende evidente quanto la teologia cattolica sia tutta adagiata sulla prospettiva mariana. E’ proprio la psicologia femminile ad essere più attenta ai particolari. Nulla sfugge all’attenzione tipicamente materna.

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Novena di Natale, cos’è, quando nasce e cosa significa

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2024

Novena di Natale, cos’è, quando nasce e cosa significa
Non è una preghiera ufficiale della Chiesa ma rientra tra le pie pratiche della pietà popolare. Si celebra dal 16 al 24 dicembre e l’obiettivo è quello di aiutare i fedeli a prepararsi spiritualmente alla nascita di Gesù. Fu eseguita per la prima volta in una casa di missionari vincenziani di Torino nel 1720
di Famiglia Cristiana

Una somiglianza che dice tutto dans Fede, morale e teologia Maria-e-Suo-Figlio

La Novena di Natale si celebra nei nove giorni precedenti la solennità del Natale cioè a partire dal 16 dicembre fino al 24. Comprende vari testi che vogliono aiutare i fedeli a prepararsi spiritualmente alla festa della nascita di Gesù. Fino al Concilio Vaticano II si celebrava in latino, dopo il Concilio ne sono state approntate traduzioni nelle varie lingue. In generale, le novene sono celebrazioni popolari che nell’arco dei secoli hanno affiancato le liturgie ufficiali. Esse sono annoverate nel grande elenco dei pii esercizi.
«I pii esercizi», afferma J. Castellano, «si sono sviluppati nella pietà occidentale del Medioevo e dell’epoca moderna per coltivare il senso della fede e della devozione verso il Signore, la Vergine, i santi, in un momento in cui il popolo rimaneva lontano dalle sorgenti della Bibbia e della liturgia o in cui, comunque, queste sorgenti rimanevano chiuse e non nutrivano la vita del popolo cristiano».

Le origini storiche
La Novena fu eseguita per la prima volta in una casa di missionari vincenziani di Torino nel Natale del 1720 nella chiesa dell’Immacolata che si trovava a fianco del Convitto Ecclesiastico che i missionari gestivano per la formazione del clero. Fra i missionari maggiormente stimati del Convitto vi era il padre Carlo Antonio Vacchetta (1665-1747), che era maestro di sacre cerimonie e prefetto della chiesa e del canto. Amico e frequentatore della casa dei missionari era il beato Sebastiano Valfré. Entrambi avevano una particolare pietà verso l’umanità di Gesù e ne propagavano la devozione invitando i fedeli a contemplare e ad adorare il mistero dell’Incarnazione e della Natività di Cristo.
È in questo ambiente particolarmente attento a vivere liturgicamente il Mistero di Gesù, Verbo Incarnato, che fu scritta e per la prima volta eseguita in canto la Novena di Natale. La tradizione attribuisce a padre Vacchetta la redazione dei testi e della musica. Grazie alle missioni popolari portate avanti dai vincenziani, la Novena fu diffusa in Piemonte, e da qui in tutta Italia. La diffusione fu facilitata dal fascino del suo canto e dalla semplicità della melodia.
A favorirne la devozione e la diffusione fu Gabriella Marolles delle Lanze, marchesa di Caluso. Questa, che aveva vissuto una giovinezza spensierata, e si era sposata prima con Carlo Agostino di Sale delle Lanze, e poi con il marchese di Saluzzo, rimasta vedova, e venuta ad abitare nei pressi della casa dei vincenziani di Torino, scelse come direttore spirituale il superiore, padre Domenico Amosso. E frequentando la chiesa dell’Immacolata restò particolarmente commossa dalle funzioni di preparazione al Natale, per cui stabilì nelle sue disposizione testamentarie che si facesse ogni anno et in perpetuo la suddetta Novena.

Il significato
Le profezie della nascita di Gesù furono tratte da brani dell’Antico Testamento e particolarmente dal profeta Isaia. In esse è espresso non solo il profondo desiderio messianico dell’Antico Testamento con il desiderio che Dio si faccia presente sulla terra, ma in maniera espressiva viene cantata la supplica per la venuta di Gesù, l’eterno Presente nella storia degli uomini.
Varie sono le metafore che alimentano la gioia dell’attesa nella Novena: Gesù verrà come luce, come pace, come rugiada, come dolcezza, come novità, come Re potente, come dominatore universale, come bambino, come Signore giusto.
La Novena vuole suscitare un atteggiamento nel credente: fermarsi ad adorarLo.

La forma tradizionale
La Novena di Natale, pur non essendo preghiera ufficiale della Chiesa, costituisce un momento molto significativo nella vita delle comunità cristiane. Proprio perché non è una preghiera ufficiale essa può essere realizzata secondo diverse usanze, ma un indiscusso primato spetta alla novena tradizionale, nella notissima melodia gregoriana nata sul testo latino ma diffusa anche nella versione italiana curata dai monaci benedettini di Subiaco.

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L’Immacolata

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2024

L’Immacolata dans Avvento Maria-e-Ges

La Madonna viene santificata fin dal primo istante della sua esistenza. Santificata significa essere immersa nel mondo di Dio.  E Lei ad un livello al di sopra di ogni altra creatura. Di questo si incaricherà, per parlare in modo umano, lo Spirito Santo che la riempirà di grazia; cioè di Dio, della vita stessa di Dio. In Maria tutto costituisce spazio: spazio tutto dedicato alla presenza di Dio. Da qui la preservazione dal peccato originale, Lei doveva essere sempre tutta posseduta da Dio. […]
Il concepimento immacolato di Maria non significa soltanto l’esenzione dal peccato originale, ma, soprattutto e prima di tutto, una speciale santità consona solo a Colei che era stata destinata a divenire la Madre di Dio. E dopo il concepimento di Gesù, ecco che Maria non solo fa parte della pienezza di Dio, ma assume uno specialissimo rapporto con Dio che a nessuna creatura sarà mai concesso. La presenza fisica del Verbo di Dio in Lei la introduce in un ordine speciale, quello stesso del Verbo Incarnato; dato che la natura umana del Figlio è presa tutta e soltanto da Lei. Doveva essere resa santa prima e più santa, se possiamo dire così, dal contatto fisico con il Verbo Incarnato. Gli scienziati ci assicurano che durante la gestazione non è soltanto la madre che dona al figlio, ma anche il figlio dona alla madre. […] E ci insegna a non separare mai la Madre dal Figlio e il Figlio dalla Madre.

di Padre Angelo Maria Tentori

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Preghiera per l’Avvento e il Natale alle soglie del Giubileo

Posté par atempodiblog le 3 décembre 2024

Preghiera per l’Avvento e il Natale alle soglie del Giubileo

Preghiera per l’Avvento e il Natale alle soglie del Giubileo dans Avvento Avvento

Signore Gesù, Figlio amato del Padre, Tu vieni a noi come il dono di Dio che ci fa creature nuove nell’amore. Fa’ che sappiamo accoglierti con fede viva, umile e profonda, nell’attenzione verso ogni persona, nella carità operosa, nell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, nell’ascolto fedele della Tua Parola, alimentati dai sacramenti della vita nuova e dalla preghiera fedele.

Venga in noi il Tuo Spirito e ci renda pellegrini di speranza, donandoci con la grazia del Giubileo la gioia dell’incontro con Te come sempre nuovo inizio della nostra vita in cammino verso la città celeste. E la Vergine Maria, Madre Tua e nostra, interceda per noi affinché non si spenga mai nel nostro cuore l’ardore dell’attesa, nel desiderio dei cieli nuovi e della terra nuova in cui Tu verrai e il mondo intero sarà la patria del Tuo amore senza fine. Vieni, Signore Gesù! Amen! Alleluja!

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto

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Lo stupore di Goethe per il festeggiamento del Natale a Napoli

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2023

Lo stupore di Goethe per il festeggiamento del Natale a Napoli
Fonte: Pane e focolare

Lo stupore di Goethe per il festeggiamento del Natale a Napoli dans Charles Dickens Preghiera-di-Natale

Wolfgang Goethe nel 1787 compie un lungo viaggio in Italia, quel Grand tour che era quasi d’obbligo per tutti coloro che desideravano conoscere il mondo, la cultura, l’arte, la bellezza. Ne resterà segnato, emozionato, diverrà un entusiasta ammiratore della nostra penisola. Sarà anche stupito per tante espressioni della nostra cultura, evidentemente lontane da quelle della sua Germania austera e un po’ fredda non solo nel clima meteorologico, come quando arriva a Napoli proprio in occasione del Natale. Scrive nel suo diario: «Per Natale la città diventa una specie di Paese di Cuccagna. Lungo le strade sono sospese ghirlande di cibi e si ammirano corone di salsicce legati con nastri rossi. I tacchini portano tutti sul sedere una banderuola rossa: mi dicono che se ne sono venduti 30.000, senza contare quelli ingrassati privatamente nelle case. Ogni anno un ufficiale della polizia percorre a cavallo la città, accompagnato da un trombettiere, e annuncia nelle piazze e agli incroci quante migliaia di buoi, di vitelli, di capretti, di agnelli di maiali i napoletani hanno consumato. Il popolo si rallegra a sentire quei grossi numeri, e ognuno ricorda con soddisfazione la parte che ha avuto in tale godimento».

Il suo stupore mi ricorda quello delle austere sorelle calviniste del Pranzo di Babette, che guardano sconvolte la cuoca francese che prepara il ricco banchetto. Peraltro, sappiamo che saranno trasformate positivamente da quella tavola generosa, così come Goethe tornerà a casa pieno di entusiasmo e ammirazione per la nostra Italia.

L’Artusi, nei suoi consigli per il pranzo di Natale, suggerisce ben tre portate di carne: il cappone, «animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini», un pasticcio di lepre e la faraona. Nel racconto di Charles Dickens “Il Canto di Natale” lo Spirito del Natale Presente è seduto su una specie di trono fatto da tacchini, oche, cacciagione, salame, porcellini. La signora Cratchit cucina per la sua famiglia, povera ma dignitosa, l’oca con patate e salsa di mele, e quando Scrooge si risveglia cambiato, con un’esplosione di amore nel cuore e voglia di fare del bene, la prima cosa che fa è comprare un gigantesco tacchino per la famiglia Cratchit.

La carne è quindi al centro del pranzo di Natale, da secoli. Oggi ci sono altre sensibilità, alcuni chef propongono addirittura menu natalizi vegetariani per venire incontro a tutte le esigenze, ma ricordiamo che un tempo la carne era un lusso che pochi si potevano permettere, ed era quindi al centro del desiderio alimentare dei ceti meno abbienti. Le famiglie, costrette per necessità a essere morigerate ogni giorno dell’anno, risparmiavano tutto il possibile in vista del pranzo di Natale, perché quel giorno la tavola doveva essere ricca e generosa. E la carne, che raramente veniva consumata, soprattutto quella pregiata, diventava il cibo principe del pranzo della festa.

E voi cosa avete mangiato a Natale? Mio figlio e mia nuora hanno cucinato un gigantesco tacchino ripieno al forno, davvero eccezionale. Abbiamo fatto onore alla tavola, come si deve. E come dice il Piccolo Tim: “Dio ci benedica, quanti siamo”!

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La leggenda degli struffoli

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2023

La leggenda degli struffoli

La leggenda degli struffoli dans Cucina e dintorni Struffoli-napoletani

La leggenda della nascita degli struffoli narra che in un convento di suore, la sera di un 25 dicembre di tanto tempo fa, la Madre superiora portò in tavola un nuovo dolce: tante palline di pasta fritte aromatizzate all’anice ricoperte di miele e confettini.

Le suore, dopo averlo assaggiato, ne rimasero entusiaste e chiesero alla Madre come le fosse venuta l’idea di prepararlo. Furono molto sorprese nel sentire che questo dolce le era stato ispirato proprio da loro!

Negli ultimi tempi, infatti, nel convento tra le consorelle c’erano stati sospetti, chiacchiere e malumori… l’unico modo per far sì che regnasse l’unità era usare il miele della dolcezza.

“Soltanto la dolcezza e la tolleranza – disse loro la Madre superiora – possono far sì che non siate divise… Le palline sono tenute insieme dal miele, così voi allo stesso modo, come dice San Paolo, rivestite di umiltà, dolcezza e magnanimità conserverete l’unità nel vincolo della pace e sarete un corpo solo pur essendo tante”.

Le suore da quella sera misero da parte ogni risentimento, non ci furono più fazioni, ma ognuna si rivolgeva alle consorelle con gentilezza, rispetto, umiltà e dolcezza. E, così, il Santo Natale regnò nei loro cuori tutti i giorni dell’anno.

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Buon Natale!

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2023

Buon Natale! dans Citazioni, frasi e pensieri Buon-Natale

“Una volta, anche nel nostro mondo, ci fu una stalla che ospitava al suo interno Qualcosa di molto, molto più grande di noi e di tutto il nostro mondo”.

Clive Staples Lewis  – L’ultima battaglia. Le cronache di Narnia

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E’ il tempo dell’adorazione

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2023

SANTA MESSA DELLA NOTTE
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Domenica, 24 dicembre 2023
[Multimedia]

E' il tempo dell’adorazione dans Commenti al Vangelo Adorazione

«Il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). È questo il contesto nel quale Gesù nasce e su cui il Vangelo si sofferma. Poteva accennarne rapidamente, invece ne parla con accuratezza. E con ciò fa emergere un grande contrasto: mentre l’imperatore conta gli abitanti del mondo, Dio vi entra quasi di nascosto; mentre chi comanda cerca di assurgere tra i grandi della storia, il Re della storia sceglie la via della piccolezza. Nessuno dei potenti si accorge di Lui, solo alcuni pastori, relegati ai margini della vita sociale.

Ma il censimento dice di più. Nella Bibbia non lasciava un bel ricordo. Il re Davide, cedendo alla tentazione dei grandi numeri e ad una malsana pretesa di autosufficienza, aveva commesso un grave peccato proprio facendo il censimento del popolo. Voleva saperne la forza e dopo circa nove mesi ebbe il numero di quanti potevano maneggiare la spada (cfr 2 Sam 24,1-9). Il Signore si sdegnò e una disgrazia colpì il popolo. In questa notte, invece, il “Figlio di Davide”, Gesù, dopo nove mesi nel grembo di Maria, nasce a Betlemme, la città di Davide, e non punisce il censimento, ma si lascia umilmente conteggiare. Uno fra i tanti. Non vediamo un dio adirato che castiga, ma il Dio misericordioso che si incarna, che entra debole nel mondo, preceduto dall’annuncio: «sulla terra pace agli uomini» (Lc 2,14). E il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo (cfr Lc 2,7).

Il censimento di tutta la terra, insomma, manifesta da una parte la trama troppo umana che attraversa la storia: quella di un mondo che cerca il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri. È l’ossessione della prestazione. Ma al contempo nel censimento risalta la via di Gesù, che viene a cercarci attraverso l’incarnazione. Non è il dio della prestazione, ma il Dio dell’incarnazione. Non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume.

Fratelli e sorelle, stanotte possiamo chiederci: noi in che Dio crediamo? Nel Dio dell’incarnazione o in quello della prestazione? Sì, perché c’è il rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo. Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali. Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”; non ci salva premendo un bottone, ma Lui si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro gli altri! Tante volte è radicata in noi questa immagine. Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra.

Guardiamo dunque al «Dio vivo e vero» (1 Ts 1,9): a Lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a Lui, che rivoluziona la storia abitandola; a Lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a Lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo; giusto, abita le nostre ingiustizie. Fratelli e sorelle, ecco lo stupore del Natale: non un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani, ma l’inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi. Guardiamo il Bambino, guardiamo la sua mangiatoia, guardiamo il presepe, che gli angeli chiamano «il segno» (Lc 2,12): è infatti il segnale rivelatore del volto di Dio, che è compassione e misericordia, onnipotente sempre e solo nell’amore. Si fa vicino, si fa vicino, tenero e compassionevole, questo è il modo di essere di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Sorelle, fratelli, stupiamoci perché “si è fatto carne (cfr Gv 1,14). Carne: parola che richiama la nostra fragilità e che il Vangelo utilizza per dirci che Dio è entrato fino in fondo nella nostra condizione umana. Perché si è spinto a tanto? – ci domandiamo –. Perché gli interessa tutto di noi, perché ci ama al punto da ritenerci più preziosi di ogni altra cosa. Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento tu non sei un numero, ma sei un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore. Ma tu, guardando al tuo cuore, alle prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi e per i tuoi peccati. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze? Come i pastori, che hanno lasciato le loro greggi, lascia il recinto delle tue malinconie e abbraccia la tenerezza di Dio bambino. E fallo senza maschere, senza corazze, getta in Lui i tuoi affanni ed Egli si prenderà cura di te (cfr Sal 55,23): Lui, che si è fatto carne, non attende le tue prestazioni di successo, ma il tuo cuore aperto e confidente. E tu in Lui riscoprirai chi sei: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio. Ora puoi crederlo, perché stanotte il Signore è venuto alla luce per illuminare la tua vita e i suoi occhi brillano d’amore per te. Noi abbiamo difficoltà a credere in questo, che gli occhi di Dio brillano di amore per noi.

Sì, Cristo non guarda i numeri, ma i volti. Chi, però, guarda a Lui, tra le tante cose e le folli corse di un mondo sempre indaffarato e indifferente? Chi lo guarda? A Betlemme, mentre molta gente, presa dall’ebbrezza del censimento, andava e veniva, riempiva gli alloggi e le locande parlando del più e del meno, alcuni sono stati vicini a Gesù: sono Maria e Giuseppe, i pastori, poi i magi. Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a Lui. Non parlano, ma adorano. Questa notte, fratelli e sorelle, è il tempo dell’adorazione: adorare.

L’adorazione è la via per accogliere l’incarnazione. Perché è nel silenzio che Gesù, Parola del Padre, si fa carne nelle nostre vite. Facciamo anche noi come a Betlemme, che significa “casa del pane”: stiamo davanti a Lui, Pane di vita. Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. Adorare è intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia. Un grande narratore di imprese epiche scrisse a suo figlio: «Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra»  (J.R.R. Tolkien, Lettera 43, marzo 1941).

Fratelli e sorelle, stanotte l’amore cambia la storia. Fa’ che crediamo, o Signore, nel potere del tuo amore, così diverso dal potere del mondo. Signore, fa’ che come Maria, Giuseppe, i pastori e i magi, ci stringiamo attorno a Te per adorarti. Resi da Te più simili a Te, potremo testimoniare al mondo la bellezza del tuo volto.


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In questa sacra novena

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2023

In questa sacra novena
di San Paolo della Croce

Cammino di Avvento dans Avvento Pregare-accanto-al-presepe

Non mancherò, tanto in questa sacra novena e molto più nella prossima solennità natalizia, di supplicare il sovrano divin Infante degnarsi di rinnovare nel di lei cuore questa mistica divina natività che si celebra ogni giorno nella più profonda solitudine interna, ed in questo sacro deserto, in alta astrazione e distacco da ogni cosa creata, in perfetta nudità e povertà di spirito ed in sacro silenzio di fede e d’amore l’anima umana rinasce nel Divin Verbo umanato a nuova vita tutta santa e deiforme.

Prego e pregherò il sovrano divino Infante a concederle ali di fuoco, ali di viva fede, di fiducia e fervida carità, acciò il benedetto suo spirito voli in alto in sinu Patris, che è il luogo dove sta esso e vuole pure che sia l’ovile dei suoi servi: Filius Dei qui est in sinu Patris… et ubi ego sum, illic et minister meus erit. E molto godo nel Signore che ella si ritrovi nel buio della
mezzanotte, come in cifra par mi dica nel gratissimo suo foglio, poiché in tal tempo seguì il gran prodigio di carità della nascita temporale del divin Verbo umanato: Dum medium silentium tenerent omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet omnipotens sermo tuus…

Così appunto succede nella Mistica Divina Natività, cioè, nella mezzanotte più oscura della fede. (Lettere II, 310; IV, 24 – San Paolo della Croce)

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Buon-Natale dans Preghiere
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