Il riposo in Dio

Posté par atempodiblog le 30 juin 2025

Il riposo in Dio
Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

Il riposo in Dio dans Fede, morale e teologia Vacanze-cristiane

I mesi estivi possono essere un momento di grazia per un vero riposo, che non è solo quello del corpo. Infatti abbiamo bisogno di riposare anche nella mente e nel cuore, per poter riprendere la forza e la serenità di affrontare il nuovo anno di lavoro.

Per questo è necessario innanzi tutto dedicare il tempo alla preghiera personale, perché, come dice la Regina della pace, la preghiera, quando è esperienza di Dio, diventa per noi “gioia e riposo”.

Anche il contatto con la natura, dopo un anno trascorso nel chiuso delle case e dei luoghi di lavoro, allieta l’anima e la apre alla contemplazione della bellezza e della grandezza dell’opera divina.

“Trovate la pace nella natura e scoprirete Dio, il Creatore, al quale potrete rendere grazie con tutte le creature”.

Dedichiamo il tempo anche a qualche buona lettura, in particolare del Vangelo, in modo tale che “nel silenzio lo Spirito Santo vi parli e possa convertirvi e cambiarvi”.

Le vacanze possono così diventare un tempo di grazia, durante il quale il cuore “anela a Dio Creatore”, che è “il vero riposo della vostra anima e del vostro corpo”.

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Il Papa: l’unità nelle Chiese si crea con la fiducia e il perdono

Posté par atempodiblog le 30 juin 2025

Il Papa: l’unità nelle Chiese si crea con la fiducia e il perdono
All’Angelus in Piazza San Pietro, Leone XIV ricorda “la grande festa della Chiesa di Roma” nella solennità dei santi Pietro e Paolo, sottolineando che anche in questo tempo ci sono cristiani che muoiono per i valori del Vangelo. Spesso nel diffonderli – afferma – si trova opposizione e persecuzione ma la gloria di Dio brilla “di conversione in conversione”
di Benedetta Capelli – Vatican News

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Vivere “di conversione in conversione”. Leone XIV all’Angelus nella solennità di Pietro e Paolo, patroni di Roma, ricorda che nel pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli si scopre che si può vivere come loro, nella chiamata di Gesù che avviene più volte, non una sola, e in cui tutti, soprattutto nel Giubileo, possiamo sperare. Il Papa ricorda che nel Nuovo Testamento non sono stati nascosti “gli errori le contraddizioni, i peccati di quelli che veneriamo come i più grandi Apostoli” ma “la loro grandezza è stata modellata dal perdono”.

L’unità nella Chiesa e fra le Chiese, sorelle e fratelli, si nutre di perdono e di reciproca fiducia. A cominciare dalle nostre famiglie e dalle nostre comunità. Se infatti Gesù si fida di noi, anche noi possiamo fidarci gli uni degli altri, nel suo Nome.

A servizio dell’unità e della comunione
C’è anche un altro elemento che Papa Leone sottolinea e che riguarda i “cristiani che il Vangelo rende generosi e audaci persino a prezzo della vita”.

Esiste così un ecumenismo del sangue, una invisibile e profonda unità fra le Chiese cristiane, che pure non vivono ancora tra loro la comunione piena e visibile. Voglio pertanto confermare in questa festa solenne che il mio servizio episcopale è servizio all’unità e che la Chiesa di Roma è impegnata dal sangue dei Santi Pietro e Paolo a promuovere la comunione tra tutte le Chiese.

In contrasto con la mentalità mondana
Un servizio all’unità che nasce dalle pietre scartate, un rovesciamento che si realizza in Cristo, “la pietra, da cui Pietro riceve anche il proprio nome”. “Una pietra scartata dagli uomini e che Dio ha reso pietra angolare”; pietre che sono ai margini, “fuori le mura”, come quelle che edificano Piazza San Pietro e le Basiliche Papali di San Pietro e di San Paolo.

Ciò che a noi appare grande e glorioso è stato prima scartato ed espulso, perché in contrasto con la mentalità mondana. Chi segue Gesù si trova a camminare sulla via delle Beatitudini, dove la povertà di spirito, la mitezza, la misericordia, la fame e la sete di giustizia, l’operare per la pace trovano opposizione e anche persecuzione. Eppure, la gloria di Dio brilla nei suoi amici e lungo il cammino li plasma, di conversione in conversione.

Chiesa, casa e scuola di comunione
“Gli Apostoli Pietro e Paolo, insieme con la Vergine Maria,  conclude il Papa – intercedano per noi, affinché in questo mondo lacerato la Chiesa sia casa e scuola di comunione”.

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Una vita donata per amore: il sacerdozio nella luce del Sacro Cuore

Posté par atempodiblog le 27 juin 2025

Una vita donata per amore: il sacerdozio nella luce del Sacro Cuore
La frase del Curato d’Ars, “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”, esprime l’essenza spirituale del ministero sacerdotale. Radicato nel Sacro Cuore, il sacerdote è segno dell’amore redentivo di Cristo, chiamato a vivere nella comunione e a servire con umiltà ogni persona, senza distinzioni
di Paolo Morocutti – AgenSIR

Una vita donata per amore: il sacerdozio nella luce del Sacro Cuore dans Fede, morale e teologia Ges-e-il-Sacerdote

“È il sacerdote che continua l’opera della redenzione sulla terra. Se si comprendesse bene il sacerdote qui in terra, si morirebbe non di spavento, ma di amore. Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”. Con queste toccanti parole san Giovanni Maria Vianney definisce la natura e l’opera del sacerdote.
L’espressione “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù” del Santo Curato d’Ars è diventata una delle sintesi più alte della spiritualità sacerdotale. Essa racchiude in sé una visione teologica, ecclesiologica e spirituale che merita di essere esplorata in profondità, perché illumina la natura stessa del sacerdozio ministeriale, la sua radice cristologica e la sua funzione nella Chiesa e nel mondo.

La spiritualità sacerdotale è da sempre intrinsecamente legata al Sacro Cuore di Gesù.

I sacerdoti sono invitati a vivere e ad agire con “anima sacerdotale”, cioè con gli stessi sentimenti di Cristo. Per questo la Giornata mondiale di preghiera per la santificazione dei sacerdoti, istituita da Giovanni Paolo II, si celebra proprio nella solennità del Sacro Cuore, sottolineando questo profondo legame spirituale e teologico.

Nel linguaggio biblico e patristico, il “cuore” indica il centro della persona, la sede degli affetti, della volontà e delle decisioni. Parlare del “Cuore di Gesù” significa riferirsi alla totalità della sua persona, alla profondità del suo amore per il Padre e per l’umanità. Il sacerdozio nasce proprio da questo “cuore”, che è stato “trafitto” sulla croce (Gv 19,34), segno supremo di un amore che si dona fino alla fine. Il sacerdote, configurato a Cristo mediante il sacramento dell’Ordine, è chiamato ad essere presenza viva di questo amore: non solo a parlarne, ma a renderlo visibile e operante nella storia.

Ogni azione sacerdotale, soprattutto la celebrazione dell’Eucaristia e della riconciliazione, è radicata nell’amore redentivo di Cristo, che si offre per la salvezza di tutti.

La frase del Curato d’Ars sottolinea che il sacerdozio non è solo un’istituzione funzionale, ma un dono gratuito e immeritato: “un qualcosa di immenso, che se il sacerdote stesso lo comprendesse, ne morirebbe”. Chiamato ad essere “amico di Cristo”, scelto e inviato per essere segno e strumento dell’amore divino, soprattutto nelle situazioni di fragilità, sofferenza, ricerca di senso, il sacerdote è immagine del Cuore del Salvatore.

Il sacerdozio, come “amore del cuore di Gesù”, si esprime in una vita di servizio umile, spesso nascosto, fatto di ascolto, accompagnamento, condivisione delle gioie e delle fatiche del popolo di Dio. La fraternità presbiterale e la comunione con il vescovo, infine, sono segni eloquenti dell’amore di Cristo, che vuole i suoi discepoli “uno” come Lui è uno con il Padre.

I sacerdoti sono chiamati a vivere e promuovere la comunione, a essere costruttori di unità nella comunità, a discernere e coordinare i carismi per l’utilità comune, sempre sotto l’azione dello Spirito Santo.

L’amore del cuore di Gesù, di cui il sacerdozio è segno e strumento, è universale: abbraccia ogni uomo, senza distinzione di razza, cultura, condizione sociale. L’affermazione “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù” racchiude la verità più profonda del ministero sacerdotale: esso è dono e mistero, partecipazione all’amore redentivo di Cristo, chiamata a essere segno vivo della sua presenza nel mondo. In un tempo in cui la figura del sacerdote è spesso fraintesa o contestata, questa espressione invita a riscoprire la bellezza e la grandezza di una vita spesa per amore, nella logica del cuore trafitto di Cristo che continua a battere per l’umanità attraverso i suoi ministri.

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Sprofondare nel Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 27 juin 2025

Sprofondare nel Sacro Cuore di Gesù dans Beata Pauline Marie Jaricot Sacro-Cuore-di-Ges

Fonte: Beata Paolina M. Jaricot, “donna dal cuore universale”

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Oggi ricorrono i 50 anni dalla nascita al Cielo di san Josemaría!

Posté par atempodiblog le 26 juin 2025

Oggi ricorrono i 50 anni dalla nascita al Cielo di san Josemaría!
Tratto da: San Josemaría Escrivá Fb

Oggi ricorrono i 50 anni dalla nascita al Cielo di san Josemaría! dans Fede, morale e teologia Nostra-Signora-di-Guadalupe-porge-una-rosa-a-San-Juan-Diego

Accadde Oggi
26/06/1975

A mezzogiorno, muore improvvisamente a Roma, dopo aver rivolto l’ultimo sguardo, con immenso affetto, a un quadro della Madonna nella sua stanza di lavoro.

Cinque anni prima, durante il suo soggiorno in Messico, aveva sussurrato davanti ad un’immagine in cui la Madonna dà una rosa a San Juan Diego:

“Così vorrei morire: guardando la Santissima Vergine, mentre Lei mi dà un fiore”.

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Corpus Domini (1891)

Posté par atempodiblog le 22 juin 2025

L’arte racconta
Corpus Domini (1891)
Paul Schad-Rossa, pittore tedesco 1862-1916

Corpus Domini (1891) dans Fede, morale e teologia Corpus-Domini

Il Corpus Domini. Nostro Signore Gesù Cristo realmente presente nel Santissimo Sacramento è portato in processione solenne in un piccolo villaggio di campagna.

Un repositorio coperto di fiori è stato preparato per riceverlo. Prima di ripartire, sotto il baldacchino tenuto dai notabili del luogo, il Sacerdote impartisce la benedizione. Tutti si inginocchiano per adorare in silenzio il loro Creatore e Salvatore.

Alcune ragazze vestite di bianco si danno i turni per portare la statua della Madonna. Fuori dall’inquadratura scelta dall’artista, si suppone che il corteo continui con il resto della popolazione, che sicuramente porta gli stendardi e la statua del patrono della cittadina.

Professare la fede non è solo un affare personale. Questo popolo è contento che la comunità in quanto tale onori Dio. E la religione, matrice di civiltà, produce una cultura che si esprime anche nelle manifestazioni di pietà popolare.

di Benoît Bemelmans – Radici Cristiane

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Quel Rosario che unisce Leone XIII e il beato Longo

Posté par atempodiblog le 11 juin 2025

Quel Rosario che unisce Leone XIII e il beato Longo
di Vito Magno– Avvenire
Tratto da: Radio Maria

Quel Rosario che unisce Leone XIII e il beato Longo dans Apparizioni mariane e santuari Santo-Rosario

Terminato il mese di maggio, l’invito di Leone XIV a recitare ogni giorno il Rosario per la pace resta ed è stato accolto da diverse comunità cristiane.
La Madonna stessa ha raccomandato il Rosario nelle sue apparizioni e così hanno fatto i Papi dell’ultimo secolo. Proprio Leone XIII, di cui nei giorni scorsi si è ricordata l’attenzione verso la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale, è stato anche il Papa che più degli altri ha scritto encicliche sul Rosario; ben undici dal 1883 al 1898, tanto da meritarsi il titolo di “Papa del Rosario”. In realtà, alla sua epoca, maggio era “mariano” a tutti gli effetti, contrassegnato dalla recita del Rosario in famiglia, come sacramento supplementare per i duri impegni della vita. Le prime testimonianze che mettono in rapporto il mese appena trascorso e Maria risalgono al medioevo. A Chartres, in Francia, nel XII secolo, sorgeva una scuola di filosofia all’ombra di un santuario mariano molto rinomato. I filosofi locali riuscirono a convertire un gran numero di feste pagane, che si celebravano a maggio, in feste cristiane.

Nasce in quest’epoca il Rosario, come un insieme di Ave Maria da recitare ispirandosi, quanto al nome, alle ghirlande di rose con cui veniva ornata la statua della Vergine. Fu poi san Domenico di Guzman a propagare in tutta Europa la devozione. Da allora il cammino della fede cristiana è stato sempre costellato di anime anonime, ma non per questo meno grandi, che sono ricorse al rosario per meditare sul Vangelo, ma anche per trasmetterlo. Santa Teresina del Bambin Gesù ha pagine stupende sui Rosari recitati in famiglia, con lei sulle ginocchia del padre. San Pio X attribuiva la sua prima conoscenza del Vangelo ai Rosari e alle spiegazioni dei misteri che, nella stalla, al caldo, nelle lunghe notti invernali, mamma Margherita usava per tenere unita ed educare alla fede la famiglia Sarto.

Anche quest’anno il mese di maggio è stato l’occasione per riscoprire la spiritualità mariana attraverso la devozione popolare fatta soprattutto di pellegrinaggi ai santuari, che, a dire del Collegamento Santuari Italiani, hanno registrato un incremento di pellegrini grazie al Giubileo. Quello di Pompei, tra i più frequentati, conserva le spoglie del beato Bartolo Longo, di cui venerdì verrà annunciata la data di canonizzazione. Per Longo il Rosario era considerato uno strumento di sviluppo spirituale e sociale e come tale lasciò la sua personale testimonianza, con opere di carità rivolte agli orfani e ai figli dei carcerati. Nella Supplica alla Madonna di Pompei, da lui composta e che si è recitata l’8 maggio, il Rosario viene descritto con una metafora poetica, “la dolce catena che ci rannoda a Dio”. Ma in quel fine Ottocento di acceso anticlericalismo, neppure a Bartolo Longo fu facile promuovere la “dolce catena”. Lo si vedeva girare per Napoli con grosse corone e bussare casa per casa per raccogliere fondi per l’erigendo santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, non curante degli insulti e dei torsoli che gli venivano scagliati. Per propagare la devozione alla Madonna mediante il Rosario si inventò più di qualche iniziativa. Nel 1877 iniziò la pubblicazione dei “Quindici sabati”; nel 1883 compose la Supplica e l’anno successivo diede vita al bollettino “Il Rosario e la Nuova Pompei. Era convinto che il Rosario servisse ad affratellare i cristiani appartenenti a culture diverse. In questa convinzione va inquadrata l’attualità del Rosario, forse oggi meno praticato, ma non con minore intensità, del tempo in cui la corona scorreva tra le mani dei componenti di una famiglia insieme ai propri vicini di casa.

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Leone XIV: impariamo dal cuore di Gesù, la compassione per il mondo che soffre

Posté par atempodiblog le 3 juin 2025

Leone XIV: impariamo dal cuore di Gesù, la compassione per il mondo che soffre
Nella sua prima intenzione di preghiera per il mese di giugno, il Pontefice esorta ogni fedele a trovare “consolazione nel rapporto personale” con Cristo, in modo da poter portare il suo amore ad altri. Nel videomessaggio, diffuso dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, anche una preghiera inedita al Sacro Cuore di Gesù
di Isabella H. de Carvalho – Vatican News

Leone XIV: impariamo dal cuore di Gesù, la compassione per il mondo che soffre dans Fede, morale e teologia Sacro-Cuore-di-Ges

“Preghiamo perché ognuno di noi trovi consolazione nel rapporto personale con Gesù e impari dal suo cuore la compassione per il mondo”. Per la prima volta si sente la voce di Leone XIV che introduce in inglese l’intenzione di preghiera per il mese in corso, in un videomessaggio diffuso oggi, 3 giugno, dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa. Per questo mese, tradizionalmente dedicato alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, il Pontefice esorta i fedeli a conoscere personalmente l’amore di Cristo, in modo da diffonderlo a tutti e consolare specialmente coloro che soffrono, in un mondo spesso segnato da divisioni, diseguaglianze e povertà. Dopo le parole di Leone XIV, un’altra voce recita una preghiera inedita dedicata al Sacro Cuore per accompagnare i fedeli nelle loro meditazioni.

“Signore, oggi vengo dal tuo tenero cuore” è l’incipit della preghiera, “da te che riversi compassione sui piccoli e sui poveri, su coloro che soffrono e su tutte le miserie umane”. “Ci hai mostrato l’amore del Padre amandoci senza misura con il tuo cuore, divino e umano”. Parole che sono corredate dalle immagini della Chiesa del Gesù a Roma e del Santuario nazionale del Sacro Cuore di Makati, nelle Filippine. “Concedi a tutti i tuoi figli la grazia dell’incontro con te” e poi “mandaci in missione: – conclude la preghiera – una missione di compassione per il mondo, dove tu sei la fonte da cui scaturisce ogni consolazione”.

La compassione per rispondere ai problemi del mondo
Il gesuita Cristóbal Fones, direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, commenta le parole di Leone XIV sottolineando come attraverso una relazione personale con Gesù il cuore di ciascuno diventi più simile a quello di Cristo e si impari la vera compassione per gli altri. “Gesù – spiega padre Fones – ha mostrato un amore incondizionato verso tutti, specialmente verso i poveri, gli ammalati, coloro che soffrono. Il Papa ci incoraggia a imitare questo amore compassionevole tendendo la mano a chi è in difficoltà”. “La compassione cerca di alleviare la sofferenza e di promuovere la dignità umana”. Per questo, si traduce in azioni concrete che mirano a rimuovere le radici della povertà, della disuguaglianza e dell’esclusione, “per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e solidale”. Il gesuita ha anche sottolineato come il lavoro della Rete Mondiale di Preghiera del Papa si inserisca nell’anno del Giubileo in cui occorre tra le altre cose pregare per le intenzioni del Pontefice e ottenere la grazia dell’indulgenza giubilare.

I papi e la devozione al Sacro Cuore di Gesù
La devozione al Sacro Cuore di Gesù si è sviluppata nel XVII secolo con le rivelazioni a santa Margherita Maria Alacoque e alla sua interpretazione da parte del gesuita san Claudio de La Colombière. Papa Pio IX proclamò la festa del Sacro Cuore nel 1856 e successivamente, Leone XIII, da cui l’attuale Pontefice ha preso il nome, ne rafforzò l’importanza elevandola a solennità nel 1889. Scrisse poi l’enciclica Annum sacrum nel 1899 in cui consacra l’umanità intera al Cuore di Gesù. Vari Papi, come Pio XI e Pio XII, hanno dedicato encicliche a questa devozione. Più recentemente nel 2024, Francesco ha pubblicato Dilexit nos, in cui proponeva il Cuore di Cristo come risposta alla cultura dello scarto e all’indifferenza.

Sacro-Cuore-di-Ges dans Misericordia

La preghiera del video

Signore, oggi vengo dal Tuo tenero Cuore:
da Te che hai parole che mi infiammano il cuore,
da Te che riversi compassione sui piccoli e sui poveri,
su coloro che soffrono e su tutte le miserie umane.

Desidero conoscerTi di più, contemplarTi nel Vangelo,
stare con Te e imparare da Te
e dalla carità con cui Ti sei lasciato toccare
da ogni forma di povertà.

Ci hai mostrato l’amore del Padre amandoci senza misura
con il Tuo Cuore, divino e umano.

Concedi a tutti i Tuoi figli la grazia dell’incontro con Te.
Cambia, plasma e trasforma i nostri piani,
affinché possiamo cercare solo Te, in ogni circostanza:
nella preghiera, nel lavoro, negli incontri e nella nostra routine quotidiana.

Da questo incontro, mandaci in missione:
una missione di compassione per il mondo,
dove Tu sei la fonte da cui scaturisce ogni consolazione. 
Amen.

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Il martirio di san Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Fedeli a Cristo fino alla fine

Posté par atempodiblog le 3 juin 2025

Il martirio di san Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Fedeli a Cristo fino alla fine
Oggi, la loro memoria. Ripercorriamo le vicende del loro martirio in Uganda avvenuto nel 1886
di Antonio Tarallo – ACI Stampa

Il martirio di san Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Fedeli a Cristo fino alla fine dans Antonio Tarallo San-Carlo-Lwanga-e-Compagni-martiri

“Questi martiri Africani aggiungono all’albo dei vittoriosi, qual è il Martirologio, una pagina tragica e magnifica, veramente degna di aggiungersi a quelle meravigliose dell’Africa antica, che noi moderni, uomini di poca fede, pensavamo non potessero avere degno seguito mai più”, con queste parole, il 18 ottobre 1964, durante il Concilio Vaticano II, san Paolo VI canonizzava Carlo Lwanga e altri ventuno compagni (tra cattolici e anglicani), colpiti dalle persecuzioni contro i cristiani avvenute sul finire del 1800 in Uganda, in Africa.

E sarà sempre Paolo VI, recatosi nella cittadina africana nel 1969, a consacrare l’altare maggiore del Santuario di Namugongo, costruito sul luogo del loro martirio. Il santuario nato per ricordare questi martiri presenta una particolarità: la sua forma architettonica ricorda una capanna tradizionale africana e poggia su 22 pilastri, simbolo dei 22 martiri cattolici vittime della persecuzione del re ugandese Mwanga.

Lo stesso re, in un primo momento, si dimostrò aperto ai cosiddetti “Padri Bianchi del cardinale Lavigérie”, ma poi cambiò idea. Il re Mwanga prima vietò ai sudditi di seguire la religione cristiana, poi nel 1885 passò all’aperta persecuzione contro loro.

Una strage, un martirio vero e proprio: a maggio del 1886 si cominciò con alcune decapitazioni, mutilazioni e torture infernali contro sette prigionieri. Il 25 maggio 1886, Carlo Lwanga venne condannato a morte, insieme ad altri compagni. Inoltre, per aumentare disumanamente la sofferenza dei condannati, il re decise di trasferirli dal Palazzo reale di Munyonyo a Namugongo, luogo per le esecuzioni capitali. Fra i due luoghi ci sono ben 27 miglia di distanza: una distanza che diventerà una “Via Crucis” per i prigionieri. Otto giorni di cammino: in questi giorni, molti moriranno trafitti da lance, impiccati e persino inchiodati agli alberi.

Poi, la data cruciale: quella del 3 giugno 1886. In questo giorno, Carlo Lwanga e dodici altri ragazzi, furono bruciati vivi in un unico grande rogo a Namugongo. La loro, una forte testimonianza di martirio: pregarono fino alla fine lodando Dio.

Uno tra loro, tale Bruno Ssrerunkuma, dirà, prima di spirare: “Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai. E quando noi non ci saremo più, altri verranno dopo di noi”.

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Il Cardinale della Speranza: Papa Leone XIV ricorda il Beato Iuliu Hossu nella Cappella Sistina

Posté par atempodiblog le 3 juin 2025

Il Cardinale della Speranza: Papa Leone XIV ricorda il Beato Iuliu Hossu nella Cappella Sistina
di s.E.S. –  Silere non possum

Il Cardinale della Speranza: Papa Leone XIV ricorda il Beato Iuliu Hossu nella Cappella Sistina dans Fede, morale e teologia Papa-Leone-XIV

In una Cappella Sistina immersa in raccoglimento e memoria, Papa Leone XIV [...] ha preso parte all’Atto Commemorativo dedicato al Beato Cardinale Iuliu Hossu, figura eroica della Chiesa Greco-Cattolica di Romania, martire della fede sotto il regime comunista e oggi esempio universale di dialogo, coraggio e speranza.

All’evento, che si inserisce nell’Anno Giubilare dedicato alla speranza, hanno preso parte rappresentanti di rilievo della società e del mondo religioso romeno, tra cui il presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche in Romania, Silviu Vexler, e il vescovo Cristian Crișan, in rappresentanza dell’Arcivescovo Maggiore Lucian Mureșan.

Il ricordo del Pontefice: “Un apostolo della speranza”
Nel suo discorso, Papa Leone XIV ha voluto onorare la figura del Cardinale Hossu come “apostolo della speranza”, sottolineando come la sua fedeltà incrollabile alla Chiesa di Roma e il suo amore per il prossimo ne facciano oggi un simbolo luminoso di fede vissuta nel buio della persecuzione.

«La sua vita è stata una testimonianza di fede vissuta fino in fondo», ha dichiarato il Santo Padre, «un uomo di dialogo e un profeta di speranza, beatificato da Papa Francesco il 2 giugno 2019 a Blaj». Un passaggio toccante è stato dedicato al motto del Beato Hossu – “La nostra fede è la nostra vita” – che il Papa ha indicato come ispirazione per ogni cristiano contemporaneo.

Un giusto tra le nazioni
Particolarmente significativo è stato il riferimento all’impegno di Iuliu Hossu in favore degli ebrei durante l’occupazione nazista della Transilvania settentrionale, tra il 1940 e il 1944. A rischio della propria vita e di quella della sua Chiesa, egli si oppose con forza alle deportazioni, mobilitando il clero e i fedeli. Memorabile la Lettera pastorale del 2 aprile 1944, citata dal Papa, in cui il Vescovo esortava ad aiutare gli ebrei “non solo con i pensieri, ma anche con il sacrificio”.

Il processo per il riconoscimento di Hossu quale “Giusto tra le Nazioni” è stato avviato nel 2022 e oggi, ha affermato Leone XIV, “ci troviamo davanti a un modello di fratellanza al di là di ogni confine etnico o religioso”.

Una vita tra persecuzioni e fedeltà
Nato a Milas nel 1885 da una famiglia sacerdotale, Iuliu Hossu si formò a Roma, dove ottenne i dottorati in filosofia e teologia. Ordinato sacerdote nel 1910, divenne vescovo di Gerla nel 1917. Il 1° dicembre 1918, fu lui a leggere la Dichiarazione di Unità della Romania nella pianura di Blaj, un evento fondativo del moderno Stato romeno. Durante il regime comunista, la sua fedeltà alla Chiesa di Roma gli costò l’arresto, la detenzione e l’isolamento per oltre vent’anni. Fu recluso in diversi luoghi, tra cui il famigerato penitenziario di Sighet. Nonostante le dure condizioni, mantenne intatta la sua fede.

Le sue memorie, La nostra fede è la nostra vita, testimoniano un’anima profondamente radicata nella preghiera e nel perdono: “Il tuo amore, Signore, non sono riusciti a togliermelo via”, scriveva nel 1961. Morì il 28 maggio 1970 a Bucarest, pronunciando le parole: «La mia battaglia è finita, la vostra continua». San Paolo VI lo creò Cardinale “in pectore” nel 1969, primo romeno nella storia, rendendo pubblica la nomina solo nel 1973, dopo la sua morte.

Martire riconosciuto dalla Chiesa
Nel 2019, Papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio insieme ad altri sei vescovi greco-cattolici perseguitati dal regime comunista, celebrandone la beatificazione durante il suo viaggio apostolico in Romania, a Blaj. La memoria liturgica comune è stata fissata al 2 giugno.

Un messaggio attuale
Nel concludere l’omelia, Papa Leone XIV ha lanciato un appello accorato a tutta la Chiesa e al mondo: “Diciamo ‘no’ alla violenza, ad ogni violenza, ancor più se perpetrata contro persone inermi e indifese, come bambini e famiglie. Che l’esempio del Cardinale Hossu sia una luce per il nostro tempo”.

La commemorazione nella Cappella Sistina non è stata solo un momento di memoria, ma anche un atto di impegno per il futuro. La figura del Beato Iuliu Hossu, pastore e martire, è oggi più che mai un ponte tra le fedi, un faro di libertà spirituale e una voce profetica in un’epoca che cerca pace e verità.

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Meraviglie di Scozia

Posté par atempodiblog le 2 juin 2025

Meraviglie di Scozia
di Annamaria Scavo – Radici Cristiane

Meraviglie di Scozia dans Stile di vita Meraviglie-di-Scozia

In questa parte della Gran Bretagna, il difficile è decidere cosa non vedere.
Come rinunciare alle morbide colline del Dumfries e Galloway al sud, o alle selvagge montagne delle Highlands con i grandi laghi in cui esse si specchiano, o alle isole al largo della costa occidentale della Scozia, quella di Arran nell’estuario del Clyde la romantica Skye, alcune attrezzate per le tipiche vacanze, altre erme e solitarie, per chi ama immergersi nella natura.
Quale che sia il personale interesse, la storia, l’arte, la flora, la fauna, non si può restare delusi.
Ci sono antichi castelli, case sontuose aperte al pubblico, gallerie, musei, giardini, musei della scienza interattivi, ferrovie con treni a vapore, escursioni in battello sui laghi e in mare, acquari e parchi faunistici, distillerie e tant’altro.
Ognuna delle sue regioni offre qualcosa di peculiare.

Edimburgo
Le due città principali, Edimburgo e Glasgow, stupiscono per i loro contrasti di architettura e di ambienti.
A Edimburgo, un bellissimo percorso – il celeberrimo Miglio Reale – lega i due castelli storici, vicoli medievali, gli edifici vittoriani restaurati e gli edifici settecenteschi della New Town. Alla fine del Miglio Reale però, proprio davanti allo stupendo castello di Hollyrood, si deve patire un vero e proprio “pugno nell’occhio”: la nuova sede del Parlamento, per fortuna visibile solo all’ultimo momento nonostante le sue grandi dimensioni.
Qui si mescolano duemila anni di storia e il centro storico offre magnifici esempi di eleganza artistica che arrivano fino al XVII secolo, mentre la parte moderna (costruita a partire dal XVIII secolo) è un modello di urbanistica. Proprio per questa suggestiva fusione tra la Vecchia Città medievale e il neoclassico piano edilizio della Nuova Città, Edimburgo è protetta dall’Unesco come Patrimonio dell’umanità.
Capitale dall’eleganza, città dei festival per antonomasia, Edimburgo è anche una delle città più famose d’Europa per il suo stile di vita. Lega la sua fama all’ospitalità, ai tanti negozi e centri commerciali, ai festival dell’estate, agli eccellenti musei e ai monumenti.
Le centinaia di pub e il carattere studentesco della città, consentono di respirarvi una continua atmosfera di festa.
La regione situata ai lati di Edimburgo, i Lothians, si potrebbero chiamare, in contrasto alle Highlands, le “Lowlands” (basse terre) della Scozia.
Una costa magnifica, un elenco interminabile di curiosità e paesaggi sbalorditivi rendono questa regione ideale per le passeggiate anche in bicicletta.

Glasgow
Glasgow si va progressivamente trasformando in una delle più importanti città britanniche per l’architettura, la cultura e lo shopping. I vecchi edifici sono stati trasformati in variopinti e moderni centri commerciali e i numerosi musei ospitano le collezioni d’arte più eterogenee, non sempre certo in armonia col resto del paesaggio urbano e col buon gusto.
C’è spazio per gli appassionati di musica e di balletto, e chi voglia contattare il passato navale e commerciale della città, si troverà a suo agio al Glasgow Harbour.
A sud della città, nel verde della valle del fiume Clyde, cittadine, deliziosi villaggi e, soprattutto, il sito di New Lanark, Patrimonio mondiale Unesco.
New Lanark è un villaggio scozzese sul fiume Clyde, a circa due chilometri dalla città dì Lanark, ove nel 1786 David Dale costruì dei cotonifici e le case per i lavoratori. Nel 1800 le fabbriche e l’intero villaggio vennero venduti ad un consorzio di cui faceva parte anche il genero di Dale, Robert Owen, un filantropo e riformatore sociale di ispirazione socialista.
New Lanark divenne allora una fiorente impresa economica ed un’epitome del socialismo utopistico. Ci vivevano 2500 persone, fra cui 500 bambini (ma il lavoro minorile, contrariamente a ciò che accadeva nel resto del Paese, a New Lanark era abolito).
I cotonifici di New Lanark sono stati in funzione fino al 1968. Dopo un periodo di declino, nel 1974 fu fondato il New Lanark Conservation Trust, allo scopo di impedire la distruzione del villaggio. Ora la maggior parte degli edifici è stata restaurata ed il villaggio è divenuto un’importante attrazione turistica. Dal 2001, esso è uno dei quattro siti in Scozia definiti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Le isole esterne
Per un itinerario assolutamente particolare e di avventura, è interessante spingersi verso le isole esterne, le lontane Orcadi, Shetland ed Ebridi Esterne.
Si arriva, volendo anche in aereo, a Mainland, la principale isola delle Orcadi.
Sono isole prevalentemente basse e verdeggianti, tranne Hoy, animata da colline ondulate e brughiere (in norreno, la lingua degli antichi norvegesi, Hoy significa “isola alta”). Ci si immerge in luoghi di pace ineguagliata, con la possibilità in più di scoprire molte cose.
A Skara Brae, ad esempio, sulla costa occidentale dell’isola, si trova il più importante sito preistorico delle Orcadi.
Poi, dirigendosi verso nord, si incontrano colonie di uccelli marini sulle spettacolari scogliere del Capo Marwick Head, la città di Stromness e il suo museo, diversi agglomerati preistorici e, in particolare, i menhir di Brodgar, enorme cerchio di menhir circondato da un fossato che suscita grande emozione e il tumulo di Maes Howe, una tomba megalitica di almeno 2.500 anni prima di Cristo con iscrizioni runiche e incisioni lasciate successivamente dai vichinghi. Si dice contenesse un tesoro.
La tradizione la considera abitata da un “goblin”, un folletto maligno potentissimo denominato Hogboy, nome probabilmente derivato dal termine norvegese Hagbuie, ‘Fantasma della Tomba’.
Il gruppo dei monumenti neolitici nelle Orcadi, che comprende siti di sepoltura, tombe e pietre circolari, datato tra il 3000 il 2000 a.C., offre un’importante descrizione della cultura preistorica e come tale è stato incluso fra i Patrimoni dell’Umanità protetti dall’Unesco.
Le Shetland, a 180 chilometri dalla costa, sono un mondo a parte con una sua distinta cultura nella quale sono presenti forti influenze scandinave. Qui abbondano i resti di insediamenti dell’età della pietra e dell’età del bronzo.
In questo arcipelago è incantevole la costa: e ce ne sono circa 1500 chilometri! Il capo di Esha Ness è senza ripari e offre una vista spettacolare, oltre a essere un punto di partenza fantastico per camminate.
Le onde si infrangono sulle scogliere di granito rosso in un contrasto inusuale e suggestivo.
I traghetti approdano tutti a Lerwick, città principale delle Shetland. Lì è bello percorrere le strade strette della città, visitare l’interessante museo, il forte che risale al periodo di Oliver Cromwell, l’antica torre di Clickimin Broch e i siti archeologici di Old Scatness Broch e Jarlshof, assai ampio quest’ultimo e datato età del bronzo con insediamenti successivi fino al Medioevo.
A Mousa Broch si può ancora ammirare la torre rotonda meglio conservata di Gran Bretagna (ha duemila anni).
Nelle isole il fascino di splendide riserve naturali, come quella di Loch of Siggie e magiche visioni di scogliere o selvaggi paesaggi marini a Eshaness.
Le Ebridi Esterne, all’estremità occidentale dell’Atlantico, rappresentano i cuore della cultura gaelica.
Offrono panorami incantevoli, con spiagge di sabbia candida, lasciate allo stato selvaggio, laghi, brughiere e machair, pascoli marini che si ricoprono di una moltitudine di fiori selvatici.
Non mancano i siti molto antichi e i menhir. Il più spettacolare è a Calanais.
Quaranta miglia a ovest delle Ebridi esterne, al largo della costa scozzese nord-occidentale, si trova l’arcipelago di St. Kilda, formato da quattro piccole isole.
L’arcipelago vanta le scogliere pit alte della Gran Bretagna (1300 piedi) e la colonia di sule più grande del mondo. Le sule sono uccelli tuffatori, dal corpo affusolato, le ali appuntite, le zampe corte, il becco pronunciato tagliente.
Sono alte 87-100 cm ed hanno un’apertura alare di 165-180 cm.
Durante la stagione della riproduzione, sulle isole dell’arcipelago nidificano 800.000 uccelli marini.
Nel 1930 la popolazione di St. Kilda, ridotta a sole 36 persone residenti sull’isola di Hirta, ottenne di andarsene. Le condizioni di vita sull’isola erano durissime, a fonte principale di alimentazione erano le sule e le pecore di razza Soay.
Gli uccelli venivano catturati servendosi di lunghissime corde, con le quali ci si calava dalle vertiginose scogliere dell’isola. La prova era difficile e indispensabile per i giovani che volevano prendere moglie, dovevano dimostrare di saper mantenere la famiglia.
L’isolamento degli abitanti era interrotto solo dall’arrivo di qualche rara nave che assicurava viveri essenziali e medicinali. La posta veniva chiusa in una robusta scatola di legno munita di galleggiante affidata alle onde dell’Atlantico. Il più delle volte riusciva a raggiungere il destinatario.
Approdare a questo affascinante arcipelago è tuttora difficile. Il vento nelle Ebridi esterne soffia forte due giorni su tre e impedisce la traversata o, se cambia direzione, una volta arrivati costringe a ripartire in tutta fretta dall’unica baia. Pare che esista un esclusivo “St. Kilda Club” che riunisce chi è riuscito a passare almeno una notte su una delle isole.

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La Chiesa ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell’alleanza coniugale per conoscere e accogliere l’amore di Dio

Posté par atempodiblog le 1 juin 2025

GIUBILEO DELLE FAMIGLIE, DEI NONNI E DEGLI ANZIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV
La Chiesa ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell’alleanza coniugale per conoscere e accogliere l’amore di Dio

Piazza San Pietro
VII Domenica di Pasqua – Domenica, 1° giugno 2025

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La Chiesa ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell’alleanza coniugale per conoscere e accogliere l’amore di Dio dans Commenti al Vangelo Papa-Leone-XIV

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Il Vangelo appena proclamato ci mostra Gesù che, nell’ultima Cena, prega per noi (cfr Gv 17,20): il Verbo di Dio, fatto uomo, ormai vicino alla fine della sua vita terrena, pensa a noi, ai suoi fratelli, facendosi benedizione, supplica e lode al Padre, con la forza dello Spirito Santo. E anche noi, mentre entriamo, pieni di stupore e di fiducia, nella preghiera di Gesù, veniamo coinvolti dal suo stesso amore in un progetto grande, che riguarda l’intera umanità.

Cristo domanda infatti che tutti siamo «una sola cosa» (v. 21). Si tratta del bene più grande che possa essere desiderato, perché questa unione universale realizza tra le creature l’eterna comunione d’amore in cui si identifica Dio stesso, come Padre che dà la vita, Figlio che la riceve e Spirito che la condivide.

Il Signore non vuole che noi, per unirci, ci sommiamo in una massa indistinta, come un blocco anonimo, ma desidera che siamo uno: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (v. 21). L’unità, per la quale Gesù prega, è così una comunione fondata sull’amore stesso con cui Dio ama, dal quale vengono al mondo la vita e la salvezza. E come tale è prima di tutto un dono, che Gesù viene a portare. È dal suo cuore di uomo, infatti, che il Figlio di Dio si rivolge al Padre dicendo: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (v. 23).

Ascoltiamo ammirati queste parole: Gesù ci sta rivelando che Dio ci ama come ama sé stesso. Il Padre non ama noi meno di quanto ami il suo Figlio Unigenito, cioè infinitamente. Dio non ama meno, perché ama prima, ama per primo! Lo testimonia Cristo stesso quando dice al Padre: «Tu mi hai amato prima della creazione del mondo» (v. 24). Ed è proprio così: nella sua misericordia, Dio da sempre vuole stringere a sé tutti gli uomini, ed è la sua vita, donata per noi in Cristo, che ci fa uno, che ci unisce tra noi.

Ascoltare oggi questo Vangelo, durante il Giubileo delle Famiglie e dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani, ci riempie di gioia.

Carissimi, noi abbiamo ricevuto la vita prima di volerla. Come insegnava Papa Francesco, «tutti gli uomini sono figli, ma nessuno di noi ha scelto di nascere» (Angelus, 1° gennaio 2025). Non solo. Appena nati abbiamo avuto bisogno degli altri per vivere, da soli non ce l’avremmo fatta: è qualcun altro che ci ha salvato, prendendosi cura di noi, del nostro corpo come del nostro spirito. Tutti noi viviamo, dunque, grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole.

È vero, a volte questa umanità viene tradita. Ad esempio, ogni volta che s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere. Tuttavia, anche davanti al male, che contrappone e uccide, Gesù continua a pregare il Padre per noi, e la sua preghiera agisce come un balsamo sulle nostre ferite, diventando per tutti annuncio di perdono e di riconciliazione. Tale preghiera del Signore dà senso pieno ai momenti luminosi del nostro volerci bene, come genitori, nonni, figli e figlie. Ed è questo che vogliamo annunciare al mondo: siamo qui per essere “uno” come il Signore ci vuole “uno”, nelle nostre famiglie e là dove viviamo, lavoriamo e studiamo: diversi, eppure uno, tanti, eppure uno, sempre, in ogni circostanza e in ogni età della vita.

Carissimi, se ci amiamo così, sul fondamento di Cristo, che è «l’alfa e l’omega», «il principio e la fine» (cfr Ap 22,13), saremo segno di pace per tutti, nella società e nel mondo. E non dimentichiamo: dalle famiglie viene generato il futuro dei popoli.

Negli ultimi decenni abbiamo ricevuto un segno che dà gioia e al tempo stesso fa riflettere: mi riferisco al fatto che sono stati proclamati Beati e Santi dei coniugi, e non separatamente, ma insieme, in quanto coppie di sposi. Penso a Louis e Zélie Martin, i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino; come pure i Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, la cui vita familiare si è svolta a Roma nel secolo scorso. E non dimentichiamo la famiglia polacca Ulma: genitori e bambini uniti nell’amore e nel martirio. Dicevo che si tratta di un segno che fa pensare. Sì, additando come testimoni esemplari degli sposi, la Chiesa ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell’alleanza coniugale per conoscere e accogliere l’amore di Dio e superare, con la sua forza che unifica e riconcilia, le forze che disgregano le relazioni e le società.

Per questo, col cuore pieno di riconoscenza e di speranza, a voi sposi dico: il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo (cfr S. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, 9). Mentre vi trasforma in una carne sola, questo stesso amore vi rende capaci, a immagine di Dio, di donare la vita.

Perciò vi incoraggio ad essere, per i vostri figli, esempi di coerenza, comportandovi come volete che loro si comportino, educandoli alla libertà mediante l’obbedienza, cercando sempre in essi il bene e i mezzi per accrescerlo. E voi, figli, siate grati ai vostri genitori: dire “grazie”, per il dono della vita e per tutto ciò che con esso ci viene donato ogni giorno, è il primo modo di onorare il padre e la madre (cfr Es 20,12). Infine a voi, cari nonni e anziani, raccomando di vegliare su coloro che amate, con saggezza e compassione, con l’umiltà e la pazienza che gli anni insegnano.

In famiglia, la fede si trasmette insieme alla vita, di generazione in generazione: viene condivisa come il cibo della tavola e gli affetti del cuore. Ciò la rende un luogo privilegiato in cui incontrare Gesù, che ci vuole bene e vuole il nostro bene, sempre.

E vorrei aggiungere un’ultima cosa. La preghiera del Figlio di Dio, che ci infonde speranza lungo il cammino, ci ricorda anche che un giorno saremo tutti uno unum (cfr S. Agostino, Sermo super Ps. 127): una cosa sola nell’unico Salvatore, abbracciati dall’amore eterno di Dio. Non solo noi, ma anche i papà e le mamme, le nonne e i nonni, i fratelli, le sorelle e i figli che già ci hanno preceduto nella luce della sua Pasqua eterna, e che sentiamo presenti qui, insieme a noi, in questo momento di festa.


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Il “re degli strumenti musicali”

Posté par atempodiblog le 30 mai 2025

“Per moltissimo tempo la partecipazione all’evento musicale – come fruitori o partecipanti – da parte delle classi più povere avveniva unicamente nelle chiese, dove predominava l’insostituibile presenza dell’organo”. (Prof. Livio De Luca)

Il “re degli strumenti musicali” dans Articoli di Giornali e News Organo

Il “re degli strumenti musicali”
Alla scoperta dell’organo, il più completo e importante degli strumenti musicali, specie per quel che riguarda la musica sacra. Eppure, oggi dimenticato. Ma non del tutto…
di Paola Stefanucci – Radici Cristiane

Non c’è grande Basilica o Chiesa, anche minuscola, sparsa sul suolo italico che non ne possegga uno: l’organo, lo strumento principe della musica liturgica, ma non solo. Si tratta di un patrimonio incalcolabile, unico al mondo, di grande pregio storico e artistico, palpitante di vita e storia bimillenaria. Non di rado, infatti, queste meravigliose macchine musicali, complesse e imponenti, furono realizzate da artisti che, nella loro specialità, non avevano nulla da invidiare per ispirazione, ingegno, sapienza e tecnica a grandi architetti, pittori e scultori.

Legato all’arte e alla cultura
Capolavori veri e propri, gli organi sono tra i pochi strumenti musicali ad avere un legame strettissimo con l’arte, la cultura e la religiosità del proprio tempo. Per questo motivo, al di là della godibilità estetica, essi costituiscono anche una fonte inestimabile di studio del passato sia per la stratificazione storica sia per la loro eterogeneità stilistica.
Il primo esemplare di cui ci è giunta notizia fu costruito nel III secolo a.C. dall’inventore greco Ctesibio di Alessandria. Fu denominato idraulico, in quanto il flusso dell’aria veniva regolato mediante la pressione dell’acqua.
Da tale prototipo, pur mantenendo le stesse componenti strutturali, l’organo si è evoluto al modello tardo trecentesco e quattrocentesco sopravvissuto sino ai giorni nostri, dotato di manticera, di somiere, di consolle, di pedaliera, di un sistema di trasmissioni, di tastiere e di registri distinti.
Fu Papa Vitaliano nel 600 d.C. a introdurlo come strumento di accompagnamento alle celebrazioni liturgiche.

[…]

Una storia lunga secoli
Fra tutti i dispositivi musicali esistenti, l’organo ha la particolarità (unica) di realizzare in assoluto la più grande quantità di timbri diversi.
Vediamo come funziona. I suoni sono prodotti dall’aria insufflata mediante il mantice (un tempo a libro, oggi a elettroventilatori) entro canne metalliche (o lignee) di diversa lunghezza. Ogni canna possiede una valvola che si apre quando viene premuto il rispettivo tasto.
Appositi meccanismi, denominati registri, regolano, a comando dell’organista, le modalità d’immissione dell’aria nelle canne, dando così luogo a una serie di timbri differenti, quanti sono i registri e le loro combinazioni. Ciascun registro produce un particolare timbro corrispondente a uno strumento musicale, ma vi sono registri che evocano suoni magici anche nel nome “voce celeste”, “flauto a camino”, “voce umana”, “coro di viole”.
L’organo possiede, inoltre, diverse tastiere e una caratteristica pedaliera per l’esecuzione delle note più gravi. Nel Medioevo fu inventato l’organo portatile, erroneamente chiamato portativo, alla francese: uno strumento di piccole dimensioni sostenuto da una tracolla usato per lo più per le processioni e nelle funzioni itineranti.
Nei primi decenni del secolo scorso è invece nato l’organo elettrico: il suono creato dall’amplificazione di oscillazioni elettriche prodotte da un certo numero di generatori azionati dai tasti, con frequenze corrispondenti a quelle previste dalla scala musicale temperata.
La letteratura per l’organo è vastissima, anche cronologicamente: abbraccia seicento anni, dal XV al XX secolo, e ha ispirato compositori quali Gabrieli, Byrd, Frescobaldi, Händel, Bach, Mandelssohn, Schumann, Liszt, Brahms, Frank, Saint Saëns, Hindemith, Messiaen, Schönberg.
Per ascoltare Girolamo Frescobaldi, celebre organista di San Pietro, nel XVII secolo, la gente di ogni estrazione sociale, dagli ultimi agli aristocratici, accorreva alla Basilica da ogni parte. La popolarità del musicista era tale che il francese Maugars, suo contemporaneo, scrisse di lui “non senza ragione, Frescobaldi solleva tanto entusiasmo in tutta Europa. Per poter giudicare il suo profondo sapere, si debbono ascoltare le sue toccate improvvisate, piene di finezze e di trovate meravigliose”. Era un’epoca in cui al di fuori del tempo la musica non era facilmente accessibile a tutti. […]

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Il Papa al santuario della Madre del Buon Consiglio di Genazzano

Posté par atempodiblog le 10 mai 2025

Il Papa al santuario della Madre del Buon Consiglio di Genazzano
Leone XIV oggi pomeriggio nella cittadina fuori Roma per visitare privatamente il luogo di culto di presenza agostiniana, dove è custodita l’immagine mariana proveniente dall’Albania. Il Pontefice ha salutato la gente in piazza e ha pregato dinanzi all’icona della Vergine: “Ho voluto tanto venire qui in questi primi giorni del nuovo Ministero che la Chiesa mi ha consegnato, per portare avanti la missione come Successore di Pietro”
de La Redazione di Vatican News

Il Papa al santuario della Madre del Buon Consiglio di Genazzano dans Apparizioni mariane e santuari La-Madre-del-Buon-Consiglio-a-Genazzano

Per la sua prima uscita a sorpresa Papa Leone XIV ha scelto un luogo simbolico, un santuario fuori Roma caro agli agostiniani che sono lì presenti dal 1200: il Santuario della Madre del Buon Consiglio a Genazzano. Il Pontefice vi si è recato oggi pomeriggio intorno alle 16, per una visita in forma privata.

Retto dai religiosi dell’Ordine di Sant’Agostino, il santuario custodisce un’antica immagine della Vergine, proveniente da Scutari (Albania), cara all’Ordine e alla memoria di Leone XIII, Pontefice che non riuscì mai a visitarlo ma che nel 1903 lo elevò alla dignità di basilica minore. Altri Papi si erano recati invece dalla Madre del Buon Consiglio: Giovanni XXIII nel 1959 e Giovanni Paolo II nel 1993. Oggi, invece, Papa Leone XIV che da cardinale, il 25 aprile 2024, aveva celebrato nel Santuario la Messa in occasione della Festa della “Venuta” della Madre del Buon Consiglio. Nella sua omelia, l’allora cardinale Prevost espresse la sua devozione alla Vergine, esortando i fedeli a ispirarsi a Maria per diffondere la pace e la riconciliazione nel mondo.

Il saluto alla gente e la preghiera alla Madonna
Questo pomeriggio Papa Leone è giunto in un multivan della Volkswagen, seduto nel sedile anteriore; è stato accolto da una folla festante di centinaia di persone radunatesi nella piazza o affacciate da finestre e balconi. In molti gridavano “Leone, Leone” e le stradine vicine si sono via via gremite. Entrato in chiesa, dove ha salutato i religiosi, il Pontefice si è fermato in preghiera, prima davanti all’altare e poi di fronte all’immagine della Vergine, lasciando in dono un mazzo di rose bianche. Al santuario, Leone XIV ha donato un calice e una patena. Con i presenti ha recitato la preghiera di Giovanni Paolo II alla Madre del Buon Consiglio.

L’affidamento a Maria
Al termine, dopo l’Ave Maria e il canto del Salve Regina, il Papa si è rivolto a quanti erano in chiesa, salutando loro e il popolo di Genazzano riunito all’esterno: “Ho voluto tanto venire qui in questi primi giorni del nuovo Ministero che la Chiesa mi ha consegnato, per portare avanti questa missione come Successore di Pietro”. E ricordando la visita fatta dopo l’elezione a priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, e la scelta di “offrire la vita alla Chiesa”, Leone XIV ha ribadito la sua “fiducia nella Madre del Buon Consiglio”, compagnia di “luce, saggezza” con le parole rivolte da Maria ai servitori nel giorno delle Nozze di Cana, riferite nel Vangelo di Giovanni: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Insieme alla comunità il Papa ha poi raggiunto una sala interna per un incontro privato.

Un dono e una grande responsabilità per Genazzano
Al termine dell’incontro con la comunità agostiniana di Genazzano, il Pontefice si è affacciato dal portale della Basilica e, salutando i presenti, ha ripetuto due volte “Buonasera!”. Quindi ha rivolto loro alcune parole, esprimendo la gioia di essere potuto venire a pregare la Madre del Buon Consiglio. Ha ricordato la grande devozione “che da molti anni ho nel mio cuore”, e di essere stato a Genazzano diverse volte, da “quasi 50 anni”. La presenza della Madonna, ha aggiunto, è “un dono così grande” per il popolo della cittadina laziale, da cui deriva anche una grande responsabilità: “come la Madre mai abbandona i suoi figli, voi dovete essere anche fedeli alla Madre”. Quindi il Papa ha salutato i ragazzi, e i giovani di cuore – “Lo siamo tutti, è vero?”, ha detto – e ha evocato lo spirito di entusiasmo con cui seguire Gesù, secondo l’esempio di Maria. Un fedele peruviano lo ha salutato a voce alta, e il Pontefice ha risposto: “Bene, bene, i peruviani miei fratelli!”. Infine, prima di lasciare il Santuario, ha benedetto tutti i presenti.

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Leone XIV a Santa Maria Maggiore prega sulla tomba di Papa Francesco

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Papa Leone XIV: “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Non un leader carismatico o un superuomo”

Posté par atempodiblog le 9 mai 2025

Papa Leone XIV: “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Non un leader carismatico o un superuomo”
Papa Leone XIV, all’indomani della sua elezione, ha celebrato stamane la Missa pro Ecclesia nella Cappella Sistina, insieme al collegio cardinalizio
di Marco Mancini – ACI Stampa
Tratto da: Blog di p. Livio – Direttore di Radio Maria

Papa Leone XIV: “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Non un leader carismatico o un superuomo” dans Commenti al Vangelo Leone-XIV

Nella sua prima omelia, il nuovo Pontefice ha ricordato che “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre”,

La risposta che Pietro dà a Gesù – ha osservato il Pontefice – “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, coglie il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano. Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore  a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; così che Essa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo”.

“E ciò – ha aggiunto il Papa – non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni, quanto attraverso la santità dei suoi membri”.

Il Papa ripropone poi la domanda “la gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Non è una questione banale, anzi riguarda un aspetto importante del nostro ministero: la realtà in cui viviamo, con i suoi limiti e le sue potenzialità, le sue domande e le sue convinzioni. C’è prima di tutto la risposta del mondo, che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo mondo non esiterà a respingerlo e a eliminarlo”, per la “gente comune il Nazareno non è un ciarlatano: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi”.

Leone XIV spiega che questi comportamenti sono attuali poiché “incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo. Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco”.

Il Papa rimarca inoltre che “anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto”.

Leone XIV – conclude – ricordando che ognuno di noi deve “testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E’ essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la Buona Notizia. Dico questo prima di tutto per me, come Successore di Pietro, mentre inizio la mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale”. Il Papa assicura di adempiere all’“impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”.

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