Esperienze ordinarie di Paradiso

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2022

Esperienze ordinarie di Paradiso
Tratto da: Il Paradiso, di Padre Livio Fanzaga – Edizioni Ares

Esperienze ordinarie di Paradiso dans Fede, morale e teologia Festa-di-tutti-i-santi

Il paradiso è ciò che l’uomo desidera dal profondo del suo cuore. E’ la ragione per la quale è stato creato. E’ il fine ultimo della vita. E’ l’approdo della tormentata navigazione nel mare del tempo. Il golfo di luce del paradiso dà senso alle fatiche e alle traversie affrontate. Ogni uomo nasce crocifisso. Senza la gloria della resurrezione e la beatitudine eterna la vita avrebbe l’amaro sapore di una beffa. Se la vita è dolore, come insegnano l’esperienza e la saggezza dei popoli, che senso avrebbe se finisse, come osservava Pascal, con un paio di badilate di terra sulla fatidica bara? L’attesa del paradiso ha una sua logica razionale. Non è solo un desiderio insopprimibile, ma un postulato della ragione. Senza la prospettiva della vita eterna non varrebbe neppure la pena incominciare l’estenuante traversata. Il tentativo patetico di chi colloca il paradiso su questa terra per motivare la fatica di vivere, altro non è che una pietosa bugia, come l’ultima sigaretta offerta al condannato prima di sistemarsi sulla sedia elettrica. Il paradiso è l’unica risposta ragionevole e accettabile alla domanda che senso abbia una vita flagellata dal male e dalla sofferenza e votata inesorabilmente alla morte.

Il desiderio del paradiso ha una sua razionalità. E’ radicato profondamente nella natura umana nella quale si riflette l’ immagine divina. L’uomo, creato capace di Dio, è stato ordinato fin dal principio al paradiso. L’ Eden originario, dove l’uomo godeva della divina amicizia e di doni straordinari, prima fra tutti quello dell’immortalità, è una profezia del paradiso. La condizione esistenziale dei progenitori dell’umanità era un’attesa della beatitudine eterna. Non c’è da meravigliarsi che le tematiche connesse al paradiso attraversino le culture più diverse. Senza il paradiso, quello vero, che la Parola di Dio ci ha rivelato, la vita umana sarebbe un’ombra subito dissipata e lo stesso cammino storico dell’umanità sarebbe un correre inutile verso il nulla. Il Paradiso è necessario perché la vita umana abbia un senso e la storia uno sbocco. Come il mondo ha bisogno di un Dio creatore per essere razionale e intelligibile, così il mistero della nostra esistenza, assediata dal dolore e dalla morte, ha bisogno della speranza della vita eterna per essere sopportabile.

La ragione può ipotizzare l’esistenza di una felicità ultraterrena a partire dalle considerazioni sulla natura umana, orientata alla trascendenza, e sui desideri del cuore impregnati di infinito. Ma è la Parola di Dio che afferma esplicitamente che l’uomo è stato creato per il paradiso. Nel mirabile affresco, nel quale delinea il grandioso piano della creazione e della redenzione, S. Paolo così si esprime: “In lui (Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi, mediante Gesù Cristo, secondo il disegno di amore della sua volontà” (Ef 1, 4-5). Per l’apostolo c’è una vera e propria predestinazione dell’uomo al paradiso, dove gli uomini sono figli adottivi di Dio in Cristo Gesù. Il Padre crea ogni uomo mediante Gesù Cristo e in vista di Lui, perché sia santo e immacolato davanti a Lui nella carità.

Il fine per cui Dio crea gli uomini è la gloria del cielo. Il catechismo tradizionale sintetizzava l’insegnamento millenario della Chiesa con parole di una semplicità disarmante. “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e per goderlo per sempre nell’altra in paradiso”. La dottrina cattolica ha rigettato l’opinione di Calvino sulla doppia predestinazione, come se Dio creasse gli uomini alcuni per il paradiso e altri per l’inferno (cfr Institutio, 3.221.5). E’ aberrante per il concetto stesso di divinità, come per la dignità dell’uomo creato libero, che Dio decida con un decreto eterno che alcuni siano predestinati alla vita eterna e altri alla dannazione eterna. L’amore di Dio ha creato gli angeli e gli uomini perché partecipino alla gloria e alla gioia della Santissima Trinità. Il raggiungimento della meta è un dono di grazia, ma passa attraverso la libera scelta di ognuno. Decidersi per il paradiso è dunque ciò che l’uomo deve fare nel tempo della vita perché raggiunga il suo fine ultimo.

Non solo l’uomo è creato per il paradiso, ma lo sperimenta già qui sulla terra, grazie al dono dello Spirito Santo. La presenza dello Spirito nel cuore dell’uomo fa sì che il desiderio della felicità eterna si faccia strada nel groviglio dei desideri carnali e tenga viva la speranza della luce anche nei momenti più oscuri. Lo Spirito Santo è l’amore di Dio diffuso nei nostri cuori. La sua azione intima e silenziosa fa pregustare, nel tempo del pellegrinaggio, la gioia del cielo, acuendone sempre più il desiderio. La certezza del paradiso proviene indubbiamente dall’atto di fede, che crede fermamente nella divina rivelazione, in particolare alle parole di Gesù al riguardo. Tuttavia la verità della fede è confortata dall’esperienza della vita cristiana, che, in quando avvolta dall’amore di Dio e dalla sua grazia, fa pregustare la felicità del cielo. Dio, nella sua sublime sapienza nel guidare le anime, le infiamma per il paradiso facendo pregustare quella che S. Paolo chiama la “caparra” della vita eterna.

“In Lui (Cristo) siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà –a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è la caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ef 1, 11-14). Nella visione paolina, prima di conseguire la completa redenzione in cielo, il cristiano può già sperimentare su questa terra un “anticipo” (“caparra”) della gloria e della gioia future. Non si tratta un dono particolare riservato ad alcune anime privilegiate, ma della normalità della vita cristiana, in quanto permeata e guidata dallo Spirito Santo (cfr Rm 8, 14- 17).

Tuttavia l’esperienza del paradiso può anche assumere il significato di una grazia particolare, che Dio concede, in determinati momenti della loro vita, a delle anime privilegiate. Al riguardo assumono uno straordinario valore le esperienze mistiche di alcuni santi, che Dio concede non solo come dono personale, ma anche per la edificazione del popolo cristiano. Si tratta indubbiamente di esperienze straordinarie, che però confermano la vita cristiana ordinaria vissuta sotto la guida dello Spirito. L’anima sposa, accesa dall’amore di Dio, vorrebbe sciogliere i vincoli della carne per poter unirsi subito a  Cristo sposo. La vita sulla terra appare un esilio insopportabile e la morte una liberazione. “Mòro perché non moro” (“Muoio perché non muoio”) recita il celebre ritornello di una poesia di S. Teresa d’Avila. “ Morte, orsù, dunque, affrettati, scocca il tuo dardo d’oro! Quella che in ciel tripudia, quella è la vira vera; ma poiché invan raggiungerla, senza morir, si spera, morte, crudel non essere, dammi il il Tesor che imploro!” (S. Teresa d’Avila – Poesie- Desiderio del Cielo).

Non bisogna tuttavia pensare che i mistici abbiano trascorso l’intera vita in questa continua tensione amorosa. Anche loro hanno avuto momenti, a volte lunghi, di oscurità e di aridità. Dio conduce le anime non solo con infinita sapienza, ma anche con straordinaria dolcezza. Ciò che Dio concede come dono straordinario ad alcune anime, non lo nega come esperienza ordinaria a tutte quelle anime che aprono il cuore al suo amore. Non c’è anima aperta ai tocchi della grazia nella quale Dio non versi qualche goccia del suo amore purissimo. Si tratta di momenti speciali, che sono delle vere e proprie perle preziose da conservare gelosamente nel segreto del cuore lungo il cammino della vita. Quando si è sperimentata, anche per un solo istante, la dolcezza del paradiso non la si dimentica più.

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Santa Marta di Betania

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2021

Santa Marta di Betania dans Fede, morale e teologia Santa-Marta-di-Betania

Santa Marta era una gran santa, benché non si dica che fosse contemplativa; allora, che volete di più che arrivare ad essere come questa donna felice, la quale meritò di ospitare tante volte nella sua casa Cristo nostro Signore e dargli da mangiare e servirlo e mangiare anche lei alla sua mensa? Se voi rimaneste assorte come la Maddalena non ci sarebbe nessuno che desse da mangiare all’Ospite divino. Ebbene, pensate che questo monastero, ove siamo riunite, sia la casa di santa Marta, ove dev’esserci di tutto. E neanche coloro che si dedicano alla vita attiva mormorino di quelle che sono molto assorte nella contemplazione, sapendo che il Signore prenderà le loro difese, anche se esse tacciono, perché generalmente la contemplazione le rende noncuranti di sé e di tutto. Si ricordino che ci dev’essere chi gli prepari il pasto e si ritengano felici di servirlo come Marta; badino che la vera umiltà consiste specialmente nell’essere disposti, senza alcuna eccezione, a uniformarsi al volere del Signore e a considerarsi sempre indegni di essere chiamati suoi servi. E se la contemplazione, l’orazione mentale e vocale, la cura degli infermi, i vari servizi domestici e il lavoro – anche il più umile –, se tutto ciò equivale a servire l’Ospite divino che viene a dimorare, a mangiare e a ricrearsi con noi, che cosa ci importa di attendere ad uno più che ad un altro ufficio?

Tratto da: Cammino di perfezione, di Santa Teresa d’Avila

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Il regalo di santa Teresa d’Avila

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2020

Il regalo di santa Teresa d'Avila dans Citazioni, frasi e pensieri santa-teresa-d-avila-e-beato-giustinomaria-della-santissima-trinit-russolillo-di-pianura-napoli

15 ottobre 1945 – Alla messa e meditazione

Mi si fa comprendere: «Quel desiderio di una nuova intimità è prima nelle divine persone! Non sarebbe in te se prima non volessero le divine persone una nuova intimità con te».

Questa comprensione e senso si estende poi a tutto quello che di buoni desideri della Trinità ti si afferma nell’anima!

La mia intimità con il Padre è proprio il Figlio! La mia intimità con il Figlio è proprio il Padre. Così con lo Spirito Santo la mia intimità è Dio stesso Padre e Figlio. Con Dio stesso Padre e Figlio la mia intimità è lo Spirito Santo. (Non è forse il regalo, questo, di s. Teresa?).

del Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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San Giovanni della Croce e la guida spirituale

Posté par atempodiblog le 14 décembre 2019

San Giovanni della Croce e la guida spirituale
Parlando dell’ascesa dell’anima a Dio, in “Fiamma viva d’Amore” e “Salita al Monte Carmelo”, san Giovanni della Croce approfondisce il tema della direzione spirituale. Tutti i suoi consigli partono da un presupposto: è lo Spirito Santo a condurre le anime. Il confessore deve essere solo un umile tramite: saggio, discreto ed esperto. Perciò il santo non esita ad accusare di temerarietà quei direttori inesperti che tengono legate a sé anime che non è compito loro dirigere.
di  don Giorgio Maria Faré (Sacerdote e Carmelitano Scalzo) – La nuova Bussola Quotidiana

 San Giovanni della Croce e la guida spirituale dans Fede, morale e teologia San-Giovanni-della-Croce

San Giovanni della Croce, vissuto in Spagna tra il 1542 e il 1591, fu, insieme a Santa Teresa di Gesù (Teresa d’Avila), co-fondatore dell’ordine dei Carmelitani Scalzi. Conobbe Santa Teresa nell’anno della propria ordinazione sacerdotale, a soli 25 anni, e subito fu affascinato dalla riforma che la Santa stava già attuando nel ramo femminile, per un ritorno alla regola carmelitana primitiva, priva delle attenuazioni che erano state via via concesse nei secoli.

Decise così di partecipare alla fondazione del primo convento riformato a Duruelo e, nonostante S. Teresa avesse quasi trent’anni più di lui, tra loro si strinse un’amicizia spirituale profonda e fruttuosa tanto che la Santa arrivò a definirlo “padre della sua anima”.

San Giovanni della Croce scrisse diverse opere che gli valsero il titolo di Dottore della Chiesa. Inoltre, i suoi componimenti poetici sono considerati tra i migliori della letteratura spagnola. In due di questi, “Fiamma viva d’Amore” e “Salita al Monte Carmelo”, affrontando il tema dell’ascesa dell’anima a Dio nella vita contemplativa, si dilunga a trattare il tema della direzione spirituale, in particolare mette in guardia da quali siano i rischi di una direzione malfatta. Sebbene qui S. Giovanni tratti espressamente di anime religiose e dei gradi di orazione più elevati,[1] i suoi ammonimenti si possono applicare anche alla direzione spirituale delle anime che seguono la via ordinaria.

Tutti i consigli di S. Giovanni partono dal presupposto che sia Dio a condurre le anime e che il direttore debba essere solo un tramite. Perciò scrive: “Queste persone che guidano le anime ricordino e considerino che il principale agente e guida di queste, non sono loro, bensì lo Spirito Santo, che non tralascia mai di prendersene cura; e che loro sono solo strumenti per indirizzarle alla perfezione per mezzo della fede e legge di Dio, secondo lo spirito che Dio concede a ciascuna di loro. E così tutta la loro preoccupazione non sia nel rendere le anime conformi al loro modo e alla loro condizione, ma nel sapere dove Dio le vuole condurre, e se non lo sanno le lascino andare senza perturbarle”.[2]

Ammonisce le anime: “Conviene all’anima che vuole progredire nel raccoglimento e nella perfezione guardare in quali mani si affida, poiché il discepolo sarà uguale al maestro, così come il figlio al padre”[3]. Pertanto, una guida, “oltre a essere saggia e discreta, è necessario che sia esperta. Poiché per guidare lo spirito, sebbene siano fondamentali la scienza e il discernimento, se non vi è esperienza di ciò che è puro e vero spirito, non sarà possibile condurvi l’anima quando Dio lo concederà, e neppure si potrà capirlo”.[4]

Cosa si intende per esperienza? S. Giovanni definisce inesperti quei direttori che, non conoscendo le vie dello Spirito, obbligano le anime a seguire le vie che loro stessi preferiscono, anziché quelle per le quali Dio le vuole guidare. Le anime, così costrette, “da una parte non progrediscono e dall’altra soffrono inutilmente”.[5] Con questi direttori inesperti S. Giovanni è severissimo. Li paragona ad artisti maldestri che con la loro mano rozza rovinano un volto dipinto delicatamente dalla mano di un artista più capace.[6]

Non li scusa affatto per la loro imperizia e ignoranza, anzi, li accusa di temerarietà, di non voler ammettere la propria incapacità e di voler ostinatamente tenere legate a sé anime che non è compito loro dirigere. “Ed è cosa importante e grave colpa far perdere a un’anima beni inestimabili e a volte lasciarla lacerata a causa di consigli temerari. E così colui che sbaglia per essere temerario dovrebbe sapere, come deve ognuno nel suo officio, che sarà punito in proporzione al danno compiuto. Perché le cose di Dio devono essere trattate con molta attenzione e a occhi aperti, soprattutto in un caso così importante e in una questione così sublime come è quella di queste anime, dove c’è la possibilità di avere un guadagno infinito se si trova la via giusta e una perdita altrettanto infinita se si sbaglia”.[7]

L’invito di S. Giovanni è, sostanzialmente, un invito all’umiltà del confessore, che deve conoscere i propri limiti: “Poiché non tutti sono preparati per tutti i casi e per tutte le mete esistenti nel cammino spirituale, né hanno uno spirito così perfetto da sapere come l’anima deve essere guidata e retta in qualsiasi stato della vita spirituale, nessuno deve credere di possedere tutti i requisiti, né che Dio non voglia condurre più avanti un’anima”.[8] “I maestri spirituali devono, dunque, lasciare libere le anime, anzi sono obbligati a mostrare loro buon viso quando esse volessero cercare qualcosa di meglio. Poiché non sanno per quali sentieri Dio vorrà condurre tali anime, soprattutto quando non provano più gusto per la loro dottrina, il che è segno che non ne hanno più vantaggio, o perché Dio le conduce oltre o per un altro cammino rispetto a quello del maestro, o perché quest’ultimo ha cambiato metodo. E questi maestri glielo devono consigliare, mentre qualsiasi altro comportamento nasce da superbia, presunzione o da qualche altra pretesa”.[9]

Leggendo S. Giovanni della Croce si comprende quanto equilibrio sia richiesto ai direttori. Ad esempio, parlando di anime graziate di comunicazioni mistiche, invita fermamente i confessori a non rivolgere troppo l’attenzione a questi fenomeni, affinché “le anime rifuggano prudentemente da queste manifestazioni soprannaturali”[10] e si radichino nel distacco e nell’umiltà. Tuttavia, spiega che non si deve cadere nell’estremo opposto: “Avendo insistito tanto perché tali fenomeni vengano respinti e i confessori impediscano alle anime di fare discorsi su questo argomento, non si creda che i direttori spirituali debbano mostrare a loro riguardo disgusto, avversione o disprezzo, altrimenti indurrebbero queste anime a chiudersi, così da non avere più il coraggio di manifestarli”.[11] “Piuttosto è opportuno procedere con molta bontà e calma, per incoraggiare tali anime e sollecitarle a parlarne”.[12]

Dotato di talenti naturali ma soprattutto corroborato da una fervente vita di contemplazione e di austera ascesi, mistico egli stesso, S. Giovanni fu una figura eccezionale e resta ai tempi nostri un fondamentale riferimento per tutti coloro che desiderano percorrere la via della santità.


[1] “Del resto, mio scopo principale non è rivolgermi a tutti, ma solo ad alcune persone della nostra santa religione del primitivo Ordine del Monte Carmelo, sia frati che monache, che mi hanno chiesto di farlo” (Salita al Monte Carmelo, prologo, n. 9).
[2] Fiamma viva d’Amore, 46.
[3] Fiamma, 30.
[4] Fiamma, 30.
[5] Fiamma, 53.
[6] Cfr. Fiamma, 42.
[7] Fiamma, 56.
[8] Fiamma, 57.
[9] Fiamma, 61.
[10] Salita al Monte Carmelo, cap. 19, n. 14.
[11] Salita, cap. 22, n. 19.
[12] Salita, cap. 22, n. 19.

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Esperienze ordinarie di Paradiso

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2018

Esperienze ordinarie di Paradiso
Il Paradiso — Padre Livio Fanzaga, Ed. ARES

Esperienze ordinarie di Paradiso dans Fede, morale e teologia Il-Paradiso

Il paradiso è ciò che l’uomo desidera dal profondo del suo cuore. E’ la ragione per la quale è stato creato. E’ il fine ultimo della vita. E’ l’approdo della tormentata navigazione nel mare del tempo. Il golfo di luce del paradiso dà senso alle fatiche e alle traversie affrontate. Ogni uomo nasce crocifisso. Senza la gloria della resurrezione e la beatitudine eterna la vita avrebbe l’amaro sapore di una beffa. Se la vita è dolore, come insegnano l’esperienza e la saggezza dei popoli, che senso avrebbe se finisse, come osservava Pascal, con un paio di badilate di terra sulla fatidica bara? L’attesa del paradiso ha una sua logica razionale. Non è solo un desiderio insopprimibile, ma un postulato della ragione. Senza la prospettiva della vita eterna non varrebbe neppure la pena incominciare l’estenuante traversata. Il tentativo patetico di chi colloca il paradiso su questa terra per motivare la fatica di vivere, altro non è che una pietosa bugia, come l’ultima sigaretta offerta al condannato prima di sistemarsi sulla sedia elettrica. Il paradiso è l’unica risposta ragionevole e accettabile alla domanda che senso abbia una vita flagellata dal male e dalla sofferenza e votata inesorabilmente alla morte.

Il desiderio del paradiso ha una sua razionalità. E’ radicato profondamente nella natura umana nella quale si riflette l’ immagine divina. L’uomo, creato capace di Dio, è stato ordinato fin dal principio al paradiso. L’Eden originario, dove l’uomo godeva della divina amicizia e di doni straordinari, prima fra tutti quello dell’immortalità, è una profezia del paradiso. La condizione esistenziale dei progenitori dell’umanità era un’attesa della beatitudine eterna. Non c’è da meravigliarsi che le tematiche connesse al paradiso attraversino le culture più diverse. Senza il paradiso, quello vero, che la Parola di Dio ci ha rivelato, la vita umana sarebbe un’ombra subito dissipata e lo stesso cammino storico dell’umanità sarebbe un correre inutile verso il nulla. Il Paradiso è necessario perché la vita umana abbia un senso e la storia uno sbocco. Come il mondo ha bisogno di un Dio creatore per essere razionale e intelligibile, così il mistero della nostra esistenza, assediata dal dolore e dalla morte, ha bisogno della speranza della vita eterna per essere sopportabile.

La ragione può ipotizzare l’esistenza di una felicità ultraterrena a partire dalle considerazioni sulla natura umana, orientata alla trascendenza, e sui desideri del cuore impregnati di infinito. Ma è la Parola di Dio che afferma esplicitamente che l’uomo è stato creato per il paradiso. Nel mirabile affresco, nel quale delinea il grandioso piano della creazione e della redenzione, S. Paolo così si esprime: “In lui (Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi, mediante Gesù Cristo, secondo il disegno di amore della sua volontà” (Ef 1, 4-5). Per l’apostolo c’è una vera e propria predestinazione dell’uomo al paradiso, dove gli uomini sono figli adottivi di Dio in Cristo Gesù. Il Padre crea ogni uomo mediante Gesù Cristo e in vista di Lui, perché sia santo e immacolato davanti a Lui nella carità. 
Il fine per cui Dio crea gli uomini è la gloria del cielo. Il catechismo tradizionale sintetizzava l’insegnamento millenario della Chiesa con parole di una semplicità disarmante. “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e per goderlo per sempre nell’altra in paradiso”. La dottrina cattolica ha rigettato l’opinione di Calvino sulla doppia predestinazione, come se Dio creasse gli uomini alcuni per il paradiso e altri per l’inferno (cfr Institutio, 3.221.5).

E’ aberrante per il concetto stesso di divinità, come per la dignità dell’uomo creato libero, che Dio decida con un decreto eterno che alcuni siano predestinati alla vita eterna e altri alla dannazione eterna. L’amore di Dio ha creato gli angeli e gli uomini perché partecipino alla gloria e alla gioia della Santissima Trinità. Il raggiungimento della meta è un dono di grazia, ma passa attraverso la libera scelta di ognuno. Decidersi per il paradiso è dunque ciò che l’uomo deve fare nel tempo della vita perché raggiunga il suo fine ultimo. 
Non solo l’uomo è creato per il paradiso, ma lo sperimenta già qui sulla terra, grazie al dono dello Spirito Santo. La presenza dello Spirito nel cuore dell’uomo fa sì che il desiderio della felicità eterna si faccia strada nel groviglio dei desideri carnali e tenga viva la speranza della luce anche nei momenti più oscuri. Lo Spirito Santo è l’amore di Dio diffuso nei nostri cuori. La sua azione intima e silenziosa fa pregustare, nel tempo del pellegrinaggio, la gioia del cielo, acuendone sempre più il desiderio. La certezza del paradiso proviene indubbiamente dall’atto di fede, che crede fermamente nella divina rivelazione, in particolare alle parole di Gesù al riguardo. Tuttavia la verità della fede è confortata dall’esperienza della vita cristiana, che, in quando avvolta dall’amore di Dio e dalla sua grazia, fa pregustare la felicità del cielo. Dio, nella sua sublime sapienza nel guidare le anime, le infiamma per il paradiso facendo pregustare quella che S. Paolo chiama la “caparra” della vita eterna.

“In Lui (Cristo) siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è la caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ef 1, 11-14). Nella visione paolina, prima di conseguire la completa redenzione in cielo, il cristiano può già sperimentare su questa terra un “anticipo” (“caparra”) della gloria e della gioia future. Non si tratta un dono particolare riservato ad alcune anime privilegiate, ma della normalità della vita cristiana, in quanto permeata e guidata dallo Spirito Santo (cfr Rm 8, 14- 17).

Tuttavia l’esperienza del paradiso può anche assumere il significato di una grazia particolare, che Dio concede, in determinati momenti della loro vita, a delle anime privilegiate. Al riguardo assumono uno straordinario valore le esperienze mistiche di alcuni santi, che Dio concede non solo come dono personale, ma anche per la edificazione del popolo cristiano. Si tratta indubbiamente di esperienze straordinarie, che però confermano la vita cristiana ordinaria vissuta sotto la guida dello Spirito. L’anima sposa, accesa dall’amore di Dio, vorrebbe sciogliere i vincoli della carne per poter unirsi subito a Cristo sposo. La vita sulla terra appare un esilio insopportabile e la morte una liberazione. “Mòro perché non moro” (“Muoio perché non muoio”) recita il celebre ritornello di una poesia di S. Teresa d’Avila. “ Morte, orsù, dunque, affrettati, scocca il tuo dardo d’oro! Quella che in ciel tripudia, quella è la vira vera; ma poiché invan raggiungerla, senza morir, si spera, morte, crudel non essere, dammi il il Tesor che imploro!” (S. Teresa d’Avila – Poesie- Desiderio del Cielo).

Non bisogna tuttavia pensare che i mistici abbiano trascorso l’intera vita in questa continua tensione amorosa. Anche loro hanno avuto momenti, a volte lunghi, di oscurità e di aridità. Dio conduce le anime non solo con infinita sapienza, ma anche con straordinaria dolcezza. Ciò che Dio concede come dono straordinario ad alcune anime, non lo nega come esperienza ordinaria a tutte quelle anime che aprono il cuore al suo amore. Non c’è anima aperta ai tocchi della grazia nella quale Dio non versi qualche goccia del suo amore purissimo. Si tratta di momenti speciali, che sono delle vere e proprie perle preziose da conservare gelosamente nel segreto del cuore lungo il cammino della vita. Quando si è sperimentata, anche per un solo istante,la dolcezza del paradiso non la si dimentica più.

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La preghiera è la chiave segreta dell’incontro con Dio

Posté par atempodiblog le 7 septembre 2017

Non parlate, ma pregate
La preghiera è a chiave segreta dell’incontro con Dio
Tratto da: Radio Maria Fb

Messaggio di Medjugorje del 25/08/2017
“Cari figli!
Oggi vi invito ad essere uomini di preghiera. Pregate fino a quando la preghiera diventi per voi gioia e incontro con l’Altissimo. Lui trasformerà il vostro cuore e voi diventerete uomini d’amore e di pace.
Figlioli, non dimenticate che Satana è forte e vuole distogliervi dalla preghiera. Voi, non dimenticate che la preghiera è la chiave segreta dell’incontro con Dio. Per questo sono con voi, per guidarvi. Non desistete dalla preghiera.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

La preghiera è la chiave segreta dell’incontro con Dio dans Apparizioni mariane e santuari Padre_Livio_e_Marija

Testo della telefonata tra la veggente Marija e P. Livio (25/08/2017)

P. Livio: Questo messaggio è un grande appello alla preghiera.
Marija: Sì, praticamente tutto il messaggio è un invito alla preghiera, perché, come ha detto la Madonna, la preghiera è la chiave segreta dell’incontro con Dio. Vediamo che in tutti questi anni la Madonna ci sta chiamando a questo; fin dall’inizio ha cominciato a pregare con noi e ci invita a pregare.

P. Livio: C’è proprio un cammino nella preghiera: arrivare a far sì che la preghiera diventi per noi gioia, come dice la Madonna, questo è il punto di arrivo, fatto di molta perseveranza quotidiana.
Marija: La Madonna dice: “Vi invito ad essere uomini di preghiera”. Diceva già all’inizio: “Non parlate, ma pregate. Con la vostra vita date l’esempio. Io penso che la Madonna stia ritornando a questo: non parlare, ma pregare; così la preghiera diventa gioia e il nostro cuore diventa amore e pace. E di questo diventeremo testimoni.

P. Livio: La Madonna ci chiede di pregare col cuore…
Marija: Dall’inizio ha detto: “Ogni preghiera che fate col cuore è buona e piace a Dio”. Non ha indicato una preghiera in particolare, ma chiede sempre di pregare col cuore. Ci ha detto che essa è la chiave segreta dell’incontro con Dio e per questo ci sta ripetendo: “Pregate! Pregate! Pregate! Pregate finché la vostra vita diventi preghiera”.

La Madonna ripete ancora: “Pregate fino a quando la preghiera diventi per voi gioia”. All’inizio ci vuole uno sforzo perché non siamo abituati, ma poi, quando cominciamo ad avere l’esperienza di Dio, diventa tutto più facile: davvero la preghiera è la chiave segreta. Quando raggiungiamo questo incontro con Dio, diventiamo uomini di amore e di pace, testimoni appassionati che parlano di Dio alle persone.

P. Livio: La Madonna ha detto che la preghiera più importante è la S. Messa.
Marija: Sicuramente! Il culmine del nostro incontro con Dio avviene nella S. Messa, nell’Eucaristia. Ricordo la catechesi di un sacerdote: diceva che non siamo coscienti che il Signore è con noi quando ad esempio, durante la S. Messa, il sacerdote dice: “Il Signore sia con voi”. E noi rispondiamo automaticamente: “E con il tuo spirito”. Dovremmo gridare di gioia! Così avviene nella preghiera: se siamo coscienti che essa è la chiave per incontrare Dio, a quel punto il pregare diventa una gioia.

P. Livio: Santa Teresa d’Ávila pregando il Padre nostro, quando pronunciava la parola “Padre”, non riusciva più ad andare avanti. Sentire le parole col cuore. Ad esempio quando diciamo: Signore ti amo”, in quel momento il mio cuore deve traboccare di amore. Se le parole non hanno eco nel cuore, rimangono parole vuote.
Marija: Sì, però io dico che, anche se sono parole vuote, è bene ripeterle, perché prima o poi entrano nel cuore. Come la preghiera del pellegrino russo: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore”. Ripetendola diventa vita. La Madonna dice: “Pregate per coloro che non hanno incontrato Dio”.  Se noi l’abbiamo incontrato con la nostra vita, la nostra testimonianza, il nostro esempio, possiamo aiutare altri ad incontrare Dio.

P. Livio: La Madonna dice di affidarle nella preghiera tutti i nostri problemi, le nostre croci, tutte le difficoltà. Cosa vuol dire affidare alla Madonna tutte queste cose che ci opprimono specie al mattino?
Marija: La Madonna anche in questo messaggio ha detto: “Per questo sono con voi, per guidarvi”. Lei ci sta guidando, istruendo. Ci dice: “Non siete soli, non siete abbandonati, Dio è con voi… Dio mi ha mandato… mi ha permesso di essere con voi!”. Ci dice anche: “Non desistete dalla preghiera, perché è la chiave per entrare nel cuore di Gesù”.

P. Livio: Dobbiamo avere dei momenti precisi di preghiera: al mattino, alla sera, il S. Rosario in famiglia, la Messa almeno alla domenica, perchè poi sarà più facile che la preghiera personale nasca spontaneamente durante il corso della giornata.
Marija:
E’ vero. La Madonna prima con noi ha cominciato con 7 Pater, 7 Ave, 7 Gloria e il Credo. Poi pian piano ha aggiunto un Rosario, poi il Rosario completo come preghiera biblica, dove contempliamo la vita di Gesù. Ha inoltre raccomandato di leggere ogni giorno un brano della Sacra Scrittura. Poi ha detto di leggere la vita dei santi per imitarli. Ci ha chiamato a quella che Lei chiama Scuola di preghiera e Via della santità. La Madonna desidera che attraverso la preghiera incontriamo Dio e Lei stessa. Poi ha detto: “Con la preghiera e col digiuno anche le guerre si possono fermare. Non solo le guerre nel mondo, ma anche le guerre nei cuori.

Da noi c’era il comunismo, oggi ci sono anche il materialismo e il modernismo… tanti attacchi con cui satana vuole distruggere la famiglia, la patria… vuole distruggere Dio, togliere Dio dalla società, dai cuori, dai giovani, dalle famiglie, dalle scuole, dalle parrocchie, ovunque. Mentre la Madonna ha detto: “Senza Dio non avete né futuro, né vita eterna”.

P. Livio: Io ho letto tanti libri di spiritualità, di mistici, di santi, ma per me i messaggi di Medjugorje sono il più grande poema mai scritto sulla preghiera. Mai ho trovato altrove una tale profondità. Veramente la Madonna è una maestra di preghiera come nessun altro al mondo lo è mai stato, a parte suo Figlio Gesù. Non dimentichiamo che c’è in atto una grande apostasia nel mondo, specialmente in occidente, non solo tra i semplici cristiani, ma anche in migliaia di sacerdoti – per questo la Madonna pensa che la Chiesa si possa rinnovare soltanto a partire dalla preghiera. Ho capito bene anche che, nonostante le mie responsabilità la cosa più importante che devo fare durante la giornata è l’incontro con Dio nella preghiera. Se non si capisce questo, non riusciamo a mettere in pratica il piano della Madonna.
Marija: Sono d’accordo con te. La Madonna sta bussando al cuore di ciascuno di noi, anche dei lontani o di coloro che sono andati in crisi (incontro persino sacerdoti e suore in crisi perché troppo attaccati alle azioni e alle cose materiali a scapito della preghiera).

La Madonna vuole riportarci alla preghiera, alla parte spirituale, perché noi facciamo tante azioni, ma poca preghiera. Per questo lei insiste così tanto. Io credo che la preghiera possa cambiare il mondo, credo profondamente nella sua forza: “Con la preghiera e col digiuno anche le guerre si possono allontanare”.

Marija ha quindi pregato il Magnificat e il Gloria.
Padre Livio ha concluso con la benedizione.

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La droga è una beffa che il diavolo fa all’uomo

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2017

La droga è una beffa che il diavolo fa all’uomo dans Citazioni, frasi e pensieri droga

L’uomo ha bisogno della trascendenza. Solo Dio basta, ha detto Teresa d’Avila. Se Lui viene a mancare, allora l’uomo deve cercare di superare da sé i confini del mondo, di aprire davanti a sé lo spazio sconfinato per il quale è stato creato. Allora, la droga diventa per lui quasi una necessità. Ma ben presto scopre che questa è una sconfinatezza illusoria – una beffa, si potrebbe dire, che il diavolo fa all’uomo.

Benedetto XVI

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Girare una frittata per amore di Dio: l’esempio di Fra Lorenzo della Resurrezione

Posté par atempodiblog le 6 juin 2016

Un mistico ai fornelli
Girare una frittata per amore di Dio: l’esempio di Fra Lorenzo della Resurrezione
di Pane e focolare

Girare una frittata per amore di Dio: l’esempio di Fra Lorenzo della Resurrezione dans Cucina e dintorni

Ho scoperto un personaggio straordinario, un religioso carmelitano del 1600 che non è ancora salito agli onori degli altari ma è venerabile, cioè è stato emanato il decreto sull’eroicità delle sue virtù. Credo che lo metterò nella mia personale “top 10” dei modelli di vita cristiana da imitare. E’ Fra Lorenzo della Risurrezione. Vi racconto brevemente la sua vita, e scoprirete perché ne parlo in questo blog.

Nicolas Herman (questo era il suo nome) nasce nel 1614 in un piccolo villaggio della Lorena, si arruola giovanissimo e combatte nella Guerra dei Trent’Anni, ma rimane ferito e lascia l’esercito.  Si reca allora a Parigi e trova un impiego come cameriere in una casa nobiliare, ma è un servitore così maldestro che rompe piatti e bicchieri e viene spesso punito. Triste e solo, cerca conforto nella cattedrale di Notre-Dame: pregando, medita di farsi religioso ed entra nell’Ordine dei Carmelitani, con il nome di Fra Lorenzo della Risurrezione.

Il convento dei Carmelitani a Parigi
Il convento dei Carmelitani a Parigi

I suoi superiori lo mettono al lavoro in cucina. Il convento è molto grande, deve preparare il cibo per più di cento religiosi; l’edificio è anche in espansione e deve dare da mangiare anche ai muratori che lavorano in convento; in più ci sono sempre lunghe file di poveri che bussano alla porta dei frati, all’ora di pranzo.

L’impegno è notevole: appena terminata la preparazione del pranzo deve già cominciare quella  della cena, spesso da solo o con un numero insufficiente di aiutanti. Quanti si sarebbero lamentati di questo! Ma Fra Lorenzo accoglie con pazienza l’incarico e decide che anche nella cucina del convento può esercitare l’esercizio paziente e santificante della “presenza di Dio”.

 dans Santa Teresa d'Avila

Racconta a un amico: «Nel trambusto della mia cucina, dove a volte più persone mi parlano assieme di cose diverse, possiedo Dio, così tranquillamente come se fossi in ginocchio davanti al SS. Sacramento. Non è necessario avere grandi cose da fare. Io rigiro la mia frittata nella padella per amore di Dio e quando l’ho fatta, se non mi rimane nient’altro, mi chino per terra e adoro il mio Dio che mi ha concesso la grazia di farla, dopo di che mi rialzo più felice di un re. Non c’è bisogno di nessuna raffinatezza, non c’è che da cominciare con bontà e semplicità».  E quando qualche distrazione lo distoglie da quella concentrazione, gli basta ogni tanto uno sguardo alla statuetta della Madonna che tiene in cucina.

 dans Stile di vita

Fra Lorenzo realizza in quella cucina – giorno dopo giorno – il miracolo della santità e mette in pratica in modo molto personale la dottrina dei grandi mistici carmelitani. C’è infatti una frase di Santa Teresa d’Avila, rivolta alle sue monache, che gli piaceva tanto: «Coraggio, figliole mie! Non affliggetevi se l’obbedienza vi impiegherà in opere esteriori. Vi mettesse pure in cucina, il Signore verrebbe anche tra le pentole, ad aiutarvi, interiormente ed esteriormente». Ed infatti Fra Lorenzo incontra Dio ogni giorno, nella sua cucina, tra le sue pentole.

Andrà avanti per trent’anni a fare sempre le stesse cose, ma è così felice che a volte afferma d’essere stato ingannato da Dio: era entrato in convento per far penitenza, persuaso oltretutto che sarebbe stato punito per la sua goffaggine, come era accaduto in quella casa di nobili dove aveva lavorato. Al contrario, vi aveva trovato un Padrone che lo colmava di dolcezze interiori.

Un testimone ha dichiarato: «Aveva una cura particolare nel servire i suoi confratelli in tutto ciò che faceva, provvedendoli di tutto il necessario… considerava un piacere accontentarli, come se fossero stati degli angeli!». Così si applicava tenacemente ai suoi fornelli, per fare felici i suoi commensali. Di sé stesso, diceva di sentirsi «come un grandissimo delinquente invitato a mangiare alla tavola del Re dei cieli, e servito perfino dalle Sue mani».

Un mistico ai fornelli: impariamo da lui, noi che magari sbuffiamo un po’ quando tutti i giorni ci mettiamo a cucinare per i nostri famigliari!

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Papa: anzianità è vocazione, non ora di tirare remi in barca

Posté par atempodiblog le 11 mars 2015

Papa: anzianità è vocazione, non ora di tirare remi in barca
La società tende a scartare gli anziani, ma il Signore non ci scarta, “ci chiama a seguirlo in ogni età della vita”. Lo ha detto Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, durante la quale ha proseguito la riflessione sui nonni, iniziata mercoledì scorso, concentrandosi in particolare sul valore e sull’importanza del loro ruolo nella famiglia.
di Giada Aquilino – Radio Vaticana

Papa: anzianità è vocazione, non ora di tirare remi in barca dans Fede, morale e teologia ildtlk

Le famiglie accolgano le persone anziane “con riconoscenza”, per ricevere la loro testimonianza di saggezza “necessaria alle giovani generazioni”. Questa l’esortazione del Papa che, immedesimandosi, ha subito voluto condividere una riflessione con la piazza gremita:

“Anch’io sono nell’età dei nonni
“Anch’io appartengo a questa fascia di età. Quando sono stato nelle Filippine, i filippini, gli abitanti delle Filippine, il popolo filippino mi salutava, dicendo ‘Lolo Kiko’, cioè nonno Francesco”.

Eppure, ha aggiunto, la società di oggi tende a scartare gli anziani: ma “di certo non il Signore”:

“Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di ‘tirare i remi in barca’”.

La vecchiaia ci è data per pregare, la preghiera degli anziani è un dono
Riflettendo sul brano evangelico di Luca dedicato alla presentazione di Gesù al Tempio da parte di Maria e Giuseppe, quando Simeone e Anna – “vecchi straordinari” – dimenticarono “il peso dell’età” e scoprirono nel Bambino Gesù “una nuova forza, per un nuovo compito: rendere grazie e rendere testimonianza per questo Segno di Dio”, il Pontefice ha invitato a diventare “poeti della preghiera”. Abbiamo bisogno – ha detto – di “anziani che preghino, perché la vecchiaia ci è data proprio per questo”, la loro preghiera è un “grande dono”:

“La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo indaffarata, troppo presa, troppo distratta”.

L’esempio di Benedetto XVI
In tale prospettiva, un pensiero al suo predecessore:

“Guardiamo a Benedetto XVI, che ha scelto di passare nella preghiera e nell’ascolto di Dio l’ultimo tratto della sua vita”.

Anziani, esempio di fedeltà coniugale
Soffermandosi sulla Giornata per gli anziani, svoltasi l’anno scorso in Piazza San Pietro, Francesco ha voluto ricordare non solo “le storie di anziani che si spendono per gli altri”, ma anche quelle di coppie salde nella loro unione, giunte per festeggiare anche i 50 o 60 anni di matrimonio:

“E’ importante farlo vedere ai giovani che si stancano presto; è importante la testimonianza degli anziani nella fedeltà”.

L’invito del Papa è stato allora a riflettere su questo periodo della vita “diverso dai precedenti”, che va forse anche inventato “perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente”, a dare ad esso il suo pieno valore. Anche la spiritualità cristiana “è stata colta un po’ di sorpresa”: occorre quindi “delineare una spiritualità delle persone anziane”, perché se “una volta” non era così normale avere tempo a disposizione, oggi – ha proseguito – “lo è molto di più”. D’altra parte gli anziani, pregando, possono “ringraziare il Signore per i benefici ricevuti e – ha aggiunto – riempire il vuoto dell’ingratitudine che lo circonda”:

“Possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta. Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di sé stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Incoraggiamento ai giovani
Perché i nonni e le nonne formano quella che il Papa ha definito una “‘corale permanente di un grande santuario spirituale”, in sostegno alla “comunità che lavora e lotta nel campo della vita”. La preghiera, poi, “purifica incessantemente il cuore”, prevenendo l’indurimento del cuore nel risentimento e nell’egoismo:

“Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita! Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del senso della fede e della vita”!

Chiesa sfidi cultura scarto, per abbraccio tra giovani e anziani
Questa è dunque la “missione dei nonni”, la “vocazione degli anziani”, secondo il Pontefice, perché – ha spiegato – “le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani”, che comprendono tale importanza: lo stesso Francesco, ha confessato, conserva ancora nel breviario le parole che la nonna gli scrisse il giorno dell’ordinazione sacerdotale.

“Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani”.

Santa Teresa
Nei saluti finali nelle varie lingue, il Papa ha tra l’altro rivolto un penisero particolare ai pellegrini della Corea: conserva – ha detto – “un vivo ricordo” della visita dell’agosto scorso nel Paese asiatico. Ai pellegrini di lingua italiana, la sollecitazione in questo tempo quaresimale “ad impegnarsi nella costruzione di una società a misura d’uomo in cui – ha sottolineato – ci sia spazio per l’accoglienza di ciascuno, soprattutto quando è anziano, ammalato, povero e fragile”. Infine ha menzionato “il vigore spirituale” di Santa Teresa di Gesù, nel quinto centenario della nascita ad Ávila. Al termine dell’udienza i partecipanti al pellegrinaggio carmelitano “Cammino di Luce” hanno portato al Pontefice il bastone della Santa, che Francesco ha toccato “con amore e gioia”, ha raccontato padre Antonio González, segretario generale dell’organizzazione per l’anniversario.

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Nel piccolo cielo dell’anima

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2013

Nel piccolo cielo dell'anima dans Citazioni, frasi e pensieri dlua

Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all’acqua della fonte”.

Santa Teresa d’Avila

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Breve ritratto di Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2013

Breve ritratto di Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa dans Libri coec

Santa Teresa d’Avila, riformatrice del Carmelo, fondatrice dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Una donna che poteva dire, nel pieno della sua poderosa attività: “Non mi ricordo d’essermi mai lagnata. In questo senso, io non sono affatto donna. Ho il cuore duro”. Ma il suo cuore non era duro; era grande, e la magnanimità, unita alla umiltà, forma il carattere di questa grande mistica, che avvertiva costantemente accanto a sé la presenza di Dio e al tempo stesso, da grande asceta, la vicinanza del demonio.

Usciva da un’importante famiglia spagnola, nel tempo in cui la Spagna dominava il mondo. Il fratello del suo padrino fu il primo Viceré del Perù.
Entrata giovanissima nel Carmelo, fino a quarant’anni condusse una vita religiosa molto mitigata, per non dire mediocre, senza ardore di santità. Ma nel 1555, la carmelitana tiepida cessò di vivere per sé, e in lei cominciò a vivere Dio. Trasverberata dal fuoco divino, non conobbe incertezze, non ebbe debolezze, non temette avversità, persecuzioni e persino condanne, da parte dei “Carmelitani Calzati”, i quali le opposero una durissima resistenza.

Ella diceva: “Nostro Signore chiede e ama anime coraggiose, per quanto umili. Nella vita spirituale occorre intraprendere grandi cose”. Da parte sua, intraprese “grandi cose” attuando la riforma del Carmelo, anzi la fondazione di nuovi conventi, maschili e femminili, nei quali l’ascetismo non fosse una parola priva di significato.

Si mise a viaggiare, ella che amava la vita comoda, sopportando fatiche e disagi, nonostante la sua salute malferma e i continui disturbi. Ferita a una gamba, si rivolgeva a Dio con schiettezza di donna risoluta: “Signore, dopo tante noie, ci voleva anche questo guaio!”. Dio le rispose: “Teresa, io tratto così i miei amici”. E lei, di rimando: “Ah, Dio mio, ora capisco perché ne avete così pochi!”.

Qual fosse la sua attività d’instancabile fondatrice di Carmeli riformati, lo si può apprendere dalla Vita scritta da lei stessa: uno dei libri di avventura spirituale più coloriti e più sinceri. Fu la “mamma” di tutti i Carmelitani Scalzi, che si lasciarono guidare da lei, guidata da Dio per mezzo di visioni e intimi colloqui. Fu maestra di mistici, come il poeta San Giovanni della Croce. Fu direttrice di coscienze. Scrisse al Re Filippo II e ai personaggi più autorevoli della Spagna. Si occupò di tutto e, da brava madre, pensò anche alla parte economica delle sue fondazioni. “Teresa senza la grazia di Dio - diceva - è una povera donna. Con la grazia di Dio, una forza. Con la grazia di Dio e molti denari, una potenza”. E Santa Teresa fu veramente una potenza, che trascinò gran numero di anime elette nel vortice della sua passione mistica e ascetica. Fu definita “l’onore della Spagna e della Chiesa”. Ma più che onore, bisognerebbe parlare di amore, perché Santa Teresa morta nel 1582, a sessantasette anni fu esempio perfetto di “sposalizio spirituale” con Dio ed è stata proclamata dottore della Chiesa.

Tratto da: Mille santi del giorno di Piero Bargellini, Vallecchi Editore

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Prendere per maestro San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 27 mars 2013

Prendere per maestro San Giuseppe dans Citazioni, frasi e pensieri sangiuseppe

Di San Giuseppe ecco che cosa dice Santa Teresa d’Avila, nella sua autobiografia: “Chi non trova maestro che gli insegni a pregare, prenda per maestro questo glorioso santo, e non sbaglierà strada”. —Il consiglio viene da un’anima esperta. Seguilo.

San Josemaría Escrivá de Balaguer

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San Giuseppe è sempre pronto ad aiutarci

Posté par atempodiblog le 19 mars 2013

San Giuseppe è sempre pronto ad aiutarci dans Citazioni, frasi e pensieri sangiuseppe

“Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso San Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…”.

Santa Teresa d’Avila

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Santa Teresa d’Avila (di Gesù)

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2012

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Non è facile riassumere in poche parole la profonda e articolata spiritualità teresiana. Vorrei menzionare alcuni punti essenziali. In primo luogo, santa Teresa propone le virtù evangeliche come base di tutta la vita cristiana e umana: in particolare, il distacco dai beni o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l’amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l’umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell’audacia cristiana; la speranza teologale, che descrive come sete di acqua viva. Senza dimenticare le virtù umane: af­fabilità, veracità, modestia, cortesia, allegria, cultura. In secondo luogo, santa Teresa propone una profonda sintonia con i grandi personaggi biblici e l’ascolto vivo della Parola di Dio. Ella si sente in consonanza soprattutto con la sposa del Cantico dei Cantici e con l’apostolo Paolo, oltre che con il Cristo della Passione e con il Gesù Eucaristico.

La Santa sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera; pregare, dice, “significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5) . L’idea di santa Teresa coincide con la definizione che san Tommaso d’Aquino dà della carità teologale, come “amicitia quaedam hominis ad Deum”, un tipo di amicizia dell’uomo con Dio, che per primo ha offerto la sua amicizia all’uomo; l’iniziativa viene da Dio (cfr Summa Theologiae II-ΙI, 23, 1). La preghiera è vita e si sviluppa gradualmente di pari passo con la crescita della vita cristiana: comincia con la preghiera vocale, passa per l’interiorizzazione attraverso la meditazione e il raccoglimento, fino a giungere all’unione d’amore con Cristo e con la Santissima Trinità. Ovviamente non si tratta di uno sviluppo in cui salire ai gradini più alti vuol dire lasciare il precedente tipo di preghiera, ma è piuttosto un approfondirsi graduale del rapporto con Dio che avvolge tutta la vita. Più che una pedagogia della preghiera, quella di Teresa è una vera « mistagogia »: al lettore delle sue opere insegna a pregare pregando ella stessa con lui; frequentemente, infatti, interrompe il racconto o l’esposizione per prorompere in una preghiera.

Un altro tema caro alla Santa è la centralità dell’umanità di Cristo. Per Teresa, infatti, la vita cristiana è relazione personale con Gesù, che culmina nell’unione con Lui per grazia, per amore e per imitazione. Da ciò l’importanza che ella attribuisce alla meditazione della Passione e all’Eucaristia, come presenza di Cristo, nella Chiesa, per la vita di ogni credente e come cuore della liturgia. Santa Teresa vive un amore incondizionato alla Chiesa: ella manifesta un vivo “sensus Ecclesiae” di fronte agli episodi di divisione e conflitto nella Chiesa del suo tempo. Riforma l’Ordine carmelitano con l’intenzione di meglio servire e meglio difendere la “Santa Chiesa Cattolica Romana”, ed è disposta a dare la vita per essa (cfr Vita 33, 5).

Un ultimo aspetto essenziale della dottrina teresiana, che vorrei sottolineare, è la perfezione, come aspirazione di tutta la vita cristiana e meta finale della stessa. La Santa ha un’idea molto chiara della “pienezza” di Cristo, rivissuta dal cristiano. Alla fine del percorso del Castello interiore, nell’ultima “stanza” Teresa descrive tale pienezza, realizzata nell’inabitazione della Trinità, nell’unione a Cristo attraverso il mistero della sua umanità.

Cari fratelli e sorelle, santa Teresa di Gesù è vera maestra di vita cristiana per i fedeli di ogni tempo. Nella nostra società, spesso carente di valori spirituali, santa Teresa ci insegna ad essere testimoni instancabili di Dio, della sua presenza e della sua azione, ci insegna a sentire realmente questa sete di Dio che esiste nella profondità del nostro cuore, questo desiderio di vedere Dio, di cercare Dio, di essere in colloquio con Lui e di essere suoi amici. Questa è l’amicizia che è necessaria per noi tutti e che dobbiamo cercare, giorno per giorno, di nuovo. L’esempio di questa Santa, profondamente contemplativa ed efficacemente operosa, spinga anche noi a dedicare ogni giorno il giusto tempo alla preghiera, a questa apertura verso Dio, a questo cammino per cercare Dio, per vederlo, per trovare la sua amicizia e così la vera vita; perché realmente molti di noi dovrebbero dire: “non vivo, non vivo realmente, perché non vivo l’essenza della mia vita”. Per questo il tempo della preghiera non è tempo perso, è tempo nel quale si apre la strada della vita, si apre la strada per imparare da Dio un amore ardente a Lui, alla sua Chiesa, e una carità concreta per i nostri fratelli.

Benedetto XVI

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La preghiera

Posté par atempodiblog le 2 février 2011

La preghiera dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Teresa-d-Avila

“La preghiera altro non è che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo di essere amati”.

Santa Teresa d’Avila

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