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La festa della Sindone, a Torino un’ostensione multimediale aperta al mondo

Posté par atempodiblog le 16 mars 2025

La festa della Sindone, a Torino un’ostensione multimediale aperta al mondo
Presentate le iniziative speciali collegate alla festa liturgica del sacro lino di Torino nell’anno giubilare. L’iniziativa, dal titolo “Avvolti. Sindone, Speranza, Giubileo”, si avvale delle nuove tecnologie per offrire un approccio inedito dove fede e innovazione si uniscono per arrivare al cuore delle persone. Il cardinale Repole: “Sarà la prima ostensione multimediale della storia”
di Maria Milvia Morciano – Vatican News
Tratto da: Radio Maria

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“Si ricorda anche che alcuni studiosi hanno osservato, mediante un confronto al computer, una perfetta corrispondenza del Volto Santo di Lucca con quello dell’Uomo della Sindone”. (Maria Milvia Morciano)

Quest’anno la memoria liturgica della Sindone, il 4 maggio prossimo, riveste un significato particolarmente intenso perché è racchiusa nell’anno giubilare: i suoi significati di fede e di speranza diventano pertanto più vividi non solo per la città di Torino che la custodisce, ma anche per tutto il mondo che quest’anno potrà parteciparvi grazie alle tecnologie digitali, realizzando un pellegrinaggio virtuale, attraverso programmi dedicati e collegamenti speciali.

Calco della resurrezione
[...] durante la conferenza stampa di presentazione delle iniziative speciali collegate alla festa, dal 25 aprile al 5 maggio, il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, custode pontificio del sacro lino, ne ha ricordato l’attualità poiché, mostrando “un Uomo sconfitto dalla storia, vilipeso, torturato e ucciso”, rispecchia i drammatici eventi attuali, guerre ma anche malattie e l’abbandono dei più deboli. Allo stesso tempo, però, il velo è un “invito a vivere una vita nuova” perché è “il calco della resurrezione” e in questo senso apre alla speranza che è sempre “fiducia che tutte le sconfitte della nostra storia non siano l’ultima parola, ma solo nell’orizzonte dell’eternità. È un orizzonte di speranza, quel telo, che ci lascia Gesù, perché ci dice che ci sarà un giudizio sulla storia, di cui molti uomini e donne hanno bisogno”.

La “Tenda della Sindone” accanto alla Cattedrale
Come già preannunciato lo scorso anno, l’ostensione pubblica non avrà luogo, ma le proposte offerte sono diverse: programmi dedicati e collegamenti speciali e, nel centro del capoluogo piemontese, a piazza Castello, proprio dietro la Cattedrale dove è custodita la Sindone, l’allestimento di una “Tenda della Sindone” che durante i giorni della festa accoglierà cittadini e visitatori che avranno così l’opportunità di conoscere il velo sindonico, la sua storia e il suo significato. “C’è un modo laico di avvicinarsi al telo, che porta un interesse – ha osservato il porporato – di tipo scientifico, poi c’è un interesse religioso, che deriva dalla tradizione cristiana, perché sorprendentemente la Sindone dice ciò che dicono i Vangeli rispetto alla morte di Gesù”. L’esposizione è stata allestita in una tenda e non in un luogo sacro, ma “è comunque subito dietro alla cattedrale, dove il telo è conservato – ha sottolineato il cardinale Repole – e direi che permette di immergersi in quella vicenda di cui parla il Nuovo Testamento. Nulla vieta che chi vuole possa poi sporgersi nella cattedrale”.

Un nuovo approccio per avvicinare ancora più persone
Nella tenda sarà esposta, distesa su un tavolo, quasi come su un “tavolo operatorio”, la riproduzione della Sindone a grandezza naturale, che potrà essere “esplorata” illuminando di volta in volta alcuni dei dettagli più significativi: come il Volto, la corona di spine, i segni dei chiodi. Le risorse offerte dalla tecnologia permetteranno di vedere il lino su cui è impresso il negativo fotografico del corpo di Gesù: non sarà esposto, ma fruibile in modo multimediale, “sarà la prima ostensione multimediale della storia” – aggiunge ancora Repole – “che spera, con questo nuovo approccio di avvicinare nuove persone, anche molti giovani”. Infatti, attenzione particolare sarà riservata alle nuove generazioni perché “ci sembrava un modo di concludere un itinerario di catechesi con un taglio esistenziale rivolto ai più giovani – precisa il cardinale – con la consapevolezza che per noi cristiani con loro si gioca una partita nuova, perché la trasmissione della fede come avveniva in passato non è più scontata”.

Per questo motivo, il progetto della diocesi di Torino è stato realizzato, oltre che in occasione dell’Anno giubilare, anche come contributo alla “Festa dei giovani” che conclude il ciclo di catechesi 2024-2025, iniziato l’8 novembre dello scorso anno e giunto alla terza edizione. Guidato dal cardinale Repole, il corso coinvolge i ragazzi delle diocesi di Torino e Susa di età compresa tra i 18 e i 30 anni. L’iniziativa è stata resa possibile grazie al contributo di Regione Piemonte, Città di Torino, Camera di Commercio di Torino, Fondazione Carlo Acutis.

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Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona

Posté par atempodiblog le 14 mars 2025

Provate ad immaginare se un bel giorno vi arrivasse un invito che stavate aspettando da moltissimo tempo, da qualcuno che avevate tanto atteso di incontrare. Una persona al fianco della quale avete tanto desiderato di trattenervi, per stare lungo tempo vicini a parlare. Il giorno in cui quell’invito arrivasse, quanto grande sarebbe la vostra gioia? La morte è l’invito di Dio ed è con questa gioia in cuore che io la attendo. Io so bene quanto Dio sia buono e bello e con quanta tenerezza Egli si prenda cura di me”.

di Takashi Paolo Nagai

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Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona
Nella nona meditazione degli Esercizi Spirituali in Aula Paolo VI, di cui pubblichiamo una sintesi, il predicatore della Casa Pontificia si sofferma sul concetto biblico del riposo che non è inattività ma condizione di pienezza e appagamento. E prima delle parole del religioso, quelle di monsignor Viola, segretario del Dicastero per il Culto Divino, che a nome della Curia assicura al Papa, nell’anniversario dell’elezione, vicinanza e preghiera
de La Redazione di Vatican News

La vita eterna è un dono già presente, ma spesso fatichiamo a comprenderne un aspetto fondamentale: il riposo. Fin da piccoli, siamo abituati a sentire la preghiera:

«L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen».

L’idea di un’eternità basata sul riposo eterno può sembrare deludente, come se la vita finisse con un’infinita dormita. Ma questa percezione nasce da un equivoco profondo: vediamo il riposo solo come inattività, mentre nella visione biblica è una condizione di pienezza e appagamento.

Dio stesso ha vissuto il riposo, quando Gesù, dopo la croce, è stato deposto nel sepolcro. Questo momento non è un’inerzia sterile, ma il compimento di un’opera, come racconta un’antica omelia sul Sabato Santo: «Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi».

Cristo riposa, eppure agisce misteriosamente, liberando i prigionieri degli inferi. Questo ci insegna che fermarsi non significa essere inutili, ma saper abbracciare il tempo con fiducia, senza inseguire un’attività frenetica e sterile.

Oggi il riposo è un lusso trascurato. Viviamo in una società che ci impone di essere sempre attivi, sempre connessi, sempre produttivi. Eppure, più aumentano le opportunità, meno riusciamo a riposare davvero. La parabola del servo, che dopo aver lavorato non si aspetta un premio ma accetta di aver fatto ciò che era chiamato a fare, ci insegna un segreto importante. Fino a quando viviamo con l’ossessione del risultato, non troveremo mai riposo. Solo chi accoglie con serenità il proprio limite può finalmente fermarsi in pace.

Il vero riposo non è inattività, ma libertà. È lo stato in cui non dobbiamo più dimostrare nulla, perché ci lasciamo abbracciare dall’amore di Dio. È la pace interiore che ci permette di dire: «Chi è entrato nel riposo di Dio, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie» (Eb 4,10).

Vivere bene il riposo significa allenarsi alla vita eterna, imparando a vivere senza paura, a lasciar andare il superfluo e a fidarci del fatto che Dio è già all’opera in noi.

Il riposo vero è pace interiore, non si misura in risultati, ma nella capacità di accogliere ciò che la vita ci dona. Non è fuga, ma un modo per imparare a vivere più intensamente, senza ansia. Non è passività, ma una fiducia attiva che ci rende liberi di amare. «Nell’amore non c’è timore. L’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

Alla fine, la vita eterna non è un traguardo lontano, ma una realtà che cresce già dentro di noi. Già ora, siamo chiamati a viverla.

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Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, sarà santo. Decreto definisce venerabile Salvo D’Acquisto

Posté par atempodiblog le 25 février 2025

Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, sarà santo. Decreto definisce venerabile Salvo D’Acquisto
Brindisino di nascita, studi di Giurisprudenza a Napoli. Poi l’incontro con una nobildonna che sposa. Giovanni Paolo II lo eleva agli altari nel 1980. Papa Francesco avvia il processo di beatificazione di Salvo D’Acquisto
di Elena Scarici – Corriere del Mezzogiorno

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Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, sarà santo. Lo rende noto la Sala Stampa della Santa Sede, riferendo dell’udienza concessa ieri da Papa Francesco al cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e a monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali, per autorizzare il Dicastero delle Cause dei Santi a promulgare i decreti riguardanti nuovi santi e beati.

Il nome di Bartolo Longo è sinonimo nel mondo della Madonna di Pompei, veneratissima dai napoletani e meta ogni anno di pellegrinaggi da tutti i continenti. Vissuto tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, pugliese di Latiano (Brindisi), quello che diventerà un apostolo del Rosario vive una prima fase della vita con un disagio interiore molto acuto. Durante gli studi di Giurisprudenza a Napoli si avvicina per qualche tempo allo spiritismo per poi ritrovare la fede grazie all’aiuto di alcuni sacerdoti. Si accende in lui il desiderio di promuovere opere di carità e diventato amministratore dei beni della contessa Marianna Farnararo, rimasta vedova con cinque figli piccoli, lavora perché la gente povera che viveva sui terreni della nobildonna nella Valle di Pompei abbia una esistenza più dignitosa. Nel 1875 porta a Pompei una immagine della Madonna e nel 1876 avvia la costruzione del santuario destinato a diventare luogo di culto mondiale, consacrato alla Madonna del Rosario il 7 maggio 1891.

Bartolo Longo sposa la contessa e insieme donano la proprietà del santuario a Leone XIII, che ne lascia ai coniugi l’amministrazione. Per lui è l’inizio di una nuova vita di totale devozione alla Vergine, che esercita anche con un intenso lavoro di scrittura e diffusione di libri, opuscoli e riviste. Muore nel 1926, Giovanni Paolo II lo eleva agli altari nel 1980. Proprio questa enorme diffusione della devozione mariana scaturita dal Santuario di Pompei ha indotto nel 2024 l’arcivescovo prelato e delegato pontificio del Santuario Tommaso Caputo, assieme al vescovo di Acerra Antonio Di Donna, presidente dei presuli campani, a chiedere al Papa la canonizzazione del Beato Bartolo Longo.

Si avvia invece alla beatificazione Salvo D’Acquisto, il vicebrigadiere napoletano dell’Arma dei Carabinieri Reali insignito della Medaglia d’oro al valor militare per essersi sacrificato il 23 settembre 1943 salvando così un gruppo di civili durante un rastrellamento delle truppe naziste nel corso della Seconda guerra mondiale. La storia di Salvo D’Acquisto è un esempio di eccellenza umana prima che prettamente cristiana: nato a Napoli nel 1920, a 18 anni entra nell’Arma dei carabinieri. Tra il ‘40 e il ’42 viene inviato in Libia dove dimostra schiettamente le sue convinzioni sia per la rettitudine morale sia per i gesti con cui la accompagna, il segno della croce in pubblico o la recita del Rosario. Diventato vicebrigadiere viene destinato alla stazione di Torrimpietra.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il 22 settembre un reparto nazista – ormai nemico in terra italiana – arriva alla Torre di Palidoro, ubicata nel territorio della caserma. Alcuni soldati individuano e forzano incautamente delle cassette contenenti ordigni, provocando un’esplosione che uccide un militare e ne ferisce altri due. Il comandante sospetta di un attentato e fa arrestare Salvo D’Acquisto che, per l’assenza del suo superiore, in quel periodo comanda la stazione dei carabinieri. Il vicebrigadiere spiega a più riprese che si è trattato di un tragico incidente, ma i nazisti decidono per una rappresaglia e rastrellano 22 persone, le costringono a scavare una grande fossa e si apprestano a fucilarle quando Salvo D’Acquisto si autoaccusa come unico responsabile dell’accaduto, offrendosi in cambio della liberazione di tutti gli altri. Il carabiniere 23enne viene fucilato all’istante mentre gli ostaggi riescono ad avere salva la vita. Una decisione, è stato riconosciuto nel decreto che definisce “venerabile” Salvo D’Acquisto, non dettata da «un semplice atto di solidarietà civica e di filantropia laica», bensì inserita «in uno stile di vita consapevolmente e coerentemente cristiano». Le spoglie di Salvo D’Aquisto sono conservate nella basilica di Santa Chiara a Napoli.

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La scala che Cristo salì durante la Passione e il luogo più santo al mondo

Posté par atempodiblog le 25 février 2025

La scala che Cristo salì durante la Passione e il luogo più santo al mondo
La tradizione li identifica nei 28 gradini del Pretorio di Pilato percorsi da Gesù prima di essere condannato a morte. Moltitudini di fedeli giungono a Roma per salirli in ginocchio e ottenere l’indulgenza plenaria per sé o per un defunto. Nel Santuario affidato alla custodia dei Passionisti si conserva anche l’antica cappella privata dei Papi, detta « Sancta Sanctorum » che custodisce al suo interno reliquie di grande valore
di Paolo Ondarza – Vatican News

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È per eccellenza il Santuario della Passione di Cristo. Sorge a pochi passi dalla Basilica di San Giovanni in Laterano dove fino al XIV secolo, prima della attività avignonese, sorgeva il Patriarchio, l’antica residenza ufficiale del romano Pontefice. Conserva i ventotto gradini che la tradizione ci ha tramandato come quelli del Pretorio di Ponzio Pilato, fatti trasportare a Roma dalla madre dell’imperatore Costantino, Sant’Elena. La donna ritenuta di fatto la prima archeologa cristiana, durante il suo viaggio in Terra Santa tra il 327 ed il 328, effettuò numerose ricerche per ritrovare i luoghi della vita di Gesù.

A custodire “in perpetuum” la Scala Santa dal 1854, per volere di Pio IX, sono i Religiosi Passionisti il ​​cui carisma è quello di “promuovere la memoria della Passione del Signore”: “la più grande e stupenda opera del divino amore”, come diceva il fondatore San Paolo della Croce.

Per il Giubileo atteso un milione di visitatori
Ci lasciamo alle spalle l’intenso traffico urbano che caratterizza Piazza di San Giovanni in Laterano e ci dirigiamo a piedi verso questo luogo venerato e visitato da secoli da moltitudini pellegrini di tutto il mondo. Ad accoglierci nel silenzio dell’adiacente convento, voluto 150 anni fa da Papa Mastai, è il rettore Padre Leonello Leidi: “Generalmente in un anno superiamo il mezzo milione di visitatori. Quest’anno stima di arrivare al milione”, commenta illustrandoci anche le varie iniziative messe in calendario per l’Anno Santo. Tra tutte la celebrazione della Via Crucis e della Messa internazionale ogni venerdì pomeriggio, ad eccezione dei mesi di luglio e agosto.

Il trasporto è avvenuto in una notte
“Il Santuario – spiega il sacerdote – risale all’epoca di Papa Sisto V che lo istituì nel 1590 con la bolla Cum rerum singolarum . Un anno prima il Pontefice aveva chiesto al suo architetto di fiducia Domenico Fontana di traslare, in una sola notte come dicono le cronache, la Scala Santa dal lato nord dell’antico Patriarchio al luogo in cui oggi è collocata, al centro di altre quattro scale. Abbiamo notizie certe che fin dall’anno Mille questi 28 gradini siano identificati dai pellegrini con quelli saliti da Cristo diverse volte, quando venne giudicato e condannato a morte nel Pretorio di Gerusalemme”.

I-segni-delle-ginocchia-scavati-nel-marmo dans Apparizioni mariane e santuari

I segni delle ginocchia scavati nel marmo
Per antica tradizione la Scala Santa si sale solo in ginocchio. L’evidente segno del passaggio di generazioni di pellegrini sono i solchi scavati nei gradini di marmo, ricoperti di legno di noce nel 1724 da Papa Innocenzo XIII. “Salire è molto faticoso”, ammette padre Leidi, “questo esercizio ascetico vuole significare un atto di penitenza, un’immedesimazione nella Passione di Cristo”.

Le gocce del sangue di Gesù
Sul primo, sull’undicesimo e sull’ultimo gradino il rettore del Santuario ci fa notare la presenza di alcuni oblò in vetro, oltre i quali si intravedono croci di ottone e marmo: “Secondo una tradizione sviluppatasi nel Medioevo, su alcuni scalini gocce del Sangue di Cristo dopo la flagellazione.

Quelle macchie, oggi invisibili, sono ancora oggetto di devozione da parte dei pellegrini che qui si fermano, e vi posano il capo o oggetti religiosi”: innumerevoli preghiere, crocifissi, rosari, immaginette o fotografie di persone care per le quali si chiede una grazia speciale, sono stati ritrovati al di sotto della copertura lignea rimossa in occasione dei restauri conclusi nel 2020. Oggi sono conservati dai Padri Passionisti in un’apposita teca.

Un percorso penitenziale accessibile a tutti
Nel corso dello stesso intervento conservativo, condotto dalle maestranze dei Musei Vaticani e finanziato dai ‘Patrons of the Arts in the Vatican Museums’, in una delle quattro scale costruite attorno alla Scala Santa è stato installato un montascale per consentire anche alle persone con difficoltà motorie di compiere il pellegrinaggio e ottenere l’indulgenza plenaria che nel Santuario è concessa alle consuete condizioni (Confessione, Comunione, Credo e Preghiera per il Papa), ogni giorno dell’anno, al di là del Giubileo.

L’arte che favorisce la fede
La contemplazione nella salita di due delle scale laterali è favorita da 75 meravigliose scene bibliche affrescate sulle pareti e sulla volta nel XVI secolo su commissione di Sisto V, da almeno 12 pittori diversi: una Biblia Pauperum che aiuta il pellegrino ad immergersi nella storia della salvezza. Un ricco apparato decorativo di 33 affreschi con la Passione di Cristo avvolge invece il percorso della Scala Santa. Di 1700 mq in totale la superficie dipinta nel Santuario. In ginocchio saliamo i 28 gradini e grazie a queste opere è più facile immedesimarsi e meditare sui dolori del Rendentore.

Colomba Bonifacio VIII concepì il Giubileo
Terminata l’ascesa si giunge nel cuore del Santuario: la Cappella di San Lorenzo in Palatio, nota come « Sancta Sanctorum ». Originariamente inglobata nel Patriarchio, menzionata per la prima volta nel Liber Pontificalis dell’ottavo secolo, era la cappella privata del Pontefice. Padre Leidi la definisce “la Cappella Sistina dei primi tempi” dove “si svolgevano alcune funzioni della Settimana Santa”. Era il punto di partenza della “processione che portava il Pontefice appena eletto all’intronizzazione nella Basilica di San Giovanni”. “Possiamo immaginare – osserva il rettore del Santuario della Scala Santa – che in questo luogo Bonifacio VIII concepì l’idea del primo Giubileo del 1300”.

La cappella privata dei Papi
La cappella è chiusa da una massiccia porta in bronzo che, varcata, introduce ad un ambiente decorato da elementi gotici e affreschi della Scuola Romana voluti da Papa Nicolò III. Sotto i nostri piedi si stende come un pregiato tappeto il pavimento cosmatesco costituito da un mosaico di porfido, granito e marmo, colorato proveniente dagli antichi monumenti di età imperiale.

L-icona-del-Santissimo-Salvatore dans Articoli di Giornali e News

L’icona non dipinta da mano d’uomo
Appena dentro il sacello lo sguardo è catturato da un’antica icona di Cristo in trono, ricoperta da preziose lastre d’argento fin dai primi anni del secondo millennio. La sua esecuzione è databile tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. L’icona è da sempre venerata come il “Santissimo Salvatore”, titolo della vicina Basilica Lateranense. Avvolti nel mistero sono l’autore, le origini e l’arrivo a Roma di questa immagine che un’antica leggenda vorrebbe iniziata dall’evangelista Luca e completata dagli angeli: è detta infatti “acheropita”, ovvero “non dipinta da mano umana”.

Nei secoli passati al mattino di Pasqua i Pontefici si recavano nel « Sancta Sanctorum » per assistere all’ Anastasis, l’apertura delle ante che chiudevano l’icona, un rito che evocava l’uscita di Cristo dal sepolcro. Inoltre nella notte del 14 agosto, alla vigilia della solennità dell’Assunta, l’immagine del Santissimo Salvatore veniva condotta in processione attraverso il Foro Romano fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore dove alle prime luci dell’alba avveniva l’incontro con l’icona della “Salus Populi Romani”.

L’altare cassaforte
Al di sotto della venerata immagine si imponente un altare di epoca carolingia su cui può celebrare solo il Papa: si presenta come una cassaforte chiusa da porte di bronzo e circondata da una massiccia grata di ferro, serrata da un sistema di lucchetti molto complessi. Sulle porte in bronzo del XIII secolo sono effigiate le figure dei santi Pietro e Paolo, a memoria delle due teste degli Apostoli che qui un tempo si conservavano. All’interno è racchiusa un’arca cipressina dei tempi di Leone III contenente numerose reliquie di santi dei primi secoli del cristianesimo e altre riconducibili alla vita di Gesù Cristo stesso: dai sandali di Nostro Signore alle teste delle sante Agnese o Prassede. Erano custodite in preziosi reliquiari e teche medievali, dal 1905 esposti nel Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana, oggi parte del percorso di visita dei Musei Vaticani sotto la responsabilità del Reparto Arti Decorative.

Il frammento del triclinio dell’Ultima Cena
Sulla parete antistante la porta di ingresso della cappella è conservato invece in un reliquiario di legno e cristallo un frammento di legno che la tradizione identifica con una parte del triclinio su cui Gesù era adagiato durante l’Ultima Cena, il Giovedì Santo.

Il silenzio e il mistero si avvolgono chi accede in questo ambiente caratterizzato da una sacralità senza tempo. “Non est in toto sanctior orbe locus” recita il cartiglio lungo la parete: non esiste al mondo luogo più santo di questo.

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La monaca santa dei Ponti Rossi

Posté par atempodiblog le 16 février 2025

La monaca santa dei Ponti Rossi
La Beata Maria Giuseppina di Gesù crocifisso. Padre Pio le disse: “Ci santificheremo insieme”.
di Francesco Bosco – Voce di Padre Pio

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Una bambina come tante
Giuseppina Catanea nasce a Napoli il 18 febbraio 1896, da Francesco, impiegato ferroviario a Benevento, e Concetta dei marchesi Grimaldi. Terzogenita di una famiglia devota e amorevole, viene battezzata pochi giorni dopo la nascita. “Pinella”, così viene affettuosamente chiamata in famiglia, si distingue per la sua salute delicata, ma per il resto appare una bambina come tutte le altre, dimostrando una profonda spiritualità.
Nonostante sia solo una bambina, frequenta da sola la Chiesa di Santa Caterina e si dedica ad aiutare i bisognosi. Sebbene la sua salute fragile la costringa spesso ad assentarsi da scuola, riesce comunque a eccellere negli studi.
Nel settembre 1908, la sorella maggiore Antonietta entra nel monastero carmelitano dei Santi Giovanni e Teresa. Giuseppina l’accompagna, e quel momento segna l’inizio di una forte attrazione verso la vita monastica. Tuttavia, decide di accantonare temporaneamente l’idea, legata com’è alla madre alla quale è molto affezionata. Per un periodo pensa persino di costruirsi una vita matrimoniale, ma ben presto si rende conto che il suo destino è altrove, vicino a Dio. Riceve alcune proposte di matrimonio che rifiuta con cortesia. Tuttavia, uno dei suoi pretendenti, risentito dal rifiuto, arriva persino a ferirla con un’arma da caccia. Invece di denunciare l’accaduto, Giuseppina decide di tacere, coprendo ferita con un’immagine della Madonna e lasciando che guarisse da sola.
Nel frattempo la sorella Antonietta, costretta a lasciare il monastero per motivi di salute, viene scelta dal suo direttore spirituale, padre Romualdo di Sant’Antonio, per fondare un nuovo Carmelo a Napoli. Viene considerata una missione voluta da Dio e accolta con fede dalla famiglia.
Il 15 agosto 1910 Antonietta inizia la sua nuova vita religiosa in due modeste stanze prese in affitto dalle suore Betlemite a Santa Maria dei Monti, sui Ponti Rossi. Qui, il 22 ottobre, riceve l’abito carmelitano e prende il nome di suor Maria Teresa.

Quadro-Miracoloso-di-san-Giuseppe-ai-Ponti-Rossi-di-Napoli dans Fede, morale e teologia

Una irresistibile chiamata
Anche Giuseppina è presente alla cerimonia, celebrata nella Chiesa di Santa Teresa al Museo, e avverte nuovamente il richiamo alla vita consacrata.
Il 2 aprile 1913, viene benedetta la cappella della nuova casa, un segno che il sogno del Carmelo di Napoli si sta realizzando.
Dopo lunghe preghiere e riflessioni, Giuseppina comprende che deve seguire il suo cuore e rispondere alla chiamata di Dio. Comunica la sua decisione alla madre e alle zie, che si oppongono fermamente, ma lei risponde con determinazione: “Non posso più far attendere Colui che mi chiama”. Decide quindi di unirsi al Terz’Ordine Carmelitano, ricevendo lo scapolare come segno di appartenenza alla famiglia carmelitana.
Il 10 marzo 1918, prende la decisione definitiva. Chiede alla madre il permesso di andare ai Ponti Rossi per partecipare alla novena in onore di san Giuseppe. La madre acconsente, pensando che il cambio d’aria possa aiutarla a guarire definitivamente dagli attacchi d’angina. Tuttavia, Giuseppina non tornerà mai più a casa: la sua permanenza nel monastero si prolunga a causa dei bombardamenti della Prima Guerra Mondiale e dell’epidemia della “spagnola”.
A Natale si ammala. Il medico le diagnostica una bronco-pleurite che si aggrava fino a diventare polmonite doppia. Le condizioni peggiorano ulteriormente quando sviluppa una broncoalveolite, ma non perde la speranza, e sopporta le sofferenze offrendo tutto a Dio.
Nel novembre del 1920, decide di entrare definitivamente in monastero, nonostante le pressioni dei familiari per farla tornare a casa.
Poco dopo, la sua salute subisce un ulteriore colpo: viene colpita da tubercolosi alla spina dorsale, paralisi completa e meningismo spinale. Nonostante queste prove dolorose, Giuseppina cerca di abbracciare la volontà di Dio con serenità, mentre le sue consorelle pregano per la sua guarigione.

Quel misterioso vento
Nella primavera del 1923, ha un sogno che segna un punto di svolta nella sua vita: le appare un santo vestito di nero e una voce che accompagna la visione dice: “San Francesco ti ha guarita dal tuo male”. Quando padre Romualdo le porta un’immaginetta di san Francesco Saverio, Giuseppina riconosce immediatamente il Santo del sogno.
Il 26 giugno, la reliquia del braccio del Santo viene portata nella sua cella: subito dopo un misterioso vento la spinge a rialzarsi. Quella che sembrava una paralisi permanente scompare, e Giuseppina riesce a stare in piedi e a camminare, tra le grida di gioia delle sue consorelle. E’ un vero miracolo.
Da quel momento, inizia per lei, un nuovo tipo di apostolato. In parlatorio accoglie persone di ogni ceto sociale, offrendo conforto, consigli e preghiere.
Dopo un lungo percorso, che condusse Giuseppina anche a Roma in udienza da Papa Pio XI, arrivò l’approvazione pontificia del monastero nel 1932.
Un anno più tardi, Giuseppina e le altre monache ricevono ufficialmente l’abito carmelitano, e lei diventa suor Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso. La sua missione è quella di portare la luce di Dio a tutti coloro che la cercano.
Maria Jose, la futura regina d’Italia, viene a raccomandarle la sua creatura che sta per nascere. I suoi prediletti però sono i poveri e gli infelici.
È solita dire: “Lo dico a Gesù”.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Carmelo sperimenta, grazie a suor Giuseppina, una speciale protezione di Dio. Nonostante le bombe che cadono, tanta gente va da lei a chiedere la sua preghiera e notizie dei soldati lontani. Ella soffre l’indicibile e chiede continuamente a Dio la fine del conflitto armato. Consola, prega, ottiene l’impossibile. Vede il futuro il crollo del fascismo, l’Italia che rinasce.

Per Padre Pio era l’eletta di Dio
Sicuramente la santa monaca già conosceva Padre Pio, ma è dal 1940 che affiorano documenti che segnalano un rapporto di figliolanza spirituale quando dopo aver lanciato il suo grido di aiuto, Padre Pio dal Gargano le rispondeva tramite i comuni amici: “L’amato Padre Pio vi ha nel cuore quale eletta di Dio”.
All’inizio del 1944 dolori atroci stritolano il suo corpo lentamente, perde la vista, ma il suo sguardo rimane bello e luminoso.
La notte del 28 settembre Gesù le anticipa: “Sarà stentata la tua vita”.
I medici diagnosticano la sua nuova malattia: sclerosi a placche.
Continua a pregare: “Gesù, trasfigurami in Te”. Nonostante le sue condizioni, nel 1945 viene eletta priora e guida la comunità con dolcezza e determinazione.
Madre Giuseppina mantiene sempre il sorriso e la forza d’animo e continua ad accogliere i fedeli con parole di conforto e speranza.
Nel 1947, una donna napoletana dopo essersi confessata da Padre Pio, gli domanda: “Madre Giuseppina le manda a dire che vuole salvarsi l’anima. Se crede, le dica una parola per l’anima sua”. Padre Pio sorride e risponde: “Vuole salvarsi l’anima?”, poi con tono di voce appassionato, afferma: “Dille che le mando una fiumana di benedizioni, tutti i sorrisi degli angeli del Paradiso, e che ci santificheremo insieme”.
Le sue ultime parole mostrano una profonda accettazione della volontà di Dio: “E’ infermità della volontà di Dio”.
Riceve gli ultimi Sacramenti.
Offre le sofferenze atroci, le preghiere, la vita, per i sacerdoti, per i più lontani da Dio, per l’avvenire dell’Italia, per la Chiesa.
Prega intensamente: “Gesù, sii per me Gesù, sii per tutti Gesù”.
Muore serenamente il 14 marzo 1948, domenica di Passione. Pochi giorni prima, Padre Pio da Pietrelcina le aveva mandato a dire: “Prego tanto il Signore che l’aiuti nel suo olocausto, che sia sempre merito per sé, per le anime, per la gloria del Signore. Un giorno quando ci sarà dato di vedere la luce del pieno meriggio allora conosceremo quale valore e quali tesori siano state le sofferenze terrene che ci avranno fatto guadagnare tanto per la patria che non avrà fine. Dalle anime generose e innamorate, aspetta eroismi per giungere dopo l’ascesa al Calvario, al monte dell’Ascensione”.
Nel 1987 Papa Giovanni Paolo II la dichiarò Venerabile, mentre nel 2008 Papa Benedetto XVI la proclamò Beata. Oggi è conosciuta come la “monaca santa” dei Ponti Rossi.

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L’universo esprime un’armonia musicale

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2025

L’universo esprime un’armonia musicale
di Corrado Gnerre – Il Cammino dei Tre Sentieri

L’universo esprime un’armonia musicale dans Articoli di Giornali e News Il-ciclo-del-Sole-tradotto-in-note-diventa-una-sinfonia

Che cos’é l’armoniaIl dizionario risponde che l’armonia è una consonanza di voci o di strumenti in accordo tra loro. La parola chiave è “accordo”. Essa sottende l’ordine e il perfetto combaciamento.

La creazione può essere logicamente spiegata solo come effetto del Bene. Dio, infatti, deve essere concepito necessariamente come assoluto e, in quanto assoluto, non può aver alcun bisogno. Dunque, la causa prima non può che aver creato per pura gratuità. La pura gratuità è l’amore, dunque il Bene.

John Ronald Reuel Tolkien nel Simmarillon narra la creazione come una musica e poi precisa che il male nasce nel momento in cui s’inserisce la stonatura, ovvero lo stridore di Melkor.

I Pitagorici, al di là di certi errori insiti nel loro pensiero, insistevano sul fatto che l’universo esprimesse una vera e propria musica; nella convinzione, cioè, che esso si fondasse per l’appunto sull’armonia.

Recentemente ansa.it ha riportato:

Una sinfonia che diventa sempre più incalzante, in un crescendo man mano che il Sole si avvicina al picco di attività nel suo ciclo di 11 anni: gli ultimi 3 anni di brillamenti solari sono stati tradotti in note musicali e trasformati in un video musicale dall’Agenzia Spaziale Europea grazie ai dati raccolti dalla sua sonda Solar Orbiter, che studia la nostra stella dal 2020.

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Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare

Posté par atempodiblog le 16 janvier 2025

Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare
Intervista con l’arcivescovo visitatore apostolico inviato da Papa Francesco nella parrocchia delle presunte apparizioni: è lui a leggere preventivamente i messaggi attribuiti alla “Regina della Pace” e ad autorizzarne la pubblicazione
di Andrea Tornielli – Vatican News
Tratto da: Radio Maria

Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare dans Andrea Tornielli Radio-Vaticana-Andrea-Tornielli-e-il-Nunzio-Apostolico-Cavalli

«Medjugorje è un posto normale, senza alcuna cosa speciale ed è divenuto per grazia un luogo spirituale dove le persone vengono da ogni parte del mondo. Vengono, e lì cominciano a pregare». Lo afferma in un’intervista con i media vaticani l’arcivescovo Aldo Cavalli, 78 anni, lecchese, una vita trascorsa al servizio della Santa Sede nelle nunziature, che nel novembre 2021 è stato inviato da Papa Francesco come visitatore apostolico nel piccolo paese della Bosnia ed Erzegovina divenuto negli ultimi quarant’anni uno dei centri mariani più visitati del mondo. Il 2024 è stato un anno importante per Medjugorje: lo scorso maggio il Dicastero per la dottrina della fede ha pubblicato le nuove norme sui presunti fenomeni soprannaturali che facilitano il via libera alla devozione senza impegnare la Santa Sede nella dichiarazione di soprannaturalità. E a settembre è stata divulgata la nota intitolata “La Regina della Pace”, dedicata all’esperienza spirituale di Medjugorje, che assegna al fenomeno mariano il “nulla osta”, cioè il riconoscimento più alto tra quelli previsti dalle nuove norme. Da allora i “presunti messaggi” che i veggenti ricevono vengono pubblicati «con approvazione ecclesiastica».

Già da qualche anno lei vive nella parrocchia di Medjugorje e incontra i pellegrini. Qual è stata la sua esperienza?
A Medjugorje non ero mai stato. Però sono italiano, e come tanti del mio Paese avevo avuto contatti con chi ci era andato. Sempre notavo, quando tornavano da Medjugorje, che queste persone erano più impegnate a livello spirituale e umano: in chiesa, nelle catechesi, nel fare il bene. Erano molto più impegnate di prima. Ora sono lì da tre anni: è un luogo normale, senza nessuna cosa speciale ed è divenuto per grazia un luogo spirituale dove le persone vengono da ogni parte del mondo. Vengono e lì cominciano a pregare. Entrano in comunione con il Signore Gesù e la Vergine Maria li accompagna. È un pregare semplice: vogliono cambiare vita, vivere meglio di prima, vogliono risolvere o affrontare bene i problemi che hanno. Un cambiamento che si chiama conversione, che si attua in particolare nel sacramento della penitenza. Questo accade normalmente a Medjugorje.

Che cosa la colpisce guardando ai tanti pellegrini?
Arrivano giovani e adulti. Vengono senza alcuna sponsorizzazione. Arrivano tutti con uno scopo: incontrare il Signore e la Vergine Maria. Non trovano niente da vedere o da visitare: come turismo religioso siamo a zero. Ma qui giovani e adulti cominciano a pregare. Ero appena arrivato, a febbraio di tre anni fa, e mi trovavo tra le panchine all’aperto dietro la chiesa. Viene una famiglia latinoamericana, con un ragazzo quindicenne che era un ribelle, un vero ribelle! Dopo appena cinque minuti è venuto a confessarsi… e i genitori lo guardavano sorpresi. È un luogo di grazia che il Signore ha scelto per farsi incontrare. Il nulla osta del Papa vuol dire: andate, andate, andate! Andate lì perché è un luogo di grazia, dove si incontra il Signore e il Signore ti incontra.

Grazie alle nuove norme volute da Papa Francesco, ora il procedimento per esaminare e pronunciarsi su questi casi punta più sui frutti spirituali.
Il Dicastero per la Dottrina della fede ha esaminato due punti che sono documentabili. Il primo riguarda i frutti. A Medjugorje vengono da ogni parte del mondo, in migliaia e migliaia. Quest’anno sono venuti due milioni di persone adulti e giovani. Quasi 50.000 preti sono venuti per pregare, per convertirsi. Poi altri frutti molto importanti sono le tante vocazioni. Tante persone che pregano. Il secondo elemento che è stato esaminato sono i messaggi. Ogni messaggio è stato confrontato con la nostra fede e si è constatato che i messaggi vi corrispondono. Frutti molto positivi, e i messaggi positivi per la fede: questo ha permesso di dire che Medjugorje è un luogo di grazia.

Lei è personalmente coinvolto nella pubblicazione dei messaggi che vengono divulgati una volta al mese. Che cosa accade concretamente?
È molto semplice: quando c’è un messaggio, chi l’ha ricevuto lo scrive e me lo invia nella lingua in cui scrive, cioè il croato. Me lo traducono subito in italiano. Questo processo è molto interessante: ci sono almeno due mediazioni umane molto importanti: per quello che parliamo sempre di “presunti messaggi” anche se siamo in favore al punto che alla fine del messaggio scriviamo: “con approvazione ecclesiastica”. Ma attenzione, i messaggi sono definiti “presunti” perché passano attraverso due mediazioni umane: non scrive la Madonna, scrive la persona che riceve. La seconda mediazione è la traduzione dal croato all’italiano: sono due lingue totalmente differenti. Noi diciamo che il messaggio va bene, che corrisponde alla fede e invitiamo a leggerlo e meditarlo perché è positivo. Non aggiunge nulla alla Rivelazione, però arricchisce. Aiuta a vivere meglio la fede oggi.

Sappiamo che nessuna rivelazione privata, dunque nessuna delle apparizioni mariane, aggiunge niente alla Rivelazione. Quale atteggiamento dobbiamo avere e quali rischi evitare? Perché talvolta c’è il rischio di lasciarsi prendere da un eccesso di curiosità verso i “segreti”, una curiosità un po’ apocalittica.
Il Dicastero per la Dottrina della fede lo scorso maggio ha pubblicato delle norme che sono fondamentali per capire la decisione su Medjugorje. Ha ricordato che prima cosa la Rivelazione, la Parola di Dio, è solo la Bibbia è che questa Rivelazione si è conclusa con l’Apocalisse. Ciò non toglie che lo Spirito Santo si possa servire di messaggi e di rivelazioni private affidate a persone e che servono per attuare meglio l’unica vera Rivelazione. Tutto questo non aggiunge niente alla Rivelazione, ma può essere utile. Ecco l’importanza dei messaggi. Possono essere utili per attuare oggi la Rivelazione che il Signore ha fatto una volta per sempre.

Lei ha conosciuto i veggenti di Medjugorje? Li ha incontrati?
Sì. E posso dire che sono persone semplici, hanno la loro famiglia, hanno i problemi che ha ogni famiglia.

Scusi se la interrompo: qualcuno aveva fatto un’obiezione per il fatto che nessuno di loro era diventato prete o suora…
Ma ognuno ha la sua vocazione! Sono persone semplici, persone buone. Non ho niente da dire. Ci vediamo spesso, prendiamo il caffè insieme. Sono persone che crescono nella fede, ognuno alla propria maniera, e diventano sapienti, sempre più sapienti. Sto in contatto con loro: non sono diventati preti o suore e ognuno ha la sua missione, la sua vita di famiglia.

Che cosa ha imparato in questi tre anni trascorsi nella parrocchia di Medjugorje?
Che lì c’è la grazia. Ho imparato che il Signore, con la sua grazia, ci segue sempre. Ho imparato che il Signore nella nostra vita ha un piano e ci accompagna. Ci vuole bene.

A Medjugorje la Madonna si è definita “Regina della Pace”. Un messaggio quanto mai attuale in questo nostro tempo.
Uno dei primi presunti messaggi, del 1981, è molto profondo a questo proposito. Dice: pace, pace, pace che regni la pace. Attenzione: non tra di noi, ma innanzitutto tra Dio e noi, e poi anche tra di noi. Questo è fondamentale. Quando gli ebrei sono usciti dall’Egitto, Dio ha detto tramite il profeta Mosè: se volete vivere liberi, ci sono alcune regole da seguire, sono i Comandamenti. Dio per la pace è fondamentale. Nei comandamenti ci vengono dette poche cose per vivere: rispettare la vita e non uccidere, la famiglia è fondamentale punto di riferimento, rispettiamoci a vicenda. Se viviamo così viviamo in pace. Se invece non viviamo così ci sono le guerre.

Un’altra caratteristica che rende particolarmente attuale il messaggio di Medjugorje è il fatto che la presunta apparizione sia avvenuta in una terra dove convivono religioni diverse e che è stata segnata in tempi recenti da violenze terribili. Ci sono messaggi che toccano questo tema. Che cosa può dire in proposito?
La parola che usiamo è dialogo. Dia logos, dialogo tra di noi, ma logos vuol dire: io ti presento la mia identità, ti presento il mio modo di vivere, di pensare, di credere, di attuare. Tu mi presenti la tua identità. Dialogando ci conosciamo, ognuno mantenendo la sua identità. Se perdiamo l’identità, non dialoghiamo più. E allora viene la tragedia. Lì ci sono diverse religioni, diversi modi di vivere. Dobbiamo dialogare. E lì noi a Medjugorje abbiamo una identità chiara: il Signore Gesù Cristo è per noi l’unico Signore.

Le nuove norme pubblicate lo scorso maggio dal Dicastero per la Dottrina della fede sono espressione dell’animo pastorale di Papa Francesco e corrispondono all’atteggiamento di grande attenzione verso la fede dei semplici e la devozione popolare. Quanto è importante questo aspetto?
Dobbiamo mettere dei punti di riferimento di fede molto forti. La fede popolare si arricchisce mettendo come punto di riferimento la Madre di Dio e punto di riferimento assoluto, il Signore Gesù Cristo. La Madre di Dio che ti accompagna a questo incontro. Quando la gente semplice viene con tutti i suoi problemi, si incontra con la Madre di Dio che ha sofferto come loro. L’immagine della Vergine Addolorata c’è in quasi tutte le parrocchie: lei che ha sofferto come te, e ti accompagna al Signore Gesù che ti dà la forza per vivere bene. Cambiare vita non è lasciare la famiglia, lasciare il lavoro… quando ritorni nella vita di prima, sei cambiato dentro. Sai che con il Signore posso affrontare i problemi. Ecco la fede dei semplici. Ecco il Rosario, l’Eucaristia e l’adorazione eucaristica. La scorsa estate avevo davanti a me 30/40 mila giovani che stavano in adorazione in un silenzio assoluto. Lì, in quel pane trasformato, c’è la presenza reale, sostanziale del Signore Gesù Cristo. Lui mi guarda, io lo guardo, Lui mi parla, io gli parlo. Quante persone mi han detto: io lì ho sentito il Signore che mi ha parlato.

Da quanto ci ha raccontato e da quanto abbiamo letto nella Nota del Dicastero sul fenomeno di Medjugorje, si può concludere rivolgendo l’invito a tutti di compiere questo pellegrinaggio?
Il documento vuol dire in modo ben chiaro: andate a Medjugorje perché è un luogo di grazia.

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Natale: un calore che scioglie i cuori induriti

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2024

Natale: un calore che scioglie i cuori induriti
L’intervento del Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione: per quanto ci si impegni ad oscurarne il significato, questa rimane la festa che unisce tutti, credenti e atei
di Davide Prosperi – Corriere della Sera

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Caro direttore,
in una recente intervista al Corriere, Lorenzo Jovanotti dice a un certo punto, commentando Imagine di John Lennon: «Un mondo senza religioni sarebbe peggiore, perché la fede è la cosa più umana di te. (…) Il punto non è liberarsi delle religioni; è liberarci». E più avanti: la Chiesa è «casa mia». In questo, Jovanotti descrive un’esperienza che è anche la mia. Ma soprattutto ha espresso una posizione rivoluzionaria rispetto al pensiero comune.

Le sue parole aprono interrogativi che credo riguardino tutti: in che senso la fede può liberarci? E in che modo la Chiesa, cioè una realtà umana fatta di persone limitate e fragili come tutti, può essere luogo di vera liberazione? Sembra solo una favola, o un’assurdità. C’è però un dato innegabile: tutti hanno il desiderio di essere davvero liberi. Liberi da quel sentimento d’essere niente, numeri casuali persi in una massa indistinta; un sentimento che neanche l’espandersi di una libertà fondata sui diritti e sulla tecnologia è in grado di sopire.

Ci ritroviamo così a sopprimere questo desiderio con svariate distrazioni, immersi in una cultura che fa di tutto per favorirle. E dunque? Scrive Italo Calvino, riferendosi a quella sorta di “inferno” che è spesso la vita quotidiana: «Due modi ci sono per non soffrirne; il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più; il secondo è rischioso ed esige attenzione ed approfondimento continuo, cioè cercare e saper riconoscere chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno e farlo durare, e dargli spazio».

In apparenza, di fronte al moltiplicarsi di guerre e di episodi di intolleranza e violenza, di fronte all’aridità che spesso prevale nelle nostre giornate, viene la tentazione di rassegnarsi al primo modo. A meno che, in mezzo all’inferno, ci sia davvero qualcosa che inferno non è. Don Giussani commenta così la frase di Calvino: «“Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno”. È accaduto, questo! (…) il Destino, il Destino nostro, si è reso Presenza. Ma Presenza come padre, madre, fratello, amico, come un compagno improvviso di cammino. Un compagno di cammino: Emmanuele, il Dio con noi! È accaduto questo!». In un momento preciso della storia, è accaduto qualcosa di nuovo che ha cambiato tutto. Eppure, senza apparentemente cambiare niente.

Ecco la cosa veramente “rivoluzionaria” del Natale. Che cosa può cambiare infatti un bambino che giace in una mangiatoia? Per quanto ci si impegni ad oscurarne il significato, questa rimane la festa che unisce tutti, credenti e atei. Quasi inconsciamente tutti sentono lo strano, paradossale calore che si sprigiona da quel neonato che giace al freddo. Un calore che scioglie i cuori induriti, che unisce e riconcilia, ridando speranza. Non credo sia un caso che il Natale si tenda a festeggiarlo con i propri cari. È proprio a Natale, davanti a questo Dio bambino che dorme tra le braccia di sua madre, che riscopriamo il potere che anche i nostri fragili corpi hanno di dirci gli uni gli altri ciò che è più essenziale, scambiandoci l’unica parola che davvero libera: sei amato. Don Giussani diceva che «occorrerebbe guardare alla famiglia come all’esempio più impressionante dell’Incarnazione».

Attraverso la pochezza apparente della nostra umanità continua a passare il calore della compagnia di Dio alla nostra vita: padre, madre, fratello, amico. Dante allude a tutto questo da par suo, nel XXX Canto del Purgatorio: “Io vidi già nel cominciar del giorno / la parte oriental tutta rosata, / e l’altro ciel di bel sereno addorno; / e la faccia del sol nascere ombrata, / sì che per temperanza di vapori / l’occhio la sostenea lunga fiata”. Come l’intensità abbagliante della luce del sole diviene all’alba sopportabile alla vista, grazie ai “vapori rosacei” che a quell’ora la “temperano”, così, l’amore divino, si rende afferrabile, percepibile, attraverso il “rosa” della nostra carne, attraverso cioè una compagnia umana. Non c’è un annuncio più paradossale e al tempo stesso più ragionevole. Ed io mi ritrovo a dire, con umile gratitudine, assieme a tanti altri amici, che questa compagnia guidata dal Papa, la Chiesa, “è casa mia”. Con il desiderio di darle spazio, offrendola a tutti.

L’autore è Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione

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Giubileo, il Papa apre la Porta Santa: “Portiamo speranza nei luoghi profanati da violenze”

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2024

Giubileo, il Papa apre la Porta Santa: “Portiamo speranza nei luoghi profanati da violenze”
Francesco compie il rito che dà inizio all’Anno Santo. Per primo attraversa il varco di San Pietro, dietro di lui oltre 50 pellegrini di ogni angolo del mondo in abiti tradizionali. Circa 25 mila persone in Piazza, altre 6 mila in Basilica dove il Pontefice celebra la Messa della Notte di Natale. Nell’omelia l’invito a “trasformare” un mondo piagato da povertà, schiavitù, conflitti: “Pensiamo ai bambini mitragliati, alle bombe su scuole e ospedali”
di Salvatore Cernuzio – Vatican News

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In silenzio, sulla sedia a rotelle, con il capo chino in preghiera e l’espressione assorta. Due colpi alle valve di bronzo tra le formelle che narrano la storia della salvezza. La Porta Santa della Basilica di San Pietro si spalanca e Papa Francesco per primo la attraversa.

Inizia il Giubileo. Inizia l’Anno Santo della speranza. Inizia il tempo delle indulgenze, del perdono, della rinascita, del rinnovamento. Il tempo dell’impegno a “portare speranza là dove è stata perduta”.

Dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza

“Pellegrini di speranza” da ogni angolo del mondo
Il momento è solenne. I rintocchi delle campane accompagnano il lento incedere di Francesco. I fedeli – 25 mila fuori nella Piazza a seguire la celebrazione dai maxi schermi, circa 6 mila all’interno di San Pietro –, che fino a quel momento hanno atteso l’arrivo del Papa con la preghiera, rimangono per tutto il tempo in silenzio. Si uniscono alla Schola Cantorum intonando l’inno d’ingresso che risuona nell’atrio e all’esterno.

Cinquantaquattro pellegrini di diverse nazionalità, anche da Cina, Iran e zone dell’Oceania, attraversano la Porta Santa dopo il Papa. Si vedono copricapi piumati, cerchietti di fiori, sombrero, turbanti, mettersi in fila e attraversare il varco che il Pontefice chiuderà il 6 gennaio 2026. Sono i primi “pellegrini di speranza”, insieme a cardinali, vescovi, concelebranti, rappresentanti di altre religioni cristiane, autorità tra cui il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la premier Giorgia Meloni.

Il dolore per le guerre
“A ogni uomo e donna sia dischiusa la porta della speranza… che non delude”, scandisce Francesco durante il rito nell’atrio della Basilica. Ha il volto serio, ma negli occhi si legge la commozione. È al suo secondo Giubileo, dopo quello straordinario indetto nel 2016 per ricordare al mondo l’importanza della Misericordia. Questo è il XXVII Anno Santo ordinario della Chiesa cattolica, oltre mille anni dopo il primo, venticinque dopo il “grande Giubileo” di San Giovanni Paolo II che traghettò la Chiesa nel nuovo millennio. Ora un Papa ottantottenne, “venuto dalla fine del mondo”, vuole dare un’iniezione di speranza ad un mondo afflitto come mai negli ultimi decenni da crisi, violenze, guerre che costringono ad assistere a scene drammatiche come “bambini mitragliati” o “bombe su scuole e ospedali”, come Francesco denuncia – a braccio – nell’omelia della successiva Messa della notte di Natale.

Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi. Ma non dimenticatevi, sorelle e fratelli, che Dio perdona tutto, Dio perdona sempre

La speranza una promessa, non un happy end
La “speranza cristiana” che si fa dono nel tempo giubilare “non è un lieto fine da attendere passivamente”, “non è l’happy end di un film”, bensì “la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme”, dice il Papa in una Basilica gremita, ornata di fiori, dove all’altare è esposta la statua della Madonna Madre della Speranza. Questa speranza è “qualcos’altro”; chiede di muoverci “senza indugio” verso Dio. “A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo”.

“La speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre!”

Trasformare il mondo
“Fratelli e sorelle, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza!”, esclama Papa Francesco. L’Anno Santo “ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù”.

“Senza indugio”
Il Papa invita a mettersi in cammino “senza indugio” così da “ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo”. Tante desolazioni: “Pensiamo alle guerre”, afferma il Papa. “Non indugiare”, “non trascinarci nelle abitudini”, “non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia”, esorta ancora. La speranza “ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”.

La speranza che nasce in questa notte non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità, e tanti di noi abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità. La speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri

“Audacia”, “responsabilità”, “compassione”, sono le strade che indica il Vescovo di Roma in questo tempo speciale, a partire già da questa notte in cui si apre la “porta santa” del cuore di Dio: “Con Lui – conclude il Papa – fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia”. Con Lui “la speranza non delude”.

Al presepe della Basilica
Al termine della Messa, il Papa, accompagnato da un gruppo di bambini di diverse nazionalità, si reca al presepe all’interno della Basilica per posare nella grotta la statua di Gesù Bambino. Anche lì qualche istante in preghiera dinanzi alla natività a cui ha esortato a guardare come riferimento per la vita. Poi un passaggio attraverso la navata centrale per salutare le due ali di fedeli.

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Parigi. C’è un presepe di Napoli nella cattedrale di Notre-Dame

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2024

Parigi. C’è un presepe di Napoli nella cattedrale di Notre-Dame
Esposto il capolavoro settecentesco appartenuto al collezionista Ravaglioli. L’allestimento potrà essere ammirato fino a inizio febbraio
di Daniele Zappalà – Avvenire
Tratto da: 
Radio Maria

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Questo primo Natale celebrato a Parigi nella Cattedrale di Notre-Dame appena riaperta ha pure un sapore e colori un po’ italiani. Avanzando nella navata Nord, i fedeli e visitatori vengono presto attratti dall’incanto di un’isola di luce che suggerisce già a distanza il mistero fulgido della Natività. Si tratta proprio di uno splendido presepe di tradizione napoletana settecentesca, allestito grazie a una felice comunanza d’intenti fra i due versanti delle Alpi.

L’insieme si deve al critico d’arte e collezionista Alberto Ravaglioli, deceduto prematuramente l’anno scorso. Lungo i decenni, per studio e passione, aveva esplorato i segreti della nobile arte partenopea, instaurando un rapporto speciale proprio con le due botteghe artigianali all’origine del presepe esposto ora a Parigi: quella dei fratelli Sinno, per quanto riguarda le figure, e quella di Biagio Roscigno, per le scenografie.

Il sì della Cattedrale è giunto anche grazie all’impegno dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, prima di un sostegno offerto pure dall’Ambasciata d’Italia a Parigi. Allestito su una lunghezza di 6 metri, il presepe incanta tanto per il numero delle figure — circa 160, di un’altezza attorno ai 25 centimetri —, quanto per la pregevolezza di ogni singolo dettaglio, oltre che per la variopinta armonia d’insieme.

Destinato ad essere ammirato da oltre 2 milioni di persone fino a inizio febbraio, il presepe ha ricevuto venerdì scorso la benedizione di monsignor Olivier Ribadeau Dumas, rettore della Cattedrale, pronto a sottolineare pure il felice contesto di questa presenza dell’arte napoletana a Parigi:

«Papa Francesco, qualche giorno fa in Corsica, ha parlato della religiosità popolare, della necessità di vivere la nostra fede con dei segni. Il presepe è una manifestazione essenziale di questa religiosità popolare e permette alle persone di raccogliersi e di riconoscersi in questi pastori che illustrano così bene la vita di tutti i tempi, di tutti i giorni».

Per il rettore, la natura stessa dell’iniziativa ha un forte valore simbolico: «È un nuovo segno dell’amicizia fra la Francia e l’Italia. È un nuovo segno della cattolicità della Chiesa, cioè della sua universalità. La Chiesa è universale, tutte le tradizioni vi si ritrovano. E la tradizione napoletana di questo presepe ci dice magnificamente che è fatto affinché chiunque passi davanti possa pregare».

L’opera è stata posta ai piedi della Natività trecentesca rappresentata sulla facciata esterna del coro di Notre-Dame, all’insegna dunque pure di un felice gioco di corrispondenze artistiche fra Medioevo e Settecento.

Per la realizzazione del sogno di Alberto Ravaglioli di vedere il proprio presepe esposto a Notre-Dame si è molto speso il fratello Marco, già corrispondente Rai e deputato Dc: «Opere come queste sono pure straordinari biglietti da visita e strumenti dei rapporti internazionali. In un modo che resta al di sopra degli interessi contingenti, danno visibilità allo spirito italiano più autentico e genuino. Così, si porta nel mondo il messaggio della cultura e della spiritualità italiane». Al fianco della realizzazione, pure sponsor quali Banca Intesa San Paolo, Ferrero, Generali e World Cargo.

L’avvocato Agatino Alajmo, amico intimo di Alberto Ravaglioli, è un altro protagonista dell’iniziativa: «Si tratta innanzitutto di una promessa mantenuta. È stato un lavoro duro, ma pure un’esperienza bellissima, oltre che una grande soddisfazione. Il risultato è un messaggio di fede e di fiducia».

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La storia incredibile di Nadia Nadim, la dottoressa del calcio che ha segnato a San Siro

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2024

La storia incredibile di Nadia Nadim, la dottoressa del calcio che ha segnato a San Siro
Fuggita a 11 anni dall’Afghanistan, con la mamma e le sorelle, dopo l’assassinio del padre per mano dei Talebani, ha scoperto il calcio in un campo profughi in Danimarca e non è finita lì
di Elisa Chiari – Famiglia Cristiana

La storia incredibile di Nadia Nadim, la dottoressa del calcio che ha segnato a San Siro dans Articoli di Giornali e News Nadia-Milan

C’è chi dice che la vita di Nadia Nadim, l’attaccante del Milan che dal 10 dicembre 2024, è la prima calciatrice straniera a segnare una rete a San Siro, sembra un romanzo o un film. Ma chi lo fa dimentica che spesso la realtà ha più fantasia di ogni arte e di ogni letteratura. La storia da 250 reti nel calcio femminile di questa donna tosta, che non disdegna di mostrarsi su Instagram in mille vesti, sportive e da sera, e anche da sposa quando nell’agosto scorso ha sposato in Turchia il fidanzato storico Idrees, è cominciata nel 1988, da secondogenita di una famiglia di cinque figlie femmine.

Nadia aveva sette anni quando i Talebani hanno preso il potere e ristretto la sua vita di bambina. Ne aveva 11, quando il padre, generale dell’esercito considerato espressione dell’esiliato governo di Burhanuddin Rabbani, è stato ucciso dai Talebani. In quel momento la madre ha preso il coraggio della disperazione ha venduto tutti gli averi di casa per partire con cinque bambine alla ricerca di un posto di mondo meno pericoloso in cui vivere, nell’immaginario c’era Londra, dove già c’era un pezzo di famiglia. Il destino ha deciso diversamente: attraverso il Pakistan, con passaporti falsi rimediati a Islamabad, sono arrivate fino all’Europa. Nelle tappe del viaggio anche Milano, quattro giorni in quello che nei suoi racconti di questi anni Nadia ha raccontato come uno scantinato freddo, buio e molto sporco. Di lì in clandestinità dentro un camion che si credeva diretto in Inghilterra e invece è approdato a Renders in Danimarca, dove prima di qualunque altra cosa hanno dovuto chiedere a un passante: “Dove siamo?”. Per poi approdare al primo posto di polizia a fare domanda di asilo. Una domanda accolta in tempi relativamente brevi e cominciata con l’umanità di un agente che a cinque bambine sedute ad aspettare la mamma che esponeva le sue ragioni alla Polizia, ha chiesto a gesti toccandosi la pancia: “avete fame?” e ha rimediato loro qualcosa da mangiare. Un ricordo capace di fissarsi nella mente di una bambina che ancora non aveva un posto nel mondo e di indirizzare in lei un desiderio ancora senza forma di fare qualcosa per aiutare gli altri.

Il calcio a quel tempo non era neanche nei calcoli: nessuna di quelle bambine aveva mai visto una ragazza giocare a pallone. È successo per la prima volta dietro la rete di un campo profughi danese, dove Nadia e la mamma e le sorelle sono state per qualche anno. Quel campo di calcio, in cui Nadia e le due sorelle più grandi sono entrate quasi per caso, è diventato presto l’emblema della libertà: dopo cinque anni in cui era stato loro vietato di uscire, di andare a scuola, di fare sport di fare qualunque cosa, passare la mattina a studiare la lingua del Paese che le aveva accolte e il pomeriggio a giocare, un gioco creduto da maschi, con le altre bambine rifugiate, significava un modo diverso di vedere la vita e cominciare a pensarsi in un mondo nuovo.

Una volta uscita dal campo profughi, e arrivata in una piccola vera casa, Nadia ha cominciato a giocare con una società di Skørping vicino a dove vivevano. Ma presto con la scoperta del talento è arrivata la proposta di una squadra di livello superiore l’Aalborg. Significava bicicletta, treno, autobus, ore di viaggio dopo la scuola. La madre non voleva saperne: dovete studiare, se non studiate vi perderete, il calcio non è un lavoro e poi non abbiamo i soldi. In una parola tutto il campionario di ragionevolezza che metterebbe davanti una madre sola con cinque figlie in un paese straniero. La società si offrì di pagare il viaggio rimuovendo il primo ostacolo, Nadia fece il resto mantenendo la promessa di portare a casa sempre i voti migliori. Era partita da una sequela di “non puoi”, a trasgredire i quali si rischiava la vita, nella sua nuova aveva deciso che avrebbe rimosso da sola gli ostacoli che erano solo questione di organizzazione e di buona volontà.

Questo ha fatto sì che oggi Nadia Nadim sia una stella del calcio femminile, la prima naturalizzata a far parte della Nazionale di calcio danese, che ha giocato nel Paris Saint Germain, nel Machester City e ora nel Milan, mettendo insieme oltre 250 reti.

All’università di Aarhus in Danimarca si è laureata in medicina, utilizzando il periodo in cui ha giocato negli Stati Uniti per studiare durante la stagione di gioco e concentrare i tirocini nella pausa dal campionato, più lunga che in Europa: c’è voluto più tempo del normale: un semestre all’anno invece di due, ma anche in questo Nadia ha mantenuto la promessa fatta alla madre e risposto a chi le diceva: “Non ce la farai mai”. Ripete di aver scelto la medicina in ossequio a quel desiderio di tornare un giorno utile a qualcuno.

La visibilità che ottiene sul campo da calcio le serve anche per promuovere nel mondo l’importanza dello sport e dell’istruzione per le bambine e i bambini dei Paesi più poveri. Quando le chiedono della parità nel calcio risponde: «Non sono femminista, ma umanista, nel senso che mi interessano le persone, e realista: so che non arriveremo facilmente alla parità con i maschi nel calcio ma possiamo crescere molto». E intanto si batte perché nessun bambino e nessuna bambina nel mondo davanti all’aula di una scuola o a un campo di calcio si senta sentire dire: «Non puoi». Al momento la sua residenza è la Danimarca, è lì che ha comprato la prima casa alla sua mamma, scomparsa nel 2022 investita da un camion. Ha detto che se mai tornerà in Afghanistan sarà come chirurga. Vuol dire che il mondo, quel mondo, deve fare ancora un pezzo di strada.

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Nigeria: a Kaduna è nata Radio Maria

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2024

Nigeria: a Kaduna è nata Radio Maria
Tratto da: Notizie da Radio Maria nel mondo

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Ieri, 9 dicembre 2024, a Kaduna è nata Radio Maria. Cinque vescovi e circa 100 sacerdoti hanno celebrato la Santa Messa d’inaugurazione.
È stato un evento per tutta la provincia ecclesiastica di Kaduna. In questa regione tristemente conosciuta per Boko Harakiri, Radio Maria è un mezzo per l’evangelizzazione, la promozione della pace e riconciliazione tra le diverse religioni e gruppi etnici.
Il Nunzio Apostolico della Nigeria ha inviato un prezioso messaggio di auguri.
Che la Madonna benedica gli italiani dal cuore così generoso con Radio Maria, che hanno reso possibile la realizzazione di questa Radio Maria importatissima!

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La Cattedrale di Notre-Dame riapre: per far tornare la sua Vergine

Posté par atempodiblog le 28 novembre 2024

La Cattedrale di Notre-Dame riapre: per far tornare la sua Vergine
Migliaia di fedeli di tutte le età, arrivati anche da altre città, alla processione che ha riportato in chiesa la statua trecentesca rimasta intatta tra le fiamme del rogo del 15 aprile 2019
di Daniele Zappalà – Avvenire
Tratto da: 
Radio Maria

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Dietro a quelle vetrate policrome già aggredite dalle fiamme, brilla ora una luce che annuncia una rinascita. Al calar della sera tanti fedeli, non solo parigini, contemplano quel chiarore, con il cuore gonfio d’una certezza: la Cattedrale di Notre-Dame è tornata ad essere una “casa”, da quando la sua porta centrale si è aperta, venerdì scorso, per il ritorno della Vergine con il Bambino, la statua trecentesca simbolo della venerazione mariana a Parigi, rimasta intatta in mezzo al rogo del 15 aprile 2019 e poi trasferita nella vicina chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois.

«Scatto foto per mia madre di 85 anni, malata, che voleva esserci. L’ultima volta, invece, ero venuto per mia sorella colpita dal cancro», ci ha detto Jean-Vianney, giunto dall’estremo Nord francese, proprio all’inizio della toccante processione con fiaccole dietro la statua, partita dal sagrato della chiesa in cui ha trovato “rifugio”. Emozionatissima anche Marie-Danielle, originaria della Martinica: «Maria è uscita vittoriosa dalle fiamme. Eppure, nella sua piccolezza, non ha mai cercato il primo posto». Da parte sua Robert-Paul, parigino, anch’egli con la fiaccola in mano, è stato impressionato dalla «portata storica del cantiere».

Fra canti intonati alla Vergine, immaginette sacre offerte ai fedeli, pause per le tappe dei Misteri della Gioia del Rosario, il fiume di fedeli ha catturato gli sguardi pure dei turisti, costeggiando fra l’altro i grandi magazzini La Samaritaine, dal nome d’ispirazione evangelica, prima della traversata della Senna sullo storico Pont Neuf e del passaggio davanti al Mercato dei fiori non lontano dalla Cattedrale. Su ogni parafiamma di carta, le tracce sempre diverse lasciate dalla cera sciolta, quasi a sottolineare l’originalità di ogni percorso di fede, alcuni dei quali “innescati” dal rogo epocale.

Per la solennità dell’Immacolata, le celebrazioni del 7 e 8 dicembre, con personalità religiose, politiche e dello spettacolo, riconsegneranno definitivamente Notre-Dame al culto, ai parigini, al mondo. Ma per i vertici diocesani della capitale, prima dell’altisonante ouverture ufficiale, occorreva una premessa incentrata sull’umiltà della fede d’ogni giorno che non cerca i riflettori. Proprio questo il senso della processione, in presenza di migliaia di fedeli d’ogni generazione, rimasti poi sul sagrato della Cattedrale per ammirare, appena oltre l’ultimo recinto del cantiere, l’ingresso discreto della statua nella navata centrale. Un emozionante passaggio di luce si è così schiuso all’improvviso, prima di una veglia di preghiera all’esterno animata da giovani.

«Portiamo in cuore la gioia per tutto ciò che ha seguito questo rogo. Per tutto ciò che si è vissuto attorno a questa cattedrale da cinque anni», ha detto l’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich, aggiungendo: «L’imprevisto di Dio è una costante della scoperta da parte del popolo che siamo, lungo i secoli, quando non attendevamo più nulla e tutto era scoraggiante. Invece Dio è lì, esprimendo la sua presenza, la sua attenzione, la sua tenerezza per tutta l’umanità». Per padre Stéphane-Paul Bentz, cappellano della Cattedrale, «la processione ha voluto accompagnare la Vergine nella sua casa. Una casa che è di nuovo abitabile e quasi pronta», come ha detto ad Avvenire, aggiungendo: «È stato un po’, simbolicamente, il trasloco della Vergine, se così si può dire, e la ritroveremo per la festa d’inaugurazione. Abbiamo voluto che tutto fosse semplice e per tutti, senza limiti d’accesso per nessuno».

Fra i presenti c’era anche Henri d’Anselme, il fedele 26enne divenuto celebre come «l’eroe con lo zaino di Annecy», dal nome della città in cui l’anno scorso aveva coraggiosamente placato con altri la furia di un attentatore sanguinario armato di coltello, ottenendo poi per questo la Legion d’Onore e un invito ufficiale alla cerimonia d’apertura di Notre-Dame. Del resto, al momento del suo atto eroico, il giovane stava compiendo a piedi proprio un giro fra le cattedrali di Francia: «È oggi la Vergine a prenderci per mano come bambini, verso questa Cattedrale che è una casa per gli uomini e per Dio. Notre-Dame ci apre le porte del Paradiso».

In queste settimane d’attesa palpitante della riapertura, parole come “speranza”, “unità”, “trascendenza” risuonano attorno a Notre-Dame che irradia nuovamente luce. Presso il vicino Museo di Cluny, si può già visitare la mostra “Far parlare le pietre”, dedicata agli straordinari resti architettonici decorativi ritrovati durante gli scavi di consolidamento. «Vedrete, la Cattedrale sarà più bella che mai», ha invece ribadito lunedì Philippe Jost, a capo del cantiere, durante un evento di presentazione della copertura eccezionale che i media francesi internazionali (France Médias Monde) hanno previsto per la riapertura. La sorprendente campagna mondiale di raccolta di fondi, forte di 340mila donatori, ha superato di 140 milioni di euro i bisogni della ricostruzione. Così, saranno possibili pure dei restauri che erano stati sempre procrastinati.

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San Francesco Saverio: a Goa è iniziata l’esposizione delle reliquie

Posté par atempodiblog le 22 novembre 2024

San Francesco Saverio: a Goa è iniziata l’esposizione delle reliquie
Evento solenne che si ripete ogni dieci anni richiamando migliaia di pellegrini che pregano davanti alle spoglie del grande evangelizzatore dell’Asia. “Siamo messaggeri della Buona Novella”, il tema scelto per l’evento che proseguirà fino al 5 gennaio. Accompagnato da una catena umana di mille giovani il tragitto dell’urna dalla basilica del Bom Jesus alla cattedrale.
di Nirmala Carvalho – AsiaNews

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Nella città vecchia di Goa si è aperta solennemente oggi l’esposizione delle reliquie di san Francesco Saverio, grande evento spirituale che ogni dieci anni vede convergere migliaia di pellegrini in questa città del sud dell’India che custodisce le spoglie del grande missionario dell’Asia. Popolarmente conosciuto come “Gõycho Saib” – cioè il patrono di Goa – il gesuita spagnolo Francesco Saverio, tra i primi compagni di Ignazio di Loyola, proprio qui sbarcò nel 1542 e ne fece poi la base per i suoi viaggi missionari, fino alla morte sopraggiunta il 3 dicembre 1552 sull’isola di Shangchuan, alle porte della Cina.

L’esposizione iniziata oggi durerà per 45 giorni fino al 5 gennaio 2025, andandosi così a intrecciare con l’inizio del Giubileo della Chiesa universale. Le reliquie – abitualmente custodite nella basilica del Bom Jesus – sono state portate oggi solennemente in processione alla cattedrale, dove resteranno esposte ogni giorno dalle 7 alle 18 al culto dei fedeli, rinnovando così una lunga tradizione di venerazione spirituale. “Siamo messaggeri della Buona Novella” è il tema scelto per l’esposizione di quest’anno, che si riflette nelle Messe quotidiane celebrate in lingua konkani e in inglese per i milioni di devoti attesi.

Accolti dal card. Filipe Feri Ferrao, arcivescovo di Goa e Darman, numerosi vescovi indiani e oltre 400 sacerdoti hanno concelebrato nella liturgia eucaristica inaugurale presieduta nella basilica del Bom Jesus dall’arcivescovo di Delhi, mons. Anil Joseph Couto, davanti a più di 40mila fedeli. Nella sua omelia il presule ha descritto san Francesco Saverio come “un uomo in missione”, sottolineando come la sua vita fosse una testimonianza vivente della proclamazione della salvezza in Cristo. L’arcivescovo ha esortato i fedeli a trarre ispirazione dalla sua dedizione, imitandone il fervore nella discepolanza e la sua coraggiosa testimonianza del Vangelo.

Prima dell’inizio delle celebrazioni religiose anche il governatore di Goa P S Sreedharan Pillai e il capo del governo locale Pramod Sawant hanno reso omaggio alle reliquie, che al termine del rito sono state poi trasportate fino alla cattedrale a bordo di un veicolo elettrico appositamente progettato. Ad accompagnarle sono stati il clero, rappresentanti selezionati di vari settori della società e una catena umana formata da 1.000 giovani, simbolo di unità.

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La musica che si fa preghiera nelle opere di Verdi e Puccini

Posté par atempodiblog le 22 novembre 2024

La musica che si fa preghiera nelle opere di Verdi e Puccini
Non pochi elementi rimandano alla fede in Dio nel repertorio operistico dei due grandi compositori italiani. La Tosca e il Nabucco sono pervasi da un anelito religioso. Un approfondimento nel giorno di Santa Cecilia.
di Antonio Tarallo – La nuova Bussola Quotidiana

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Cultura e devozione popolare s’intrecciano in Santa Cecilia di cui oggi ricorre la memoria liturgica: la santa dei musicisti, così il popolo di Dio la ricorda e la festeggia. E se si parla di musica è spontaneo parlare di “sacre” note. 

I compositori che hanno scritto di Dio nelle loro composizioni sono davvero innumerevoli: dal grande maestro Bach a Haydn, da Mozart a Verdi, da Ludwig van Beethoven a Mendelssohn passando per Brahms, fino a giungere al Novecento musicale (Poulenc, Britten, Penderecki e tanti altri). Sono composizioni dette “sacre”, appunto: si alternano così in questo vasto panorama musicale Messe e Requiem, preghiere e salmi trasformati in canti e note. Ma, c’è anche una produzione musicale che non è possibile inquadrare in questo contesto: sono note musicali, rimandi, versi che parlano della fede in Dio o della Chiesa, presenti in alcune composizioni operistiche “laiche” (definiamole pur così). Non sono poche, infatti, le opere liriche che fanno riferimento al tema del sacro: melodrammi che, a un certo punto della trama, riecheggiano Dio e la fede.

Il primo nome che verrebbe in mente – il prossimo 29 novembre celebreremo il centenario della sua morte – è Giacomo Puccini che, certamente, non si può considerare un musicista proprio religioso. Eppure nelle sue partiture il sacro è ben presente ed evidente. Vi è, ad esempio, la sua famosa Tosca, opera andata in scena al Teatro Costanzi di Roma (l’odierno Teatro dell’Opera) il 14 gennaio 1900. Un melodramma che vede la trama d’amore di Mario Cavaradossi e Floria Tosca intrecciarsi con la storia del mondo: c’è tutta la Roma papalina del 1800 e poi, di sfondo, la battaglia di Marengo della seconda campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte. Nel primo atto, oltre alla presenza del simpatico sagrestano con il suo Angelus recitato a mezzogiorno nella chiesa di sant’Andrea della Valle, troviamo soprattutto una scena di grande effetto: il Te Deum posto a fine dell’atto. Per 73 misure, in partitura, il suono delle campane fa da sfondo a un’orchestrazione colossale: lo scandire del coro dei versi del Te Deum conferisce al tutto una sacralità composta di invocazioni e lodi del popolo a Dio. Cadenzati, sono i versi: «Adjutorum nostrum in nomine Domini/ qui fecit coelum et terram./ Sit nomen Domini benedictum/ et hoc nunc et usque in saeculum. Te Deum laudamus:/ Te Dominum confitemur!». Un crescendo di preghiere alternato dal lugubre e voluttuso desiderio di Scarpia verso Tosca: parole che non hanno proprio nulla del sacro («Ah di quegli occhi/ vittoriosi veder la fiamma/ illanguidir con spasimo d’amor/ fra le mie braccia…»). Un climax musicale di grande effetto.

Ma, sempre nella Tosca, altro elemento che rimanda a Dio e alla fede è la preghiera-aria di Tosca stessa. Siamo nel secondo atto, nello studio di Scarpia a palazzo Farnese. Ormai, sembra tutto perduto: il suo amante Cavaradossi è condannato al capestro. A Tosca non rimane altro, allora, che invocare Dio con una preghiera che potrebbe quasi assomigliare alla preghiera di Giobbe: «Vissi d’arte, vissi d’amore. (…) Nell’ora del dolore,/ perché, perché, Signore,/ ah, perché me ne rimuneri così?». La melodia, in questo caso, si fa intima: è un dialogo con Dio quello che Puccini ci presenta. Una preghiera-richiesta (e anche riflessione, se vogliamo) sull’inspiegabile Disegno di Dio. Tosca, fervente credente, che ha portato sempre in chiesa i fiori alla Madonna, che ha sempre pregato Dio («Sempre con fè sincera/ la mia preghiera/ ai santi tabernacoli salì»), si domanda il perché di tanta sofferenza. L’aria di Tosca diviene così una preghiera universale dell’animo umano che, molto spesso, non riesce a comprendere il dolore sulla terra: è il perché che più volte ripete Tosca nel suo Vissi d’arte.

Altro nome del melodramma, Giuseppe Verdi, ossia il melodramma italiano “in persona”. Altro compositore che per tutta la sua vita ha vissuto una certa avversione alla Chiesa e al sacro (ma sempre spinto alla ricerca di Dio, soprattutto nell’ultima parte della sua esistenza). Di lui rimarranno come repertorio sacro alcune composizioni immortali come il Requiem. Ma non sono pochi i rimandi a Dio nel repertorio operistico che Verdi ci ha lasciato: ad esempio, ne La forza del destino (1862). La mente corre subito alla preghiera La Vergine degli angeli (che chiude il finale del secondo atto dell’opera ambientato nella chiesa della Madonna degli Angeli presso Hornachuelos) che vede coinvolti prima un coro sommesso e poi Leonora, una delle voci più importanti dell’intera opera, accompagnata dall’arpa che riesce a fornire a questo canto dolce e tenero un’aura divina. La preghiera sale al cielo così come il canto di Leonora e del coro.

E nel corollario di melodrammi che Verdi ha composto non può mancare il Nabucco (1846): in questo caso, già il soggetto dell’opera si presta. Una trama che vede protagonisti: Nabucco, re di Babilonia; Fenena, figlia di Nabucco; Abigaille, figlia illegittima di Nabucco; Zaccaria, il Gran Pontefice; Ismaele, nipote del re di Gerusalemme Sedecia. E fra tutti questi personaggi, ne spicca uno in particolare: il popolo ebraico con il suo Va pensiero. La scena è tratta dal salmo 137: «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre». Di scene da ricordare ce ne sarebbero davvero tante. Ma, forse, una delle più significative è quella della “conversione” di Nabucco: «Dio di Giuda! l’ara, il Tempio/ A Te sacro, sorgeranno./ Deh! mi togli a tanto affanno/ E i miei riti struggerò./ Tu m’ascolti! … Già dell’empio/ Rischiarata è l’egra mente! Ah!/ Dio verace, onnipossente,/ Adorarti ognor saprò!». Nabucco, ormai ravveduto del comportamento riprovevole contro il Signore, riesce finalmente a soggettarsi a Dio, unico verace e onnipossente.

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