Preghiera per l’Avvento e il Natale alle soglie del Giubileo

Posté par atempodiblog le 3 décembre 2024

Preghiera per l’Avvento e il Natale alle soglie del Giubileo

Preghiera per l’Avvento e il Natale alle soglie del Giubileo dans Avvento Avvento

Signore Gesù, Figlio amato del Padre, Tu vieni a noi come il dono di Dio che ci fa creature nuove nell’amore. Fa’ che sappiamo accoglierti con fede viva, umile e profonda, nell’attenzione verso ogni persona, nella carità operosa, nell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, nell’ascolto fedele della Tua Parola, alimentati dai sacramenti della vita nuova e dalla preghiera fedele.

Venga in noi il Tuo Spirito e ci renda pellegrini di speranza, donandoci con la grazia del Giubileo la gioia dell’incontro con Te come sempre nuovo inizio della nostra vita in cammino verso la città celeste. E la Vergine Maria, Madre Tua e nostra, interceda per noi affinché non si spenga mai nel nostro cuore l’ardore dell’attesa, nel desiderio dei cieli nuovi e della terra nuova in cui Tu verrai e il mondo intero sarà la patria del Tuo amore senza fine. Vieni, Signore Gesù! Amen! Alleluja!

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto

Publié dans Avvento, Monsignor Bruno Forte, Preghiere, Santo Natale | Pas de Commentaire »

Terra d’avvento Vergine Maria

Posté par atempodiblog le 28 novembre 2022

Terra d’avvento Vergine Maria dans Avvento Maria-Nostra-Madre

Terra d’avvento Vergine Maria,
grembo tu sei
del grembo d’ogni cosa,
donna, che tutto ricevi
e tutto dai,
Madre, in cui inizia
l’alba della Gloria.
Tu sei Colei
in cui la nostra storia
allora, come oggi,
a Dio si apre,
e da Lui accoglie
in umiltà
il dono.
In te dimora
la tenerezza del Dio
tre volte Santo,
in te ci è dato il segno
della speranza
più forte della morte,
in te il riflesso dolce dell’amore,
cui solo ognuno
può affidare il cuore.

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

Publié dans Avvento, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Preghiere | Pas de Commentaire »

Preghiera per la pace

Posté par atempodiblog le 27 février 2022

Preghiera per la pace dans Monsignor Bruno Forte Maria-Regina-della-Pace

Carissimi, in queste ore drammatiche in cui la guerra sta devastando l’Ucraina, aggredita con sconsiderata volontà di potenza dalla Russia di Putin, preghiamo per quanti stanno soffrendo e chiediamo la conversione delle menti e dei cuori perché si impegnino decisamente a ricercare una pace giusta, necessaria per tutti. Vi invito a farlo con la preghiera che segue:

Preghiera per la pace

Dio, Padre nostro,
ispira in ogni cuore il desiderio della pace
e la volontà ferma di realizzarla
anzitutto come Tuo dono da accogliere
e poi come frutto del rispetto
della dignità di ogni persona
e della chiamata di tutti ad agire davanti a Te
come famiglia umana,
per costruire legami di giustizia e di pace,
che non escludano nessuno
e siano anticipo e profezia della città celeste,
dove Tu sarai tutto in tutti
nella forza dell’amore vittorioso
su ogni inimicizia e ogni paura.

E Maria, Madre di Gesù e nostra,
Regina della pace, preghi per noi
perché possiamo essere operatori di pace
e ottenere la fine di ogni violenza
con l’esercizio del dialogo e la forza del perdono,
di cui Cristo crocifisso ci ha dato l’esempio
e ci ha reso capaci col Suo amore.
Lui che vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen!

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

Publié dans Monsignor Bruno Forte, Preghiere | Pas de Commentaire »

Vergine Madre/ Con Dante alla scuola di Maria

Posté par atempodiblog le 18 février 2021

Messaggio per la Quaresima 2021
Vergine Madre/ Con Dante alla scuola di Maria
+ Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

Vergine Madre/ Con Dante alla scuola di Maria dans Fede, morale e teologia Mamma-del-Cielo-e-il-Bambin-Ges

La Quaresima – tempo di conversione e di rinnovamento in preparazione alla Pasqua – sembra lasciare piuttosto in ombra la figura della Vergine Maria: tuttavia, la solennità dell’Annunciazione, che cade il 25 marzo e segna il nuovo inizio della storia, e la presenza della Madre Addolorata accanto al Figlio sulla via del Calvario e ai piedi della Croce, fanno di Lei un modello di fede in Gesù e di tenerissimo amore a Lui, cui costantemente guardare per imitarla e vivere con Lei il cammino verso i giorni santi del triduo pasquale. Ho scelto perciò di dedicare alla Vergine Madre la riflessione per questo tempo quaresimale. Inoltre, poiché ricorrono quest’anno i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, avvenuta a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, ho pensato di farci guidare dal Sommo Poeta in questa meditazione. La poesia di Dante ha espresso in maniera altissima la ricerca del senso ultimo della vita e della storia da parte di un uomo, che ne aveva sperimentato tutta l’intensità e per molti versi la drammaticità, ma ha anche saputo cantare l’approdo più alto di questa ricerca, la luce dell’incontro col mistero divino, capace di avvolgere tutto ciò che esiste, di renderlo degno in quanto voluto e amato da Dio, di offrirsi come termine ultimo del nostro pellegrinaggio terreno e inizio dell’eternità promessa.
In particolare, è il Canto conclusivo della Divina Commedia, il 33° del Paradiso, a evocare quest’approdo e questo inizio. Dante lo fa guardando a Maria. A introdurre il Poeta nella contemplazione della Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nell’unità dell’amore eterno, è San Bernardo, il mistico cantore della Vergine Madre, che riconosce in lei la stella da cui procede il raggio della vera luce, suo Figlio, e la indica come il rifugio sicuro nell’ora della prova e la guida certa sulla via del bene:

«È detta Stella del mare e la denominazione ben si addice alla Vergine Madre. Ella con la massima convenienza è paragonata ad una stella; perché come la stella sprigiona il suo raggio senza corrompersi, così la Vergine partorisce il Figlio senza lesione della propria integrità».

«Se insorgono i venti delle tentazioni, se incappi negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria. Se sei sballottato dalle onde della superbia, della detrazione, dell’invidia: guarda la stella, invoca Maria».

«Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta».

Alla scuola di Maria, Vergine dell’ascolto e Madre dell’Amore incarnato di Dio, impariamo a credere, a sperare e ad amare, fidandoci dell’unico cui è giusto e necessario affidarsi incondizionatamente: il Signore. Alla Vergine Madre rivolgiamo la contemplazione della mente e del cuore, perché la sua libertà, ricevuta ed accolta, sia anche la nostra. È quanto intende fare Dante all’inizio del canto citato. Maria è colei in cui si incontrano e fondono gli opposti: Vergine è madre, del suo Figlio è figlia, al tempo stesso umilissima, come canta di sé nel Magnificat – «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48) -, e grandissima per l’opera che Dio ha compiuto in Lei – «grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (v. 49). Da sempre l’Eterno l’ha voluta per attuare in Lei il disegno di salvezza per le Sue creature. Proprio così in Maria la natura umana è stata nobilitata al livello più alto, al punto che il Figlio eterno ha voluto farsi uomo nel suo grembo:

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura
termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

L’amore che arde nel grembo di Maria – il suo amore materno e quello del Figlio amato, concepito per opera dello Spirito Santo – ha fatto germogliare innumerevoli vicende di santità nella storia: sull’esempio e con l’aiuto della Vergine Madre tanti figli, resi tali nel Figlio, hanno raggiunto vette di grazia, che li rendono ora partecipi della gloria celeste, dove le fanno corona nella contemplazione dell’eterna bellezza di Dio, formando la “candida rosa” dei Santi:

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’eterna pace
così è germinato questo fiore.

Maria, che nel consesso della corte celeste è fiaccola di carità, è per noi, prigionieri dell’ultima nemica, la morte, sorgente di una speranza viva, che ci dà la certezza di poter uscire vincitori dal conflitto fatale, uniti al Figlio, vittorioso sulla morte nella sua risurrezione:

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

La grandezza della donna Maria è tale, che chi vuol chiedere e ottenere grazia sa di dover ricorrere a Lei:

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ali.

È ancora Bernardo a ricordarcelo nella bellissima preghiera che dalla prima parola viene chiamata Memorare:

«Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito che alcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia chiesto il tuo soccorso, e sia stato abbandonato. Animato da tale fiducia, a Te ricorro, o Madre Vergine delle vergini; a Te vengo, dinanzi a Te, peccatore pentito, mi prostro. Non volere, o Madre del Verbo, disprezzare le mie preghiere, ma ascoltami benevola ed esaudiscimi».

La benevolenza di Maria è così grande da prevenire spesso la stessa invocazione dei figli:

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.

Contemplare il mistero di Maria, scrutarne la profondità e la bellezza, allora, significa attingere all’infinita misericordia di Dio, che in lei ha voluto manifestarsi, e imparare da lei la “pietas”, che ci rende belli e buoni davanti a Dio per il miracolo del Suo amore che salva:

In te misericordia,
in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.

Ispirati dalla bellissima preghiera dantesca, mettiamoci in questa quaresima alla scuola di Maria, dando spazio all’ascolto della Parola di Dio e facendo scelte di carità verso chi più ha bisogno. Ci aiuti la recita del Santo Rosario, «catena dolce che ci rannoda a Dio», con le litanie, cui Papa Francesco ha voluto aggiungere tre invocazioni particolarmente adatte a momenti di prova, come quello che stiamo vivendo a causa dalla pandemia, a Maria Madre di misericordia, Madre della speranza e conforto dei migranti.

Chiediamo alla Vergine che ci aiuti a rispondere da discepoli fedeli del Signore Gesù alle sfide del presente. Lo facciamo con le parole della più antica preghiera rivolta alla Madre di Dio:

«Sotto la Tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta. Amen».

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

Publié dans Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Quaresima, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Messaggio dell’Arcivescovo Bruno Forte per l’inizio dell’anno scolastico

Posté par atempodiblog le 26 septembre 2020

Messaggio dell’Arcivescovo Bruno Forte per l’inizio dell’anno scolastico

Messaggio dell’Arcivescovo Bruno Forte per l’inizio dell’anno scolastico dans Coronavirus Ritorno-a-scuola

Cari Amici,

l’anno scolastico 2020-2021 si presenta in modo del tutto particolare: la pandemia da Coronavirus che abbiamo dovuto affrontare e che stiamo ancora affrontando condiziona i nostri comportamenti e richiede attenzioni e precauzioni tanto necessarie, quanto per molti aspetti inedite. Oltre a raccomandare il senso di responsabilità verso se stessi e verso il bene comune, per osservare quanto ci viene richiesto (dall’uso della mascherina, al lavaggio frequente delle mani, al distanziamento fra le persone, all’impiego dei banchi singoli…), mi sembra importante richiamare l’importanza che in questa fase può avere la didattica via rete, sottolineando al tempo stesso il valore impareggiabile di quella in presenza, che consente ai nostri ragazzi e giovani di socializzare fra loro e di stabilire anche con i docenti rapporti significativi e fecondi.

Lo ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con parole che desidero riportare: «So bene, cari studenti, che la scuola vi è mancata… Avete avvertito quanto valesse l’incontro quotidiano con i vostri insegnanti, la vicinanza dei vostri compagni… Quel che è accaduto è stato come una lezione di vita che vi ha fatto comprendere, in modo chiaro, come la scuola sia indispensabile allo sviluppo personale di ciascuno di voi» (a Vo’ Euganeo, Padova, il 14. 09. 2020). Il Capo dello Stato ha aggiunto anche una considerazione che deve farci particolarmente pensare: «L’inaugurazione dell’anno scolastico, mai come in questa occasione, ha il valore e il significato di una ripartenza per l’intera società…Ci troviamo di fronte a una sfida decisiva».

Si tratta di una sfida da cogliere e da affrontare insieme: è l’invito e l’augurio che rivolgo a tutti, Docenti, Personale non Docente e Studenti con i Loro Familiari, che tanto sono chiamati a fare per accompagnare i Loro Figli in questa fase delicata.

Auguro in particolare ai nostri ragazzi e giovani un’intensa e fruttuosa attività di studio e di crescita umana, culturale e spirituale, da vivere con serenità e autentica coralità. Prego perché tutto questo si realizzi al meglio, mentre offro a Voi tutti come spunto di riflessione un brano della mia recente lettera pastorale sulla prudenza, virtù più che mai necessaria in tempi non facili come questi:

«A causa della pandemia dovuta al Coronavirus l’intera umanità si è trovata a vivere una fase in cui a tutti sono state richieste decisioni pratiche importanti, al fine di adottare stili di vita e comportamenti che… ognuno è stato chiamato a far propri in maniera consapevole e responsabile, con rigorosa prudenza. La devastante azione del virus ha infranto modelli che sembravano vincenti e definitivi, fondati sulla corsa ai consumi continuamente stimolata dalla propaganda, alla ricerca di piaceri suggeriti come appetibili e facili a conseguirsi a prescindere da ogni giudizio morale… Il virus ha colpito questa presunzione, facendo vittime in tutto il pianeta…, La drammaticità dell’esperienza ha anche mostrato esempi altissimi di dedizione e di generosità, specialmente fra medici, operatori sanitari, sacerdoti e addetti ai servizi essenziali, che non si sono risparmiati, fino al punto da perdere in numero notevole la propria vita» (da La prudenza, virtù dei coraggiosi, Lettera pastorale per l’anno 2020-2021, n. 1).

Possa Dio aiutarci a far tesoro di questi esempi e accompagni tutti Voi nel cammino di crescita personale e collettivo che la scuola propone. Vi benedico, portandoVi nella preghiera e nel cuore.

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

Publié dans Coronavirus, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Coronavirus\ L’importanza della preghiera

Posté par atempodiblog le 8 mars 2020

Coronavirus\ L’importanza della preghiera

Coronavirus\ L’importanza della preghiera dans Articoli di Giornali e News Preghiera-di-Mons-Bruno-Forte-Virus

[...] Invitiamo i credenti a frequentare le liturgie avendo cura di osservare le misure di precauzione già indicate nel Comunicato del 25 u.s., evitando contatti fisici (ad esempio al segno di pace o nell’uso delle acquasantiere), ricevendo la Santa Eucaristia nella mano e mantenendo le distanze minime suggerite fra le persone.

Stia a cuore a tutti che quanto sta avvenendo non generi allarmismo, suscitando paure ingiustificate. Ricordiamo l’importanza della preghiera affinché il Signore conceda la grazia della guarigione ai malati, consoli chi è nel dolore, preservi l’umanità intera dalla malattia, illumini e assista medici e infermieri, chiamati ad affrontare in frontiera questa fase emergenziale, oltre che coloro che hanno la responsabilità di adottare misure precauzionali e restrittive.

Si possono adoperare pregando parole come le seguenti:

Signore Gesù, Salvatore del mondo, speranza che non ci deluderà mai, abbi pietà di noi e liberaci da ogni male! Ti preghiamo di vincere il flagello di questo virus, che si va diffondendo, di guarire gli infermi, di preservare i sani, di sostenere chi opera per la salute di tutti. Mostraci il Tuo Volto di misericordia e salvaci nel Tuo grande amore. Te lo chiediamo per intercessione di Maria, Madre Tua e nostra, che con fedeltà ci accompagna. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

Publié dans Articoli di Giornali e News, Coronavirus, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Preghiere, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La catechesi e la bellezza di Dio

Posté par atempodiblog le 16 février 2020

La catechesi e la bellezza di Dio
+ Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

La catechesi e la bellezza di Dio dans Fede, morale e teologia Maria-e-il-Bambin-Ges
Madonna del Latte, XVIII sec., Santa Maria Maggiore, Vasto

Messaggio per la Quaresima e la Pasqua 2020

Dedico questo messaggio per la Quaresima 2020 alla catechesi, attività che impegna tutte le nostre comunità parrocchiali e che raggiunge la quasi totalità dei nostri ragazzi, in un contesto profondamente diverso rispetto anche a pochi anni fa, perché tante sono le sfide nuove (basti pensare all’oceano rappresentato dalla “rete” e alla sua presa sui giovani), mentre non pochi tendono ancora a fare catechesi come se nulla fosse cambiato. Ne consegue spesso una difficoltà comunicativa, dovuta anche alla notevole diversità di linguaggi fra chi fa catechesi e i ragazzi cui essa è rivolta, non senza una certa frustrazione per alcuni catechisti. Essere catechisti, però, è bello e può dare tanta gioia, perché vuol dire generare ed educare alla fede molti ragazzi, che potranno ricordare per la vita quanto sapremo loro trasmettere della bellezza di Dio e dell’amicizia con Gesù. Perciò vale la pena riflettere e verificarci insieme su questo compito, arduo e significativo. Risponderò a poche domande essenziali, confidando nello sviluppo e nell’approfondimento che i catechisti potranno fare dei vari punti con l’aiuto dei loro parroci e dell’Ufficio Catechistico Diocesano. Aiuti tutti noi in questo impegno la Vergine Maria, che come Madre tenerissima diede al Figlio, divino bambino, il latte per la crescita umana e quello prezioso della conoscenza delle Scritture…

1. Che cos’è la catechesi? La catechesi è l’azione con cui la Chiesa attua l’iniziazione alla fede e l’educazione ad essa dei battezzati, introducendoli alla celebrazione dei divini misteri e all’esperienza dell’amore di Dio in Gesù Cristo, per illuminare così e interpretare alla luce della rivelazione la loro vita e la storia. Rivolta a chi ha già ricevuto il primo annuncio della fede, la catechesi promuove e alimenta i cammini di iniziazione, crescita e maturazione nella fede. Come il suo stesso nome indica (il verbo greco “katechéin” vuol dire “risuonare”, “far risuonare”) la catechesi fa risuonare la Parola di Dio in coloro che hanno già accolto la fede, hanno cominciato il loro cammino di continua conversione al Signore e intendono approfondirlo. Scopo della catechesi è, dunque, formare i credenti ad ascoltare e vivere il Vangelo di Gesù, per esprimerlo sempre più nella testimonianza della fede, della speranza e della carità. In quanto educazione alla vita in Cristo e nella Chiesa, la catechesi riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza, dall’adesione personale al Dio vivente all’accoglienza sempre più consapevole e fruttuosa dei contenuti della rivelazione. Essa ha la sua fonte nella Parola di Dio, trasmessa attraverso la vita e la voce della Chiesa e suscitatrice della fede, poiché «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Attraverso la Parola di Dio è lo Spirito Santo a insegnare, rendendo possibile l’incontro con il Signore Gesù.
Ci chiediamo allora: l’idea e la pratica della catechesi che ci sforziamo di vivere corrispondono a ciò che la catechesi è chiamata ad essere secondo l’insegnamento della Chiesa?

2. Quali sono le fonti della catechesi? Se è alla Parola di Dio che la catechesi si alimenta, un ruolo peculiare nella fedele trasmissione e interpretazione di essa lo riveste il magistero della Chiesa, sotto la cui guida, «il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte» (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium 12). La liturgia è parimenti una fonte essenziale della catechesi, non soltanto per i contenuti che offre, ma anche e in modo peculiare per l’esperienza del Mistero che fa vivere: «La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti e, soprattutto, nell’Eucaristia che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini» (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae 23). Far prendere coscienza della ricchezza offerta nelle azioni liturgiche è compito della “mistagogia”, che è il cammino catechetico vissuto a partire dall’esperienza degli eventi sacramentali e dell’azione della Grazia divina in essi, per fare propri i doni ricevuti e trarne pieno frutto per la vita. Con la Parola di Dio e il Magistero ecclesiale, possono essere fonte feconda di catechesi gli esempi, le vite e gli scritti dei santi e dei martiri di ogni lingua e popolo. La teologia porta a sua volta un contributo importante al cammino catechetico mediante l’intelligenza critica dei contenuti della fede, approfonditi e ordinati sistematicamente. Anche la “via della bellezza”, attraverso tutte le possibili espressioni artistiche ispirate dalla fede, costituisce un prezioso accesso al dono del Padre fatto nel suo Figlio, “il bel pastore” (Gv 10,11), sotto l’azione dello Spirito Consolatore: si pensi all’incidenza catechetica dell’arte cristiana, sia figurativa, che letteraria o musicale.
Attingiamo i contenuti della nostra catechesi alla Parola di Dio, trasmessa e interpretata dal magistero della Chiesa, sotto la guida dei pastori e con l’aiuto di esperti biblisti, teologi e catecheti? Facciamo tesoro del nugolo di testimoni e di testimonianze che ci viene dalla storia della fede attraverso i secoli?

3. Quali i contenuti centrali della catechesi? Al centro di ogni itinerario di catechesi ci sono la persona e il messaggio di Gesù Cristo, principi unificatori e totalizzanti della vita dei credenti. Si può dire che «lo scopo definitivo della catechesi è di mettere non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della santa Trinità» (Catechesi tradendae 5). La comunione con Cristo è il centro della vita cristiana e, di conseguenza, il centro dell’azione catechistica. La conoscenza credente del mistero di Cristo conduce alla confessione di fede nella Trinità Santa, unico Dio, che è Amore (1 Gv 4, 8.16), nell’unità del Padre, fonte dell’amore, del Figlio, che riceve e ricambia l’amore, e dello Spirito Santo, amore personale, donato e ricevuto nella reciprocità della relazione fra il Padre e il Figlio nella Trinità divina, unico Dio, eterno Amore. Chi per il primo annuncio accoglie Gesù Cristo e lo riconosce come Signore, inizia un processo, aiutato dalla catechesi, teso a sfociare nella confessione esplicita della Trinità. Sull’esempio di quanto ha fatto Gesù al fine di formare i suoi discepoli, la catechesi intende condurre alla conoscenza e alla pratica della fede rivelata in Cristo, insegnando a pregare e a celebrare i divini misteri, formando all’imitazione del Signore, mite e umile di cuore, e iniziando i discepoli alla vita di comunione con Lui e tra loro e alla missione verso l’intera famiglia umana. L’attenzione ai destinatari della catechesi esige poi che la presentazione del messaggio sia adattata alle diverse fasi della loro crescita.
È la nostra catechesi attenta a trasmettere fedelmente tutti i contenuti fondamentali della fede della Chiesa necessari alla salvezza offertaci in Gesù Cristo? È tale da adattarsi alle diverse fasi della crescita dei ragazzi cui ci rivolgiamo?

4. Per una formazione integrale del cristiano. La catechesi può definirsi, dunque, come «una formazione cristiana integrale, aperta a tutte le componenti della vita cristiana. In virtù della sua stessa dinamica interna, la fede esige di essere conosciuta, celebrata, vissuta e fatta preghiera. La catechesi deve coltivare ciascuna di queste dimensioni. La fede, però, si vive nella comunità cristiana e si annuncia nella missione: è una fede condivisa e annunciata. Pure queste dimensioni devono essere favorite dalla catechesi» (Benedetto XVI, Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007, 17). In questa prospettiva si comprende l’importanza del coinvolgimento della famiglia nella catechesi dei figli, in quanto essa è chiamata ad essere per loro la prima scuola di umanità, di socialità, di vita ecclesiale e di fede: una catechesi rivolta alle famiglie per meglio responsabilizzarle nell’educazione cristiana dei figli appare quanto mai necessaria, anche se tante difficoltà si riscontrano nei tentativi di realizzarla adeguatamente. Non sarà mai abbastanza sottolineato il fatto che «l’approfondimento nella conoscenza della fede illumina cristianamente l’esistenza umana, alimenta la vita di fede e abilita altresì a rendere ragione di essa nel mondo. La consegna del simbolo, compendio della Scrittura e della fede della Chiesa, esprime la realizzazione di questo compito» (Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, 15 agosto 1997, 85). È quanto ci sforziamo di vivere nella nostra Chiesa diocesana attraverso l’opera generosa di tanti catechisti, impegnati nella trasmissione della fede: a significare questo sforzo veramente corale celebriamo la giornata della “traditio Symboli”, in cui il Vescovo a nome di tutta la comunità ecclesiale consegna ai cresimandi dell’anno il Simbolo degli Apostoli, confessione di fede “breve e grande”, come la definiva Sant’Agostino.
Ci chiediamo allora: viene vissuta fra noi la catechesi come formazione integrale alla vita cristiana in tutti gli aspetti che essa comporta, a partire dalla professione di fede accolta e confessata nella tradizione apostolica della Chiesa, testimoniata dalla comunità cristiana nel suo insieme?

5. L’impegno del catechista nella comunità tutta evangelizzante. Condurre alla conoscenza della fede non è un’operazione solo mentale: essa implica la testimonianza e il coinvolgimento personale del catechista, perché è solo credendo e amando che fede e carità possono essere trasmesse agli altri, specie a coloro che sono impegnati nel percorso catechetico. Sant’Agostino nel De catechizandis rudibus (Catechesi dei principianti) afferma: “Non c’è invito più grande ad amare che prevenire nell’amore” (4,7: “Nulla maior est ad amorem invitatio quam praevenire amando”). È amando che si insegna ad amare, è credendo e sperando che si comunicano la fede e la speranza. Per questo chi vive il servizio della catechesi deve essere anzitutto una persona dalla fede viva, nutrita di preghiera e attiva nella carità, che parla prima con l’eloquenza della vita e poi con le parole e si forma con impegno e dedizione al compito da svolgere, preparandosi con lo studio e la preghiera agli incontri di catechesi, vivendo un’intensa vita ecclesiale nella fedeltà a Cristo, alla Chiesa e ai suoi pastori, e camminando insieme con tutto il popolo di Dio, nell’apertura al respiro cattolico della comunione ecclesiale. Risulta, poi, di fondamentale importanza che i catechisti abbiano a cuore la comunione fra loro, superando rivalità, tensioni, gelosie, che possono essere sempre in agguato. La responsabilità di tutta la comunità cristiana in ordine alla catechesi va continuamente richiamata ed educata, per far sì che quanto in essa viene appreso dai ragazzi possa essere sperimentato nell’accoglienza di comunità vive nella fede e operose nella testimonianza del Vangelo e della carità vissuta. Anche le diverse aggregazioni ecclesiali devono sentirsi coinvolte in questo compito, in piena sintonia con l’azione pastorale delle parrocchie e della Chiesa diocesana.
Chiedo perciò ai nostri catechisti: vivete la vostra vita di fede in una intensa partecipazione alla vita ecclesiale, in piena comunione col Vescovo e i pastori da lui inviati nelle comunità parrocchiali?

6. La formazione permanente dei catechisti. La formazione permanente è un aiuto prezioso e necessario per chi vuole attuare al meglio questi compiti e deve essere costantemente promossa dal Vescovo, primo catechista della Chiesa diocesana, e dai suoi collaboratori, richiesta e seguita da chi è chiamato al servizio della catechesi. Essa deve coniugare momenti di preghiera e di spiritualità, aggiornamento teologico e pastorale, esperienze di vita ecclesiale sia nell’ambito catechetico, che in quello caritativo e di evangelizzazione. Il catechista si immedesimerà nella figura dei discepoli di Emmaus, che si lasciano illuminare dalla parola del divino Viandante, lo riconoscono alla mensa condivisa con Lui e vanno ad annunciare con entusiasmo che Lui è risorto e che essi lo hanno incontrato. In particolare, è importante che il catechista trasmetta la fede parlando con il cuore, come ci ha ricordato Papa Francesco al numero 144 della Evangelii Gaudium: “Parlare con il cuore implica mantenerlo non solo ardente, ma illuminato dall’integrità della Rivelazione e dal cammino che la Parola di Dio ha percorso nel cuore della Chiesa e del nostro popolo fedele lungo il corso della storia. L’identità cristiana, che è quell’abbraccio battesimale che ci ha dato da piccoli il Padre, ci fa anelare, come figli prodighi – e prediletti in Maria -, all’altro abbraccio, quello del Padre misericordioso che ci attende nella gloria. Far sì che il nostro popolo si senta come in mezzo tra questi due abbracci, è il compito difficile ma bello di chi predica il Vangelo”.
Ci chiediamo allora: viene promossa e attuata fra noi la formazione permanente dei catechisti? Viene partecipata con impegno dai catechisti, consapevoli di quanto essa sia necessaria sia sul piano dei metodi catechetici, che su quello dei contenuti da conoscere e approfondire sempre più e sempre meglio? Facendo catechesi ci sforziamo di parlare con il cuore, con ardore di fede e conoscenza illuminata, vivendo con sincera partecipazione la comunione ecclesiale?

7. Preghiera del catechista. Chiediamo tutto questo al Signore, con le parole del vescovo don Tonino Bello, catecheta irradiante della gioia cristiana, che ci accompagna dal cielo con la sua intercessione:

“Chiamato ad annunciare la tua Parola, aiutami, Signore, a vivere di Te e ad essere strumento della tua pace. Assistimi con la tua luce, perché i ragazzi che la comunità mi ha affidato trovino in me un testimone credibile del Vangelo. Toccami il cuore e rendimi trasparente la vita, perché le parole, quando veicolano la tua, non suonino false sulle mie labbra. Esercita su di me un fascino così potente che io abbia a pensare come te, ad amare la gente come te, a giudicare la storia come te. Concedimi il gaudio di lavorare in comunione e inondami di tristezza ogni volta che, isolandomi dagli altri, pretendo di fare la mia corsa da solo. Infondi in me una grande passione per la verità, e impediscimi di parlare in tuo nome se prima non ti ho consultato con lo studio e non ho tribolato nella ricerca. Salvami dalla presunzione di sapere tutto. Dal rigore di chi non perdona debolezze… Trasportami, dal Tabor della contemplazione, alla pianura dell’impegno quotidiano. E se l’azione inaridirà la mia vita, riconducimi sulla montagna del silenzio. Dalle alture… il mio sguardo missionario arriverà più facilmente agli estremi confini della terra. Affidami a tua Madre. Dammi la gioia di custodire i miei ragazzi come Lei custodì Giovanni. E quando, come Lei, anch’io sarò provato dal martirio, fa’ che ogni tanto possa trovare riposo reclinando il capo sulla sua spalla. Amen!” (Dio scommette su di noi. Pregare con Don Tonino Bello, Paoline, Roma 2019, 162-164).

+ Bruno
Padre Arcivescovo

Publié dans Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Predicazione, Quaresima, Riflessioni, Santa Pasqua, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Possiamo essere santi

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2016

Possiamo essere santi
dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte

Possiamo essere santi dans Citazioni, frasi e pensieri Monsignor_Bruno_Forte

Santo vuol dire ciò che è separato,
separato per Te, 
o Padre.
Santificare il Tuo nome, allora,
vuol dire separarci per Te,
perdutamente consegnarci a Te,
perché Tu sei la vita, la sorgente e la patria,
il grembo adorabile e provvidente della nostra esistenza.
Santificheremo il Tuo nome quando anteporremo
l’adorazione e l’amore per Te a tutto:
come affermava il gesuita tedesco Alfred Delp, messo a morte dai nazisti,
“il pane è importante, la libertà è più importante,
ma la cosa più importante di tutte

è la costante fedeltà e l’adorazione mai tradita”.
Se noi ci separiamo da tutto per Te,
Tu ci darai tutto il nostro vero bene e ci restituirai a tutti,
facendoci partecipi del Tuo amore
per ognuna delle Tue creature:
è così che ci chiami a farci solitudine
per diventare amore!
Ci inviti a stare nascosti con Cristo in Te,
per fare compagnia al Tuo amore e al Tuo dolore
per ogni essere vivente.
Tu santifichi in noi il Tuo nome
perché ci rapisci a noi stessi
e ci restituisci al mondo,
ricchi di Te, donati agli altri da Te,
prigionieri d’amore 
che da Te imparano
sempre di nuovo a farsi servi,
per irradiare a tutti l’amore
con cui Tu ci ami.
Tu, il Santo, separato per noi,
perché noi, poveri peccatori,
possiamo essere santi, separati per Te,
in Te offerti a ogni creatura.

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Preghiere, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Siamo tutti stranieri

Posté par atempodiblog le 23 juin 2016

Il razzista è colui che nega se stesso
Siamo tutti stranieri
dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte

Siamo tutti stranieri dans Amicizia tutti_fratelli

Siamo tutti stranieri sulla terra che pure è la nostra, pellegrini in questo mondo: perciò, ciascuno ritrova se stesso in quanto scopre l’altro, scoprendo se stesso altro dall’altro, e proprio così riconoscendosi rivolto all’altro, accogliente dell’altro.

L’alterità è lo stimolo a (ri)scoprire l’identità nell’atto dell’accogliere. Perciò, “il razzista è colui che nega se stesso per quello che è” (E. Jabès, Uno straniero…, o.c., 25).

Publié dans Amicizia, Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

L’arcivescovo Bruno Forte: «Una sconfitta della democrazia. Così si svaluta la famiglia»

Posté par atempodiblog le 12 mai 2016

«Una sconfitta della democrazia Così si svaluta la famiglia»
L’arcivescovo Bruno Forte e la fiducia sulle unioni civili: «Il voto blindato è frutto di una logica di bassa politica. Qui è in gioco una visione della società, il rischio è assimilare le unioni civili alla famiglia tout court»
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

Don Bruno Forte

Il segretario Cei, Nunzio Galantino, ha detto che il voto di fiducia sulle unioni civili è una sconfitta per tutti. E così?
«Sì. Direi anzi che è una sconfitta per la democrazia, per la qualità del lavoro parlamentare e per la coscienza di tanti».

L’arcivescovo teologo Bruno Forte, scelto da Francesco come segretario speciale dei due Sinodi sulla famiglia, tra le voci più aperte della Chiesa italiana, non è mai stato così duro: «Una sconfitta, certo, e anche un impoverimento della vita democratica su una questione che può avere un impatto enorme per il futuro della società»

Ma perché, eccellenza?
«Vede, la democrazia è tale se su tutte le questioni – ma specialmente su quelle che hanno uno spessore etico e ricadute sociali e culturali – c’è la possibilità di portare e discutere tutti gli argomenti, pro e contro, e valutarli in un dibattito libero e aperto».

Se ne discuteva da anni…
«Vero, ma è proprio nel momento in cui si arriva al voto che tutti hanno il sacrosanto diritto di esprimersi. Mi pare scorretto, tanto più in questo caso: sui temi etici le posizioni sono trasversali rispetto agli schieramenti. Se si vuole ricompattare con un sì o un no, si fa un danno a tutti».

Il testo è stato più volte corretto, la fiducia non era un modo per proteggere un compromesso faticoso?
«Mah, se fosse così sarebbe una logica di bassa politica. Il politicante trova scappatoie immediate, magari ad ogni costo. Il politico cerca la via per la quale ciò che decide oggi non solo non danneggi, ma accresca il bene comune nel futuro».

Insiste sul futuro, cosa la preoccupa?
«Qui è in gioco una visione della società. Siamo di fronte ad un istituto giuridico nuovo, con il rischio che possa essere assimilato alla famiglia tout court. La famiglia non è un elemento fra gli altri, è la cellula fondamentale della società. Nella Chiesa abbiamo vissuto un Sinodo sulla famiglia, ricevuto da Francesco un’Esortazione di grandissimo spessore. Come diceva il Vaticano II, nella Gaudium et Spes, la famiglia è la vera grande scuola di umanità, dove si diventa persone. Il luogo di quella relazione educativa che ha bisogno della reciprocità fondamentale tra uomo e donna…».

Però nel testo approvato non si parla più di stepchild adoption, l’adozione del «figliastro»…
«Temo che il discorso possa portare a questo. Il sospetto che tanti hanno messo in luce è che si sia partiti dal modello famiglia per tentare di applicarlo alle unioni civili».

Lei è tra coloro che non si opponevano al riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali…
«Una cosa è la regolamentazione di alcuni diritti, come l’eredità, un’altra un istituto in qualche modo assimilato alla famiglia. Ecco la grande domanda: regolare dei diritti o creare un nuovo istituto giuridico, analogo alla famiglia? Il problema è l’assenza di un dibattito che aiuti a distinguere con precisione. Ed eviti un’operazione di trasferimento che svaluta la famiglia. Se non se ne discute, se ognuno non porta sue idee, il rischio è che passi qualcosa che può essere assimilato all’istituto familiare e lo indebolisca. Dopo l’approvazione le cose andranno approfondite, ma temo che il rischio non sia eluso».

Ma in che modo la famiglia formata da uomo e donna ne verrebbe danneggiata?
«La grande sfida del presente è aiutare le famiglie, sostenerle. La crisi economica, una denatalità spaventosa…E l’indebolimento, prima che culturale e sociale, è già evidente sul piano materiale, al di là delle buone intenzioni: se equipari un altro istituito alla famiglia le risorse, già scarse, vengono inevitabilmente divise».

Che farà ora la Chiesa?
«Come vescovi lo valuteremo forse già la settimana prossima, durante l’assemblea generale della Cei. Al di là del rispetto dovuto ad ogni persona, non può esserci equiparazione tra unioni omosessuali e famiglia. Da parte della Chiesa resta sempre l’annuncio del Vangelo della famiglia come istituto fondamentale della vita umana, sociale e cristiana».

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Le sfide da affrontare dopo la vacanza estiva: Fiducia nel domani e poesia della fede

Posté par atempodiblog le 31 août 2015

Le sfide da affrontare dopo la vacanza estiva
Fiducia nel domani e poesia della fede
dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte – Il Sole 24 Ore
Tratto da: Arcidiocesi Chieti-Vasto

Le sfide da affrontare dopo la vacanza estiva: Fiducia nel domani e poesia della fede dans Fede, morale e teologia bruno_forte

Nell’avvicinarsi della ripresa dopo la vacanza estiva (lunga, breve o inesistente…), vorrei riflettere su quello che ci aspetta, senza soffermarmi sul “carnet de doléances” così facilmente compilabile a partire dai problemi dell’oggi e dalle soluzioni sempre inadeguate dei potenti di turno (si pensi solo alla sfida delle migrazioni!), per servirmi invece della forza evocatrice della poesia. Parto dal poeta toscano Renzo Barsacchi, nei cui versi fede e poesia s’incontrano in modo alto, struggente.

In una lirica dal titolo Tu puoi soltanto attendere, Barsacchi descrive il tempo dell’attesa, di cui è impastata la vita, muovendo dalla sola certezza che il domani ci raggiungerà sempre come sorpresa:

“Il tempo è incerto. In bilico il sereno / e la pioggia. Ma né l’uno né l’altro / dipendono da te. / Tu puoi soltanto attendere, scrutando / segni poco leggibili nell’aria. / Ti affidi al desiderio / ascoltando il timore. Le tue mani / sono pronte a difendersi e ad accogliere. / Così non sai quando Dio ti prepari / una gioia o un dolore e tu stai quasi / origliando alla porta del suo cuore, / senza capire come sia deciso / da quell’unico amore, / lo splendore del riso o delle lacrime” (Marinaio di Dio, Nardini, Firenze 1985, 74). Fra desiderio e timore, il nostro andare incontro al domani resta passione e lotta, anche quando si tinge dei colori della speranza e delle sue possibili aurore. La sola certezza che può darci forza è quella dell’amore, precisamente nella sua misteriosità e nell’indeducibilità delle sue ragioni.

Una poetessa, Elena Bono, esprime in maniera intensissima quest’idea della forza generatrice di vita che ha ogni vera relazione d’amore, in particolare quella con Dio. Bellissimi questi suoi versi: “Quando tu mi hai ferita? / Forse ero ancora nel seno di mia madre / o forse solo nei tuoi pensieri. / Tu mi amasti da sempre. / Io non ho che un piccolo tempo da darti / ed un piccolo amore. / Ma mi perdo nel tuo, / questo mare che brucia / e di sé si alimenta. / Allorché mi feristi / io non sapevo / quanto il tuo amore facesse male. / Ed è questo che vuoi, / soltanto questo in cambio dell’infinito amore: / che io soffra l’amor tuo, / che me lo porti come piaga profonda / e non la curi” (I galli notturni, Garzanti, Milano 1952, 77). È l’amore che apre al domani, nel suo essere inseparabilmente lotta e resa, ferita incancellabile e dono prezioso…

Consiste in questo agone anche la fede, un lottare con Dio con passione d’amore, un lasciarsi rapire dall’Invisibile, riconoscendo l’assente Presenza, che ci raggiunge nella notte del cuore e parla per le vie della Sua rivelazione storica, chiedendo ascolto e fiducia. Se dura è la resa, resta vero che l’affidarsi all’intangibile Altro riempie il futuro di speranza affidabile e ne fa il luogo dell’incontro, che vivifica e trasforma.

È ancora una citazione poetica a rendere il senso di questa lotta, che rende bella la vita, testimoniando la possibilità di una relazione d’amore con Dio, vissuta nel profondo e feconda nelle nostre relazioni con gli altri. Si tratta dei versi di Ada Negri intitolati Atto d’amore: “Non seppi dirti quant’io t’amo, Dio / nel quale credo, Dio che sei la vita / vivente, e quella già vissuta e quella / ch’è da viver più oltre: oltre i confini / dei mondi, e dove non esiste il tempo. / Non seppi; – ma a Te nulla occulto resta / di ciò che tace nel profondo. Ogni atto / di vita, in me, fu amore. Ed io credetti / fosse per l’uomo, o l’opera, o la patria / terrena, o i nati dal mio saldo ceppo, / o i fior, le piante, i frutti che dal sole / hanno sostanza, nutrimento e luce; / ma fu amore di Te, che in ogni cosa / e creatura sei presente. Ed ora / che ad uno ad uno caddero al mio fianco / i compagni di strada, e più sommesse / si fan le voci della terra, il tuo / volto rifulge di splendor più forte, / e la tua voce è cantico di gloria. / Or – Dio che sempre amai – t’amo sapendo / d’amarti; e l’ineffabile certezza / che tutto fu giustizia, anche il dolore, / tutto fu bene, anche il mio male, tutto / per me Tu fosti e sei, mi fa tremante / d’una gioia più grande della morte. / Resta con me, poi che la sera scende / sulla mia casa con misericordia / d’ombre e di stelle. Ch’io ti porga, al desco / umile, il poco pane e l’acqua pura / della mia povertà. Resta Tu solo / accanto a me tua serva; e, nel silenzio / degli esseri, il mio cuore oda Te solo” (Il dono, in Poesie, Mondadori, Milano 19663 , 847s).

Sono parole che fanno eco alle alterne vicende del “secolo breve”, il Novecento, e a quelle d’una vita intensamente vissuta nel profondo del cuore: e tuttavia, in quanto parole d’amore, questi versi sanno essere voce di un’esperienza che ci riguarda tutti, che ci intriga nel profondo dell’anima e che – quando non c’è – è avvertita come ferita e dolorosa assenza. Esse testimoniano una sfida, alla quale verrebbe facilmente la tentazione di sottrarsi per consumare senza problemi l’immediato fruibile. Eppure, senza un senso più alto, privi di un ultimo orizzonte e di una meta verso cui andare, saremmo tutti più poveri. La ripresa vuol dire rinnovare ragioni di vita e di speranza. Proprio così, aprirsi con fiducia al domani è una via necessaria per tutti, una soglia con cui misurarci senza fuggire, perché la fuga è già perdita e vuoto.

Questa lotta, analoga a quella di Giacobbe con l’Angelo al guado dello Yabbok, è resa con parole forti dal cuore pensante di Søren Kierkegaard: “Non permettere che dimentichiamo: Tu parli anche quando taci. Donaci questa fiducia: quando siamo in attesa della Tua venuta Tu taci per amore e per amore parli. Così è nel silenzio, così è nella parola: Tu sei sempre lo stesso Padre, lo stesso cuore paterno e ci guidi con la Tua voce e ci elevi con il Tuo silenzio…” (Diario III,1229).

Ascoltare, riconoscere, lodare: è questa l’attesa di cui, consapevoli o meno, abbiamo tutti bisogno per affrontare i sempre nuovi inizi della vita e dare senso alle opere e ai giorni. Forse perciò i mistici e i poeti sono capaci di dirci tanto nel tempo che prepara questi inizi: “Dire è meditare, comporre, amare: un inchinarsi quietamente esultante, un giubilante venerare, un glorificare, un lodare: laudare… Il poeta deve corrispondere a questo mistero della parola a fatica intravisto e solo nella meditazione intravedibile” (Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano 1984, 180). E il mistico è chi di questo domani ha già fatto e fa esperienza nell’incontro col Dio vivente, sommamente amato.

Publié dans Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni, Viaggi & Vacanze | Pas de Commentaire »

Il canto che guarisce

Posté par atempodiblog le 5 juin 2015

“La musica si presenta anzitutto come un intervallo fra due silenzi – il silenzio dell’attesa e dell’ascolto, da una parte, e il silenzio degli effetti che può produrre nell’interiorità di chi l’ascolta – non è difficile cogliere come essa stabilisca fra il compositore, l’esecutore e il fruitore una sorta di canale comunicativo, aperto su diversi registri di comunicazione.

Così, la musica può unire coloro che fruiscono insieme dello stesso atto musicale, nel tempo o nello spazio, o più radicalmente si fa ponte fra il cuore della persona toccata dalla musica e la totalità del reale fin nelle sue dimensioni più abissali, quelle che si perdono nel mistero che avvolge ogni cosa”.

di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

Il canto che guarisce dans Canti nxvmo8

Il canto che guarisce
di Stefano Chiappalone – Comunità Ambrosiana

Ma il canto! era il canto che mi andava al cuore…” (JRRT)

Nel breve discorso rivolto agli organizzatori del Concerto dei poveri per i poveri – idealmente collegato all’apertura della Cappella Sistina per 150 clochard, avvenuta a marzo – lo scorso 14 maggio, Papa Francesco condensava in poche righe la funzione guaritrice della bellezza.

La musica ha questa capacità di unire le anime e di unirci con il Signore, sempre ci porta… è orizzontale e anche verticale, va in alto, e ci libera delle angosce. Anche la musica triste, pensiamo a quegli adagi lamentosi, anche questa ci aiuta nei momenti di difficoltà”. 

La musica, ma il discorso del Santo Padre è applicabile a qualsiasi forma d’arte, ci guarisce dalle angosce proprio nella misura in cui ci distoglie dall’ “affarismo materiale che sempre ci circonda e ci abbassa, ci toglie la gioia”. E si tratta di una gioia duratura, “non un’allegria divertente di un momento, no: il seme rimarrà lì nelle anime di tutti e farà tanto bene a tutti”. Nel duplice movimento verticale – verso il Signore – e orizzontale – verso i fratelli -, il Papa ci dona anche un criterio di discernimento per distinguere la vera gioia donata dall’arte e non confonderla con un piacere effimero, sulla scia della distinzione tra vera e falsa bellezza già espressa in più occasioni dal predecessore:

una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto” (Benedetto XVI, Incontro con gli artisti, 21 novembre 2009).

A sua volta, il pontefice gesuita aggiunge un ulteriore elemento nel distinguere tra “un’allegria divertente di un momento” e una gioia duratura che “rimarrà lì nelle anime di tutti e farà tanto bene a tutti”, riecheggiando quel discernimento degli spiriti di cui è maestro il suo fondatore Sant’Ignazio di Loyola. Negli Esercizi Spirituali, Ignazio ci invita a riconoscere l’albero dai suoi frutti (cfr Lc 6 ,43 ss), poiché quando c’è vera gioia spirituale, “l’anima continua nel fervore e avverte il favore divino e gli effetti che seguono la consolazione passata”. In altre parole, la gioia che scaturisce dalla vera bellezza si contraddistingue dalla continuità dei suoi effetti, nella misura in cui ci guarisce dal ripiegamento in noi stessi, ci libera dalle nostre gabbie interiori, ridestando l’apertura verso il reale e la meraviglia di far parte di una famiglia “cosmica” che va da Dio al prossimo, passando per l’intera Creazione.

“Voi non l’avete visto, ma quel cavaliere Nero si è fermato proprio qui, e stava strisciando verso noi, quando giunsero le note della canzone. Appena ha sentito le voci è fuggito via” (JRRT)

La funzione guaritrice della bellezza emerge sin dai tempi antichi. Nel primo libro di Samuele, al re Saul viene proposta una “terapia” musicale di fronte ai turbamenti di uno spirito cattivo – e i Padri del Deserto insegnano che lo spirito cattivo non spaventa necessariamente con corna e zampe caprine, ma anche molto più sottilmente attraverso la multiforme minaccia dei pensieri negativi.

Comandi il signor nostro ai ministri che gli stanno intorno e noi cercheremo un uomo abile a suonare la cetra. Quando il sovrumano spirito cattivo ti investirà, quegli metterà mano alla cetra e ti sentirai meglio” (1 Sam 16,16). Per Saul trovarono un cantore d’eccezione che sarebbe divenuto il suo successore. “Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui” (1 Sam 16,23).

Sarà per questo che talora nei momenti di sconforto cerchiamo rifugio nella musica – salvo rinchiudersi ancora di più negli auricolari –, o in mezzo al verde, per spegnere le luci e i rumori del quotidiano, e lasciar spazio ai colori della Creazione, al profumo di un prato, alla calma silente di un lago, al cinguettio degli uccelli, allo scroscio dell’acqua, al candore di una cima innevata come neonati piangenti che cercano riposo nell’abbraccio materno. Cerchiamo, in definitiva, di rompere le varie gradazioni di grigio che dominano il nostro mondo e tornare a godere un po’ di quello che doveva essere l’orizzonte quotidiano di tempi andati, certamente carenti di molte comodità materiali (di cui, beninteso, sarebbe assurdo privarci), ma forse meglio di noi attrezzati ad accogliere la vita nel suo inestricabile intreccio di gioie e dolori. Tempi che ci hanno donato non solo castelli e cattedrali, bensì un istinto della bellezza disseminato nelle umili ma splendide casette dei nostri centri storici, in paesaggi incantevoli plasmati dalla sapienza di generazioni di contadini, persino nei corredi cuciti con arte dalle madri per le figlie e dove anche la fatica delle faccende domestiche si trasfigurava nel canto delle lavandaie – avete invece mai visto qualcuno cantare, o almeno sorridere, mentre fa il bucato nelle nostre lavatrici self service a gettoni? Di quel mondo abituato alla lode traspariva un’eco nell’anziana signora che vidi passare un giorno: portava sulla testa con eleganza il suo cesto di vimini e durante il tragitto…cantava! Cantava, come aveva imparato da ragazza, in un’epoca lontana anni luce dalla nostra – benché distante solo poco più di mezzo secolo – e paradossalmente più vicina a quella Palestina di duemila anni fa, in cui una semplice ragazza di Nazareth improvvisava spontaneamente un celebre inno: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore…” (Lc 1,46-47).

…si accorsero improvvisamente che il canto sgorgava spontaneamente dalle loro labbra, quasi fosse più semplice e naturale cantare che parlare” (JRRT)

Al declinare degli inni corrisponde il mutismo delle pietre: all’incanto dei borghi e dei paesaggi – confinati a “riserve turistiche” – si è sostituito il proliferare di “non luoghi” costruiti e abitati da gente che non ha più nulla da cantare forse perché ha smesso anche di sorridere. Archiviato ogni legame trascendente, verso l’alto e verso l’altro, ritrovandosi senza Padre e senza fratelli, prigioniero del proprio individualismo, l’uomo moderno non trova più cetre in grado di scuoterlo dal torpore.

Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? Di uscire un po’ dal tuo contegno per cantare questo?” chiedeva il Santo Padre, invitando a esaminarci sulla capacità di lodare: “Ma come va la mia preghiera di lode? Io so lodare il Signore? So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?” (Omelia a S.Marta, 28 gennaio 2014).

L’arte esprime la lode, ma l’uomo moderno ne è divenuto incapace, imprigionato in quell’ “affarismo materiale che sempre ci circonda e ci abbassa, ci toglie la gioia”. Si rende grazie quando si riconosce di aver ricevuto un dono, non quando si concepisce l’intera realtà come qualcosa di interamente prodotto da noi stessi o comunque manipolabile a comando. Si ringrazia per il sole che illumina e scalda, per la pioggia che feconda la terra, per il legno e la pietra, per l’acqua e il fuoco, per il raccolto, per la festa, ma quale lode potranno mai ispirare le colate di cemento e le luci artificiali? Possiamo ancora costruire castelli e cattedrali, colonne e le vetrate, persino le colline, le siepi, ma tutto questo necessita di un solido fondamento, poiché la bellezza ha come fondamento la dimensione festiva della realtà, riflesso di quella primordiale contemplazione di Dio stesso all’atto della Creazione: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn1,29). Non importa quanto grigio invada il nostro orizzonte, né quanto dolore affligga la nostra vita: le generazioni passate non mancavano di contrarietà, tuttavia cantavano e facevano cantare persino la materia, facendo di una piccola chiesetta di campagna uno scrigno di bellezza, vivendo anche le fatiche nella prospettiva di quella festa cosmica che intravediamo tra le pieghe (e le piaghe!) del quotidiano. “Se già non lo fai, prendi l’abitudine di pregare – raccomandava J.R.R.Tolkien a suo figlio che si trovava in guerra –  Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in Excelsis, il Laudate Dominum; il Laudate Pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera del Sub tuum presidium). Se nel cuore hai queste preghiere non avrai mai bisogno di altre parole di conforto”.  Per ricominciare a costruire, perché il mondo intorno a noi ricominci a cantare, risvegliandosi dalla tristezza, non occorre cercare lontano: dobbiamo recuperare la cetra nel nostro stesso cuore.

Publié dans Canti, John Ronald Reuel Tolkien, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni, Sant’Ignazio di Loyola, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La verità ha il carisma dell’inopportunità

Posté par atempodiblog le 3 juin 2015

La verità ha il carisma dell’inopportunità dans Citazioni, frasi e pensieri don-Bruno-Forte

A differenza della maschera, che puoi costruirti a tuo piacimento, la verità s’impone con la sua alterità rispetto ad ogni tuo calcolo. Per questo essa ha il carisma dell’inopportunità.

di Monsignor Bruno Forte

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Pregare in Dio

Posté par atempodiblog le 22 avril 2015

Pregare in Dio dans Citazioni, frasi e pensieri 2i8ce3c

Pregheremo tanto meglio quanto più nel profondo della nostra anima è presente l’orientamento verso Dio. Quanto più esso diventa la base portante di tutta la nostra esistenza, tanto più saremo uomini di pace. Tanto più saremo in grado di sopportare il dolore, di capire gli altri e di aprirci a loro. Questo orientamento che segna totalmente la nostra coscienza, la silenziosa presenza di Dio sul fondo del nostro pensare, meditare ed essere, noi lo chiamiamo «preghiera continua». Ed è anche questo, in fondo, che intendiamo quando parliamo di «amore di Dio»; allo stesso tempo è la condizione più intima e la forza trainante dell’ amore del prossimo.

Questa autentica preghiera, il silente, interiore stare con Dio ha bisogno di nutrimento, ed è a questo che serve la preghiera concreta con parole, immaginazioni o pensieri. Quanto più Dio è presente in noi, tanto più potremo davvero stare presso di Lui nelle preghiere orali. Ma vale anche il contrario: la preghiera attiva realizza e approfondisce il nostro stare con Dio. Questa preghiera può e deve sgorgare soprattutto dal nostro cuore, dalle nostre pene, speranze, gioie, sofferenze, dalla vergogna per il peccato come dalla gratitudine per il bene ed essere così preghiera del tutto personale.

Benedetto XVI – Gesù di Nazareth, Ed. Rizzoli

91hph4 dans Fede, morale e teologia

“Pregare Dio è un atteggiamento in fondo ateo, perché è un Dio che sta fuori di te, straniero a te. Pregare in Dio è, al contrario, l’atteggiamento cristiano che da sempre ci ha insegnato la liturgia: pregare “nello Spirito, per il Figlio, il Padre”. Chi ripensa trinitariamente la preghiera scoprirà ricchezze meravigliose. Il cristiano prega in Dio”.

“Preghiera è al tempo stesso il dialogo di Dio con Dio nel cuore dell’uomo e l’ingresso dell’orante nella Trinità divina: il cristiano non prega un Dio, ma prega in Dio”.

dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Libri, Monsignor Bruno Forte, Preghiere | Pas de Commentaire »

Papa: Confessione è abbraccio di Dio. Mons. Forte: riconciliamoci

Posté par atempodiblog le 31 mars 2015

Papa: Confessione è abbraccio di Dio. Mons. Forte: riconciliamoci
di Radio Vaticana

“La Confessione è il sacramento della tenerezza di Dio, il suo modo di abbracciarci”. È il messaggio per il Martedì Santo che Papa Francesco ha affidato a un tweet: un invito ad accostarsi al Sacramento della Riconciliazione, tante volte ripetuto in due anni di Pontificato. Alessandro De Carolis ha chiesto all’arcivescovo di Chieti-vasto, mons. Bruno Forte, cosa gli suggeriscano i richiami di Francesco alla Confessione come tenerezza e abbraccio di Dio:

Papa: Confessione è abbraccio di Dio. Mons. Forte: riconciliamoci dans Fede, morale e teologia Confessionale

R. – Suggerisce un’immagine evangelica e cioè quella del Padre del Figliol prodigo che sta alla finestra, vede il figlio tornare di lontano, gli corre incontro e lo abbraccia. Dunque, mi sembra che Papa Francesco abbia voluto evocare la profonda misericordia di Dio, il fatto che il Dio di Gesù Cristo è un Padre che ci ama, che ci rispetta anche quando noi scegliamo qualcosa che è contro la sua volontà ed egli è sempre pronto ad accoglierci, ad aspettare il nostro ritorno e a far festa quando torniamo. Dunque, piuttosto che la visione del tribunale – che a volte nel passato aveva dominato la visione del Sacramento della penitenza, dove il sacerdote era in qualche modo il giudice che doveva poi assolvere – siamo di fronte all’immagine di un incontro d’amore, di un’attesa, di un’accoglienza festosa, di una misericordia traboccante.

D. – Lei ricorda l’immagine di Dio come quella di un Padre che perdona sempre. Papa Francesco lo ha detto dall’inizio del Pontificato: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. Perché si perde la fiducia nel perdono di Dio?

R. – Il meccanismo del peccato è un meccanismo che intacca profondamente l’integrità della persona umana e l’effetto primo, devastante, del male è il male che si fa a se stessi. Si perde il senso della propria dignità e si smarrisce proprio per questo la fiducia nelle possibilità che Dio ci ha dato. Ecco perché il volto della misericordia è fondamentale per ritrovare la strada della riconciliazione. Un Dio giudice manterrebbe ancora lontani coloro che hanno peccato. Un Dio di misericordia infinita, come ama sottolineare Papa Francesco, è un Dio che ti attrae, che sollecita il tuo cuore ad aver fiducia di Lui nonostante tutto.

D. – Papa Francesco una volta, da Santa Marta, parlando della Confessione ha detto: bisogna avere semplicità e anche coraggio. Perché queste qualità tante volte sembra siano smarrite dai cristiani quando si avvicinano al Sacramento della Riconciliazione?

R. – La semplicità è necessaria perché essere semplici significa essere veri, cioè saperci porre davanti a Dio senza alibi e senza difese. Senza quelle sovrastrutture che a volte complicano i rapporti umani e a volte complicano anche il nostro rapporto con Dio. Ciò che Papa Francesco non si stanca di ricordare è che Dio è amore e che dunque ogni rapporto con Dio deve essere vissuto nel segno dell’amore, che significa della fiducia, dell’affidamento, della libertà dalla paura e del coraggio di ritrovare nell’amore la forza per essere se stessi secondo il disegno di Dio. In fondo, il coraggio è una virtù inseparabile dalla fiducia e dall’amore. Se non hai amore, se non hai fiducia, se non ti senti amato, anche il coraggio viene meno. Se invece c’è tutto questo, il coraggio ti fa aprire a quelle che un grande teologo evangelico come Karl Barth chiamava le “impossibili possibilità di Dio”: proprio quelle che nella Settimana Santa ci vengono rivelate.

Publié dans Fede, morale e teologia, Misericordia, Monsignor Bruno Forte, Papa Francesco I, Riflessioni, Sacramento della penitenza e della riconciliazione, Sacramento dell’Ordine | Pas de Commentaire »

12