Il senso radicale di questo Natale

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020

Il senso radicale di questo Natale
Noi non aspettiamo qualcosa: aspettiamo qualcuno. Questa differenza è decisiva, radicalmente decisiva, lungo tutta la nostra vita
di Angelo Scola (Arcivescovo emerito di Milano, Cardinale di Santa Romana Chiesa del titolo dei Santi XII Apostoli) – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

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La pandemia ci sta costringendo a ri-immettere nella nostra vita in termini seri la questione delle questioni. Con quali occhi potremo guardare al futuro?

La dolcezza del Dio che si fa bambino riporta tutti noi all’età dell’innocenza, cioè agli anni della prima infanzia. In proposito mi è rimasto impresso un episodio accadutomi a Venezia. Vicino a San Marco c’è una scuola materna. La suora che allora la guidava mi aveva più volte invitato a visitarla per farmi incontrare i bambini e, tenace, rinnovava continuamente l’invito. Un giorno dal mio studio dove stavo ricevendo, sento un gran vociare salire dal cortile del patriarchìo. Scendo giù e trovo la suora, tutta contenta, attorniata da almeno un centinaio di bimbi seduti per terra. Uno di loro, deciso, mi chiama vicino con un cenno della mano e mi pone una domanda del tipo: Cosa fa un vescovo? Poi a occhi sgranati per la meraviglia, mi ascolta con estrema serietà. Ecco cos’è l’innocenza, pensai. Sintesi mirabile di stupore e di serietà.

“Diversamente dai bambini, noi adulti, nel nostro modo di muoverci quotidiano, siamo abituati a separare lo stupore dalla serietà”

Riandando poi a quell’incontro, ho fatto una considerazione. Diversamente dai bambini, noi adulti per svariati motivi, nel nostro modo di muoverci quotidiano, siamo abituati a separare lo stupore dalla serietà. Nel momento in cui veniamo presi, attratti da qualcuno o qualcosa che desta la nostra meraviglia, abbandoniamo quella serietà che l’impegno con la realtà sempre comporta. Al contrario, quando dobbiamo essere seri perché la circostanza lo esige, perdiamo ogni senso di meraviglia. La nostra è, di solito, un’esperienza di divisione a livello affettivo; quel livello cioè che precede la scelta, ma mette in campo la modalità di giudicare e di agire in ogni aspetto della nostra esistenza.

Per capire il Natale bisogna anzitutto subirne l’attrattiva. Bisogna lasciarsi colpire dal dato, dall’avvenimento che esso è. Andando poi fino in fondo e con serietà a quello che implica. Se Natale ci propone il dato di Dio che si fa Bambino, noi non possiamo ridurlo a cose che sono dell’ordine delle conseguenze. Per dirlo con il cardinal Biffi, non possiamo celebrare la festa rimuovendo il Festeggiato. A Natale – scrissi un anno nella tradizionale Lettera che l’Arcivescovo di Milano manda ai bambini – noi non aspettiamo qualcosa (i regali, i dolci ecc.) ma aspettiamo qualcuno. E mi riferii ad esperienze a loro molto familiari, come l’attesa del papà o della mamma la sera, al ritorno dal lavoro. O all’attesa gioiosa dell’arrivo di un fratellino…

Questa differenza tra l’attesa di qualcosa o di qualcuno è altrettanto decisiva, radicalmente decisiva, anche per noi adulti, lungo tutta la nostra vita. Perché? Pensiamo per un istante al grave travaglio dovuto alla pandemia che stiamo vivendo, ma pensiamo alla tragedia delle guerre dimenticate, in Africa come nel Medio oriente, in atto in questo momento. Pensiamo alla crescita esponenziale del numero dei poveri, anche tra noi: debolezza di solidarietà e vanificazione della sussidiarietà. O al dolore straziante delle centinaia di persone morte in solitudine e a quello dei loro familiari…

“Per dirlo con il cardinal Biffi, non possiamo celebrare la festa rimuovendo il Festeggiato”

Tutto dentro e intorno a noi grida il bisogno di un senso. Anche se normalmente dai pulpiti della televisione o dei new media la questione viene silenziata. Anche se di fronte a una prova che mette in gioco le cose ultime il senso non può non essere – lo si sappia o meno, e lo si voglia o meno – domanda religiosa. Con un’immagine molto suggestiva George Steiner, l’agnostico pensatore ebreo recentemente scomparso, paragona la notte oscura dei valori che le società del primo mondo stanno vivendo al venerdì e al sabato santo. Viviamo la tragedia del venerdì e la lunga attesa del sabato; ma molti sono convinti che il messia non verrà e il sabato continua.

Riformuliamo il grido parafrasando san Paolo: “Chi ci libererà da questo sapore di morte che sta attraversando questo nostro tempo?” Con quali occhi noi potremo guardare al futuro? La pandemia ci sta costringendo a ri-immettere nella nostra vita in termini seri la questione delle questioni. La storia dell’Occidente – ma si può dire la storia di ogni popolo – è sempre stata mossa ed è tuttora mossa, magari in forma idolatrica, dal reperimento della X con la maiuscola che possa trasformare ogni circostanza, anche la più negativa, in una occasione di lavoro su noi stessi e sulla vita sociale. Ecco chi aspettiamo a Natale. Aspettiamo un Dio che si fa bimbo, riunifica la nostra esperienza vitale, coniugando sapientemente meraviglia e serietà. Un bimbo che è venuto per amore e, da adulto, per amore ha sfidato una passione terribile e una morte ignominiosa, sulla croce dei malfattori. Un uomo che, essendo figlio di Dio, ha voluto soffrire su di sé ogni nostro peccato per restituirci quella prospettiva di eternità inscritta nel nostro essere ad immagine di Dio. La relazione con Dio, costitutiva di ogni uomo, inesorabilmente ci parla di immortalità e di risurrezione della carne. Proprio perché abbiamo questo legame con Dio, noi siamo destinati a durare in eterno.

“George Steiner paragona la notte oscura dei valori che le società del primo mondo stanno vivendo al venerdì e al sabato santo”

Per la fede cristiana la vita eterna incomincia dal battesimo, ricevuto magari nella primissima infanzia e poi progressivamente rimosso dalla memoria, per terminare in quello che la grande tradizione cristiana ha sempre chiamato “il Cielo”, dove i rapporti con Dio, con gli altri e con noi stessi saranno stabilmente rigenerati dentro un’esperienza di amore ricevuto e donato. “Fratelli tutti” ci ha ricordato Papa Francesco. Essere amati, per poter a nostra volta amare ed affrontare la vita di quaggiù che, pur nell’inevitabile dialettica di luce e di ombre, è caparra di eternità.

“Io, ma non più io: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo”: Benedetto XVI ha sintetizzato con una potente inarrivabile espressione l’esperienza cui il Natale ci abilita. Contemplare nel Natale il mistero dell’Incarnazione significa immergere occhi e cuore in un Dio che si fa bambino per condividere la nostra esperienza fino in fondo, fino a dare la vita e a inabissarsi negli “inferi” gustando l’amaro dello svuotamento totale. Proprio per questo egli ora ci sta attirando con la forza della sua risurrezione nel luogo del bene, della giustizia, della verità e della pace.

Mai come quest’anno sentiamo vere le parole di Eliot nel suo Viaggio dei Magi: “…Ci trascinammo per tutta quella strada per una Nascita o una Morte? Vi fu una Nascita, certo, ne avemmo prova e non avemmo dubbio. […] per noi questa Nascita fu come un’aspra ed amara sofferenza. Tornammo ai… nostri regni… fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli. Io sarei lieto di un’altra morte.

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Trump: primo discorso delle Ceneri di un presidente Usa

Posté par atempodiblog le 28 février 2020

Trump: primo discorso delle Ceneri di un presidente Usa
Per la prima volta un presidente degli Stati Uniti ha tenuto un discorso il Mercoledì delle Ceneri sulla Quaresima e lo ha fatto, non come atto privato, ma come atto ufficiale. La scelta di Donald J. Trump è di importanza cruciale, non solo perché a capo della prima potenza mondiale, ma perché torna a identificare gli Usa come nazione cristiana
di Marco Respinti – La nuova Bussola Quotidiana

Trump: primo discorso delle Ceneri di un presidente Usa dans Articoli di Giornali e News Tramp

«E la luce brillò nelle tenebre e/ contro il Verbo il mondo inquieto ancora/ mulinava attorno al centro del Verbo silenzioso». Quando, nel 1930, T.S. Eliot (1888-1965) pubblicò il poema Ash Wednesday, «Mercoledì delle Ceneri», mai più si sarebbe immaginato che una delle rappresentazioni più plastiche e concrete di quei suoi versi lancinanti sarebbe stato il presidente del Paese che il poeta si era lasciato alle spalle, gli Stati Uniti d’America, e tra tutti i presidenti certamente il più improbabile.

Nel mondo cristiano mercoledì 26 è iniziata la Quaresima con il rito dell’imposizione delle ceneri e il capo del Paese più importante del mondo, Donald J. Trump, ha segnato l’evento sul calendario della storia inviando al proprio Paese e al mondo intero un messaggio. Non era mai successo. «Melania e io auguriamo a tutti di vivere il Mercoledì delle Ceneri come un giorno di pace e di preghiera», ha scritto il presidente. «Per i cattolici e per molti altri cristiani, il Mercoledì delle Ceneri segna l’inizio del periodo quaresimale che si conclude con la gioiosa celebrazione della domenica di Pasqua. Oggi milioni di cristiani saranno marcati sulla fronte con il segno della croce. L’imposizione delle ceneri è un invito a vivere il tempo della Quaresima digiunando, pregando e impegnandosi in gesti di carità. Questa tradizione potente e sacra ci ricorda la mortalità che ci accomuna, l’amore di Cristo che salva e la necessità di pentirci accettando più pienamente il Vangelo. Ci uniamo dunque in preghiera a tutti coloro che osservano questo giorno santo e auguriamo loro un cammino quaresimale di preghiera. Durante questo periodo benedetto possiate avvicinarvi di più a Dio nella fede».

Poche parole, essenziali, che parlano dell’essenziale. Dio, la preghiera, la penitenza, la riconciliazione, il trionfo della Risurrezione. Bellissime. Ma non è solo qui la bellezza intrinseca delle parole di Trump. Il supplemento di bellezza nelle parole di Trump è che Trump quelle parole le abbia scritte. Per diversi motivi. Anzitutto perché Trump dà la fede come un dato normale di realtà. Dagli albori del genere umano fino a grosso modo l’Illuminismo l’ateismo non è mai esistito. Al massimo era il passatempo di qualche intellettualoide borghese che per vincere la noia si sforzava di stupire il prossimo. Oggi invece la fede, almeno in Occidente, sembra una cosa da marziani. Trump ribalta dunque tutto, ricominciando daccapo.

Secondo, perché non lo fa da privato, ma da presidente, e del Paese più potente del mondo. Il suo messaggio è stato diramato ufficialmente dalla Casa Bianca come tutti gli atti ufficiali del presidente. Ora, nessuno è tenuto giudicare la fede personale di Trump, ma la sua fede pubblica è un altro dato potente di realtà.

Terzo, la fede pubblica mostrata dal presidente è la fede cristiana. Gli Stati Uniti si sono concepiti come Paese cristiano sin dall’inizio. Possono avere sbagliato, ma questo è quello che hanno sempre pensato di sé. Solo oggi l’identità cristiana del Paese viene messa ideologicamente in dubbio dall’interno. Il gesto di Trump la ribadisce invece con naturalezza, come un dato di fatto.

Quarto, che la fede svolga un ruolo pubblico non viola la laicità e nemmeno la democrazia. Un Paese è serio anzitutto e soprattutto se lo è rispetto alla propria identità culturale e dunque religiosa. L’omogeneità culturale, che si fonda anche sull’identità religiosa, è la condizione per poter rispettare, difendere e accogliere realtà sociali diverse, che non condividano il dono pieno della medesima fede o la fede in quanto tale. Non è infatti il relativismo che garantisce la libertà religiosa, ma l’identità religiosa cosciente, giacché la libertà religiosa non è fare di Dio quel che si vuole bensì avere la libertà necessaria per adorarLo in spirito e verità, confrontandosi da uomini integrali con Lui.

Quinto, non si può non notare l’accento posto con enfasi, dolce, sul cattolicesimo. In un Paese erroneamente percepito come “protestante” pare strano. Ma, a parte il fatto che i cattolici restano la maggioranza relativa del Paese, e che dunque è statistico che il presidente inizi da loro seguitando poi con gli altri cristiani, Trump “subisce” il fascino del cattolicesimo. Certo, diramando il messaggio a nome della moglie e proprio, e anteponendo per giusta cavalleria il nome della consorte al proprio, ed essendo Melania cattolica, si potrebbe scambiare la cosa per mera cortesia. Ma, a parte il fatto che la buona educazione è già metà della santità, come diceva santa Francesca Saverio Cabrini (1850-1917), e che quindi cedere il passo a lady Melania non è cosa piccola, il punto è che il messaggio del Mercoledì delle Ceneri non lo ha mandato Trump da single, ma la famiglia presidenziale, Trump e signora. Il fatto che la signora Trump sia cattolica è importante; non fa di Trump il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, ma neppure riesce a nascondere il flirt che Trump ha, per un verso o per l’altro, con il cattolicesimo. Flirt culturale e pubblico, ma noi che non siamo i suoi confessori a ciò dobbiamo solo attenerci. Il Dio cattolico non è fiscale.

Alla fine di questo mercoledì da leoni, dunque, che resta? Un fatto che nessun potrà mai sbianchettare. La dimensione pubblica della fede torna senza chiedere né permesso né scusa nel mezzo del buio laicista e relativista più nero, ovvero quando «la luce brillò nelle tenebre» perché «il mondo inquieto contro il Verbo» pur sempre ancora «mulinava attorno al centro del Verbo silenzioso» non riuscendo comunque a scrollarselo di dosso. Quando si scriveranno le cronache della nuova Cristianità, diversa, inedita, gli amanuensi del futuro appunteranno certamente alcune date significative della sua protostoria, fra cui Washington, Mercoledì delle Ceneri, A.D. 2019. Trump non ha la minima idea, ma questo fa parte del fascino sublime della cosa.

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Thomas Becket e la fede che non accetta compromessi

Posté par atempodiblog le 29 décembre 2019

Thomas Becket e la fede che non accetta compromessi. Ravasi: «Oggi, invece, prevale il “vivendo, e quasi vivendo”», di Mariaelena Finessi
Tratto da: Il Centro culturale Gli scritti

Riprendiamo dal sito dell’Agenzia di stampa Zenit un articolo di Mariaelena Finessi, pubblicato il 15/3/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Il Centro culturale Gli scritti (16/3/2011)

Thomas Becket e la fede che non accetta compromessi dans Fede, morale e teologia Tommaso-Becket

«Ormai non ci interroghiamo più, anzi, in un’epoca in cui nessuno fa l’esame di coscienza, nemmeno ci accorgiamo più dov’è il male». Il cardinale Gianfranco Ravasi [...] chiamato a commentare il tema della “Tentazione”, si ispira per la sua meditazione all’opera di Thomas Stearns Eliot “Assassinio nella Cattedrale”.

A precedere la riflessione del cardinale [...] la lettura di una riduzione del dramma in cui Ravasi scorge una similitudine con l’attualità. Quindi cita il “Faust” di Goethe: «Abbiamo perso il grande Maligno e ci sono rimasti tutti i piccoli mascalzoni».

Scritto nel 1935, all’età di 47 anni, quello del poeta angloamericano è un testo in versi che rievoca il martirio di Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, ucciso sull’altare nel 1170. In un clima di scisma tra monarchia inglese e Chiesa di Roma, dopo sette anni di esilio in Francia, il prelato torna in Inghilterra per risolvere il dissidio con il re, Enrico II. La situazione politica è però estremamente pericolosa, tanto per lui quanto per i suoi fedeli.

La missione spirituale di Becket s’imbatte negli ostacoli generati dai suoi conflitti interiori, che si materializzano nelle figure di quattro Tentatori. «Il primo – racconta – Ravasi – ricorda all’arcivescovo la sua giovinezza dissoluta e le immagini evocative cui ricorre Eliot sono quelle dei “flauti pei campi, viole nella sala, fiori di melo a galleggiar su l’acqua”, i sussurri nelle stanze, il buio e il vino».

Il secondo Tentatore lo invita a gettare la tonaca e rivestire i panni del Gran Cancelliere, ma Tommaso, che sa che cos’è la forza attrattiva del potere, essendosi inebriato al suo calice, risponde: “Potere temporale? Potere con il Re? Io fui il Re, fui il suo braccio, fui la sua ragione! Ma tutto ciò che già fu esaltazione ora sarebbe un misero declino”.

Falliti i primi due tentativi di farlo cadere, il terzo Tentatore gli suggerisce, anch’egli invano, di congiurare contro il re e allearsi con i baroni feudali che «rappresentano il nazionalismo – spiega Ravasi – , l’interesse di casta, il gioco sottile degli interessi, i piccoli tradimenti».

Ben poca cosa sono però le lusinghe del piacere e del potere rispetto alla gloria del martirio, e quindi al fascino dell’immortalità che gli prospetta il quarto: “Che sono il piacere e il governo regale ed il comando, in confronto al dominio universale della supremazia spirituale? Pensa,Tommaso, pensa alla gloria che vien dopo la morte. Se morto è il Re, v’è un altro Re e un altro Regno. Ma il Santo e il Martire regnano dalla tomba…”.

Becket, tenace, respinge anche quest’ultima tentazione che è, si, “il tradimento più grande”. E il giorno di Natale, durante la predica, spiega al popolo il senso del martirio cristiano, che “non è un caso, né mai disegno è d’uomo…Vero martire è quel che non desidera più nulla per sé, neppur la gloria del martirio: è quello che strumento è divenuto di Dio, che nella volontà di Dio, nella sottomissione a Dio soltanto, ha trovato la vera libertà”.

La vera tentazione allora è questa: “Compiere l’azione giusta ma per la ragione sbagliata”.

Così, quando s’avvicinano alla cattedrale i quattro cavalieri inviati dal re, intimando a Tommaso di revocare la scomunica sui vescovi che hanno incoronato Enrico, l’arcivescovo non arretra dalla sua scelta, che è ormai compiuta, e neppure fugge.

È in gioco, qui, la coscienza e la coerenza, chiarisce il cardinale Ravasi, eternamente in tentazione e ben espressa dai sacerdoti quando urlano “Chiudete le porte! Sprangatele tutte…Siam salvi, siam salvi!…Non possono irrompere…non ne hanno la forza”. «Intendono dire, cioè, che sono salvi  nel loro spazio protetto – chiarisce il porporato –, dove non vogliono che la grande prova entri».

Tommaso ordina di aprire le porte, di lasciare entrare i sicari: “Io do la mia vita per la legge di Dio, superiore a quella dell’uomo”. Becket dà la vita non per la gloria ma per coerenza alla sua coscienza: è il momento della manifestazione della grande dignità, della fede che non accetta compromessi.

Per la sua meditazione, il cardinale Ravasi attinge a “I quattro quartetti », altra opera di Eliot, Premio Nobel per la Letteratura nel 1948. Dal testo, che celebra l’ingresso nell’eternità, traspare una grande tensione ideale e politica.

Qui il drammaturgo individua, con lirica sublime, il punto d’intersezione tra il “time” e il “timeless”, tra il tempo e il senza tempo. «Si tratta di un’occupazione da santo, scrive Eliot, che poi si corregge, chiarendo che non è tanto un’occupazione quanto invece qualcosa che è “given” e “taken”, dato e ricevuto», ricorda Ravasi.

E quando si riceve questo dono dell’eternità? Quando si afferra l’attimo della intersezione? Durante la vita, è la risposta. Anzi, sottolinea Ravasi, «in un morire d’amore durante il tempo della vita» (“In a lifetime’s death in love, Ardour and selflessness and self-surrender”). Con la negazione e il totale abbandono di se.

Concludendo, nel capolavoro di Eliot «emerge con evidenza il parallelismo creato dal poeta tra la vicenda di Becket e la passione di Cristo, dalle tentazioni del demonio al sacrificio necessario per il riscatto dell’umanità. E allora, come oggi, le donne incarnano l’orizzonte in cui ci troviamo», sottolinea il cardinale.

«Noi non viviamo in un tempo di grandi tragedie, viviamo invece in un tempo di modeste intelligenze e ancor più meschini comportamenti in quel “vivendo, e quasi vivendo” che è il tipico atteggiamento della persona banale». Quel galleggiare, senza scendere nelle profondità dell’esistenza.

Nella poesia del 1925, “Uomini vuoti”, Eliot scriveva che è questo ormai il modo in cui finisce il mondo, non con uno schianto, un “bang”, ma con un piagnucolio (“This is the way the world ends. Not with a bang but a whimper”).

Nei Cori de “La Rocca, altro grande lavoro letterario, Eliot commenta con una lucida sequenza ternaria: « Dov’è la sapienza che abbiamo perso con le nozioni? Dov’è la vita che abbiamo perso vivendo?”. «Letteralmente – conclude Ravasi – dov’è la Vita (con la maiuscola, ndr), che abbiamo perso con questa vita (minuscola, ndr)»?

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Le parole dell’anno a venire…

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2017

Le parole dell’anno a venire... dans Citazioni, frasi e pensieri T_S_Eliot

“Le parole dell’anno trascorso appartengono al linguaggio dell’anno trascorso e le parole dell’anno a venire attendono un’altra voce…”.

Thomas Stearns Eliot

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Cantico di Simeone (di T. S. Eliot)

Posté par atempodiblog le 1 février 2015

Cantico di Simeone
di Thomas Stearns Eliot

Cantico di Simeone (di T. S. Eliot) dans Citazioni, frasi e pensieri 14vgpqh

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi
E il sole d’inverno s’insinua sui colli di neve;
La stagione ostinata si sofferma.
La mia vita è leggera, in attesa il vento di morte,
Come una piuma sul dorso della mano.
La polvere nel sole e la memoria negli angoli
Attendono il vento che gela verso la terra morta.

Concedi a noi la pace.
Per molti anni camminai in questa città,
Mantenni fede e il digiuno, provvedetti ai poveri,
Ho dato e avuto onori ed agiatezza.
Chi giunse alla mia porta fu respinto.
Chi si ricorderà della mia casa, dove vivranno i figli dei miei figli,
Quando verrà il tempo del dolore?
Prenderanno il sentiero della capra, la tana della volpe,
Fuggendo i volti stranieri e le spade straniere.

Prima che venga il tempo delle corde, delle sferze e dei lamenti
Concedi a noi la pace.
Prima delle stazioni della montagna di desolazione,
Prima dell’ora certa del dolore materno,
Ora in questa stagione di nascita e morte,
Possa il Figliolo, il Verbo non pronunciante e impronunciato ancora,
Accordare la consolazione d’Israele
A un uomo di ottant’anni e che non ha un domani.

Secondo la tua parola.
Ti loderanno e soffriranno a ogni generazione
Con gloria e derisione,
Luce su luce, salendo la scala dei santi.
Non per me il martirio, l’estasi del pensiero e della preghiera,
Non per me la visione estrema.
Concedi a me la tua pace.
(E una spada trafiggerà il tuo cuore,
Anche il tuo).
Sono stanco della mia vita e della vita di quelli che verranno,
Muoio della mia morte e della morte di quelli che verranno.
Che  il tuo servo si parta
Dopo aver visto la tua salvezza.

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Il cammino dei Re Magi

Posté par atempodiblog le 6 janvier 2015

Il cammino dei Re Magi dans Citazioni, frasi e pensieri 2lmqwxk

Fu un freddo avvento per noi,
Proprio il tempo peggiore dell’anno
Per un viaggio, per un lungo viaggio come questo
Le vie fangose e la stagione rigida
Nel cuore dell’inverno.
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili
Sdraiati nella neve che si scioglie.
Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo
I palazzi d’estate sui pendii, le terrazze,
E le fanciulle seriche che portano il sorbetto.
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
E disertavano, e volevano, donne e liquori,
E i fuochi notturni s’estinguevano, mancavano ricoveri,
E le città ostili e i paesi nemici
Ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo:
Ore difficili avemmo.
Preferimmo viaggiare di notte,
Dormendo solo a tratti,
Con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo
Che questo era tutta follia.

Poi all’alba giungemmo a una valle più tiepida,
Umida, sotto la linea della neve, tutta odorante di vegetazione;
Con un ruscello in corsa ed un molino ad acqua che batteva il buio,
E tre alberi contro il cielo basso,
E un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato.
Poi arrivammo a una taverna con l’architrave coperta di pampini,
Sei mani ad una porta aperta giocavano a dadi monete d’argento,
E piedi davano calci agli otri vuoti.
Ma non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo
Ed arrivati a sera non un solo momento troppo presto
Trovammo il posto; cosa soddisfacente voi direte.

Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
E lo farei di nuovo, ma considerate
Questo considerate
Questo: ci trascinarono per tutta quella strada
Per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
Ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo detto nascita e morte
Ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
Come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
Ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
Fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un’altra morte.

T.S. Eliot - Il viaggio dei Magi
Tratto da: Libertà e Persona

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L’Arcivescovo predica nella Cattedrale la mattina di Natale del 1179

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2014

L’Arcivescovo predica nella Cattedrale la mattina di Natale del 1179
di Thomas Stearns Eliot -
Assassinio nella cattedrale

 L’Arcivescovo predica nella Cattedrale la mattina di Natale del 1179 dans Fede, morale e teologia nwiqyx

“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Quattordicesimo versetto del secondo capitolo del Vangelo di San Luca. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen

Diletti figli di Dio, la mia predica di questa mattina di Natale sarà molto breve. Vorrei soltanto che voi in cuor vostro meditaste il profondo significato e mistero delle nostre Messe di Natale. Perché ogni volta che una Messa vien detta, noi facciamo rivivere la Passione e la Morte di Nostro Signore; e in questo giorno di Natale noi la diciamo per celebrare la sua Nascita.

Così nello stesso momento noi ci rallegriamo della Sua venuta per la salvezza degli uomini e di nuovo offriamo a Dio il Suo Corpo e il Suo Sangue in sacrificio, per riparazione e risarcimento dei peccati del mondo intero. Fu in questa notte appena passata che una schiera dell’esercito celeste apparve davanti ai pastori di Betlemme, cantando “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”; così questo momento è l’unico in tutto l’anno in cui noi celebriamo insieme la Nascita di Nostro Signore e la Sua Passione e Morte sulla Croce.

Diletti figli, per il Mondo, dal suo punto di vista, questo è uno strano comportamento. Perché chi nel Mondo si rattrista e si rallegra nello stesso tempo e per la stessa ragione? Infatti, o la gioia è superata dal dolore o il dolore sarà cacciato via dalla gioia; così è solo in questi nostri cristiani misteri che noi possiamo rallegrarci e rattristarci insieme, e per la stessa ragione. Ora pensate per un momento al significato della parola “pace”. Non vi pare strano che gli angeli abbiano annunciato la pace, quando invece il mondo è incessantemente sconvolto dalla guerra e dalla paura della guerra? Non pare a voi che quelle angeliche voci si siano sbagliate e che quella promessa si sia risolta in delusione e in inganno?

Riflettete ora su come parlò della Pace il Nostro Signore. Lui disse ai suoi discepoli: “Pace io vi lascio e la mia pace io do a voi”. Voleva Egli dire pace come noi la intendiamo? Il Regno d’Inghilterra in pace con i suoi vicini, i baroni in pace con il Re, e il capofamiglia che conta i suoi pacifici guadagni, il focolare ben tenuto, il miglior vino sulla tavola per l’amico, la moglie che canta ai bambini? Quegli uomini che erano Suoi discepoli nulla sapevano di queste cose: essi partirono per viaggi lontani, per soffrire sulla terra e sul mare, per conoscere la tortura, la prigionia, la disillusione, per soffrire la morte con il martirio. Che cosa intendeva dunque Egli dire? Se volete saperlo, ricordatevi che Egli disse anche: “Non come quella che dà il Mondo è la mia pace; ed è la mia pace che io do a voi”. Perciò Egli diede la pace ai Suoi discepoli, ma non la pace come la dà il Mondo.

Considerate ancora una cosa alla quale forse non avete mai pensato. Non soltanto noi nella festa di Natale celebriamo insieme la nascita di Nostro Signore e la sua morte: ma nel giorno che segue noi celebriamo il martirio del suo primo martire, il beato Stefano. È per caso, voi credete, che il giorno del primo martire segue immediatamente quello della nascita di Cristo? Assolutamente no. Proprio come noi ci rallegriamo e rattristiamo insieme, per la nascita e la passione di Nostro Signore, così anche – fatte le debite proporzioni – noi ci rallegriamo e rattristiamo insieme per la morte dei martiri.

Noi ci rattristiamo per i peccati del mondo che li ha martirizzati; ci rallegriamo perché un’altra anima si annovera tra i santi in Paradiso, a gloria di Dio e per la salvezza degli uomini. Diletti figli, noi non consideriamo un martire semplicemente un buon cristiano che è stato ucciso perché è cristiano: questo ci farebbe soltanto rattristare. Né lo consideriamo semplicemente un buon cristiano che fu eletto tra le schiere dei santi: perché questo ci farebbe soltanto rallegrare: e mai il nostro rattristarci e il nostro rallegrarci sono come quelli del mondo.

Un martirio cristiano non avviene mai per caso, perché non si diventa santi per caso. Un martirio è sempre un disegno di Dio, per il suo amore per gli uomini, per avvertirli e guidarli, per riportarli sulla sua strada. Non è mai un disegno dell’uomo; perché il vero martire è colui che è diventato lo strumento di Dio, che ha perduto la sua volontà nella volontà di Dio, e che non desidera più niente per se stesso, neppure la gloria di essere un martire.

Sicché, come sulla terra la Chiesa si rattrista e si rallegra insieme, in un  modo che il mondo non può capire, così in paradiso i santi stanno molto in alto proprio perché qui, su questa terra, sono stati molto in basso; e si contemplano non come noi li vediamo, ma nella luce della divinità dalla quale essi traggono il proprio essere.

Io vi ho parlato oggi, diletti figli di Dio, dei martiri del passato, e vi chiedo di ricordare soprattutto il nostro martire di Canterbury, il beato arcivescovo Elpigio; perché è giusto, nel giorno della Nascita di Cristo, ricordare che cosa è quella Pace che Lui ci ha portato; perché, diletti figli, non credo che io predicherò più davanti a voi; e perché è possibile che tra breve voi abbiate ancora un nuovo martire, che forse non sarà neppure l’ultimo. Io vorrei che voi custodiste nei vostri cuori le parole che vi dico, perché possiate ricordarle in un altro momento. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

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La coltura degli alberi di Natale (T. S. Eliot)

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

La coltura degli alberi di Natale (T. S. Eliot) dans Avvento Glade-Jul-di-Viggo-Johansen
Glade Jul, di Viggo Johansen

Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale
E alcuni il possiamo trascurare:
Il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,
Il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),
E l’infantile – che non è quello del bimbo
Che crede ogni candela una stella, e l’angelo dorato
Spieganti l’ale alla cima dell’albero
Non solo una decorazione, ma anche un angelo.
Il fanciullo stupisce di fronte all’albero di Natale
Lasciatelo dunque in spirito di meraviglia
Di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto.
Così che il rapimento splendido, e lo stupore
Del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l’incanto
Dei primi doni ricevuti (ognuno
Con un profumo inconfondibile e eccitante),
E l’attesa dell’oca o del tacchino, l’evento
Atteso e che stupisce al suo apparire.
E reverenza e gioia non debbano
Essere mai dimenticate nella più tarda esperienza
Nella stanca abitudine, nella fatica, nel tedio.
Nella consapevolezza della morte, nella coscienza del fallimento
Nella pietà del convertito
Che si potrebbe tingere di vanagloria
Spiacente a Dio e irrispettosa verso i fanciulli
(E qui ricordo con gratitudine anche
Santa Lucia, con la sua canzoncina e la sua corona di fuoco):
Così che prima della fine, l’ottantesimo Natale
(Significando qui per “ottantesimo” l’ultimo qualunque
esso sia)
Le accumulate memorie dell’emozione annuale
Possano concentrarsi in una grande gioia
Simile sempre a un grande timore, come nell’occasione
In cui il timore giunse ad ogni anima:
Perché l’inizio ci ricorderà la fine
E la prima venuta la seconda venuta.

di Thomas Stearns Eliot

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9 giugno: anniversario della morte di Charles Dickens

Posté par atempodiblog le 9 juin 2014

“Non esiste miglior critico dickensiano del signor Chesterton”.

Thomas Stearns Eliot

9 giugno: anniversario della morte di Charles Dickens dans Charles Dickens 2yux9ph

“Charles Dickens, il più grande scrittore inglese, nato proprio due secoli fa. Il più grande drammaturgo inglese, William Shakespeare - o almeno così alcuni scrittori sostengono plausibilmente - potrebbe anche essere stato cattolico. E’ difficile fare una tale affermazione su Dickens: G.K. Chesterton, però, (che certamente ha capito Dickens meglio di Dickens stesso) ha davvero affermato che Dickens era cattolico nel cuore: e, come io sosterrò, questa non è affatto una affermazione così stravagante come potrebbe sembrare a prima vista”.

William Oddie – Catholic Herald
Tratto da: Il blog dell’Uomo Vivo

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…sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono…

Posté par atempodiblog le 20 mai 2014

…sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono… dans Riflessioni 9kqs8o

La citazione completa dai Cori dalla Rocca  di T.S. Eliot è: “Essi cercano sempre di evadere/ dal buio esteriore e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono”.

Mi ha colpito tale citazione che da tempo tra amici ripetiamo senza comprenderne il significato. Ora mi è chiaro che la lotta buona di alcuni per avere delle buone leggi ha finito con il diventare una lotta ideologica, prescindendo dall’impegno irrinunciabile di ciascuno ad “esser buono”.

Perché siamo liberi e la nostra libertà in ogni momento può fare delle scelte che nemmeno ci immaginavamo. Come conferma questo passaggio della Spe Salvi:

“Poiché  l’uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato. Chi promette un mondo migliore che durerebbe irrevocabilmente per sempre, fa una promessa falsa; anzi, egli ignora la libertà umana”. Anzi “se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata – buona – condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell’uomo, e, per questo motivo, non sarebbero per nulla  delle strutture buone (…) In altre parole: le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può essere mai redento semplicemente dall’esterno” (Spe salvi, 24,45).

di Anna Vercors

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L’amore cristiano non è quello delle telenovele

Posté par atempodiblog le 22 janvier 2014

L'amore cristiano non è quello delle telenovele dans Citazioni, frasi e pensieri s2eey1

“Guardate che l’amore di cui parla Giovanni non è l’amore delle telenovele! No, è un’altra cosa”.

Papa Francesco

24awj0k dans Gilbert Keith Chesterton

Terminato il tormento
Dell’amore insoddisfatto
Più grande tormento
Dell’amore soddisfatto”.

Thomas Stearns Eliot

24awj0k dans Papa Francesco I

“In tutto ciò che valga la pena fare, sino ad ogni piacere, c’è un punto di dolore o di noia che deve essere preservato, proprio perché il piacere possa rivivere e durare. L’allegria della battaglia viene dopo il primo timore della morte; l’allegria nel leggere Virgilio viene dopo la noia dell’apprendimento; la gioia del bagnante, dopo il primo colpo dell’acqua fredda e il successo del matrimonio viene solo dopo la delusione della luna di miele”.

Gilbert Keith Chesterton

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Potete eludere la Vita, ma non la Morte

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2013

Potete eludere la Vita, ma non la Morte dans Citazioni, frasi e pensieri 8uto

O anima mia, che tu sia pronta per la venuta della Straniera,
Che tu sia pronta per colei che sa come fare domande.
O stanchezza di uomini che vi stornate da Dio,
Per la grandezza della vostra mente e la gloria della vostra azione,
Per le arti e le invenzioni e le imprese temerarie,
Per gli schemi della grandezza umana del tutto screditata
Che riducete la terra e l’acqua al vostro servizio,
Che sfruttate i mari e sviscerate le montagne,
Che dividete le stelle in comuni e preferite,
Impegnati a ideare il frigorifero perfetto,
Impegnati a risolvere una morale razionale,
Impegnati a stampare più libri che potete,
A far progetti di felicità e a buttar via bottiglie vuote,
Passando dalla vacuità ad un febbrile entusiasmo
Per la nazione o la razza o ciò che voi chiamate umanità;
Sebbene abbiate dimenticato la via al Tempio,
V’è una che ricorda la via alla vostra porta:
Potete eludere la Vita, ma non la Morte.
Non rinnegherete la Straniera.

di Thomas Stearns Eliot
Tratto da: I cori della Roccia

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Sul petto degli altri

Posté par atempodiblog le 23 février 2013

Sul petto degli altri dans Citazioni, frasi e pensieri tseliot

“L’uomo di oggi è uno che recita volentieri il mea culpa: battendo sempre, però, sul petto degli altri”.

Thomas Stearns Eliot

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Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!

Posté par atempodiblog le 4 février 2013

«Fatichiamo invano se il SIGNORE non edifica con noi. / Potete reggere forse la Città se il SIGNORE non resta con voi? / Mille vigili dirigono il traffico / Non sanno dirvi né perché venite né dove andate…» (T. S. Eliot, Cori da “La Roccia”)

Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza! dans Citazioni, frasi e pensieri madonnaxx

Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!
di Luisella Saro, curatore Don Gabriele Mangiarotti
Tratto da: Cultura Cattolica

Passo ogni giorno, in via Spalti, davanti all’oratorio Pio X. E’ la strada per andare a scuola, la scorciatoia per arrivare in centro.
Ho visto ragazzi giocare a calcio, il campo sportivo riempirsi per le gare durante il Grest. Ho visto uscire camion pieni, mentre l’oratorio si svuotava. Ho visto escavatori e ruspe e l’edificio, segnato dagli anni, sgretolarsi sotto i loro colpi. Ho visto cumuli di macerie.
Sempre uguale, nel piazzale d’ingresso, la statua della Madonna: la veste bianca e azzurra, le mani giunte in preghiera e quello sguardo materno e forte che quando ti sfiora non lo dimentichi più.
Passando davanti al cancello, nei mesi il panorama è cambiato: prima, dietro le sue spalle, le aule del catechismo, le sale delle riunioni e delle feste; ora, solo una montagna di calcinacci. Lei lì, sempre uguale.
Il tempo logora le cose che si logorano; spesso sono gli uomini a distruggerle. Lei no. Le ruspe l’hanno risparmiata. E’ ancora lì, tra i detriti, bella come il primo giorno. Le mani giunte in preghiera e quegli occhi materni e forti che han visto crescere i padri e i nonni dei bimbi che per ultimi, quest’estate, han deposto un fiore ai suoi piedi.
Oggi ho immaginato di varcare il cancello e di mettermi dietro a Lei, accanto a quelle macerie frutto del tempo e dell’incuria degli uomini. L’oratorio sarà ricostruito e, nuovo, tornerà ad essere luogo di vita e di incontro, di testimonianza cristiana. Penso che anche questo nostro mondo in rovina ha bisogno di essere ri-edificato perché sia più umano: un mondo di uomini per gli uomini. E che compito nostro, per i talenti che abbiamo ricevuto, è collaborare alla costruzione del Regno.
Dentro questa scena ho capito. La politica, la famiglia, l’educazione, l’informazione, la cultura non devono inventare nulla. Basta che seguano. Che guardino dove Lei guarda, guardino Chi guarda. Perché Cristo è l’umanità compiuta, l’alfa e l’omega del cosmo e della storia. L’Architetto è Lui.
E allora

«In luoghi abbandonati
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina
Dove i mattoni sono caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi sono marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove parole non sono pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro»
(T. S. Eliot, Cori da “La Roccia”)

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Umanità e Chiesa

Posté par atempodiblog le 19 avril 2011

« È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità? »
Thomas Stearns Eliot

Umanità e Chiesa dans Citazioni, frasi e pensieri dongiussani

Ma come fa un uomo del mio tempo, un uomo di questo tempo, parlando di cultura, usando la parola cultura, a non tener presente questa frase qui?! Dimentica i quattro quinti del mondo.
[...] innanzitutto è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, perché se io ho bisogno di una cosa, le corro dietro, se quella cosa va via. Nessuno correva dietro.
La Chiesa ha cominciato a abbandonare l’umanità secondo me, secondo noi, perché ha dimenticato chi era Cristo, non ha poggiato su… ha avuto vergogna di Cristo, di dire chi è Cristo.

Don Luigi Giovanni Giussani

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