Giugno, la Chiesa ricorda solennemente il Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 30 mai 2025

Giugno, la Chiesa ricorda solennemente il Sacro Cuore di Gesù
di Cristina Siccardi

Giugno, la Chiesa ricorda solennemente il Sacro Cuore di Gesù dans Apparizioni mariane e santuari Sacro-Cuore

Nel mese di giugno la Chiesa ricorda solennemente il Sacro Cuore di Gesù. «Sentivo nel mio cuore un fuoco così ardente e violento che avrei voluto trasmetterlo a tutte le creature affinché amassero il mio Dio», così scriverà nella sua autobiografia santa Margherita Maria Alacoque, benedetta da stati mistici straordinari, l’umile religiosa di Paray-le-Monial si è consumata al servizio della devozione per il Sacro Cuore di Gesù. 

Esistono soltanto pochi eventi che segnano la vita di santa Margherita Maria. La sua esistenza coincide, in pratica, con i molteplici fenomeni mistici di cui fu divinamente favorita, perché gli eventi della vita si riassumono in poche tappe: la nascita nel 1647 in Borgogna; la morte dal padre nel 1655, in seguito alla quale entrò in un pensionato di clarisse; una grave malattia che durò quattro anni; la cresima del 1669 e, infine, la monacazione, nell’anno 1671, nel convento delle Visitantine di Paray-le-Monial, fondate da san Francesco di Sales con santa Francesca Frémiot de Chantal, dove vi rimase fino al dies natalis, che sopraggiunse il 17 ottobre (giorno della sua festività per la Chiesa) del 1690.

Leggiamo nel Vangelo di san Giovanni: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv. 19, 33-34). A tanto arrivò l’amore del Crocifisso…

Era la festa di san Giovanni evangelista, il 27 dicembre del 1673, quando Gesù apparve alla visitandina santa Margherita Maria Alacoque, invitandola a prendere il posto che san Giovanni aveva occupato durante l’Ultima Cena, ovvero posare il capo sul suo Cuore e le disse: «Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per adempiere a questo grande disegno». Margherita Maria ebbe tali apparizioni per 17 anni, sino alla morte.

Il Cuore divino si manifestava su un trono di fiamme, circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai peccati e sormontato da una croce, quella della Redenzione. Gesù si presentava sfolgorante di gloria, con le cinque piaghe, brillanti come soli e da quella sacra umanità uscivano fiamme da ogni parte, ma soprattutto dal suo petto che, racconterà la mistica, assomigliava ad una fornace, la quale, aprendosi, mostrava l’ardente e amante Cuore, sorgente di quelle fiamme.

Gesù Cristo lamentava l’ingratitudine degli uomini e la loro indifferenza, rivelando alla mistica che si sentiva ferito dalle irriverenze dei fedeli e dai sacrilegi degli empi, ma ciò «che mi è ancor più sensibile è che sono i cuori a me consacrati» a provocare cocente dolore. Quindi chiese a santa Margherita di supplire a tali mancanze, sollecitandola a fare la Comunione il primo venerdì di ogni mese e di prostrarsi, con faccia a terra, dalle 23:00 alle 24:00, nella notte tra il giovedì e il venerdì. Chiese ancora che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini fosse dedicato alla festa del suo Cuore. Indicò, inoltre, come esecutore della diffusione di questa devozione il padre spirituale della santa, il gesuita san Claudio de la Colombière.

Le prime due cerimonie in onore del Sacro Cuore, presente la mistica, si ebbero nel Noviziato delle Suore della Visitazione di Paray-le-Monial, nella regione della Borgogna-Franca Contea, il 20 luglio 1685 e il 21 giugno 1686. Nel 1856, con il beato Pio IX, la festa del Sacro Cuore divenne universale. Sull’esortazione di questo Pontefice si diffusero gli Atti di consacrazione al Cuore di Gesù della famiglia e delle nazioni.

Sorsero ovunque cappelle, oratori, chiese, basiliche, santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù. Proliferarono quadri e stampe; si iniziò la pia pratica della Comunione nel primo venerdì del mese e si composero le Litanie del Sacro Cuore, dedicando il mese di giugno al suo culto.

Numerose congregazioni religiose, sia maschili che femminili, sono strettamente legate alla devozione del Sacro Cuore di Gesù, la cui festa viene celebrata il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini.

Questa venerazione è inscindibile a quella del Cuore Immacolato di Maria, il cui promotore fu san Giovanni Eudes, già devoto al Sacro Cuore di Gesù prima ancora delle apparizioni della santa visitandina.

Sono dovuti trascorrere duecento anni prima di arrivare al trionfo della devozione per il Sacro Cuore di Gesù. Disprezzo, scherni, collera da parte di uomini della Chiesa che si opposero a quella che sarcasticamente, gesuiti e vescovi e non solo, definivano «teologia muscolare». Nonostante ciò, la devozione, grazie alla eroica resistenza della santa, che fu sottoposta a molteplici esami ed interrogatori, continuò a svilupparsi passo dopo passo, attraverso immagini, libri, prediche, altari consacrati, santuari e confraternite.
Dieci anni dopo la sua morte, tutti i conventi della Visitazione in Francia, ma anche a Friburgo, a Napoli, a Vienna e in Polonia, avevano introdotto la devozione, e la confraternita di Digione contava 13 mila membri in tutta Europa.

Nel 1697 la Sacra Congregazione dei Riti emise un decreto con il quale si accordava «ai monasteri della Visitazione la messa delle cinque piaghe per la festa del Sacro Cuore».
Roma, tuttavia, continuava ad avere dubbi, nonostante le suppliche, nel XVIII secolo, del Re della Polonia e del Re di Spagna. La definizione della parola «Cuore» creava timori per il rischio di scontentare i filosofi moderni.
Finalmente, nel 1765, ad alcune diocesi della Polonia e della Spagna fu consentito di celebrare la festa.
Dovette, però, passare ancora molto tempo prima che in Francia la devozione assumesse una dimensione nazionale e ciò avvenne, simbolicamente, con l’edificazione, iniziata nel 1873, della chiesa del Sacré-Coeur sulla sommità della collina di Montmartre a Parigi. Papa Benedetto XV la elevò al rango di Basilica minore nel 1919. La pietra calcarea della Basilica ha la caratteristica di non trattenere polvere e smog, così dopo ogni pioggia il Sacré-Cœur risulta ancora più splendente.

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I pastorelli di Fatima

Posté par atempodiblog le 21 février 2013

I pastorelli di Fatima dans Articoli di Giornali e News Fatima

Uno dei divertimenti preferiti da Francesco, Giacinta e Lucia era quello di gridare ad alta voce, dall’alto dei monti, seduti sulla roccia. Il nome che più echeggiava era quello della Madonna. A volte Giacinta, «quella a cui la Vergine Santissima ha comunicato maggior abbondanza di grazie e maggior conoscenza di Dio e della virtù», come scriverà Suor Lucia, recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando la parola seguente soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente. Tale innocentissima preghiera di bambina, quasi surreale, dove il soprannaturale si sovrapponeva al naturale, doveva essere di sublime bellezza. Ebbene, la Madonna scelse proprio lei, suo fratello e la cugina per rivelare a Fatima, nel 1917, i rimedi che l’umanità e la Chiesa avrebbero dovuto prendere per combattere errori e guerre: la recita del Santo Rosario, la lotta contro il peccato, la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria per arrestare l’ideologia comunista.

Il 12 settembre 1935 le spoglie di Giacinta furono trasportate da Vila Nova de Ourém a Fatima. Quando la bara fu aperta si attestò che il volto della piccola veggente era incorrotto. Venne scattata una fotografia e il Vescovo di Leiria, Monsignor José Alves Correia da Silva (1872-1957) ne inviò una copia a suor Lucia che, nei ringraziamenti, accennò alle virtù della cugina. Tale fatto indusse il Monsignore ad ordinare alla monaca di scrivere tutto ciò che sapeva della vita di Giacinta, ecco che nacque la Prima Memoria, che l’autrice terminò nel Natale dello stesso 1935.

Trascorsero due anni dalla Prima Memoria e il Vescovo di Leiria ordinò a Suor Lucia di scrivere, in tutta verità, la sua vita e le apparizioni mariane, così come erano avvenute. Suor Lucia obbedì, scrivendo la Seconda Memoria dal 7 al 21 novembre 1937.

In una lettera del 31 agosto 1941, indirizzata a padre Giuseppe Bernardo Gonçalves Sj, Lucia spiega come nacque la Terza Memoria: «Mons. Vescovo… mi ordinò di ricordare qualsiasi altra cosa che avesse relazione con Giacinta, per una nuova edizione che vogliono stampare. Quest’ordine mi penetrò nell’anima come un raggio di luce …». Fu proprio con questo scritto che Fatima raggiunse dimensioni internazionali. Sorpresi dai racconti della Terza Memoria, Monsignor Giuseppe Alves Correia da Silva e don Galamba conclusero che Lucia, nelle relazioni anteriori, non aveva detto tutto e che nascondeva ancora degli elementi. Dunque, il 7 ottobre 1941, la monaca riceve il nuovo ordine di scrivere qualsiasi altra cosa che avesse potuto emergere dagli accadimenti di Fatima. Fu così che l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, dello stesso anno, l’autrice consegnò il manoscritto affermando: «Fin qui, ho fatto il possibile per nascondere quel che le apparizioni della Madonna nella Cova d’Iria avevano di più intimo. Ogni volta che mi vidi obbligata a parlare, cercai di accennarvi di sfuggita, per non  scoprire quello che tanto desideravo tener in serbo. Ma ora, che l’obbedienza mi comandò, ho detto tutto! E io rimango come lo scheletro, spogliato di tutto e perfino della vita stessa, messo nel Museo Nazionale, per ricordare ai visitatori la miseria e il niente di tutto quel che passa. Così spogliata, resterò nel Museo del Mondo ricordando a quelli che passano, non la miseria e il niente, ma la grandezza delle Misericordie Divine».

Con schiettezza e semplicità Suor Lucia narra in queste pagine le “magiche” beltà della loro infanzia. Tutti e tre i bambini nacquero ad Aljustrel, in Portogallo. Lucia dos Santos, poi suor Lucia di Gesù, il 22 marzo 1907, morirà a Coimbra il 13 febbraio 2005; Francesco Marto l’11 giugno 1908, morirà a Fatima il 4 aprile 1919 (beatificato, con la sorella il 13 maggio 2000); Giacinta Marto l’11 marzo 1910, morirà a Lisbona il 20 febbraio 1920.

Era la primavera del 1916 quando l’Angelo del Portogallo (così si identificò) comparve loro, anticipando l’arrivo di Nostra Signora di Fatima. Lucia e Giacinta (come accadrà anche con la Madonna), potevano vedere e sentire; la prima poteva anche colloquiare, mentre Francesco vedeva soltanto. L’Angelo, che portò l’Eucaristia e li comunicò, per tre volte pregò: «Mio Dio! Io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano». Poi disse: «Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti alla voce delle vostre suppliche».

Francesco aveva un carattere mite, umile, paziente. Nel gioco accettava la sconfitta benevolmente e tendeva ad isolarsi, non si dava cura e pensiero se veniva emarginato. Era sempre sorridente, gentile, condiscendente. Quando qualcuno si ostinava a negargli i suoi diritti di vincitore, si piegava senza resistere: «Credi di aver vinto tu?! E va bene! A me non me n’importa!» e se qualcuno degli altri bambini insisteva nel togliergli qualcosa che gli apparteneva, diceva: “Fa’ pure… a me che me n’importa?!”». E davvero nulla gli importava, se non le realtà celesti. Amava il silenzio e non mancava occasione per mortificarsi con atti di eroismo.

Dopo il pascolo, la sera, Francesco e Giacinta andavano nell’aia della famiglia di Lucia per giocare e, insieme, aspettavano che la Madonna e gli Angeli accendessero le loro «lucerne», così definivano la luna e le stelle, e allora Francesco si animava nel contarle, ma nulla lo entusiasmava di più che l’osservare il sorgere e il tramontare del sole, che identificava come la lucerna del Signore, mentre Giacinta amava maggiormente quella della Madonna.

La sensibilità di animo di Francesco e di Giacinta, che traspariva dalla naturalezza dei loro gesti, con le apparizioni, raggiunse un livello di straordinario misticismo: la grazia corrisposta diede vita ad altezze di virtù. Quella di Francesco fu anima di profonda preghiera. Quando prese ad andare a scuola a volte diceva a Lucia: «Senti, tu va’ a scuola. Io resto qui, in chiesa, vicino a Gesù nascosto. Per me non vale la pena di imparare a leggere; fra poco vado in Cielo. Quando torni, vieni a chiamarmi». Allora si metteva vicino al Tabernacolo e, interrogato su cosa facesse tutte quelle ore, egli affermava: «Io guardo Lui e Lui guarda me».

Mentre Giacinta faceva penitenze per salvare anime peccatrici dall’Inferno, Francesco pensava a consolare il Signore e la Madonna. Ricordando la promessa di Maria Vergine, della quale aveva sempre un’immensa nostalgia, di portarlo presto in Cielo con Giacinta, gioiva dicendo: «lassù almeno potrò meglio consolare il Cuore di Gesù e di Nostra Signora».

Sapeva accettare e sopportare la sofferenza con esemplare rassegnazione e accolse la «Spagnola», che lo portò via, come un dono immenso per consolare Cristo, per riscattare i peccati delle anime e per raggiungere il Paradiso.

La breve vita di Giacinta trascorse in maniera parallela a quella del fratello, legata da un’identica serenità spirituale grazie al clima di profonda Fede che si respirava in casa. Il suo temperamento era però forte e volitivo e aveva una predisposizione per il ballo e la poesia. Era il numero uno dell’entusiasmo e della spensieratezza. Saranno gli accadimenti del 1917 a mutare i suoi interessi e più non ballerà, assumendo un aspetto serio, modesto, amabile. Il profilo che Lucia tratteggia della cuginetta è straordinario: è il ritratto dei puri di cuore, i cui occhi parlano di Dio.

Giacinta era insaziabile nella pratica del sacrificio e delle mortificazioni. Le penitenze più aspre per Lucia erano invece dettate dalle ostilità familiari e in particolare di sua madre, che la considerava una bugiarda e un’impostora. Lucia, essendo la più grande, fu la veggente più vessata e più interrogata (fino allo sfinimento) sia dalle autorità religiose che civili. A coronare questo clima intriso di tensioni e diffide c’era pure la situazione economica precaria dei dos Santos, provocata anche dal fatto che nel luogo delle apparizioni mariane, di proprietà della famiglia, non era più possibile coltivare nulla: la gente andava con asini e cavalli, calpestando tutto.

Agli inizi del mese di luglio del 1919 Giacinta entrò in ospedale, anche lei colpita dalla «Spagnola». Sua madre le chiese che cosa desiderasse e la piccola chiese la presenza dell’amata Lucia. La visita fu tutto un parlare delle sofferenze offerte per i peccatori al fine di allontanarli dall’Inferno – che con grande sgomento era stato loro mostrato dalla Madonna – e per il Sommo Pontefice: «Tu rimani qua per dire che Dio vuole istituire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Quando ce ne sarà l’occasione, non ti nascondere. Di’ a tutti che Dio ci concede le grazie per mezzo del Cuore Immacolato di Maria; che le domandino a Lei, che il Cuore di Gesù vuole che vicino a Lui, sia venerato il Cuore Immacolato di Maria. Chiediamo la pace al Cuore Immacolato di Maria; Dio la mise nelle mani di Lei. S’io potessi mettere nel cuore di tutti, il fuoco che mi brucia qui nel petto e mi fa amare tanto il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria!”».

Quando Lucia perse i cugini fu abissale il suo dolore, infatti, come lei stessa ebbe a dichiarare, non ebbe in terra altra più amata compagnia che quella di Francesco e di Giacinta.

Cristina Siccardi

Fonte: Il Timone, gennaio 2013
Tratto dal sito di Cristina Siccardi

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I cento anni del Catechismo di san Pio X

Posté par atempodiblog le 21 septembre 2012

I cento anni del Catechismo di san Pio X
di Cristina Siccardi – Corrispondenza Romana

I cento anni del Catechismo di san Pio X dans Articoli di Giornali e News

«Fin dai primordi del nostro Pontificato rivolgemmo la massima cura all’istruzione religiosa del popolo cristiano e in particolare dei fanciulli, persuasi che gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi». Così scriveva il 18 ottobre 1912 san Pio X (1835-1914), quando approvò la nuova edizione del Catechismo della dottrina cattolica, prescritta a tutta la provincia ecclesiastica di Roma.

Sono trascorsi cento anni dalla stesura di quella formidabile impresa e quel catechismo resta valido proprio perché è uno straordinario sussidio contro l’ignoranza religiosa, che oggi spadroneggia in ogni dove, lasciando mano libera al “fai da te”. Lo stesso allora cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, in un’intervista al settimanale “30 Giorni” nel 2003 dichiarò:  «La fede come tale è sempre identica. Quindi anche il Catechismo di san Pio X conserva sempre il suo valore. (…) questo non esclude che ci possano essere persone o gruppi di persone che si sentano più a loro agio col Catechismo di san Pio X. (…) Il Catechismo di san Pio X potrà avere anche in futuro degli amici».

Il Catechismo di san Pio X è una perfetta sintesi della dottrina cattolica che Papa Sarto fece realizzare elaborando un testo che egli, aveva scritto, in qualità di Vescovo di Mantova. Fu parroco e catechista e per tale ragione comprese tutta l’importanza dell’insegnamento della dottrina: la prima pietra per edificare la dimora cristiana di ciascuna anima. Se la dimora non ha fondamenta la Fede diventa puro sentimento religioso e le scelte di vita sono spesso slegate dai principi della Chiesa, viaggiando in balia dei condizionamenti, spesso ingannatori, della volontà propria e del mondo.

L’imponente lavoro venne realizzato con l’ausilio di una Commissione per assicurare, con espressioni linguistiche appropriate, la facilità di comprensione, nonostante la profonda consistenza dei concetti espressi. Il metodo adottato fu quello della formulazione di singole domande brevi con relative risposte. L’edizione ridotta, che risale al 1930, venne indirizzata ai bambini e ai ragazzi e conteneva un numero inferiore di quesiti.

Domande e risposte venivano fatte imparare proprio a memoria con l’obiettivo che rimanesse impressa la dottrina, senza dubbi o confusioni di sorta. È dato per certo che questa architettura sintetica, chiara ed immediata, ha prodotto eccellenti risultati nelle generazioni di italiani che a questa scuola si sono formati. Dopo il Concilio Vaticano II, il Catechismo di san Pio X cadde generalmente in disuso e a partire dagli anni Settanta fu progressivamente abbandonato.

Scriveva il beato Giacomo Alberione (1884-1971) nella prefazione al volume del confratello C.T. Dragone S.S.P., Spiegazione del Catechismo di San Pio X per catechisti, che venne pubblicato (ebbe quattro edizioni, fino al 1963) dalla Casa Editrice da lui fondata e diretta, la Pia Società San Paolo: «Oggi occorre (…) tener presente che si acuisce sempre più la lotta pro e contro Cristo: e che la vittoria dipende dall’istruzione religiosa; (…) Il catechista pio, istruito, esemplare; il catechista che conosce bene ciò che deve insegnare ed il modo d’insegnare; il catechista che sa organizzare la sua classe e le classi; il catechista che soprattutto ama le anime e nulla risparmia per esse (…) opererà un grande bene tra la gioventù e gli adulti, nonostante tutte le accresciute difficoltà di oggi, che sono realmente tante e gravi».

Il valore del Catechismo di san Pio X, proprio per i suoi effetti benefici sui bambini e su tutti i cattolici, non è quantificabile. Come tutti i capolavori che la Chiesa dona ai suoi figli, esso non conosce né crepe, né stagioni.

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