La ricorrenza. Santa Caterina da Siena, da 80 anni patrona d’Italia

Posté par atempodiblog le 29 avril 2019

La ricorrenza. Santa Caterina da Siena, da 80 anni patrona d’Italia
Lunedì 29 aprile la festa liturgica della domenicana messaggera di pace, consigliera dei Papi e fustigatrice della politica. A Siena, sua città natale, 700 bambini in piazza cantano per lei
di  Giacomo Gambassi – Avvenire

La ricorrenza. Santa Caterina da Siena, da 80 anni patrona d'Italia dans Articoli di Giornali e News Santa-Caterina

Il libro e il giglio sono le “icone” di santa Caterina da Siena. Richiamano la dottrina e la purezza, “virtù” che accompagnano la mistica toscana vissuta nel Trecento che aveva descritto Cristo come un ponte gettato tra il Paradiso e la terra. Una similitudine a cui la religiosa domenicana si affida nel Dialogo della Divina Provvidenza, capolavoro della letteratura spirituale che con l’Epistolario e la raccolta delle Preghiere ha fatto sì che venisse proclamata dottore della Chiesa il 4 ottobre 1970 per volontà di Paolo VI, sette giorni dopo Teresa d’Avila. E 80 anni fa, nel 1939, Pio XII la volle patrona d’Italia con Francesco d’Assisi perché considerata «a buon diritto il decoro e la difesa della patria e della religione».

Lunedì 29 aprile, giorno della sua morte e della sua festa liturgica, inizieranno a Siena le celebrazioni in onore di Caterina che in greco significa “donna pura”. Secondo il programma varato dal Comitato cateriniano coordinato dall’arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, Antonio Buoncristiani, il 29 aprile avrà come fulcro il Santuario a lei dedicato in Fontebranda, nella contrada dell’Oca, che incorpora l’antica dimora dei Benincasa, casa natale di Caterina. Alle 11 è prevista la prima Messa; alle 16 la narrazione teatrale “La vita di santa Caterina e di Beatrice di Pian degli Ontani”; alle 18.30 l’Eucaristia.

I festeggiamenti proseguiranno sabato 4 maggio alle 12 quando verrà deposto un omaggio floreale al monumento della «piissima vergine»; alle 21.15 si terrà in Cattedrale il concerto del coro “Guido Chigi Saracini”. Domenica 5 maggio alle 9.30 l’appuntamento è in piazza del Campo da cui partirà il corteo delle contrade che giungerà al Santuario di Santa Caterina. Qui, alle 10, nel portico dei Comuni d’Italia avverrà l’offerta dell’olio per la lampada votiva da parte della cittadina di Arcidosso in rappresentanza dei Comuni dell’arcidiocesi. Alle 11, nella Basilica di San Domenico a Siena dove si conserva la reliquia della testa, si svolgerà la Messa solenne presieduta dal cardinale Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la famiglia. E da lì alle 16.30 partirà la processione con la reliquia che si concluderà in piazza del Campo dove alle 17.30 sono previste la benedizione all’Italia e all’Europa e i saluti del sindaco di Siena e del rappresentante del Governo italiano, intervallati dal coro dei 700 bambini delle scuole cittadine che eseguiranno l’inno italiano, quello europeo e l’inno a santa Caterina. La sbandierata delle 17 contrade del Palio con la sfilata dei reparti militari farà calare il sipario sulla giornata.Festeggiamenti anche a Roma, dove la patrona d’Italia morì il 29 aprile 1380: nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, che custodisce il suo corpo, il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata, presiederà lunedì alle 18 la Messa in sua memoria, mentre alle 9 è fissato un omaggio floreale al monumento della santa a Castel Sant’Angelo.

«Messaggera di pace» l’aveva definita Giovanni Paolo II che la volle compatrona d’Europa anche per quel suo continuo peregrinare nel continente che aveva l’intento di sollecitare la riforma interiore e l’unità della Chiesa assieme alla riconciliazione tra gli Stati. E sempre papa Wojtyla la chiamò «mistica della politica» per sottolineare la sua attenzione alla cosa pubblica contrassegnata anche da forti moniti. Ricordava la consacrata che il potere di governare è un «potere prestato» da Dio e invitava a essere «uomini giusti» non «passionati né per amor proprio e bene particolare, ma con bene universale fondato sulla pietra viva Cristo dolce Gesù».

In Caterina il genio femminile ha trovato un suggello che le assicurò un ruolo di primo piano nella comunità ecclesiale del tempo: infatti, ad esempio, fu chiamata dal Papa a predicare ai cardinali in Concistoro. Semianalfabeta, non andò mai a scuola; eppure sarebbe diventata una prolifica autrice di scritti dalla «sapienza infusa», dalla «lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede», spiegò Paolo VI proclamandola dottore della Chiesa. Benché i genitori intendessero darla in sposa già a 12 anni, Caterina Benincasa, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate (per l’abito bianco e il mantello nero). Trasformò la sua stanza in una cella dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità, soprattutto verso i poveri e i malati. Da sola imparò a leggere; poi anche a scrivere. E la stanzetta si fece cenacolo di una “bella brigata” di seguaci. Li chiamavano “Caterinati”. E, come ha sottolineato Benedetto XVI, «fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma».

Al centro di un «matrimonio mistico» con Cristo che le donò un anello, ricevette le stimmate. Nella spiritualità della patrona d’Italia rientra anche il dono delle lacrime che, osservava Ratzinger, «esprimono una squisita, profonda sensibilità e la capacità di provare commozione e tenerezza». Papa Francesco aveva invitato a pregare santa Caterina da Siena al termine dell’udienza generale del 29 aprile 2015. La sua esistenza – aveva sottolineato Bergoglio – faccia comprendere a voi, cari giovani, il significato della vita vissuta per Dio; la sua fede incrollabile aiuti voi, cari ammalati, a confidare nel Signore nei momenti di sconforto; e la sua forza con i potenti indichi a voi, cari sposi novelli, i valori che veramente contano nella vita familiare».

Nella Penisola sono in programma alcune iniziative per celebrare l’80° anniversario della proclamazione di santa Caterina a patrona d’Italia. Oltre alla sua diocesi natale, quella di Città di Castello in Umbria ospiterà lunedì 29 aprile alle 18.30 una Messa solenne per la santa presieduta dal vescovo Domenico Cancian nella chiesa di San Domenico dove è custodito il corpo di un’altra domenicana, la beata Margherita. La celebrazione è stata dal convegno “Caterina una vita tra fede e impegno civile” con don Andrea Czortek (“I domenicani a Città di Castello nel Medioevo”) e suor Annalisi Bini (“Caterina da Siena: attualità di una patrona”). Intanto il movimento “Laici & Cristiani” annuncia che nel giorno della festa liturgica della santa sarà recapitato ai 950 parlamentari italiani il testo della “Preghiera per l’Italia” scritta e benedetta dalle suore di clausura domenicane. «L’iniziativa – afferma il presidente Marco Palmisano – è un invito ai nostri legislatori affinché assumano la responsabilità di fronte a Dio delle loro azioni, non tradendo mai le aspettative del popolo italiano, per un presente di pace, di lavoro e di concordia sociale». Il testo verrà accompagnato dall’immagine della mistica senese e da una locandina con i dieci Comandamenti.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Riflessioni, Santa Caterina da Siena, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La misericordia di Dio

Posté par atempodiblog le 29 avril 2017

La misericordia di Dio dans Citazioni, frasi e pensieri Divina-Misericordia

“Tutti i peccati del mondo sono alla Misericordia come una gocciola d’aceto nel mare”.

“Nascondetevi sotto le ali della misericordia di Dio; Egli è più capace di perdonare di quanto voi lo siate di peccare”.

Santa Caterina da Siena

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Misericordia, Riflessioni, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

La Chiesa di Cristo nasce in ogni cuore che Lo conosce

Posté par atempodiblog le 5 février 2016

Gospa

C’è una frase troppo bella che va scritta su un foglietto e appiccicata sulla porta della cucina, non dimenticate mai questa frase, imparatela a memoria: “La sua Chiesa nasce in ogni cuore che Lo conosce”. Nel momento in cui attraverso la fede conosciamo Gesù, nel nostro cuore nasce la Chiesa! Quanto più noi conosciamo Gesù, tanto più noi irradiamo Gesù e tanto più noi siamo Chiesa.

“La sua Chiesa nasce in ogni cuore che Lo conosce”. Quindi nella preghiera, perché non si conosce Gesù Cristo con lo studio sui libri, se manca l’umiltà interiore, la luce dello Spirito Santo, la sete e la fame della verità, perché alla fine chi ci fa conoscere Gesù è lo Spirito Santo che opera nel nostro cuore, che però può operare se noi siamo umili. Allora lo Spirito Santo ci apre alla conoscenza della verità, perché come dice Santa Caterina da Siena: “l’orgoglio, la superbia, la presunzione, è quella nuvola che offusca l’occhio dell’intelletto”.

L’umiltà è una luce che ci toglie dall’accecamento e quindi nella preghiera umile e continua noi possiamo conoscere Gesù. “Pregate per poter conoscere mio Figlio”, preghiamo perché la luce dello Spirito Santo ci faccia conoscere Gesù. Gesù si fa conosce prima di tutto nella preghiera, nei Sacramenti, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera a tu per tu con Lui col cuore aperto, in questo modo Gesù si fa vivo, dentro di noi sentiamo la Sua presenza, il Suo amore, la Sua misericordia, il Suo perdono e la Sua amicizia, nonostante la nostra indegnità.

La Madonna ha detto che prega per noi perché riusciamo a conoscerLo, che noi possiamo guardare a Gesù con i Suoi occhi e amarLo col suo Cuore, servirLo con le nostre mani e i nostri piedi, che la Madonna ci conceda questa grazia. “Pregate affinché la vostra anima sia una cosa sola con Lui”, ogni giorno dobbiamo pregare per questo: “Gesù, ti chiedo questa immensa grazia: attraverso il Cuore di Maria, la mia anima sia unita alla Tua anima, alla tua Divinità”. Tutti i giorni facciamo questa preghiera.

di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Medjugorje Liguria

Publié dans Fede, morale e teologia, Medjugorje, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

Le vie di Santa Caterina a Siena: itinerario tra arte e fede

Posté par atempodiblog le 25 août 2015

Percorso nei luoghi simbolo della santa
Le vie di Santa Caterina a Siena: itinerario tra arte e fede

Tratto da: Turismo in Toscana

000024

Siena, un percorso guida il visitatore alla scoperta dei luoghi simbolo della vita di Caterina attraverso un tragitto interamente pedonale e percorribile sia singolarmente che in gruppo. Grazie ad elementi grafici identificativi dei singoli luoghi, l’utilizzo di una cartellonistica coordinata e l’utilizzo di strumenti multimediali, è possibile seguire con facilità l’itinerario proposto.

I touch screen multimediali che sono stati allestiti in ciascuna sede del percorso, forniranno informazioni relative al luogo in cui ci si trova collegandosi in rete al sito www.viaesiena.it, al quale si potrà accedere anche attraverso il QR-code che sarà inserito in tutta la cartellonistica coordinata.

Un percorso che permetterà di conoscere la straordinaria figura di santa Caterina, immergendosi nella Siena trecentesca e scoprendo i luoghi segnati dal suo passaggio:

0000107

1- Basilica di San Domenico: Un’imponente basilica gotica, strettamente legata alla figura di Caterina: al suo interno ella visse momenti salienti della sua eccezionale esperienza mistica. Nella Cappella dedicata alla santa si può osservare la più importante delle sue reliquie, la sacra testa.

000097

2- Santuario Casa di Santa Caterina: Un complesso che permetterà di entrare nell’intimità di Caterina, nella sua casa natale, arricchita nel corso dei secoli di opere d’arte e trasformata in un vero e proprio Santuario: la visita attraverso i vari ambienti consentirà di comprendere le origini e la formazione della santa.

0000118

3- Fontebranda: Collocata nel quartiere dove nacque Caterina, è la più antica delle fonti della città e un luogo di enorme importanza per la vita del popolo senese dell’epoca: oltre a fornire acqua ai cittadini, garantiva l’esistenza di numerose attività, tra le quali la tintoria del padre della santa.

4- Salita del Costone: Il luogo che fu teatro della prima visione di Caterina, avvenuta all’età di soli sette anni: un episodio che segnerà profondamente la sua vita futura. La memoria di quella visione è tramandata dall’affresco collocato lungo la via.

000087

5- Battistero e scalinata di San Giovanni: Un edificio sacro di grande interesse, annesso alla Cattedrale. Qui Caterina venne battezzata, come tutti i senesi per secoli. Lungo la scalinata che porta alla soprastante piazza del Duomo, una piccola croce su uno dei gradini segna il punto in cui la santa cadde durante una tentazione del demonio.

0000104

6- Oratorio di Santa Caterina della Notte: Un luogo suggestivo, in cui Caterina pregava e faceva penitenza insieme ai confratelli dell’antica compagnia di San Michele Arcangelo. Sul lato sinistro dell’oratorio si trova l’angusta celletta in cui ella riposava dopo aver vegliato sui malati dello Spedale.

0000101

La grandezza e la fama di santa Caterina hanno travalicato i secoli, tanto che è stata proclamata Patrona d’Italia, Dottore della Chiesa e Patrona d’Europa.

Le vie di Santa Caterina a Siena: itinerario tra arte e fede dans Angeli Divisore

Freccia dans Santa Caterina da Siena Passeggiando per Siena

Publié dans Angeli, Santa Caterina da Siena, Viaggi & Vacanze | Pas de Commentaire »

Jens Johannes Jørgensen

Posté par atempodiblog le 20 mai 2015

Johannes Jørgensen
Testimoni

Svendborg, Danimarca, 1866 – 19 maggio 1955

Chi sapeva che il grande biografo di San Francesco d’Assisi, fosse il protagonista di una vita tanto travagliata alla ricerca della Luce suprema? I cenni biografici qui esposti mostrano il cammino di conversione e fede di un grande scrittore che trovò ad Assisi, anche grazie alla figura del Serafico Patriarca, la pace della Fede.


Jens Johannes Jørgensen dans Santa Caterina da Siena 2zoj2g0

È uno dei più grandi scrittori della Danimarca – e d’Europa – innamorato dell’Italia, come della sua seconda Patria, e biografo di santi, in primo luogo di san Francesco d’Assisi, e anche di santa Caterina da Siena e di san Giovanni Bosco. Ma è il suo itinerario a Cristo che impressiona ancora oggi e può indicarci la via. Già, la via della conversione a Cristo, che è l’unica per salvarci nel tempo e nell’eternità.

Una vita intensa
Nasce a Svendborg, isola di Fiona, in Danimarca, nel 1866, da famiglia luterana. Il padre è marinaio, pertanto spesso solo “ospite” a casa sua. Il ragazzo cresce appassionandosi di vane letture: Byron, Hein, Shelley, soprattutto Goethe, sono i suoi autori peferiti. Quanto al suo pensiero, passa dal panteismo al naturalismo, dal positivismo all’ateismo. Quindi legge Zola, Nietzsche, Pöe, Baudelaire, Verlaine e Huysmans. E arriva non alla vetta della Luce, ma sprofonda nell’abisso della disperazione: in fondo è un senza-Dio, ma Dio lo tormenta e nell’intimo ne sente il terrore e il fascino. Ancora giovane, fa amicizia con due convertiti: Morgens Ballin, giovanissimo, ebreo che ha trovato Gesù, il Cristo; il pittore Verkade, che si farà monaco benedettino a Beuron. Dalle nebbie del Nord Europa attraverso un lungo viaggio in Germania e in Svizzera, giunge in Italia. C’è tanta luce – di clima e di fede – nel nostro «bel paese che Appennin parte, / il mar circonda e l’Alpe», ma anche luce di pensiero, di fede e di santità. Per tre mesi, soggiorna ad Assisi e si accosta alla testimonianza incandescente di san Francesco, “il tutto serafico in ardore” per Gesù. Oltre alle biografie già citate, sono interessanti e coinvolgenti i suoi testi autobiografici, la monumentale Leggenda della mia vita (in 7 volumi), Il libro della vita, Dal pelago alla vita, Il pellegrinaggio della mia vita, dai quali attingeremo la sua storia d’anima. Nella sua giovinezza, passa nella notte e nella vertigine del dubbio e della disperazione: «Ero ben io che avevo cercato il fuoco e non c’era proprio da meravigliarsi se mi ero scottato. Nessuno diventa ateo, se non l’ha meritato. Ognuno ha – o non ha – la fede che si merita di avere. Soltanto chi è buono, accetta il Cristianesimo. Nessun altro al di fuori di me, ha sciupato la mia felicità». A 28 anni, nel 1894, scrive: «Sono inquieto della vita e della morte. Leggo tante cose con un bruciante desiderio di raggiungere la conoscenza della Verità». Un giorno, prega, come con un prolungato gemito: «O Dio, Tu che sei dietro a tutte le cose… rivelati a me». è allora che legge i libri di Léon Bloy e il capolavoro di Ernest Hello, L’uomo, e medita l’Imitazione di Cristo, e si avvicina sempre di più a Cristo: «Chi serve la Verità, adora Dio. Chi serve il Bene, adora Dio. Ma non si giunge alla Verità, alla Bellezza più alta, al Bene sommo, che per mezzo di Gesù Cristo». E ancora, la sua umile confessione: «Gesù Cristo è quella “luce suprema” di cui Goethe ha parlato nell’ora della sua morte, e che ora mi mostra i miei peccati, la mia insolvibilità, la mia sensualità, il mio egoismo, l’aridità del mio cuore, tutto il male insomma… Oh, esserne liberato una volta per sempre, tornare puro e rinnovato». Era partito da Copenaghen nel 1894. A Berlino, il primo “tocco” della grazia divina. Dalla camera vicina, sente il suo amico, Morgens Ballin, l’ebreo convertito, che dice le sue preghiere della sera. «Ecco – scrive – in questo momento, Ballin sta in ginocchio davanti al Crocifisso [quel Gesù che il sinedrio del suo popolo ha mandato al patibolo più infame] così come l’ho visto a Pasqua nella chiesa di Sant’Ansgar, con le mani giunte, rivolto all’altare». Joergensen si avvicina alla porta della camera per parlare con l’amico: «Poi indietreggiai, perché avevo sentito qualche parola: “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi, peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. Ecco, sta recitando il Rosario a Maria… Non ha che 23 anni e pensa già alla morte». A Lucerna, in Svizzera, il 24 giugno, per sfuggire a un uragano, si mette al riparo in una chiesa dove c’è la preghiera della sera: «Entrai – racconta – e vidi Gesù Sacramentato sull’altare in mezzo ai ceri che ardevano, e il canto di un prete: “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo”. Allora, anch’io giunsi le mani, mi inchinai, mi segnai con il segno della croce e esultai di gioia».

Cristo nella “Cattolica”
Comincia a leggere il Nuovo Testamento, prima il Vangelo di san Giovanni, poi gli Atti degli Apostoli: «Trovai tre parole che rischiararono ogni cosa per me. Maria Maddalena davanti a Gesù Risorto che lo chiama “Rabbonì” (Maestro mio!). Scoppiai in singhiozzi, come ella dovette fare. Poi la parola del ministro etiope a Filippo: “Credo che Gesù è il Figlio di Dio”. Infine quella di Pietro: “Saremo salvati dalla grazia del Signore Gesù Cristo”. In un lampo compresi come la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, ci guadagna la grazia divina per la Vita eterna». Comprende tutto il giovane Joergensen: «Soltanto in Gesù Cristo, l’uomo è veramente uomo, in quanto non può entrare nella società con Dio, se non mediante Gesù Cristo». Ora si affaccia in lui un altro pensiero: «La salvezza non è nella Scrittura né nel Vangelo, ma nell’unione nostra con Cristo. E dov’è l’unione con Lui se non nella sua Chiesa Cattolica? Affidati alla Chiesa e allora comprenderai la Scrittura». Ecco, che ora egli supera per sempre Lutero e lo dichiara ribelle ed eretico: «Dio non può aver fatto dipendere la salvezza dallo studio di un libro e dall’intelligenza che se ne ha. Gesù Cristo ha fondato la Chiesa perché l’unione con Gesù è la sola condizione della salvezza. Ecco perché si crede alla Chiesa come si crede a Cristo». Tutta la “riforma” protestante gli appare come folle ribellione a Gesù Cristo, non l’esaltazione della Sacra Scrittura, ma lo scardinamento della Scrittura, operato da Lutero, da Calvino e dai loro adepti: «Fu allora che di fronte alla loro confusione balzò dinanzi al mio sguardo la Chiesa Cattolica con la sua unità di dogmi, ereditati fin dall’inizio dei primi Apostoli, l’inizio della Chiesa. Nella splendida luce della storia universale, la Chiesa mi parve come la città posta sul monte. Decisi allora di ascendere alla santa Città di Dio». Il 16 febbraio 1896, a 30 anni di età, dopo lunga ricerca, preghiera e sofferenza, viene accolto nella Chiesa Cattolica. Il papa era Leone XIII cui succederà san Pio X: il Papa, Vicario di Cristo, la Roccia su cui Gesù ha fondato la Chiesa, quindi il Papa dogmatico nella Verità immutabile, datore di certezze incrollabili, mai di dubbi, anche se essere senza dogmi e dubitare (essere relativisti!) può far piacere al mondo e agli uomini di mondo posti in autorità. Finalmente, ha raggiunto la Verità nella sua totalità, in Cristo, unito per sempre a Lui nella Santa Chiesa Cattolica, unica vera Chiesa di Cristo. Vinto il buio dell’ateismo, superate per sempre l’angoscia e la disperazione dei senza-Dio, (possono essere anche “sazi”, ma sono sempre disperati i senza-Dio!), pur nel fragore delle guerre e delle vicissitudini del XX secolo, Johannes Joergensen diventa un luminoso testimone e seminatore di speranza.

La gioia della fede
Scrive una sessantina di opere geniali, piene di poesia e calde di amore, di dolcezza; una vera gioia leggerlo: poesie, saggi letterari, biografie dei campioni della Fede e della santità. Vivrà quasi sempre in Italia, nella sua diletta Assisi, a respirare il clima, anche fisico, del Santo da lui prediletto e conosciuto nella sua verità: san Francesco d’Assisi, immagine di Gesù, specchio di Gesù, un altro-Gesù, l’uomo che forse più di tutti, nella Chiesa è stato simile a Gesù, il Santo per il quale vale ciò che Dio Padre disse a santa Caterina riguardo san Domenico di Guzman: «Gesù è il mio Figlio Unigenito nella mia stessa natura, l’altro è mio figlio di adozione nella piena somiglianza al mio Unigenito». Non il Francesco di Sabatier, umanista, naturalista, ecologista, romantico, come fa comodo ai mistificatori di oggi. Nel 1926, Joergensen fu festeggiato per il suo 60° compleanno dalla piccola comunità cattolica della Danimarca, il cui Vescovo gli ripeté l’elogio che già gli aveva formulato Leone XIII nonagenario: «Lei è una gloria del popolo danese, perché non ha tenuto sepolti i talenti che sono i più belli di tutte le corone d’alloro». Poco prima egli aveva saputo che Vladimir Lenin, il “fondatore” nel sangue e nella menzogna dell’Unione sovietica con la terribile rivoluzione dell’ottobre 1917, aveva riconosciuto: «Compagni, se io avessi incontrato sette uomini come Francesco d’Assisi, non avrei scatenato la rivoluzione comunista». Gli anni della sua lunga esistenza dopo la conversione, li possiamo sintetizzare con due pagine stupende dei suoi scritti: «Ormai la gioia di Dio è in me, la sola vera gioia, la gioia di essere nella Verità e nell’amore. Dico solo una semplice preghiera: “Verità e amore non mi abbandonate!”. Con questa preghiera non possiamo ingannarci, e viviamo sicuri e moriamo tranquilli. “Verità e amore non mi abbandonate!”. Dinanzi a questa pura preghiera, tutte le tentazioni, tutte le inquietudini, tutti i dubbi, tutte le ombre e tutti i terrori, devono dileguarsi. Dio non può volere altro da noi, se non questo: che la nostra volontà sia pronta e facile a cedere al suo amore, e il nostro pensiero si lasci condurre docilmente dalla Verità. Questo è il santo stato di grazia, la parte migliore che non ci sarà tolta». Dalla sua insuperabile vita di san Francesco, la lezione sulla “letizia spirituale”: «San Francesco diceva che solo quelli che appartengono al diavolo, vanno a testa bassa: noi invece dobbiamo rallegrarci nel Signore. Quando l’anima è afflitta, sola e piena di pensieri, allora si volge ai piaceri del mondo. Invece voi vivete sempre in letizia. La quale deriva dalla purezza del cuore e dalla costanza nella preghiera». In una parola, la gioia, la speranza, per gli uomini del XX secolo e di tutti i secoli, è solo Gesù Cristo, e Lui Crocifisso. Nel 1955 volle rivedere, con le sue ultime energie, tutti i luoghi di san Francesco nella amatissima Assisi. Poi sentendo vicina “sorella morte”, a 89 anni, Johannes Joergensen si fece riportare in Danimarca, dove andò incontro al suo Cristo adorabile, nella città natale di Svendborg, il 19 maggio 1955. A un tempo che ormai si illudeva di poter dare agli uomini in difficoltà una specie di “amore” ma senza Verità, un “amore dimidiato”, che non salva ma confonde le anime, il grande Scrittore danese convertito da Lutero a Cristo nella Chiesa Cattolica, lasciava una preghiera di struggente attualità: «Verità e amore non mi abbandonate». Perché, sappiate, l’amore più grande è la Verità.

Autore: Paolo Risso
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio
Tratto da: Santi e beati

Publié dans Santa Caterina da Siena, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La venerazione di San Josemaría per Santa Caterina

Posté par atempodiblog le 30 avril 2015

La venerazione di San Josemaría per Santa Caterina
Tratto da: San Josemaría Escrivá

Riportiamo parte dell’articolo di Johannes Grohe “Santa Caterina da Siena, san Josemaría Escrivá e l’apostolato dell’opinione pubblica”, pubblicato nel n. 8 (2014) della rivista Studia et Documenta, dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá.

La venerazione di San Josemaría per Santa Caterina dans Sacramento dell’Ordine st_catherine._san_domenico2

San Josemaría aveva una venerazione molto ben radicata nel suo cuore per Caterina e, proprio per questo, usava chiamare Catalinas i suoi Appunti intimi − annotazioni personali, in cui metteva per iscritto delle considerazioni per poi meditarle nella sua orazione, o come frutto della meditazione stessa: «Sono note ingenue − le chiamavo caterine per devozione alla Santa di Siena − che scrissi per molto tempo stando in ginocchio e che mi servivano come ricordo e sollecitazione. Credo che, in genere, mentre scrivevo con semplicità puerile, stavo facendo orazione». Forse, nell’usare questo termine, egli aveva presente il collegamento tra le ispirazioni della santa di Siena e le sue manifestazioni posteriori nelle lettere e nel Dialogo.
San Josemaría scriveva in una lettera indirizzata ai membri dell’Opus Dei, datata nel 1932: «I santi sono sempre delle persone scomode, uomini o donne – la mia santa Caterina da Siena! −, perché con il loro esempio e la loro parola sono un continuo motivo di disagio per le coscienze che sono immerse nel peccato».

San Josemaría ammirava la franchezza con cui Caterina difendeva la verità, per sua indole e perché considerava questa sincerità una virtù fondamentale: «Sono sicuro − scriveva in un’altra lettera − che ci saranno alcuni che non mi perdoneranno facilmente il mio parlar chiaro, ma devo farlo in coscienza e davanti a Dio, per amore verso la Chiesa, per lealtà verso la Chiesa Santa e per l’affetto che ho per voi. Nutro una particolare devozione per Santa Caterina − quella ‘grande brontolona’! − che diceva grandi verità per amore di Gesù Cristo, della Chiesa di Dio e del Romano Pontefice».

In una lettera datata 15 agosto 1964, egli ritorna a trattare il tema della verità che bisogna affermare senza timore, quando c’è un turbamento nella mente che può annebbiare il retto discernimento della coscienza: «le controversie, gli errori, gli eccessi o gli atteggiamenti esaltati sono sempre esistiti in tutte le epoche: e la voce che ha superato queste barriere è sempre stata la voce della verità unta dalla carità. La voce dei sapienti, la voce del Magistero; la voce, figli miei, dei santi, che hanno saputo parlare in tutti i modi per chiarire, per esortare, per richiamare ad un autentico rinnovamento […]. Figli miei, voi ben conoscete la storia della Chiesa e sapete che il Signore è solito servirsi di anime semplici e forti per tradurre in pratica la sua volontà in momenti di confusione o di torpore della vita cristiana. Io mi sono innamorato della fortezza di Santa Caterina che dice la verità alle più alte personalità con ardente amore e chiarezza diafana; mi riempiono di entusiasmo gli insegnamenti di un San Bernardo […]. Tante e tante voci profetiche, unite al Magistero illuminato della Chiesa, inondano di luce il popolo di Dio».

Inoltre, san Josemaría fu colpito dall’amore incondizionato della santa per la Chiesa, il quale, a sua volta, era il motore che lo spingeva a parlare con tanta franchezza. Troviamo riscontro di ciò nell’omelia Lealtà verso la Chiesa, pronunciata il 4 giugno 1972: «Questa Chiesa Cattolica è romana. Io gusto il sapore di questa parola: romana. Mi sento romano perché romano vuol dire universale, cattolico, perché così mi sento spinto ad amare teneramente il Papa, “il dolce Cristo in terra”, come piaceva ripetere a santa Caterina da Siena, che considero come un’amica carissima». L’espressione «il (dolce) Cristo in terra» è presente in molte varianti nell’Epistolario di Caterina e nel Dialogo.

Pur criticando aspramente e di frequente nei suoi incontri personali, nelle sue lettere, nel Dialogo ed in altri scritti, il malcostume dei sacerdoti che non vivevano in sintonia con la loro vocazione, santa Caterina aveva nel contempo una grande stima e considerazione per il sacerdozio in quanto tale. Nell’omelia Sacerdote per l’eternità del 13 aprile 1973, il fondatore dell’Opus Dei cita un testo chiave: «Il sacerdozio porta a servire Dio in uno stato che non è, in se stesso, migliore o peggiore di altri: è diverso. Tuttavia la vocazione sacerdotale si presenta rivestita di una dignità e di una grandezza tali che null’altro sulla terra può superare. Santa Caterina da Siena pone sulle labbra di Gesù queste parole: “Io non volevo che la riverenzia verso di loro diminuisse… perché ogni riverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtù del Sangue che io l’ho dato a ministrare. Unde, se non fusse questo, tanta riverenzia avraste a loro quanta agli altri uomini del mondo, e non più… E così non debbono essere offesi, però che, offendendo loro, offendono me e non loro. E già l’ho vetato, e detto che i miei Cristi non voglio che sieno toccati per le loro mani”».


La considerazione della santa, che a sua volta fa riferimento al salmo 105,15, aveva lasciato traccia, già anni addietro, nel pensiero di san Josemaría. «Non voglio tralasciare di ricordarti ancora una volta − benché ti sia noto − che il Sacerdote è “un altro Cristo”. − E che lo Spirito Santo ha detto: Nolite tangere Christos meos − non toccate “i miei Cristi”» (Cammino, 67). Ma anche in altri punti di Cammino si possono notare certi parallelismi con espressioni o modi di pensare della santa nel Dialogo, come ci fa notare Pedro Rodríguez.


«Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,32), quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me. Cristo, mediante la sua Incarnazione, la sua vita di lavoro a Nazaret, la sua predicazione e i suoi miracoli nelle contrade della Giudea e della Galilea, la sua morte in croce, la sua Resurrezione, è il centro della creazione, è il Primogenito e il Signore di ogni creatura» (È Gesù che passa, 105). Un altro testo della predicazione di san Josemaría, l’omelia (Cristo Re, del 22 novembre 1970, fa nuovamente riferimento al passo neotestamentario: «Gesù stesso ricorda a tutti: Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv XII,32), quando mi collocherete al vertice di tutte le attività della terra, compiendo il dovere di ogni momento, ed essendo miei testimoni nelle cose grandi e piccole, allora omnia traham ad meipsum, attrarrò tutto a me, e il mio regno in mezzo a voi sarà una realtà».

101311 dans San Josemaria Escriva' de Balaguer

Il passo di Giovanni ebbe una grande importanza per san Josemaría, dal 7 agosto 1931, allora festa della Trasfigurazione del Signore nella Diocesi di Madrid-Alcalá, giorno in cui avvertì nel suo cuore un intervento divino durante la celebrazione della Santa Messa, che egli stesso annotò nei suoi Appunti intimi: «Giunse il momento della consacrazione: nell’alzare la Sacra Ostia […] – avevo appena fatto mentalmente l’offerta all’Amore misericordioso – si presentò al mio pensiero, con forza e chiarezza straordinarie, quel passo della Scrittura: et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,32) […]. E compresi che saranno gli uomini e le donne di Dio ad innalzare la Croce con la dottrina di Cristo sul pinnacolo di tutte le attività umane… E vidi il Signore trionfare ed attrarre a sé tutte le cose».

Anche per santa Caterina questo testo di san Giovanni aveva grande importanza. Nel Dialogo lo commenta abbastanza ampiamente, quando parla della Dottrina del Ponte, ai capitoli dal 25 al 30 della seconda parte del libro. Nel capitolo 26 spiega come questo ponte sia posto tra cielo e terra. Esso, levato in alto ma non separato dalla terra, è costruito con i meriti di Cristo nella Santa Croce, e senza il sacrificio della Croce nessuno può attraversare il ponte. Cristo in Croce attrae a sé per il suo amore infinito; il cuore dell’uomo si lascia sempre attrarre dall’amore. Se diciamo che Cristo attrae a sé ogni cosa, ciò significa che da una parte l’uomo è attratto con tutte le potenze dell’anima: memoria, intelletto, volontà, e dall’altra, che con l’uomo sono attratte tutte le realtà terrene, create per l’uomo.


Santa Caterina, intercessore dell’apostolato dell’opinione pubblica
Mentre gli altri intercessori dell’Opera, quali san Pio X, san Nicola di Bari, san Giovanni Maria Vianney e san Tommaso Moro, erano già stati scelti negli anni precedenti, sembra che l’idea d’invocare santa Caterina per l’apostolato dell’opinione pubblica venne al fondatore nel 1964, come risulta da una lettera indirizzata a don Florencio Sanchez Bella, allora consigliere dell’Opus Dei in Spagna, il 10 maggio dello stesso anno: «Ora ti racconterò che mi si è ravvivata la devozione, che in me è di vecchia data, per Santa Caterina da Siena: perché seppe amare filialmente il Papa, perché seppe servire con tanto sacrificio la Santa Chiesa di Dio e… perché seppe parlare eroicamente. Sto pensando di nominarla Patrona (intercessore) celeste dei nostri apostolati dell’opinione pubblica. Vedremo!».


Già alcuni giorni prima di questa lettera, nel corso di una conversazione familiare con alcuni membri dell’Opus Dei avvenuta il 30 aprile − che, prima della riforma liturgica, promossa dal Concilio Vaticano II, era la ricorrenza della festa di santa Caterina− san Josemaría faceva notare: «Desidero che si celebri la festa di questa santa nella vita spirituale di ciascuno di noi e nella vita delle nostre case o centri. Ho sempre avuto una grande devozione per santa Caterina: per il suo amore alla Chiesa e al papa e per il coraggio dimostrato nel parlare con chiarezza quando era necessario, mossa precisamente da quello stesso amore […]. Prima era considerato eroico tacere, e così fecero i vostri fratelli. Ma adesso è eroico parlare, per evitare che si offenda Dio Nostro Signore. Parlare, cercando di non ferire, con carità, ma anche con chiarezza».

con+paolo+vi dans Santa Caterina da Siena

Alcuni giorni prima, anche il romano pontefice Paolo VI aveva parlato durante un’udienza di questa festa speciale: «Sì, la forza del Papa è l’amore dei suoi figli, è l’unione della comunità ecclesiastica, è la carità dei fedeli che sotto la sua guida formano un cuor solo e un’anima sola. Questo contributo di energie spirituali, che viene dal popolo cattolico alla gerarchia della Chiesa, dal singolo cristiano fino al Papa, ci fa pensare alla Santa, che domani la Chiesa onorerà con festa speciale, S. Caterina da Siena, l’umile, sapiente, impavida vergine domenicana, che, voi tutti sapete, amò il Papa e la Chiesa, come non si sa che altri facesse con pari altezza e pari vigore di spirito».

Il 13 maggio 1964, san Josemaría decise di mettere in pratica ciò che aveva espresso a don Florencio Sanchez Bella: nel corso di una tertulia (conversazione familiare) ritornò a toccare il tema e poi disse sorridendo: «“Perché aspettare ancora? A me, in qualità di fondatore, spetta il compito di nominarla, e, dato che in casa facciamo le cose in maniera semplice, senza formalità, la nomino patrona (intercessore) proprio in questo momento”. Quindi, chiese a qualcuno di portargli carta e penna e dettò una comunicazione da inviare a tutte le regioni: “Il giorno 13 maggio, considerando con quanta chiarezza di parola e con quanta rettitudine di cuore santa Caterina da Siena rivelò con coraggio e senza eccezione alcuna per nessuno le vie della verità agli uomini del suo tempo, ho decretato che l’apostolato che i membri dell’Opus Dei svolgono in tutto il mondo con verità e carità al fine d’informare rettamente l’opinione pubblica, sia raccomandato alla speciale intercessione di questa santa”.

santa+caterina+francesco+messina dans Stile di vita

Anni prima della decisione di san Josemaría, si erano tenute a Roma le celebrazioni del quinto centenario della canonizzazione di santa Caterina, avvenuta nell’anno 1461, al tempo di papa Pio II. In quell’occasione, Giovanni XXIII inviò al maestro generale dei domenicani una lettera piena di grandi elogi per la santa. La posta italiana emise un francobollo in onore di Caterina da Siena e, alla fine del centenario, venne collocato un monumento in piazza Pia, tra Castel Sant’Angelo e via della Conciliazione, opera dello scultore Francesco Messina.

Tuttavia bisogna interpretare tale decisione di san Josemaría anche nel contesto di certe crescenti incomprensioni nei confronti dell’Opus Dei in Spagna ed in altri luoghi, e nel contesto del dibattito, durante il Concilio Vaticano II, non solo in aula conciliare, ma soprattutto fuori dall’aula, dove il santo temeva che prevalesse una visione negativa della grande tradizione della Chiesa, che gli sembrava venisse descritta con modalità inappropriate.

Già alla fine degli anni cinquanta, il fondatore dell’Opera aveva creato un ufficio di informazione per sopperire al bisogno di diffondere in maniera incisiva notizie sull’Opus Dei e sui suoi apostolati, e più genericamente, per studiare i temi di attualità nella vita della Chiesa contribuendo in tal modo a divulgare informazioni precise sulla Chiesa e a diffondere la buona dottrina.

Per quanto riguarda il Concilio Vaticano II, san Josemaría vedeva con preoccupazione che durante i lavori di preparazione del concilio circolavano voci nei mass media di comportamenti ed impostazioni contrari allo spirito cristiano ed alla dottrina della Chiesa. Con i suoi collaboratori dell’ufficio di informazione, egli faceva dei commenti su tali episodi, ricorrendo talvolta all’esempio di santa Caterina, che chiamava affettuosamente la “grande brontolona”, “dalla grande facilità e scioltezza di parola”, perché la santa sapeva parlare con chiarezza e senza timore alcuno. A volte commentava delle frasi che aveva letto da una copia dell’epistolario della senese.

Publié dans Sacramento dell’Ordine, San Josemaria Escriva' de Balaguer, Santa Caterina da Siena, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Novena a Santa Caterina da Siena

Posté par atempodiblog le 20 avril 2015

Questa novena può essere recitata in preparazione della festa della Santa, il 29 aprile, dal 20 al 28 aprile, o in qualsiasi momento per le proprie necessità. L’unica condizione per la validità della novena è che sia fatta tutta intera con determinazione, con costanza e senza interruzione per nove giorni consecutivi.

Preghiera a Santa Caterina da Siena Patrona d’Italia e d’Europa
Tratta da: Caterinati

Novena a Santa Caterina da Siena dans Preghiere 128
G. Tiepolo, Kunsthistorische Museum, Vienna

O sposa del Cristo, fiore della patria nostra, Angelo della Chiesa sii benedetta.

Tu amasti le anime redente dal Divino tuo Sposo: come Lui spargesti lacrime sulla Patria diletta; per la Chiesa e per il Papa consumasti la fiamma di tua vita. Quando la peste mieteva vittime ed infuriava la discordia, tu passavi Angelo buono di Carità e di pace. Contro il disordine morale, che ovunque regnava, chiamasti virilmente a raccolta la buona volontà di tutti i fedeli.

Morente tu invocasti sopra le anime, sopra l’Italia e l’Europa, sopra la Chiesa il Sangue prezioso dell’Agnello.

O Caterina Santa, dolce sorella patrona Nostra, vinci l’errore, custodisci la fede, infiamma, raduna le anime intorno al Pastore. La Patria nostra, benedetta da Dio, eletta da Cristo, sia per la tua intercessione vera immagine della Celeste nella carità nella prosperità, nella pace.

Per te la Chiesa si estenda quanto il Salvatore ha desiderato, per te il Pontefice sia amato e cercato come il Padre, il consigliere di tutti.

E le anime nostre siano per te illuminate, fedeli al dovere verso L’Italia, l’Europa e verso la Chiesa, tese sempre verso il cielo, nel Regno di Dio dove il Padre, il Verbo il Divino amore irradiano sopra ogni spirito eterna luce, perfetta letizia. Così sia.

Publié dans Preghiere, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

«Satana? Si presenta come un buon diavolo»

Posté par atempodiblog le 2 octobre 2014

«Satana? Si presenta come un buon diavolo»
di Costanza Signorelli – La nuova Bussola Quotidiana

«Satana? Si presenta come un buon diavolo» dans Anticristo jgigyh

«É invidioso e ti odia». «É astuto». «Ti coinvolge, ti tenta e poi si giustifica».  E ancora: «Quando lo respingi, gira, cerca alcuni compagni e, con questa banda, ritorna».  Sembra il racconto di una persona in carne e ossa. Ed è proprio così che papa Francesco parla del nemico di Dio per antonomasia: il Diavolo. Non un mito, non una superstizione. E anche se la stessa Chiesa, non di rado, lo riduce a semplice metafora, Francesco lo descrive come un essere reale, il più insidioso antagonista della storia. Così ci ammonisce: «i cristiani non devono essere ingenui: devono conoscerlo e combatterlo». Ne abbiamo parlato con Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, che su Satana ha scritto diverse pubblicazioni. 

Nell’omelia mattutina di lunedì, a Casa Santa Marta papa Francesco ha parlato del diavolo. É un argomento su cui ultimamente il Pontefice ritorna con insistenza.
Papa Francesco ha parlato del diavolo fin dall’inizio del suo Pontificato e lo ha fatto nella consapevolezza che il lupo infernale è il più insidioso pericolo per le pecorelle del gregge. Ogni volta che nella Messa a Santa Marta legge il Vangelo, il Papa non si esime dal commentare i brani dove Gesù smaschera e combatte il maligno.

Viviamo in una società che non parla più del diavolo, che lo considera come una realtà astratta, un’entità di altri tempi. O addirittura, se ne parla in termini beffardi, come fosse un “pensiero da creduloni”. Papa Francesco ha detto invece che «la lotta contro il male è una realtà quotidiana, nella vita cristiana: nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro popolo, nelle nostre chiese». Come ci tenta il diavolo oggi, nel nostro quotidiano? Che linguaggio parla?
Chi ha consuetudine con la Parola di Dio non sottovaluta affatto la presenza del maligno, che Gesù chiama “Il Principe di questo mondo”.  Satana è il nemico giurato di Dio e dell’uomo, dal quale Gesù ci ha liberato con la sua venuta in mezzo a noi, con l’annuncio del suo Regno e con la sua Passione redentrice. Satana è presente nella vita delle persone che tenta al male, presentandolo «sotto colore di bene», come afferma S. Caterina da Siena.  La sua arma micidiale è la tentazione, con la quale il serpente infernale cerca di distruggerci con quello che ci offre.  Oggi cerca di illudere l’umanità con l’ateismo e il materialismo, con i quali l’angelo ribelle vuole mettere se stesso al posto di Dio.

C’è come la percezione che oggi il diavolo faccia meno paura. Si ha paura della malattia, della vecchiaia, della povertà… ma del diavolo non si ha più paura, perché?
Satana non fa paura perché si mimetizza ed è riuscito a convincere molti, anche cristiani, che non esiste. Ed è riuscito anche a cancellare la paura del peccato, che viene presentato come un bene, quando invece è un veleno mortale. Questo avviene perché si va spegnando la luce della fede.

Lei ha riferito che la Madonna, nelle apparizioni di Medjugorje, ha detto che questo è il tempo in cui il demonio agisce con tutta la sua forza e la sua potenza. “L’ora di Satana” è diventato anche il titolo di un suo libro. Quali sono i segni concreti che proprio il nostro tempo – rispetto ad altri periodi storici anche più drammatici – sia il tempo del demonio?
La Madonna ha detto che, poiché Satana è sciolto dalle catene, bisogna consacrarsi al suo Cuore Immacolato e a quello di suo Figlio Gesù. La crisi della fede, l’apostasia, la dissoluzione della famiglia e il dilagare della violenza sono segni evidenti che il Principe di questo mondo sta sferrando una battaglia epocale.

Paolo VI – di cui è prossima la beatificazione – lanciò una grave denuncia. Era il 1972 quando disse: «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa». Oggi, quarant’anni dopo, quel fumo si è allontanato o è penetrato in altre stanze?
La crisi della fede di molti cristiani, che da allora è andata crescendo, è il segno della tenebra che avanza. Non dobbiamo però essere pavidi, ma affrontare la prova decisi e saldi nella fede.

Da ultimo. Chiedo a lei, che è particolarmente vicino alla realtà di Medjugorje, c’è un messaggio che la Madonna ci dà per aiutarci e metterci al riparo dalle insidie del demonio?
La Madonna ha detto: «Affrontate e vincete Satana col Rosario in mano».

Publié dans Anticristo, Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

Facciamo lo scambio dei cuori (come a santa Caterina)

Posté par atempodiblog le 29 avril 2014

Facciamo lo scambio dei cuori (come a santa Caterina) dans Citazioni, frasi e pensieri Facciamo-lo-scambio-dei-cuori-come-a-santa-Caterina-Giustino-Maria-Russolillo-Pianura

Facciamo lo scambio dei cuori (come a santa Caterina).
O Trinità, mi darete o mi date il sacratissimo cuore di Gesù?
Prenderete o prendete il mio cuore?
Con il cuore di Gesù amare e salvare il mondo, amare e glorificare il Padre. Lo riceva da voi, o mia Trinità beata!
Mi pare che quella sacra umanità di Gesù voglia essere come assunta da ogni persona unita a Dio. Mi pare come le divine persone volessero assumere ogni anima come l’umanità di Gesù!

Beato Giustino Maria della SS. Trinità Russolillo

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Don Giustino Maria Russolillo, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

Pompei: una città dedicata a Maria

Posté par atempodiblog le 27 avril 2014

Pompei: una città dedicata a Maria
“… ad una città sepolta …succede una città piena di vita, che attinge la sua oigine dalla Civiltà nuova portata dal Cristianesimo: la Nuova Pompei!” (Bartolo Longo)
di Roberta Mochi – Radici Cristiane

Pompei: una città dedicata a Maria dans Apparizioni mariane e santuari santuario-Pompei

Sulla distesa delle case della nuova Pompei, quasi a proteggerne gli abitanti, si erge la cupola del maestoso campanile del santuario della madonna del Rosario. Il mistico luogo è sorto per volontà del beato Bartolo Longo, che era rimasto colpito dall’ignoranza religiosa in cui vivevano gli indigenti contadini della campagna campana.
Fu così che, su consiglio del Vescovo di Nola e finanziata dalla campagna di sottoscrizione chiamata “un soldo al mese”, l’8 maggio 1876 iniziò la costruzione del tempio che terminò nel 1887 e, quattro anni più tardi venne consacrato.
La Basilica venne disegnata da Antonio Cua, anche se l’attuale struttura si deve all’ampliamento del 1933 della chiesa originaria. Entrando nel Santuario, si passa sotto la monumentale cantoria, che è stata realizzata da Giovanni Rispoli e che, oltre allo splendore degli intagli, possiede uno dei migliori organi del nostro Paese.
L’interno è a croce latina, completamente decorato di marmi, oro, mosaici e quadri ottocenteschi, che esaltano ed arricchiscono ogni centimetro delle pareti. Sull’altare maggiore è posta, in una cornice di bronzo dorato, la veneratissima tela seicentesca della Madonna di Pompei, della scuola di Luca Giordano.
Il quadro è adornato di gemme, e vi si possono riconoscere tre grandi zone. In alto, la figura solenne di Maria in trono che invita la Chiesa (in Basso) ad avvicinarsi al mistero della Trinità. Lo spazio laterale, invece, si apre al mondo. L’unione di questi campi è rappresentata dal Rosario, consegnato dal Figlio e dalla Madre a San Domenico e a Santa Caterina da Siena, come via di meditazione e assimilazione del Mistero.
Ai lati dell’altare maggiore ci sono le due porte d’accesso alla cripta. Quest’ultima è davvero immensa ed è abbellita da numerosi dipinti, oltre che da due statue di marmo che simboleggiano l’orazione mentale e quella vocale; inoltre il Crocifisso e la statua dell’Addolorata sono quelle appartenute al Beato Longo.
Nella basilica, infine sono esposti numerosi ex voto, che illustrano i ripetuti episodi di prodigi e grazie attribuiti alla Madonna di Pompei. Guardandoli con attenzione è possibile notare come siano la testimonianza dell’infinita potenza dell’amore di Maria: guarigioni di ogni tipo e salvezze da naufragi ed incidenti, quasi a preludio della vera Salvezza a cui conduce la preghiera.
Grazie agli sforzi di Bartolo Longo, quello che è stato definito il Vangelo dei poveri, il Rosario, ha finalmente una casa. Una piccola città splendente di marmi e colma della devozione delle centinaia di fedeli che cominciarono da subito ad accorrere per pregare di fronte alla dolce icona della Madonna del Rosario.

L’icona della Vergine del Rosario
Per comprendere appieno la portata del fenomeno che circondò la tela sarà bene raccontarne la genesi, tanto travagliata da sembrare fiabesca eppure reale, come attestano le numerose documentazioni.
Il 13 novembre del 1875 l’avvocato Longo si recò a Napoli con l’intenzione di acquistare una immagine della Madonna del Rosario da esporre al culto dei fedeli. Per singolare coincidenza incontrò il suo confessore, Alberto Radente, che molti anni prima aveva acquistato un quadro con lo stesso soggetto, da un rigattiere (pagando 3 lire e 40!) al solo scopo di sottrarlo al bieco commercio a cui altrimenti sarebbe stato destinato e l’aveva lasciato in custodia ad una pia suora del Convento del Rosariello di Porta Medina di Napoli.
Suor Maria Concetta De Litalia la offrì volentieri a Bartolo Longo che, inizialmente, ne ebbe un’impressione tutt’altro che lusinghiera; il commento del Beato in proposito è chiarissimo: “Provai una stratta al cuore al primo vederlo … Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia!… Deformità e spiacevolezza del viso … manto screpolato e roso dal tempo e bucherellato dalla tignola … screpolature … distacchi e caduti qua e là brani di colore … bruttezza degli altri personaggi”.

A questo si aggiunse presto un altro problema: l’icona doveva arrivare a Pompei per quella stessa sera. Viste le grandi dimensioni (1,20 x 1,00), il trasporto venne affidato ad Angelo Tortora, un carrettiere che, nella sua ingenua carità, avvolse l’immagine in un lenzuolo e la adagiò sul suo carro di letame. Era il 13 novembre 1875.
Ancora oggi si festeggia la data come nascita della Nuova Pompei. E’ una giornata di preghiera, in cui i fedeli vengono ammessi alla venerazione diretta del quadro e pregano la Vergine. La straordinarietà dell’evento consiste soprattutto nel vedere una moltitudine di folla che fin dalle prime luci del mattino si ordina in una lunga fila, senza preoccuparsi di null’altro che dell’amore che ha da portare in dono e, a dispetto di ogni avversità, forma una lunga catena, a imitazione di quella donataci dalla dolcezza di Maria, il Rosario.
Nel corso del tempo la tela ebbe numerosi interventi di restauro, che miravano a ripristinare l’antica lucentezza del colore e a mitigare quella rozzezza di forme che tanto aveva colpito il beato Longo; tuttavia, non furono certo gli interventi umani a donare all’immagine l’efficacia che la contraddistingue bensì, come ci viene raccontato dallo stesso Longo, quando il quadro “venne tolto dalla vecchia e crollante parrocchia del SS. Salvatore e fu posto in una cappella nuova (…) da quel giorno cominciò nella fisionomia della celeste Regina a ravvisarsi una bellezza, una maestà e una confidenziale dolcezza, che non vi si ravvisavano innanzi (…) E’ raggio di bellezza, di dolcezza e di maestà insieme che piove da quel ciglio neanche fa pregare in ginocchio e battere il cuore a quanti con fede si accostano in questo Santuario a quella vecchia tela. Io sono convinto che con un visibile portento la Vergine abbia abbellito la sua figura”.

Il campanile
Quando il Santuario fu ampliato nel 1933, venne costruito un campanile alto ben 80 metri, che svetta nella sua imponenza. I cinque piani che lo compongono, sono abbelliti oltre che da marmi e colonne, dalla presenza di quattro angeli trombettieri e da una grandiosa raffigurazione del Sacro Cuore di Gesù. Inoltre, otto campane diffondono per la campagna circostante il loro suono. Per costruirle vennero fusi ben 100 quintali di cannoni da guerra.
L’opera è coronata da una cupola in bronzo, che è sovrastata da una croce gemmata in rame e bronzo di 6 metri, benedetta da PIO XI prima del trasporto a Pompei.
Il campanile, subì degli interventi di consolidamento, per i danni subiti durante il terremoto, nella seconda metà degli anni Ottanta, e da oggi è possibile ancora salire fin su la sua cima per ammirare lo splendido panorama campano, la Valle, gli Scavi e il Golfo di Napoli.

Il museo
In via Colle San Bartolomeo si trova il villino che fu la dimora di Bartolo Longo. L’abitazione è oggi adibita a Museo. Al pian terreno è possibile visitare la camera da letto e lo studio del Beato ed osservare diversi oggetti che facevano parte del suo quotidiano.
Al piano superiore, invece, è ospitato il Museo Vesuviano dove, grazie a un’accurata rassegna di stampe antiche e moderne, ci si può documentare sull’attività del vulcano, infatti sono riprodotte le eruzioni che vanno dal 1631 al 1944, il tutto corredato dall’esposizione di numerosi campioni di minerali e prodotti vulcanici.

La Cappella del Beato Bartolo Longo
La cappella dedicata al beato Bartolo Longo è adiacente al Santuario; è stata realizzata durante i lavori per il Grande Giubileo del 2000. Di forma quadrata, ampia 360 mq, ha il soffitto in cemento armato sagomato. Sotto l’altare è posta l’urna con le spoglie del Beato. Egli è raffigurato in un simulacro di resina, all’interno del quale sono posti i suoi resti mortali. La testa e le mani, in argento, sono state realizzate dall’argentiere Franco Scarmigliati di Roma. Il simulacro è rivestito con un abito nero e il mantello dei Cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, al quale apparteneva Bartolo Longo.

Publié dans Apparizioni mariane e santuari, Beato Bartolo Longo, Pompei, Santa Caterina da Siena, Viaggi & Vacanze | Pas de Commentaire »

Cristo sapeva di essere Dio fin dal primo istante della sua incarnazione

Posté par atempodiblog le 9 mars 2014

Cristo sapeva di essere Dio fin dal primo istante della sua incarnazione
di Padre Angelo Bellon O.P. – Amici Domenicani

Cristo sapeva di essere Dio fin dal primo istante della sua incarnazione dans Fede, morale e teologia rbi53a

1. Cristo ha avuto consapevolezza netta di essere Dio fatto carne fin dal primo istante del suo concepimento. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, dopo aver parlato della conoscenza acquisita di Cristo (n. 472), parla anche di un altro tipo di conoscenza, “della intima e immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo” (n. 473). Prosegue dicendo che “il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza umana mostrava la penetrazione divina che egli aveva dei pensieri segreti del cuore degli uomini” Da notare l’espressione “conoscenza intima e immediata”, molto simile a quella usata da Benedetto XII nella Bolla Benedictus Deus dove si parla della conoscenza dei santi in cielo e si dice che essi “vedono l’essenza divina con una visione intuitiva e, più ancora, faccia a faccia, senza che ci sia, in ragione di oggetto visto, la mediazione di nessuna creatura, rivelandosi invece a loro l’essenza divina in modo immediato, scoperto, chiaro e palese” (DS 1000).

2. Giovanni Paolo II ha accennato a questa consapevolezza di Cristo in una pubblica udienza e ha detto: “In realtà, se Gesù prova il sentimento di essere abbandonato dal Padre, egli però sa di non esserlo affatto. Egli stesso ha detto ‘Io e il Padre siamo una cosa sola’ (Gv 10,30), e parlando della Passione futura: ‘Io non sono solo, perché il Padre è con me’ (Gv 16,32). Sulla cima del suo spirito Gesù ha netta la visione di Dio e la certezza della unione col Padre. Ma nelle zone di confine con la sensibilità e quindi più soggette alle impressioni, emozioni e ripercussioni delle esperienze dolorose interne ed esterne, l’anima umana di Gesù è ridotta ad un deserto, ed Egli non sente più la ‘presenza’ del Padre, ma fa la più tragica esperienza della più completa desolazione” (30.XI.1988).

3. Anche nella lettera Novo millennio ineunte (6.1.2001) ne parla in questi termini: « La tradizione teologica non ha evitato di chiedersi come potesse, Gesù, vivere insieme l’unione profonda col Padre, di sua natura fonte di gioia e di beatitudine, e l’agonia fino al grido dell’abbandono. La compresenza di queste due dimensioni apparentemente inconciliabili è in realtà radicata nella profondità insondabile dell’unione ipostatica. Di fronte a questo mistero, accanto all’indagine teologica, un aiuto rilevante può venirci da quel grande patrimonio che è la «teologia vissuta» dei santi. Essi ci offrono indicazioni preziose che consentono di accogliere più facilmente l’intuizione della fede, e ciò in forza delle particolari luci che alcuni di essi hanno ricevuto dallo Spirito Santo, o persino attraverso l’esperienza che essi stessi hanno fatto di quegli stati terribili di prova che la tradizione mistica descrive come «notte oscura». Non rare volte i santi hanno vissuto qualcosa di simile all’esperienza di Gesù sulla croce nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore”.

4. Dopo queste affermazioni Giovanni Paolo II cita l’esperienza di Santa Caterina da Siena. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, Dio Padre le mostra come nelle anime sante possa essere presente la gioia insieme alla sofferenza: «E l’anima se ne sta beata e dolente: dolente per i peccati del prossimo, beata per l’unione e per l’affetto della carità che ha ricevuto in se stessa. Costoro imitano l’immacolato Agnello, l’Unigenito Figlio mio, il quale stando sulla croce era beato e dolente» (n.78). Allo stesso modo Teresa di Lisieux vive la sua agonia in comunione con quella di Gesù, verificando in se stessa proprio il paradosso di Gesù beato e angosciato: «Nostro Signore nell’orto degli Ulivi godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa» (Ultimi colloqui, quaderno giallo 6 luglio 1897)”.

5. Il Papa prosegue dicendo: “È una testimonianza illuminante! Del resto, la stessa narrazione degli Evangelisti dà fondamento a questa percezione ecclesiale della coscienza di Cristo, quando ricorda che, pur nel suo abisso di dolore, egli muore implorando il perdono per i suoi carnefici (cfr. Lc 23,34) ed esprimendo al Padre il suo estremo abbandono filiale: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46) » (Novo millennio ineunte 26-27).

6. Pio XII nell’enciclica Mistici Corporis parla della conoscenza di Cristo fin dal primo istante della sua esistenza: “Questa amantissima conoscenza, con la quale il Divin Redentore ci ha seguiti fin dal primo istante della sua incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché per quella visione beatifica di cui godeva fin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del Corpo Mistico e le abbraccia col suo salvifico amore!(…) Nel presepio, nella croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti a sé tutte le membra della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce se stesso” (Mistici Corporis, 76).

7. Il Magistero dunque ha parlato e bisognerebbe dire insieme con Sant’Agostino: “Roma locuta, causa finita” (Il papa ha parlato, la discussione è terminata). È vero che Cristo si è fatto simile a noi in tutto fuori che nel peccato, ma per quanto riguarda la natura umana e le sue infermità. Ma rimane il fatto che Cristo non è semplicemente uomo come noi o anche come Adamo prima del peccato originale. La sua persona non è umana ma divina. Cristo è Dio fatto carne e questo fa sì che il suo “Io” non sia umano, ma divino, sempre in relazione col Padre suo.

Publié dans Fede, morale e teologia, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

Pier Giorgio Frassati un testimone della fede in Cristo

Posté par atempodiblog le 7 juillet 2013

Pier Giorgio Frassati un testimone della fede in Cristo.
La vita di un giovane di 24 anni che ha illuminato e tutt’ora illumina la strada di molti altri giovani distanti nel tempo e nello spazio, ma non dal cuore.

Fonte: www.stpauls.it
Tratto da: Sursum Corda

Pier Giorgio Frassati un testimone della fede in Cristo dans Beato Pier Giorgio Frassati

Nasce nel 1901 a Torino da una famiglia ricca borghese. Quando, fanciullo, apprese i primi racconti del Vangelo, Pier Giorgio ne restò colpito, a volte in modo così profondo da diventare protagonista di gesti inattesi in un bimbo tanto piccolo. Dopo l’infanzia venne istruito con la sorella privatamente, e successivamente fu avviato alle scuole  statali, ma Pier Giorgio in questi primi studi non mostrava molta attenzione, tanto che un anno fu bocciato. Vista la non brillante carriera scolastica, la  famiglia lo affidò al salesiano don Cojazzi che oltre ad insegnargli la  letteratura lo accosterà alla spiritualità cristiana.

 dans Santa Caterina da Siena
Pier Giorgio è il primo a  destra


“Come  il sale dà sapore al cibo e la luce illumina le tenebre, così la santità dà  senso pieno alla vita, rendendola riflesso della gloria di Dio. Quanti Santi,  anche tra i giovani, annovera la storia della Chiesa! Tra i molti basti  ricordare: Agnese di Roma, Teresa di Lisieux, Pier Giorgio Frassati… Scoprite le  vostre radici cristiane, imparate la storia della Chiesa, approfondite la  conoscenza dell’eredità spirituale che vi è stata trasmessa, seguite i testimoni  e i maestri che vi hanno preceduto!”.

I Frassati erano una delle famiglie  più in vista della città, di estrazione alto-borghese. Il padre Alfredo era proprietario del quotidiano «La Stampa», ma Pier Giorgio, che non voleva i soldi di suo padre, aveva dichiarato pubblicamente che la sua eredità l’avrebbe divisa tutta con i poveri. Per essi aveva intrapreso gli studi molto difficili di ingegneria per diventare ingegnere minerario e così potersi dedicare al servizio di Cristo fra i minatori, tra i più derelitti degli operai. Avrebbe potuto allietare la sua giovinezza con ricevimenti e feste da ballo, ma preferiva  essere il “facchino” dei poveri, trascinando per le vie di Torino i carretti  carichi di masserizie degli sfrattati… e come membro della Conferenza di S. Vincenzo visitare le famiglie più bisognose per portarvi conforto e aiuto  materiale. Vi si recava generalmente al mattino, prima delle lezioni  all’Università, oppure nelle uscite serali, carico di pacchi, vincendo con la  carità l’umana ripugnanza che si accompagnava al tanfo nauseante di certi tuguri.

 dans Stile di vita

Un albero lo si  riconosce dai suoi frutti. E i frutti di Pier Giorgio sono davvero straordinari. In tutto il mondo sono circa millecinquecento le Associazioni a lui intitolate. Il suo nome è stato dato a Scuole, Oratori, Cappelle, complessi sportivi,  Patronati, Circoli di studenti universitari. Nel solco di Pier Giorgio sono  sorte Cooperative, iniziative sociali e culturali, gruppi e Centri giovanili. Chiese e parrocchie a lui dedicate sono in ogni angolo della terra, dall’Italia all’America Latina, dagli Stati Uniti all’Africa.

Dinamico, volitivo, pieno di vita, Pier  Giorgio amava i fiori e la poesia, le scalate in montagna. Spesso raggiungeva a  piedi il Santuario della Madonna di Oropa, il grande tempio mariano del  Piemonte. Arrivato al Santuario, dopo un’ora di marcia e completamente digiuno, era solito assistere alla Santa Messa, poi faceva la Comunione, quindi si raccoglieva in preghiera nel transetto di destra, davanti all’immagine della  Vergine Bruna. Nel ritorno verso casa recitava il Rosario lungo la via, ad alta voce, cantando le Litanie. Pier Giorgio amava anche comporre dei rosari con i  semi di una pianta di Pollone, che poi regalava agli amici. Era questo un modo  per ricordare loro l’impegno della preghiera e la devozione verso la Vergine, che per lui era irrinunciabile.

Il 28 maggio 1922, nella chiesa torinese di San Domenico, ricevette l’abito di terziario domenicano: Pier Giorgio, da fervente discepolo di San  Domenico, recitava ogni giorno il Rosario, che portava sempre nel taschino della giacca, non esitando a tirarlo fuori in qualsiasi momento per pregare, anche in tram o sul treno, persino per strada.

“Il mio testamento – diceva, mostrando la corona  del Rosario – lo porto sempre in tasca”. Il 30 giugno 1925 Pier Giorgio accusa  degli strani malesseri, emicrania e inappetenza: non è una banale influenza, ma una poliomielite fulminante che lo stronca in soli quattro giorni, il 4 luglio,  tra lo sconcerto e il dolore dei suoi familiari e dei tanti amici e conoscenti,  a soli 24 anni.
Sulla sua scrivania, accanto ai testi universitari, erano aperti l’Ufficio della Madonna e la vita di Santa Caterina da Siena. Nasceva alla vita del Cielo di sabato, giorno mariano, così come anche di sabato, il  Sabato Santo di ventiquattro anni prima, era venuto al mondo. È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 20 maggio 1990.

Pier  Giorgio è stato questo, e molto altro ancora. Difficile raccontarlo in poche  parole. Da tutte le testimonianze e dai ricordi di chi lo conobbe balza fuori il ritratto di un giovane limpido e forte, acceso dalla gioia, dal cuore generoso e pieno di fede.

Publié dans Beato Pier Giorgio Frassati, Santa Caterina da Siena, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La nostra vocazione: nel nostro cuore ci deve essere l’amore che c’è in Dio

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2013

La nostra vocazione: nel nostro cuore ci deve essere l’amore che c’è in Dio
di
Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

La nostra vocazione: nel nostro cuore ci deve essere l’amore che c’è in Dio dans Anticristo 6hxk

I catechisti dicono che se vanno a dire ai giovani che i rapporti prematrimoniali sono contro la volontà di Dio quelli lasciano le chiese e allora tacciono. Si oscura il peccato, ma questo è un atteggiamento profondamente sbagliato e non è l’atteggiamento di Gesù Cristo.

I catechisti così sono sciocchi e non amano il prossimo quando tacciono i comandamenti di Dio che ci dicono il bene da fare e il male da evitare. Far percorrere certe strada che fanno si che uno divenga più debole, più fragile… fanno si che uno va sotto l’influsso del Maligno.
L’atteggiamento di chi dice che non è un male è sbagliato perché lascia quella persona sotto la sua malattia spirituale, la lasci nel fango, lo prendi in giro.

Oggi il mondo inganna perché nega il male e dice che il male è un bene. Ciò che noi chiamiamo un male per loro è un bene, dicono che il divorzio fa bene, la masturbazione fa benissimo, la prostituzione è tutta salute, e così via… Questo è il mondo. Così il mondo, ragazzi miei, in questo modo incrementa il vizio, disgrega la natura umana. A forza di esaltare il male gli uomini sono brutti e cattivi, sono egoisti, sono inaffidabili e sono impietosi, infelici e insensibili. Che umanità c’è?

Il mondo ci vuol dar ad intendere che facendo il male si sta bene. E’ una menzogna satanica. Anche un moto di invidia, di gelosia, di impurità dal fondo del cuore è veleno satanico che inquina.
La grazia dello Spirito Santo illumina, aiuta, stimola, perché non sempre riusciamo a fare il bene subito, ma la volontà tesa al bene è quella a cui guarda Dio. Gesù non guarda i risultati… quando noi siamo impegnati a mettere in pratica i Comandamenti, a mettere in pratica il Vangelo, specialmente nelle sue esigenze più costose… Gesù non guarda i risultati perché quelli ce li da Lui, ma guarda all’intenzione cioè alla tensione della nostra volontà. Guarda a quello che noi vogliamo fare, guarda – come direbbe santa Caterina da Siena – ai nostri santi desideri.

Anche se facciamo dei ruzzoloni, Dio guarda “l’affocato desiderio”. La messa in pratica Dio ce la dà pian piano, nella misura in cui siamo umili, perché se Lui ci da il risultati quando non siamo umili noi ci prendiamo il merito… Quando abbiamo rotto il ‘naso’ parecchie volte e siamo diventati umili, allora Dio ci da il risultato… così noi ringraziamo Lui e non diciamo “come sono bravo”.
E’ fondamentale desiderare la santità con tutto il cuore.
Perciò i catechisti non tengono conto che l’uomo è fragile, è debole, e di qual è l’attegiamento di Gesù verso i peccatori…

La malattia va denunciata e nel medesimo tempo per il malato la massima comprensione. Un confessore che si meravigliasse per i peccati non è adatto a confessare.

Gesù davanti alla peccatrice piena di peccati che gli ungeva i piedi dice “va’”, mica gli ha detto quante volte…  ha detto “va’ e non peccare più”, leggeva nei cuori, subito ha perdonato.
Gesù ci indica un ideale così grande di santità che non siamo capaci di mettere in pratica perché… L’Occidente si sta ribellando al Cristianesimo e i motivi non riguardano tanto la fede… anche se poi tirano fuori i motivi di fede… La fede cristiana ha anche una solida base razionale, è qualcosa di formidabile… Se l’Occidente vuole disfarsi del cristianesimo è per la morale… In questo secolo in cui si è attuata la rivoluzione sessuale, la morale della Chiesa diventa un motivo per buttar via il Cristianesimo… Siccome il Cristianesimo vuole arginare quella che è una dittatura dell’istinto sessuale che c’è in Occidente, proprio l’Occidente vuole liberarsi del Cristianesimo.

Si dice che è una morale troppo severa, che non è alla portata degli uomini. Infatti, senza la grazia non si può riuscire a metterla in pratica. Infatti senza l’aiuto della grazia nessun uomo può mettere in pratica i comandamenti. La morale cristiana ha bisogno dell’aiuto di Dio, ha bisogno della preghiera e della grazia.

Molti dicono: “senza sconti… ci vediamo la prossima volta”… ma nel nostro cuore ci deve essere l’amore che c’è in Dio, questa è la nostra vocazione.
Gesù propone un ideale morale che è quasi divino perché noi siamo creati capaci di Dio e partecipare alla divina natura. Noi siamo stati creati con il fine di essere partecipi della santità  di Dio.
Tutta la morale, tutta la santità consiste nella perfezione dell’amore. L’amore è l’anima di tutte le virtù.

Publié dans Anticristo, Fede, morale e teologia, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Santa Caterina da Siena, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La confessione. Dove il cuore trova pace

Posté par atempodiblog le 7 avril 2013

“La confessione. Dove il cuore trova la pace”
Recensione del libro di padre Livio Fanzaga

Roma, 26 Marzo 2013 (Zenit.org) Stefano Chiappalone

La confessione. Dove il cuore trova pace dans Fede, morale e teologia Ges-misericordioso

Tra le tante crisi di cui soffre il nostro mondo, un posto di rilievo spetta alla crisi della confessione, strettamente connessa a quella perdita del senso del peccato di cui già parlava il venerabile papa Giovanni Paolo II, individuando tra le cause principali di questa epocale «eclissi della coscienza», il secolarismo e il relativismo, nonché alcune tendenze ecclesiali che hanno generano una certa confusione nella predicazione, nella catechesi e nella direzione spirituale. In effetti, bisogna constatare che spesso i confessionali sono vuoti da entrambe le parti: sia quella del penitente sia quella del confessore.

La gente si confessa sempre più di rado, ma è anche vero che chi vuole confessarsi, raramente riesce a trovare in confessionale, o almeno in chiesa, un sacerdote disponibile – impegnato magari in attività che potrebbero benissimo svolgere i laici… L’esempio di sacerdoti santi, quali san Pio da Pietrelcina, san Leopoldo Mandic, o il santo Curato d’Ars – per non citare che i più noti – mostra però lo stretto legame tra l’aureola di cui ora godono in cielo, e le ore passate in confessionale quando erano ancora in questo mondo. Senza contare che un buon confessore, a sua volta è anche un assiduo penitente…

Questo libro di padre Livio Fanzaga, popolare direttore di Radio Maria, costituisce dunque una lettura utilissima per tutti – chierici e laici -, particolarmente in quest’ultimo scorcio dell’Anno Sacerdotale fortemente voluto da papa Benedetto XVI.

La situazione non è disperata, come dimostra la felice eccezione dei santuari,  i cui confessionali sembrano colmare il vuoto dell’ordinaria vita parrocchiale. E comunque, spiega padre Livio, la crisi c’è stata sin dall’inizio, quando Gesù fu accusato di bestemmia soltanto per aver dichiarato di avere il potere di rimettere i peccati (Marco 2,7). «Da allora le ondate minacciose del mysterium iniquitatis si sono abbattute innumerevoli volte. Basti ricordare la dolorosa deriva della riforma protestante che, con la motivazione che basta confessarsi a Dio, ha spazzato via i confessionali da una buona parte dell’Europa. Tuttavia la confessione è sempre risorta, dimostrando di essere un albero dalle radici inattaccabili» (pp. 10-11), poiché essa «trae la sua forza da Gesù Cristo stesso. Questa è la ragione della sua perenne giovinezza» (p. 11).

La confessione è un sacramento apparentemente semplice, eppure «prima che il penitente si accosti al confessionale per ricevere l’assoluzione, nel suo intimo è stata combattuta una battaglia. La luce  e le tenebre, il bene e il male, la disperazione e la speranza si sono contesi il dominio del cuore» (p. 14). Nel confessionale avviene un miracolo che non può verificarsi in nessun laboratorio: «oggi la scienza compie progressi, fino a qualche tempo fa inconcepibili, per quanto riguarda la salute psicofisica dell’uomo. Tuttavia non potrà mai trovare la medicina che trasformi un uomo cattivo in un uomo buono e che dia la pace e la gioia a chi è nel tormento e nella tristezza» (p. 17). Eppure non tutti sembrano voler ricorrere a questa medicina, poiché molti pensano di non essere malati: «ciò che mette in crisi il sacramento della confessione è il crescente offuscamento del senso del peccato. La maggior parte dei cristiani pensa di non avere dei peccati di cui accusarsi. Non c’è quindi da meravigliarsi se non solo si abbandona la pratica del sacramento, ma si finisce per non chiedere perdono a Dio neppure nelle proprie preghiere personali» (p. 19).

Sin dall’inizio il peccato inganna, manifestandosi sotto apparenza di bene. Nella sua falsa imitazione di Dio, «Satana punta a trasformare le sue prede a sua immagine e somiglianza» (p. 22). All’inizio presenta i suoi frutti come graditi agli occhi e desiderabili (cfr. Genesi 3,6), altrimenti chiunque li rifiuterebbe. In realtà però, appena mangiato il frutto, questo si rivela incapace di saziare, generando arsura mai placata e sete mai soddisfatta: «l’incanto si rompe e quella che era un’illusione di felicità si trasforma in delusione» (p. 25) e schiavitù, poiché essendo incapace di appagare, ogni peccato conduce alla vana e interminabile ricerca di sempre nuovi piaceri e, di conseguenza, alla continua necessità di reprimere la voce della coscienza.

Illudendosi di diventare «come Dio» (Genesi 3,5) l’uomo in realtà si riduce spiritualmente ad una larva; la malattia e la rovina sono temporali, prima ancora che eterne, e il degrado verso l’animalità è visibile già su questa terra. «Allora l’uomo, creato per essere abitato da Dio, diviene l’oscura dimora del serpente infernale» (p. 33). Questa malattia, prima o poi conduce inesorabilmente alla morte. L’unico modo per guarirla e spezzare la catena è mettersi in ginocchio davanti alla croce.

«Non ti sei mai chiesto per quale motivo, quando ti confessi, vieni assolto da ogni peccato di cui ti sei pentito? Anche se avessi compiuto i delitti più abominevoli, se ti presenti con un cuore contrito, ricevi un’assoluzione completa. [...] La ragione per cui il sacerdote assolve sempre chi si pente dei suoi peccati è da ricercare nel sacrificio della croce, dove Gesù ha già espiato al nostro posto e a nostro favore. Per essere liberati dal male spirituale che ci affligge, basta accogliere il perdono che il Crocifisso ci offre attraverso la persona del sacerdote»(p. 53). La confessione dunque opera una vera e propria risurrezione dell’anima morta, che passa dal tormento alla pace, prima con Dio, quindi con i fratelli. Alla paura subentra la fiducia.

Ovviamente un cadavere non è in grado di risollevarsi da sé: è Dio a compiere il primo passo verso la confessione, andando in cerca della pecorella smarrita (cfr. Luca 15,4). È una grazia che «sgorga dal Cuore trafitto di Gesù e dal suo amore per ogni anima, ma anche per i meriti di tante anime che pregano e si sacrificano per i peccatori. [...] Questo significa che molte grazie di conversione hanno degli anonimi benefattori i quali hanno interceduto a nostro favore e senza che noi lo sapessimo. La grazia della conversione è un grande mistero di amore e ognuno di noi un giorno saprà chi ha pregato per lui, ottenendogli l’intervento dell’Amore misericordioso» (p. 69).

Dio si fa sentire inizialmente con il rimorso della coscienza: buon segno, poiché significa che qualcosa sta riprendendo vita. Tuttavia non è un rimorso che conduce allo scoraggiamento, in quanto Gesù oltre alla diagnosi ci annuncia anche la guarigione. Non resta che lasciarsi curare, a patto però di affidarsi umilmente al medico: «Pensi che le cose sarebbero più semplici se potessimo confessarci da soli, mettendoci direttamente in contatto con Dio? [...] Ma è quando ti metti in ginocchio davanti al sacerdote che la tua umiltà viene provata  e trovata autentica. Gesù, nella sua divina pedagogia, ha trovato un modo molto semplice per spezzare alla radice il nostro orgoglio, che è la causa della perdizione di molte anime» (p. 78).

La scuola più efficace per imparare a confessarsi è il Crocifisso, un libro vivo dove si apprendono tanto la malizia del peccato, quanto la grandezza della misericordia divina. Non a caso la prima confessione, quella del buon ladrone, avvenne proprio sul Calvario. La croce rivela l’iniquità del mondo e la nostra personale iniquità: «guardando alla croce, ognuno deve imparare a vedere gli effetti del proprio peccato. Soprattutto deve considerare che le sofferenze fisiche del Crocifisso sono poca cosa se paragonate alle trafitture del suo Cuore divino, provocate dall’ingratitudine, dall’indifferenza, dal disamore e dal disprezzo nei confronti della sua sconfinata carità» (pp. 81-82). La croce è un invito a contraccambiare quell’amore: «S. Caterina da Siena lo afferma con parole di fuoco: “Chi è quello stolto bestiale che vedendosi così amato non ami?”» (p. 83).

Dopo aver parlato della bruttezza del peccato e della bellezza del perdono, padre Livio dedica gli ultimi capitoli ai «sette passi» di questo cammino. Innanzitutto la preghiera e l’esame di coscienza, proseguendo fin dentro il cuore del sacramento, con il dolore di aver offeso Dio, il proponimento di non offenderLo più, l’accusa dei peccati, l’assoluzione e infine la penitenza. Il primo passo, la preghiera, è in realtà l’inizio e la fine del perdono – “la fonte e il culmine” potremmo dire, parafrasando quanto afferma il Concilio a proposito della liturgia: «Prima di incominciare il tuo esame di coscienza, raccogliti in preghiera e chiedi a Dio la luce necessaria. Infatti è la grazia che ci aiuta a vedere i peccati, anche i più riposti, e a evitare le forme di autoinganno e di auto giustificazione» (p. 84).

«La preghiera non solo apre il cammino della confessione, ma ne è la logica conclusione. All’inizio è una preghiera di invocazione, alla fine di ringraziamento» (p. 85). Attingendo al Catechismo e al magistero dei Pontefici, oltre che alla propria esperienza, padre Livio ci guida concretamente nei vari passaggi di questo percorso, alla fine del quale «ci viene restituita la grazia santificante e la comunione con Dio. Tuttavia rimangono le pene temporali del peccato, che si devono scontare in questa vita o in purgatorio» (p. 135).

Ancora una volta il penitente non è solo, poiché può beneficiare dell’aiuto e dei meriti dei santi, mediante il grande – quanto dimenticato – tesoro delle indulgenze. «In questo ammirabile scambio, la santità dell’uno giova agli altri, ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri. In tal modo, il ricorso alla comunione dei santi permette al peccatore contrito di essere in più breve tempo e più efficacemente purificato dalle pene del peccato…» (p. 137).

Prima di lasciarci, padre Livio ci fornisce qualche ulteriore consiglio per la battaglia spirituale: l’avversario, infatti, non si arrende e tornerà a bussare alla nostra porta. Dopo il miracolo della conversione e della confessione, il passo successivo è quello della perseveranza. La battaglia durerà per tutta la vita.

Padre Livio Fanzaga, La confessione. Dove il cuore trova la pace, Sugarco Edizioni, Milano 2008, € 15,50

(Recensione pubblicata a maggio 2010 in: Totus tuus Network)

Divisore dans San Francesco di Sales

Inoltre Freccia dans Viaggi & Vacanze La contrizione quotidiana

Publié dans Fede, morale e teologia, Libri, Misericordia, Padre Livio Fanzaga, Sacramento della penitenza e della riconciliazione, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

«Il profumo mariano dell’Eucaristia»

Posté par atempodiblog le 28 mars 2013

Celebrando il Signore lodiamo Maria
«Il profumo mariano dell’Eucaristia»
Giovedì santo: la continuità salvifica tra “il Corpo dato per noi” e “il Corpo nato dalla Vergine”.
di Sergio Gaspari, smm – Madre di Dio

La sera del Giovedì santo, nell’invitare i fedeli a sostare in adorazione (fino a mezzanotte) del Santissimo Sacramento, è bene esortarli pure a respirare «il profumo mariano dell’Eucaristia», a contemplare cioè la continuità salvifica tra «il Corpo dato per noi» e «il Corpo nato dalla Vergine». L’Eucaristia richiama l’Annunciazione a Nazaret, ripresenta il Natale di Gesù a Betlemme, ritualizza il sacrificio pasquale della nuova ed eterna alleanza.

«Il profumo mariano dell'Eucaristia» dans Fede, morale e teologia Benedetto-XVI
Roma, 15.6.2006, Basilica di San Giovanni in Laterano: Benedetto XVI celebra la Messa del Corpus Domini (foto A. GIULIANI).

1. Maria-Pasqua-Eucaristia. «L’antichità cristiana – osserva Benedetto XVI – designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo di Cristo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo» (Sacramentum caritatis, 15). Infatti sant’Ambrogio di Milano (+397), parlando del miracolo dell’Eucaristia che rende presente Cristo nella celebrazione, affermava: «Quello che noi ripresentiamo è il Corpo nato dalla Vergine » (De Mysteriis, 53). Testo così ripreso da san Tommaso d’Aquino (+1274): «Ciò che noi consacriamo è il Corpo nato dalla Vergine» (S. Th. III, q. 75, a. 4).

«Caro Christi, Caro Mariae», esclamerà Ambrogio Auperto (+781): nella Caro Christi, “Carne di Cristo”, la fede della Chiesa rivede la Caro Mariae, “Carne di Maria”. Senza dubbio il riferimento alla Vergine è garante della retta fede nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. Quando Berengario (+1088) propose un’interpretazione simbolica dell’Eucaristia, svuotando il realismo del Corpo di Cristo, il Concilio romano del 1079 gli impose di sottoscrivere che il pane e il vino dopo la consacrazione sono «il vero Corpo di Cristo che è nato dalla Vergine» (DS 700). Ma Ratrammo di Corbie (+875) aveva già reagito alla totale identificazione tra corpo storico e corpo sacramentale, osservando la «non piccola differenza tra il corpo che esiste nel mistero e il corpo che ha patito, fu sepolto ed è risorto».

Il corpo storico «è la vera carne di Cristo», mentre il corpo del mistero «è il sacramento della sua carne»; inoltre questo «rappresenta la memoria della passione e morte del Signore» e ingloba tutti i fedeli che formano un solo corpo con lui. Riferendosi alla dimensione pasquale, Giovanni Paolo II nel 2003 precisava: «L’Eucaristia, mentre rinvia alla passione e alla risurrezione, si pone al tempo stesso in continuità con l’incarnazione » (Ecclesia de Eucharistia, 55).

Nella bolla Incarnationis mysterium (1998) il Pontefice aveva puntualizzato: «Da duemila anni, la Chiesa è la culla in cui Maria depone Gesù e lo affida all’adorazione e alla contemplazione di tutti i popoli… Nel segno del Pane e del Vino consacrati, Cristo Gesù risorto e glorificato… rivela la continuità della sua incarnazione» (n. 11).

Il 5.6.1983 Giovanni Paolo II predicava: «Quel Corpo e quel Sangue divino… conserva la sua originaria matrice da Maria… Ogni Messa ci pone in comunione intima con lei, la Madre, il cui sacrificio “ritorna presente”, come “ritorna presente” il sacrificio del Figlio». E continuava: «Pane fragrante che porta ancora in sé il sapore e il profumo della Vergine Maria». Nell’enciclica Redemptoris Mater (1987) ribadiva: la maternità divina «è particolarmente avvertita e vissuta» nell’Eucaristia, dove «si fa presente Cristo, il suo vero corpo nato da Maria Vergine» (n. 44).

Giovanni-Paolo-II dans San Giovanni Eudes
Roma, 22.2.2000: Giubileo della Curia romana. Celebrazione eucaristica in San Pietro presieduta da Giovanni Paolo II (GIULIANI).

2. Sguardo alla tradizione della Chiesa. Come in una polifonia sinfonica Padri, tradizione, riti liturgici, arte e fede popolare si intrecciano armonicamente nel rilevare il nesso Eucaristia-Maria, che ruota attorno a tre cerchi concentrici: Corpo di Cristo nato da Maria, dimensione pasquale dell’Eucaristia e corpo sacramentale.

Sant’Ireneo di Lione (ca. +202) afferma che se non si ammette che Cristo è vero uomo nato dalla Vergine, allora «neppure il calice dell’Eucaristia è la comunione con il suo sangue, né il pane che noi spezziamo è la comunione con il suo corpo».

Sant’Efrem Siro (+373) parla del «sacramento di quel corpo unico che (il Signore) prese da Maria», e aggiunge: «Maria ci ha dato il pane che conforta, al posto del pane che affatica datoci da Eva». Rivolgendosi al Cenacolo, Efrem esclama: «Benedetto il luogo, dove fu spezzato quel pane (proveniente) dal venerato covone (Maria). In te fu spremuto il grappolo (proveniente) da Maria, il calice della redenzione».

Ambrogio Auperto (+781) nella festa della Presentazione di Cristo al Tempio predica: il gesto della Madre che offre il Figlio profetizza misticamente l’azione sacramentale della Chiesa anch’essa offerente di Cristo.

Pascasio Radberto (ca. +865) identifica il Corpo eucaristico di Cristo con il Corpo storico avuto da Maria, quando afferma: Idem Corpus quod natum ex Virgine.

Per san Pier Damiani (+1072) il Corpo di Cristo che noi riceviamo nella Comunione eucaristica è il medesimo Corpo che Maria ha concepito, partorito, nutrito e allevato con materna sollecitudine. E conclude: «Eva ha mangiato un cibo a causa del quale ci ha condannati alla fame dell’eterno digiuno; al contrario, Maria ha confezionato un cibo che ci ha spalancato l’ingresso al convito del cielo».

Per san Bernardo di Chiaravalle (+1153) la Madre è unita al Figlio in un’unica offerta: ella sta presso la croce per presentare «la vittima santa, a Dio gradita». E in una mirabile espressione, estasiato dichiara alla Vergine: Filius tecum, qui ad condendum in te mirabile sacramentum, “Il Figlio è con te, per preparare in te il mirabile sacramento”.

Arnaldo di Bonneval o di Chartres (+ dopo il 1156), biografo di san Bernardo, afferma: «Unica è la carne di Maria e quella di Cristo, unico è lo Spirito, unica la carità». E aggiunge: fin dalla Presentazione di Gesù al Tempio, si profilano due offerenti: Unum olocaustum ambo (Christus et Maria) pariter offerebant, “Nello stesso tempo ambedue (Cristo e Maria) offrivano un unico olocausto”.

Isacco della Stella (ca. +1169), discepolo di san Bernardo, parla di novus Sacerdos, non vetus Melchisedech, neque natus caro de carne… sed novus Iesus natus de Spiritu, cioè l’Eucaristia richiama il mistero nuovo: nuovo annuncio alla Figlia di Sion, nuova maternità, nuova nascita di Cristo, nuovo ed eterno sacerdote.

Nell’Ufficio della primitiva festa del Corpus Domini, composto nel 1246, si afferma che questa vera carne che noi mangiamo è la stessa che Gesù ha preso dalla Vergine.

San Bonaventura (+1274) spiega: siccome il Corpo di Cristo nell’incarnazione ci è stato dato per mezzo di Maria, anche la nostra offerta e Comunione eucaristica devono realizzarsi tramite le mani di lei. Nel sec. XIV viene composta l’antifona Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine, che attraversa i secoli.

Santa Caterina da Siena (+1380) descrive la Vergine «terra fruttifera e germinatrice del fructo» e colei che nell’incarnazione del Verbo dà la «farina sua». Nel Pane eucaristico, frutto sacramentale dell’offerta pasquale di Cristo, la Chiesa riscontra la “farina”, l’offerta olocaustica della Madre.

Il francese Giovanni di Gersone (+1429) chiama Maria madre dell’Eucaristia: «Tu sei la Madre dell’Eucaristia, perché …tu più di tutti gli altri, dopo il Figlio, eri cosciente del sacramento nascosto ai secoli».

La Scuola francese di spiritualità del 1600-700 accentua la continuità tra la maternità di Maria e il ministero del sacerdote.

San Giovanni Eudes (+1680) vede nel sacerdote l’immagine della Vergine Madre, perché per mezzo di entrambi il Cristo è formato, è dato ai fedeli, è offerto in olocausto a Dio.

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (+1787) è l’autore del libretto Visite al Santissimo Sacramento e a Maria Santissima.

San Giovanni Bosco (+1888) raccomandava la devozione a Gesù sacramentato e a Maria.

Leone XIII (+1903) parlava dell’Eucaristia come il prolungamento sacramentale dell’incarnazione storica del Signore dalla Vergine.

San Pio X (+1914) chiamava Lourdes «il più glorioso Santuario eucaristico» per rafforzare l’idea che ogni santuario mariano ha il suo centro unico nell’Eucaristia.

Secondo I.A. Schuster (+1954), l’Eucaristia ci “imparenta” con la Madre del Signore. Quando facciamo la Comunione ella «riconosce in noi qualche cosa che è sua e che le appartiene».

Pio XII (+1958) affermava: Maria non ha altro desiderio che di introdurre gli uomini «nel cuore del mistero della redenzione che è l’Eucaristia».

Lo scrittore ateo J.P. Sartre (+1980) fa dire alla Vergine che contempla Gesù bambino: «Questa carne divina è la mia carne… È Dio e mi assomiglia».

Benedetto XVI, domenica 9.9.2007 all’Angelus, puntualizzava: «Come Maria portò Gesù nel suo grembo e gli diede un corpo perché potesse entrare nel mondo, anche noi accogliamo Cristo nel Pane spezzato. E rendiamo il nostro corpo lo strumento dell’amore di Dio».

Publié dans Fede, morale e teologia, San Giovanni Eudes, Santa Caterina da Siena | Pas de Commentaire »

12