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Il martirio di san Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Fedeli a Cristo fino alla fine

Posté par atempodiblog le 3 juin 2025

Il martirio di san Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Fedeli a Cristo fino alla fine
Oggi, la loro memoria. Ripercorriamo le vicende del loro martirio in Uganda avvenuto nel 1886
di Antonio Tarallo – ACI Stampa

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“Questi martiri Africani aggiungono all’albo dei vittoriosi, qual è il Martirologio, una pagina tragica e magnifica, veramente degna di aggiungersi a quelle meravigliose dell’Africa antica, che noi moderni, uomini di poca fede, pensavamo non potessero avere degno seguito mai più”, con queste parole, il 18 ottobre 1964, durante il Concilio Vaticano II, san Paolo VI canonizzava Carlo Lwanga e altri ventuno compagni (tra cattolici e anglicani), colpiti dalle persecuzioni contro i cristiani avvenute sul finire del 1800 in Uganda, in Africa.

E sarà sempre Paolo VI, recatosi nella cittadina africana nel 1969, a consacrare l’altare maggiore del Santuario di Namugongo, costruito sul luogo del loro martirio. Il santuario nato per ricordare questi martiri presenta una particolarità: la sua forma architettonica ricorda una capanna tradizionale africana e poggia su 22 pilastri, simbolo dei 22 martiri cattolici vittime della persecuzione del re ugandese Mwanga.

Lo stesso re, in un primo momento, si dimostrò aperto ai cosiddetti “Padri Bianchi del cardinale Lavigérie”, ma poi cambiò idea. Il re Mwanga prima vietò ai sudditi di seguire la religione cristiana, poi nel 1885 passò all’aperta persecuzione contro loro.

Una strage, un martirio vero e proprio: a maggio del 1886 si cominciò con alcune decapitazioni, mutilazioni e torture infernali contro sette prigionieri. Il 25 maggio 1886, Carlo Lwanga venne condannato a morte, insieme ad altri compagni. Inoltre, per aumentare disumanamente la sofferenza dei condannati, il re decise di trasferirli dal Palazzo reale di Munyonyo a Namugongo, luogo per le esecuzioni capitali. Fra i due luoghi ci sono ben 27 miglia di distanza: una distanza che diventerà una “Via Crucis” per i prigionieri. Otto giorni di cammino: in questi giorni, molti moriranno trafitti da lance, impiccati e persino inchiodati agli alberi.

Poi, la data cruciale: quella del 3 giugno 1886. In questo giorno, Carlo Lwanga e dodici altri ragazzi, furono bruciati vivi in un unico grande rogo a Namugongo. La loro, una forte testimonianza di martirio: pregarono fino alla fine lodando Dio.

Uno tra loro, tale Bruno Ssrerunkuma, dirà, prima di spirare: “Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai. E quando noi non ci saremo più, altri verranno dopo di noi”.

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Santi martiri ugandesi

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

Santi martiri ugandesi
La Chiesa celebra oggi la memoria di san Carlo Lwanga e altri 21 cattolici, uccisi in giorni diversi durante le persecuzioni che si svolsero tra il 1885 e il 1887 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (una regione dell’Uganda). Come disse Giovanni Paolo II in un’omelia pronunciata a Namugongo, luogo del martirio per 13 di loro: «Il sacrificio eroico dei martiri ha contribuito ad avvicinare l’Uganda e l’intera Africa a Cristo, la vera luce che illumina tutti gli uomini»
de La nuova Bussola Quotidiana

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La Chiesa celebra oggi la memoria di san Carlo Lwanga, capo dei paggi della sala reale, e di altri 12 compagni cattolici ugandesi che subirono il martirio il 3 giugno 1886 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (una regione dell’Uganda), particolarmente irritato per il rifiuto da parte di quei suoi sudditi di soddisfare le sue pulsioni omosessuali. Insieme a loro, in questa stessa memoria collettiva, vengono ricordati dalla Chiesa altri nove martiri, per un totale di 22 cattolici, uccisi in giorni diversi tra il 1885 e il 1887 (la fase più calda di una generale persecuzione anticristiana) e proclamati santi tutti insieme nell’ottobre 1964 da Paolo VI: «Chi avrebbe potuto prevedere che insieme alle grandi figure storiche dei martiri e dei confessori africani come Cipriano, Felicita e Perpetua e lo straordinario Agostino, un giorno avremmo citato gli amati nomi di Charles Lwanga, Matthias Mulumba Kalemba e i loro venti compagni?», disse il Papa nell’omelia per la canonizzazione.

Le persecuzioni in terra ugandese iniziarono appena un anno dopo la salita al trono del giovanissimo Mwanga II, succeduto al defunto padre Muteesa, considerato molto più scaltro del figlio nel gestire gli equilibri in Buganda. Ci si misero anche stregoni e feticisti, i quali volevano mantenere il loro potere nel sistema tribale e si sentivano minacciati dalla crescente presenza cristiana, a sobillare il nuovo sovrano contro i missionari, che Mwanga vedeva meramente come colonizzatori.

Cominciarono così violente persecuzioni, in cui i primi a cadere furono alcuni aiutanti del vescovo anglicano James Hannington, a sua volta ucciso dai sicari del sovrano il 29 ottobre 1885. L’allora prefetto della sala del re, san Giuseppe Mukasa, un giovane catechista convertitosi al cattolicesimo in seguito all’arrivo in terra ugandese dei Padri Bianchi, aveva provato a dissuadere Mwanga dal suo intento criminale e, appena saputo dell’omicidio di Hannington, aveva rimproverato il sovrano. San Giuseppe Mukasa era nel frattempo divenuto inviso al re per aver incoraggiato i paggi a resistere alle avance di Mwanga, che alla fine si stancò del proprio suddito e ne ordinò la decapitazione. Prima che il suo ordine venisse eseguito ebbe un ripensamento, ma i suoi messaggeri arrivarono tardi sul luogo dell’esecuzione: il martirio di Giuseppe Mukasa, 25 anni, era già compiuto e i suoi resti mortali bruciati. Era il 15 novembre 1885: quello stesso giorno riceveva il Battesimo un catecumeno di circa vent’anni, il nostro Carlo Lwanga.

Proprio Carlo venne chiamato a sostituire Giuseppe come maestro dei paggi, ma anche lui – come il suo predecessore in quell’impiego di prestigio – mise al primo posto la fede in Gesù Cristo, proteggendo i paggi dalle mire peccaminose del re. Alcuni mesi più tardi, il 25 maggio 1886, Carlo Lwanga venne condannato a morte insieme ad altri cristiani. Nella notte, visto l’incombente pericolo, lo stesso Carlo battezzò segretamente i paggi convertiti che erano ancora semplici catecumeni: tra questi vi era il quattordicenne Kizito. Qualche ora dopo re Mwanga convocò un’assemblea per interrogare Carlo e i suoi paggi e vedere se qualcuno di loro decideva di salvare la pelle rinnegando Cristo: con stupore del sovrano, quei giovani neofiti rimasero saldi nella loro professione di fede.

I condannati vennero quindi costretti a recarsi a Namugongo, il luogo delle esecuzioni, distante 28 miglia dal punto in cui si trovavano. Otto di loro vennero uccisi durante il tragitto. Il 3 giugno, Carlo, insieme ad altri 12 cattolici e 18 anglicani, giunsero sul colle di Namugongo e qui vennero bruciati vivi oppure trafitti con le spade. Il martirio di Carlo avvenne, secondo costume, separatamente dagli altri. Mentre il carnefice, detto « Guardiano della sacra fiamma », procedeva ad arderlo vivo, il capo dei paggi gli disse: «È come se tu stessi versando acqua su di me. Ti prego, pentiti, e diventa cristiano come me». In quello stesso giorno, un altro martire, Bruno Sserunkuuma, aveva detto: «Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo più altri verranno dopo di noi».

L’ultimo di questo gruppo di 22 a subire il martirio fu un altro servitore del re, Giovanni Maria Muzeyi, che venne decapitato il 27 gennaio 1887 dopo aver spontaneamente professato la sua fede cattolica.

Il colle di Namugongo divenne meta di pellegrinaggi e nel 1969, cinque anni dopo la loro canonizzazione, Paolo VI in persona visitò la basilica-santuario dedicata ai Santi Martiri d’Uganda, nel primo viaggio apostolico di un Pontefice in terra africana. E da qui passò, nel 1993, anche Giovanni Paolo II, ricordando nella sua omelia che «il sacrificio eroico dei martiri ha contribuito ad avvicinare l’Uganda e l’intera Africa a Cristo, la vera luce che illumina tutti gli uomini».

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