Udienza. Papa Leone: «Portare amore tra le macerie dell’odio che uccide»

Posté par atempodiblog le 24 septembre 2025

Udienza. Papa Leone: «Portare amore tra le macerie dell’odio che uccide»
Durante l’udienza di stamattina il Pontefice ha ricordato che perfino oggi «la morte non è l’ultima parola». Poi ha invitato tutti al Rosario per la pace, sabato 11 ottobre in piazza San Pietro
di Agnese Palmucci – Avvenire

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Un rosario in piazza San Pietro per continuare, insieme, la preghiera incessante per la pace. Papa Leone XIV, durante l’udienza generale di stamattina in piazza, ha invitato tutti sabato 11 ottobre, alle ore 18, a vivere il momento di preghiera «insieme in piazza San Pietro nella veglia del Giubileo della Spiritualità mariana» ricordando «anche l’anniversario dell’apertura del Concilio vaticano II». Il Pontefice, però, ha poi raccomandato a ciascuno di proseguire con la recita della preghiera mariana per la pace, «personalmente, in famiglia, in comunità», «ogni giorno del prossimo mese» di ottobre, particolarmente dedicato al rosario. Per l’occasione dell’evento giubilare, sabato 11 ottobre sarà presente in piazza san Pietro, durante la veglia, anche la statua originale della Madonna di Fatima che, nel maggio del 1917, apparendo ai pastorelli della cittadina portoghese chiese di recitare «il rosario tutti i giorni per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra».

La «morte non è mai l’ultima parola»
In una piazza san Pietro gremita di fedeli da ogni parte del mondo, nonostante la pioggia, il Pontefice ha proseguito il ciclo di meditazioni legate all’anno giubilare proseguendo oggi la catechesi sul sabato santo con la prima lettera di Pietro: «E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere» (1Pt 3,19). Nel racconto della discesa di Cristo agli inferi, prima della Pasqua, ha sottolineato Prevost, egli «entra per così dire, nella casa stessa della morte, per svuotarla, per liberarne gli abitanti, prendendoli per mano ad uno ad uno». Parole, quelle del Papa sul sabato santo, giorno che annuncia già come «la morte» non sia «mai l’ultima parola», che arrivano chiare e dirette come abbraccio a chi soffre per i conflitti, nelle ore in cui continuano senza sosta gli attacchi sui civili di Gaza city da parte dell’esercito di difesa israeliano.

Cristo raggiunge ogni “inferno quotidiano”
Un Dio che, «secondo la tradizione», si è «addentrato nelle tenebre più fitte per raggiungere anche l’ultimo dei suoi fratelli e sorelle», ha continuato il Papa, è un Dio che conosce “gli inferni” degli uomini sulla Terra. «Gli inferi, nella concezione biblica, sono non tanto un luogo, quanto una condizione esistenziale: – ha aggiunto Leone – quella condizione in cui la vita è depotenziata e regnano il dolore, la solitudine, la colpa e la separazione da Dio e dagli altri». E, ancora riguardo agli “inferi”, il Papa ha sottolineato come questi riguardino anche «l’inferno quotidiano della solitudine, della vergogna, dell’abbandono, della fatica di vivere». Ma Cristo raggiunge gli uomini «anche in questo abisso, varcando le porte di questo regno di tenebra» per «testimoniare l’Amore del Padre».

Portare amore tra le macerie dell’odio che uccide
Salutando i fedeli portoghesi, il Pontefice ha ricordato infatti come «in questo nostro tempo, tra le macerie dell’odio che uccide», «il Signore Risorto non smetta mai di cercarci e, quando ci trova prigionieri delle tenebre, gioisce nel riportarci alla luce della vita». L’invito di Gesù, però, è quello di farsi «portatori» del suo amore «che illumina e rialza l’umanità». Nel saluto ai fedeli di lingua araba, invece, Leone si è rivolto in particolare agli studenti, all’inizio del nuovo anno scolastico, esortandoli a «preservare la fede e nutrirvi di scienza», per un «futuro migliore in cui l’umanità possa godere di pace e tranquillità».

Non c’è storia così compromessa da non essere raggiunta da Dio
Questo evento così particolare della discesa agli inferi di Cristo, consegnato dalla liturgia e dalla tradizione, rappresenta per il Papa «il gesto più profondo e radicale dell’amore di Dio per l’umanità», perché «il Signore scende là dove l’uomo si è nascosto per paura, e lo chiama per nome, lo prende per mano, lo rialza, lo riporta alla luce». Il Sabato Santo è, allora, la testimonianza di un Dio che porta in salvo tutti, «il giorno in cui il cielo visita la terra più in profondità», «il tempo in cui ogni angolo della storia umana viene toccato dalla luce della Pasqua». Non ci saranno mai notti troppo scure, ha aggiunto Prevost, «nemmeno le nostre colpe più antiche, nemmeno i nostri legami spezzati», «non c’è passato così rovinato, non c’è storia così compromessa che non possa essere toccata dalla misericordia».

Vivere da persone “rialzate”
È già l’annuncio della Pasqua. «Scendere, per Dio, non è una sconfitta ma il compimento del suo amore», ha concluso il Papa, «non è un fallimento, ma la via attraverso cui Egli mostra che nessun luogo è troppo lontano, nessun cuore troppo chiuso, nessuna tomba troppo sigillata per il suo amore». Ogni volta in cui sembrerà di aver “toccato il fondo”, la buona notizia è che Dio, da lì, «è capace di cominciare una nuova creazione». L’appello è, dunque, a vivere da “persone rialzate”, consapevoli che, proprio nel tempo del silenzio e della rassegnazione, nel Sabato Santo, «Cristo presenta tutta la creazione al Padre per ricollocarla nel suo disegno di salvezza».

I saluti del Papa dopo l’udienza
Papa Leone, al termine dell’udienza, ha salutato i pellegrini di lingua francese presenti all’udienza, in particolare, i fedeli provenienti dal Senegal, dal Canada, dal Belgio e dalla Francia, a cui ha chiesto di imparare a lasciare spazio, nella vita, al «silenzio», che «si rivela favorevole all’azione salvifica di Cristo nelle nostre anime».

Poi ha dato il benvenuto ai fedeli lingua inglese, e in special modo ai pellegrini arrivati per il Giubileo da Inghilterra, Scozia, Irlanda, Irlanda del Nord, Danimarca, Sud Africa, Uganda, Australia, Nuova Zelanda, Bangladesh, India, Indonesia, Malesia, Qatar, Filippine, Vietnam, Canada e Stai Uniti. E ancora il saluto ai fedeli di lingua spagnola, tedesca, cinese, polacca, rumena e slovena e ai tanti italiani presenti.

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Il perdono “preventivo”

Posté par atempodiblog le 20 août 2025

Il perdono “preventivo”
All’udienza generale Leone XIV riflette sulla senso della misericordia cristiana, un abbraccio gratuito donato senza alcuna precondizione, così importante per la pace
di Andrea Tornielli – Vatican News

Il perdono “preventivo” dans Andrea Tornielli Santo-Padre-Leone-XIV

“Il vero perdono non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito, ancor prima di essere accolto”. Con queste parole Leone XIV ha commentato il brano del Vangelo di Giovanni che descrive Gesù mentre offre il pane anche al traditore Giuda. È la logica divina, così lontana da quella umana del do ut des.

Gesù, ha spiegato il Papa, non ignora ciò che accade, ma proprio perché vede con chiarezza sa che “la libertà dell’altro, anche quando si smarrisce nel male, può ancora essere raggiunta dalla luce di un gesto mite”. È lo scandalo del perdono “preventivo”, che anticipa, con l’offerta dell’abbraccio di misericordia, senza richiedere alcuna precondizione. Proprio come accadde al pubblicano Zaccheo, che si pentì perché era stato chiamato e accolto da Gesù autoinvitatosi a casa sua, con grande sconcerto di tutti di fronte al gesto di rottura delle tradizioni e delle convenzioni compiuto dal Nazareno.

Quanto bisogno hanno le nostre vite e le nostre relazioni di questo perdono. Quanto bisogno ha il nostro mondo di questo perdono, che “non è dimenticanza, non è debolezza”. Tornano alla mente le parole profetiche del messaggio per la Giornata mondiale della pace 2002, che Giovanni Paolo II pubblicò poco dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre agli Stati Uniti.

Mentre tutti pensavano alla guerra “preventiva”, sull’onda dell’enormità dell’attacco subito, il Pontefice volle dire che “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.
“Molte volte – affermava Papa Wojtyla – mi sono soffermato a riflettere sulla domanda: qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell’ordine morale e sociale così barbaramente violato? La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l’ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono”. Non solo le singole persone, ma anche “le famiglie, i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale”.

Il perdono mancato, invece, spiegava ancora Giovanni Paolo II, “specialmente quando alimenta la continuazione di conflitti, ha costi enormi per lo sviluppo dei popoli. Le risorse vengono impiegate per sostenere la corsa agli armamenti, le spese delle guerre, le conseguenze delle ritorsioni economiche. Vengono così a mancare le disponibilità finanziarie necessarie per produrre sviluppo, pace, giustizia. Quanti dolori soffre l’umanità per non sapersi riconciliare, quali ritardi subisce per non saper perdonare! La pace è la condizione dello sviluppo, ma una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono”.

Papa Leone ha concluso l’udienza spiegando che “senza il perdono non ci sarà mai la pace!”. E ci ha invitati a una giornata di preghiera e digiuno per la pace venerdì 22 agosto, per implorare l’intercessione di Maria Regina della Pace, e chiedere a Dio pace e giustizia per il mondo flagellato dalle guerre. Per il nostro mondo, che ha così bisogno di perdono “preventivo”.

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Leone XIV: il 22 agosto giorno di digiuno e preghiera per invocare pace e giustizia

Posté par atempodiblog le 20 août 2025

Leone XIV: il 22 agosto giorno di digiuno e preghiera per invocare pace e giustizia
Al termine dell’udienza generale del mercoledì in Aula Paolo VI il Papa invita in particolare a pregare la Vergine nel giornata di venerdì prossimo in cui è venerata come Regina: il Signore “asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti armati in corso”
di Daniele Piccini – Vatican News

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Papa Leone XIV torna a chiedere insistentemente preghiere per la pace ai fedeli, riuniti oggi, mercoledì 20 agosto, in Aula Paolo VI per l’udienza generale, e li invita ad invocare l’intercessione di Maria. Lo fa chiedendo a tutti i credenti di rispettare nella giornata del 22 agosto, memoria liturgica della Beata Vergine Maria Regina…

…digiuno e preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia, e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a cause dei conflitti armati in corso.

Maria, aggiunge il Papa:

E’ Madre dei credenti qui sulla terra, ed è invocata anche come Regina della Pace, mentre la nostra terra continua ad essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina, e in molte altre regioni del mondo.

Perdono presupposto per la pace
Rivolgendosi poi ai fedeli di lingua portoghese Leone XIV ha ricordato il presupposto fondamentale della pacifica convivenza tra i popoli e tra le persone: “Senza il perdono non ci sarà mai la pace!”.

Salutando i pellegrini polacchi presenti a Roma e quelli venuti dal Santuario della Madonna di Jasna Góra, in Polonia, dove è conservata l’icona della Madonna di Częstochowa, ha chiesto loro di “includere nelle vostre intenzioni la supplica per il dono della pace – disarmata e disarmante – per tutto il mondo, in particolare per l’Ucraina e il Medio Oriente”.

Preghiera incessante
Nella mattinata di ieri, martedì 19 agosto, il Papa si era recato a Guadagnolo, frazione di Capranica Prenestina, nella diocesi di Palestrina, nell’eremo della Mentorella, particolarmente caro a San Giovanni Paolo II. Qui, ha riferito il rettore, si è recato “in chiesa, ai piedi della Madonna, e ha acceso un cero con una supplica particolare per la pace nel mondo”.

Ancora ieri sera, lasciando la residenza estiva di Castel Gandolfo, intorno alle ore 21, ha detto ai giornalisti che lo aspettavano davanti al cancello di Villa Barberini, che è necessario “pregare molto per la pace”, per alimentare la speranza, che pure c’è.

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Nikolas Tirrier: “La mia sindrome non ha mai realmente raggiunto la mia anima”

Posté par atempodiblog le 20 août 2025

Nikolas Tirrier: “La mia sindrome non ha mai realmente raggiunto la mia anima”
di Anna Ashkova – Aleteia

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Se oggi Nikolas Tirrier dice di essere in pace con la sua malattia, la sindrome di Treacher Collins, ha dovuto percorrere molta strada prima di accettarla. Un cammino costellato di prove, ma illuminato dalla fede in Cristo, dalla sua resilienza e dall’amore dei suoi cari.

Gesù consola, solleva ed illumina
Ciò che porta sul volto, lo porta da tempo nel suo cuore: un sentimento di differenza, a volte una sensazione di esclusione, a volte di disprezzo. Ma in questa fragilità, ha trovato Cristo e lo ha riscoperto nei momenti difficili. “Mi ha consolato, mi ha sollevato, mi ha illuminato. Mi ha insegnato, nel tempo, che non è la bellezza visibile che rende una persona preziosa, ma la luce interiore che riceviamo da Lui e che scegliamo di irradiare liberamente e pacificamente”, ha detto ad Aleteia Nikolas Tirrier, studente di un master in Insegnamento, Educazione e Formazione (MEEF) a Montpellier e affetto dalla sindrome di Treacher Collins.
Questa sindrome si manifesta in modo diverso a seconda della persona, ma colpisce sempre la regione del cranio: la mascella, il palato, le orecchie, la bocca… Si tratta di una malformazione ossea. “Nel mio caso, la forma è piuttosto lieve: soffro di una parziale assenza degli zigomi e delle tempie, il che mi costringe a indossare apparecchi acustici…”, spiega il 25enne.

Quando è nato in Romania, a Botosani, nel 1999, i medici non sapevano ancora che nome attribuire o come riconoscere questa malattia genetica rara. All’epoca la sua diagnosi sollevò molti interrogativi nei suoi genitori. Essendo suo padre di origine francese alla fine decisero di trasferirsi in Francia, in modo che il figlio potesse beneficiare delle migliori cure mediche. Nikolas aveva due anni e mezzo all’epoca e il suo fratellino era appena nato. La famiglia si stabilì ad Avignone, dove il padre di Nikolas, un prete ortodosso, fu ammesso in una diocesi rumena.

In Francia Nikolas ha subito diversi interventi chirurgici, eseguiti in modo graduale: correzioni dentali, aggiunta di grasso agli zigomi e soprattutto interventi chirurgici al cranio, tra cui uno per posizionare una vite impiantata. “Ho avuto 2-3 operazioni in anestesia generale, per non parlare di alcune in anestesia locale. Ho avuto controlli medici abbastanza regolari. Fino a quando avevo 13-14 anni, abbiamo passato molto tempo in ospedale, poi siamo ritornati, ma questa volta per mio padre”, ricorda.

Tra il 2014 e il 2015 si è verificato un nuovo calvario per la famiglia: il padre di Nikolas si è ammalato gravemente. “Soffriva di leucemia. È morto rapidamente all’età di 39 anni”.

Questo periodo della vita del giovane non è stato facile per la sua famiglia. “Colei che ha sostenuto tutta la nostra famiglia sin dal nostro arrivo in Francia, per i miei controlli medici e poi per quelli di mio padre, la nostra educazione e scolarizzazione, per entrambi, di mio fratello e mia, è stata nostra madre che ha continuato a lavorare per garantire i bisogni della famiglia. Era il pilastro della nostra famiglia. Una donna di una forza incredibile che sapeva come tenere tutto insieme. La resilienza è diventata una necessità: non aveva scelta, non ci siamo fatti domande, dovevamo andare avanti”, dice con ammirazione.

Lo sguardo degli altri, il sostegno dei propri cari e l’aiuto di Dio
Da adolescente Nikolas ha avuto la fortuna di far parte di una generazione che non aveva i social network così sviluppati come lo sono oggi. È stato così in grado di proteggersi dalle prese in giro online. “Avrei potuto prendermi una pausa dopo la scuola”, confida. A casa poteva contare anche sull’amore incondizionato della sua famiglia e dei suoi cugini, i suoi primi migliori amici. “Tutta la famiglia di mio padre è venuta a vivere in Francia. Li ricevevamo spesso a casa e passavamo le vacanze insieme”.

Egli trae la sua forza anche dalla fede, specialmente attraverso il catechismo. “Ero in un collegio cattolico privato e, in ogni tempo di festività pasquale, la cappellania organizzava un grande pellegrinaggio a Santiago di Campostela. Frequentavo anche corsi di catechismo presso il monastero ortodosso di Solan, dove ho potuto anche stringere legami. Tutte queste erano le mie oasi; non ero disperato. È importante avere intorno a sé luoghi cristiani dove ricaricare le batterie”, dice Nikolas, felice di essere riuscito a ben integrarsi, circondato da bambini ma anche da adulti. “Avevo intorno a me adulti e sacerdoti che mi hanno aiutato a crescere e a superare i momenti difficili. Mi aiutano ancora oggi”. Tuttavia, come lui stesso ammette: “tutto andava bene e male allo stesso tempo, il che non ha impedito a questo paradosso di coesistere”.

A scuola, a volte, ha sperimentato momenti di profonda solitudine durante la ricreazione.
Ha poi trovato consolazione nella lettura delle vite dei santi.
“Mi sono detto: questo martire viene divorato dai leoni, un altro viene legato e gli viene tagliata la testa, non è così grave… Mi ha aiutato molto.

Ho anche tenuto a mente ciò che dicevano i martiri: ‘Voi potete fare al mio corpo quello che volete, ma questo non scalfirà la mia anima perché appartiene a Dio’”. Nikolas, oggi, può finalmente dirlo lui stesso, anche se ammette che è stata una vera lotta arrivare a questa frase: “La mia sindrome non ha mai realmente raggiunto la mia anima”. “So che ancora oggi ho i postumi psicologici di quel periodo. È un bel processo di guarigione, devo permettere a Dio di partecipare a questa guarigione e questo avviene con il perdono”.

Oggi convive con lo sguardo degli altri e incoraggia a non farne un tabù. Sta studiando per diventare consulente scolastico senior (CPE). D’estate fa volontariato, da quasi dieci anni, come organizzatore e animatore presso campi estivi ortodossi in Francia e Svizzera.
Ci sono momenti in cui incontra per la prima volta i genitori e i loro figli. Gli adulti a volte sono sorpresi dal suo volto e non sanno cosa dire quando lo vedono. I bambini, invece, dicono spontaneamente le cose ad alta voce. “I genitori allora si imbarazzano e cercano di metterli a tacere, ma io dico loro: ‘Soprattutto, non zittiteli!’.
Se a un bambino viene detto di non parlarne perché può essere maleducato o imbarazzante, potrebbe spegnere il suo desiderio di creare un legame con l’adulto. Mettendoli a tacere, prima creiamo frustrazione nel bambino che non è stato in grado di vivere un mero dialogo autentico e, di conseguenza, lo ostacoliamo emotivamente nel suo comportamento in altri incontri”.

La bellezza di ogni esistenza anche segnata dalla sofferenza
Mentre la legge sul fine vita è stata deliberata dall’Assemblea Nazionale il 27 maggio 2025 e dovrebbe essere esaminata dal Senato in autunno, Nikolas si chiede se “abbiamo davvero fatto di tutto per esistere, per offrire la vita e per renderla bella e degna di essere vissuta da tutti?”. “Abbiamo fatto di tutto prima di arrivare a questa soluzione drastica? Questa domanda non dovrebbe essere posta proprio alla fine, quando abbiamo esaurito tutte le riflessioni e fornito tutte le soluzioni? Abbiamo fornito un valido sostegno a tutti, soprattutto ai giovani?”, si chiede.

Pur credendo che ogni vita è un dono, è anche convinto che se oggi è qui è perché delle persone hanno creduto in lui. “E non sto parlando solo dei miei genitori, ma anche delle figure spirituali che ho conosciuto, amici e persone care…
Anche quelle che avevano uno sguardo benevolo verso di me, ma che non hanno mai avuto il coraggio di venire a trovarmi quando ero solo.
So che spesso, soprattutto quando si è adolescenti o giovani, si pensa che avvicinandosi a chi è isolato possa comportare l’essere isolati a propria volta.
Non ho rancore nei confronti di queste persone, seguono un modello, un sistema, che esiste nella nostra società, loro malgrado”.
Questo è ciò che motiva Nikolas ad essere presente con i giovani attraverso varie azioni e attività con bambini e adolescenti nei campi estivi, nelle scuole medie e superiori attraverso i suoi studi, ma anche nella comunità attraverso il suo coinvolgimento nell’associazione giovanile ortodossa, Nepsis, di cui è vicepresidente. “Tutti questi spazi e ambienti diversi creano delle oasi dove i giovani possono gustare l’incontro autentico con se stessi, con il prossimo e con Cristo, per poter offrire gioia, fede e amicizia a chi li circonda”, spiega.

Cristo interviene nella nostra vita
Con la sua voce dolce e un discorso che invita alla pace, Nikolas dice di aver vissuto periodi di ribellione a Dio, accompagnati dalla stessa domanda: “Perché hai permesso questa malattia? Dio, mi ami davvero?”. “Ho visto la vita difficile dei miei genitori, gli sforzi e i sacrifici che hanno fatto. Inconsciamente, mi ero attribuito una forma di colpa. Ad un certo punto, inconsciamente, si è trasferito nella realtà il pensiero che Dio non mi amasse”, ricorda.
“Fa male vedere che fai soffrire il tuo prossimo, che sei un peso, ma penso che sia anche l’opportunità che Dio concede al prossimo di santificarsi in tutta umiltà. Accade in modo semplice e naturale. In questo modo, insieme, ci avviciniamo a Cristo che ci ama personalmente in modo unico”. Un giorno, quando era diventato insensibile a ciò che era male, ma anche a ciò che era buono nella sua vita, un monaco gli disse: “Tieni il tuo cuore aperto!”. All’epoca Nikolas aveva 21 anni e da allora quella frase gli si è impressa nella mente.

Più tardi, scopre anche la risposta alla sua sofferenza attraverso una frase che il Signore ci dice e che viene riportata dal teologo romeno del XX secolo, recentemente canonizzato in Romania, san Dumitru il Confessore (Staniloae): “Abbi il coraggio di comprendere che io ti amo”. “La sfida più grande che sto affrontando in questo momento è quella di accettare, finalmente, di essere amato da Dio e dal prossimo. La pace si conquista attraverso il combattimento, non è qualcosa che arriva per magia. Ancora oggi mi immergo in questo pensiero”, ammette; aggiungendo di aver visto che Dio gli offriva perdono, pace e amore.
E conclude umilmente: “Se oggi posso parlare di vita, di amore, di pace, è perché ho capito, o cerco di osare di capire, che Cristo ama anche me e che con la sua mano ci conduce in un cammino di libertà e di risurrezione, fino al cuore stesso delle nostre ferite con pace, amore e speranza”.

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Il Papa: il perdono non aspetta il pentimento, è dono gratuito che impedisce altro male

Posté par atempodiblog le 20 août 2025

Il Papa: il perdono non aspetta il pentimento, è dono gratuito che impedisce altro male
All’udienza generale, Leone XIV sviluppa la catechesi sul gesto di Gesù nei confronti di Giuda nell’ultima cena, sa che sta per essere tradito ma “porta avanti e a fondo il suo amore”, “lava i piedi, intinge il pane e lo porge”: la libertà dell’altro, anche quando si smarrisce nel male può ancora essere raggiunta dalla luce di un gesto mite

di Tiziana Campisi – Vatican News

Il Papa: il perdono non aspetta il pentimento, è dono gratuito che impedisce altro male dans Commenti al Vangelo Santo-Padre-Leone-XIV

Amare fino alla fine: ecco la chiave per comprendere il cuore di Cristo. Un amore che non si arresta davanti al rifiuto, alla delusione, neppure all’ingratitudine.

È questo amore che genera il perdono, Gesù ce lo mostra “durante l’ultima cena”, quando “porge il boccone” a Giuda “che sta per tradirlo”. Il suo “non è solo un gesto di condivisione”, è anche “l’ultimo tentativo dell’amore di non arrendersi”, spiega all’udienza generale, Leone XIV. Proprio al perdono il Pontefice, nell’Aula Paolo VI, dedica la sua terza catechesi su “La Pasqua di Gesù”, nell’ambito del ciclo giubilare “Gesù Cristo nostra speranza”. Ma lo ascoltano anche centinaia di fedeli e pellegrini radunati nel cortile del Petriano e nella basilica di San Pietro. Leone li saluta terminato il momento nell’Aula. “Grazie per la pazienza!”, dice, benedicendo i presenti, i loro cari, “i familiari, i bambini, i malati e i più anziani”. E anche a quanti sono riuniti nella basilica vaticana rivolge, poi, alcune parole in spagnolo, evidenziando che “il perdono è un grande segno di amore, di amore autentico, e soprattutto dell’amore di Dio per tutti noi”. Mentre in inglese esorta tutti ad imparare “a perdonare, perché perdonarci gli uni gli altri è costruire un ponte di pace” e sollecita: “Dobbiamo pregare per la pace che è così necessaria nel nostro mondo oggi, una pace che solo Gesù Cristo ci può donare”.

Il vero perdono non aspetta il pentimento
Nella meditazione proposta, il Papa torna più volte su quel gesto di Gesù verso l’Iscariota, che mostra quel modo di portare avanti “e a fondo il suo amore”, perché Lui “vede con chiarezza” e fa il primo passo.

Ha compreso che la libertà dell’altro, anche quando si smarrisce nel male, può ancora essere raggiunta dalla luce di un gesto mite. Perché sa che il vero perdono non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito, ancor prima di essere accolto.

Gesù non permette che il male abbia l’ultima parola
Quando arriva l’ora più difficile, Gesù “non la subisce: la sceglie”, chiarisce il Papa, in pratica “riconosce il momento in cui il suo amore” sarà ferito dal “tradimento” e, anziché “ritrarsi”, “accusare”, “difendersi”, “continua ad amare: lava i piedi, intinge il pane e lo porge”. L’evangelista Giovanni racconta di Giuda che “Satana entrò in lui” dopo aver ricevuto da Gesù il pane. Un “passaggio” che “colpisce”, riconosce il Papa, “come se il male, fino a quel momento nascosto, si manifestasse dopo che l’amore ha mostrato il suo volto più disarmato”. Ma il gesto di Cristo “ci dice che Dio fa di tutto – proprio tutto – per raggiungerci, anche nell’ora in cui noi lo respingiamo”, sottolinea ancora Leone, e ci fa comprendere che il perdono “non è dimenticanza” né “debolezza”, bensì “capacità di lasciare libero l’altro, pur amandolo fino alla fine”.

L’amore di Gesù non nega la verità del dolore, ma non permette che il male sia l’ultima parola. Questo è il mistero che Gesù compie per noi, al quale anche noi, a volte, siamo chiamati a partecipare.

Continuare ad amare sempre
Oggi accade che tante “relazioni si spezzano”, diverse “storie si complicano” e molte “parole non dette restano sospese”, ma gli evangelisti ci indicano una strada nuova da intraprendere

Il Vangelo ci mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare, anche quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso. Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro.

Un’altra via
E se Giuda porta a compimento il suo piano di tradimento, “Cristo rimane fedele fino alla fine, e così il suo amore è più forte dell’odio”.

Anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito. In quei momenti, la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste sempre un’altra via. Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore.

Il perdono libera chi lo dona
Da qui l’invito del Pontefice a chiedere “la grazia di saper perdonare, anche quando non ci sentiamo compresi, anche quando ci sentiamo abbandonati”.

Come ci insegna Gesù, amare significa lasciare l’altro libero — anche di tradire — senza mai smettere di credere che persino quella libertà, ferita e smarrita, possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene. Quando la luce del perdono riesce a filtrare tra le crepe più profonde del cuore, capiamo che non è mai inutile. Anche se l’altro non lo accoglie, anche se sembra vano, il perdono libera chi lo dona: scioglie il risentimento, restituisce pace, ci riconsegna a noi stessi.

Insomma, il perdono di Cristo e quel suo “gesto semplice del pane offerto, mostra che ogni tradimento può diventare occasione di salvezza”, se scelto come spazio per un amore più grande”, conclude il Papa. Gesù “vince” il male “con il bene” “impedendogli di spegnere ciò che in noi è più vero: la capacità di amare”.

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Miserabili. La forza di Valjean

Posté par atempodiblog le 11 août 2025

Miserabili. La forza di Valjean
Che cosa c’è di così potente nel capolavoro di Victor Hugo? Ecco un tentativo di risposta, che spazia dalle pagine di letteratura al musical, al cinema. Tra il rifiuto della dipendenza e la misericordia
di Paolo e Davide Prosperi – Tracce (luglio/agosto 2016)
Tratto da: Comunione e Liberazione

Miserabili. La forza di Valjean dans Davide Prosperi La-misericordia-del-Vescovo-Myriel

Chi è Jean Valjean? Quando lo incontriamo per la prima volta, lo vediamo impegnato a trascinare da solo l’enorme asta della bandiera di Francia, su ordine del carceriere Javert. I due si guardano: negli occhi di Javert indoviniamo un beffardo compiacimento. In quelli del carcerato, il fuoco dell’odio. Ecco dunque Jean Valjean: un galeotto dalla forza erculea. Da dove gli viene questa forza?

Valjean ha rubato, è vero, ma in realtà non si sente colpevole. Diciannove anni di carcere ha scontato per aver rubato un tozzo di pane – e neppure per se stesso. No, lui non si sente in debito. È la Francia, piuttosto, che è colpevole e debitrice verso di lui.
Non è, dunque, solo un dono di natura la spaventosa forza di Valjean: essa materializza l’impeto della sua collera, collera per quei diciannove anni rubati e che nessuno potrà mai restituirgli. E si tratta di una collera tanto ardente e potenzialmente devastante, quanto grande è la sua anima. Tutto, infatti, in Valjean è grande, anche se nessuno, tantomeno lui, ancora lo sa.
Questi pochi cenni già bastano a farci ampliare l’orizzonte. Valjean è se stesso e insieme più di se stesso: egli incarna lo spirito del suo tempo, nella sua forza arde la rabbia compressa di una generazione intera. Come i Marius, gli Enjoras, i Courfeyrac che incontreremo sulle barricate di Parigi, pronti a versare il loro sangue al grido di «Liberté, Égalité, Fraternité!», così anche Valjean è un uomo ferito dall’ingiustizia del mondo, dello Stato, della legge, della società.

L’incontro con il vescovo Myriel
Ma nella sua vita accade qualcosa che gli apre una strada diversa, e tuttavia una strada che lo porterà esattamente alla meta da questi bramata: «Innalziamo la bandiera della libertà, ogni uomo sarà un re!», cantano i giovani barricaderi il giorno prima della rivolta in cui quasi tutti perderanno la vita.
In realtà è in Valjean che si avvera il sogno. Lui è l’uomo davvero liberato, l’uomo che, da schiavo che era, diventa “re”.

La metamorfosi avviene grazie a un incontro. Uscito di prigione, Jean Valjean vaga come un reietto. Anche se ha pagato, il suo sbaglio è un marchio a fuoco, che non può essere cancellato. Delinquente è stato, delinquente rimane: il suo nome è 24601, il numero di matricola.
Nel suo vagare, incontra il vescovo Myriel che lo accoglie in casa. Valjean di notte ruba l’argenteria e fugge, ma viene catturato e riportato al cospetto del Vescovo.

Il mistero dell’evento che l’ha trasformato in un re
Qui accade l’inimmaginabile. Myriel non solo afferma di avergli donato l’argenteria, ma gli rimprovera di aver dimenticato i doni più preziosi: due candelabri d’argento, che rivedremo verso la fine della storia. Valjean, infatti, non se ne priverà più. Non lo farà perché in quei candelabri è custodito il mistero dell’evento che da miserabile l’ha trasformato in un re.

Per comprendere, bisogna notare la finezza della corrispondenza: c’è una somiglianza segreta tra la situazione di Valjean all’uscita dal carcere e quella del Vescovo dopo il furto. Entrambi sono stati “derubati”.

Il segno di un amore più potente di quella stessa colpa
Ma Myriel non si infuria. Compie invece un gesto che ha il potere di dare un nuovo significato all’accaduto, pur senza cancellarne l’ingiustizia: dona a Valjean quel che questi gli aveva portato via con l’inganno. Anzi, aggiunge dell’altro.
E così trasforma il segno della colpa di Valjean nel segno di un amore più potente di quella stessa colpa.

L’irruzione di Cristo nella vita di Jean Valjean e la conquista del suo cuore
Davvero qui è Cristo stesso che irrompe al vivo nell’esistenza dell’ex galeotto.
La stessa “alchimia” che Gesù ha compiuto col Suo sangue, Myriel la opera con la sua argenteria.

Poiché Gesù si è consegnato alla morte in perfetta libertà, quel sangue che il colpo di lancia fa sprizzare fuori dal Suo fianco squarciato (cfr. Gv 19,34) diviene al contempo dono, segno dell’inarrestabile potenza dell’Amore, che vince il peccato nel momento stesso in cui è commesso.
Lo stesso, in qualche modo, fa Myriel. Egli dà via per Valjean tutto l’argento che questi gli ha rubato.

E così conquista il suo cuore.

La forza della Misericordia
Ecco il mistero della Misericordia: il perdono di Cristo non è un bonario “chiudere un occhio”, ma forza dell’amore che libera l’uomo dal suo male pagandone il riscatto col proprio sangue.

Ma c’è di più. Myriel non si limita a trasformare l’argento rubato in dono. Aggiunge i candelabri, che da soli valgono di più di tutto quel che Valjean aveva preso.
Sembra un dettaglio, invece non lo è: Valjean non è semplicemente liberato dalla sua colpa.

Riconoscersi amati senza misura
Egli riceve in dono da Myriel la scoperta di una libertà ben più grande della semplice assoluzione, una libertà che davvero è senza limite. Si chiama gratuità.

In Myriel, Valjean incontra la vera libertà, una libertà a tal punto sovrana, da riuscire a trasformare l’ingiustizia subìta in uno strumento del proprio affermarsi. Le fonti del rancore che lo teneva schiavo sono, così, prosciugate. Valjean è libero, libero come colui che può donarsi senza misura, perché senza misura si riconosce amato.

Partecipare della gratuità stessa di Dio
Capiamo, allora, perché proprio i due candelabri diverranno per lui il bene più caro. Essi materializzano – per così dire – il di più che Valjean ha ricevuto da Myriel: il potere di redamare, per dirla coi medievali, cioè di rispondere all’amore ricevuto in gratitudine.

L’uomo redento non è semplicemente un uomo perdonato. Egli riceve in sovrappiù un potere che non aveva prima, che è il potere di partecipare della gratuità stessa di Dio.
«Laddove ha abbondato il peccato, la grazia ha sovrabbondato» (Rm 5,20): è il dono dello Spirito.

Così Myriel non si limita a perdonare Valjean. Gli affida un compito, una missione: «Ma ricordati, fratello mio, vedi in questo un progetto più grande: devi usare questo prezioso argento per diventare un uomo onesto. Dalla testimonianza dei martiri, dalla passione e dal sangue, Dio ti ha elevato dalle tenebre, ha salvato la tua anima».

Il vescovo Myriel richiama Cristo
Anche in questo Myriel richiama Cristo. Così, infatti, aveva fatto Gesù con Pietro: «Mi ami tu? Pasci le mie pecore».
Il Vescovo non commisera Valjean. Non lo accarezza come si fa con un cavallo azzoppato, di cui si ha pena.
No. Egli crede nel potere sovrano della grazia, che innalza il pezzente e lo rende re.

E perciò scommette su di lui. Punta tutto su di lui, come non fosse mai caduto. Come tutto iniziasse oggi, per la prima volta.
E, infatti, questo è la Misericordia: «Le cose vecchie sono passate. Ecco, ne sono nate di nuove…».

Il frutto del seme gettato dal Vescovo nel suo cuore
E Valjean risponderà. Tutto il resto del romanzo, come del film, mostra in un crescendo il frutto del seme gettato dal Vescovo nel suo cuore: una vita piena di gratuità – una gratuità che porta Valjean a muoversi secondo una logica diversa da quella del mondo che gli ruota attorno, e che, a conti fatti, commuove. Perché corrisponde alla vera misura per cui l’uomo è fatto.

Ciò non significa che il resto della vita di Valjean sia una strada diritta. Al contrario, la sua libertà è continuamente posta davanti a un bivio. Uno sconosciuto viene scambiato per lui e potrebbe essere condannato al suo posto. Per Valjean sarebbe la definitiva “liberazione” dallo spettro del carcere. Ma può egli tradire la sua nuova “libertà”? Dopo una notte di tormento, si presenta davanti ai giudici e riassume, questa volta liberamente, quel nome e quel numero, che all’inizio aveva rabbiosamente rigettato: «Io sono Jean Valjean. Io sono 24601!».
Quando viene a sapere che il giovane rivoluzionario Marius ama ricambiato la sua Cosette, potrebbe fuggire da Parigi, come aveva stabilito. Invece rischia la vita, per salvare la vita dell’uomo che potrebbe portargli via l’unico affetto rimastogli.

L’amore al Bene fino al sacrificio
Infine, quando Javert, suo aguzzino prima e implacabile persecutore poi, cade improvvisamente nelle sue mani, Valjean è per un’ultima volta posto di fronte all’alternativa tra due libertà: quella del mondo, che calcola, e quella della gratuità, dell’amore al Bene fino al sacrificio. E ancora una volta sceglie per la seconda.
Forse nessuna scena cattura meglio la trasformazione di Valjean del “salvataggio” del povero Fauchelavant, sepolto sotto un carro che lo sta stritolando. Esposto allo sguardo di Javert, Valjean sa che un suo intervento potrebbe alimentare il sospetto già balenato nella mente dell’ex aguzzino: pochi a parte lui avrebbero la forza di sollevare un simile peso… Ma Valjean non esita, non soppesa.

Nel film, la musica che accompagna la scena è, non a caso, la stessa che all’inizio faceva da sfondo all’erculea esibizione di forza di Valjean: la forza dell’ira di allora si è mutata nella forza ancora più grande dell’amore che si dà senza calcolo.

Per concludere, non si può non toccare un ultimo punto. Uno dei maggiori pregi del musical, insieme ad ovvi limiti rispetto al romanzo, è il fatto di riuscire a gettare, proprio attraverso la somiglianza delle melodie, ponti tra scene distanti, facendo percepire allo spettatore nessi altrimenti non immediati. Les Mis, come lo chiamano gli americani, è tutto un intreccio di questo tipo di rimandi. Così l’aria che esprime il tormento di Javert prima del suicidio è quasi identica all’assolo di Valjean, che, rimasto solo, lotta con se stesso prima di arrendersi all’amore ricevuto.

Accettare di dipendere dalla gratuità di un altro
In questo modo comprendiamo un altro, decisivo aspetto: l’impatto con la Misericordia non annulla il dramma della libertà davanti a Dio. Al contrario, lo fa esplodere in tutta la sua radicalità.
In fondo, è proprio davanti alla Misericordia che è messo fino in fondo a nudo il dramma dell’uomo: accettare di dipendere dalla gratuità di un altro è, infatti, meno facile di quel che sembra.

Il culmine dell’amare è accettare di essere perdonati
In L’attrattiva Gesù, don Giussani dice che, in un certo senso, il culmine dell’amare è accettare di essere perdonati. Perché? Perché è difficile. È difficile perché «picchia sul muso del nostro orgoglio, della nostra presunzione. Uno infatti vorrebbe essere amato perché vale», continua don Giussani: «Ma se tu vuoi essere amato perché vali, allora non ami l’altro. Ami te stesso».

Non è forse proprio questo, ridotto all’osso, il problema dell’uomo moderno? Il rifiuto della dipendenza.
La differenza tra Valjean e Javert, è in fondo tutta qui. Entrambi sono messi davanti alla stessa Gratuità. Ma uno vi si arrende, in umiltà. L’altro invece vi resiste, andando contro il proprio stesso cuore, che non può fare a meno di rendere omaggio alla giustizia “più grande” del nemico di sempre. Incontratolo di nuovo nella notte, mentre questi sta portando in salvo Marius, Javert sa bene cosa dovrebbe fare. Eppure, per la prima volta, il suo cuore esita: qualcosa, come una mano invisibile, lo blocca. Valjean si allontana con il ragazzo in spalla, e Javert lo lascia andare. Ma non riesce a perdonare se stesso di averlo fatto. Una breccia si è aperta in the heart of stone. E tuttavia Javert non riesce a sopportare il frantumarsi del suo “mondo”…

Il mio cuore è pietra eppure trema
Il mio mondo diventa un’ombra
Quest’uomo viene dal Paradiso
o dall’Inferno?
E lui lo sa che risparmiandomi
la vita quel giorno mi ha ucciso
ancora di più?
Io mi protendo, ma cado
E le stelle sono nere e fredde
Mentre guardo il vuoto
Di un mondo che finirà
Io fuggo via dal mondo
Dal mondo di Jean Valjean
.

Divisore dans San Francesco di Sales

Cosa vuol dire: ti perdono
da una lettera di J.R.R.Tolkien a C.S.Lewis dal quale si attendeva il perdono di un torto, da J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, Bompiani, Milano, 2001, lettera 113, pp. 146-147

Tratto da: Il Centro culturale Gli scritti

Dio ti benedica per la tua bontà. E [...] sii così generoso da regalarmi i dolori che ti ho causato, cosicché io possa condividere tutto ciò che di positivo ne verrà fuori. Non so se riesco a spiegarmi. Ma io credo che sia nel nostro potere, come cristiani, di fare effettivamente questi doni. L’esempio più semplice: se un uomo mi ha rubato qualcosa, io davanti a Dio affermo che gliel’ho regalato [...].

Sarebbe splendido, chiamati a giudizio, per rispondere a innumerevoli accuse di aver fatto del male al proprio fratello, scoprire inaspettatamente che molte male azioni non sono state compiute! E che invece si ha avuto una parte nel bene scaturito dal male. E non meno splendido sarebbe per chi ha dato. Un’eterna interazione di sollievo e gratitudine [...].

Che cosa accade quando il colpevole è genuinamente pentito, ma chi ha sofferto a causa sua è così profondamente risentito da non concedere il perdono? È un pensiero tanto terribile, da dissuadere chiunque dal correre il rischio di causare inutilmente il male.

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Nagasaki, la campana della Cattedrale distrutta dall’atomica tornerà a rintoccare: “Suonerà per invocare la pace”

Posté par atempodiblog le 2 août 2025

Nagasaki, la campana della Cattedrale distrutta dall’atomica tornerà a rintoccare: “Suonerà per invocare la pace”
di Fabio Beretta – Agenzia Fides

Nagasaki, la campana della Cattedrale distrutta dall'atomica tornerà a rintoccare: “Suonerà per invocare la pace” dans Articoli di Giornali e News Diocesi-di-Nagasaki

Palazzi rasi al suolo, esseri viventi disintegrati, persone uccise in pochi secondi da un’energia talmente devastante che oggi di loro restano le ombre sui muri o sull’asfalto. Nella orrenda scia di distruzione causata dallo sgancio della bomba atomica su Nagasaki, avvenuta esattamente 80 anni fa, a essere spazzata via fu anche una delle due campane che erano all’interno dell’antica Cattedrale di Urakami.

Quando la chiesa venne riedificata, quella cella rimase vuota. Fino ad oggi. Nei mesi scorsi, diversi cattolici statunitensi hanno raccolto fondi per ricostruire quella campana e l’hanno donata alla Cattedrale. A raccontarlo in un’intervista all’Agenzia Fides è Peter Michiaki Nakamura, Arcivescovo di Nagasaki:

“Questa nuova campana è stata installata in questi giorni nel campanile rimasto vuoto, e suonerà per la prima volta proprio nell’orario in cui, il 9 agosto 1945, la bomba atomica esplose nei cieli sopra Nagasaki”.

La nuova campana batterà i suoi primi rintocchi alle 11.04: per l’Arcivescovo, il suo suono costituirà “un richiamo alla memoria delle vittime e un’invocazione alla pace. Il fatto che la campana distrutta da una bomba atomica fabbricata e lanciata dagli Stati Uniti sia stata ricostruita e donata proprio da cittadini statunitensi, e accolta dalla chiesa di Urakami, rappresenta un segno concreto di perdono, riconciliazione e speranza”.

In altre parole, questo, per il pastore della comunità di Nagasaki, “testimonia la possibilità di camminare insieme verso la realizzazione della pace nel mondo”.

Un anno di speranza
“Mi auguro che, ogni volta che il suono di quella campana si diffonderà, le persone ricordino questi eventi e possano impegnarsi, con speranza, per costruire la pace”. Il 2025, infatti, per l’Arcivescovo Nakamura è “l’anno della ‘speranza’”.

E non solo per via del Giubileo: “Il 2025 segna l’80mo anniversario della fine della guerra e dell’attacco atomico, ed è un’occasione per riflettere ancora una volta sull’importanza di evitare che scoppi una guerra, di pregare per la fine dei conflitti attualmente in corso in tutto il pianeta e di promuovere non solo l’abolizione dell’uso delle armi nucleari ma anche la loro produzione e detenzione”.

“Molte persone pensano che la guerra sia sbagliata – ha aggiunto l’Arcivescovo –, ma al tempo stesso, se il Giappone venisse attaccato da una potenza straniera, molti riterrebbero inevitabile rispondere con la guerra. Per questo motivo è fondamentale iniziare fin da ora a costruire legami di cooperazione e comprensione reciproca, affinché la guerra non abbia nemmeno la possibilità di iniziare”.

In quest’ottica, la Diocesi di Nagasaki, insieme a quella di Hiroshima, ha avviato un percorso di partenariato con le Diocesi di Seattle e Santa Fe, negli Stati Uniti, con l’obiettivo comune di un mondo libero dal nucleare. “Credo sia molto importante promuovere questo tipo di relazioni e connessioni con gli altri”, il commento di Nakamura.

Diocesi-di-Nagasaki dans Fede, morale e teologia

Riarmi e paure
Di recente la Conferenza episcopale giapponese ha pubblicato un documento sulla pace per commemorare gli otto decenni dell’atomica. Nel testo è stata sollevata una domanda: “L’orrore e il male della guerra sono chiari a molti, ma dobbiamo imparare dall’esperienza di 80 anni fa e ricordare che idee e valori trasmessi nella vita quotidiana cambiarono l’opinione pubblica e portarono al conflitto. Il Giappone oggi è davvero sulla via della pace?”.

Per l’Arcivescovo di Nagasaki, “considerando l’espansione degli armamenti e l’attuale sistema educativo in Giappone, è difficile dire che il Paese stia davvero percorrendo la via della pace. Anche la società giapponese è fortemente competitiva, spesso dominata dalla ricerca del profitto e da un marcato materialismo. In una società di questo tipo, si rischia di sfociare in guerre basate sulla lotta e sulla conquista”.

La domanda che i Vescovi giapponesi avevano posto nel documento nasce dal fatto che negli ultimi tempi a Okinawa e nelle isole Nansei vengono installate unità missilistiche “a scopo difensivo”. “Anche nella regione del Kyushu, sono in corso rafforzamenti delle basi militari per scopi difensivi”, ha precisato l’Arcivescovo che, interpellato su come stanno reagendo i giovani a questo potenziamento militare, ha sottolineato:

“Credo che molti giovani, non solo cattolici, non abbiano una reale consapevolezza di quanto la guerra sia tragica e disumana. Anche se nelle scuole si fa educazione alla pace, si tratta principalmente di un’istruzione teorica o puramente nozionistica. Recentemente è emerso che il Ministero della Difesa ha inviato alle scuole opuscoli che spiegano in modo accessibile la ‘necessità e legittimità della difesa’”.

Per l’Arcivescovo, la Chiesa “deve vigliare affinché l’educazione scolastica non diventi, senza che ce ne rendiamo conto, unilaterale e orientata a preparare alla guerra, promuovendo l’idea fuorviante che la pace possa essere raggiunta con la forza militare”.

In questo contesto, ha rimarcato Nakamura, “la Chiesa ha il dovere di testimoniare l’amore, il perdono e il dono di sé agli altri, non solo a parole, ma attraverso uno stile di vita concreto”.

“Battersi” per la pace
Durante la Seconda Guerra Mondiale, ha ricordato l’Arcivescovo, “anche il Giappone ha commesso atti crudeli e spregevoli nei confronti di altri Paesi. All’epoca, però, davanti a quegli orrori, la Chiesa cattolica giapponese non fu in grado di esprimere una forte opposizione o protesta. Probabilmente una delle ragioni potrebbe essere il fatto che, durante la guerra, i cristiani venivano chiamati ‘yaso’ (termine dispregiativo per indicare i cristiani, ndr) e discriminati perché considerati dei ‘non patrioti’. Chiunque si opponeva al conflitto, anche i non cristiani, veniva etichettato così.

Nonostante ciò, penso che, anche a rischio di persecuzione, mancasse il coraggio o la forza per gridare a favore della pace”.

“Oggi, invece, la Conferenza episcopale può e deve diffondere messaggi di pace. E, ovviamente, pregare per la pace. Dopo la visita in Giappone di due Papi, il popolo giapponese ha percepito più profondamente il ruolo importante della Chiesa nella promozione della pace. Sostenuta dal messaggio e dall’impegno del Successore di Pietro, la Chiesa in Giappone, come nazione colpita dalle bombe atomiche, ritiene di poter svolgere sempre più il proprio dovere come messaggera di pace”.

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Il Papa: l’unità nelle Chiese si crea con la fiducia e il perdono

Posté par atempodiblog le 30 juin 2025

Il Papa: l’unità nelle Chiese si crea con la fiducia e il perdono
All’Angelus in Piazza San Pietro, Leone XIV ricorda “la grande festa della Chiesa di Roma” nella solennità dei santi Pietro e Paolo, sottolineando che anche in questo tempo ci sono cristiani che muoiono per i valori del Vangelo. Spesso nel diffonderli – afferma – si trova opposizione e persecuzione ma la gloria di Dio brilla “di conversione in conversione”
di Benedetta Capelli – Vatican News

Il Papa: l'unità nelle Chiese si crea con la fiducia e il perdono dans Fede, morale e teologia San-Pietro-e-San-Paolo

Vivere “di conversione in conversione”. Leone XIV all’Angelus nella solennità di Pietro e Paolo, patroni di Roma, ricorda che nel pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli si scopre che si può vivere come loro, nella chiamata di Gesù che avviene più volte, non una sola, e in cui tutti, soprattutto nel Giubileo, possiamo sperare. Il Papa ricorda che nel Nuovo Testamento non sono stati nascosti “gli errori le contraddizioni, i peccati di quelli che veneriamo come i più grandi Apostoli” ma “la loro grandezza è stata modellata dal perdono”.

L’unità nella Chiesa e fra le Chiese, sorelle e fratelli, si nutre di perdono e di reciproca fiducia. A cominciare dalle nostre famiglie e dalle nostre comunità. Se infatti Gesù si fida di noi, anche noi possiamo fidarci gli uni degli altri, nel suo Nome.

A servizio dell’unità e della comunione
C’è anche un altro elemento che Papa Leone sottolinea e che riguarda i “cristiani che il Vangelo rende generosi e audaci persino a prezzo della vita”.

Esiste così un ecumenismo del sangue, una invisibile e profonda unità fra le Chiese cristiane, che pure non vivono ancora tra loro la comunione piena e visibile. Voglio pertanto confermare in questa festa solenne che il mio servizio episcopale è servizio all’unità e che la Chiesa di Roma è impegnata dal sangue dei Santi Pietro e Paolo a promuovere la comunione tra tutte le Chiese.

In contrasto con la mentalità mondana
Un servizio all’unità che nasce dalle pietre scartate, un rovesciamento che si realizza in Cristo, “la pietra, da cui Pietro riceve anche il proprio nome”. “Una pietra scartata dagli uomini e che Dio ha reso pietra angolare”; pietre che sono ai margini, “fuori le mura”, come quelle che edificano Piazza San Pietro e le Basiliche Papali di San Pietro e di San Paolo.

Ciò che a noi appare grande e glorioso è stato prima scartato ed espulso, perché in contrasto con la mentalità mondana. Chi segue Gesù si trova a camminare sulla via delle Beatitudini, dove la povertà di spirito, la mitezza, la misericordia, la fame e la sete di giustizia, l’operare per la pace trovano opposizione e anche persecuzione. Eppure, la gloria di Dio brilla nei suoi amici e lungo il cammino li plasma, di conversione in conversione.

Chiesa, casa e scuola di comunione
“Gli Apostoli Pietro e Paolo, insieme con la Vergine Maria,  conclude il Papa – intercedano per noi, affinché in questo mondo lacerato la Chiesa sia casa e scuola di comunione”.

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Il Cardinale della Speranza: Papa Leone XIV ricorda il Beato Iuliu Hossu nella Cappella Sistina

Posté par atempodiblog le 3 juin 2025

Il Cardinale della Speranza: Papa Leone XIV ricorda il Beato Iuliu Hossu nella Cappella Sistina
di s.E.S. –  Silere non possum

Il Cardinale della Speranza: Papa Leone XIV ricorda il Beato Iuliu Hossu nella Cappella Sistina dans Fede, morale e teologia Papa-Leone-XIV

In una Cappella Sistina immersa in raccoglimento e memoria, Papa Leone XIV [...] ha preso parte all’Atto Commemorativo dedicato al Beato Cardinale Iuliu Hossu, figura eroica della Chiesa Greco-Cattolica di Romania, martire della fede sotto il regime comunista e oggi esempio universale di dialogo, coraggio e speranza.

All’evento, che si inserisce nell’Anno Giubilare dedicato alla speranza, hanno preso parte rappresentanti di rilievo della società e del mondo religioso romeno, tra cui il presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche in Romania, Silviu Vexler, e il vescovo Cristian Crișan, in rappresentanza dell’Arcivescovo Maggiore Lucian Mureșan.

Il ricordo del Pontefice: “Un apostolo della speranza”
Nel suo discorso, Papa Leone XIV ha voluto onorare la figura del Cardinale Hossu come “apostolo della speranza”, sottolineando come la sua fedeltà incrollabile alla Chiesa di Roma e il suo amore per il prossimo ne facciano oggi un simbolo luminoso di fede vissuta nel buio della persecuzione.

«La sua vita è stata una testimonianza di fede vissuta fino in fondo», ha dichiarato il Santo Padre, «un uomo di dialogo e un profeta di speranza, beatificato da Papa Francesco il 2 giugno 2019 a Blaj». Un passaggio toccante è stato dedicato al motto del Beato Hossu – “La nostra fede è la nostra vita” – che il Papa ha indicato come ispirazione per ogni cristiano contemporaneo.

Un giusto tra le nazioni
Particolarmente significativo è stato il riferimento all’impegno di Iuliu Hossu in favore degli ebrei durante l’occupazione nazista della Transilvania settentrionale, tra il 1940 e il 1944. A rischio della propria vita e di quella della sua Chiesa, egli si oppose con forza alle deportazioni, mobilitando il clero e i fedeli. Memorabile la Lettera pastorale del 2 aprile 1944, citata dal Papa, in cui il Vescovo esortava ad aiutare gli ebrei “non solo con i pensieri, ma anche con il sacrificio”.

Il processo per il riconoscimento di Hossu quale “Giusto tra le Nazioni” è stato avviato nel 2022 e oggi, ha affermato Leone XIV, “ci troviamo davanti a un modello di fratellanza al di là di ogni confine etnico o religioso”.

Una vita tra persecuzioni e fedeltà
Nato a Milas nel 1885 da una famiglia sacerdotale, Iuliu Hossu si formò a Roma, dove ottenne i dottorati in filosofia e teologia. Ordinato sacerdote nel 1910, divenne vescovo di Gerla nel 1917. Il 1° dicembre 1918, fu lui a leggere la Dichiarazione di Unità della Romania nella pianura di Blaj, un evento fondativo del moderno Stato romeno. Durante il regime comunista, la sua fedeltà alla Chiesa di Roma gli costò l’arresto, la detenzione e l’isolamento per oltre vent’anni. Fu recluso in diversi luoghi, tra cui il famigerato penitenziario di Sighet. Nonostante le dure condizioni, mantenne intatta la sua fede.

Le sue memorie, La nostra fede è la nostra vita, testimoniano un’anima profondamente radicata nella preghiera e nel perdono: “Il tuo amore, Signore, non sono riusciti a togliermelo via”, scriveva nel 1961. Morì il 28 maggio 1970 a Bucarest, pronunciando le parole: «La mia battaglia è finita, la vostra continua». San Paolo VI lo creò Cardinale “in pectore” nel 1969, primo romeno nella storia, rendendo pubblica la nomina solo nel 1973, dopo la sua morte.

Martire riconosciuto dalla Chiesa
Nel 2019, Papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio insieme ad altri sei vescovi greco-cattolici perseguitati dal regime comunista, celebrandone la beatificazione durante il suo viaggio apostolico in Romania, a Blaj. La memoria liturgica comune è stata fissata al 2 giugno.

Un messaggio attuale
Nel concludere l’omelia, Papa Leone XIV ha lanciato un appello accorato a tutta la Chiesa e al mondo: “Diciamo ‘no’ alla violenza, ad ogni violenza, ancor più se perpetrata contro persone inermi e indifese, come bambini e famiglie. Che l’esempio del Cardinale Hossu sia una luce per il nostro tempo”.

La commemorazione nella Cappella Sistina non è stata solo un momento di memoria, ma anche un atto di impegno per il futuro. La figura del Beato Iuliu Hossu, pastore e martire, è oggi più che mai un ponte tra le fedi, un faro di libertà spirituale e una voce profetica in un’epoca che cerca pace e verità.

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Il Papa della misericordia

Posté par atempodiblog le 21 avril 2025

Il Papa della misericordia
di Andrea Tornielli – Vatican News

Il nostro Santo Padre Francesco è nato in Cielo dans Papa Francesco I Papa-Francesco

«La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare. Siamo troppo poveri per porre le condizioni, abbiamo bisogno di perdonare, perché abbiamo bisogno di essere perdonati». Se c’è un messaggio che più di ogni altro ha caratterizzato il pontificato Francesco e che è destinato a rimanere, è quello della misericordia.

Il Papa ci ha lasciato improvvisamente questa mattina, dopo aver dato l’ultima benedizione Urbi et Obi nel giorno di Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, dopo aver fatto l’ultimo giro tra la folla, per benedire e salutare.

Tanti sono stati i temi affrontati dal primo Pontefice argentino nella storia della Chiesa, in particolare l’attenzione verso i poveri, la fratellanza, la cura della Casa comune, il no deciso e incondizionato alla guerra. Ma il cuore del suo messaggio, quello che certamente ha fatto più breccia, è il richiamo evangelico alla misericordia. A quella vicinanza e tenerezza di Dio verso chi si riconosce bisognoso del suo aiuto. La misericordia come «l’aria da respirare», cioè ciò di cui abbiamo più necessità, senza la quale sarebbe impossibile vivere.

Tutto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio è stato vissuto all’insegna di questo messaggio, che è il cuore del cristianesimo. Fin dal primo Angelus recitato il 17 marzo 2013 dalla finestra di quell’appartamento papale che non avrebbe mai abitato, Francesco ha parlato della centralità della misericordia, ricordando le parole dettegli da un’anziana signora venuta a confessarsi quando lui era da poco vescovo ausiliare di Buenos Aires: «Il Signore perdona tutto… Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe».

Il Papa venuto «dalla fine del mondo» non ha apportato cambiamenti agli insegnamenti della bimillenaria tradizione cristiana, ma riportando in modo nuovo la misericordia al centro del suo magistero, ha cambiato la percezione che tanti avevano della Chiesa. Ha testimoniato il volto materno di una Chiesa che si china su chi è ferito e in particolare su chi è ferito dal peccato. Una Chiesa che fa il primo passo verso il peccatore, proprio come Gesù fece a Gerico, invitandosi a casa dell’impresentabile e odiato Zaccheo, senza chiedergli nulla, senza precondizioni. Ed è perché si è sentito per la prima volta guardato e amato così, che Zaccheo si è riconosciuto peccatore trovando in quello sguardo del Nazareno la spinta per convertirsi.

Tanta gente, duemila anni fa, si è scandalizzata vedendo il Maestro entrare proprio nella casa del pubblicano di Gerico. Tanta gente si è scandalizzata in questi anni per i gesti di accoglienza e di vicinanza del Pontefice argentino verso ogni categoria di persone, in special modo per “impresentabili” e peccatori. Nella sua prima omelia a una messa con il popolo, nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, Francesco disse: «Quanti di noi forse meriterebbero una condanna! E sarebbe anche giusta. Ma Lui perdona! Come? Con la misericordia che non cancella il peccato: è solo il perdono di Dio che lo cancella, mentre la misericordia va oltre. È come il cielo: noi guardiamo il cielo, tante stelle, ma quando viene il sole al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono. Così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza, perché Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza».

Durante tutti gli anni del suo pontificato, il 266° successore di Pietro ha mostrato il volto di una Chiesa vicina, capace di testimoniare tenerezza e compassione, accogliendo e abbracciando tutti, anche a costo di correre dei rischi e senza preoccuparsi delle reazioni dei benpensanti. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade – aveva scritto Francesco in “Evangelii gaudium”, la road map del suo pontificato – piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Una Chiesa che non confida nelle capacità umane, nel protagonismo degli influencer che rimandano solo a sé stessi e nelle strategie del marketing religioso, ma si fa trasparente per far conoscere il volto misericordioso di Colui che l’ha fondata e la fa vivere, nonostante tutto, da duemila anni.

È quel volto e quell’abbraccio che tanti hanno riconosciuto nel vecchio Vescovo di Roma venuto dall’Argentina, che aveva iniziato il suo pontificato andando a pregare per i migranti morti in mare a Lampedusa, e l’ha concluso immobilizzato in sedia a rotelle, spendendosi fino all’ultimo istante per testimoniare al mondo l’abbraccio misericordioso di un Dio vicino e fedele nell’amore verso tutte le sue creature.

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La Madonna ci invita a lavorare per la nostra conversione

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2020

Messaggio della Regina della Pace alla veggente Marija (25 novembre 2020)

“Cari figli,
questo è il tempo dell’amore, del calore, della preghiera e della gioia.
Pregate, figlioli, affinché Gesù Bambino nasca nei vostri cuori.
Aprite i vostri cuori a Gesù che si dona a ciascuno di voi.
Dio mi ha inviato per essere gioia e speranza in questo tempo ed io vi dico: senza Gesù Bambino non avete né la tenerezza né il sentimento del Cielo, nascosti nel Neonato.
Perciò, figlioli, lavorate su voi stessi.
Leggendo la Sacra Scrittura, scoprirete la nascita di Gesù e la gioia dei primi giorni che Medjugorje ha donato all’umanità.
La storia sarà vera, ciò che anche oggi si ripete in voi ed attorno a voi.
Lavorate e costruite la pace attraverso il Sacramento della Confessione.
Riconciliatevi con Dio, figlioli, e vedrete i miracoli attorno a voi.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

 La Madonna ci invita a lavorare per la nostra conversione dans Apparizioni mariane e santuari Messa-di-Natale

Commento di padre Livio di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 novembre 2020

Questo è un messaggio tipicamente natalizio.
Il Cuore della Madonna è come se fosse ancora ripieno di quell’emozione, di quei sentimenti di grazia, di gioia, di luce, di amore che aveva quando ha partorito Gesù e quando Lo ha stretto al suo Cuore.
Tutte le mamme provano questi sentimenti, ma pensate alla Madonna che era con quel Bambino concepito per opera dello Spirito Santo, il Figlio di Dio e certamente di una bellezza divina!
La Madonna ci vuole trasmettere i suoi sentimenti, usa parole incredibili e ha concentrato in questo messaggio le parole più belle per rallegrare il nostro cuore: “amorecaloregioiapreghiera, speranzatenerezzasentimento pace”.
È una cosa unica nei suoi messaggi in quarant’anni. Queste parole devono essere come le stelle che guidano il nostro cammino interiore fino a Betlemme.
Mettiamo adesso in evidenza i passaggi fondamentali del messaggio.
Cari figli, questo è il tempo dell’amore, del calore, della preghiera e della gioia.
Pregate, figlioli, affinché Gesù Bambino nasca nei vostri cuori”.
Alla Madonna sta a cuore che quell’evento, quel Natale che ha vissuto, che ha vissuto Giuseppe, che hanno vissuto i pastori, che hanno vissuto i Magi, anche noi lo riviviamo in questo Natale.
Che riviviamo i medesimi sentimenti che quel Bambino dona, sentimenti di profumo di cielo, di tenerezza, che sono nascosti nel neonato.
Lei vuole che in questo Natale quel Bambino sia così vivo che noi possiamo accogliere la sua irradiazione di amore, di gioia, di pace, perché attraverso la divinità, umile e piccola di un neonato, si manifesti l’amore di Dio per noi.
Allora sarà un vero Natale, un Natale indimenticabile.
Ma come è possibile rivivere quel Natale, quando in cielo c’erano gli angeli che annunciavano l’evento atteso da sempre, cantando: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, perché in quel Bambino si manifesta la gloria di Dio, “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”?
Cosa bisogna fare?
Allora prima di tutto la Madonna dice: “aprite i vostri cuori a Gesù che si dona a ciascuno di voi”.
Questa frase “aprire i cuori” è centrale nei messaggi di Medjugorje, la Madonna l’ha ripetuta infinite volte. Il contrario sono i cuori chiusi, induriti nel male del peccato, che erigono come un muro a Dio, un rifiuto a Dio.
Gran parte dell’umanità, proprio di chi era cristiano, ha il cuore così, chiuso, infatti la Madonna ha detto “avete rifiutato la fede e l’amore”, il cuore murato, proprio come un muro infrangibile; c’è proprio un rifiuto che è misto al disprezzo, come se fossero tutte superstizioni, cose da vecchietti, il Cristianesimo sarebbe una sotto-cultura.
E la Madonna ci chiede di fare lo sforzo più grande che si possa fare: la conversione, che è una grande grazia, ma richiede uno sforzo che pochi si sentono di fare e cioè la rinuncia al peccato, la rinuncia al male, al proprio egoismo, alla propria superbia, alla propria avidità, cattiveria, prepotenza, alla voglia di emergere, la rinuncia a tutte le invidie, le cattiverie, le gelosie, gli inganni, i tranelli, le falsità.
C’è tutto un mondo diabolico che ha inquinato i cuori, che li porta a chiudersi come delle ostriche talmente chiuse che non si riesce ad aprire.
E la Madonna dice: “Dio vi dà la grazia, Dio vi chiama, Dio vi aiuta, ma voi fate lo sforzo di aprire il cuore!” Senza questo sforzo uno si perde!
Ritorniamo alla fede, ritorniamo all’umiltà dei bambini, come dei neonati  in ginocchio davanti al Bambino Gesù!
Lasciamoci compenetrare dalla Sua bellezza dalla Sua umiltà, dal Suo sorriso, apriamo i cuori a Gesù.
E poi la Madonna ci ha detto per due volte: “lavorate”.
Perciò figlioli lavorate su voi stessi”. Lavorare con martello e scalpello per spezzare le catene del male che ci legano, con cui satana ci tiene al guinzaglio!
E ha detto anche una frase molto interessante: “Leggendo la Sacra Scrittura, scoprirete la nascita di Gesù”. Leggendo il Vangelo del Natale noi scopriamo il meraviglioso mistero che la Madonna e Giuseppe hanno vissuto, “e la gioia dei primi giorni che Medjugorje ha donato all’umanità”.
La Madonna ha ricordato i primi giorni di Medjugorje, e il primo giorno in cui è apparsa, il 24 Giugno 1981, aveva il Bambino Gesù in braccio.
La Madonna ci dona la gioia portandoci Gesù Bambino.
Ogni Natale è venuta con Gesù Bambino e nel Natale del 2012 il Bambino Gesù neonato si è alzato e con voce solenne ha detto: “io sono la vostra pace, vivete i miei comandamenti”.
Poi più avanti ripete queste parole importanti: ”lavorate e costruite la pace attraverso il Sacramento della Confessione”.
Bisogna rompere il nostro cuore di pietra, far sì che ci sia un cuore dove entra la tenerezza e il profumo di cielo del neonato.
Non è la prima volta che la Madonna crea il legame fra la Confessione e la conversione. Il processo di conversione è lungo e l’apertura del cuore richiede anche tempo, però non rimandatela, perché il diavolo vi dice “domani, dopodomani” e poi non vi convertite più.
È adesso che dovete decidere di aprire il cuore, è adesso che dovete decidere la conversione, non domani! Il processo di conversione deve arrivare al momento in cui, il Bambino Gesù nasce nei nostri cuori!
La conversione inizia con la revisione della propria vita, decidere cosa bisogna tagliare, perché la parola decisione deriva dalla parola latina “tagliare”.
La decisione è un taglio, si tagliano i legami che ci tengono legati al mondo e al demonio, disboscando il bosco ceduo che sono i vizi capitali che proliferano e poi costruiamo il mondo della pace, cioè una vita virtuosa, l’immagine di Dio in noi stessi, questo è il processo.
Il momento in cui il Bambino Gesù nasce nei nostri cuori è il momento in cui andiamo al Sacramento della Confessione.
Negli ultimi anni la Confessione è entrata in crisi e adesso col lockdown e il distanziamento la Confessione rischia di sparire, e questo è una cosa molto seria.
La Chiesa esorti i sacerdoti, in sicurezza, a rendersi disponibili per la Confessione, dando degli orari. La gente deve sapere quando ci si può confessare, facendo anche una preparazione generale di 10, 15 minuti, per il pentimento e la vita nuova.
In un messaggio la Madonna ha detto: “Bisogna esortare la gente a confessarsi ogni mese, soprattutto il primo venerdì o il primo sabato del mese. Fate ciò che vi dico! La Confessione mensile sarà una medicina per la Chiesa d’Occidente. Se i fedeli si confessassero una volta al mese, presto intere regioni potrebbero essere guarite”. (Messaggio del 6 agosto 1982)
La Madonna ci ha descritto il cammino, ci ha detto come va vissuto il Natale, con amore, calore, gioia, sentimento, pace..
Voglio metter in evidenza 2 passaggi di grande speranza in questi tempi in cui l’umanità è allo sbando, con crisi esistenziali che solo Dio sa:
Dio mi ha inviato per essere gioia e speranza in questo tempo”.
Noi non siamo disperati, non siamo angosciati, noi vinciamo la paura, noi abbiamo fiducia, perché siamo di Dio che ha mandato la Madonna che è gioia e speranza. Gioia, perché viene col suo sorriso e le sue parole e speranza, perché sappiamo che Lei sarà la vincitrice, Lei vincerà la potenza del male che sta travolgendo e mettendo in pericolo il mondo e l’opera della creazione.
E per confermare questa prospettiva di speranza e di gioia dice: “Riconciliatevi con Dio, figlioli, e vedrete i miracoli attorno a voi”.
Anche nel messaggio del 25 settembre 2020 la Madonna parla di miracoli che vengono compiuti dal nostro ritorno a Dio, dalla nostra conversione:
la preghiera e il digiuno operano miracoli in voi e attorno a voi”.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata« .
È un messaggio meraviglioso.
Chiediamo la grazia alla Madonna della conversione, della Confessione, del ritorno a Dio che vuol dire aprire il cuore a Gesù Bambino, poi Lui nascerà nel nostro cuore e con Gesù nel cuore abbiamo tutto.
Come è misericordioso Dio che ci manda sua Madre in questo tempo!
La Madonna dice due volte: “lavorate”.
Lavoriamo per la nostra conversione, questa è la cosa più importante, i risultati saranno straordinari, vedremo miracoli.

N.B. Il testo di cui sopra  può essere divulgato a condizione che si citi (con link, nel caso di diffusione via internet) il sito www.medjugorjeliguria.it indicando:  “ Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati

Posté par atempodiblog le 9 avril 2020

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati
Nell’Ultima cena Gesù istituisce l’Eucaristia e fonda il sacerdozio. E Papa Francesco nella Messa in Coena Domini ricorda la santità di tanti parroci anonimi e coloro che si sono sacrificati soprattutto in questo periodo di pandemia. A tutti raccomanda: sperimentate il perdono di Dio e perdonate con generosità
di Adriana Masotti – Vatican News

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati dans Commenti al Vangelo Santo-Padre

Un Giovedì Santo davvero particolare quello di quest’anno a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia che ha stravolto in poco tempo la vita di tutti. Anche i giorni del Triduo Pasquale, al centro della calendario liturgico, i più importanti per i cristiani, vedranno le chiese aperte ma le celebrazioni senza la presenza dei fedeli. Sarà così anche per le celebrazioni liturgiche di Papa Francesco. Il Papa non ha presieduto stamattina la Messa del Crisma con i sacerdoti di Roma, ma alle 18, all’altare della Cattedra in San Pietro, celebra la Messa in Coena Domini, che fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia.

La Basilica solo in apparenza vuota
La Basilica vaticana è vuota, con il Papa che indossa i paramenti di colore bianco, solo poche persone: i lettori, i cantori, alcuni sacerdoti e alcune religiose, un vescovo e il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica, tutti a distanza di sicurezza. Omesso il tradizionale rito della lavanda dei piedi che gli anni scorsi vedevano Francesco ripetere il gesto di Gesù a carcerati, poveri e rifugiati. L’ultima volta lo aveva fatto nella Casa Circondariale di Velletri o, nel 2018, in quella romana di Regina Coeli. Eppure, tramite i media sono probabilmente molto più numerosi del solito coloro che oggi partecipano alla Messa.

Gesù amò i suoi fino alla fine
Ad aprire la celebrazione è il canto del Gloria. La prima Lettura è tratta dal Libro dell’Esodo e riferisce le prescrizioni date dal Signore al suo popolo, per mezzo di Mosè e Aronne, per la cena pasquale. La seconda è un brano della seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi che ai fedeli ricorda: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga”. La pagina del Vangelo secondo Giovanni è la descrizione dell’Ultima cena di Gesù con i suoi che, scrive, “amò fino alla fine”.

Eucaristia, servizio, unzione
Il Papa tiene l’omelia a braccio. Sottolinea tre parole che sono tre realtà al centro del Giovedì Santo: l’Eucaristia, il servizio, l’unzione. Il Signore vuole rimanere con noi, nell’Eucaristia, afferma Francesco, e noi diventiamo il suo tabernacolo. Gesù, continua, arriva a dire che “se non mangiamo il suo corpo e non beviamo il suo sangue, non entreremo nel Regno dei Cieli”. Ma per entrare nel Regno dei Cieli è necessaria anche la dimensione del servizio e Francesco prosegue:

Servire, sì, tutti. Ma il Signore, in quello scambio di parole che ha avuto con Pietro, gli fa capire che per entrare nel Regno dei Cieli dobbiamo lasciare che il Signore ci serva, che sia il Servo di Dio servo di noi. E questo è difficile da capire.

La grazia del sacerdozio
E poi il sacerdozio: il Papa dice che oggi desidera essere vicino a tutti i sacerdoti. Tutti dal primo all’ultimo, dice, siamo unti dal Signore, unti per celebrare l’Eucaristia e per servire. E se non è stato possibile oggi celebrare la Messa crismale con i sacerdoti, in questa di stasera il Papa vuole ricordare i sacerdoti, specie quelli che offrono la vita per il Signore, e che si fanno servitori degli altri. Ricorda le molte decine di sacerdoti che sono morti in Italia a causa del Covid-19, prestando servizio agli ammalati, assieme ai medici e al personale sanitario. “sono i Santi della porta accanto”, capaci di dare la vita. E poi ci sono i sacerdoti che prestano servizio nelle carceri o quelli che vanno lontano per portare il Vangelo e muoiono lì, quindi e prosegue:

Diceva un vescovo che la prima cosa che lui faceva, quando arrivava in questi posti di missione, era andare al cimitero e mettere sulla tomba dei sacerdoti che hanno lasciato la vita lì, giovani, per la peste del posto: non erano preparati, non avevano gli anticorpi, loro; nessuno ne conosce il nome.

Porto all’altare con me tutti i sacerdoti
Tanti i sacerdoti anonimi, i parroci di campagna o nei paesini di montagna, sacerdoti che conoscono la gente. “Oggi vi porto nel mio cuore e vi porto all’altare”, afferma Papa Francesco. E poi ci sono i sacerdoti calunniati che per strada vengono insultati:

Tante volte succede oggi, non possono andare in strada perché dicono loro cose brutte in riferimento al dramma che abbiamo vissuto con la scoperta dei sacerdoti che hanno fatto cose brutte.

Chiedere perdono e perdonare
Cita poi i sacerdoti, i vescovi e lui stesso “che non si dimenticano di chiedere perdono” perché “tutti siamo peccatori”.  E poi i sacerdoti in crisi, nell’oscurità. A tutti raccomanda solo una cosa: “non siate testardi come Pietro. Lasciatevi lavare i piedi. Il Signore è il vostro servo, Lui è vicino a voi per darvi la forza, per lavarvi i piedi”. Dall’essere perdonati a perdonare il peccato degli altri. Papa Francesco raccomanda un “cuore grande di generosità nel perdono” sull’esempio di Cristo.

Lì c’è il perdono di tutti. Siate coraggiosi. Anche nel rischiare nel perdonare, per consolare. E se non potete dare un perdono sacramentale in quel momento, almeno date la consolazione di un fratello che accompagna e lascia la porta aperta perché torni.

Il Papa conclude ringraziando il Signore per il sacerdozio e per i sacerdoti e dice infine: “Gesù vi vuole bene. Soltanto chiede che voi vi lasciate lavare i piedi”.

La preghiera al Signore perché vinca il male
Al momento della preghiera dei fedeli un diacono presenta cinque intenzioni. Si prega per la Chiesa perché “annunci a ogni uomo che solo in te c’è salvezza”; la seconda supplica il Signore di sostenere “le sofferenze dei popoli” e perché “i governanti cerchino il vero bene e le persone ritrovino speranza e pace ». La terza è per i sacerdoti perché siano “un riflesso vivo del sacrificio che celebrano e servano i fratelli con generosa dedizione”. Nella quarta si prega per i giovani, perché il Signore tocchi il loro cuore e loro lo seguano “sulla via della croce”, scoprendo “che solo in te c’è libertà, gioia e vita piena”. Infine si chiede a Dio di consolare l’umanità afflitta “con la certezza della tua vittoria sul male: guarisci i malati, consola i poveri e tutti libera da epidemie, violenze ed egoismi”. Una preghiera quanto mai attuale in mezzo alla ‘tempesta’ in cui stiamo vivendo.

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La santità del perdono

Posté par atempodiblog le 6 février 2020

La santità del perdono
di padre Livio Fanzaga – Radio Maria

Messaggio del 25 gennaio 2020 rivolto alla Parrocchia attraverso la veggente Marija di Medjugorje

“Cari figli!
Oggi vi invito a pregare ancora di più finché nel vostro cuore sentiate la santità del perdono. Nelle famiglie ci deve essere la santità perché figlioli, non c’è futuro per il mondo senza amore e santità, perché nella santità e nella gioia voi vi donate a Dio Creatore il quale vi ama con amore immenso. Per questo mi manda a voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

La santità del perdono dans Apparizioni mariane e santuari Gospa-Medjugorje

Trascrizione del commento di padre Livio Fanzaga al messaggio della Regina della Pace dato a Marija il 25 gennaio 2020

Questo messaggio della Regina della Pace è molto breve, però contiene  concetti fondamentali e va interpretato guardando alle parole che vengono usate.
La Madonna dice la parola “santità” per ben quattro volte, quindi certamente questo è il concetto che Le sta più a cuore.
Tuttavia il messaggio inizia con l’invito a pregare di più e la Madonna rinnova questo invito quasi in ogni messaggio e il 25 luglio 2019 ha detto: “la preghiera diventi vita per voi, di giorno e di notte”.
Pregare è fondamentale perché nella preghiera incontriamo Dio e facciamo l’esperienza del Suo amore, nella preghiera vediamo noi stessi nella Luce di Dio e prendiamo anche le decisioni fondamentali della nostra vita.
La Madonna sa che, se invita alla santità, rischia di trovare in noi un certo scetticismo, perché pensiamo a persone che fanno digiuni, sacrifici, fanno cose straordinarie, fanno addirittura miracoli! E questo tipo di santità non è alla portata di tutti.
La santità è invece un’opzione possibile anche a quelli che vivono nel mondo, qualsiasi età abbiano, come Lei ha detto:“a qualsiasi età, potete iniziare a diventare Santi”.
Allora la Madonna ci invita, come primo passo, a crescere nella preghiera per chiedere il contatto con Dio, l’esperienza del Suo amore.

Dunque dobbiamo sostare nella preghiera, vivere nella preghiera finché in noi nasca il desiderio di essere Santi, di piacere a Dio, di essere puliti, di avere un cuore aperto al Suo amore, di essere tutti Suoi.
Questo desiderio deve nascere in noi, perché finché non c’è questo desiderio, tutti gli inviti a diventare santi, rischiano di essere come quei semi che cadono sulle pietre e non fruttificano.
In questo messaggio la Madonna vuol parlare di un tipo particolare di santità che è alla portata di tutti e che è importante, soprattutto nella vita quotidiana: la Santità che consiste nella capacità di perdonare.
È bellissima questa espressione della Madonna “la santità del perdono”.
E la Madonna fa riferimento alla santità delle famiglie che consiste nel far sì che nelle famiglie ci sia la capacità di perdonare. 

Perché la Madonna insiste sulla santità del perdono nelle famiglie?
Perché oggi le famiglie si dividono.
Ci sono tante famiglie che cominciano bene, ma dopo un po’ si sgretolano, si rovinano, perché? 
Perché iniziano le incomprensioni, le ripicche, incominciano le vendette, si rompe quel rapporto meraviglioso che è l’amore tra lo sposo e la sposa e arriva il momento in cui uno dei due chiede la separazione.
Ma prima di arrivare a questo c’è una fase di degrado dei rapporti quotidiani, degrado del dialogo, della comprensione, dell’aiuto reciproco.
Nelle famiglie ci saranno sempre tensioni e incomprensioni, fa parte della natura umana e anche alla diversa psicologia tra l’uomo e la donna, allora ci vuole sempre una grande capacità di accettazione reciproca, ma soprattutto una grande capacità di capire e di perdonare.
Mai chiudere la giornata voltandosi le spalle, non dandosi la “buonanotte”, e mai incominciare la giornata come estranei, uno mangia da una parte e l’altro dall’altra e neanche ci si saluta, neanche ci si dice “buongiorno”.

E l’invito della Madonna è questo: “vivete la santità familiare”, sempre disposti a perdonare chiedendo il perdono reciproco.

Bisogna essere capaci di chiedere perdono anche quando si pensa di aver ragione, perché molte volte manca chi fa il primo passo.
Fai tu il primo passo, così rompi i muri della separazione e in questo modo impediamo al demonio di operare, impediamo al demonio di rompere i rapporti tra lo sposo e la sposa, fra i genitori e i figli e anche fra i fratelli.
La capacità di perdonare, di non fare ripicche, di non farla pagare, di non indurire il cuore è fondamentale per evitare la disgregazione delle famiglie.
Poi la Madonna passa dalle famiglie al mondo e nel messaggio del 25 novembre 2019 ha detto: “i cuori sono pieni di odio e di gelosia”.
Quindi questa santità del perdono, che deve cominciare nella vita familiare, deve poi estendersi in tutti i rapporti umani, nei rapporti tra le nazioni, non deve vigere la legge “occhio per occhio, dente per dente”, tu lanci un missile, io te ne lancio due, in questo modo si va verso la guerra.
Ci vuole lungimiranza, intelligenza, ci vuole quella superiorità spirituale per saper dire “soprassiedo, non è necessario farla pagare”.
Nella Bibbia Dio perdona e ritira tutti i castighi che aveva promesso, basta che il popolo si penta, il perdono di Dio richiede il nostro pentimento.
Nell’evento cristiano Gesù si fa Agnello di Dio che espia i nostri peccati per nostro amore, e, dopo la morte in Croce, dopo aver versato il suo sangue col quale ci lava, appare nel Cenacolo agli Apostoli risorto e dice: “ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi”.

Il Cristianesimo è l’unica religione che ha come chiave fondamentale il perdono, il perdono che Dio dà a noi e il perdono che noi dobbiamo dare agli altri, ed è in questo modo, dice la Madonna, attraverso il perdono che vi date tra di voi, che voi assicurate il futuro al mondo.
Noi pensiamo che il futuro è messo in forse dai cambiamenti climatici, è messo in forse dalle armi atomiche, dalle armi chimiche e batteriologiche, certamente, ma la Madonna ci porta a un piano superiore, e ci dice che il futuro del mondo è messo in forse dall’odio, dalla cattiveria, dalla vendetta e che noi possiamo assicurare il futuro del mondo con la santità del perdono, la santità dell’amore, in modo tale che la gioia e l’amore prendano il sopravvento.

La Madonna ci chiama a lavorare sul nostro cuore.
Nel nostro cuore ci sono tanti virus pericolosi: la gelosia, l’invidia, la vendetta, “gliela faccio pagare”, “gli faccio vedere io chi sono”, tutte cose che poi portano alle tragedie.

Possiamo guarire con la preghiera, nella preghiera abbiamo l’amore di Dio e, con la consapevolezza che Dio ci perdona, noi facciamo lo stesso nelle nostre famiglie e nei rapporti umani.
E così si assicura il futuro del mondo attraverso il perdono.
Attraverso la preghiera riscopriamo il desiderio di santità, riscopriamo l’importanza del perdono in un mondo che, dice la Madonna, è in guerra perché i cuori sono pieni di odio e di gelosia.      

Che grazia immensa avremmo, se prendessimo la Madonna come Madre e Maestra: andremmo veloci nel cammino di santità. 

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Papa Francesco ha incontrato la donna dello «schiaffetto»

Posté par atempodiblog le 4 février 2020

Papa Francesco ha incontrato la donna dello «schiaffetto»
Il 31 dicembre il Pontefice aveva reagito bruscamente a una signora che lo strattonava. Il giorno dopo aveva chiesto pubblicamente scusa. Una richiesta di perdono che ha voluto rinnovarle a tu per tu
di Riccardo Maccioni – Avvenire

Papa Francesco ha incontrato la donna dello «schiaffetto» dans Articoli di Giornali e News Santo-Padre-Francesco

In poche ore, meglio in pochi attimi, grazie a un video diventato “virale” quell’episodio aveva fatto il giro del mondo. Lo scorso 31 dicembre mentre dopo la celebrazione del Te Deum si stava dirigendo verso il presepe allestito in piazza San Pietro, il Papa si era fermato a salutare i fedeli assiepati dietro le transenne. Tra loro anche una donna, di origine asiatica, che essendo riuscita solo a sfiorarlo e volendogli parlare, gli strinse un po’ troppo forte la mano spingendolo verso di sé. La reazione del Papa era stata istintiva, tipica di chi teme di cadere: un’espressione contrariata in viso e uno schiaffetto sulla mano della pellegrina. Insomma, un pizzico di umanissima rabbia durata un attimo di cui il Pontefice si era subito pentito. Tanto da chiedere scusa il giorno dopo, all’Angelus del 1° gennaio: «Tante volte perdiamo la pazienza; anch’io, e chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri – aveva detto –. Per questo contemplando il presepe noi vediamo, con gli occhi della fede, il mondo rinnovato, liberato dal dominio del male e posto sotto la signoria regale di Cristo, il Bambino che giace nella mangiatoia».

Ma evidentemente al Papa quelle scuse non erano parse sufficienti. Al punto, come riferisce l’Ansa, di voler dialogare personalmente con la donna e rinnovarle la richiesta di perdono. L’incontro è avvenuto al termine di un’udienza generale nell’Aula Paolo VI. Tra Francesco e la signora c’è stata dunque una stretta di mano e un breve dialogo. Ad accompagnare la pellegrina anche alcune amiche. È stato lo stesso Pontefice successivamente, ma lontano da microfoni e telecamere, a riferire l’episodio ribadendo di essere rimasto molto scosso e dispiaciuto per la reazione iniziale. Perché i grandi uomini si vedono da come si rialzano dopo una caduta, da come sanno riconoscere uno sbaglio. E farsi perdonare.

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“Il perdono è una forma eccelsa d’amore”

Posté par atempodiblog le 10 juin 2019

“Il perdono è una forma eccelsa d’amore”
Tratto da: Radio Maria Fb

Messaggio di Medjugorje a Mirjana del 02/06/2019

“Il perdono è una forma eccelsa d'amore” dans Citazioni, frasi e pensieri Madonna

“Cari figli,
soltanto un cuore puro ed aperto farà sì che conosciate davvero mio Figlio, e che tutti quelli che non conoscono il suo amore lo conoscano per mezzo di voi. Solo l’amore farà sì che comprendiate che esso è più forte della morte, perché il vero amore ha vinto la morte ed ha fatto in modo che la morte non esista.
Figli miei, il perdono è una forma eccelsa d’amore. Voi, come apostoli del mio amore, dovete pregare per essere forti nello spirito e poter comprendere e perdonare. Voi, apostoli del mio amore, con la comprensione ed il perdono, date esempio d’amore e di misericordia.
Riuscire a comprendere e perdonare è un dono per cui si deve pregare e di cui si deve aver cura. Col perdono voi mostrate di saper amare. Guardate, figli miei, come il Padre Celeste vi ama con un amore grande, con comprensione, perdono e giustizia. Come vi dà me, la Madre dei vostri cuori.
Ed ecco: sono qui in mezzo a voi per benedirvi con la materna benedizione; per invitarvi alla preghiera e al digiuno; per dirvi di credere, di sperare, di perdonare, di pregare per i vostri pastori e soprattutto di amare senza limiti. Figli miei, seguitemi! La mia via è la via della pace e dell’amore, la via di mio Figlio. È la via che porta al trionfo del mio Cuore.
Vi ringrazio!”.

Commento di Padre Livio al messaggio del 2 giugno 2019

Padre-Livio dans Fede, morale e teologia

Questo messaggio, come ogni messaggio del due del mese, è molto intenso e ricco. È come straripante dal Cuore della Madre!
Alla Madonna sta molto a cuore entrare subito nel vivo del messaggio che è un inno all’amore e poi alla fine colloca la sua missione di Madre che è quella di portarci a suo Figlio e attraverso suo Figlio alla vita eterna.
“Cari figli, soltanto un cuore puro ed aperto farà sì che conosciate davvero mio Figlio”. L’amore di cui parla la Madonna è un amore così grande che neanche possiamo immaginarlo, intuirlo, questo amore è l’Amore di Dio! È Dio stesso, Dio è Amore, l’Amore è Dio! È l’Amore del Padre, del Figlio, che sono un dono d’amore che è lo Spirito Santo.

Conosciamo questo amore purificando, aprendo, dilatando il nostro cuore, “dovete avere un cuore puro, un cuore aperto, dovete entrare in intimità con mio Figlio, accostando il vostro cuore al suo Cuore, allora piano piano potrete conoscere l’amore di cui io vi parlo, che è l’amore che segretamente desiderate”, perché tutti noi desideriamo un amore puro, infinito ed eterno, ma troviamo sempre lungo la nostra strada amori limitati e molto spesso dei falsi amori. “E che tutti quelli che non conoscono il suo amore lo conoscano per mezzo di voi”. È chiaro che non possiamo far conoscere Gesù, il suo Amore agli altri, se non lo abbiamo sperimentato.

Solamente sperimentandolo se ne può parlare con entusiasmo, se ne può parlare con umiltà, solamente sperimentandolo se ne può parlare donandolo.
Allora comprendiamo che questo Amore è più forte della morte: “Solo l’amore farà sì che comprendiate che esso è più forte della morte,
perché il vero amore ha vinto la morte ed ha fatto in modo che la morte non esista”. Gesù è morto per amore e risorto a vita immortale e dona a noi questa vittoria, la vittoria dell’amore sulla morte! È così grande questo Amore, che fa sì che la morte non esista!

La morte di cui parla la Madonna è prima di tutto la morte spirituale, quella del peccato mortale, quella della perdizione eterna. Per un cristiano la morte è un abbraccio con Cristo, che si può già realizzare nella fede in questa vita, specialmente ricevendo la Santa Comunione, nella quale riceviamo Cristo Risorto. La Madonna ci invita a conoscere questo Amore; poi ci dirà più avanti, parlando del digiuno e della preghiera, in che modo dobbiamo dilatare il cuore, renderlo puro, renderlo aperto e sincero. Poi comincia la seconda parte del messaggio e cioè che la più alta forma d’Amore è il perdono: “Figli miei, il perdono è una forma eccelsa d’amore”.

L’amore di Dio ha inviato il Figlio il quale ha portato su di sé i peccati del mondo, li ha espiati e, apparendo agli Apostoli nel Cenacolo, il Risorto ci dà lo Spirito Santo per la remissione e il perdono dei peccati. È come se noi avessimo un debito impagabile e qualcuno ce lo ha pagato. Gesù lo ha pagato andando sulla Croce e dall’alto della Croce ha detto: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Questo perdono riguarda i peccati che fanno tutti gli uomini! “Voi, come apostoli del mio amore, dovete pregare per essere forti nello spirito e poter comprendere e perdonare”. Noi non amiamo se non perdoniamo e per capire questo dobbiamo guardare Gesù crocefisso, al suo perdono sulla Croce, al perdono che ci ha donato attraverso il Sacramento della Penitenza.

L’amore del Padre ha inviato il Figlio per cancellare i peccati del mondo e ha fatto sì che la sua giustizia diventasse misericordia. Poi è chiaro che se noi rifiutiamo la sua misericordia, i nostri peccati rimangono su di noi e ci portano alla morte eterna. Essendo stati perdonati, non possiamo non perdonare gli altri, manifestando comprensione verso le mancanze altrui, i torti subiti, le ingiustizie, le offese, perché molte volte gli altri sono trascinati dal maligno.
Anche a noi potrebbe capitare, anche a noi magari è capitato di essere aizzati dal maligno, di essere degli zimbelli nelle sue mani e come è capitato a noi, può capitare a loro.

Come Dio ha avuto pietà di noi e come gli altri hanno avuto pietà di noi, noi dobbiamo essere comprensivi nei confronti degli altri e dare il nostro perdono. Questo ovviamente ha una dinamica che deve maturare nell’intimo del cuore, ha bisogno di un tempo ed è una conquista, è il frutto della preghiera, è una grazia che bisogna chiedere, non è, diciamo così, un colpo di telecomando il perdono, è una vittoria, è una contemplazione dell’Amore del Padre, è fare agli altri quello che il Padre ha fatto a noi. Non commettiamo l’errore di coltivare il risentimento, di coltivare l’odio, perché conserviamo il veleno di satana nel nostro cuore. E se non possiamo manifestare il perdono per gli altri, perché ci sono tante circostanze, perché il perdono diventi qualcosa di vero, diventi una vera riconciliazione, perché avvenga questo è necessario il miracolo nei cuori. Bisogna chiedere questo miracolo, desiderarlo, coltivando la disponibilità alla riconciliazione e pregando per le persone che ci hanno offeso, come Gesù e come tutti i martiri che hanno pregato per i loro persecutori; all’origine di ogni persecuzione c’è satana.

“Voi, apostoli del mio amore, con la comprensione ed il perdono, date esempio d’amore e di misericordia. Riuscire a comprendere e perdonare è un dono per cui si deve pregare e di cui si deve aver cura”. Dobbiamo sradicare l’impulso del risentimento, “di farla pagare”, dobbiamo arrivare alla compassione per chi, usato da satana, ci ha fatto del male.

Pregare per quelli che ci hanno fatto del male è la cosa più bella che possiamo fare, poi saremo noi con i nostri approcci ad aprire il cuore degli altri.
Molte volte uno avanza proposte di perdono e trova l’altro che risponde con le parolacce, questo capita spesso, ma noi dobbiamo invece usare un’altra tattica, noi sappiamo che la grazia tocca i cuori e che la grazia si ottiene con la preghiera. Con la preghiera possiamo disporre il cuore degli altri al perdono, perché è un dono di grazia. “Col perdono voi mostrate di saper amare”.

Nella terza parte del messaggio la Madonna parla della sua missione: “Guardate, figli miei, come il Padre Celeste vi ama con un amore grande, con comprensione, perdono e giustizia. Come vi dà me, la Madre dei vostri cuori”. L’Amore del Padre Celeste si manifesta nel perdono e si manifesta anche nel fatto che ha inviato Lei come Madre dei nostri cuori. La sua presenza qui per così tanto tempo, con così tanti messaggi, non è qualcosa che dobbiamo sopportare con curiosità. La Madonna ci dice: “io sono qui da così tanto tempo, con così tanta pazienza per voi, perché il Padre Celeste vi ama e mi invia presso di voi”Poi precisa la sua missione “Ed ecco: sono qui in mezzo a voi per benedirvi con la materna benedizione; per invitarvi alla preghiera e al digiuno; attraverso la preghiera e il digiuno, attraverso la rinuncia alle cose effimere, attraverso la rinuncia al male, tagliando la radice dei vizi, con la preghiera e il digiuno ci avviciniamo a Gesù, al suo Cuore, comprendiamo il suo immenso Amore grazie al quale noi resuscitiamo a vita nuova, alla gloriosa resurrezione di Cristo!

“Per dirvi di credere, di sperare, di perdonare, di pregare per i vostri pastori e soprattutto di amare senza limiti”. “Sono qui non per celebrare me stessa, ma perché avete bisogno, perché siete sballottati da satana sciolto dalle catene, sono qui per invitarvi alla preghiera e al digiuno, sono qui per dirvi di credere, di sperare, di perdonare, di pregare per i vostri pastori e soprattutto son qui per dirvi di amare senza limiti”.
E poi conclude: “Figli miei, seguitemi!”. Se la Madonna è qui, seguiamola! È qui, ci indica la strada, lasciamoci prendere per mano. Lo dico con umiltà, quelli che oggi non si fanno prendere per mano dalla Madonna, più facilmente perdono la strada e satana li inganna.

“La mia via è la via della pace e dell’amore, la via di mio Figlio. È la via che porta al trionfo del mio Cuore. Vi ringrazio!”.
Questa che è l’ultima apparizione della Madonna sulla terra ci condurrà al trionfo del suo Cuore Immacolato che consiste nel fatto che gran parte dell’umanità accoglierà suo Figlio Gesù.

La pace nel mondo non è un progetto umano. Il trionfo del Cuore Immacolato è l’accoglienza dell’umanità di quel Cuore crocefisso che trabocca di Amore per tutti gli uomini, anche per quelli che lo hanno crocefisso. Con questo ringraziamo la Madonna, perché ci guida, perché ci nutre, ci unisce, perché ci vuole bene, perché ci manifesta l’Amore del Padre Celeste, perché ci porta alla vittoria, la vittoria del bene, la vittoria di Cristo, la vittoria dell’Amore!

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