Giornata antitratta nel nome di Santa Giuseppina Bakhita
“Rompere le pesanti catene” e “l’intollerabile vergogna” di chi ancora oggi compra e vende esseri umani. Sono le parole che il Papa ha usato ieri all’Angelus per ricordare la seconda Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, che si celebra oggi nel mondo, un triste fenomeno più volte denunciato da Francesco. La data dell’8 febbraio coincide con la memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, la schiava sudanese divenuta religiosa canossiana.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana
Quella bimbetta non si era mai messa un vestito addosso fin dal giorno in cui i due ceffi erano sbucati dal nulla tra i campi sbarrandogli il passo e puntandogli un coltellaccio al fianco, per poi portarsela via come si ruba una gallina da un pollaio. Quel giorno in cui la sua vita viene risucchiata in un incubo quella bimbetta di 9 anni per la paura dimentica tutto, perfino il suo nome e quello di mamma e papà con i quali viveva serena.
Schiava
Così ci pensano i mercanti di schiavi arabi, non a rivestirla ma a ribattezzarla. “Bakhita”, la chiamano, “fortunata”. Atroce sberleffo per quella piccola nata nel 1869 in un villaggio del Darfur, nel Sud Sudan, diventata adesso carne di scambio, condita da fame e frustate, merce umana che passa di mano in mano sui mercati di El Obeid e Khartoum. Un giorno, mentre è al servizio di un generale turco, le viene inciso un “tatuaggio” a colpi di lama sul corpo, 114 tagli, e le ferite coperte di sale perché così restino in rilievo…
La luce
Bakhita sopravvive a tutto e un giorno un raggio di luce colpisce l’inferno. Callisto Legnami si chiama l’agente consolare che la acquista dai trafficanti di Khartoum e quel giorno Bakhita-Fortunata indossa per la prima volta un vestito, entra in una casa, la porta viene chiusa e 10 anni di brutalità inenarrabili restano sulla soglia.
Due anni dura l’oasi quando il funzionario italiano, che la tratta con affetto, è costretto a rimpatriare sotto l’incalzare della rivoluzione mahdista. Bakhita ricorderà di quel momento: “Osai pregarlo di condurmi in Italia con sé”. Callisto Legnami accetta e nel 1884 Bakhita sbarca sulla penisola dove per la piccola ex schiava c’è ad attenderla un destino inimmaginabile. Diventa la bambinaia di Alice, la figlia dei coniugi Michieli, amici del Legnami, che abitano a Zianigo, frazione di Mirano Veneto.
Libera
Nel 1888 la coppia che la ospita deve partire per l’Africa e per 9 mesi Bakhita e Alice vengono affidate alle Suore Canossiane di Venezia. Dopo il corpo, Bakhita comincia a rivestire anche l’anima. Conosce Gesù, impara il catechismo, si affranca per sempre dalla sua condizione di “oggetto” cosicché quando la signora Michieli torna in Italia a riprendersi figlia e bambinaia, Bakhita si oppone: non la seguirà in Africa. La donna non accetta ma né il Patriarca di Venezia, Domenico Agostini, né il procuratore del re ai quali si rivolge le danno ragione: in Italia, le dicono, “non si fa mercato di schiavi”.
Suor “Moreta”
Il 9 gennaio 1890 dallo stesso Patriarca di Venezia Bakhita riceve Battesimo, Cresima e Prima Comunione con il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata. Nel 1893 entra nel noviziato delle Canossiane, tre anni dopo pronuncia i voti e per ben 45 anni sarà cuoca, sacrestana e soprattutto portinaia del convento di Schio, dove lei imparerà a conoscere la gente e la gente ad apprezzare il docile sorriso, la bontà e la fede di quella “morèta”, “moretta”, e i ragazzini a voler assaggiare la “suora di cioccolata”.
“Bacio le mani ai negrieri”
Per tutta Schio è una giornata di lutto quando Giuseppina Bakhita muore l’8 febbraio 1947, sopraggiunta a causa di una polmonite. Fortunata davvero la sua vita e lo dirà lei stessa: “Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”.