Auguri! Buon Natale di Gesù a tutti!
Posté par atempodiblog le 25 décembre 2021
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Posté par atempodiblog le 25 décembre 2021
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Posté par atempodiblog le 3 février 2021
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Posté par atempodiblog le 27 décembre 2020
Guardate il video che riproduce in musica una bella poesia natalizia di Chesterton! Ne vale la pena. (G. K. Chesterton – Il blog dell’Uomo Vivo)
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Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020
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Posté par atempodiblog le 4 juin 2016
Maria, Madre di Gesù,
dammi il Tuo cuore,
tanto bello, tanto puro,
tanto immacolato, tanto pieno d’amore e d’umiltà,
cosicché io possa ricevere Gesù nel Pane della Vita,
amarLo come Tu l’hai amato e servirlo sotto le spoglie del più Povero dei Poveri.
Beata Madre Teresa di Calcutta
Questo canto è una preghiera scritta da Madre Teresa. E’ pregata dalle Missionarie della Carità per preparare i loro cuori a ricevere Gesù nei più poveri dei poveri.
O Mary, Mother of Jesus,
Give me your heart
That I might receive Jesus.
Give me your heart,
So beautiful, so pure,
So immaculate, so full of love and humility.
Give me your heart,
To love Him as you loved Him,
And serve Him as you served Him,
In the distressing disguise of the poorest of the poor.
In the Bread of Life,
In the poorest of the poor,
In distressing disguise,
In Christ our Lord.
Mary’s Heart – Danielle Rose
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Posté par atempodiblog le 5 juin 2015
“La musica si presenta anzitutto come un intervallo fra due silenzi – il silenzio dell’attesa e dell’ascolto, da una parte, e il silenzio degli effetti che può produrre nell’interiorità di chi l’ascolta – non è difficile cogliere come essa stabilisca fra il compositore, l’esecutore e il fruitore una sorta di canale comunicativo, aperto su diversi registri di comunicazione.
Così, la musica può unire coloro che fruiscono insieme dello stesso atto musicale, nel tempo o nello spazio, o più radicalmente si fa ponte fra il cuore della persona toccata dalla musica e la totalità del reale fin nelle sue dimensioni più abissali, quelle che si perdono nel mistero che avvolge ogni cosa”.
di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto
Il canto che guarisce
di Stefano Chiappalone – Comunità Ambrosiana
“Ma il canto! era il canto che mi andava al cuore…” (JRRT)
Nel breve discorso rivolto agli organizzatori del Concerto dei poveri per i poveri – idealmente collegato all’apertura della Cappella Sistina per 150 clochard, avvenuta a marzo – lo scorso 14 maggio, Papa Francesco condensava in poche righe la funzione guaritrice della bellezza.
“La musica ha questa capacità di unire le anime e di unirci con il Signore, sempre ci porta… è orizzontale e anche verticale, va in alto, e ci libera delle angosce. Anche la musica triste, pensiamo a quegli adagi lamentosi, anche questa ci aiuta nei momenti di difficoltà”.
La musica, ma il discorso del Santo Padre è applicabile a qualsiasi forma d’arte, ci guarisce dalle angosce proprio nella misura in cui ci distoglie dall’ “affarismo materiale che sempre ci circonda e ci abbassa, ci toglie la gioia”. E si tratta di una gioia duratura, “non un’allegria divertente di un momento, no: il seme rimarrà lì nelle anime di tutti e farà tanto bene a tutti”. Nel duplice movimento verticale – verso il Signore – e orizzontale – verso i fratelli -, il Papa ci dona anche un criterio di discernimento per distinguere la vera gioia donata dall’arte e non confonderla con un piacere effimero, sulla scia della distinzione tra vera e falsa bellezza già espressa in più occasioni dal predecessore:
“una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto” (Benedetto XVI, Incontro con gli artisti, 21 novembre 2009).
A sua volta, il pontefice gesuita aggiunge un ulteriore elemento nel distinguere tra “un’allegria divertente di un momento” e una gioia duratura che “rimarrà lì nelle anime di tutti e farà tanto bene a tutti”, riecheggiando quel discernimento degli spiriti di cui è maestro il suo fondatore Sant’Ignazio di Loyola. Negli Esercizi Spirituali, Ignazio ci invita a riconoscere l’albero dai suoi frutti (cfr Lc 6 ,43 ss), poiché quando c’è vera gioia spirituale, “l’anima continua nel fervore e avverte il favore divino e gli effetti che seguono la consolazione passata”. In altre parole, la gioia che scaturisce dalla vera bellezza si contraddistingue dalla continuità dei suoi effetti, nella misura in cui ci guarisce dal ripiegamento in noi stessi, ci libera dalle nostre gabbie interiori, ridestando l’apertura verso il reale e la meraviglia di far parte di una famiglia “cosmica” che va da Dio al prossimo, passando per l’intera Creazione.
“Voi non l’avete visto, ma quel cavaliere Nero si è fermato proprio qui, e stava strisciando verso noi, quando giunsero le note della canzone. Appena ha sentito le voci è fuggito via” (JRRT)
La funzione guaritrice della bellezza emerge sin dai tempi antichi. Nel primo libro di Samuele, al re Saul viene proposta una “terapia” musicale di fronte ai turbamenti di uno spirito cattivo – e i Padri del Deserto insegnano che lo spirito cattivo non spaventa necessariamente con corna e zampe caprine, ma anche molto più sottilmente attraverso la multiforme minaccia dei pensieri negativi.
“Comandi il signor nostro ai ministri che gli stanno intorno e noi cercheremo un uomo abile a suonare la cetra. Quando il sovrumano spirito cattivo ti investirà, quegli metterà mano alla cetra e ti sentirai meglio” (1 Sam 16,16). Per Saul trovarono un cantore d’eccezione che sarebbe divenuto il suo successore. “Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui” (1 Sam 16,23).
Sarà per questo che talora nei momenti di sconforto cerchiamo rifugio nella musica – salvo rinchiudersi ancora di più negli auricolari –, o in mezzo al verde, per spegnere le luci e i rumori del quotidiano, e lasciar spazio ai colori della Creazione, al profumo di un prato, alla calma silente di un lago, al cinguettio degli uccelli, allo scroscio dell’acqua, al candore di una cima innevata come neonati piangenti che cercano riposo nell’abbraccio materno. Cerchiamo, in definitiva, di rompere le varie gradazioni di grigio che dominano il nostro mondo e tornare a godere un po’ di quello che doveva essere l’orizzonte quotidiano di tempi andati, certamente carenti di molte comodità materiali (di cui, beninteso, sarebbe assurdo privarci), ma forse meglio di noi attrezzati ad accogliere la vita nel suo inestricabile intreccio di gioie e dolori. Tempi che ci hanno donato non solo castelli e cattedrali, bensì un istinto della bellezza disseminato nelle umili ma splendide casette dei nostri centri storici, in paesaggi incantevoli plasmati dalla sapienza di generazioni di contadini, persino nei corredi cuciti con arte dalle madri per le figlie e dove anche la fatica delle faccende domestiche si trasfigurava nel canto delle lavandaie – avete invece mai visto qualcuno cantare, o almeno sorridere, mentre fa il bucato nelle nostre lavatrici self service a gettoni? Di quel mondo abituato alla lode traspariva un’eco nell’anziana signora che vidi passare un giorno: portava sulla testa con eleganza il suo cesto di vimini e durante il tragitto…cantava! Cantava, come aveva imparato da ragazza, in un’epoca lontana anni luce dalla nostra – benché distante solo poco più di mezzo secolo – e paradossalmente più vicina a quella Palestina di duemila anni fa, in cui una semplice ragazza di Nazareth improvvisava spontaneamente un celebre inno: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore…” (Lc 1,46-47).
“…si accorsero improvvisamente che il canto sgorgava spontaneamente dalle loro labbra, quasi fosse più semplice e naturale cantare che parlare” (JRRT)
Al declinare degli inni corrisponde il mutismo delle pietre: all’incanto dei borghi e dei paesaggi – confinati a “riserve turistiche” – si è sostituito il proliferare di “non luoghi” costruiti e abitati da gente che non ha più nulla da cantare forse perché ha smesso anche di sorridere. Archiviato ogni legame trascendente, verso l’alto e verso l’altro, ritrovandosi senza Padre e senza fratelli, prigioniero del proprio individualismo, l’uomo moderno non trova più cetre in grado di scuoterlo dal torpore.
“Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? Di uscire un po’ dal tuo contegno per cantare questo?” chiedeva il Santo Padre, invitando a esaminarci sulla capacità di lodare: “Ma come va la mia preghiera di lode? Io so lodare il Signore? So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?” (Omelia a S.Marta, 28 gennaio 2014).
L’arte esprime la lode, ma l’uomo moderno ne è divenuto incapace, imprigionato in quell’ “affarismo materiale che sempre ci circonda e ci abbassa, ci toglie la gioia”. Si rende grazie quando si riconosce di aver ricevuto un dono, non quando si concepisce l’intera realtà come qualcosa di interamente prodotto da noi stessi o comunque manipolabile a comando. Si ringrazia per il sole che illumina e scalda, per la pioggia che feconda la terra, per il legno e la pietra, per l’acqua e il fuoco, per il raccolto, per la festa, ma quale lode potranno mai ispirare le colate di cemento e le luci artificiali? Possiamo ancora costruire castelli e cattedrali, colonne e le vetrate, persino le colline, le siepi, ma tutto questo necessita di un solido fondamento, poiché la bellezza ha come fondamento la dimensione festiva della realtà, riflesso di quella primordiale contemplazione di Dio stesso all’atto della Creazione: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn1,29). Non importa quanto grigio invada il nostro orizzonte, né quanto dolore affligga la nostra vita: le generazioni passate non mancavano di contrarietà, tuttavia cantavano e facevano cantare persino la materia, facendo di una piccola chiesetta di campagna uno scrigno di bellezza, vivendo anche le fatiche nella prospettiva di quella festa cosmica che intravediamo tra le pieghe (e le piaghe!) del quotidiano. “Se già non lo fai, prendi l’abitudine di pregare – raccomandava J.R.R.Tolkien a suo figlio che si trovava in guerra – Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in Excelsis, il Laudate Dominum; il Laudate Pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera del Sub tuum presidium). Se nel cuore hai queste preghiere non avrai mai bisogno di altre parole di conforto”. Per ricominciare a costruire, perché il mondo intorno a noi ricominci a cantare, risvegliandosi dalla tristezza, non occorre cercare lontano: dobbiamo recuperare la cetra nel nostro stesso cuore.
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Posté par atempodiblog le 27 décembre 2014
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Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014
Maria dei nodi (canto)
Maria dei nodi, io vengo a Te e porto molte gioie e molte pene con me.
Maria dei nodi, che non senta – i nodi sono molti, non vanno via.
Maria dei nodi, come questo sembra consolante: c’è una mano, che scioglie i nodi.
Maria dei nodi, guarda qui il groviglio! Io non riesco scioglierlo – aiutami Tu, Santa Vergine.
Maria dei nodi, il groviglio sono io – infine confuso: abbi compassione!
Maria dei nodi, Tu sei già nella Luce, Tu sai già di cosa ancora ho bisogno.
Testo Josef Weiger con l’aiuto di Günter Grimme. Musica: Paderborn 1765
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Posté par atempodiblog le 3 janvier 2014
Santo e musicista Alfonso Maria de Liguori
di Francesco Agnoli – Il Foglio
Tratto da: La Roccia splendente
“Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo”: inizia così la più celebre canzone popolare di Natale, e può venir voglia di conoscere chi sia l’autore e quale sia stata la sua vita. Alfonso Maria de Liguori, questo il nome di colui che la ideò, nasce a Napoli nel 1696, da famiglia nobile e ricca. Dati i natali, la sua vita sembrerebbe già scritta: lo aspettano onori, ricchezze, potere. Suo padre nutre grandi ambizioni per il figlio, e lui ha doti non ordinarie. Studia musica, ama dipingere, si iscrive, a 12 anni, presso l’Università di Napoli, per divenire avvocato.
L’età minima, per accedere al titolo, sono i 20 anni: Alfonso viene rivestito di una toga più grande di lui, già a 16. Se l’aspirante è eccezionale, si può fare eccezione. Divenuto avvocato, Alfonso si impone una moralità ferrea, in un mestiere difficile. Nello stesso tempo frequenta varie confraternite, che lo portano per esempio a visitare i malati, i sifilitici, i derelitti del grande ospedale di Napoli, gli Incurabili. L’ ingresso “nella confraternita della Visitazione portava per la prima volta il nostro brillante samaritano ad avvicinare, a incontrare, a toccare con le sue mani, ogni settimana, per anni, l’uomo a terra, spogliato, ferito, gemente nel fossato, ai bordi del suo cammino di ricco. Per otto anni si piegherà su di lui con orrore, con amore, con fede nella parola di Gesù: ‘Quello che fate al più piccolo dei miei lo fate a me’” (T.R.Mermet).
Alfonso fa parte anche della Confraternita di santa Maria della Misericordia, i cui membri sono dediti al seppellimento degli indigenti, ai preti pellegrini o stranieri, e a quelli detenuti per indegnità nelle carceri dell’Arcivescovado. Alfonso per dieci anni, dal 1714 al 1726, gira per Napoli, una volta la settimana, questuando per tutti questi. E’ nel 1723, quando la carriera sembra inarrestabile, che proprio mentre si piega su un malato degli Incurabili, egli sente come una voce che lo chiama: “Lascia il mondo e datti a me”. Nonostante la disperazione del padre, Alfonso segue l’ispirazione e si avvia agli studi per il sacerdozio, che sarà speso negli studi, negli scritti di morale (tra cui la Theologia moralis, La pratica del Confessore e Apparecchio alla morte), nelle missioni al popolo, nel confessionale, nelle celle dei prigionieri, tra i lazzaroni, le prostitute, i poco di buono e i peccatori di ogni genere…
Qui, tra questa umanità dolorante, l’uomo di dottrina e di carità, acquista quella saggezza, nel trattare non solo con i malati nel corpo, ma anche con quelli nello spirito, che gli varrà il titolo, concesso da Pio XII nel 1950, di “celeste patrono dei moralisti e dei confessori”. Saggezza che consiste in quel santo equilibrio con cui il santo sa affrontare il peccato: condannandolo, certamente, ma piegandosi anche con benignità ed amore sui peccatori. Alfonso è un avversario del rigorismo che trasforma la vita morale in terrorismo spirituale: confessa, esige e perdona, impone penitenze che non siano eccessive e da buon ammiratore di san Filippo Neri, di san Vincenzo de Paoli e di san Francesco di Sales (quello che invitava a conquistare le anime con il miele piuttosto che con il fiele), impara ad evangelizzare gli uomini con la semplicità (voleva farsi intendere anche dalle “menti di legno”), le devozioni popolari, la meditazione. Tenendosi lontano dallo zelo amaro e dall’algida moralità giansenista. Alfonso invita i confratelli predicatori a non dimenticare di inculcare il “timor di Dio”, ma evitando gli eccessi, le “maledizioni”, perché le conversioni vere nascono solo quando “entra nel cuore il santo amore di Dio”.
Napoli è la città giusta per lui: così piena di contraddizioni, di cultura e di miseria, di fede e di superstizione, di processioni e di bestemmie e sacrilegi… Un impasto in cui l’umanità dà il meglio e il peggio di sé, e in cui non si può raccogliere solo ciò che brilla e riluce, a prima vista.
Napoli è anche la città della musica che Alfonso ama sin da ragazzo (abbandonerà il suo clavicembalo solo una volta divenuto vescovo) e che sarà sempre, per lui, un modo per pregare ed istruire il popolo. Napoli è infatti la città in cui i discepoli di san Filippo Neri, inventore dell’Oratorio, frequentati da Alfonso già dal 1706, propongono di continuo concerti religiosi e ‘ricreativi’; è la città in cui gli orfani “scugnizzi” sono internati nei “Conservatori”, luoghi in cui, come dice la parola, devono essere custoditi e magari educati anche attraverso la musica. “A Napoli, scrive il già citato Mermet, la musica era per il popolo una seconda lingua, così questi Conservatori divennero ‘gabbie di usignoli’ e nel corso del XVII secolo si evolveranno progressivamente in scuole musicali”.
Da sant’Alfonso, “il più napoletano dei santi”, avvocato, moralista, confessore, amico dei poveri, è nato dunque quel canto di cui si diceva all’inizio; come pure quell’altro, bellissimo, in cui i Cieli fermano la loro armonia, perché la Madonna canti la sua ninna nanna; e pure quell’altro, così dolce, in dialetto napoletano: “Quanno nascette Ninno…”.
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Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013
“Non abbandonare senza amore un uomo o la speranza in lui, poiché è possibile che anche il figlio più perduto si salvi, che anche il nemico più accanito possa ritornare tuo amico; è possibile che colui che è caduto così in fondo si risollevi; è possibile che l’amore che si è raffreddato torni ad ardere: perciò non abbandonare mai un uomo, neppure nell’ultimo momento, non disperare, no – spera tutto!”. (Soren Kierkegaard)
«Quando nell’ombra cade la sera». Sono le parole che compongono la prima frase dell’omonimo canto popolare ed evocano pensieri che ci rimandano alla sera intesa come fine della giornata o come conclusione di un cammino difficoltoso o ancora come termine del cammino della vita; una sera, però, che si rischiara dall’immagine luminosa di Maria alla quale l’uomo può aprire il suo cuore nella ricerca di conforto, coraggio, aiuto. Il futuro del mondo in cui siamo immersi è incerto: la febbre dell’egoismo ha ormai contaminato tutto ciò che ci circonda, ma la certezza che Maria è speranza è ancora viva e forte.
I valori umani indicati da Maria sono le virtù basilari per guarire dall’incomprensione, dalla rivalità, dall’avidità. A un mondo schiavo del denaro Maria richiama la povertà, a un mondo provocatore e astuto consiglia la semplicità di cuore; a un mondo vecchio e indurito dall’odio porta il sorriso addolcito di giovinezza. L’uomo che affida la sua vita alla maternità di Maria è guidato verso i misteriosi legami dello Spirito che lo portano gradualmente a creare un contatto sempre più intenso con il Dio dell’amore, della misericordia, del perdono.
Nel corso dei secoli la devozione mariana ha trovato numerose espressioni: si sono sviluppati pensieri individuali in armonia con profondi sentimenti di fiducia e di speranza. In questo contesto un ruolo importante va riservato ai canti popolari mariani che hanno arricchito la preghiera della Chiesa e impresso il loro carattere alla cultura dei popoli. Le origini di queste lodi non ci sono note e oggi la maggior parte di esse sono cadute in disuso, ma bisogna riconoscere che le melodie e i testi di questi canti coinvolgono e trascinano.
T. Grassi, Incoronazione della Vergine (1692), chiesa Madonna del Popolo, Romagnano Sesia (Novara).
«Quando nell’ombra» è un canto semplice, strutturato con strofe e ritornello; la conduzione ritmica si presenta uguale nel corso del brano, creando regolarità e continuità. La melodia delle strofe rispecchia, pur nella sua brevità, un percorso di quattro battute ascendenti, in progressione, a cui corrispondono altrettante battute, sempre in progressione, ma discendenti. È un percorso che richiede delicatezza nell’esecuzione; la graziosità melodica non va disturbata dall’appoggio sulla croma: tutto procede con linearità e spontaneità, privilegiando una sonorità delicata e leggera.
Il ritornello inizia con due battute che, data la scelta ritmica, interrompono l’atmosfera precedente. Le tre semiminime di Fa’ pura introducono una successione melodica più marcata che fa esplicito riferimento a una richiesta di aiuto, a un’invocazione resa ancora più convincente dall’apertura verso l’acuto che può essere accompagnata, anche, da un’intensità sonora maggiore. È qui il punto che maggiormente si presta alla coralità con la possibilità di aggiungere alla melodia principale altre voci che danno rinforzo e grandiosità al ritornello. Dalla terza battuta del ritornello, poi, si riprende il ritmo iniziale, seppur leggermente variato nell’ultima parte, con un evidente richiamo melodico che conduce a una conclusione dolce e riservata.
Quando nell’ombra…
Quando nell’ombra cade la sera,
è questa, o Madre, la mia preghiera:
fa’ pura e santa l’anima mia.
Ave Maria, Ave.
Di stelle e d’angeli incoronata,
da mille popoli sempre invocata:
ave, divina bianca Regina.
Avvolta in splendida candida veste,
cinta da un serico nastro celeste:
ave, divina bianca Regina.
Nel duol, nel gaudio da mane a sera
s’innalzi unanime una preghiera
alla divina bianca Regina.
di Luisa Tarabra
a cura di Mario Moscatello e Giuseppe Tarabra – Madre di Dio
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Posté par atempodiblog le 1 septembre 2013
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Posté par atempodiblog le 26 août 2013
MADONNA DI CZESTOCHOWA
Tratto da: Preghiere per la famiglia
Il Santuario di Częstochowa è uno dei più importanti centri di culto cattolico.
Il santuario si trova in Polonia, sui pendii del monte Jasna Góra (Monte chiaro, luminoso): qui
è conservata l’icona della Madonna di Częstochowa (Madonna Nera).
La tradizione vuole che sia stata dipinta
da san Luca e che, essendo contemporaneo alla Madonna, ne abbia dipinto il vero
volto. Secondo i critici d’arte il Quadro di Jasna Gòra sarebbe stato in origine
un’icona bizantina, del genere “Odigitria” (“Colei che indica e guida lungo la
strada”), databile tra il VI e il IX secolo. Dipinta su una tavola di legno,
raffigura il busto della Vergine con Gesù in braccio. Il volto di Maria
domina tutto il quadro, con l’effetto che chi lo guarda si trova immerso nello
sguardo di Maria. Anche il volto del Bambino è rivolto al pellegrino, ma non
il suo sguardo, risulta in qualche modo fisso altrove. Gesù, vestito di una
tunica scarlatta, riposa sul braccio sinistro della Madre. La mano sinistra
tiene il libro, la destra è sollevata in gesto di sovranità e benedizione. La
mano destra della Madonna sembra indicare il Bambino. Sulla fronte di Maria è
raffigurata una stella a sei punte. Attorno ai volti della Madonna e di Gesù
risaltano le aureole, la cui luminosità contrasta con l’incarnato dei loro visi.
La guancia destra della Madonna è segnata da due sfregi paralleli e da un terzo
che li attraversa; il collo presenta altre sei scalfitture, due delle quali
visibili, quattro appena percettibili.
Questi segni sono presenti perchè nel 1430 alcuni seguaci dell’eretico Hus,
durante le guerre degli Ussiti, attaccarono e predarono il convento.
Il quadro fu strappato dall’altare e portato
fuori dinanzi alla cappella, tagliato con la sciabola in più parti e la
sacra icona trapassata da una spada. Gravemente danneggiato, fu perciò
trasferito nella sede municipale di Cracovia e sottoposto ad un intervento del
tutto eccezionale per quei tempi, in cui l’arte del restauro era ancora agli
inizi. Ecco allora come si spiega che ancora oggi siano visibili nel quadro
della Madonna Nera gli sfregi arrecati al volto della Santa Vergine.
Fin dal medioevo da tutta la Polonia si
svolge il Pellegrinaggio a piedi verso il Santuario di Częstochowa che si snoda
da Giugno a Settembre, ma normalmente il periodo scelto è quello attorno a
ferragosto. Il Pellegrinaggio a piedi dura diversi giorni ed i
pellegrini percorrono anche centinaia di chilometri lungo oltre 50 percorsi da
tutta la Polonia, il più lungo dei quali è di 600 km.
Questo pellegrinaggio è stato fatto anche
da Karol Wojtyła (Giovanni Paolo II) nel 1936 partendo da Cracovia.
PREGHIERA alla Madonna di Czestochowa
(Madonna nera)
O Chiaromontana Madre della Chiesa,
con i cori degli angeli e i nostri santi patroni,
umilmente ci prostriamo di fronte al Tuo trono.
Da secoli Tu risplendi di miracoli e di grazie qui a
Jasna Gòra, sede della Tua infinita misericordia.
Guarda i nostri cuori che ti presentano l’omaggio
di venerazione e di amore.
Risveglia dentro di noi il desiderio della santità;
formaci veri apostoli di fede; rafforza il nostro amore verso la Chiesa.
Ottienici questa grazia che tanto desideriamo: (esporre la grazia)
O Madre dal volto sfregiato,
nelle Tue mani pongo me stesso e tutti i miei cari.
In Te confido, sicuro della Tua intercessione presso il Tuo figlio,
a gloria della Santissima Trinità.
(3 Ave Maria).
Sotto la Tua protezione ci rifugiamo,
o Santa Madre di Dio: guarda a noi che siamo nella necessità.
Nostra Signora della Montagna Luminosa, prega per noi.
CANTO: MADONNA NERA
C’è una terra silenziosa dove ognuno vuol tornare,
una terra e un dolce volto con due segni di violenza:
sguardo intenso e premuroso, che ti chiede di affidare,
la tua vita e il tuo mondo in mano a lei.
RIT. Madonna, Madonna nera è dolce esser tuo figlio.
Oh lascia Madonna nera ch’io viva vicino a te.
Lei ti calma e rasserena, lei ti libera dal male,
perché sempre ha un cuore grande per ciascuno dei suoi figli.
Lei ti illumina il cammino, se le offri un po’ d’amore,
se ogni giorno parlerai a lei così.
RIT. Madonna,
Madonna nera è dolce esser tuo figlio.
Oh lascia Madonna nera ch’io viva vicino a te.
Questo mondo in subbuglio cosa all’uomo potrà offrire?
Solo il volto di una Madre pace vera può donare.
Nel tuo sguardo noi cerchiamo quel sorriso del Signore,
che ridesta un po’ di bene in fondo al cuor.
RIT. Madonna,
Madonna nera è dolce esser tuo figlio.
Oh lascia Madonna nera ch’io viva vicino a te.
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Posté par atempodiblog le 24 août 2013
La musica a Radio Maria
di Roberta Zappa – Radio Maria
…“Cara Radio Maria, ho 29 anni…potete indicarmi i titoli di alcuni canti bellissimi che sento spesso sulle vostre frequenze?…”
…“Sono Martina e ho la necessità di conoscere il testo del canto trasmesso questo pomeriggio per insegnarlo ai miei bambini di catechismo…”
…“Mi chiamo Leonardo e sto preparando una S. Messa per giovani, non trovo tre canti che voi avete inserito ieri, verso le 18.00…”
Quante e-mail e scritti riceviamo ogni giorno per la richiesta di informazioni su canti e musiche!
Un tesoro prezioso, l’archivio musicale di Radio Maria, ricco di:
- inni tradizionali mariani, eucaristici, e dedicati ai Santi, esprimono la pietà popolare e la devozione profonda, fanno nascere dal cuore la lode e l’invocazione;
- mottetti dei grandi compositori del Rinascimento, ad esempio le belle opere palestriniane;
- polifonia, il canto a più voci, conosciuto dai primi cristiani e i canti gregoriani in latino, la lingua ufficiale della Chiesa. Molte sono le corali diocesane e parrocchiali d’ogni parte d’Italia che ci inviano le loro realizzazioni su cd e noi siamo ben felici di farle conoscere agli ascoltatori di Radio Maria.
- canti dei movimenti ecclesiali, ad esempio del Rinnovamento nello Spirito, dei Neocatecumenali, Gen, Taizè e i giovani delle diverse comunità carismatiche cattoliche, melodie eseguite con grande professionalità, che invitano a lodare Dio con gioia, attraverso le belle voci e i tanti strumenti musicali;
- brani dei numerosi cantautori cattolici, veri artisti che compongono canti per diffondere il messaggio cristiano;
- brani delle giornate mondiali della gioventù e degli incontri del Papa con i giovani, pieni di gioia e ritmo, che esprimono tutta la testimonianza di fede dei ragazzi, le missioni, i cammini intrapresi, con la profondità nei contenuti;
- salmi e canoni che sulle musiche ripetono i ritornelli per invocare ed esprimere tutta la gioia, il dolore, l’amore a Dio;
- musiche che arrivano anche da terre lontane, come l’Africa, l’America latina; da ogni popolo in lingue diverse si eleva la lode al Creatore;
- cori di montagna, melodie semplici, come una preghiera. Nei tempi liturgici forti dell’anno, come l’Avvento, il Natale, la Quaresimae la Pasqua, i canti trasmessi da Radio Maria portano in ogni cuore dolcezza, serenità e raccoglimento, aiutando a vivere in profondità il mistero vissuto nel periodo specifico dell’anno;
- basi musicali, che con la loro dolcezza, commuovono e ispirano l’anima;
- musiche dei grandi autori contemporanei, con gli arrangiamenti moderni al pianoforte, che piacciono molto anche ai giovani.
Ogni singolo pezzo viene ascoltato con attenzione, selezionato e poi magari scelto per l’abbinamento alla lettura di un libro, o come sigla di un programma, intermezzo musicale o sottofondo ai momenti di preghiera. Canzoni per ragazzi e bambini che divertono anche i grandi! Insomma, in ogni momento del giorno e della notte, c’è una proposta anche per te, amico ascoltatore di Radio Maria.
“Chi canta, prega due volte” (Sant’Agostino)
“Nel canto, la Fede si sperimenta come esuberanza di gioia, amore, fiducia nell’attesa dell’intervento salvifico di Dio” (Giovanni Paolo II)
“L’armonia del canto e della musica, che non conosce barriere sociali e religiose, rappresenti un costante invito per i credenti e per tutte le persone di buona volontà, a ricercare insieme l’universale linguaggio dell’amore che rende gli uomini capaci di costruire un mondo di giustizia e di solidarietà, di speranza e di pace” (Papa Benedetto XVI)
I brani usati come sigle nelle trasmissioni a Radio Maria li trovate qui: La musica di Radio Maria
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Posté par atempodiblog le 22 août 2013
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Posté par atempodiblog le 11 août 2013
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