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Benedetto XVI: Celibato dei sacerdoti indispensabile, non posso tacere

Posté par atempodiblog le 13 janvier 2020

Benedetto XVI: Celibato dei sacerdoti indispensabile, non posso tacere
Il monito di Raztinger dopo il Sinodo sull’Amazzonia che apre alla possibilità di ordinare preti persone sposate. L’anticipazione di un libro scritto con il cardinale Sarah
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera
Tratto da: 
Radio Maria

Benedetto XVI: Celibato dei sacerdoti indispensabile, non posso tacere dans Articoli di Giornali e News Benedetto-XVI

«Silere non possum! Non posso tacere!». Il Papa emerito Benedetto XVI, insieme con il cardinale Robert Sarah, cita Sant’Agostino per dire che il celibato dei preti è «indispensabile» e chiedere di fatto al successore Francesco di non permettere l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati, proposta in ottobre dal Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia per compensare la carenza di clero: «Viviamo con tristezza e sofferenza questi tempi difficili e travagliati. Era nostro preciso dovere richiamare la verità sul sacerdozio cattolico. Con esso, infatti, si trova messa in discussione tutta la bellezza della Chiesa. La Chiesa non è soltanto un’istituzione umana. È un mistero. È la Sposa mistica di Cristo. È quanto il nostro celibato sacerdotale non cessa di rammentare al mondo. È urgente, necessario, che tutti, vescovi, sacerdoti e laici, non si facciano più impressionare dai cattivi consiglieri, dalle teatrali messe in scena, dalle diaboliche menzogne, dagli errori alla moda che mirano a svalutare il celibato sacerdotale».

Il libro
Così si legge nel libro Dal profondo del nostro cuore, firmato Benedetto XVI e da Sarah, che esce mercoledì in Francia da Fayard (in Italia sarà pubblicato a fine mese da Cantagalli) e del quale il quotidiano Le Figaro ha anticipato ieri alcuni estratti. I due autori — Raztinger si firma con il nome da pontefice — dicono di presentare le loro riflessioni «in quanto vescovi», «in obbedienza filiale a papa Francesco» e con «uno spirito d’amore per l’unità della Chiesa». Scrivono di volersi tenere «lontani» da ciò che divide, «le offese personali, le manovre politiche, i giochi di potere, le manipolazioni ideologiche e le critiche piene di acredine fanno il gioco del diavolo, colui che divide, il padre della menzogna». Ma certo l’operazione editoriale crea una situazione che non ha precedenti nella storia della Chiesa, come del resto non ha precedenti la presenza di un «emerito» accanto al Papa eletto.

Il Sinodo
Nei prossimi mesi, forse settimane, è attesa infatti l’«Esortazione apostolica» nella quale papa Francesco tirerà le somme del Sinodo. Il 26 ottobre l’assemblea ha approvato un testo che, nell’articolo più controverso (128 sì, 41 no), proponeva di «stabilire criteri e disposizioni» «per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica».

L’Amazzonia
In Amazzonia lo chiedevano da anni, ma era la prima volta che la «proposta» compariva nero su bianco in un testo ufficiale della Chiesa. Alla fine sarà il Papa a decidere. Già il cardinale Christoph Schönborn, vicino a Francesco, invitava alla «prudenza» e spiegava al Corriere della Sera: «Prima si deve cominciare con i diaconi permanenti, poi si vedrà». Ma intanto ora interviene il Papa emerito, con tutto il peso del suo nome e della sua autorità teologica. Nell’introduzione, gli autori scrivono: «Ci siamo incontrati in questi ultimi mesi, mentre il mondo rimbombava del frastuono provocato da uno strano sinodo dei media che aveva preso il sopravvento sul Sinodo reale. Ci siamo confidati le nostre idee e le nostre preoccupazioni. Abbiamo pregato e meditato in silenzio». Il cardinale Sarah scrive che «parlare di eccezione sarebbe un abuso di linguaggio o una menzogna» e «non si può proporre all’Amazzonia dei preti di “seconda classe”».

«Un’astinenza ontologica»
Nel suo saggio sul «sacerdozio cattolico», Ratzinger risale alle radici teologiche della scelta celibataria, parla di «un’astinenza ontologica» che non significa «un giudizio negativo della corporeità e della sessualità» e aggiunge, netto: «La chiamata a seguire Gesù non è possibile senza questo segno di libertà e di rinuncia a qualsiasi compromesso». Per Benedetto XVI e il cardinale Sarah ne va del futuro della Chiesa, insieme firmano introduzione e conclusioni: «È urgente, necessario, che tutti, vescovi, sacerdoti e laici, ritrovino uno sguardo di fede sulla Chiesa e sul celibato sacerdotale che protegge il suo mistero. Tale sguardo sarà il miglior baluardo contro lo spirito di divisione, contro lo spirito partitico, ma anche contro l’indifferenza e il relativismo».

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Schönborn: “Amoris laetitia è in linea con il Catechismo di Wojtyla”

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2017

Schönborn: “Amoris laetitia è in linea con il Catechismo di Wojtyla”
Il cardinale arcivescovo di Vienna è stato segretario di redazione del testo approvato da Giovanni Paolo II esattamente 25 anni fa
di Jacopo Scaramuzzi – Vatican Insder

Schönborn: “Amoris laetitia è in linea con il Catechismo di Wojtyla” dans Cardinale Christoph Schönborn Cardinale_Christoph_Sch_nborn

Con la sua esortazione apostolica sulla famiglia Amoris laetitia «Papa Francesco è totalmente in linea con il Catechismo». Lo afferma il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e figura-chiave dei due Sinodi sulla famiglia (2014-2015), in un passaggio di una intervista a Kathpress in occasione dei 25 anni della approvazione del Catechismo della Chiesa cattolica da parte di Giovanni Paolo II (11 ottobre 1992), testo del quale il porporato è stato «segretario di redazione».

Schönborn, che il Papa ha più volte citato come riferimento teologico sullaAmoris laetitia e che nei mesi scorsi è già intervenuto a commento dei dubbi («dubia», in latino) indirizzati da quattro cardinali alla esortazione apostolica del Papa sulla famiglia , risponde ad una domanda relativa al fatto che gli ultimi 25 anni hanno portato sviluppi, ad esempio tramite i due sinodi sulla famiglia, la riscoperta del «Dio misericordioso» e, appunto, la Amoris laetitia.

«Vale la pena notare – afferma Schönborn– che la terza parte del Catechismo, che tratta della morale, fornisce esattamente i presupposti che Papa Francesco fa valere nella Amoris laetitia: egli cita a più riprese il Catechismo, la sezione del Catechismo sulla morale, dove accanto alla chiara formulazione delle norme viene anche rivolto lo sguardo alla vita della persona, alla natura condizionata del comportamento umano, alla libertà della persona, alla responsabilità della persona, alle condizioni di vita e alla situazione concreta nella quale ha luogo l’azione morale della persona. È stato un grande passo, direi quasi una svolta, il fatto che il Catechismo qui abbia dedicato una più forte attenzione al soggetto che concretamente agisce, alla persona in azione, e non solo alla oggettività delle norme».

«Penso che il dibattito sulla Amoris laetitia sarebbe molto più pacifico se i critici studiassero approfonditamente la morale fondamentale del Catechismo, che è totalmente orientata a Tommaso d’Aquino: vale a dire che ogni azione morale accade in una storia, nella storia di una persona concreta, con le specificità, le possibilità, le premesse, le circostanze di vita, i limiti e le possibilità della propria libertà. Guardare da vicino ad essa e renderla visibile e percepibile quale spazio vitale concreto in cui si deve realizzare l’ideale concreto del matrimonio cristiano: questo, io credo, è l’importante contributo della Amoris laetitia, che si fonda totalmente sulla prima sezione della terza parte del Catechismo che tratta delle condizioni dell’agire umano. Suggerisco vivamente – conclude l’arcivescovo di Vienna – di leggere questa parte del Catechismo come introduzione della Amoris laetitia. In tal modo si comprenderà velocemente che Papa Francesco è totalmente in linea con il Catechismo».

Nell’intervista a Kathpress Schönborn si rammarica tra l’altro del fatto che nel mondo germanofono persistano antichi pregiudizi attorno al Catechismo. È un testo, afferma, che «spesso – grazie a Dio non dovunque – viene guardato un po’ dall’alto in basso. Con un po’ di ironia e con un antico e ripetuto pregiudizio secondo il quale è preconciliare. Ma l’idea stessa del catechismo non è un’idea preconciliare. Siamo nell’anno di Lutero. Il grande successo di Lutero è stato decisamente il “Piccolo Catechismo” e anche il “Grande Catechismo”. L’idea geniale di Lutero è stata di riassumere la fede in brevi dichiarazioni e poi presentarla in un catechismo più grande per coloro che dovevano trasmettere la fede in modo più elaborato. Ma perché nel mondo tedesco il catechismo non sia più ricevuto, per me appartiene ai “Mysteria”, i segreti che non posso spiegare, ma che mi dispiacciono».

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“Più che l’islam, scontiamo la debolezza del cristianesimo nel continente”, dice il card. Koch

Posté par atempodiblog le 23 juillet 2016

“Più che l’islam, scontiamo la debolezza del cristianesimo nel continente”, dice il card. Koch
Il card. Schönborn: “Sono necessarie prese di posizione più chiare dalle autorità musulmane”
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio

“Più che l’islam, scontiamo la debolezza del cristianesimo nel continente”, dice il card. Koch dans Articoli di Giornali e News Cristianesimo

Roma. “Il problema non è tanto nella forza dell’islam, quanto nella debolezza del cristianesimo in Europa”. A dirlo è stato il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, chiamato anni fa a Roma da Benedetto XVI per succedere a Walter Kasper e confermato nell’incarico da Francesco. Koch ha rilasciato un’ampia intervista al sito cattolico in lingua tedesca Kath.net, in cui tocca vari argomenti, a cominciare dalle relazioni con la vasta e variegata realtà ortodossa. Ma è su Europa, islam e cristianesimo che il porporato si sofferma in modo particolare, specie dopo l’ennesima strage animata dal fondamentalismo islamico, che lo scorso 14 luglio, a Nizza, ha lasciato distese sulla Promenade des Anglais ottantaquattro persone (decine sono i feriti, molti dei quali ancora in gravi condizioni).

“E’ giusto aiutare i musulmani a rendere possibile una vita secondo la loro fede nelle nostre società democratiche”, spiega il cardinale, che però aggiunge: “Ciò di cui mi rammarico un po’ è piuttosto che non si chieda con la medesima chiarezza un trattamento uguale per i cristiani nei paesi islamici”. Si può, insomma, chiedere in modo credibile la creazione di istituzioni islamiche nelle nostre società occidentali solo se (al tempo stesso) si chiede, ad esempio, che l’università greco-ortodossa di Halki, in Turchia, venga riaperta. “Si dovrebbe insistere di più sulla reciprocità”.

Il cardinale Kurt Koch cita il caso del glorioso seminario da cui sono uscite le classi dirigenti del patriarcato di Costantinopoli per più d’un secolo e mezzo. Halki è chiuso dal 1971, quando Ankara decise che sul suolo nazionale non potevano sorgere istituti superiori non pubblici (a meno che non fossero emanazione delle Forze armate o della polizia). Tre anni fa, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si disse disposto a valutare la riapertura della scuola, a patto che rinunciasse al titolo e al conseguente valore legale di scuola di educazione superiore. Proposta subito rispedita al mittente, essendo stata giudicata niente più che provocatoria. La presenza dell’islam in Europa, osserva Koch, “mette in discussione un’acquisizione fondamentale e problematica delle società occidentali, e cioè l’aver relegato la religione nella sfera privata individuale. Tutt’al contrario – continua – l’islam si concepisce come una religione pubblica, che vuole essere pubblicamente visibile”. Ecco perché “l’islam in Europa introduce la provocazione che l’ormai avanzato processo di privatizzazione della religione debba essere rivista”. Anche perché “una società che relega la religione nella sfera privata non può favorire un dialogo interreligioso”. Il cristianesimo europeo, prosegue il porporato, deve insomma “riscoprire le correnti ‘calde’ che ancora scorrono al suo interno, rimanendo fedele alle sue radici, anziché nasconderle con una falsa modestia”.

La questione delle radici era stata tirata in ballo anche dal presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, poche ore dopo l’attentato di Nizza, quando aveva detto che “siamo di fronte a una miscela esplosiva di ideologia, di follia personale e di odio. Una miscela che esplode in modo impazzito, seppure programmato e strategico, verso i paesi dell’occidente, verso la nostra Europa e questo ci deve rendere molto più avvertiti circa la consistenza e la vita della nostra cultura occidentale ed europea”.

“Dobbiamo – aggiungeva l’arcivescovo di Genova – coltivare di più i valori europei, le radici europee che sono la cultura cristiana che racchiude non una visione confessionale, ma dei valori universali, delle esperienze che sono il distillato dell’umanità. Allora l’Europa, insieme a una sicurezza crescente, alla fiducia e al coraggio, deve però anche rivedere la propria cultura perché non sia ulteriormente svuotata dei valori fondamentali dello spirito e dell’etica, ma al contrario deve recuperare se stessa, questa anima”.

Su quanto accaduto in Francia è intervenuto, con un’intervista al quotidiano austriaco Der Standard, anche il cardinale primate Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, a giudizio del quale sono necessarie “prese di posizione più chiare da parte delle autorità musulmane”. Anche perché, ha sottolineato il presule, “che sia giusto o meno, il terrore ha in questo momento un’etichetta islamica. I terroristi si definiscono aderenti all’islam non al cristianesimo o ad altre religioni, e questo è un grande problema per l’islam, con cui deve fare i conti”. Certo, “non dobbiamo dimenticare che il maggior numero di vittime del terrore sono musulmani, ma attendiamo parole molto più chiare da parte delle autorità islamiche”. Quel che serve è un profondo processo di rielaborazione e contestualizzazione dei testi sacri.

E’ vero, ha ammesso il cardinale austriaco, che anche l’Antico Testamento contiene “molti passaggi crudeli”, ma è altrettanto assodato che il cristianesimo ha saputo andare oltre l’applicazione letterale di quei passi. Cosa che l’islam non ha ancora fatto, come più volte ha fatto notare – anche a questo giornale – l’islamologo gesuita Samir Khalil Samir. Schönborn – che in un passaggio dell’intervista ammette di comprendere la “preoccupazione” generata da “una migrazione dal medio oriente e dall’Africa” che contempla “una differenza culturale e religiosa” – parla della necessità di avviare “un processo di apprendimento”, simile a quello che la religione ha affrontato più volte nella sua storia, l’ultima delle quali dopo “l’olocausto nazista” che ha causato lo sterminio di milioni di ebrei.

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Schönborn: “Stiamo mostrando il volto di un’Europa dal cuore duro”

Posté par atempodiblog le 14 avril 2016

Schönborn: “Stiamo mostrando il volto di un’Europa dal cuore duro”
L’arcivescovo di Vienna sul giro di vite ai confini contro i migranti: “Ciò che accade alla frontiera mi dà una sensazione di tristezza”
di Andrea Tornielli – La Stampa

Schönborn: “Stiamo mostrando il volto di un’Europa dal cuore duro” dans Andrea Tornielli Migranti

«Stiamo mostrando il volto di un’Europa dal cuore duro». Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, commenta così le notizie che arrivano dal Brennero e la decisione di creare controlli serrati per evitare il passaggio incontrollato di immigrati dall’Italia verso l’Austria.

Che reazione le provoca ciò che sta accadendo al confine tra Italia e Austria e, in generale, in alcuni Paesi europei?
«Una sensazione di tristezza. L’opposto della misericordia, alla quale ci richiama in continuazione Papa Francesco, è l’indurimento del cuore. Ecco, in Europa stiamo vivendo una situazione di questo tipo. Invece di accogliere pensiamo ad innalzare nuove barriere».

Come giudica questo atteggiamento?
«Dobbiamo cercare di costruire, tutti insieme e senza lasciare soli i Paesi di frontiera o i Paesi più piccoli, un’Europa che non ruoti solo intorno all’economia, ma anche alla sacralità della persona umana. Dove sono andati a finire i valori che ci hanno unito? Li abbiamo dimenticati? Rischiamo di essere un’Europa dal cuore indurito. Dietro a questa perdita di sensibilità nei confronti del prossimo c’ è l’incapacità di commuoversi, di compatire, cioè di patire insieme a questi fratelli. È una perdita di umanità, una nuova forma di paganesimo. L’antico paganesimo, come ha ripetuto più volte Joseph Ratzinger, era segnato proprio dall’ insensibilità».

Che ha significato ha la visita del Papa a Lesbo, sabato prossimo?
«La domanda che ci pone Francesco è semplice: dov’è tuo fratello? Il Papa, prima con il suo viaggio a Lampedusa e ora con la visita a Lesbo ci ricorda che siamo di fronte a delle persone umane. Prima di vedere il problema o l’emergenza, ci sono delle persone, come me e come te, e queste sono il nostro prossimo».

C’è chi obietta che non si può accogliere tutti, indiscriminatamente.
«Accogliere e ricordare i valori fondanti dell’Europa non significa non porsi il problema di come governare il fenomeno migratorio e le emergenze. Penso al peso che sopportano alcuni Paesi che sono sull’orlo del collasso, dove si trovano a vivere ammassati nei campi milioni di profughi: parlo del Libano, della Giordania, della Turchia, ad esempio. Penso poi agli avamposti della nostra Europa, a isole come quella che visiterà il Papa. Bisogna mettere sempre al centro la dignità umana degli immigrati, che non sono numeri per le nostre statistiche. Sono donne, bambini, giovani, uomini, anziani.

Persone in carne e ossa che fuggono dalla disperazione, che hanno lasciato tutto, che spesso non hanno più una casa. Finché non ci abitueremo a vedere i volti in carne e ossa delle persone dietro i numeri, non ritroveremo quel cuore che l’Europa, l’Europa cristiana, sembra aver smarrito. Non ci possiamo permettere di smarrire i valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca, anche se in certi momenti della storia, come ha ricordato Papa Francesco, possono essere un peso difficile da portare».

Cosa bisogna fare, secondo lei?
«Ci sono le emergenze da affrontare con buon senso, ragionevolezza e accoglienza, coinvolgendo tutti i Paesi della Ue. Non dobbiamo mai dimenticare, tra l’altro, le responsabilità che abbiamo come Occidente nei confronti di certi Paesi i cui cittadini pagano le conseguenze delle nostre guerre. Ma oltre l’emergenza, servono politiche concrete che aiutino i Paesi di provenienza dei migranti a superare i conflitti interni e a svilupparsi garantendo la pace. Noi dovremmo lavorare per superare i conflitti, non per alimentarli»

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La storia del Dio che muore è accaduta realmente

Posté par atempodiblog le 28 mars 2014

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Il Cardinale Schönborn ricorda la conversione del grande scrittore britannico Clive Staples Lewis, che aveva letto un’opera in dodici volumi su questi miti*, ed era giunto alla conclusione che anche questo Gesù, che prese in mano il pane e disse: “Questo è il mio corpo”, fosse soltanto “un’altra divinità del grano, un re del grano che offre la sua vita per la vita del mondo”. Un giorno, tuttavia udì in una conversazione “un ateo convinto […] osservare che le prove della storicità dei Vangeli sarebbero sorprendentemente persuasive”. Allora pensò: “Strana faccenda. Tutta la storia del Dio che muore – pare che, una volta, sia accaduta realmente”. Si è accaduta realmente. Gesù non è un mito, è un uomo fatto di carne e di sangue, una presenza tutta reale nella storia. Possiamo visitare i luoghi e seguire le vie che Egli ha percorso. Possiamo, per il tramite dei testimoni, udire le sue parole. Egli è morto ed è risorto. Il mistero della passione del pane l’ha per così dire aspettato, si è proteso verso di Lui, e i miti hanno aspettato Lui, in cui il desiderio è diventato realtà. Lo stesso vale per il vino. Anch’esso reca una passione; è stato pigiato, e così l’uva si è trasformata in vino. I Padri hanno interpretato ulteriormente questo linguaggio nascosto dei doni eucaristici. Vorrei aggiungere qui un solo esempio. Nella cosiddetta Didaché (un’opera che con buona probabilità risale intorno all’anno 100) si prega sul pane destinato all’Eucaristia: “Come questo pane spezzato era disperso sui monti e, raccolto, è divenuto uno, così la tua Chiesa sia raccolta dalle estremità della terra nel tuo regno” (IX,4)

*della morte e della resurrezione della divinità, di cui il pane era diventato il punto di partenza.

Tratto da Gesù di Nazaret di Benedetto XVI

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L’arte sacra è ancora capace di bellezza

Posté par atempodiblog le 29 juin 2013

L’arte sacra è ancora capace di bellezza
del Card. Christoph Schönborn arcivescovo di Vienna
Tratto da: Abbazia Santa Maria di Finalpia

L'arte sacra è ancora capace di bellezza dans Cardinale Christoph Schönborn 2llv
La più antica icona di Gesù, Sinai, VI sec.

La tradizione orientale dell’icona, raffigurazione pittorica del Cristo e della sua spiritualità, è diventata un elemento di unione, un punto di incontro per molti cristiani. L’icona è quasi onnipresente nella Chiesa d’Oriente come in quella d’Occidente. Il suo linguaggio, il suo simbolismo, e tutto ciò che emana da essa sembrano davvero toccare il cuore di molti dei nostri contemporanei. Ci si è spesso interrogati sul perché, recentemente, l’arte dell’icona sia diventata l’espressione privilegiata della fede  cristiana.
Potrebbe esserci una componente di ‘moda’ (che alcuni ortodossi rimproverano ai cristiani d’Occidente, poiché hanno l’impressione che la tradizione orientale venga abusivamente ‘utilizzata’ dagli occidentali). Io credo che alla base vi sia qualcosa di più profondo. Il sensus fidei riconosce nella tradizione iconica dell’Oriente una sorta di espressione «canonica» della nostra fede, un’espressione che va al di là delle mode e delle fluttuazioni culturali del linguaggio artistico cristiano.
L’icona non è atemporale, è soggetta a variazioni stilistiche, alle varie scuole, a «sfumature culturali»; non è affatto statica e immobile come le è stato spesso rimproverato.
Qual è allora il segreto del suo fascino, la chiave di lettura per la comprensione del suo mistero, e la ragione della sua grande stabilità d’espressione? Penso che la ragione ultima di questo sia il Mistero di Cristo stesso, Verbo Incarnato, Dio fattosi uomo, divenuto «circoscrivibile», come amano dire i santi difensori delle immagini, san Teodoro Studita e san Niceforo di Costantinopoli.
Al di là delle influenze culturali, dei legami con le tradizioni iconografiche precristiane, delle variazioni artistiche, l’arte dell’icona ha un fondamento comune, un’unica origine: è il mistero del Santo Volto di Cristo  Gesù.
C’è quel volto unico, quel Gesù che gli apostoli hanno conosciuto, con il quale hanno mangiato e bevuto, che hanno visto trasfigurato e schernito, raggiante della gloria divina del Tabor, e flagellato e coronato di spine. È il viso unico di Gesù, figlio di Maria, Figlio di Dio, che si è impresso nellamemoria di Pietro.
È lo sguardo di Colui che Pietro aveva appena rinnegato, e che lo guardava in un modo che più niente al mondo ha potuto cancellare dalla sua memoria e dal suo cuore.
Quel Gesù è il fondamento dell’Icona, della sua fedeltà (caratteristica che non è, come alcuni pensano, caricaturandola, immobilismo), del suo immutato potere d’attrazione. Essa ci attira in quanto icona del Cristo. È perché vogliamo vedere il Cristo che l’icona ci parla. È perché i fedeli (e spesso anche i non credenti) possano dire, guardando un’icona di Cristo: «È Gesù!» che l’icona parla loro. Quello che conta nell’icona non è tanto la qualità artistica, la grandezza dell’opera d’arte – seppur importante e tutt’altro che trascurabile, poiché essa è una vera mediazione per l’incontro con Cristo – ma la forza della presenza, in essa, di Cristo  stesso.
Qui non entrerò nel dibattito sull’estetica. Gli iconoclasti, così come l’Islam, ammettevano l’arte, ma essa doveva limitarsi strettamente all’ambito del profano. L’iconoclastia era, in un certo senso, una secolarizzazione radicale dell’arte, una desacralizzazione dell’attività artistica. Vi è una certa concezione di ciò che è «cristiano» e quindi di ciò che è il Mistero del Cristo. A questo riguardo, è significativo constatare che tutto il dibattito per giustificare l’arte cristiana, le immagini sacre di Cristo e dei suoi Santi, si è sviluppato intorno al Mistero di Cristo.
Studiando la controversia iconoclasta, sono stato colpito dalla chiarezza con cui i difensori delle immagini hanno visto in questo dibattito non una questione di estetica, ma innanzitutto una questione cristologica. I padri del secondo Concilio di Nicea (787) ne erano ben coscienti. Per loro l’affermazione della legittimità dell’icona di Cristo era come il sigillo apposto alla confessione della sua divinità stabilita dal primo Concilio di Nicea (325) e della sua divino-umanità affermata dal Concilio di Calcedonia (451). La Chiesa ortodossa festeggia la vittoria definitiva dei difensori delle
immagini nell’843 come il ‘trionfo dell’Ortodossia’, celebrato liturgicamente ogni anno la prima domenica di Quaresima.

3fp dans Riflessioni
La Madonna dei pellegrini nella chiesa di Sant’Agostino a Roma

L’icona di Cristo: riassunto della fede cristiana!
Tale affermazione potrebbe  sembrare esagerata. A considerare attentamente la cosa, però, ci si rende conto che non è affatto così. Esiste una possibilità di verifica di questa tesi, che è sempre più di attualità: il rapporto dell’Islam con l’arte sacra. Non sono assolutamente uno specialista in materia, ma mi affido a degli studi competenti. Se l’Islam rifiuta, in generale, l’immagine antropomorfica e lascia spazio solo all’ornamento e alla scrittura, ciò non è semplicemente il risultato di una teoria artistica ed estetica, ma la conseguenza diretta della sua visione di un Dio unico che, in questo mondo, non ha nessuna corrispondenza e niente può rappresentare, evocare e, in un certo senso, nemmeno simbolizzare.
In occasione del mio viaggio in Iran, nel 2001, sono stato colpito dalla frequenza con la quale mi è stato spiegato che non dovevo parlare dell’uomo-immagine di Dio. Quello che, per la fede giudeo-cristiana, è un assunto profondamente radicato nel mistero dell’Incarnazione, cioè che l’uomo sia veramente ad imaginem et similitudinem del suo creatore, viene fermamente respinto dall’Islam. Dio è unico e non ha eguali: la sura Al-Ikhlâs («Il puro  monoteismo», Corano CXII) che ogni musulmano recita ogni giorno, dice quanto segue: «Dì: ‘Egli Allah è Unico, Allah è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è uguale a Lui’».
Non vi è quindi nessuna rappresentazione di Dio nel mondo. Il fatto che l’Islam sia un culto aniconico non deriva da una teoria estetica. È una
conseguenza della fede islamica in un Dio che niente può rappresentare.
Solo la luce, nella moschea, sarebbe, secondo alcuni, un’evocazione metaforica del divino. E la luce è infatti senza forma né figura.
Per quanto riguarda la fede cristiana, le cose sono diverse. Poiché il Creatore parla tramite la sua creatura, le tracce del divino sono «leggibili», non senza difficoltà, certo, ma in maniera reale. È soprattutto l’uomo, vero e proprio luogotenente di Dio nella creazione, a essere immagine di Dio. Tutta la sua opera parla di Lui, soprattutto l’uomo. La proibizione dell’immagine nell’Antica Alleanza ha un senso più pedagogico che
ontologico. Poiché il cuore dell’uomo è una fabbrica di idoli, bisognava estirparne qualsiasi tentazione di idolatria. Ma fondamentalmente Dio si fa conoscere attraverso le sue opere. È questa la chiave d’accesso all’arte sacra.

Il Mistero divino-umano di Cristo approfondisce questo ordine della creazione, conferendogli la sua statura definitiva. Vi è veramente un viso umano che è «l’icona del Dio visibile» (Col 1,15). Poiché il Verbo si è fatto carne, poiché Cristo, di condizione divina, ha scelto la condizione di schiavo e ha fatto propria la sua umanità concreta, le realtà umane, le cose di questo mondo, sono diventate luoghi della sua presenza, capaci di essere la sua espressione, la sua traccia, il suo linguaggio.
Secondo me, i quadri di Caravaggio sono una manifestazione eccezionalmente densa di tale fondamento «divino-umano» che si è sviluppato sul suolo cristiano. La Madonna dei pellegrini nella chiesa di Sant’Agostino a Roma ne è, per quanto mi riguarda, l’esempio più prodigioso. I pellegrini in ginocchio, a piedi nudi (e coperti di polvere) davanti a questa matrona con un bambino già troppo grande per essere tenuto in braccio dalla madre: dall’insieme emana un realismo «carnale», come direbbe Charles Péguy, che potrebbe scioccare (e che ha scioccato) per la mancanza di dimensioni e di senso sacri.
Ebbene, è proprio il realismo dell’incarnazione che permette di avvicinarsi alla sacralità, a Cristo e a sua Madre in un modo così vicino alla terra.
La fede cristiana nell’incarnazione è alle origini di un’arte che può chinarsi a osservare con tanta attenzione le cose della terra. Oso pensare che il grande sviluppo dell’arte, sacra e profana, in terra di cristianità innanzitutto s’ispiri (senza perciò rinnegare le altre fonti) a quell’inaudito Sì alla terra che è l’Incarnazione del Figlio di Dio. Questo Sì al concreto, alla materia, al mondo visibile è il germe dell’esplosiva creatività conosciuta dall’arte occidentale.
Mi permetto di seguire ancora per un poco questa idea. Conosciamo l’insegnamento classico sui «trascendentali», il vero, il buono, il bello. Tutti questi attributi non sono esteriori a Dio. Essi sono Dio stesso. Egli è la Verità e il Bene, egli è Amore, ed è Bellezza. Verità e Bontà, Amore e Bellezza sono, come dicono gli scolastici, convertibili, e coincidono con l’Essere stesso di Dio. Tutta la bellezza creata è una partecipazione alla bellezza infinita dell’essere di Dio. Se ciò è vero, il passo successivo consiste nel dire che il Verbo, facendosi carne, ha per così dire «incarnato» la bontà e l’amore, la verità e la bellezza infinita di Dio.
Cristo è «il più bello dei figli dell’uomo», non a causa delle sue qualità estetiche particolari, ma perché è la bellezza incarnata di Dio. Tutto il suo essere è amore e verità, bontà e bellezza. Come Cristo può dire di se stesso: «Io sono il Cammino, la Verità e la Via», così può dire altrettanto giustamente «Io sono la Bellezza». Cristo può dire di se stesso quello che solo Dio può dire: «Io sono». L’Essere, il Vero e il Bene sono, secondo il termine scolastico, convertibili. Se Cristo è la Verità e la Bontà, egli è anche quello che costituisce il loro splendore: la Bellezza: Splendor Veritatis, Splendor Boni!
Per riassumere questo passaggio della mia riflessione direi, parafrasando sant’Ireneo che affermava: «Cristo, nella sua venuta, ha portato con sé tutta la novità»: «Cristo, nella sua Incarnazione, ha portato con sé tutta la bellezza ». È lui la misura della Bellezza, è lui che porta, con la sua venuta, un nuovo sguardo sulla bellezza. Egli è, per così dire, «il canone della Bellezza». Non solo ha ristabilito la bellezza originale della creazione, perduta e profanata dal peccato e dal male, ma ha anche portato, nella sua propria persona, il principio di tutta la bellezza. Da lui si spandono sul mondo le acque sorgive della bellezza. E tutte le bellezze del mondo, siano esse bellezze della natura, della virtù o dell’arte, sono emanazioni della Sua  Bellezza.
«Tu sei il più bello degli uomini». Queste parole del salmo reale, lette come un annuncio del Cristo, non vogliono dire che Gesù sia, secondo criteri prestabiliti da un’estetica mondana, il più perfetto modello di bellezza. «Sei la fonte di ogni bellezza umana». In te ci è rivelato che cosa è la bellezza, e da te riceviamo lo sguardo per vederla, i criteri per discernerla e la forza per imitarla e trasmetterla.
È bello ciò che è di Cristo: un noto testo di sant’Agostino può essere riassunto così. È bello perché è di Cristo. Perché tutto in Lui emana giustizia, misericordia e amore. Come rendere più chiara questa affermazione? Padre Pio era forse bello? Probabilmente no, secondo i criteri del mondo; probabilmente sì, secondo quelli della bellezza di Cristo. Sorin Dumitrescu, squisito artista (e coraggioso editore), pittore di icone contemporanee, ha pubblicato un calendario con i primi piani di dodici starez rumeni ortodossi. La bellezza di questi vecchi volti solcati da profonde rughe è una prova eclatante di quello che significa la bellezza di Cristo.

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La carità

Posté par atempodiblog le 12 février 2013

La carità dans Cardinale Christoph Schönborn christophschnborn

“La carità è la virtù impossibile senza la grazia in atto. La fede, a modo loro, l’hanno anche i demoni. A modo loro anche i demoni riconoscono il Signore che rifiutano. Ma un atto di vera carità è impossibile senza che la grazia agisca. La carità è la virtù che non può in alcun modo operare senza una particolare azione della grazia. Come diceva santa Teresina: «Quando io sono caritatevole, è solo Gesù che agisce in me»”.

Card. Christoph Schönborn

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Gesù è il « canone della Bellezza »

Posté par atempodiblog le 12 décembre 2011

Gesù è il

«Cristo, nella sua Incarnazione, ha portato con sé tutta la Bellezza. È lui la misura della Bellezza, è lui che porta, con la sua venuta, un nuovo sguardo sulla bellezza. Egli è, per così dire, il “canone della Bellezza”».

Card. Christoph Schönborn

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Guerra santa a Medjugorje

Posté par atempodiblog le 10 octobre 2010

L’apparizione che divide la Chiesa. Shönborn ci crede ma Roma è prudente. L’indagine di Ruini.
di Paolo Rodari - Il Foglio

Guerra santa a Medjugorje dans Cardinale Christoph Schönborn medjugore

L’ultima mossa del cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schonborn è del 23 settembre scorso. Incurante delle richieste di prudenza più volte espresse dalla curia romana, Schonborn ha aperto le porte della monumentale Stephansdom, la cattedrale di Santo Stefano, a due dei sei veggenti di Medjugorje: Marija Pavlovic e Ivan Dragicevic. Davanti a centinaia di fedeli, i due hanno parlato delle apparizioni, dei messaggi che la Madonna affida loro da quasi trent’anni. Poi, sull’altare antistante la tomba in marmo rosso dell’imperatore Federico III, ha preso posto lo stesso cardinale arcivescovo che si è rivolto ai due medjugorjani con queste parole: « Grazie di essere qui in mezzo a noi. Grazie per il servizio che avete reso in tutti questi anni ».
Da quasi tre decenni la battaglia su Medjugorje è aperta dentro la chiesa cattolica. Da una parte la curia romana che resiste scettica, a volte prevenuta, sempre e comunque prudente. Dall’altra diverse personalità ecclesiastiche e il popolo che in massa si riversa da ogni parte del mondo nel paesino dell’Erzegovina dove il 24 giugno del 1981 sei giovani dichiararono di aver avuto, sulla collina Crnica, nel luogo chiamato Podbrdo, un’apparizione. Videro una figura bianca con un bambino nelle braccia. « Abbiamo visto la Madonna », dissero. Per tanti anni le apparizioni furono quotidiane. Dal 1987 la Madonna appare ogni 25 del mese e soltanto a Marija. Gli altri hanno apparizioni più sporadiche.

Roma chiede silenzio, prudenza, passi brevi e molto ponderati. Mentre diversi sacerdoti e vescovi, tra questi Schönborn, agiscono più d’istinto. Sentono che a Medjugorje, come fu a Fatima e Lourdes, il soprannaturale parla e si manifesta. L’arcivescovo di Vienna sa bene quanto i suoi interventi pro Medjugorje infastidiscano Roma. Ma sembra non curarsene, spinto probabilmente anche dal richiamo dell’Erzegovina che un tempo fu terra dell’Impero: un richiamo importante per un nobiluomo di ascendenza asburgica. La devozione popolare è alimentata anche dal combattivo padre Livio Fanzaga di Radio Maria. Dalla comunità Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante, E da tante parrocchie, molte italiane, che ai treni per Lourdes e ai voli per Fatima preferiscono i pullman per Medjugorje.
A Roma il partito degli anti visionari non è dell’ultima ora, Le resistenze interne è da tempo che giocano un ruolo imporrtante, Dice il decano dei vaticanisti Benny Lai: « La curia gioca il suo ruolo di istituzione monolitica. Cerca sempre di resistere fino all’ultimo ai visionari, veri o presunti tali. Ancora oggi le guarigioni di Lourdes sono guardate con sospetto, Medjugorje, in particolare, non è mai stata presa in seria considerazione dall’apparato, Certo, Giovanni Paolo II aveva una posizione aperta su Medjugorje, Come ce l’aveva, ad esempio, su padre Pio da Pietralcina. Ma un conto è l’idea personale di un Pontefice, un altro è la voce ufficiale della chiesa, Una voce che non può tollerare i passi in avanti troppo affrettati di singoli vescovi o cardinali che siano ».
Fu lo scorso gennaio che Schönborn si recò in visita a Medjugorje, una televisione al proprio seguito, Da qui lanciò un messaggio a tutta la chiesa: « Bisogna chiudere gli occhi per dubitare che a Medjugorje scorrano fiumi di grazia ». Immediata fu la reazione del vescovo di Mostar (la diocesi in cui ricade Medjugorje), monsignor Ratko Peric. In una nota ufficiale si lamentò di non essere stato preventivamente informato da Schönborn del suo arrivo. Da Mostar i malumori arrivarono fino a Roma.
Tanto che, lo scorso giugno, quando Benedetto XVI ricevette Schönborn dopo le accuse rivolte all’ex segretario di stato vaticano Angelo Sodano di aver insabbiato a suo tempo l’inchiesta sugli atti di pedofilia che avrebbe compiuto l’ex arcivescovo di Vienna Hans Hermann Groer, si dice che parlò con Schonborn anche di Medjugorje e dell’inopportunità della sua visita.

L’anti medjugorjanesimo romano ha radici profonde nella Congregazione per la dottrina della fede, Sul dossier Medjugorje ci sono fin da quando lavorava all’ex Sant’Uffizio, Tarcisio Bertone, oggi segretario di Stato vaticano, e Angelo Amato, oggi prefetto dei Santi. Bertone è sempre stato un tignoso quanto ad apparizioni mariane. Su Fatima sostiene che nulla c’è da rivelare di quanto già non si sappia. E su Medjugorje? Nel 2005, quando era arcivescovo di Genova, andò a Porta a Porta e li disse la sua. Scoppiò un pandemonio tra preti e fedeli, « Radio Maria, rivolta contro Il cardinale », titolò Il Corriere della Sera. Cosa accadde? Bertone non negò il diritto a pregare la Vergine in quei luoghi, ma deplorò « gli eccessi di fanatismo, come i manifestini distribuiti in diverse chiese, nei quali si assicura anche la possibilità di assistere a un’apparizione della Madonna, a ora stabilita ». E ancora: « Dal 1981 a oggi Maria sarebbe apparsa decine di migliaia di volte a Medjugorje. Questo è un fenomeno non assimilabile ad altre apparizioni mariane ». Radio Maria reagì furente. In diretta padre Livio proruppe contro lo « scetticismo » del cardinale. Che rispose: « Sono reazioni scomposte e offensive di fedeli e sacerdoti che si definiscono medjugorjani”. E ancora: « Sono attacchi inaccettabili non certo compatibili con i fautori di un’autentica devozione mariana ». Quindi l’ordine rivolto dall’alto all’Opera romana pellegrinaggi di depennare dal catalogo le visite al più famoso santuario della ex Jugoslavia.

Benedetto XVI ha sempre ascoltato il giudizio del suo braccio destro fin dai tempi dell’ex Sant’Uffizio. Ratzinger scoprì Bertone nel 1988 e da allora in poi lo mise all’opera sulle questioni più intricate e scottanti: lo scisma di Marcel Lefebvre, la teologia della liberazione, i padri di famiglia ordinati preti nella Cecoslovacchia comunista, il terzo segreto di Fatima, lo scandalo dei preti pedofili negli Stati Uniti, il matrimonio dell’arcivescovo Emmanuel Milingo con una seguace della setta di Moon e, appunto, il dossier Medjugorje. Bertone e la Dottrina della fede hanno lavorato in simbiosi con la diocesi di Mostar. Qui il vescovo Pavao Zanic prima, e poi il suo successore Ratko Peric, hanno sempre avuto una posizione scettica. Fu l’11 ottobre 1984 che Zanic disse: « Dichiaro che è tutta una grande truffa, un inganno… non ci sono apparizioni della Madonna… io credo che c’è il Demonio! ». Una posizione forte, alla quale seguì una nota del 1991 della Conferenza episcopale Jugoslava: « Sulla base delle ricerche finora compiute non è possibile dichiarare che si tratti di apparizioni e fenomeni soprannaturali ». Parole che per il partito degli anti medjugorjani sono la conferma che è tutto un bluff. Mentre per i medjugorjani no. Dicono: « La Conferenza episcopale jugoslava non dice che non vi sono apparizioni, ma solo che non sono ancora state confermate ».
E’ stato Papa Ratzinger, la scorsa primavera, a riaprire tutto. Con un’azione a sorpresa ha istituito una Commissione internazionale d’inchiesta guidata dal cardinale Camillo Ruini. Da tempo c’è chi sostiene che Ruini sia scettico su Medjugorje e che dunque l’esito dell’inchiesta sia in qualche modo scontato. Ma è davvero così? Davvero Ruini affosserà Medjugorje, trent’anni di apparizioni e migliaia di conversioni comprese? In Vaticano si dicono due cose. Anzitutto che è stato Ruini a lasciare fuori dalla Commissione, composta da circa venti persone, l’attuale vescovo di Mostar, Ratko Peric. E ciò significa che per volere di Ruini ai lavori non partecipa la personalità ecclesiastica che più di altre è contraria al riconoscimento dell’autenticità delle apparizioni. In secondo luogo, si ritiene che oggi sia del tutto prematuro fare previsioni. I tempi dell’inchiesta sono lunghi, si parla addirittura di anni. Anche perché è difficile esprimersi in maniera definitiva mentre le apparizioni ancora hanno luogo. Una prima volta la Commissione si è riunita il 26 marzo scorso ma non ha fatto altro che dividere il da farsi secondo argomenti diversi. Tra questi, il capitolo « traduzioni ». Già, perché è dalle traduzioni dei messaggi della Madonna che dipende principalmente l’esito dei lavori guidati da Ruini. I veggenti hanno lasciato in questi anni migliaia di messaggi che, dicono, ha comunicato loro la Madonna. E oggi il problema principale è tornare indietro nel tempo e recuperare soltanto quelli autentici.
Infatti, i messaggi, veicolati dai veggenti in lingua croata, hanno avuto centinaia di traduzioni in tutte le lingue del mondo. Le traduzioni si sono sovrapposte ai testi originali ed è difficile, soprattutto coi messaggi dei primi anni, distinguere tra gli originali e gli apocrifi. Nei primi anni Ottanta, ad esempio, vi fu uno scontro durissimo tra il vescovo di Mostar e i francescani che risiedono vicino alla parrocchia di Medjugorje. La curia voleva meno protagonismo da parte dei francescani che invece rivendicavano un ruolo importante rispetto alla parrocchia e ai veggenti. Secondo alcuni messaggi riportati dagli stessi veggenti la Madonna prese posizioni in questa disputa a favore dei francescani. « Non ubbidite a nessuno! », disse il 15 aprile 1982 la Madonna secondo quanto ha riportato la veggente Vicka. È anche su queste dichiarazioni che Ruini deve lavorare.

Oltre ai messaggi c’è il problema dei segreti. Come a Fatima, anche Medjugorje ha nel suo bagaglio diversi segreti. Dieci, per l’esattezza. Oggi ancora non sono stati rivelati. Sono un macigno misterioso che pesa e fa paura alla chiesa, alla curia di Roma, alla Dottrina della fede. Anche perché si descrivono gli eventi che si verificheranno se l’umanità non riuscirà a ravvedersi. Sostengono i veggenti che con la realizzazione dei segreti la vita nel mondo cambierà: dopo la loro manifestazione, gli uomini crederanno come nei tempi antichi. Una veggente, Mirjana, ha dichiarato che dieci giorni prima della realizzazione di ogni segreto avviserà un sacerdote, il padre francescano Petar Ljubicic, incaricandolo di rivelarli. Egli dovrà digiunare per sette giorni e avrà il compito di rivelarli tre giorni prima della loro realizzazione. Poiché è arbitro della sua missione, potrebbe tenerli per sé, come fece Giovanni XXIII per il segreto di Fatima, la cui rivelazione era autorizzata per il 1960. Tuttavia, padre Petar è fermamente intenzionato a rivelarli: è stato interrogato in proposito anche da Antonio Socci nel 2004 e ha confermato che lo farà « senz’altro ». E se si tiene conto che padre Petar ha già sessant’anni, i tempi delle rivelazioni non possono essere lontani.
E Benedetto XVI? Nella battaglia tra favorevoli e contrari egli sembra stare nel mezzo. Se Giovanni Paolo II era difatti convinto della verità di queste apparizioni, Ratzinger sembra voler restare un passo indietro. Nel 2000, quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio, scrisse un « Commento teologico » circa le apparizioni mariane. C’è rivelazione e rivelazione, spiegò, nel solco di quanto già scrisse nel Settecento il dotto cardinale Prospero Lambertini, poi Papa col nome di Benedetto XIV. Un conto è la rivelazione che si è espressa definitivamente in Gesù, che esige dal cristiano un pieno assenso di fede cattolica. Un conto sono le rivelazioni « private »: meritevoli queste « di un assentimento di fede umana conforme alle regole della prudenza, che ce le presenta come probabili e piamente credibili ». Queste rivelazioni sono un « aiuto che è offerto per comprendere e vivere meglio il Vangelo, ma del quale non è obbligatorio fare uso ». Non è scorretto pensare che ancora oggi il Papa si mantenga al livello di quanto espresso nel dotto commento teologico. Ma dice Antonio Socci: « Incontrai Ratzinger a Belluno poco prima dell’elezione al soglio di Pietro e gli chiesi di Medjugorje. Non si sbilanciò molto ma mi chiese cosa avessi visto io a Medjugorje. Gli raccontai del fiume di gente convertita… Mi disse: “Ovviamente questo aspetto è decisivo. Perché la chiesa non può chiudere la porta dove la gente ritrova la fede”.
Ratzinger pare non sia mai andato a Medjugorje. Così Karol Wojtyla. Ma sono tantissimi i vescovi e i cardinali che, spesso in incognito, sono andati a vedere. Molti hanno aspettato di diventare « emeriti », di non avere più incarichi importanti, per raggiungere, sempre in viaggi segreti, l’Erzegovina. Così fece, prima di morire il cardinale Corrado Ursi (di Napoli). Vescovo di nomina pacelliana, esponente di spicco di quel rinnovamento liturgico che nel post Concilio tanto ha fatto parlare di sé, per andare a Medjugorje affrontò un viaggio di 1.500 chilometri in macchina. Aveva 94 anni. Arrivando disse: « Quanta gioia e grazia per essere presenti qui ».

Recentemente è stata la volta del cardinale Bernardino Echevarria Ruiz, arcivescovo emerito di Guayaquil (Ecuador). A Medjugorje ha detto: « I messaggi della Madonna sono totalmente biblici ». Poco prima di morire arrivò a Medjugorje il cardinale arcivescovo di Praga Frantisek Tomasek, noto in tutto il mondo soprattutto per l’epica opposizione al comunismo nell’ex Cecoslovacchia. Disse: « Ritengo che dobbiamo anche agli eventi di Medjugorje una parte della nostra grande primavera spirituale, che Dio ci ha donato per mezzo di Maria. La preghiera e il digiuno, la fede e la conversione e l’invito alla pace possono venire solo da Dio. Per dirla semplicemente, sento parlare molto di Medjugorje, ma vorrei sentirne parlare di più ». Indimenticato, infine, è rimasto tra i medjugorjani l’affondo di uno dei più profondi teologi della nostra epoca: Hans Urs Von Balthasar. Fondatore della rivista Communio, amico e maestro di Joseph Ratzinger – morì poco prima di ricevere da Giovanni Paolo II la berretta cardinalizia per meriti « alla carriera » -, intervenne su Medjugorje dopo che il vescovo di Mostar, Zanic, risentito coi francescani residenti vicino alla parrocchia, aveva attaccato Medjugòrje con queste parole: « Una vicenda in cui compaiono frati ribelli e sospesi a divinis, segreti e vite della Vergine mai rivelati, personaggi che si ritengono inviati dalla provvidenza, guarigioni mai verificate e gente che si rovina la vista guardando il sole ». Von Balthasar prese carta e penna e scrisse a Zanic queste lapidarie parole: « Monsignore! Come è possibile che lei abbia mandato un tanto triste documento in tutto il mondo! Mi sono sentito profondamente colpito vedendo la funzione episcopale tanto degradata. Invece di avere pazienza, come le era stato raccomandato da più persone, lei tuona e scaglia saette a scapito di persone note e innocenti, degne del suo rispetto e della sua tutela. Ripete delle accuse che sono state confutate cento volte ».
Von Balthasar accusa Zanic di non avere avuto pazienza. La stessa accusa che oggi da Roma viene fatta a vescovi e cardinali troppo frettolosi di mostrarsi medjugorjani. A Ruini il compito di arbitrare tra le due correnti contendenti. Con molta pazienza.

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Omelia del Cardinal dr. Christoph Schönborn alla veglia di Capodanno

Posté par atempodiblog le 9 janvier 2010

Omelia del Cardinal Schönborn alla veglia di Capodanno, Medjugorje 31 dicembre 2009

Omelia del Cardinal dr. Christoph Schönborn alla veglia di Capodanno dans Cardinale Christoph Schönborn medjugorje

Cari fratelli e sorelle, qui in chiesa o nei luoghi davanti alla chiesa o nel salone giallo, siamo tutti consapevoli che è un grande privilegio non dover festeggiare il nuovo anno con lo Champagne – forse più tardi – [applausi e risa] ma con Maria, Giuseppe, il Bambino nella greppia, con gli angeli.
Tutti noi siamo venuti a Medjugorje per essere in questo giorno in special modo vicini alla Madre del Signore. O più esattamente dobbiamo dire che siamo venuti qui perché sappiamo che la Madre del Signore vuol essere vicina a noi.
Con lei vogliamo iniziare il nuovo anno, e la prima cosa che mi commuove, se penso al presepio e ai pastori, è che non c’era nessun angelo. Qui [indica il presepio alla base dell'altare] ci sono due angeli sopra la grotta, ma nel vangelo non ci sono; erano nel campo dei pastori, una grande schiera di angeli, ma Maria e Giuseppe ne hanno solo sentito parlare, i pastori glielo hanno raccontato!
Neanche voi avete visto la Gospa, ma qui ci sono delle persone che ce lo hanno raccontato. E noi confidiamo che la Madonna ci è veramente vicina. La fede viene dall’ascolto e mi impressiona per prima cosa che nel vangelo di oggi si parla di ascolto. Prima di tutto dobbiamo ascoltare il lieto annuncio. Abbiamo due orecchie, due occhi e una bocca: questo significa che dobbiamo ascoltare molto, guardare molto e poi parlare. E cosa dobbiamo dire? Dobbiamo raccontare ciò che abbiamo visto e udito. Il mondo necessita di una nuova evangelizzazione, questa avviene solo se è impossibile che tacciano coloro che hanno visto e udito. Tutti noi abbiamo ricevuto la fede e nel battesimo abbiamo ricevuto il compito di comunicarla ad altri. I pastori hanno raccontato ciò che era stato loro detto e da questo tutto è continuato. Il vangelo, la buona novella, è stata raccontata, e quelli che l’hanno riferita erano credibili. Quelli che hanno udito, hanno anche visto che le parole erano in accordo con la vita, che ciò che i testimoni dicevano trovava corrispondenza anche nella loro vita.
Come possiamo diventare testimoni del vangelo? Prima di tutto in quanto guardiamo a Maria. Maria conservava e meditava nel suo cuore tutto quello che era accaduto. Fratelli e sorelle, ciò di cui urgentemente abbiamo bisogno nel nostro tempo è la preghiera. Lo dico con un po’ di tristezza, so che prego troppo poco. So che la preghiera è la vita. Senza un vivo rapporto con Dio la nostra vita diventa arida e vuota. Perché la Madonna ci dice continuamente di pregare? Prendetevi il tempo per la preghiera. Un buon proposito per il nuovo anno, per noi sacerdoti, diaconi e per tutti. Tempo per la preghiera. C’è così tanta forza, così tanta gioia, troppo chiaro. Preghiamo Maria che ci aiuti a pregare di più. Se preghiamo le nostre parole sono piene di vita e poi la nostra testimonianza è credibile.
Vorrei spendere due parole su ciò che l’apostolo Paolo ci ha detto. L’anno paolino è già finito e ora siamo nell’anno sacerdotale, ma le parole dell’apostolo Paolo erano così forti perché erano piene di vita. Nella lettura di oggi ci dice che Dio ha mandato suo Figlio per farci diventare figli. Le figlie non sono escluse, si intende, figli e figlie insieme, ma Paolo dice che siamo chiamati a diventare figli, e non schiavi. Così come Gesù è figlio di Dio, così possiamo anche noi chiamarlo Padre. All’inizio di quest’anno l’apostolo Paolo ci dice: voi siete figli e non schiavi.
Io penso che Medjugorje è un posto dove si confessa molto e la confessione è la liberazione dalla schiavitù del peccato. Dio ci vuole avere come figli. Libertà dei figli di Dio, e per questo ci ha donato il sacramento della confessione. Dobbiamo avere un nuovo atteggiamento verso Dio, poterlo chiamare Abbà. Gesù ci ha chiamato ad avere fiducia in lui, ad avere fiducia in Dio. C’è troppa paura di Dio in noi, Jezu ufam tobie, Gesù confido in te – so anche il polacco – [alcune risate, quelli che capiscono la battuta], Jezu ufam tobie, Gesù confido in te [applausi].
Il Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato questo messaggio: abbiate fiducia nella misericordia di Dio, abbiate fiducia nella misericordia di Gesù. A volte, avere fiducia può essere eroico, quando la vita si fa difficile, quando un matrimonio diventa un peso, quando una malattia ci opprime, quando non sappiamo come andrà col nostro lavoro. Allora, dire Jezu ufam tobie, può essere eroico. Avere fiducia è veramente un atto di fede, e ancora guardiamo a Maria: chi ha donato un atto di fiducia, di fede, più grande di Maria? Jezu ufam tobie: questo sia il nostro programma per l’anno che viene.
E’ quasi mezzanotte e si sentono i botti, ma noi non tiriamo petardi, noi cantiamo [applauso]. E un’ultima parola: i pastori tornarono glorificando e lodando Dio per quello che avevano visto e udito. Anche noi torneremo a casa e per poter essere testimoni della buona novella, dobbiamo prima di tutto glorificare Dio. I pastori glorificarono e lodarono Dio per quello che avevano visto e udito, spero che anche tutti noi torneremo a casa, faremo il viaggio di ritorno, dopo questi giorni passati qui, e glorificheremo Dio per ciò che abbiamo visto e udito. Allora crederanno anche a noi quando racconteremo, la nostra parola sarà degna di fede.
Adesso è quasi mezzanotte ed è il momento giusto per proclamare il nostro Credo. Con questa fede entriamo nel nuovo anno. Dio benedica il nuovo anno. [lungo applauso].

Fonte: medjugorje.hr

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