La devozione mariana di san Leopoldo Mandić

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2024

La devozione mariana di san Leopoldo Mandić
Il progetto di convertire i paesi balcani per mezzo della devozione mariana che lo guidò in tutto il suo apostolato di confessore instancabile di anime; il suo amore per la Vergine Maria; il miracolo della carrozza per mano della Madonna di ritorno da Lourdes e le parole che lo unirono alla Madre Celeste alla fine della vita.
di Antonio Tarallo – La nuova Bussola Quotidiana

La devozione mariana di san Leopoldo Mandić dans Antonio Tarallo san-leopoldo-mandic

Nel settembre del 1914, san Leopoldo Mandić, scriveva: “II fine della mia vita deve essere quello di procurare il ritorno dei dissidenti orientali all’unità cattolica. (…) Per questo, sino a quando l’ubbidienza dei superiori mi lascerà direttore dei nostri giovani, cercherò con tutti i mezzi di preparare gli apostoli che, a suo tempo, si occuperanno di tanta opera”. All’epoca, il frate cappuccino studiava gli idiomi balcanici e confidava di convertire quei popoli mediante  soprattutto  la devozione mariana. Si passa per Maria, per arrivare a Gesù. Sempre.

Questa devozione mariana avrebbe voluto diffonderla con la parola e con la stampa, andando ad evangelizzare  in prima persona  proprio in quei luoghi dove l’unità cristiana era in pericolo. Ma Dio, invece, aveva stabilito per lui altra missione: quella di essere confessore instancabile, espressione della Misericordia del Signore. Nessun viaggio, dunque, verso le terre balcaniche, bensì molti itinerari all’interno delle migliaia di anime che a lui si sono confidate e affidate durante il suo ministero condotto nel confessionale. E, in questo suo tragitto, non è mai mancata l’antica devozione mariana che lo ha accompagnato per tutta la sua intera esistenza.

Mandić, infatti, ha avuto verso la Madonna una particolare attenzione. Da sempre. Un docile sentimento di figlio tenero verso lo sguardo di sua Madre. E’ stata Lei ha guidare i suoi passi, a “dettare” le preghiere della sua anima e le azioni della sua vita, tanto da chiamarla amorevolmente “Padrona Benedetta”. E’ noto che il padre cappuccino congedasse i penitenti con queste parole: “Preghi sempre la Vergine santissima, la quale è fonte morale di ogni bene. Nel buio della vita, la fiaccola della fede e la devozione alla Madonna ci guidano ad essere fortissimi nella speranza. Come abbiamo in cielo un divino Intercessore, abbiamo anche un cuore di Madre”. E concludeva con questa semplice preghiera: “O Maria, mostraci di essere Madre”.

E proprio alla Vergine Maria, San Leopoldo, dovrà la stessa sua vita. Perché? C’è un episodio  non molto conosciuto  della vita del santo, in cui il manto di Maria si è steso su di lui, come benevole protezione. Il frate cappuccino si era recato in pellegrinaggio a Lourdes. Era nel luglio del 1934. Fece ritorno assieme a don Luigi Callegaro, suo amico. Alla stazione ferroviaria di Padova, il frate e il sacerdote trovarono un passaggio sulla carrozza di uomo  si chiamava Augusto Formentin  che si era offerto di dargli un passaggio. Durante questo viaggio, passarono per via Dante, una piccola strada di Padova. Fu proprio in questa via che “incontrarono” la Madonna. L’incontro prese il nome di “soccorso”. In questa stretta via, infatti, la carrozza incrociò un convoglio del tram. Lo spazio tra le rotaie del tram e i pilastri dei portici della strada era talmente stretto da non permettere alla carrozza il passaggio senza esserne schiacciata. Ma, venne in soccorso la fede di San Leopoldo. Il frate  si racconta  chiuse gli occhi e pregò la Vergine Maria. Fu alla Celeste Madre che chiese soccorso in quel momento in cui già si vedeva morto. I passanti per quella strada avevano già decretato la tragedia. Cominciarono a gridare intimando al conduttore di fermarsi, ma il cavallo, imbizzarrito, proseguì la corsa. Fu in questo momento che intervenne la mano della Vergine Maria: la carrozza miracolosamente passò illesa. Quando la folla si accorse che fra le persone che erano sopra la carrozza vi era Padre Leopoldo Mandić  la cui santità già era nota a Padova  esclamò, senza alcun dubbio: “Non è successo nulla perché c’è padre Leopoldo!”. E, invece, lui stesso, ancora confuso dall’incidente: “Torniamo da Lourdes. Siamo qui due sacerdoti. È stata la Madonna a salvarci!”.

Il 30 luglio del 1942, il frate cappuccino, mentre si preparava a celebrare la Santa Messa, fu colto da uno sbocco di sangue e cadde a terra. Sarà la sua ultima celebrazione eucaristica. Trasportato a letto, gli fu subito amministrata l’estrema unzione. Il superiore gli raccomandò l’anima e gli fece recitare la Salve Regina. Morì appena alle parole: “O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria”. In quel momento madre e figlio furono in un solo abbraccio.

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San Leopoldo Mandic diventa ufficialmente il patrono dei malati di tumore

Posté par atempodiblog le 10 février 2020

San Leopoldo Mandic diventa ufficialmente il patrono dei malati di tumore
L’11 febbraio messa speciale nella Basilica di Padova in attesa della festa del 12 maggio
di Caterina Maniaci – ACI Stampa

San Leopoldo Mandic diventa ufficialmente il patrono dei malati di tumore dans Articoli di Giornali e News San-Leopoldo-Mandic

Era un frate piccolo, fragile, con il saio di francescano cappuccino tutto consumato. Ed era una figura sempre più familiare, a Padova e nella provincia, con la con quel suo passo lento, appoggiato al bastone. La sua vita era trascorsa tra le ore passate in confessionale, quelle in preghiera, soprattutto davanti ad una statua della Madonna, la “Parona”, come affettuosamente la chiamava lui, in dialetto veneto, che aveva assunto come seconda lingua, per lui che era nato in Montenegro, la patria che mai avrebbe dimenticato. E poi tante, tante ore passate al capezzale di malati gravi. Sapeva cosa volesse dire soffrire, nello spirito e nel corpo. E del resto lui stesso si ammalò di un tumore all’esofago, che lo portò alla morte.

Ma quel frate dalla corporatura minuta, con una vocazione alla missione e con il sogno ecumenico di far riconciliare le chiese d’ Oriente e di Occidente, scomparso nel 1942 in seguito alla malattia, è diventato uno dei santi più amati dalla gente, e dal suo convento a Padova la fama è cresciuta nel mondo.

Ora è stato ufficialmente riconosciuto come patrono dei malati d’Italia colpiti da tumore. L’annuncio è stato dato a Padova, dal vescovo Claudio Cipolla e da vari esponenti dell’ordine dei cappuccini, a cui apparteneva il santo, nonché dal rettore del Santuario di San Leopoldo di Padova, fra Flaviano Gusella. Non casualmente, l’annuncio è arrivato alla vigilia della Giornata del Malato, che coincide con la Festa della Madonna di Lourdes.

Dopo un complesso iter, cominciato nel luglio 2016, dunque è arrivato il tanto atteso riconoscimento da parte del Vaticano, specificatamente da parte della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, presieduta dal cardinale Robert Sarah. Ma è stata una petizione popolare, che ha raccolto ben 70.000 firme, a chiedere in primis questo riconoscimento, sostenuto anche da un folto numero di medici, a partire dal professor Matteo Bevilacqua.

In un mondo che sembra sempre più spaventato dalla sofferenza, in cui questa realtà, è la realtà della morte, sono ancora tabù, la Chiesa vuole invece richiamare l’attenzione su questa presenza ineludibile e su come la condivisione e l’amore verso i più fragili e deboli sia la chiave di volta per il nostro essere cristiani, figli della luce, sale della terra, come spiega il Vangelo.

San Leopoldo ne è un concreto esempio. La devozione che suscita coinvolge in particolare molti malati, che si rivolgono con fiducia al santo per chiedere la guarigione o comunque il sostegno in un momento tanto difficile per la loro esistenza e per quello della famiglia. Lo dimostrano le migliaia di pellegrini che ogni anno affollano il santuario padovano, in particolare la tomba e ovviamente la teca in cui è esposto il corpo del frate.

E del resto san Leopoldo è noto anche per la sua fama di taumaturgo, per le decine e decine di miracoli che gli sono stati riconosciuti, sia in vita che dopo la sua morte, come testimoniano gli ex voto raccolti in diverse stanze. Canonizzato nel 1983 da papa Giovanni Paolo II, che lo indicò come modello dei
confessori, Papa Francesco ne ha voluto le spoglie in Vaticano insieme a quelle di san Pio di Pietrelcina nel 2016, durante il Giubileo della Misericordia.

Ora i malati e i devoti potranno utilizzare un piccolo opuscolo con tre preghiere – quella del malato, quella dei familiari, quella per gli operatori sanitari – create e formulate appositamente. Un’occasione “bella e significativa” questo riconoscimento, ha spiegato il vescovo di Padova, proprio “per farsi
prossimi a tutti i bisogni di attenzione e vicinanza di chi vive la malattia, specie in campo oncologico”.

E vicinanza ai familiari, spesso soli in questo doloroso percorso, ha sottolineato ancora il vescovo, agli operatori sanitari che quotidianamente affrontano l’assistenza e la cura, e “San Leopoldo, anche per la sua esperienza personale di malattia e per la sua vita spesa in confessionale proprio nell’esercizio dell’ascolto misericordioso, è sicuramente la figura più adeguata”.

Domani, martedì 11 febbraio, alle ore 16 nella basilica di Sant’Antonio monsignor Cipolla, in occasione della Giornata mondiale del malato, durante la messa sarà ricordata la proclamazione di padre Leopoldo come patrono di malati di tumore. In attesa del 12 maggio, festa del santo, dove la gioia e la riconoscenza dei fedeli potrà essere diventare un momento di festa.

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“O San Leopoldo da Castelnuovo…”

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2019

“O San Leopoldo da Castelnuovo...” dans Preghiere San-Leopoldo-Mandic
San Leopoldo Mandić – 30 luglio memoria liturgica

«O San Leopoldo da Castelnuovo, voi che confessaste per circa 40 anni in Padova, ottenetemi che Messina diventi una seconda Padova per me. Che io diventi tanto santo, morto a me stesso e che faccia diventare il nostro Santuario un giardino profumato di virtù e di santi. Fatemi incontrare un buon padre spirituale e che io diventi il padre di tutti, che tutti quelli che si avvicinano a me siano presi dall’amore di Gesù, come il ferro dalla calamita».

del Servo di Dio Giuseppe Marrazzo

Padre-Giuseppe-Marrazzo dans Sacramento della penitenza e della riconciliazione

L’apostolo della Confessione
Padre Giuseppe Marrazzo r.c.j., il tassista delle anime

Padre Giuseppe trascorre quasi tutta la vita esercitando il ministero della riconciliazione a Messina nel Santuario di sant’Antonio, fondato da sant’Annibale Di Francia. A qualche confratello che considerava esagerata la sua dedizione e lo richiamava perché rispettasse l’orario delle confessioni, rispondeva con semplicità disarmante: “Non voglio avere la responsabilità che qualche penitente muoia senza essersi confessato perché non mi ha trovato”. 
Fu devotissimo di Maria, Madre del buon Consiglio proposta come modello a tutte le donne perché, uniformandosi a Lei, diventino “Madri sacerdotali”. Ebbe un’attenzione particolare per gli ammalati, i bambini e le famiglie in difficoltà.
Si autodefiniva in questi termini: “Mi sento come un taxi che deve portare le anime a Gesù. Sono il ‘tassista’ delle anime. Senza di esse sarebbe inutile la mia vita”.
Il 30 novembre 1992 morì improvvisamente a Messina dove è viva la sua fama di santità. Il processo diocesano della sua causa di beatificazione e canonizzazione si è svolto dal 2008 al 2015 nella diocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela. La sua “Positio super virtutibus” è stata presentata nel 2017. Dal 2014 i suoi resti mortali riposano nel Santuario di Sant’Antonio a Messina, nella stessa tomba che aveva ospitato le spoglie del fondatore dei Rogazionisti, Sant’Annibale Maria Di Francia.

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San Leopoldo Mandic, maestro di dolcezza e misericordia

Posté par atempodiblog le 12 mai 2016

San Leopoldo Mandic, maestro di dolcezza e misericordia

san leopoldo mandic
San Leopoldo Mandic è nato il 12 maggio 1866 a Castelnovo di Cattaro (Croazia)

San Leopoldo Mandic, nato nel 1866 a Castelnuovo nel Montenegro e morto nel 1942 a Padova, porta con sé un messaggio di mansuetudine, dolcezza e misericordia.

Nella sua vita si è dedicato ad amministrare il sacramento della riconciliazione manifestando sempre un grande senso di comprensione e compassione, al punto che i suoi confratelli lo rimproveravano di essere troppo «di manica larga». La sua risposta a questa obiezione era semplice: «Io guardo Gesù in croce: Lui non ha neppure le maniche!». [...]

Tratto da: il Resto del Carlino

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Anno Misericordia. Il Papa: confessare come San Leopoldo Mandić

Posté par atempodiblog le 24 août 2015

Anno Misericordia. Il Papa: confessare come San Leopoldo Mandić
Uno dei protettori dell’Anno Santo della Misericordia, che si aprirà il prossimo 8 dicembre, sarà San Leopoldo Mandić, cappuccino, un umile frate confessore, pioniere dell’ecumenismo che pregava per la piena unità fra la Chiesa d’Oriente e Occidente.
di Amedeo Lomonaco – Radio Vaticana

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Un frate umile, piccolo di statura, povero e di salute cagionevole, ma forte nello spirito, capace di aprire le coscienze di molti alla grazia e alla conversione. Nato nel 1866 in Dalmazia, allora Impero austriaco, ha vissuto nel silenzio, nella riservatezza e nell’umiltà 52 anni di vita sacerdotale. Durante l’omelia per la sua canonizzazione, il 16 ottobre 1983, San Giovanni Paolo II aveva ricordato che padre Leopoldo era sempre “pronto e sorridente, prudente e modesto”. Un “confidente discreto”, un “maestro rispettoso” e un “consigliere spirituale comprensivo e paziente”. Le sue erano confessioni brevi. “La misericordia di Dio – diceva – è superiore ad ogni nostra aspettativa”. Confessa fino a poche ore prima della morte, avvenuta il 30 luglio del 1942. Il suo ministero è stato anche sempre animato da un desiderio ardente: l’unità di tutti i cristiani. E’ il Santo della riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale, sottolinea fra Flaviano Giovanni Gusella, rettore del Santuario di San Leopoldo Mandić a Padova:

R. - Padre Leopoldo ha dedicato tutta la sua vita quasi esclusivamente al ministero della Confessione. E’ stato “il confessore”, come ha detto anche Giovanni Paolo II nel discorso di canonizzazione. E poi è stato anche il profeta dell’ecumenismo spirituale: per più di 50 anni lui ha sentito dentro il suo cuore questa chiamata forte che lo spingeva a donarsi, a consacrarsi, a pregare e ad operare per l’unità dei cristiani, in maniera particolare della Chiesa d’Oriente e della Chiesa d’Occidente, la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Tutta la sua vita, quindi, è stata vissuta all’interno dei conventi nella celletta confessionale di Padova, con questo anelito, con questa spinta forte a donarsi completamente per l’unità dei cristiani.

D. – L’Anno Santo della Misericordia sarà anche un’occasione per sperimentare la gioia del perdono e comprendere, ancora più profondamente, il ministero del confessore così caro a San Leopoldo Mandić…
R. - E’ stato ministro del Sacramento della Riconciliazione, icona della Divina Misericordia, ed ha esercitato questo ministero con uno stile profetico – come è stato profetico per l’ecumenismo spirituale – con una misericordia, con una bontà, con una capacità di accoglienza, con uno stile dove si specchia quello che Papa Francesco ha scritto nella “Misericordiae vultus”, indicendo l’Anno Santo della Misericordia. Ha esercitato il Sacramento della Riconciliazione in maniera profetica, facendo gustare a tutti quanto fosse bello riconciliarsi con Dio, con i fratelli, con se stessi, cambiando vita, esercitando quella disponibilità alla grazia che il Signore dona a tutti.

D. – E’ stato Papa Francesco ad annunciarle che San Leopoldo sarà uno dei protettori del prossimo Anno Santo della Misericordia…
R. - In maniera del tutto casuale e fortuita, ma anche provvidenziale posso aggiungere, ho avuto la fortuna di scambiare qualche parola con Papa Francesco nell’udienza pubblica dello scorso mercoledì 22 aprile. E quando gli ho mostrato una cartolina con l’immagine di padre Leopoldo, immediatamente mi ha detto: “Sarà uno dei protettori del prossimo Giubileo della Misericordia”. E poi ha aggiunto: “Ma tu devi confessare come lui!”. Io ho risposto, quasi intimorito, che cerco di farlo, anche se è difficile imitare un santo… E allora mi ha detto: “Devi dire ai confratelli che devono confessare come lui”. Ed è molto bello questo perché mi ha rivelato che Papa Francesco conosce padre Leopoldo e il suo stile, così proponendolo non soltanto a noi Frati cappuccini, ma anche a tutti i confessori del mondo.

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San Pio e san Leopoldo «confessori» del Giubileo della Misericordia

Posté par atempodiblog le 11 août 2015

Pio e Leopoldo

«Sarà probabilmente uno degli eventi più partecipati del prossimo Anno santo della Misericordia l’ostensione dei corpi di padre Pio e dell’altro santo cappuccino Leopoldo Mandic, decisa da papa Francesco per sottolineare l’importanza del ministero del confessore. I due religiosi cappuccini, infatti, avevano file interminabili di fedeli davanti ai loro confessionali, ma certamente saranno di molto superiori, davvero chilometriche, quelle per entrare in San Pietro dal 10 febbraio prossimo, Mercoledì delle Ceneri, data d’inizio dell’ostensione». Così l’Huffington Post, nota fonte di sicuro «laica», ma non smentita. Dunque Francesco in occasione del Giubileo della Misericordia offrirà ai cattolici l’esempio di due «confessori», nel senso proprio di coloro che hanno amministrato per gran parte della loro vita il sacramento della penitenza, san Pio e san Leopoldo Mandic. Quest’ultimo passava anche 16 ore al giorno nella sua celletta-confessionale, nel Convento di Padova che ora è suo Santuario.

San Pio da Pietrelcina è arcinoto. Non si può dire lo stesso di padre Leopoldo Mandic, che però papa Francesco ha voluto insieme al Santo delle stimmate e della lunga diatriba anche interna alla Chiesa prima di essere definitivamente indicato come Santo, da Giovanni Paolo II. Ciò non era un fatto scontato, viste le difficoltà che padre Pio aveva incontrato anche presso le autorità vaticane quasi per tutta la sua vita, per tante ragioni di carattere generale e anche di singolarità del tutto sua.

La Chiesa ha sempre avuto tempi lunghi per riconoscere fenomeni strani, pur osservati e testimoniati da tanti, quando si tratta del problema della soprannaturalità di essi. Per san Pio, poi, si verificarono anche intrecci con faccende nelle quali egli non aveva alcuna colpa, ma erano in ballo anche problemi di interessi giganteschi, come affari di banche nelle quali entravano anche interessi di diocesi e di ordini religiosi, come accadde a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, che aggiunsero alle diffidenze del passato, sotto Pio XI e successori alternati singolarmente con pro e contro: Pio XI contro, Pio XII pro, Papa Giovanni contro (anche se non fu del tutto vero, ma dipese da informazioni scorrette fatte giungere fino al Papa), Paolo VI pro…

In particolare ebbero difficoltà anche i gruppi di preghiera dei devoti di padre Pio nelle diocesi del Veneto: l’arcivescovo di Padova, monsignor Girolamo Bortignon, cappuccino anche lui, fu molto severo con i seguaci del Confratello Cappuccino, e ci furono episodi di scontri fortissimi. Un solo esempio: nella cittadina di Montagnana un viceparroco di grande energia, don Giuseppe C., a metà anni ’50, alla richiesta di Giovanni Scarparo, un devoto di Montagnana, in provincia di Padova, di benedire i locali ove si svolgevano le preghiere del gruppo padre Pio, rispose alla lettera così in dialetto: «Se el me chiede de benedire el so’ mascio (il suo maiale) lo fasso volentieri, ma quel locale mai!».

Ormai sono cose passate, e a parte qualche rimestatura polemica, di qualcuno che cerca di vedere ombre dove finalmente sono rimaste sicure soltanto le luci, san Pio da Pietrelcina è noto a tutti, e non sorprende il fatto che Francesco, attento alla modernità come pochi, ma contemporaneamente solido sulla base dell’autentica religiosità popolare, lo abbia scelto anche come testimone del prossimo Giubileo, più di ogni altro dedicato esplicitamente alla Misericordia: «Dio perdona sempre – una delle sue consuete affermazioni forti – mentre noi qualche volta ci dimentichiamo di chiederGli perdono».

Diversa è la vicenda, e la vita, e la missione di san Leopoldo Mandic. Ma di grande interesse, e ancora forse poco nota al di là dei confini dei devoti, la sua figura minuta – era alto poco più di un metro e 40 – vale la pena di conoscerla. Tra l’altro, e come a sorpresa, risulta che ancora nei primi decenni del secolo scorso egli è stato un apostolo dell’unità delle Chiese, e il problema ecumenico è stato un tema cui ha dedicato molta della sua preghiera e della sua attività di apostolo della misericordia e del perdono senza limiti.

di Giovanni Gennari – Vatican Insider

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San Leopoldo, ministro generoso del perdono di Dio

Posté par atempodiblog le 12 mai 2015

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Uno straordinario ministro del perdono di Dio. San Leopoldo, bastava vederlo, sentirne anche solo il nome, per essere spinti ad avvicinarlo e aprirgli la propria coscienza. Ancora giovane, all’inizio del ministero sacerdotale, al suo confessionale fu un accorrere di gente. Così nei vari conventi dove passò, anche se a Padova il movimento assunse forme crescenti e veramente eccezionali. Numerosissimi penitenti – di ogni estrazione sociale e culturale – si riunivano davanti alla porta del suo confessionale, disposti a lunghe attese, desiderosi di poter sentire da lui la parola del perdono, di avere un consiglio illuminato per la propria vita.

San Leopoldo Mandić fu confessore ricercato per le doti di sapienza e scrutazione dei cuori, dovute alla frequentazione dei testi biblici e patristici, ma soprattutto per la benevola accoglienza dei penitenti. Chi lo ebbe come confessore, ne lodò l’«accoglienza singolare», la «pazienza incredibile», la «delicatezza imperturbabile», il «grande senso di comprensione», il «grande cuore», l’«umanità nell’ascoltare». Se qualche penitente si lasciava sopraffare dalle lacrime o turbare da scrupoli, usava dire: «Stia tranquillo, metta tutto sulle mie spalle, ci penso io», e si addossava preghiere, veglie notturne, digiuni e privazioni volontarie.

Dei suoi penitenti si sentiva soprattutto «amico». Già al primo incontro si era da lui accolti come vecchie conoscenze, tanta era la cortesia, la cordialità. Padre Leopoldo «seppe fare della sua cella-confessionale, al dire di molti penitenti, un “salottino della cortesia”. Egli si mostrava pieno di bontà e di comprensione con quanti andavano a inginocchiarsi ai suoi piedi» (papa Paolo VI). Qualche volta, se avvertiva timidezza o diffidenza, con spontanea umiltà non esitava a farsi incontro, anche materialmente, alzandosi dalla sua poltrona.

Il prof. Ezio Franceschini, docente universitario a Padova e poi rettore all’Università Cattolica di Milano, che fu suo penitente, ricordò il dolore provato da padre Leopoldo quando venne tacciato di lassismo. Gli confidò il frate: «Dicono che do troppo facilmente l’assoluzione, anche a chi non ne ha le dovute disposizioni». Allargando le braccia, soggiunse: «Mi guardi, signore. Le pare che se un peccatore viene a inginocchiarsi davanti a me lo possa fare per me e non per il Padrone Iddio?». Nella sua straordinaria semplicità, naturalezza e serietà d’intenti, padre Leopoldo accompagnò e guidò molti alla «misura alta» della vita cristiana, cioè alla santità. Consapevole che è Dio il primo artefice in quest’opera, diceva: «Dio è la guida di ogni anima, e ogni anima ha la sua via. Lo Spirito Santo è il primo direttore di spirito e resta sempre il primo; i santi li fa lui… A noi spetta solo il dovere di riconoscere e assecondare la sua azione e non intralciarla con le nostre meschine vedute». Tale opera di Dio, egli la riconobbe e favorì in molte anime: sacerdoti, religiosi e religiose, professionisti, padri e madri di famiglia.

Anche il beato papa Giovanni Paolo II, nell’omelia per la canonizzazione di padre Leopoldo, rievocando alcune sue espressioni, evidenziò il profilo esemplare del confessore: «In questo sta la sua grandezza. In questo suo scomparire per far posto al vero Pastore delle anime. Egli manifestava così il suo impegno: «Nascondiamo tutto, anche quello che può avere apparenza di dono di Dio, affinché non se ne faccia mercato. A Dio solo l’onore e la gloria! Se fosse possibile, noi dovremmo passare sulla terra come un’ombra che non lascia traccia di sé”. E a chi gli chiedeva come facesse a vivere così, egli rispondeva: “È la mia vita!”».

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«Noi non abbiamo che da ammirare e da ringraziare il Signore che offre oggi alla Chiesa una così singolare figura di ministro della grazia sacramentale della Penitenza; che richiama da un lato i sacerdoti a ministero di così capitale importanza, di così attuale pedagogia, di così incomparabile spiritualità; e che ricorda ai fedeli, fervorosi o tiepidi e indifferenti che siano, quale provvidenziale e ineffabile servizio sia ancor oggi, anzi oggi più che mai, per loro la Confessione individuale e auricolare, fonte di grazia e di pace, scuola di vita cristiana, conforto incomparabile nel pellegrinaggio terreno verso l’eterna felicità».

Papa Paolo VI, Omelia per la beatificazione di padre Leopoldo

Tratto dal: Santuario di san Leopoldo Mandic

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San Leopoldo Mandic

Posté par atempodiblog le 12 mai 2014

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Papa Luciani ricorda Leopoldo Mandic

Posté par atempodiblog le 12 mai 2014

«Peccatori siamo tutti» (papa Luciani)
Tratto da: La sua pazienza ci aspetta di Stefania Falasca, 30Giorni

Papa Luciani ricorda Leopoldo Mandic dans Sacramento della penitenza e della riconciliazione 2ldf1jn
La statua in bronzo a Medjugorje di San Leopoldo Bogdan Mandic, santo prottetore dei confessori, canonizzato il 16 ottobre 1983 (opera di Carmelo Puzzolo, Italiano), è stata messa nel 1998 vicino ai confessionali esterni

Salendo quassù per le vacanze, padre Cappello passava a Padova a far visita al cappuccino Leopoldo Mandic, il santo confessore che nel 1983 venne elevato agli onori degli altari. Anche padre Cappello era dunque andato ad inginocchiarsi davanti al piccolo frate di origine bosniaca, assaporando da penitente la stessa divina misericordia che a sua volta elargiva senza posa dai suoi confessionali. E come a padre Cappello, anche a Luciani era capitato di andare a confessarsi da lui. «È stato nel marzo del ’28», ricorda Edoardo, il fratello di Luciani. «L’Albino era piccolo, frequentava ancora il seminario minore a Feltre, e il padre Leopoldo era andato là in visita al seminario insieme al vescovo. Ascoltò diverse confessioni, tra cui anche quella di mio fratello. L’Albino conservò sempre una memoria vivissima di quell’incontro tanto che l’immaginetta di padre Leopoldo la portò poi sempre con sé». Anche la sorella Antonia ricorda questo episodio raccontatole dall’Albino: «Il padre Leopoldo lo confessò, gli prese poi il viso tra le mani e gli disse: “Sta’ tranquillo, e segui la tua strada”». Il 30 maggio 1976, da patriarca di Venezia, Luciani volle andare a celebrare la messa nella chiesa dei Cappuccini a Padova, proprio accanto alla celletta-confessionale del piccolo frate. Tutta l’omelia fu un ricordo commosso del padre Leopoldo e del modo con cui egli confessava. «Ecco», disse, «peccatori siamo tutti, lo sapeva benissimo il padre Leopoldo. Bisogna prendere atto di questa nostra triste realtà. Nessuno può a lungo evitare le mancanze piccole o grandi. “Però”, come diceva san Francesco di Sales, “se tu hai l’asinello, e per strada ti casca sul selciato, cosa devi fare? Mica vai là col bastone a spianargli le costole, poveretto, è già abbastanza sfortunato. Bisogna che tu lo prenda per la cavezza e dica: ‘Su, riprendiamo la strada. Adesso riprendiamo il cammino, faremo più attenzione un’altra volta’”. Questo è il sistema e padre Leopoldo questo sistema l’ha applicato in pieno. Un sacerdote, mio amico, che andava a confessarsi da lui, ha detto: “Padre, lei è troppo largo. Io mi confesso volentieri da lei, ma mi pare che sia troppo largo”. E padre Leopoldo: “Ma chi è stato largo, figlio mio? È stato il Signore ad essere largo; mica io sono morto per i peccati, è il Signore che è morto per i peccati. Più largo di così con il ladrone, con gli altri come poteva essere!”». E Luciani continuò dicendo: «Gesù da una parte si scontra col peccato, “vittima di espiazione per i peccati”, dall’altra parte non si scontra, ma s’incontra con i peccatori. Aprite le pagine del Vangelo, si scontra col peccato, dice Giovanni Battista: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati”. Leggete san Paolo: “È morto per i peccati”. Niente peccati! Il Signore non lo vuole il peccato. Dall’altra parte, però, quanta bontà! Quanta misericordia verso i peccatori!

Io mi commuovo quando penso che sì, Paolo VI ha fatto beato padre Leopoldo; però il primo canonizzato, il primo uomo proclamato davanti a tutta la gente santo, è stato un ladrone. Sulla croce Gesù ha detto: “Oggi stesso tu starai con me in Paradiso”. A un assassino, a un ladrone!… E quanta bontà! Dicevo, verso i peccatori! Quando gli han condotto l’adultera: “Donna, nessuno ti ha condannata?”. “Nessuno, Signore”. “Donna, neanch’io ti condanno. Va’ in pace e cerca di non farlo più”». E ritornando a padre Leopoldo, disse: «Lui ha copiato fedelmente questo aspetto di Gesù: anche lui, come Gesù, aveva paura del peccato, piangeva per il peccato, invece tutto il contrario con i peccatori. Uno una volta gli ha detto: “Padre, ma lei è tanti anni che confessa, ne ha sentite ormai di tutti i colori, a lei non fa più impressione il peccato”. “Cosa dice, signore? Ma io ogni momento tremo quando penso che gli uomini mettono a repentaglio la loro salute eterna per delle sciocchezze, per delle cose futili”. Tremava, piangeva per il peccato. Ma accoglieva il peccatore proprio come un fratello, un amico, per questo non pesava confessarsi da lui. È andata una volta una persona: erano vent’anni che non si confessava. Ha detto i suoi peccati. Quando ha finito, padre Leopoldo si è alzato in piedi, gli ha preso le mani e lo ha ringraziato: “Grazie, grazie che è venuto da me, ha accettato che sia io a raccogliere il suo pentimento dopo tanti anni”. Era lui, capite, che ringraziava!… Ecco cosa è stato, cos’è padre Leopoldo per noi, lo specchio della bontà del Signore». A questa stessa bontà Luciani si riferiva continuamente. A questa rimanderà sempre. Anche in quelle poche udienze generali che ha fatto alla sede di Pietro come vicario di Cristo. «Quanta bontà, quanta misericordia bisogna avere, e anche quelli che sbagliano…». Così quel 6 settembre del ’78, nella sua prima udienza generale. E quando fece quell’accenno all’umiltà, tutti percepirono che nasceva dalla coscienza di essere miseri peccatori e dall’esperienza vissuta del perdono: «Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore che ha detto: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che a volte permette dei peccati gravi. Perché? Perché quelli che li hanno commessi questi peccati, dopo pentiti restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi angeli quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto cose grandi, dite: “Siamo servi inutili”.

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È il Signore che opera. Padre Leopoldo Mandic

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2013

“Preferisco sbagliare per troppa bontà che per troppo rigore”.
San Francesco di Sales

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San Leopoldo Mandic

È il Signore che opera
«… nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti roviniamo quello che il Signore va operando». Così raccomandava padre Leopoldo Mandic, il confessore della misericordia di Dio
Fonte: di Stefania Falasca – 30giorni
Tratto da: Sursum Corda

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Una delle ultime foto di padre Leopoldo Mandic

Confessarsi da lui era cosa breve. Anzi brevissima. Non si dilungava mai in parole, spiegazioni, discorsi. Aveva imparato dal Catechismo di san Pio X che la brevità è una delle caratteristiche di una buona confessione. Eppure il suo confessionale è stato per più di quarant’anni una specie di porto di mare per le anime. Tanti erano quelli che andavano, che assiduamente lo frequentavano. Padre Leopoldo era sempre lì, dodici, tredici, quindici ore al giorno. Confessava e assolveva oves et boves, cioè tutti. E di quella sua amabile delicatezza, di quell’umiltà semplicissima, fiduciosa nell’infinita misericordia di Dio e nell’azione della grazia che opera attraverso i sacramenti, sono testimoni quanti lo conobbero. La sua celletta confessionale è rimasta com’era, lì dove tuttora si trova, accanto alla chiesa di Santa Croce, nel convento dei frati Cappuccini a Padova. Una piccola stanza con tutte le poche cose che hanno fatto la sua vita: un inginocchiatoio, un crocifisso, un’immagine della Madonna, la stola, la sedia. Neanche la furia dei bombardamenti, che nel maggio del 1944 rasero al suolo la chiesa e il convento, è riuscita a demolirla. Da tanta distruzione solo quel confessionale rimase miracolosamente illeso. Due anni prima della sua morte, avvenuta il 30 luglio 1942, padre Leopoldo, confidandosi con un amico, aveva predetto i bombardamenti che avrebbero colpito Padova. «E questo convento?», chiese quel signore; «padre, anche questo convento sarà colpito?». «Purtroppo, anche il nostro convento sarà duramente colpito» rispose con un filo di voce padre Leopoldo. «… Ma questa celletta no, questa no. Qui il Padrone Iddio ha usato tanta misericordia alle anime… deve restare a  monumento della Sua bontà».
Leopoldo Mandic è stato proclamato santo il 16 ottobre 1983. Elevato vox populi agli onori degli altari. Dalla morte alla canonizzazione sono trascorsi solo quarantun anni: una delle canonizzazioni più rapide del nostro secolo.

Di nobile stirpe bosniaca
Nato nel 1866 in Dalmazia, a Castelnuovo di Cattaro, Adeodato Mandic era di nobile stirpe bosniaca. Prese nome di fra Leopoldo entrando nel seminario dei frati Cappuccini a Bassano del Grappa. A ventiquattro anni è ordinato sacerdote e da questo momento in poi, prima a Venezia, poi a Bassano, Thiene e dal 1909 stabilmente a Padova, non fa altro che attendere al sacramento della penitenza. Per i suoi superiori  non poteva fare altro: statura un metro e trentotto, costituzione debolissima, stentato e un po’ goffo nel camminare… Fisicamente era un nulla e per di più anche impacciato nella lingua poiché aveva lo “sdrùcciolo”, cioè mangiava le parole, e questo difetto si sentiva soprattutto quando pregava o doveva ripetere le formule a memoria, tanto che in pubblico non poteva dire neanche un «oremus». Cosa non da poco in un ordine di predicatori qual è quello dei Cappuccini! «Tante volte» ricordò al processo un suo confratello «si meravigliava egli stesso che  professori universitari, uomini importanti, persone molto qualificate venissero proprio da lui, “povero frate”; e tutto egli, con grande umiltà, attribuiva alla grazia del Signore che per mezzo suo, “meschino ministro pieno di difetti”, si degnava di fare del bene alle anime». Tutti quelli che lo hanno conosciuto ricordano questa sua umiltà sincera, piena di riconoscenza e gratitudine. A Padova, a tarda sera di un giorno di Pasqua, un giovane sacerdote incontrò padre Leopoldo che quasi non si teneva in piedi dalla stanchezza per le tante ore passate in confessionale. Con tono di filiale compassione gli disse: «Padre, quanto sarà stanco…»; «e quanto contento…», riprese lui con dolcezza. «Ringraziamo il Signore e domandiamogli perdono, perché si è degnato di permettere che la nostra miseria venisse a contatto con i tesori della sua grazia».
Davanti alla porticina del suo confessionale ogni giorno un folto gruppo di persone di tutte le classi sociali era lì ad attenderlo. Analfabeti e rozzi contadini, professionisti, sacerdoti e religiosi, magnati dell’industria e professori, tutti aspettavano in silenzio il loro turno e tutti padre Leopoldo accoglieva sempre con la stessa premura, la stessa delicata discrezione, specialmente chi si riavvicinava alla confessione dopo tanto tempo. «Eccomi, entri pure, s’accomodi… l’aspettavo sa… » si sentì dire un signore di Padova che da molti anni non si accostava ai sacramenti. E tanto era impacciato e confuso che, entrato nel confessionale, invece di mettersi in ginocchio andò a sedersi sulla sedia del prete; padre Leopoldo non disse niente, si mise lui in ginocchio al posto del penitente e  ascoltò così la sua confessione. Ed era, la sua, una delicatezza attenta a non umiliare inutilmente, comprensiva della fragilità umana: «Non abbia riguardo, veda, anch’io, benché frate e sacerdote, sono tanto misero» disse a un altro. «Se il Padrone Iddio non mi tenesse per la briglia farei peggio degli altri … Non abbia nessun timore». E a quel tale che aveva grosse colpe da confessare e a cui costava molto vuotare il sacco, dire certe miserie: «Siamo tutti poveri peccatori: Dio abbia pietà di noi…». Glielo diceva con un tono tale che quell’uomo si sentì immediatamente incoraggiato ad accusarsi con sincerità. Spesso ripeteva ai penitenti: «La misericordia di Dio è superiore a ogni aspettativa», «Dio preferisce il difetto che porta all’umiliazione piuttosto che la correttezza orgogliosa».

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La chiesa e il convento dei Cappuccini a Padova, fotografati prima della loro distruzione nel bombardamento aereo del 14 maggio 1944 

«Non roviniamo con le nostre spiegazioni ciò che il Signore opera»
Credendo fermamente nell’efficacia della grazia che il  Signore stesso comunica attraverso i sacramenti, padre Leopoldo su di un punto solo fu costantemente irremovibile: la brevità della confessione. Delle volte, è vero, nei giorni di scarso concorso, si intratteneva con una persona magari mezz’ora, o perché s’interessava dei suoi studi o del suo ufficio o per intrattenersi con quei chierici o quelle anime che lo chiedevano come guida spirituale. Ma la confessione, come tale, era sempre breve. E i penitenti testimoniano questa sua brevità e semplicità di parole. Scrive un monsignore di Padova: «La confessione con il padre Leopoldo era ordinariamente brevissima. Egli ascoltava, perdonava, non molte parole, spesso anche in dialetto quando si rivolgeva a persone non istruite, qualche motto, uno sguardo al crocifisso, talvolta un sospiro. Sapeva che in via ordinaria le confessioni lunghe sono a scapito del dolore, e sono, il più delle volte, accontentamento di amor proprio, pertanto sulla modalità della confessione si atteneva a quanto indicato nel catechismo della dottrina cristiana». In una lettera indirizzata a un sacerdote, padre Leopoldo scrive: «Mi perdoni padre, mi perdoni se mi permetto… ma vede, noi, nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti, con la nostra imprudenza, roviniamo quello che il Signore va in esse operando. È Dio, Dio solo che opera nelle anime! Noi dobbiamo scomparire, limitarci ad aiutare questo divino intervento nelle misteriose vie della loro salvezza e santificazione».
Sempre esortava i suoi penitenti ad avere fede, a pregare, ad accostarsi frequentemente ai sacramenti. Ma il piccolo frate, nelle penitenze, inutile dirlo, era magnanimo e diceva a chi gli obiettava di darle facili: «Oh è vero… e bisogna che dopo soddisfi io… ma è sempre meglio il purgatorio che l’inferno. Se chi viene da noi a confessarsi, col dargli poca penitenza deve poi andare in purgatorio, dandogliela grave non c’è pericolo che si disgusti e vada a finire all’inferno?». E così ordinariamente dava tre Ave Maria e tre Gloria Patri. Poco dava ai laici lontani dalla vita della Chiesa e poco dava anche alle anime che per loro vocazione hanno tante preghiere da dire ogni giorno. Un sacerdote un giorno gli chiese se non fosse il caso di assecondare il desiderio di una brava figliola di portare addosso qualche strumento di penitenza. Il buon padre subito rispose che non era affatto un desiderio da assecondare. «Ma scusi, padre, lei non la conosce: non è un’anima qualunque, è un’anima d’oro, seria…». E padre Leopoldo rimaneva ancora più deciso nel rifiuto. E l’altro insisteva. Allora il prudente confessore fece questa domanda: «Mi permetta, mi permetta: lei porta il cilicio?». «No!». «E allora? Caro padre, abituiamo i penitenti a ubbidire ai comandamenti di Dio e al loro dovere. Ce n’è abbastanza, ce n’è abbastanza! E i grilli via!».
Magnanimo, padre Leopoldo, lo era anche nell’assoluzione: non la negava davvero a nessuno. E di quelle rarissime volte che l’ebbe fatto si pentì sempre. Alcuni giorni prima di morire un sacerdote gli chiese: «Padre, c’è stata qualche cosa che vi ha procurato tanto dispiacere?». Egli rispose: «Oh! Sì… purtroppo sì. Quando ero giovane, nei primi anni di sacerdozio, ho negato tre o quattro volte l’assoluzione».

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L’esterno della celletta-confessionale  di padre Leopoldo, rimasta indenne dopo il bombardamento che distrusse la chiesa dei Cappuccini a Padova  nel 1944

«Che riposino… lo farò io per loro»
Tutti lo conoscevano per la sua bontà: el padre Leopoldo, o benedeto! Queo sì ch’el xe bon! L’è un santo diceva la gente. Tanto che quando nel 1923 i superiori lo trasferirono a Fiume, per i padovani fu lutto cittadino. Ma tanto fecero, tanto insistettero che i superiori dovettero ritornare sulle decisioni prese e rimandarlo dopo breve tempo a Padova. Anche i giovani chierici gli volevano bene. Nel 1910, l’anno seguente al suo arrivo a Padova, padre Leopoldo fu infatti nominato direttore dei chierici del seminario maggiore dei Cappuccini. Incarico dal quale fu poi presto esonerato. Racconta un suo confratello: «Per i seminaristi nutriva un grande affetto e si mostrava assai paterno con loro e li incoraggiava sempre sollecitandoli nella speranza. La nostra regola era molto austera. All’una di notte ci si alzava per la recita del mattutino e d’inverno, col freddo rigido, costava assai… E lui pensava a quei giovani poverini… Più di una volta ricordo che padre Leopoldo andava dal padre superiore perché anticipasse la recita del mattutino alla sera: “Superiore, guardi che stanotte farà freddo…”. “Ma padre, la temperatura non è scesa sotto lo zero”. “Oh, ma questa notte lo farà…”. “Lasciamoli dormire”, diceva al superiore, “che riposino… lo farò io per loro”. E si curava che stessero in salute, che mangiassero bene, che non fossero  ripresi dai superiori per qualche manchevolezza durante il pranzo, com’era costume fare». Scrive l’allora superiore generale dei Cappuccini: «Sapendo egli quanto bene gli volevo, aveva in me grande confidenza e spesso mi diceva: “Padre provinciale, se mi permette, veda di non gravare la coscienza dei frati, soprattutto dei giovani frati, con prescrizioni che non siano proprio necessarie, perché, vede, poi bisogna osservarle le prescrizioni dei superiori. Se non sono proprio necessarie sono un laccio per i deboli… Mi perdoni sa, mi perdoni…”».
Di quanta misericordia, di quanto amore fosse capace il cuore del piccolo frate, anche per coloro che non lo meritavano, lo dice questa dolorosa circostanza che riguarda un chierico espulso bruscamente dal convento per aver compiuto deliberatamente atti gravissimi. A raccontarla è un sacerdote: «Portatomi in convento, incontrai padre Leopoldo che era appena uscito dall’ospedale. Mi chiamò nel suo confessionale e mi scongiurò, in nome di Dio, di accogliere quel “poveretto” e di pregare il superiore della casa di trattarlo bene per salvare in lui almeno la fede. Piangendo mi disse più volte: “Si salvi la fede, si salvi la fede!”. Poi, inceppandosi ogni tanto per l’emozione, continuò: “Dica, dica a quel poveretto che io pregherò per lui. Gli dica che domani nella santa messa mi ricorderò di lui, anzi… anzi gli dirà che la celebrerò tutta proprio per lui e lo benedirò sempre. Gli dirà che padre Leopoldo gli vuol sempre bene!…”. Rimasi commosso anch’io al sentire un cuore così ripieno di evangelica carità. Solo le madri trovano espressioni così accorate quando un figlio degenere si allontana da loro». Ma a qualcuno intanto, questa bontà senza misura, cominciò a sembrare eccessiva accondiscendenza, e iniziò a storcere il naso.

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Padre Leopoldo nella sua celletta-confessionale

«Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi»
Cominciarono così le critiche per la larghezza con cui trattava i penitenti, anche i più recidivi nella colpa, per  la generosità del perdono. Lo rimproveravano di essere troppo sbrigativo contentandosi persino di sommaria accusa, tanto da tacciarlo di lassismo di principi morali. Ai chierici venne perciò sconsigliato apertamente di confessarsi da lui. Le critiche giunsero all’orecchio del piccolo frate e un giorno un sacerdote gli disse: «Padre, ma lei è troppo buono… ne renderà conto al Signore!… Non teme che Iddio le chieda ragione di eccessiva larghezza?». E padre Leopoldo indicando il crocifisso: «Ci ha dato l’esempio Lui!  Non siamo stati noi a morire per le anime, ma ha sparso Lui il Suo sangue divino. Dobbiamo quindi trattare le anime come ci ha insegnato Lui col Suo esempio. Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a prostrarsi ai nostri piedi? Non sono già abbastanza umiliate? Ha forse Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?». E allargando le braccia aggiunse: «E se il Signore  mi rimproverasse di troppa larghezza potrei dirgli: “Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità”».
«Mi dicono che sono troppo buono» scrive a un sacerdote suo amico «ma se qualcuno viene a inginocchiarsi davanti a me, non è questa sufficiente prova che vuole avere il perdono di Dio?».
Le critiche furono ben presto spazzate via. L’allora canonico teologo di Padova monsignor Guido Bellincini  inviò subito una lettera al convento di padre Leopoldo: «Grande larghezza di cuore la vostra, carissimo padre, che non  è lassitudine di principi morali, ma comprensione dell’umana fragilità e fiducia negli inesauribili tesori della grazia: che non è acquiescenza o indifferenza alle colpe, ma longanimità concessa al peccatore, perché non disperi delle sue possibilità di ricupero e si rassodi nei buoni propositi. Ringraziamo Iddio che fa le cose giuste: ha voluto che fosse confessore e giudice un semplice uomo e non un Angelo del cielo. Guai a noi se il confessore fosse un Angelo: quanto sarebbe rigoroso e terribile! L’uomo invece capisce l’uomo, e i sacramenti sono per gli uomini!».
Nel maggio del ’35 padre Leopoldo festeggia il suo cinquantesimo anno di vita religiosa. Inutile dire quante le manifestazioni di affetto ricevute in quel giorno. Mai si pensava di esser  trattato così, lui che era la discrezione in persona. Honor sequitur fugientes! Mai infatti, né in vita né dopo la morte, la diffusa fama di santità suscitò attorno alla sua figura chiassosa pubblicità o fanatismo. E i doni straordinari e le grandi opere che per suo mezzo il Signore si è degnato di compiere, accadevano nel silenzio, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Tanto che molti dei suoi stessi confratelli, come testimoniarono al processo, se ne accorsero solo dopo la morte: «Io stesso non avrei mai creduto, perché durante la sua vita non mi risultava nulla di straordinario. Padre Leopoldo appariva un frate esemplare, ma nulla di più».
Per quel «nulla di più» quanti ottennero da lui, anche quando era in vita, grazie e miracoli, quanti “pesci grossi” il pentimento fino al dono delle lacrime, quanti innominati entrarono per quella porticina del suo confessionale… Quanti ricorderanno per tutta la vita quell’abbraccio, quello sguardo… E lui tutti affidava a Maria, colei a cui tutto è stato perdonato in anticipo. Quante ore della notte passò pregando per quelle anime? Quante volte il padre guardiano lo aveva trovato prima dell’alba in ginocchio per terra, nella penombra della cappella davanti alla statua della Madonna? Per lei aveva gesti di tenerezza infantile e la baciava e l’implorava con le lacrime agli occhi, come un bambino.
Negli ultimi tempi, malato di cancro all’esofago, le preghiere alla sua «cara Parona celeste» sono ancora più piene di commovente tenerezza: «Ho estremo bisogno» scrive a un amico «che Lei, la mia dolcissima Madre celeste, si degni di avere pietà di me. Il Suo cuore di madre si degni di guardare a questo povero me; si degni di avere pietà di me». E ai suoi confidenti chiedeva che la pregassero perché la sofferenza provocata dal male non fosse d’impedimento per attendere alle confessioni: «E La supplichi», chiedeva «supplichi il Suo cuore di madre ch’io possa servire umilmente Cristo Signore secondo la natura del mio ministero fino alla fine… Tutto, tutto per la salvezza delle anime… Tutto a gloria di Dio!».
All’alba di quel 30 luglio volle celebrare la messa ma per la debolezza venne riportato a letto. Sentendo venir meno le sue forze chiese ai suoi confratelli di intonare il Salve Regina. Ai versi finali si sollevò con gli occhi pieni di lacrime… Dulcis Virgo Maria, oh dolce Vergine Maria. Fu questo l’ultimo suo respiro. La sera prima aveva confessato cinquanta persone! L’ultima a mezzanotte.

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