I persecutori “odiano senza causa”

Posté par atempodiblog le 24 novembre 2015

I persecutori “odiano senza causa”
René Girard – Il capro espiatorio

giotto

Anche la folla della passione adotta a occhi chiusi le accuse generiche contro Gesù. Per lei, Gesù diventa subito quella causa suscettibile di intervento correttivo – la crocifissione – che tutti gli amanti del pensiero magico si mettono a cercare al minimo segno di disordine nel loro piccolo mondo.

Le due citazioni sottolineano la continuità tra la folla della passione e le folle persecutorie già stigmatizzate nei Salmi. Né i Vangeli né i Salmi fanno proprie le illusioni crudeli di queste folle. Le due citazioni tagliano corto con ogni spiegazione mitologica. Sradicano veramente quest’albero, giacché la colpevolezza delle vittime è la molla principale del meccanismo vittimario e la sua assenza apparente nei miti più evoluti, dove viene manipolata o elusa la scena dell’assassinio, non ha nulla a che vedere con quello che succede qui. Lo sradicamento evangelico ha con i giochi di prestigio mitologici nello stile di Baldro dei Cureti lo stesso rapporto che l’asportazione totale di un tumore ha con i gesti ‘magnetici’ di un guaritore di villaggio.

I persecutori credono sempre nell’eccellenza della loro causa, ma in realtà “odiano senza causa”. E questa assenza di causa nell’accusa (“ad causam”) i persecutori non la vedono mai. Bisogna dunque prendersela con questa illusione, se vogliamo liberare tutti questi poveretti dalla loro prigione invisibile, dall’oscuro sotterraneo dove marciscono, e che sembra loro il più splendido dei palazzi.

Per questa opera straordinaria dei Vangeli, di abrogare, cassare, annullare la rappresentazione persecutoria, l’Antico Testamento costituisce una sorgente inesauribile di riferimenti legittimi. Non senza ragione il Nuovo Testamento si ritiene tributario di quello Antico e si basa su di esso. Entrambi partecipano alla stessa impresa. L’iniziativa spetta all’Antico, ma è il Nuovo a portarla a termine e a compierla in modo decisivo e definitivo.

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Un accecamento che si crede perspicacia

Posté par atempodiblog le 24 novembre 2015

Un accecamento che si crede perspicacia
di René Girard – Il capro espiatorio

capro espiatorio

Sono, ovunque, gli stessi stereotipi persecutorii ma nessuno se ne accorge.  Ancora una volta è soltanto la copertina esterna, qua storica là religiosa,  a determinare la scelta dell’interpretazione, e non la natura del testo  considerato. Ritroviamo la linea invisibile che attraversa tutta la nostra cultura; al di qua di essa, ammettiamo la possibilità di violenze reali, al di là non l’ammettiamo più e riempiamo il vuoto che così si è creato con tutte le astrazioni dello pseudo-nietzscheanesimo condito con la salsa della linguistica derealizzante.

Ce ne rendiamo sempre più conto: dopo l’idealismo tedesco, tutti  gli avatar della teoria contemporanea non sono altro che cavilli destinati a  impedire la demistificazione delle mitologie, nuove macchine per ritardare il  progresso della rivelazione biblica.

Se i Vangeli rivelano, come io sostengo, il meccanismo del capro espiatorio, ovviamente senza designarlo con il nostro termine ma anche senza omettere niente di ciò che bisogna sapere su di esso per proteggersi dai suoi effetti insidiosi e individuarlo ovunque si nasconda e soprattutto in noi stessi, dovremmo ritrovare in essi tutto ciò che abbiamo tratto da questo meccanismo nelle pagine precedenti, e in particolare la sua natura “inconscia”.

Senza questa non coscienza che è tutt’uno con la loro fede sincera nella colpevolezza della vittima, i persecutori non si lascerebbero rinchiudere nella rappresentazione persecutoria. E’ una prigione di cui non vedono i muri, una servitù così totale da considerarsi libertà, un accecamento che si crede perspicacia.

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Il cristianesimo detiene la verità contro la follia nietzscheana

Posté par atempodiblog le 8 novembre 2015

«Se Nietzsche non finiva nell’imbecillità sarebbe finito nell’imbecillità il nietzscheanesimo. A pensare nell’isolamento e con superbia si finisce per diventare idioti.

Ogni uomo che non avrà ammorbidito il cuore dovrà alla fine indebolire il cervello».

Gilbert Keith Chesterton – Ortodossia

cristianesimo croce

«Non possiamo non accennare a un pensatore che ha veramente dominato la speculazione moderna, Friedrich Nietzsche (1844 – 1900). La sua teoria del superuomo è l’espressione più impressionante ed esasperata dell’orgoglio considerato non come un vizio capitale, ma come una virtù, cui corrisponde il disprezzo per l’umiltà, vista come una forma di debolezza e di sottosviluppo spirituale.

Come abbiamo già detto Nietzsche, morto in manicomio, tragicamente realizza in se stesso l’osservazione di un maestro della chiesa antica, Palladio, secondo il quale l’esasperata esaltazione del proprio io conduce a perdere la retta percezione di se stessi e quindi alla pazzia». 

Padre Livio Fanzaga – I vizi capitali e le contrapposte virtù

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«Nietzsche non perde mai l’occasione dl fustigare ogni senso di pietà per i deboli e per i malati. Vero Don Chisciotte della morte, il filosofo condanna qualunque misura in favore dei diseredati, e denuncia nella preoccupazione per le vittime la causa di ciò che egli interpreta come invecchiamento precoce della nostra civiltà. [...] non vi è dubbio che la difesa evangelica delle vittime sia più umana del nietzscheanesimo […]. È il cristianesimo a detenere la verità contro la follia nietzscheana». 

René Girard – Vedo Satana cadere come la folgore

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Morto a 91 anni il filosofo René Girard

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Morto a 91 anni il filosofo René Girard
di Daniele Zappalà – Avvenire

rene girard

«I Demoni di Dostoevskij. Poi, Alla ricerca del tempo perduto di Proust». Fu una risposta senza esitazioni, ma tanto più indimenticabile per la dolcezza di voce e di sguardo con cui René Girard la pronunciò, nel suo piccolo appartamento parigino a due passi dalla Tour Eiffel, davanti a un cronista che ci mise un bel po’ a decifrare come fosse possibile che un simile monumento delle scienze umane occidentali, al termine di un’intervista, potesse rispondere con tanta naturalezza a una domanda che avrebbe fatto ridere o al contrario indisposto tanti altri: «Perdoni la facezia. Ma quali romanzi porterebbe assolutamente su un’isola deserta?».

Dietro al grande studioso c’era un uomo di una rara generosità intellettuale, spesso testimoniata da quanti negli anni hanno potuto incontrare o “sentire” Girard. C’erano ancora imprevisti picchi, molto discreti, dietro il massiccio della fama accademica dell’antropologo scopritore della teoria del desiderio mimetico e del capro espiatorio, appena scomparso a 91 anni, dopo una lunga malattia. Come intuivano i più stretti collaboratori di una vita, questi intimi picchi abitavano l’uomo in simbiosi con la fede di Girard, nato nel giorno di Natale del 1923 ad Avignone, la città del Palazzo dei papi. Con Menzogna romantica e verità romanzesca, uscito nel 1961 e da allora ristampato di continuo in tutto il mondo (per Bompiani in Italia), partì proprio dall’analisi dei più grandi romanzi occidentali la cavalcata di Girard in una nuova prateria vergine dell’antropologia filosofica, riassunta forse da una celebre massima del libro: «L’uomo desidera sempre secondo il desiderio dell’Altro».

Dalle iniziali letture girardiane dei capolavori di Stendhal, Cervantes, Flaubert, Proust e Dostoevskij, quella teoria si è poi diffusa come una sorta di bing bang teorico nei campi più svariati delle scienze umane, come mostra oggi l’estrema varietà dei temi toccati dai convegni dell’Arm, l’Associazione delle ricerche mimetiche, voluta in Francia dagli allievi e amici di Girard per offrire un pur minimo coordinamento, una sorta di mappatura, al rizoma intellettuale propagatosi lungo i decenni dalla grande intuizione di Girard. «La sua eredità culturale sarà assicurata da tanti e vorrei dire in questo momento che non c’è nessun cenacolo girardiano, perché René ha saputo parlare fin da subito a un vasto pubblico sulle due sponde dell’Atlantico, conservando fino all’ultimo questo gusto dell’apertura», ci dice Benoît Chantre, fra i più stretti amici e presidente dell’Arm, con voce paralizzata dal dolore. Nel 2007, proprio Chantre aveva dialogato con Girard nell’ultima grande opera del pensatore, ancora straordinariamente magmatica e avvolgente, uscita in Italia con il titolo Portando Clausewitz all’estremo (Adelphi).

I critici più attenti l’hanno subito interpretata come un monito dal sapore profetico, puntato sulle enormi capacità d’autodistruzione del genere umano: una sorta di attualizzazione, in chiave filosofica e per i lettori del XXI secolo, del ritratto del nichilismo umano contenuto a livello letterario proprio nei Demoni di Dostoevskij, l’opera preferita da Girard: «Siamo la prima società a sapere che può autodistruggersi in modo assoluto. Ma ci manca la credenza che potrebbe sostenere questo sapere». Lungo la densa parabola intellettuale girardiana, dal primo fino a quest’ultimo capolavoro, sono tante le opere che hanno impressionato i lettori di tutto il mondo. Volumi scritti quasi tutti negli Stati Uniti, in quella Stanford dove Girard ha condotto quasi tutta la sua carriera accademica. E dove gli studenti del campus della celebre università avevano imparato a incrociare Girard pure la domenica, lungo il percorso verso la Messa. In Italia, dove il pensiero girardiano è stato accolto con grande favore anche da contrade intellettuali ideologicamente opposte, è uscito nel 1980, per Adelphi, La violenza e il sacro, prima de Il capro espiatorio (1987, Adelphi). «L’amore, come la violenza, abolisce le differenze», aveva scritto in una delle tante opere con cui aveva precisato nel tempo il suo pensiero, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1983, Adelphi).

E di amore ha sempre molto trattato tutta l’opera girardiana, concentrata in proposito pure sul senso profondo, innestato nella stessa natura umana, della Passione di Cristo: per Girard, il Sacrificio che si è offerto come modello, ribaltamento e possibile via d’uscita rispetto alla strada antica, antropologicamente radicata, degli olocausti rituali per placare l’aggressività sociale connessa alle intime trappole del desiderio.

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La lettera d’amore per te, scritta col sangue

Posté par atempodiblog le 23 avril 2014

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Il 9 aprile scorso, durante l’Udienza generale in Piazza San Pietro, una persona dalla folla ha gridato verso il Pontefice: “Papa Francesco, sei unico!”. Il Santo Padre gli ha risposto: “Anche tu, anche tu sei unico. Non ci sono due come te”.
Con quella semplice battuta ha espresso una verità immensa, che caratterizza il cristianesimo. Infatti per il mondo il singolo è solo un numero, sostituibile con tanti altri, cioè sacrificabile al potere.
Le ideologie moderne poi considerano come protagonisti della storia dei soggetti collettivi (la Razza, la Classe, la Nazione, l’Umanità) o entità astratte come il Mercato, il Capitale, il Partito e lo Stato. 

RIVOLUZIONE
Invece con l’avvenimento cristiano accade qualcosa di rivoluzionario: l’unico Dio che scende sulla terra e ha pietà di ogni singola persona, specie del miserabile, del peccatore incallito, del malato, di ciascun uomo.
Per compassione il Figlio di Dio lo abbraccia, lo risana, lo perdona, addirittura si inginocchia davanti a lui e gli lava i piedi (ovvero fa quello che facevano gli schiavi agli ospiti). Fino a morire per lui, per quel singolo essere (insignificante per il mondo).
Davvero una rivoluzione, un totale capovolgimento dell’ordine costituito da millenni, da sempre basato sui sacrifici umani, in molte forme (a partire dallo schiavismo, fondamento delle economie antiche).
Lo colse bene il più fiero avversario moderno del Nazareno, ovvero Friedrich Nietzsche che scrisse: “L’individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani… La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di autosuperamento, perché abbisogna del sacrificio dell’uomo. E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato”.
Noi neanche più ce ne rendiamo conto. Ma il cristianesimo è entrato nel mondo proclamando la fine di tutti i sacrifici umani.
In quale modo lo ha fatto? Col sacrificio del Figlio di Dio. L’editto di liberazione è scritto sulla sua stessa carne.
Lo ha spiegato il filosofo René Girard: Gesù è letteralmente “l’Agnello di Dio” (il capro espiatorio) che si offre in olocausto affinché tutti vengano liberati dalla schiavitù del male e nessun essere umano venga più sacrificato agli dèi della menzogna e della morte.
Ma – attenzione – ancora una volta Gesù non si offre a quella morte orrenda per un’astratta Umanità, bensì per ogni singolo, per me che scrivo questo articolo, per te che leggi.
La dottrina cattolica è arrivata ad affermare che, agli occhi di Dio, la salvezza di un singolo essere umano vale più dell’intero creato.
E la mistica ci ha fatto scoprire che – in un modo misterioso – in quelle ore di atroci sofferenze Gesù pensò proprio a ognuno di noi, nome per nome, ai nostri volti. Uno per uno.
Fa impressione accostare questa rivelazione dei mistici alle fasi del supplizio di Gesù.
La Sindone ci dà la perfetta immagine fisica di quelle atroci torture che il Vangelo elenca in modo scarno, quasi freddo. Vediamole. 

LETTERA DI SANGUE
Le tante tumefazioni sul volto sono i segni dei pugni sopportati (con gli sputi e gli insulti) nelle fasi concitate dell’arresto. Però il naso rotto, l’occhio gonfio e i sopraccigli feriti (evidenti sulla Sindone) sono anche la traccia della bastonata in faccia subita da Gesù durante l’interrogatorio del Sinedrio (Gv 18, 22-23).
Poi c’è quell’inedita macellazione dei 120 colpi di flagello romano (a tre punte) che gli hanno devastato tutto il corpo strappandogli la carne in più di trecento punti (un supplizio del tutto anomalo anche per i crocifissi).
Ma una delle cose più dolorose per Gesù è il peso ruvido della traversa della croce che, lungo il tragitto del Calvario, letteralmente gli scopre le ossa delle spalle provocando sofferenze indicibili.
Poi Gesù avrà la testa trafitta da circa 50 lunghe spine (la corona beffarda dei soldati romani), qualcosa che non è umanamente sopportabile.
Ma la Sindone mostra anche ferite al volto e alle ginocchia dovute alle cadute mentre andava al Calvario (avendo le braccia legate alla traversa della Croce, non poteva ripararsi la faccia).
Infine le ferite dei chiodi, per la crocifissione, e le ore trascorse a respirare dovendosi appoggiare proprio sugli arti inchiodati.
Bisognerebbe fissare una per una queste atroci sofferenze ricordando che in quel momento Gesù pensava a me e a te, sopportava tutto per me e te, al posto mio e tuo, perché non fossimo sacrificati alle crudeli divinità delle tenebre. 

SCOPERTE RECENTI
In questi giorni si è saputo che un’équipe di studiosi veneti, lavorando sulla Sindone, ha scoperto altri particolari impressionanti.
I ricercatori Matteo Bevilacqua, direttore del reparto di Fisiopatologia Respiratoria dell’Ospedale di Padova e Raffaele De Caro, direttore dell’Istituto di Anatomia Normale dell’Università di Padova, hanno lavorato insieme con Giulio Fanti, professore del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Ateneo padovano che già in passato ha pubblicato studi sulla Sindone che ne accreditano l’antichità.
Dunque questi specialisti hanno provato a riprodurre ciò che fu inflitto all’uomo della Sindone: la simulazione ha comportato due anni di lavoro.
Hanno concluso che le mani del crocifisso probabilmente furono bucate dai chiodi due volte, evidentemente perché non si riusciva a fissarle ai solchi già prefissati sulla croce.
“Per i piedi invece la situazione cambia”, spiega Bevilacqua (le sue dichiarazioni sono riportate dal Mattino di Padova). “Il piede di destra aveva sia due chiodi che due inchiodature: era stato infilato un chiodo a metà piede per assicurare l’arto sulla trave, poi è stato infilato un altro chiodo lungo due centimetri per riuscire ad accavallare il calcagno del piede sinistro sulla caviglia del piede destro”.
Atrocità che si aggiungono a quelle già note, riferite dai Vangeli. Del resto la crocifissione, nel caso di Gesù, “è stata particolarmente brutale” affermano questi specialisti “perché fatta su un soggetto paralizzato che aveva perso molto sangue e che era stato abbondantemente flagellato”.
Ma perché l’uomo della Sindone era in parte “paralizzato”?
Questi specialisti spiegano che la traversa della croce, di una cinquantina di chili, in una delle cadute avrebbe provocato un grave trauma al collo, con una lesione dell’innervazione e una conseguenze paralisi del braccio destro.
Per questo i soldati romani costrinsero Simone di Cirene a portare la croce che Gesù non poteva più sostenere. I ricercatori padovani – i quali aggiungono che l’uomo della Sindone aveva pure una lussazione della spalla – spiegano anche le cause cardiache della morte.

PROVA DELLA RESURREZIONE
Tutti dati reperibili sulla Sindone che però porta anche le tracce della resurrezione. Per la connessione di questi tre dati.
Primo: i medici legali che hanno lavorato in passato su quel lenzuolo hanno appurato che esso ha sicuramente avvolto il cadavere di un uomo morto per crocifissione.
Secondo: gli scienziati americani dello Sturp che analizzò la Sindone, con strumenti assai sofisticati, conclusero che quel corpo morto non rimase dentro al lenzuolo più di 40 ore perché non vi è alcuna traccia di putrefazione.
Terzo. Costoro accertarono che i contorni della macchie di sangue provano che non vi fu alcun movimento fra il corpo e il lenzuolo. Il mancato strappo dei coaguli ematici rivela che il corpo non si spostò, né fu spostato, ma uscì dal lenzuolo come passandovi attraverso.
E con il misterioso sprigionarsi, dal corpo stesso, di una energia sconosciuta che ha fissato quell’immagine (tuttora senza spiegazione scientifica).
Arnaud-Aaron Upinsky osservò che “la Sindone porta la prova di un fatto metafisico”. In effetti è la resurrezione di Gesù. Che ha sconfitto il male e la morte per ciascuno di noi. Uno per uno. E ci regala l’immortalità.

di Antonio Socci – Libero

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Il Mistero della Croce

Posté par atempodiblog le 16 avril 2014

Il Mistero della Croce
di Padre Livio Fanzaga – La nuova Bussola Quotidiana

Il Mistero della Croce dans Fede, morale e teologia TRJA2820

All’inizio  della Settimana Santa ciò che si presenta davanti a noi in un’ottica cristiana è il mistero della Pasqua, che è il mistero della nostra redenzione e della nostra salvezza. Questo è l’annuncio fondamentale del cristianesimo: siamo stati salvati. Salvati dalla condizione esistenziale di persone che nascono nel peccato, sotto l’impero delle tenebre e quindi nascono lontani da Dio e con la condanna a morte. Perché non c’è dubbio che  se la morte da un certo punto di vista è un fatto naturale, dal punto di vista teologico, dal punto di vista della fede è lo stipendio del peccato, come dice san Paolo. Per invidia del diavolo è entrata la morte nel mondo, dice il libro della Sapienza.

Questa condizione esistenziale nella quale tutti gli uomini nascono, è anche la condizione dalla quale nascono tutte le religioni, perché – come diceva René Girard – tutte le religioni sono nate per dare una risposta al problema della morte, del male e della morte. Per male si intende il male morale, il peccato, la cattiveria e tutto ciò che da esso deriva, a livello personale e sociale. Le religioni sono il tentativo dell’uomo di salvarsi da questa situazione. Ma tutti i tentativi umani, che si esprimono nelle varie religioni, nelle varie filosofie, perfino in varie ideologie, non approdano a nulla. Questo è il punto di partenza su cui possiamo convergere tutti: l’uomo nasce non solo malato, ma condannato: da solo non riesce a salvarsi né dal peccato né dalla morte, né dalla disperazione né dall’angoscia.

Il cristianesimo si distingue da tutte le altre religioni perché l’iniziativa di salvare l’uomo viene da Dio, viene dall’alto. Come dice Benedetto XVI nel suo libro “Gesù di Nazaret” Dio si è assunto la natura umana ma eccetto il peccato. Assunta nella sua totalità, nel corpo e nell’anima, Gesù è vero corpo e vera anima, però senza il peccato.

Lui è quell’agnello immacolato che ha assunto su di sé tutti i peccati del mondo e li ha espiati: così è venuta la nostra salvezza. Cioè noi siamo stati liberati dal peccato, dalla morte, dalla lontananza da Dio, abbiamo riacquistato la divina amicizia e la vita eterna, prima che nel dono dell’immortalità nella pienezza della gioia. Abbiamo ottenuto questo come dono che Dio ci ha dato in quanto Gesù Cristo ha espiato il peccato che è la causa di tutti i mali, compresa la morte fisica. Anche gli apostoli ebbero grande difficoltà a capire perché Gesù aveva dovuto patire. Quando Gesù parlava della sua Passione, della sua morte, sullo sfondo della sua resurrezione, gli apostoli inorridivano, non volevano capire la necessità della sofferenza e della morte in Croce per la redenzione, tanto è vero che quando Gesù venne poi effettivamente catturato, fu veramente in mano ai pagani, vacillarono nella fede. E sotto la Croce non c’erano. C’erano Maria e san Giovanni, gli altri erano pecore sbandate, come se avessero perso il loro pastore, perché non avevano capito il significato della Croce.

Poi Gesù Cristo stesso, il Risorto, e poi il dono dello Spirito santo gli hanno fatto capire: San Pietro nella sua predicazione nel primo giorno di Pentecoste disse parlando di Gesù Cristo morto in croce:  “Patì per i nostri peccati”. Cioè la Croce è il momento scelto per distruggere i peccati.
Come è avvenuta questa distruzione dei peccati? Perché proprio in croce Cristo ha distrutto i peccati di tutto il mondo, di tutti i tempi? Per cui spirando al termine della sua passione, dice “Tutto è compiuto” e invoca il perdono del padre, dicendo “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno. Perché questo perdono che Gesù ci ha ottenuto? Coma ha fatto a ottenerlo? Lo ha ottenuto perché Gesù ha espiato i peccati del mondo nel suo cuore.

Pensiamo a cos’è il peccato: è orgoglio, disobbedienza, superbia, disamore, opposizione a Dio, odio per Dio e per il prossimo, c’è tutta la gamma delle passioni e del male, del peccato. Gesù Cristo nella sua Passione, nel suo cuore ha espresso una tale obbedienza, una tale sottomissione al padre, un tale amore, una tale generosità, una tale pazienza, un tale coraggio, una tale dedizione, una tale pietà, una tale compassione, una tale misericordia, che questo amore che ardeva nel suo cuore ha bruciato tutto il disamore e disobbedienza che c’è in tutti i peccati di tutti gli uomini. Questo cuore di Cristo crocefisso è la fonte di grazia da cui nasce il perdono, da cui nasce la remissione dei peccati, che poi si concretizza per quanto riguarda noi cristiani nei sacramenti del battesimo e della penitenza dove i peccati vengono rimessi perché un altro al nostro posto per nostro amore ha espiato.

Chi andasse in un tribunale e confessare un delitto: sarebbe condannato anche fino a trent’anni di reclusione per aver commesso il delitto e deve espiare quella pena. Se uno va in un confessionale, confessa un delitto, si pente sinceramente e di tutto cuore chiede perdono a Dio, gli viene data l’assoluzione; sì, farà una penitenza ma avrà l’assoluzione. Perché l’assoluzione? Perché Gesù Cristo ha espiato per te, al tuo posto, per tuo amore. Quindi dobbiamo sempre guardare la Croce con questo sguardo di fede, e cioè come l’agnello che si è addossato tutti i peccati del mondo con la sua mitezza, umiltà, obbedienza: li ha distrutti, bruciati. Per cui la Croce è la fonte inesauribile di ogni grazia innanzitutto per il perdono dei peccati, la grazia per la vita eterna, la grazia della figliolanza, quella grazia che poi si effonde in tutti i sacramenti. E questo è l’aspetto teologico della Croce che ovviamente va vista sempre alla luce della Resurrezione, perché il mistero pasquale è il passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, quindi la croce va sempre vista nella gloria della Resurrezione, che è anche la nostra meta finale.

Questo è lo sguardo di fede per quanto riguarda il nostro modo di guardare la Croce, per cui dobbiamo chiedere al Signore anche la grazia dello Spirito Santo per avere questo sguardo di fede e accostarci anche al sacramento della confessione pasquale e della comunione vivendo in noi il mistero pasquale, il mistero di morte e di vita che ha vissuto Gesù Cristo.

C’è anche uno sguardo umano, molto denso di significato per quanto riguarda il Crocefisso, uno sguardo non dico laico ma di umana compassione: lo sguardo della ragione, del cuore anche se non illuminati dalla fede. Per cui possiamo dire che la croce è un grandissimo simbolo di civiltà, anzi è un simbolo di civiltà senza il quale l’uomo non avrebbe futuro.

Per quale motivo? Perché sulla Croce c’è l’uomo innocente, sofferente, quindi che sperimenta la condizione umana di sofferenza. L’uomo nasce crocifisso, vive crocifisso e muore. E questo uomo sofferente che soffre perché colpito dalla cattiveria, dalla malvagità dei suoi simili ma che tuttavia invece di opporre al male il male, alla violenza la violenza, invece dell’occhio per occhio dente per dente, ha spezzato la spirale della violenza, ha spezzato la logica della violenza che non solo distrugge le vite personali, i rapporti familiari, i rapporti sociali, ma che rischiano di portare il mondo alla distruzione. E invece di vendicarsi perdona.

Questo del perdono è storicamente il cuore del cristianesimo. Noi credenti lo vediamo come il perdono di Dio per i peccati degli uomini a cui vengono rimessi, per amore misericordioso; ma anche l’occhio non illuminato dalla fede vede il grandissimo valore personale e sociale e anche storico, di un passaggio fondamentale della storia: non si risponde al male con il male, non si risponde alla spada con la spada, bisogna saper perdonare i nemici. Non è solo un dettato di fede, un comandamento di fede, è un imperativo morale senza il quale il mondo non avrebbe più futuro. Perché oggi o è così – si risponde al male con il bene -,  o si risponde con l’amore oppure il mondo rischia l’autodistruzione. Vorrei sottolineare questo aspetto dell’altissimo valore che la Croce ha  sotto il profilo della storia della civiltà, come sottolinea Renè Girard: sotto un profilo puramente laico la Croce ha un valore altissimo perché Gesù Cristo è divenuto quel capro espiatorio di cui tutti gli uomini hanno bisogno nella loro vita, la storia umana ha sempre capri espiatori da distruggere. Cristo è capro espiatorio che ha preso il posto di tutti i capri espiatori. per cui gli uomini d’ora in poi dovranno imparare a perdonarsi.

La croce quindi come svolta della civiltà umana per ottenere una civiltà pacifica, fraterna, e sotto un altro ruolo la Croce come riconciliazione degli uomini con Dio, il riscatto della vita umana sottoposta al male e alla morte, la prospettiva della vita eterna e della resurrezione.

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Padre Livio indaga le strategie del Male

Posté par atempodiblog le 16 septembre 2013

Padre Livio indaga le strategie del Male
L’Eco di Bergamo

Padre Livio indaga le strategie del Male dans Anticristo Fanzaga
Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, filosofo e teologo

Credo dunque che oggi sia in corso un attacco di Satana all’umanità, un attacco talmente grave che potrebbe portare anche alla fine del mondo, perché oggi il mondo ha la possibilità di distruggere se stesso con le armi a sua disposizione, e il Demonio non vuol lasciarsi sfuggire l’occasione. Mi ricordo un messaggio della Madonna dato a Medjugorjie: il Diavolo vuole distruggere non soltanto la vita e la natura, ma anche il pianeta sul quale viviamo. Per vincere la grande battaglia contro il Male, occorre avere piena consapevolezza del rischio che il mondo oggi corre. Eppure la coscienza collettiva pare andare in senso opposto: c’è infatti un diffuso clima di secolarizzazione per cui si cerca di operare una demitizzazione generale. Per cui i miracoli sarebbero dei semplici modi di dire; per cui si legge la Scrittura in un modo simbolico, con un’esegesi che finisce per distruggere la stessa parola di Dio, dicendo per esempio che la moltiplicazione dei pani non è avvenuta, ma è una immagine che mostra come Gesù voglia insegnarci la condivisione. Insomma, è in atto una vera e propria demolizione della Sacra Scrittura. Mentre la Bibbia va presa sul serio. Soprattutto laddove parla del Diavolo. L’Antico Testamento ne parla nella « Genesi », nel libro di Giobbe, nel libro della Sapienza.
Però dove esplode la presenza di Satana è nei Vangeli. E Gesù Cristo che ha parlato specificamente del Diavolo e del suo potere. E poi ci sono le lettere di san Paolo, di san Pietro, di san Giovanni. Perché è nel Nuovo Testamento che emerge così forte la figura del Maligno? Perché è ormai venuto Colui che lo ha affrontato, l’ha costretto a manifestarsi e l’ha vinto. Quindi dobbiamo prendere molto sul serio le parole e le azioni di Gesù Cristo, perché è lui che ha insegnato agli apostoli e alla Chiesa dei primi tempi chi è il Nemico e come va affrontato, mostrandosi pienamente consapevole di essere venuto proprio per combattere il Principe delle Tenebre. Di questo sono convinti pure gli apostoli, e questa deve essere anche la nostra convinzione. Esistono dunque validi motivi di carattere teologico e pastorale che giustificano il tornare a parlare del Diavolo, il puntare il dito contro il Demonio per svelarne i progetti contro il mondo e l’umanità. Ma basta guardarsi attorno per comprendere quanto siano particolari i tempi che stiamo vivendo: è sufficiente analizzare i fatti di cromaca per vedere l’azione di Satana nella società odierna. Mi ricordo un messaggio della Madonna dei primi anni di Medjugorjie in cui diceva che Satana si propone di distruggere le famiglie. E la gravissima crisi della famiglia di oggi è una palese conferma di questa intenzione diabolica. Allo stesso modo la Regina della Pace ha messo in guardia i giovani, dicendo che Satana vuol distruggerli con quello che gli offre, usando il loro tempo libero per far loro del male. Sono dunque questi due fronti – della famiglia e dei giovani – gli ambiti dove Satana indirizza i maggiori attacchi. Però se dovessi parlare a un non credente dell’esistenza del Demonio – tra l’altro ha notato che quando si parla del Demonio anche i non credenti rizzano le orecchie, più ancora di quando parli di Dio – allora direi che la più perfetta definizione dell’attività di Satana l’ha data Gesù Cristo stesso quando ha detto che Satana è il padre della menzogna ed è omicida fin dall’inizio. Satana opera dunque sui versanti della menzogna e della violenza. La menzogna, prima di tutto: oggi la cultura dominante – specialmente quella mass mediatica – è un grande inganno, poiché sostiene che la vita finisce con la morte, che non ha la prospettiva dell’Eternità, e afferma la vita senza Dio, sostenendo che senza Dio si vive meglio, che senza religione c’è la pace, fino a dire che l’uomo può salvare se stesso. Questa grande menzogna del mondo contemporaneo, cioè la falsa visione della vita, è la prima evidente vittoria di Satana che sta ingannando il mondo su quello che la vita realmente sia. Il secondo versante su cui il Diavolo opera è quello della violenza; a questo riguardo basta citare il miliardo di aborti legali degli ultimi vent’anni, cioè la violenza inaudita che colpisce la vita nascente. E poi la violenza sulla vita che volge al termine, quando il malato è ridotto a un costo sociale o a un incomodo, per cui si può decidere di non tenerlo in vita… Viene in mente quanto scriveva Robert Benson ne Il padrone del mondo sull’istituzione del «sacramento dell’eutanasia». E poi ricordiamo la violenza immane della guerra, perché non dobbiamo mai dimenticare quello che sostiene René Girard – insieme a Lévi-Strauss, il più grande antropologo vivente – quando afferma che l’Apocalisse non è dietro di noi, ma davanti a noi e l’abbiamo costruita noi, poiché abbiamo la possibilità di autodistruggerci. Ecco dunque che su questi due fronti – della menzogna e della violenza – anche un non credente può scorgere l’azione diabolica nel mondo contemporaneo.

di Padre Livio Fanzaga

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Resistere alla laïcité

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2013

Una nuova Vandea
Resistere alla laïcité
Il filosofo Steffens ci spiega perché i cattolici francesi si rivolteranno contro la New Age giacobina
di Piero Vietti – Il Foglio

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La Francia come “un diritto individuale”, che va verso “un mondo in cui individui senza legami duraturi né memoria si giustappongono, godendo come ubriachi del loro diritto di fare qualsiasi cosa, prima di incenerirsi al ritmo di musica new age”. Una scuola destinata a crescere bambini angosciati che hanno perso la voglia di imparare. Una religione costruita dal niente che innalzerà templi vuoti. Ma anche una nuova generazione di cattolici non impauriti. E’ un affresco inquietante, ma non disperato, quello che il giovane filosofo Martin Steffens fa al Foglio nei giorni in cui entra in vigore nelle scuole francesi la carta della laicità voluta dal ministro Vincent Peillon, apertamente in guerra con la chiesa cattolica. Scopo: portare a termine quanto iniziato dalla Rivoluzione francese, “strappare il bambino da tutti i suoi legami pre-repubblicani per insegnargli a diventare un cittadino”, ovviamente non omofobo e aperto a tutte le possibilità sessuali. Una “nuova nascita”, una nuova “religione repubblicana”. Vocazione al pensiero unico, guerra alla libertà di pensiero. Steffens, cattolico francese, saggista, conferenziere e polemista noto per le sue posizioni mai concilianti con il mainstream secolarista, studioso del pensiero di Simone Weil (di cui ha curato un libro uscito in Italia per Gribaudi, “15 meditazioni”), spiega al Foglio che quello di Peillon è un attacco contro le proprie radici: “Molti francesi, distruggendo tutto ciò che c’era prima del 1789, pensano di lottare per la libertà di pensiero, ma non si rendono conto che così facendo seccano la linfa che ancora irriga la nostra vita sociale”. Avere una memoria viva, dice Steffens, “vuol dire riconoscere che tanti dei valori che stanno alla base della Francia provengono dalla tradizione cristiana. Pascal diceva che ‘siamo nani sulle spalle di giganti’: chi sostiene il contrario manca di senso storico e memoria. Molte delle cose belle che ancora si vedono nei nostri paesi e nelle nostre città, per fare un esempio, sono frutti dell’arte religiosa”. In pochi però ormai sono consapevoli di questa tradizione. “Durante una lezione di filosofia – esemplifica Steffens – ormai non è più possibile parlare di sant’Agostino o di Tommaso d’Aquino senza che uno studente salti su a ricordare che viviamo in un paese laico”. Che cos’è oggi la Francia? “Un diritto individuale che si sostiene da se stesso. ‘La Francia… se voglio’. Ormai è questo il nostro motto”.

“Questa carta della laicità incoraggerà gli studenti a ripensare i propri credi”, ha detto Dominique Borne, fra gli autori del testo sulla laicità per le scuole, dirigente del ministero dell’Istruzione e già presidente dell’Istituto europeo delle scienze religiose. Tempi duri per i cattolici, che rischiano di soffrire una sorta di persecuzione per il loro credo non allineato? “Per il momento no”, dice Steffens. Che aggiunge subito: “Finché dura”. Il primo compito di un governo, spiega, “dovrebbe essere quello di assicurare la coesione sociale del paese, al di là delle posizioni ideologiche che rappresenta. Ecco perché è sorprendente vedere come Hollande prima, con il matrimonio per tutti, e Peillon adesso sulla scuola abbiano introdotto la logica amico/nemico al centro del loro modo di governare”. Non una novità, questa: “Certo, la sinistra ha sempre avuto bisogno, per esistere sullo scacchiere politico, di stigmatizzare gli elettori di destra. Ma adesso la sinistra è al governo, e quando stigmatizza crea realmente divisione. Attaccando non soltanto l’appartenenza, ma la stessa religione ‘madre’ del paese, la sinistra tocca senza la dovuta delicatezza argomenti più che delicati, che riguardano la pancia e la memoria viva del paese. Una persona al potere deve avere tatto quando tocca queste cose: un tessuto sociale fragile facilmente si strappa”.

Il popolo e gli intellettuali francesi però non sono rimasti a guardare inerti lo sfacelo: “Il neonato movimento Manif pour tous ha mobilitato molte energie per denunciare il mondo che ci aspetta. Ma nonostante tutto ho l’impressione che qui in Francia stia nascendo qualcosa di nuovo: i giovani cattolici sono più forti, meno complessati, credono in Dio, nella resurrezione della carne e nella presenza reale di Cristo. Per quel che riguarda gli intellettuali, abbiamo sentito le voci di Rémi Brague, Chantal Delsol, Marcel Gauchet e Alain Finkielkraut”. Ma è alla generazione dei venti-trentenni che bisogna guardare, insiste Steffens: in molti hanno capito che la santità ha bisogno di carità e testimonianza: “Un santo è un profeta, uno che non sta zitto e non ha paura di combattere l’errore e l’eresia. Questo momento di confusione è un appello alla conversione”. E aggiunge: “Non mi stupisce che certe cose succedano proprio qui da noi: il diavolo lascia stare solo quelli che sono già suoi”.

In questi giorni ricomincia l’anno scolastico in Francia, e la cura Peillon comincerà a farsi sentire. “Il rientro a scuola rischia di assomigliare a tutti gli altri rientri – assicura Steffens – Perché quello di cui Peillon non si rende conto è che se questa nuova religione ha come principio quello di autogenerarsi con una ‘nuova nascita’, essa non avrà come ‘fedeli’ che individui autocentrati, i quali non vorranno imparare, sapere e credere nulla”. Questo è il carattere paradossale del vecchio sogno repubblicano di creare una religione della République, spiega ancora Steffens, “poiché creare dal nulla una religione vuol dire non crederci! Bisognerebbe essere pazzi per adorare questo dio ‘costruito’ nel proprio ufficio o in un think tank. Guardate i cristiani: non volevano creare una nuova religione; semplicemente credevano che Gesù fosse il Cristo, e così è nato il cristianesimo. Come ha detto Samuel Beckett: ‘E’ più facile costruire un tempio che farvi discendere la divinità’. Come nel 1789, costruiranno bei templi repubblicani, ma saranno vuoti: Joseph de Maistre, che fu il primo rivoluzionario, aveva messo in guardia i suoi contemporanei: con il vostro ‘contratto sociale’, diceva, potrete imporre ai cittadini di vivere insieme, ma non di danzare o cantare insieme. Infatti ormai si canta insieme solo nelle famiglie cattoliche”.

Steffens intravede un altro aspetto inquietante nelle parole del ministro: “Per fare una religione non bastano i concetti religiosi, ma occorre la pratica e il sacrificio’. Come ha detto René Girard, dove c’è religione c’è un sacrificio: in quella cattolica è Dio stesso che si sacrifica. Ma chi sarà il capro espiatorio di questa nuova religione laica? Temo che la risposta sia già contenuta nelle parole di Peillon”.

L’offensiva educativa di Peillon trova naturalmente un appoggio nella cultura gay. Il suo ministero ha inviato a tutte le scuole elementari del paese una circolare dove “si invita fortemente” a educare i ragazzi “all’uguaglianza di genere” e a combattere in classe “l’omofobia”. Il testo consigliato dal sindacato degli insegnanti si intitola “Papà porta la gonna”. “La preoccupazione del ministro non è che si parli di sessualità a scuola, ma di parità di diritti – dice Steffens – Ora si scopre che gli omosessuali in Francia sono considerati il simbolo delle minoranze che soffrono persecuzioni, ma tutti sanno che in Francia non c’è nessuna persecuzione ai danni degli omosessuali. Che una coppia gay soffra perché non può concepire un bambino non vuol dire che per questo a scuola si debba introdurre il tema dell’identità sessuale: che cosa può portare ai bambini il parlare loro del diritto a essere bisessuali o a cambiare sesso, se non turbamento? Come diceva Hannah Arendt, la scuola deve ‘proteggere i bambini dal mondo’, soprattutto quando il mondo è perso, guardone e ossessionato dal sesso. Nelle società occidentali il sesso è sempre più importante perché abbiamo una visione consumista e individualista. La sessualità è stata staccata dalla dimensione umana e spirituale. La società laicizzata sa guardare solo sotto la cintura. Ma sono sicuro che il signor Peillon, che è un uomo d’altri tempi, con quattro figli, è lui stesso inorridito nel guardare il sito Ligne Azur, promosso dal ministero, sulla nuova educazione sessuale dei giovani francesi”.

I vescovi francesi al momento non si sono fatti ancora sentire, ma è possibile che l’attacco alla chiesa cattolica, oltretutto esplicito, rimanga non giudicato dai vertici della chiesa? C’è da aspettarsi prima o poi un intervento del Papa? “La questione è delicata – risponde Steffens – Quello che sta succedendo rimette in gioco quello che Papa Leone XIII aveva espresso nella Inter sollicitudines, ovvero il sostegno dei cattolici francesi alla République”. La laïcité francese insiste sul carattere individuale: la fede deve essere confinata alla sfera privata. “I cattolici sono i primi ad avere assimilato questa esigenza di neutralità: mentre è facile incontrare per strada delle donne velate, è molto difficile vedere preti con il colletto romano o la talare”. Ma adesso l’asticella della laicità si è alzata. Il filosofo fa l’esempio del matrimonio, che per un cattolico è un’istituzione naturale che esisteva ben prima del cristianesimo, e che “serve a sostenere l’unione dei due coniugi tramite la grazia ricevuta nel sacramento. Ora lo stato, pensando al matrimonio come a un diritto individuale, e istituendo il mariage pour tous, l’ha privato del suo carattere naturale, togliendo la base naturale su cui la grazia interviene. Come fare dunque adesso, che la République contesta l’idea stessa di natura, cioè di un ordine oggettivo delle cose? La questione è interessante e, immagino, un po’ difficile da affrontare pubblicamente per i vertici della chiesa: che succede se annunciamo pubblicamente il divorzio tra stato e chiesa? Niente di bello. Ma personalmente confido nel nostro Papa e nel coraggio di un certo numero di vescovi francesi, che, come quello della mia diocesi, non hanno mai esitato a prendere posizioni chiare”.

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Radio Maryja è uscita pulita dalle gravi accuse di razzismo

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2012

«La verità è estremamente rara su questa terra. C’è anzi motivo di pensare che vi sia del tutto assente. I fenomeni di frenesia mimetica, in effetti, sono per definizione unanimi. Ogni volta che se ne verifica uno, esso persuade tutti i testimoni senza eccezione, trasformando i membri della comunità in accusatori che nulla può scuotere, perché incapaci di percepire la verità».

René Girard, Vedo Satana cadere come una folgore, p. 243

Radio Maryja è uscita pulita dalle gravi accuse di razzismo dans Articoli di Giornali e News radiomaryjapolonia

Per cercare di discriminare Radio Maryja Polska sono state fatte campagne per accusarla di razzismo, antisemistismo, ecc… Tutte queste accuse sono state categoricamente smentite.
Radio Maryja Polonia ha denunciato tutti coloro che hanno fatto accuse nei loro confronti e hanno vinto tutti i processi. Radio Maria polacca è uscita pulita da queste accuse molto gravi e infamanti.
E’ stata un’operazione di persecuzione, un tentativo di eliminare una voce importante nel campo della comunicazione in Polonia. Noi dobbiamo sapere queste cose.
Erano state messe in giro voci, da varie fonti, che Radio Maryja Polonia non godeva dell’appoggio della Chiesa, che aveva alcuni Vescovi contro, ecc… In verità, ci sono dichiarazioni a sostegno del Santo Padre e dichiarazioni esplicite del Card. Tarcisio Bertone, segretario del Santo Padre, e di tutto l’episcopato polacco che sostiene questa battaglia per la libertà di informazione che porta avanti Radio Maryja.
C’è di buono in tutto questo che in Polonia esiste una realtà molto buona e diffusa che favorisce le buone informazioni e che diffonde la Buona Novella tra grandi difficoltà. Non c’è dubbio che i poteri forti cercheranno di contrastarla e di fermarla, ma, alla lunga, a vincere sarà Radio Maria.

Tratto dalla rubrica “L’ottimista” di Radio Maria

Cliccare qui per leggere:  iconarrowti7 Saluto del Card. Tarciso Bertone, segretario del Santo Padre, al pellegrinaggio a Roma di Radio Maryja della Polonia

Cliccare qui per leggere:  iconarrowti7 Saluto del Papa, all’Udinenza Generale del 7 novembre, ai pellegrini della Polonia

Cliccare qui per leggere:  iconarrowti7 Intervista con padre Tadeusz Rydzyk CSsR, fondatore e direttore di Radio Maria polacca

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Meglio Nietzsche o il cristianesimo?

Posté par atempodiblog le 6 novembre 2012

Meglio Nietzsche o il cristianesimo?        
di Giacomo Samek Lodovici – Il Timone (2007)
Tratto da:
Contro la leggenda nera

Gli adolescenti sono «catturati» dalla sua carica trasgressiva e anticristiana.
Ma non conoscono la spietatezza con cui giustifica l’eugenetica. Per lui il cristianesimo è colpevole per il suo messaggio di amore per il prossimo, per i deboli, i malati, i diseredati. Un buon motivo per non congedarsene.

Meglio Nietzsche o il cristianesimo? dans Anticristo nietzscheecristianesimo

Friedrich Nietzsche è un pensatore geniale ed il suo pensiero ha trattato moltissime tematiche, riuscendo ad esprimere diverse istanze veramente importanti, in uno stile accattivante e suggestivo. Quando gli adolescenti lo incontrano, restano spesso affascinati e catturati dalla sua personalità magnetica e dalla sua dirompente carica «trasgressiva» ed anticristiana. Ovviamente, non è intento di queste brevi righe tracciare una disamina complessiva della sua speculazione; lo scopo di quanto segue è soltanto attenuare la fascinazione che Nietzsche è capace di esercitare sugli adolescenti. Senza per questo volere fare di tutta l’erba un fascio del suo pensiero: sarebbe un’operazione metodologicamente scorretta.
Vogliamo qui segnalare alcuni passi davvero spietati e crudeli delle sue opere, raramente noti agli adolescenti, per insinuare in loro almeno qualche ripensamento. Non vogliamo certo prendere posizione sulla questione storiografica del rapporto tra il pensiero di Nietzsche ed il nazismo. Ma quello che sarebbe importante che gli adolescenti sapessero è, almeno, che (come ha sottolineato in particolare Renè Girard) Nietzsche è un sostenitore dell’eugenetica e dell’uccisione dei deboli, dei malati, dei ritardati, degli infermi, in favore di una «purificazione» della razza umana. Inoltre, è bene sapere che quel cristianesimo che molti rifiutano, anche sulla scorta dei feroci attacchi nietzscheani, viene attaccato da questo filosofo anche (sebbene non solo) per la sua funzione di baluardo a protezione della dignità di ogni essere umano, per il suo messaggio di amore e solidarietà verso il prossimo. Infatti, Nietzsche sosteneva una concezione evoluzionistica applicata all’uomo, secondo la quale il genere umano deve progredire verso il superuomo attraverso la selezione dei migliori e l’eliminazione dei deboli e, pertanto, accusava il cristianesimo di essere uno pseudoumanesimo, che si opponeva alla vera (vera secondo Nietzsche) filantropia, proprio per avere sempre difeso ogni uomo, nessuno escluso: «i deboli e i malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore per gli uomini […]. Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesimo» (L’anticristo, Adelphi, 1970, p. 169). Similmente: «l’individuo fu considerato dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani» (Frammenti postumi 1888-1889, vol. VIII, tomo III, 15 [110], Adelphi, 1974, pp. 257-258).
Nietzsche non può tollerare che il cristianesimo e la morale cristiana abbiano sancito che ogni uomo ha la stessa dignità di fronte a Dio e, perciò, è inviolabile: «la morale ha preservato […] i disgraziati attribuendo a ciascuno un valore infinito» (Il nichilismo europeo. Frammento di Lenzerheide, Adelphi, 2006, p. 16); «Davanti a Dio tutte le “anime” diventano uguali; ma questa è proprio la più pericolosa di tutte le valutazioni possibili! Se si pongono gli individui come uguali, si mette in questione la specie, si favorisce una prassi che mette capo alla rovina della specie; il cristianesimo è il principio opposto a quello della selezione. Se il degenerato e il malato devono avere altrettanto valore del sano […] allora il corso naturale dell’evoluzione è impedito. […] questo amore universale per gli uomini è in pratica un trattamento preferenziale per tutti i sofferenti, falliti degenerati: esso ha in realtà abbassato la forza, la responsabilità, l’alto dovere di sacrificare uomini. […] la specie ha bisogno del sacrificio dei falliti, deboli, degenerati; ma proprio a questi ultimi si rivolse il cristianesimo […] che cos’è la virtù e l’amore per gli uomini nel cristianesimo, se non appunto questa reciprocità nel sostegno, questa solidarietà dei deboli, questo ostacolo frapposto alla selezione? […] La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie. […] E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato» (Frammenti postumi, p. 258).
E ancora: «la legge suprema della vita […] vuole che si sia senza compassione per ogni scarto e rifiuto della vita; che si distrugga ciò che per la vita ascendente sarebbe solo ostacolo, veleno […] – in una parola cristianesimo –; è immorale nel senso più profondo dire “non uccidere”» (ibidem, p. 23).
In questa maniera, in modo (per Nietzsche) imperdonabile, nel cristianesimo Dio è diventato un «bastone per gli stanchi […] un’àncora di salvezza per tutti coloro che stan-no per annegare, […] il dio-della-povera-gente, il dio-dei-peccatori, il dio-degli-infermi» (L’anticristo, p. 184). Perciò Nietzsche disprezza «quello strano mondo malato in cui in cui ci introducono i vangeli […] in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e un’“infantile” idiozia sembrano essersi dati convegno», (ibidem, p. 204). O, ancora, la colpa del cristianesimo è quella di essere una proposta universale e non razziale: «il cristianesimo non era “nazionale”, non era condizionato alla razza – si volgeva a ogni specie di diseredati della vita, trovava ovunque i suoi alleati. Il cristianesimo ha alla sua base la rancune [il risentimento] dei malati, l’istinto diretto contro i sani, contro la salute. […] quel che per il mondo è debole, quel che per il mondo è insensato, quel che per il mondo è volgare e spregevole, Dio lo ha eletto: questa era la formula [del cristianesimo]» ed è per questo che, secondo Nietzsche «il cristianesimo è stato fino ad oggi la più grande sciagura dell’umanità» (L’anticristo, p. 237).
Non c’è da stupirsi che Nietzsche proclami il dovere di sbarazzarsi dei malati, in un modo che anticipa alcuni odierni sostenitori dell’eutanasia: «il malato è un parassita della società. In certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo. Continuare a vegetare in una imbelle dipendenza dai medici e dalle pratiche mediche, dopo che è andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita, dovrebbe suscitare nella società un profondo disprezzo». Ed ecco il compito dei medici: «I medici, dal canto loro, dovrebbero essere i mediatori di questo disprezzo – non [dovrebbero dare] ricette, ma ogni giorno [esprimere] una nuova dose di nausea di fronte ai loro pazienti». E bisogna «Creare una nuova responsabilità, quella del medico» perché «il supremo interesse della vita, della vita ascendente, esige che […] si sopprima senza riguardo la vita in via di degenerazione». E, così, conclude Nietzsche: «Non è in nostro potere impedire di essere nati: ma possiamo riparare a questo errore – giacché talora [essere nati] è un errore. Quando ci si sopprime, si fa la cosa più degna di rispetto che esista: con ciò, quasi, si merita di vivere… La società, ma che dico!, la vita stessa risulta avvantaggiata da questo più che da qualsiasi altra “vita” vissuta nella rinuncia» (Crepuscolo degli idoli, § 36).
Forse qualcuno si sforzerà di attenuare il senso dei passi nietszcheani che abbiamo ripercorso, ma, in definitiva, non se ne può cambiare il significato.
E, allora, le domande finali che insorgono sono queste: siamo proprio sicuri che il pensiero di Nietzsche sia così affascinate? E vale proprio la pena di sbarazzarsi del cristianesimo, come vuole fare Nietzsche?

Ricorda

«Nietzsche non perde mai l’occasione di fustigare ogni senso di pietà per i deboli e per i malati. Vero Don Chisciotte della morte, il filosofo condanna qualunque misura in favore dei diseredati, e denuncia nella preoccupazione per le vittime la causa di ciò che egli interpreta come invecchiamento precoce della nostra civiltà. […] non vi è dubbio che la difesa evangelica delle vittime sia più umana del nietzscheanesimo […]. È il cristianesimo a detenere la verità contro la follia nietzscheana».
(Renè Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, p. 228).

Bibliografia

Renè Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, 2001, pp. 223-236. Renè Girard, Giuseppe Fornari, Il caso Nietzsche. La ribellione fallita dell’anticristo, Marietti, 2002.

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Caccia agli eroi

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2008

Riapriamo la caccia agli eroi
di Claudio Risé – Il Mattino

Nell’attualità l’eroe è passato di moda. Di gesti eroici ce ne sono ancora molti, ma vengono liquidati dai media in poche righe. Il loro posto è oggi occupato dai colpevoli, i veri eroi del nostro tempo, di cui tutti parlano con interesse, e dalle loro vittime, anch’esse molto seguite. Come mai i «cattivi» e i loro misfatti risultano tanto più interessanti dei buoni?
Dietro questo fenomeno ci sono molte ragioni, di natura assai diversa. Una è che mentre il buono genera, in chi ne parla o ne ascolta, un senso di inferiorità («non riuscirei mai a fare come lui»), il malvagio o presunto tale ci gratifica, permettendoci facilmente di sentirci superiori. Quante mamme negligenti, e discretamente crudeli, si sono sentite sante leggendo le gesta dell’infanticida, e quanti imprenditori spregiudicati si vedono invece irreprensibili, leggendo le prodezze dell’indagato di turno!

Dal punto di vista psicologico, la pubblicità data al malvagio consente a ognuno di noi di «proiettare» su di lui le nostre parti più discutibili, senza andare troppo a vedere se non ci siano pagliuzze, o travi, anche nel nostro occhio. I linciaggi mediatici, i riti accusatori pubblici, sono amati anche perché inducono una sorta di purificazione collettiva. Come in gran parte delle narrazioni dei Vangeli, accusare il/la colpevole, è uno dei modi più popolari per allontanare da sé le proprie colpe.
È quello che il sociologo e filosofo René Girard ha chiamato il «meccanismo vittimario»: la creazione di vittime che venivano poi allontanate dalla comunità, come i «capri espiatori», cacciati fuori dalla città e spinti nel deserto, per rendere (o far sentire) puri tutti gli altri. Girard però pensa che con l’avvento di Cristo, che assume consapevolmente il ruolo della vittima innocente, dell’agnello sacrificale, la proiezione del male sugli altri finisca. Non mi pare che sia andata esattamente così.
La passione per le colpe degli altri, anzi, nell’era cristiana sembra addirittura aumentata, come sembrerebbe dimostrare anche lo straordinario sviluppo della legislazione penale all’epoca della modernità, che «dei delitti e delle pene» ha fatto una delle proprie principali passioni. Qui però occorre tener conto anche di un altro fenomeno. La modernità ha privilegiato la riflessione scientifica e tecnica rispetto a quella morale, che ha al proprio centro anche il problema del male, e che coinvolge considerazioni metafisiche, anche religiose, delle quali molti preferirebbero sbarazzarsi. Del male però, come di ogni altro grande aspetto della natura umana, non ci si può liberare. Se fingiamo di non vederlo, scacciandolo dalla riflessione cosciente, va nell’inconscio, da dove ritorna, fatalmente, sotto forma di proiezione sugli altri.
Il male che non abbiamo più voluto vedere in noi, immaginandoci «al di là del bene e del male», si è trasformato così nella passione modernissima per il «male degli altri», e delle loro sventurate vittime. Che sono poi molto spesso, nella presentazione del circo mediatico-giudiziario, gli stessi cattivi: persone a suo tempo violate nell’infanzia, soldati che hanno partecipato a episodi di tortura, o persone condannate per omicidio che si presentano a loro volta come vittime (tanto che il nostro è stato chiamato «il tempo delle vittime», come raccontano una psicoanalista e un avvocato nel libro omonimo, pubblicato da Ponte Alle Grazie). Uno scenario assai patologico.
E se provassimo a «pensare positivo», e ad occuparci dei mille eroi quotidiani? Certo più impegnativo, ma molto più sano.

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Girard: ma Dio non è violento

Posté par atempodiblog le 31 août 2008

«Il cristianesimo è l’unico vero antidoto alla crescita del fanatismo, anche religioso»: parla il grande filosofo francese

Girard: ma Dio non è violento
Girard: ma Dio non è violento dans Articoli di Giornali e News image3ds3

Il grande filosofo e antropologo francese René Girard, noto per la sua teoria del «capro espiatorio».

Dice l’antropologo: «I capri espiatori sono finiti: o scegliamo la non violenza oppure la guerra nucleare, il terrorismo, i disastri ambientali generati dall’uomo finiranno per distruggerci»

Tratto da: avvenire.it

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L’uomo punirà se stesso

Posté par atempodiblog le 28 septembre 2007

L'uomo punirà se stesso dans Citazioni, frasi e pensieri diddlmania_017 

L’Apocalisse non è dietro di noi, ma davanti a noi.

René Girard

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Le idee spietate di un grande pensatore

Posté par atempodiblog le 11 septembre 2007

La decostruzione dell’uomo secondo René Girard

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Dove si è dissolta la religione, lì è iniziato un processo di decomposizione.Oggi ci sono tre aree in cui l’uomo è in pericolo: nucleare, terrorismo e manipolazione genetica.
Potete leggere l’articolo cliccando testo di cui sopra.

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