Padre Andrasz, verso gli altari un altro confessore di santa Faustina Kowalska

Posté par atempodiblog le 23 novembre 2022

Padre Andrasz, verso gli altari un altro confessore di santa Faustina Kowalska
Dopo il beato Michał Sopoćko, anche per padre Józef Andrasz è iniziato il processo di beatificazione in Polonia. È stato il primo direttore spirituale della santa della Misericordia e anche l’ultimo, molto citato da suor Faustina nel suo famoso Diario. È stato una figura importante per la diffusione del culto della Divina Misericordia. Parla il vicepostulatore padre Mariusz Balcerak.
di Wlodzimierz Redzioch – La nuova Bussola Quotidiana

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È ben conosciuta la figura del beato Michał Sopoćko, confessore di suor Faustina Kowalska, ma è molto meno conosciuto padre Józef Andrasz SI (1891 – 1963) che ebbe un ruolo importantissimo nella vita della futura santa. Questo gesuita fu il suo primo direttore spirituale nel noviziato e anche l’ultimo, nell’ultimo anno e mezzo della sua vita. Suor Faustina si confessò con lui anche il giorno della sua morte. Allora non è un caso che santa Faustina nel suo “Diario” ne parli per ben 59 volte.

Nella regione di Nowy Sacz, nella parte sud-orientale della Polonia, da dove proveniva il gesuita, dal 2015 è attivo un movimento di laici che diffondono il suo culto, fanno conoscere la sua figura e pregano per la sua intercessione. L’iniziativa è partita da un gruppo di uomini che si riunivano per l’adorazione di una copia dell’immagine di Gesù Misericordioso, in quel periodo peregrinante nella diocesi di Tarnów.

Recentemente è cominciata a Cracovia la fase diocesana del processo di beatificazione del confessore di santa Faustina, di cui vicepostulatore è padre Mariusz Balcerak SI, teologo, viceprefetto della Basilica del Sacro Cuore di Gesù a Cracovia. Abbiamo chiesto a lui di presentare la figura di p. Andrasz.

Perché padre Andrasz ebbe un ruolo così importante nella vita di santa Faustina?
Per capirlo, bisogna ricordare i fatti. Quando suor Faustina venne a Łagiewniki, p. Andrasz era il confessore “trimestrale” della Congregazione di Nostra Signora della Misericordia, cioè veniva una volta a trimestre per confessare le suore. Faustina si confessò per la prima volta da lui durante gli esercizi spirituali nell’aprile 1933, prima dei voti perpetui. Gli aprì il cuore perché era convinta che questo prete l’avrebbe capita. P. Andrasz, già durante la prima confessione, assicurò suor Faustina che tutto quanto stava vivendo veniva da Dio: prima lei aveva dei dubbi a riguardo. Le sue parole la tranquillizzarono.

Allora giovanissima, suor Faustina aveva dei dubbi su come poter realizzare le richieste di Gesù?
All’inizio suor Faustina giunse alla conclusione che l’intera faccenda, specialmente dipingere l’immagine di Gesù Misericordioso, fosse troppo grande per lei. Perciò cercava aiuto da padre Andrasz, ma lui disse decisamente: “Non la sciolgo da nulla, sorella, e non le è permesso sottrarsi a queste ispirazioni interiori…”. In questo senso il suo ruolo fu decisivo. Suor Faustina trattava padre Andrasz come un’autorità e, poiché era umile e obbediente, gli obbediva. In seguito scrisse: “Adesso Iddio Stesso, tramite padre Andrasz, aveva tolto ogni difficoltà. Il mio spirito era stato indirizzato verso il sole e sbocciò ai suoi raggi per Lui Stesso”. E ancora: “Mi erano state sciolte le ali per il volo e cominciai a volteggiare verso l’ardore del sole e non tornerò in basso fino a quando riposerò in Colui, nel Quale è annegata la mia anima per l’eternità”.

Che ruolo ha avuto padre Andrasz nello sviluppo del culto della Divina Misericordia?
Ancora durante la II guerra mondiale, padre Andrasz, con attenzione e prudenza (poiché il culto non era ancora ufficialmente approvato), iniziò la pratica di pregare la Divina Misericordia tra le suore di Łagiewniki. Ha incoraggiato le suore ad affidarsi a Gesù Misericordioso e a recitare la coroncina. Dopo la guerra, vedendo l’enormità della distruzione materiale, spirituale e morale, ha sostenuto la Chiesa nel suo rinnovamento, dando speranza alle persone e incoraggiandole a credere che Gesù le ama e si prende cura di loro. Inoltre, padre Andrasz ha scritto un libro intitolato Misericordia di Dio, confidiamo in te, pubblicato per la prima volta nel 1947. In esso, descrisse la missione di Suor Faustina e le rivelazioni, spiegò il significato dell’Immagine e cosa significhi aver fiducia in Gesù Misericordioso.

Ma chi era p. Andrasz?
Direi che era un uomo contemplativo in azione. Orante, immerso nella preghiera e nell’amore per Gesù – ma nello stesso tempo molto attivo. Aveva buoni studi, conosceva quattro lingue: latino, greco, francese e tedesco. Condusse ritiri per congregazioni religiose, soprattutto femminili, e per seminaristi; ha scritto per il Messaggero del Cuore di Gesù; è stato direttore della casa editrice L’Apostolato della Preghiera; ha tradotto diversi libri sulla spiritualità, ha partecipato alla promozione del culto del Sacro Cuore di Gesù, era impegnato nella Compagnia Mariana e, inoltre, era impegnato nel lavoro pastorale. Poiché era un buon confessore e direttore spirituale, una buona fama lo circondava a Cracovia. Era un uomo di profonda vita spirituale: frequentò i ritiri ignaziani e li tenne lui stesso. In lui si rifletteva questa “Caritas discreta”, o amore prudente, di cui parla S. Ignazio di Loyola.

Per questo motivo tante persone gli chiedevano di essere una guida spirituale per loro?
Sì. Padre Andrasz svolse un ruolo importante non solo nella vita di suor Faustina, ma anche nella vita di diverse persone, anche beate (la beata Aniela Salawa, madre Paula Tajber, suor Kaliksta Piekarczyk, suor Emanuela Kalb).

Potrebbe essere un esempio e patrono delle guide spirituali?
Potrebbe essere un ottimo patrono dei confessori e dei direttori spirituali, di cui abbiamo tanto bisogno oggi.

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Padre Andrasz caro a Dio perché devoto della Madonna


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Il Papa telefona a don Michele, il prete dj dei rave in chiesa: bravo

Posté par atempodiblog le 7 août 2022

Il Papa telefona a don Michele, il prete dj dei rave in chiesa: bravo
Il colloquio, tenuto riservato dal sacerdote di Montesanto, è avvenuto il 4 agosto. Il Pontefice si è informato sulle attività innovative che avvicinano i giovani alla chiesa
di Marco Santoro – Corriere del Mezzogiorno

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«Pronto, non è uno scherzo, sono il Papa». Così il Pontefice ha esordito chiamando don Michele Madonna, 48 anni, parroco napoletano della comunità di Santa Maria di Montesanto, ex disc jockey, noto per le sue innovative attività di pastorale giovanile come il «rave» di un mese fa cui hanno partecipato centinaia di ragazzi, ballando tutta la notte musica cristiana remixata in chiave disco alternata con momenti di preghiera comunitaria. La telefonata è avvenuta giovedì 4 agosto, ma don Michele  attivissimo sui social  non ha voluto finora raccontare in pubblico l’episodio, trapelato oggi dalla ristretta cerchia di collaboratori che ne sono venuti a conoscenza.

«Voglio restare informato»
Papa Francesco ha conversato con il parroco, chiedendogli dettagli sulle sue attività  che nei mesi scorsi hanno avuto ampia eco sui media, non solo cattolici  e raccomandandogli di tenerlo informato anche in futuro sul suo lavoro. Don Michele Madonna, nato nel 1974, è diventato sacerdote a 30 anni. Figlio del proprietario di una discoteca, fino a 23 anni ha fatto il dj e ora rivolge ai giovani e a quanti si sentono “lontani” dalla chiesa molte iniziative pastorali fuori dagli schemi tradizionali, come le confessioni svolte lungo le strade del quartiere, proprio per andare incontro a coloro che non frequentano abitualmente i luoghi di culto. Il suo territorio è popoloso e difficile: nel rione di Montesanto, il mese scorso, ha fatto scalpore l’episodio della 12enne sfregiata al volto dall’ex fidanzatino di 16 anni.

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Trattare le anime con estrema delicatezza

Posté par atempodiblog le 23 avril 2022

Gesù a santa Faustina Kowalska:

“Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori. In quel giorno sono aperte le viscere della Mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione ed alla santa Comunione, riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto. La Mia Misericordia è talmente grande che nessuna mente, né umana né angelica, riuscirà a sviscerarla pur impegnandovisi per tutta l’eternità”.

“Figlia Mia, non desistere dal diffondere la Mia Misericordia, con ciò procurerai refrigerio al Mio Cuore, che arde del fuoco della compassione per i peccatori. Di’ ai Miei sacerdoti che i peccatori induriti si inteneriranno alle loro parole, quando essi parleranno della Mia sconfinata Misericordia e della compassione che ho per loro nel Mio Cuore. Ai sacerdoti che proclameranno ed esalteranno la Mia Misericordia, darò una forza meravigliosa, unzione alle loro parole e commuoverò i cuori ai quali parleranno”.

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Trattare le anime con estrema delicatezza
da Preti Misericordiosi – Siamo tutti peccatori, di Padre Livio Fanzaga

Per confessarmi sceglievo i preti che mi incoraggiavano. Magari c’era un prete che era una santa persona, ma se non dava la parola d’incoraggiamento non lo sceglievo. Anch’io ho avuto questa sensazione che è molto comune tra i fedeli… quando confessavo i peccati cercavo qualcuno che mi incoraggiasse e non che mi facesse la predica. Per molti anni sono andato a confessarmi da un sacerdote carmelitano per il quale c’erano file lunghissime di penitenti. Facevo volentieri la fila per confessarmi da lui perché, a dire il vero, arrivava addirittura a scusarti… cercava di capire le tue debolezze, le tue miserie ma nel medesimo tempo ti dava la parola d’incoraggiamento, per cui uno usciva in pace e rafforzato, spronato nella voglia di fare meglio. Questa è una grazia speciale. Se tu fai la predica a uno e poi dai l’assoluzione quello va via depresso, a volte anche contrariato. Ci vuole un’arte speciale che è un’arte sublime di trattare le anime con estrema delicatezza. Uno va volentieri a confessarsi se sente l’abbraccio fraterno se uno non sente questo fa fatica a confessarsi e poi non ci va più. La gente non cerca sconti. Se va a confessarsi è perché vuole liberarsi dal male, ma vuole sentire l’amore di Dio sul peccatore. Il più delle volte la gente che viene a confessarsi è molto più severa con se stessa di quanto non sia severo il confessore, quindi non è che si assolva tanto facilmente.

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Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine”

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine”
Mentre il mondo guarda col fiato sospeso l’escalation di tensione nel Paese dell’Europa orientale, padre Andriy Zelinskyy, cappellano militare della Chiesa greco-cattolica, racconta la sua azione pastorale tra i soldati che temono l’allargamento del conflitto: “Anche nella guerra, la Parola di Dio può accendere speranza”. Il grazie a Papa Francesco per la Giornata di preghiera per la pace che si è celebrata ieri: “Proviamo profonda gratitudine. Ora non ci sentiamo più soli”
di Federico Piana – Vatican News

Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine” dans Articoli di Giornali e News Padre-Andriy-Zelinskyy

La croce di legno sopra il giubbotto antiproiettile, il fango delle trincee sotto gli scarponi, il Vangelo in una tasca della tuta mimetica. Non è facile essere cappellano militare in Ucraina quando spirano violenti venti di guerra. “La nostra missione è quella di stare accanto ai soldati e portare a loro un pezzo di Cielo in modo che non sia pregiudicata la loro capacità di scegliere il bene, di cercare la verità, di proteggere la giustizia e perfino di contemplare la bellezza”, sussurra padre Andriy Zelinskyy.

Dolore per gli sviluppi internazionali
Lui, sacerdote gesuita della Chiesa greco-cattolica ucraina, prova profondo dolore per la tempesta che si agita nei cuori di quei ragazzi che imbracciano un fucile, spaventati da un’escalation della tensione al confine orientale del Paese. Da quando, nel 2014, sono iniziati i primi scontri armati, ha cercato di portare conforto e amore nelle zone più colpite, come quella di Pisky, di Scerokino, di Avdiyivka e di Vodiane. “In otto anni, abbiamo perso 14.000 persone. Questa può essere davvero definita una guerra ibrida, una guerra che, di fatto, già è in corso ma che in molti hanno voluto ignorare” spiega padre Zelinskyy.

Ascolto nelle trincee
C’è un osservatorio privilegiato dal quale padre Zelinskyy riesce a comprendere meglio il vero valore della vita umana: le trincee. Quei fossati, scavati dai soldati ucraini per resistere agli attacchi dei nemici,  si rivelano postazioni preziose per sondare le profondità del cuore umano. “Nel tempo – racconta il cappellano militare  proprio qui ho capito che non ci sono risposte facili da dare a chi ha perso un fratello, un amico, un compagno, in un conflitto che il mondo non riesce a vedere. Bisogna saper ascoltare e cercare di far incontrare il Signore della pace attraverso la preghiera comune”.

Aiuti anche alle famiglie
Il timore per un allargamento del conflitto ha spinto la Chiesa greco-cattolica ucraina ad intensificare gli aiuti anche nei confronti delle famiglie dei militari fornendo assistenza materiale e spirituale: ad esempio, le madri che hanno perduto un figlio condividono il loro dolore attraverso momenti di orazione mentre i bambini che hanno perso i loro padri in battaglia vengono integrati in momenti di svago e ricreativi. “La fede  dice padre Zelinskyy  aiuta a trovare la strada nelle tenebre della violenza. Anche nella guerra, la Parola di Dio può accendere una luce di speranza”.

Grati per l’intervento del Papa
Dalle famiglie dei militari e dagli stessi soldati giunge un grazie a Papa Francesco per i suoi forti appelli alla pacificazione, tra questi quello pronunciato nel post Angelus di domenica scorsa durante il quale il Pontefice aveva annunciato anche una giornata di preghiera per la pace, in programma per ieri, mercoledì 26 gennaio. Se ne fa portavoce proprio il cappellano militare: “Proviamo profonda gratitudine per tutto quello che il Papa sta facendo per l’Ucraina. Ci siamo accorti che non siamo soli e questo ci provoca un’emozione ricca e profonda. Tutti dobbiamo pregare insieme con il Santo Padre per la pace non solo per il nostro Paese ma per il mondo intero e per ogni cuore umano”.

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Segreto, psicologo e assoluzione: 3 consigli per una corretta Confessione

Posté par atempodiblog le 16 octobre 2021

Segreto, psicologo e assoluzione: 3 consigli per una corretta Confessione
I suggerimenti del cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore di Santa Romana Chiesa rilanciano un sacramento a volte bistrattato dagli stessi religiosi che lo praticano
di Gelsomino Del Guercio – Aleteia

Segreto, psicologo e assoluzione: 3 consigli per una corretta Confessione dans Cardinale Mauro Piacenza Sacramento-confessione-Sigillo-scaramentale

Mai violare il segreto della confessione, mai confondere questo sacramento con consigli degni di uno psicologo, e sopratutto mai negare l’assoluzione, a patto che il penitente rifletta sul suo agire.

Sono i tre suggerimenti del cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore di Santa Romana Chiesa, per un’efficace sacramento della Confessione. Il cardinale ne ha parlato con Angela Ambrogetti di Aci Stampa (15 ottobre).

Il peccatore incontra il Padre Misericordioso
«La natura del sacramento della Riconciliazione – spiega il cardinale Piacenza – consiste nell’incontro personale del peccatore con il Padre Misericordioso. L’oggetto del sacramento è il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio e con la Chiesa e la restituzione della dignità filiale in forza della redenzione operata da Gesù Cristo. L’insegnamento della Chiesa circa la Confessione è sinteticamente presentato nel Catechismo della Chiesa Cattolica che, al n. 1422 riprende il n. 11 della Lumen Gentium del Vaticano II e dal canone 959 del Codice di Diritto Canonico».

Nessuna confusione
Il cardinale Piacenza premette che la confessione non ha nulla a che vedere con una seduta dallo psicologo. «E’essenziale sottolineare che il sacramento della Riconciliazione. Essendo un atto di culto, non può e non deve essere confuso con una seduta psicologica o una forma di counselling. In quanto atto sacramentale, tale sacramento deve essere tutelato in nome della libertà di religione e ogni ingerenza deve essere ritenuta illegittima e lesiva dei diritti della coscienza».

Il segreto della Confessione
Per essere tutelato, il sacramento deve muoversi intorno ad un “patto segreto” tra il confessore e il confessato.

«Tutto quanto detto in confessione – afferma Penitenziere Maggiore – cioè dal momento in cui ha inizio questo atto di culto con il segno della croce e il momento in cui termina o con la assoluzione, o con la assoluzione negata, è sotto sigillo assolutamente inviolabile. Tutte le informazioni riferite in confessione sono “sigillate” perché date a Dio solo, per cui non sono nella disponibilità del sacerdote confessore (cf canoni 983-984 CIC; 733-734 CCEO). Anche nel caso specifico in cui, durante la confessione, per esempio un minore riveli di aver subito abusi, il colloquio deve rimanere, per sua natura, sempre e comunque sigillato. Ciò non toglie che il confessore  raccomandi vivamente al minore stesso di denunciare l’abuso ai genitori, agli educatori, alla polizia».

L’assoluzione a patto che…
L’assoluzione, prosegue il cardinale Piacenza, non va negata. Ci sono però alcuni aspetti da considerare.

«Se il confessore non ha alcun dubbio sulle disposizioni del penitente e questi chiede la assoluzione – dichiara il cardinale ad Aci Stampa – essa non può essere negata né differita (cf can. 980). Esiste certamente il dovere di riparare ad una ingiustizia perpetrata e di impegnarsi sinceramente ad evitae che l’abuso si ripeta, ricorrendo, se necessario, ad un aiuto competente. Ma questi doveri gravi legati al percorso di conversione non comportano la autodenuncia. Il confessore dovrà comunque invitare il penitente ad una riflessione più profonda e a valutare le conseguenze del suo agire, soprattutto quando un’altra persona sia stata sospettata o condannata ingiustamente».

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Preghiera affinché i sacerdoti possano essere protetti dalle tentazioni mondane

Posté par atempodiblog le 23 juillet 2021

Preghiera affinché i sacerdoti possano essere protetti dalle tentazioni mondane
Recitate questa preghiera perché tutti i sacerdoti possano essere circondati dall’amore di Dio
di Philip Kosloski – Aleteia

Preghiera affinché i sacerdoti possano essere protetti dalle tentazioni mondane dans Preghiere Sacerdoti-figli-prediletti-di-Maria

Come leader spirituali, i sacerdoti vengono spesso attaccati da varie tentazioni del demonio. Non dovrebbe sorprendere che Satana cerchi attivamente la rovina di tutti i sacerdoti, rendendo la loro vocazione assai difficile.

I presbiteri, però, possono essere aiutati dalle nostre preghiere e dal nostro sostegno.

Ecco una preghiera di San Pietro Giuliano Eymard per chiedere a Dio di circondare il sacerdote con il Suo amore e di tenerlo lontano dalle tentazioni:

O Gesù, eterno Sommo Sacerdote, tieni i tuoi servi al sicuro protetti dal Tuo Sacro Cuore, dove nessuno possa far loro del male. Fa’ che le loro mani, che toccano ogni giorno il Tuo sacro Corpo, restino senza macchia.

Rendi incontaminate le loro labbra, arrossate dal Tuo preziosissimo Sangue. Fa’ che il loro cuore, sigillato con il carattere sublime del Tuo sacerdozio, sia puro e santo.

Fa’ che il Tuo santo amore li circondi e li protegga dal contagio del mondo.

Benedici il loro lavoro con frutti abbondanti e duraturi. Fa’ che le persone che servono siano per loro gioia e consolazione qui sulla Terra e splendida corona e gloria eterna in Cielo.

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I 3 Sacerdoti morti sul Titanic per salvare le anime dei passeggeri

Posté par atempodiblog le 20 juin 2021

I 3 Sacerdoti morti sul Titanic per salvare le anime dei passeggeri
E’ davvero una storia incredibile quella dei 3 Sacerdoti morti sul Titanic per salvare le anime dei passeggeri!
Fonte: ChurchPOP

I 3 Sacerdoti morti sul Titanic per salvare le anime dei passeggeri dans Articoli di Giornali e News I-3-Sacerdoti-morti-sul-Titanic-per-salvare-le-anime-dei-passeggeri

Un utente di Twitter ha recentemente pubblicato le foto di tre eroici sacerdoti che hanno offerto la loro vita per stare vicino ai passeggeri a bordo del Titanic, prima che la nave affondasse nelle prime ore del mattino del 15 aprile 1912.

Il Testo del Tweet
Il tweet riporta il seguente testo: “I tre sacerdoti cattolici a bordo dell’RMS Titanic che hanno rifiutato i posti sulle scialuppe di salvataggio, scegliendo invece di dare la vita ai passeggeri rimasti bloccati sulla nave”.

I tre sacerdoti erano Padre Thomas Byles (42 anni) dell’Inghilterra, Padre Josef Benedikt Peruschitz, O.S.B. (41 anni) della Baviera, e Padre Juozas Montvila (27 anni) della Lituania. Tutti e tre sono morti sulla nave, nessuno dei corpi è stato recuperato.

Sul sito dedicato a Padre Byles, i sopravvissuti hanno spiegato le loro esperienze con il sacerdote sulla nave, nel mentre che quest’ultima stava affondando. Papa Pio X ha descritto Padre Byles come un “martire” per la fede.

La Testimonianza di Miss Helen Mary Mocklare, passeggera di terza classe
“Quando c’è stato lo schianto siamo stati sbalzati fuori dalle nostre cuccette… Leggermente vestiti, ci siamo preparati a scoprire cosa fosse successo. Scendendo dal passaggio, abbiamo visto davanti a noi, con la mano alzata, Padre Byles. Lo conoscevamo perché ci aveva visitato più volte a bordo e aveva celebrato la Messa per noi quella mattina stessa. ‘Sii calmo, mio buon popolo’, disse, e poi andò in avanti come guida impartendo assoluzioni e benedizioni…

Alcuni intorno a noi si sono agitati molto, il sacerdote però ha alzato di nuovo la mano e all’istante si sono calmati. I passeggeri sono rimasti subito colpiti dall’assoluto autocontrollo del sacerdote. Ha iniziato la recita del Rosario. Le preghiere di tutti, indipendentemente dal credo, si mescolavano e tutte le risposte, ‘Santa Maria’, erano davvero forti”.

Un’altra Testimonianza sui Sacerdoti del Titanic
“Quando l’agitazione divenne spavento, tutti i cattolici a bordo desideravano l’assistenza dei sacerdoti con il più grande fervore. Entrambi i sacerdoti hanno incoraggiato i ‘condannati a morte’ a recitare atti di contrizione e a prepararsi per incontrare il volto di Dio. Hanno guidato il Rosario e vari hanno partecipato. Il suono della recita irritava alcuni passeggeri, altri ridicolizzavano coloro che pregavano e iniziavano una danza ad anello intorno a loro.

I due sacerdoti erano impegnati continuamente impartendo l’assoluzione generale a coloro che stavano per morire. Alcune donne si rifiutarono di essere separate dai loro mariti, preferendo morire con loro. Infine, quando non erano rimaste più donne, alcuni uomini sono stati ammessi nelle barche. A padre Peruschitz fu offerto un posto, ma lui ha rifiutato”.

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Natale, ogni sacerdote potrà celebrare fino a quattro Messe

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2020

Natale, ogni sacerdote potrà celebrare fino a quattro Messe
Per favorire la partecipazione dei fedeli in tempo di Covid, il prefetto della Congregazione del Culto divino, Robert Sarah, ha firmato un decreto che dà ai vescovi la possibilità di consentire ai sacerdoti di celebrare quattro Messe per le solennità di Natale, Maria SS. Madre di Dio ed Epifania. Permesse altre concessioni nei giorni feriali (due Messe), nonché nelle domeniche e feste di precetto (tre Messe).
di Nico Spuntoni – La nuova Bussola Quotidiana

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Nelle stesse ore in cui il Governo prepara misure ulteriormente restrittive in vista dei giorni festivi e prefestivi che sembrano spianare la strada ad una sorta di lockdown natalizio tra il 24 dicembre e il 3 gennaio, si muove la Congregazione del Culto divino per agevolare e mettere in sicurezza la partecipazione dei fedeli alla liturgia. In un decreto firmato dal cardinale prefetto, Robert Sarah, e dal segretario, l’arcivescovo Arthur Roche, viene concesso all’«Ordinario del luogo, per motivi del perdurare del contagio generale con il cosiddetto Covid-19, di consentire quest’anno nel periodo natalizio di celebrare quattro Messe nel giorno di Natale, nel giorno di Maria Santissima Madre di Dio e dell’Epifania ai sacerdoti residenti nelle loro diocesi, ogni volta che lo ritengano necessario a beneficio dei fedeli».

Il Codice di Diritto Canonico al canone 905 sancisce che «non è consentito al sacerdote celebrare più di una volta al giorno», affidando all’Ordinario del luogo la facoltà, «nel caso vi sia scarsità di sacerdoti», di «concedere che i sacerdoti, per giusta causa, celebrino due volte al giorno e anche, se lo richiede la necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto».

L’Ordinamento Generale del Messale Romano permette che «nel Natale del Signore tutti i sacerdoti» per «motivi particolari, suggeriti o dal significato del rito o dalla solennità della festa» possano «celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno». Fu Papa Alessandro II a decretare il divieto delle celebrazioni ripetute nello stesso giorno, mettendo fine ad una consuetudine inaugurata a partire dal pontificato di Leone III e incontrando il favore di san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae. Papa Innocenzo III confermò la decisione del suo predecessore, regolandone anche le eccezioni nel giorno della Natività e in caso di gravi necessità: nel 1204, intervenendo su una pratica d’uso antico (se ne parlava già nei sacramentari di San Gelasio e San Gregorio Magno) e comune soprattutto nelle città ma generalmente riservata ai vescovi, prescrisse che ogni sacerdote potesse celebrare tre Messe nel giorno di Natale.

La trinazione della Messa nella solennità del Natale simboleggia la nascita eterna dal Padre, quella terrena da Maria e quella spirituale nel cuore dei giusti per mezzo della carità. Il decreto della Congregazione del Culto divino concede così un’eccezionale deroga al numero massimo di Messe da celebrare il 25 dicembre ma anche l’1 e il 6 gennaio.

L’aumento del numero delle celebrazioni era stata la strada indicata lo scorso marzo dalla Conferenza episcopale polacca per scongiurare il pericolo di assembramenti nelle chiese e, al tempo stesso, per non sospendere il diritto alla libertà di culto come avvenuto altrove. In Italia, nonostante la stretta annunciata dal Governo tra la Vigilia e Capodanno, l’accesso alle funzioni liturgiche non sarà impedito e le disposizioni del cardinale Robert Sarah intendono favorire la partecipazione e la sicurezza dei fedeli in un momento in cui si avverte più che mai il bisogno di immergersi nel Mistero della nascita del Signore.

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Preti, niente più scuse: da oggi si prega santa Faustina

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2020

Preti, niente più scuse: da oggi si prega santa Faustina
A partire da quest’anno, oggi, il giorno del transito della giovane “Segretaria” di Gesù, sarà memoria facoltativa. È passato inosservato il decreto “De celebratione sanctae Faustinae Kowalske…” firmato dal Prefetto del Culto divino Robert Sarah. La santa sarà ricordata nel Messale e nei libri liturgici. Non ci si potrà più “dimenticare” di lei come invece ha fatto in questi anni con una evidente ostilità un certo tipo di clero.
di Maria Alessandra – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: 
Radio Maria

Preti, niente più scuse: da oggi si prega santa Faustina dans Articoli di Giornali e News Santa-Faustina-e-Ges

Il 18 maggio 2020 Karol Wojtyla, salito al soglio pontificio come Giovanni Paolo II, morto nel 2005 e divenuto Santo nel 2014, avrebbe compiuto cento anni e, come si sa, questa ricorrenza è stata ricordata da tutti i media. Alcuni, anzi, hanno notato la coincidenza per cui, proprio in quella data, quasi un regalo postumo di Papa Wojtyla al gregge che aveva guidato per più di ventisei anni, le Chiese fossero state riaperte alle celebrazioni dopo il lunghissimo lockdown dovuto alla pandemia da Covid 19, che aveva obbligato la maggior parte fedeli ad assistere alla Messa festiva in tv e a rimandare matrimoni e battesimi.

Sembra, invece, passato del tutto inosservato un altro regalo che in occasione del suo genetliaco San Giovanni Paolo II ci ha fatto, o, forse verrebbe da dire, si è fatto: l’iscrizione della celebrazione di santa Faustina Kowalska nel Calendario Romano Generale.

Porta infatti la data del 18 maggio 2020 il Decretum “De celebratione sanctae Faustinae Kowalske, virginis, in Calendario Romano Generali inscribenda” firmato in calce dal Cardinale Robert Sarah e dall’Arcivescovo Arthur Roche, rispettivamente Prefetto e Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Da quest’anno, quindi, il 5 ottobre, giorno del transito della giovane e umilissima suora polacca, al secolo Elena Kowalska, morta a trentatré anni di tubercolosi nel convento della Beata Vergine Maria della Misericordia di Cracovia, non sarà più una festa solo nella natia Polonia, ma sarà memoria facoltativa per tutto il mondo cattolico.

Chi scrive si è più volte lamentata anche dalle pagine di questo giornale che “il 5 ottobre”, passasse “in gran parte inosservata la memoria di santa Faustina Kowalska”, dimenticanza sicuramente dovuta anche all’ostilità di una parte del clero nei confronti dell’Apostola della Divina Misericordia e della rivelazione a lei affidata da Gesù.

Da ora in poi, però, non sarà più così facile per quegli stessi sacerdoti continuare a ignorare suor Faustina, visto che sul Decreto del 18 maggio 2020 si legge, infatti: “.. il Sommo Pontefice Francesco…ha disposto che il nome di santa Maria Faustina (Elena) Kowalska , vergine, sia iscritto nel Calendario Romano Generale e la sua memoria facoltativa sia celebrata da tutti il 5 ottobre. Questa nuova memoria sia inserita in tutti i Calendari e Libri liturgici per la celebrazione della Messa e della Liturgia delle Ore, adottando i testi liturgici allegati al presente decreto che devono essere tradotti, approvati…”.

A questo punto non può non tornare alla mente il secondo dei tre messaggi, una sorta di testamento spirituale, che suor Faustina Kowalska consegnò prima di morire al suo direttore spirituale, don Michele Sopocko, e che riguarda il giudizio della Chiesa: «Se anche si accumulassero le più grandi difficoltà, anche se sembrasse che Dio stesso non lo voglia, non ci si può fermare. Anche se il giudizio della Chiesa a questo riguardo fosse negativo, non ci si può fermare. Anche se mancassero le forze fisiche e morali, non ci si può fermare. Poiché la profondità della Misericordia di Dio è insondabile e non è sufficiente tutta la nostra vita per glorificarla».

La Chiesa ufficiale non si è fermata e sacerdoti che continuano, incredibilmente, a osteggiare santa Faustina e la rivelazione contenuta nel suo Diario, ritenuto una delle opere mistiche più importanti del secolo scorso, devono rassegnarsi: sono vani gli sforzi per bloccare il messaggio della Divina Misericordia dettato per la salvezza delle anime da Gesù alla semianalfabeta suora polacca, da Lui scelta come Segretaria.

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Genialità pastorale di un mistico del servizio

Posté par atempodiblog le 17 septembre 2020

La figura e l’insegnamento di san Roberto Bellarmino
Genialità pastorale di un mistico del servizio
di Armando Ceccarelli – L’Osservatore Romano

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Nei piani di Dio la figura di san Roberto Bellarmino si colloca nel periodo più acceso della Controriforma e della ricerca teologica e scientifica tra la seconda metà del secolo XVI e gli inizi del XVII. Egli è stato una personalità capace di adattarsi alle occupazioni più varie e alle situazioni più diverse. Fu predicatore, professore, scrittore, controversista vivace, e come religioso fu suddito e superiore, ottimo padre spirituale di grandi santi, consultore delle principali congregazioni romane, vescovo e cardinale. Si impegnò in ciascuna di queste attività come se ciascuna di esse fosse la sua specialità. In tutte mostrava una grande semplicità di vita e amabilità. Rispondeva alla prima necessità di quel tempo che era il dialogo e, per come era possibile, il confronto sereno. Per questo è stato chiamato a compenetrarsi con i problemi culturali e spirituali del suo tempo.

Era nato da una famiglia toscana di Montepulciano, nobile per tradizione, ma un po’ decaduta, il 4 ottobre 1542. Sua madre, Cinzia Cervini, era sorella del cardinale Marcello Cervini, che fu molto influente nella preparazione e nei lavori del concilio di Trento e che sarà eletto Papa col nome di Marcello ii nel 1555 per soli trenta giorni. Roberto Bellarmino fu alunno del collegio dei gesuiti a Montepulciano, si mostrò molto portato agli studi letterari e si sentì chiamato a entrare nella Compagnia di Gesù. Il suo ingresso in noviziato si realizzò quando egli ebbe 18 anni, nel 1560. Nonostante la sua parentela con un Pontefice, egli mantenne un atteggiamento umile, riconosciutogli da tutti. La sua vita si conformava in tutto a uno dei suoi libri spirituali preferiti, l’Imitazione di Cristo.

Si formò poi nelle aule del Collegio Romano. Fu condiscepolo di Cristoforo Clavio. Successivamente insegnò materie umanistiche sempre in scuole dei padri gesuiti, prima a Firenze, poi a Mondovì; in questa cittadina piemontese si distinse come predicatore, nonostante non fosse ancora ordinato sacerdote, e si applicò allo studio dei classici latini e greci. Studiò poi sistematicamente la teologia a Padova e subito dopo fu chiamato a insegnare a Lovanio, dove nel 1570 il vescovo Cornelio Giansenio lo ordinò sacerdote nella chiesa di Saint Michel costruita da poco dalla Compagnia di Gesù. È notevole l’interesse che egli riservò alle nuove scoperte scientifiche. Già durante le lezioni di filosofia naturale tenute a Lovanio nel biennio 1570-1572, si era discostato dall’ortodossia tolemaica, dichiarandosi a favore della fluidità dei cieli e del libero moto dei pianeti.

In seguito, tornato a Roma e nominato rettore del Collegio Romano (1592-1595), Bellarmino accolse le richieste del padre Clavio che voleva potenziare l’insegnamento matematico, facendolo impartire agli allievi dotati anche durante il quadriennio teologico. Così si deve anche a lui la formazione della cosiddetta Accademia di Matematica del Collegio che, con il Clavio, fu di alta qualificazione e poté verificare le scoperte galileiane confermandole al Bellarmino stesso.

Nel 1602 Papa Clemente VIII lo consacrò arcivescovo, ricorrendo a lui anche per le questioni scottanti del momento. Bastano due nomi famosi per significare di che si trattava: Giordano Bruno e Galileo Galilei.

La vicenda di Giordano Bruno coinvolse Bellarmino fin dal 1597, da quando fu nominato consultore del Sant’Uffizio. Ebbe alcuni colloqui con il frate domenicano, nei quali tentò di fargli abiurare le molte tesi considerate eretiche, nel probabile tentativo di salvargli la vita, poiché la condanna per eresia era inevitabilmente capitale. La lunga durata del processo fu causata dal fatto che Giordano Bruno non ebbe un comportamento lineare nell’ammettere l’ereticità delle proprie posizioni. Papa Clemente VIII e il Bellarmino si opposero fermamente alla tortura a cui gli inquisitori volevano ricorrere. Durante il processo la congregazione fece esaminare dal Bellarmino una dichiarazione di Giordano Bruno su otto proposizioni che gli erano state contestate come eretiche e il 24 agosto 1599 Bellarmino riferì che il suo assistito aveva ammesso come eretiche sei delle otto proposizioni e sulle altre due la sua posizione non era chiara: «Videtur aliquid dicere, si melius se declararet». La completa ammissione gli avrebbe risparmiato la condanna a morte, ma Giordano Bruno mantenne il suo pensiero. A condanna pronunciata, gli fu concesso ancora un qualche compromesso per evitare la morte, ma Giordano Bruno rifiutò di rinnegare le sue idee e preferì affrontare il rogo, che ebbe luogo a Roma, in Campo de’ Fiori, il 17 febbraio 1600.

Nel tempo in cui la dottrina prevalente era che l’infallibilità della Bibbia fosse letterale, non solo simbolica, Bellarmino fu coinvolto nella questione copernicana fino all’ammonimento a Galileo del 1616. I documenti oggi in nostro possesso mostrano che il cardinale ebbe rapporti cordiali, se non amichevoli, con lo scienziato, sia epistolari sia diretti, anche dopo la denuncia davanti al Sant’Uffizio nel 1615. Allora egli aveva espresso una posizione aperta nei confronti dello scienziato e sosteneva di non poter escludere a priori l’attendibilità della teoria eliocentrica, ma consigliava prudenza, suggerendo di proporla come descrizione fisica solo dopo che se ne fosse avuta la prova concreta e definitiva dal punto di vista matematico. Il 24 maggio 1616 Bellarmino firmò, su richiesta dello stesso Galilei, una dichiarazione nella quale si affermava che non gli era stata impartita nessuna penitenza o abiura per aver difeso la tesi eliocentrica, ma solo una denuncia all’Indice, a riprova del fatto che non c’era stato alcun processo contro di lui. Più tardi, verso il 1630, questa dichiarazione fu falsificata da un grande nemico di Galilei, aggiungendovi minacce di carcere se non ritrattava la teoria eliocentrica. Questo documento falsato, che Bellarmino, ormai morto, non poteva smentire, portò alla condanna di Galilei nel 1633.

Bellarmino trascorse la maggior parte della sua vita come docente, però più che professore era un vero maestro di vita. Scrisse libri scientifici, come le Controversie e la Spiegazione dei Salmi, tenendo sempre una linea mediana ed evitando prese di posizioni molto categoriche. Papa Clemente VIII lo chiamò a far parte della congregazione “De Auxiliis Divinae Gratiae” per ricomporre la controversia teologica sorta tra i Tomisti, guidati da Domingo Bañez e dai domenicani, e i Molinisti, con Luis de Molina e i gesuiti, sui rapporti tra grazia efficace e libertà umana. Sin dall’inizio Bellarmino consigliò di non intervenire autoritativamente su una questione squisitamente dottrinale, ma di lasciarla ancora alla discussione senza che si dessero condanne reciproche di calvinisti (verso i Tomisti) e di pelagiani (verso i Molinisti).

Con lo spirito del dialogo Bellarmino ha sempre espresso un grande amore alla Chiesa come la vera sposa di Cristo e al Sommo Pontefice come suo vicario. Gli attacchi dei luterani contro il Papa avevano una ripercussione profonda nel suo cuore e lo trasformarono in paladino del Pontificato. In materia teologica la definizione da lui data della Chiesa come “Societas perfecta” è stata proposta nell’insegnamento teologico fino al tempo del Vaticano II, fino a quando cioè la Lumen gentium adottò il termine di «Popolo di Dio convocato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Per lui il «fundamentum» dell’unità della fede era la centralità del Pontefice romano.

Scrisse anche sei opere spirituali, tra le quali spicca il De ascensione mentis ad Deum, che formano la quintessenza della sua spiritualità. Esse sono un continuo colloquio con Dio e si muovono con limpidezza nel livello soprannaturale nel quale contemplava Dio negli uomini e gli uomini in Dio. Perciò egli è stato un gran confidente di Dio e degli uomini. Come padre spirituale esercitò un notevole influsso sui giovani studenti del Collegio Romano. Dalla sua guida spirituale furono orientati nel cammino di santità san Luigi Gonzaga, san Giovanni Berchmans, sant’Andrea Bobola e molti altri che divennero missionari importanti, anche se non giunsero agli onori degli altari.

L’amore verso Dio e verso la Chiesa si espresse molto chiaramente nei tre anni trascorsi come arcivescovo di Capua, nei quali poté dedicarsi a tempo pieno al ministero pastorale. Lo si vedeva sempre con i suoi sacerdoti e con i poveri. Distribuiva tutto ciò che aveva ai più bisognosi. Pregava insieme al suo clero nella cattedrale, insegnava personalmente il catechismo, andava nei paesi, accoglieva uno a uno quelli che ricorrevano a lui. Il catechismo per lui è stato il campo in cui ha potuto trasfondere tutta la sua scienza unita alla sua esperienza spirituale. Stando in collegamento stretto con san Pietro Canisio, che operava tra Vienna e le terre luterane tedesche, questi gli comunicò come Lutero avesse scritto un catechismo per diffondere tra il popolo il suo pensiero. A entrambi venne l’idea di fare lo stesso per la Chiesa cattolica. Con uno scambio postale molto stretto tra Bellarmino e Canisio, si formulò un catechismo per aiutare il popolo ad assimilare, fin dall’infanzia, le verità della fede. Ne scaturì un libretto che esponeva tutto il contenuto della nostra fede con domande e risposte, le prime delle quali chiedevano “Chi è Dio?” e “Chi ci ha creato?”, richiamando l’incipit del Principio e Fondamento degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio. Il testo finale stampato in tedesco e in italiano e diffuso in grande quantità, terminava con alcuni esercizi di contemplazione sui misteri della vita del Signore, come l’Incarnazione, l’Annunciazione, la Natività. Questo metodo è stato adottato dalla Chiesa fino agli inizi del 1900, quando Papa san Pio X diffuse il catechismo che ha portato il suo nome fino alla riforma della catechesi degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.

Un “mistico del servizio”: così lo definisce in un breve profilo il padre Iñacio Iparraguirre, gran conoscitore della spiritualità ignaziana. Infatti san Roberto Bellarmino, nonostante le sue molteplici occupazioni, era alimentato dall’amore di Dio con una preghiera serena, ma continuata nella sua giornata. Il suo spirito si mantenne, come nei grandi mistici, profondamente sereno nel mezzo di una vita piena di lavoro e di preoccupazioni. Niente gli tolse la pace, neppure il “pericolo” di essere nominato Papa, come egli riconosce candidamente nella sua Autobiografia. In virtù di questa forza, che gli veniva dalla sua unione con Dio e dalla sua indole dolce e piena di bontà, poté gettarsi nella mischia delle dispute più importanti del suo tempo. Il suo tempo non era per lui, ma per gli altri, per la Chiesa e per la Compagnia di Gesù. Incarnò i problemi della Chiesa, le sollecitudini del Pontificato e, allo stesso tempo, si sentì vicino a tutti coloro che erano travagliati dai problemi. Così manifestò l’amore di Dio agli uomini. Fu un vero figlio di sant’Ignazio, che diceva che noi possiamo «cercare e trovare Dio e la sua volontà in ogni momento e in ogni cosa».

Raggiunse la casa del Padre il 17 settembre 1621. Ma per essere dichiarato santo bisognò aspettare che Pio XI lo proclamasse tale il 29 giugno 1930, dichiarandolo poi dottore della Chiesa il 17 settembre 1931. Nel 1923 la sua salma è stata riesumata e ricomposta nella cappella vicino a quella di san Luigi Gonzaga, nella chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio a Roma.

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DON ROBERTO MALGESINI UCCISO/ Non un prete di strada ma un santo della porta accanto

Posté par atempodiblog le 16 septembre 2020

DON ROBERTO MALGESINI UCCISO/ Non un prete di strada ma un santo della porta accanto
Don Roberto Malgesini, 51 anni, prete a Como, è stato ucciso ieri mattina a coltellate da un tunisino con problemi psichici che si è poi costituito
di Laura D’Incalci – Il Sussidiario

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Mite, di poche parole, sempre pronto a intercettare il bisogno degli altri, a cercare risposte concrete, a colmare le distanze che creano emarginazioni e solitudini. Molti descrivono così don Roberto Malgesini, il prete accoltellato e ucciso ieri a Como per mano di un immigrato. Alle 7 di mattina, mentre stava preparando l’occorrente per le prime colazioni da portare ai senzatetto, come ogni giorno, è stato colpito da una furia omicida, un gesto di follia (il movente è ancora sconosciuto) commesso da un tunisino di 53 anni, con precedenti penali e più di un decreto di espulsione dall’Italia, che si è poi costituito.

Un fatto drammatico, che ha gettato nell’incredulità e nello sgomento l’intera città: innanzi tutto i suoi amici, un numero incalcolabile di persone che in lui avevano trovato un appoggio, un soccorso immediato, qualcuno persino un accompagnamento paterno per imboccare la strada di un’integrazione sociale possibile.

Ieri il dolore, per molti mescolato a un senso di ribellione per l’uccisione “insensata” del prete di 51 anni, un dolore che sembrava aver improvvisamente contraddetto il bene e la speranza seminati, si è misurato con le storie reali. Tante e variegate vicende sono apparse ancorate a segni luminosi, al ricordo di un’esperienza impastata di compagnia, di una fraternità che resiste nel cuore e nei pensieri, incancellabile. L’immagine di Don Roberto è affiorata così dai ricordi di quanti lo hanno conosciuto, in una dimensione che va oltre la definizione del “prete di strada” che attraversa contraddizioni disperanti e spesso giudicate insanabili, quasi contrapponendosi anche senza volerlo alla vita sociale che scorre in un alveo diverso.

Nel suo agire ininterrotto e infaticabile per strappare dall’abbandono esistenze provate, bisognose di una mensa, di un dormitorio, di una visita medica, di coperte, di un certificato, di un lavoro… don Roberto testimoniava la sua fede, la sua passione per la vita umana, contagiava chi lo incontrava e anche tanti giovani che si aggregavano attorno a qualche sua iniziativa.

“Non era un prete mediatico, non amava mettersi in mostra o fare discorsi da capopopolo sulle contraddizioni sociali, era un sacerdote che svolgeva il suo ministero a servizio dei più poveri, senzatetto, immigrati, prostitute, carcerati” suggerisce don Andrea Messaggi, sottolineando che ogni sua iniziativa era decisa con il consenso e la benedizione del vescovo Oscar Cantoni, fra i primi ieri ad accorrere accanto alla salma di don Roberto. “Non ha mai fondato un’associazione propria, ma entrava in contatto con le attività e opere presenti nel territorio”. “Mi ha sempre colpito la sua fede e la dedizione totale ai poveri che svolgeva con una profonda attenzione alla persona, soprattutto con un’ottica fortemente educativa” ricorda un operatore della Scuola di Cometa Formazione per l’inserimento nel mondo del lavoro. “Ci eravamo sentiti due giorni fa proprio perché voleva farmi incontrare alcuni ragazzi nei quali leggeva il desiderio di imparare l’italiano e di inserirsi in un percorso” aggiunge, notando che “rivelava una particolare sensibilità educativa, non perdeva mai di vista i ragazzi che ci affidava, ma si informava dell’andamento del loro impegno e della partecipazione”.

Ieri sera un gesto di preghiera, la recita del Rosario nella cattedrale di Como, ha reso evidente l’origine di quella fraternità vissuta e comunicata, intrecciata a tante vicende quotidiane. “Io sono convinto che don Roberto è stato ‘un santo della porta accanto’ per la sua semplicità, per l’amorevolezza con cui è andato incontro a tutti… Il suo servizio era rivolto alle singole persone per poter far sperimentare la tenerezza di Dio che si piega e si china su ognuno”: così il vescovo di Como Oscar Cantoni ieri ha richiamato l’insondabile profondità dell’amore divino che si tramette all’umanità. “Don Roberto si è donato a tutti perché mi ripeteva spesso: ‘i poveri sono la vera carne di Cristo’” ha ricordato, invitando a pregare “per don Roberto, per la sua famiglia, ma anche per colui che lo ha ucciso”.

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Madre Teresa e la santa Comunione sulla mano

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2020

Madre Teresa e la santa Comunione sulla mano/ Per quanto concerne il ricevere la Santa Comunione nella mano, una chiarificazione sulla presunta dichiarazione di Madre Teresa: “La cosa che più mi rattrista…”
Fonte: Testo © Mother Teresa Center of the Missionaries of Charity

 Madre Teresa e la santa Comunione sulla mano dans Diego Manetti Madre-Teresa

Riguardo al modo di ricevere la Santa Comunione, la Chiesa dichiara: “Nonostante debba essere rispettato il diritto di ogni fedele di ricevere, se lo desidera, la Santa Comunione sulla lingua, se un comunicante desiderasse ricevere il Sacramento della Comunione sulla mano, in circoscrizioni dove la Conferenza Episcopale con il riconoscimento della Santa Sede, ne abbia dato il permesso, l’Ostia Sacra dovrà essere amministrata al richiedente. Comunque, è necessario assicurarsi attentamente che l’Ostia consacrata sia consumata dal comunicante alla presenza del sacerdote, in modo da evitare che qualcuno si allontani con le Specie Eucaristiche nella sua mano. Nel caso esistesse il rischio di una profanazione, la Comunione non deve essere posta sulla mano dei fedeli”. (Dalla CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI – ISTRUZIONE Redemptionis Sacramentum; in materia di argomenti da osservare o evitare riguardo alla Santissima Eucarestia)

Madre-Teresa dans Fede, morale e teologia

Madre Teresa non avrebbe mai contraddetto i dettami della Chiesa. Riguardo al modo in cui ricevere la Santa Comunione, ha scritto alle sue consorelle: “Questo è come il permesso dei Vescovi dato alcuni anni fa per ricevere la Santa Comunione nella mano. E’ permesso, ma non è un ordine,… come Missionarie della Carità, noi abbiamo scelto di ricevere la Santa Comunione sulla lingua. Se qualcuno vi interroga su questo, non entrate in discussione – “che ogni spirito dia gloria a Dio” – ma preghiamo che tutto sia fatto per la maggior gloria di Dio e il bene della Chiesa”.

Voi riportate questa citazione “Ovunque vada nel mondo intero, la cosa che maggiormente mi rattrista è vedere la gente ricevere la Comunione nella mano.” Questa dichiarazione non ci sembra autentica. Non abbiamo mai sentito Madre Teresa proferire queste parole e nemmeno le abbiamo mai incontrate nei suoi scritti. Una cosa che Madre Teresa soleva ripetere molto spesso era: “…Il più grande distruttore della pace oggigiorno è l’aborto, perché è una guerra contro il bambino, un diretto omicidio di un bambino innocente, ucciso dalla sua stessa madre…il più grande distruttore dell’amore e della pace è l’aborto.”

Divisore dans San Francesco di Sales

Ricorda
Si può dare la comunione in mano ai fedeli? Sì, a condizione che…

Ostia-santa dans Madre Teresa di Calcutta

Non intendo fare alcuna “crociata” contro la pratica di dare la comunione in mano ai fedeli che la richiedano, perché quello che dice la Chiesa, nostra madre, vale. Però non bisogna dimenticare che la Chiesa dice che tu puoi prendere la comunione con la mano e poi devi metterla in bocca, subito lì, davanti al sacerdote. Quindi i sacerdoti devono essere molto vigilanti in questo senso, richiamando eventuali fedeli che non dovessero consumare immediatamente la particola. E’ questo il momento in cui ci deve essere l’osservazione: se si applica la norma liturgica correttamente, il pericolo che un’ostia sia trafugata si riduce sensibilmente, sconfessando con ciò la tesi per cui dare la comunione in mano favorirebbe di per sé i furti di ostie.

Tratto da: L’ora di Satana (L’attacco del Male al mondo contemporaneo) di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. Piemme

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Il sacerdote che riscatta i bambini dalle discariche delle Filippine

Posté par atempodiblog le 6 août 2020

Il sacerdote che riscatta i bambini dalle discariche delle Filippine
di Aleteia

Il sacerdote che riscatta i bambini dalle discariche delle Filippine dans Articoli di Giornali e News padre-Mathieu-nelle-Filippine

Li aiuta a vedere la loro dignità personale come figli di Dio e a ottenere nuove e migliori prospettive di vita
Padre Mathieu Dauchez è francese ma lavora a Manila, nelle Filippine, come responsabile della fondazione ANAK-Tnk, che si dedica ai bambini bisognosi di una delle zone più povere della capitale del Paese.

La fondazione accoglie bambini che vivono abbandonati in strada e bambine costrette a prostituirsi. Il sacerdote e i volontari arrivano a cercarli nelle discariche, dove provano a trovare qualcosa da mangiare. È frequente che questi bambini, se non vengono aiutati, cadano vittime della droga e del crimine.

L’ANAK-Tnk li aiuta a prendere coscienza della loro dignità personale come figli di Dio e a ottenere nuove e migliori prospettive di vita. La vita di preghiera è fondamentale nel progetto. Il nome della fondazione significa “figlio” (anak) e “ponte per l’infanzia” (tnk è l’abbreviazione di “tulay ng kabataa” nella lingua tagalog, la più parlata nelle Filippine).

Il lavoro di padre Mathieu è stato messo in luce, oltre che dalla visita di Papa Francesco, anche da un tweet del 2018 diventato virale di padre Patxi Bronchalo, della diocesi spagnola di Getafe, che ha postato sul suo profilo:

“Questo non esce mai sulla stampa.. Impressionante il lavoro di questo sacerdote, che si prende cura dei bambini delle discariche di Manila. Per favore, aiutatemi a condividere questo post perché venga conosciuto. Grazie di cuore”.

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Preti santi alla scuola di Giovanni Maria Vianney

Posté par atempodiblog le 5 août 2020

Preti santi alla scuola di Giovanni Maria Vianney
de L’Osservatore Romano

Preti santi alla scuola di Giovanni Maria Vianney dans Articoli di Giornali e News cardinale-Pietro-Parolin-ad-Ars

«Senza negare il danno provocato dal comportamento deviato di alcuni preti, il Papa ha voluto mettere in evidenza, soprattutto, il buon esempio della maggioranza di quanti, in modo costante e trasparente, si dedicano interamente al bene dell’altro. I momenti di purificazione ecclesiale che stiamo vivendo ci renderanno più felici e semplici, più generosi e più fecondi!». Lo ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin, celebrando ad Ars, nel sud-est della Francia, nella mattina di oggi, la messa nella memoria liturgica di san Giovanni Maria Vianney.

Richiamando la lettera di Francesco ai sacerdoti di tutto il mondo, scritta esattamente un anno fa, nel 160° della morte del patrono del clero con cura d’anime che per quarant’anni svolse il suo ministero in un piccolo villaggio allora abitato da poco più di 200 persone, il segretario di Stato ha incentrato l’omelia sul documento in cui il Pontefice si rivolge a quanti oggi, come il Curato d’Ars, lavorano in “trincea”, portando «sulle spalle il peso del giorno e del caldo»; a quanti «esposti a innumerevoli situazioni», ci mettono la faccia quotidianamente e senza darsi «troppa importanza»; a coloro che «in tante occasioni, in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica, nella malattia o nella desolazione», assumono la missione «come un servizio» scrivendo «le pagine più belle della vita sacerdotale». Perciò, ha commentato il porporato, «illuminati da queste parole, anche noi vogliamo avere come nostra prima intenzione di preghiera i sacerdoti e le vocazioni sacerdotali, che affidiamo alla particolare intercessione del santo Curato d’Ars».

Insieme con il porporato — nel santuario dove riposano le spoglie di Vianney, e che ogni anno accoglie 450 mila pellegrini — hanno concelebrato il vescovo Pascal Roland, di Belley-Ars, e altri presuli e sacerdoti francesi, alla presenza di numerosi diaconi, consacrati, religiose e autorità civili e militari. Rilanciando le parole della monizione di apertura, che esaltano la figura di «ammirevole sacerdote, appassionatamente devoto al suo ministero» del Curato d’Ars, il cardinale Parolin ha offerto una riflessione sulle letture liturgiche: a cominciare dalla prima, tratta da Ezechiele 3, 16-21, in cui emerge la funzione del profeta-sentinella, che — ha spiegato — «lungi dall’essere solo un carisma del passato» è attuale ancora «oggi e per sempre». Del resto «questa era la vocazione di Vianney, che «visse e lavorò in questa parrocchia come un autentico profeta-attento! Senza cercare il proprio o altri interessi che non fossero la conversione e la salvezza dei peccatori». Ed è così, ha aggiunto, «che i suoi contemporanei lo videro, nonostante il rifiuto all’inizio, i molti fraintendimenti e l’incessante lotta contro il Maligno che dovette affrontare». Perché san Giovanni Maria era l’«altoparlante, la voce stessa di Dio, nel condurre una vita consumata in totale fedeltà e coerenza, fino alla fine del suo pellegrinaggio su questa terra, quando poté esclamare — come nel Salmo responsoriale (120) —: “Benedici il Signore, anima mia».

Anche il passo evangelico di Matteo (9, 35-10, 1) è stato riletto dal celebrante alla luce della vita del Curato d’Ars, il quale «ha partecipato al potere taumaturgico del Signore, curando e guarendo completamente le persone». Inoltre, «grazie al suo esempio durante la vita e attraverso la sua intercessione oggi, sono nate e nascono nuove vocazioni al ministero sacerdotale».

La stessa vocazione del cardinale Parolin è legata al santo: «Una figura che mi è sempre stata particolarmente cara — ha confidato — poiché, da chierichetto, ho letto avidamente la sua biografia, che avevo trovato provvidenzialmente nella piccola biblioteca parrocchiale del mio paese». Perciò, ha proseguito, «è con grande emozione che ringrazio il Signore, in quest’anno quarantesimo della mia ordinazione presbiterale, per avermi dato oggi la grazia di fare questa visita nei luoghi di colui che Benedetto XVI definì nel 2010 “un modello del ministero sacerdotale”», a conclusione dello speciale Anno giubilare a lui dedicato. Da qui l’esortazione del segretario di Stato ai sacerdoti e ai vescovi presenti: «Non lasciamoci prendere dallo scoraggiamento; e non dimentichiamo mai che la nostra vocazione è un dono gratuito del Signore, un dono totalmente immeritato… che dobbiamo sapere come accogliere ogni mattina, con umiltà e nella preghiera».

E se il Pontefice emerito — ha fatto notare Parolin — ha messo in guardia dal non ridurre Vianney a un esempio, per quanto ammirevole, della spiritualità devozionale del diciannovesimo secolo, esaltandone il ministero di riconciliazione svolto al confessionale, Papa Bergoglio ne ha rimarcato la vicinanza «a tutti», senza mai rifiutare quanti «sono feriti nella loro esistenza e peccatori nella loro vita spirituale». Ed ecco allora, che se vogliamo essere autentici cristiani, dei santi», occorre imparare «da lui la semplicità, il disinteresse, la purezza nelle intenzioni e nell’azione, l’ascetismo, la fedeltà a Dio e al Vangelo».

In definitiva, ha concluso il cardinale, «Vianney invita a lasciarci plasmare dal significato profondo, dall’incommensurabile bellezza e dalla prodigiosa dignità dei sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, e a fare affidamento sulla loro forza trasformatrice. Di fronte a risposte inadeguate alla nostra sete di verità, significato e realizzazione, a sistemi incapaci di soddisfare i nostri bisogni più autentici, il Curato d’Ars insegna che l’intima unione personale con Cristo aiuta a conformare i nostri desideri alla volontà di Dio, ci riempie di gioia e felicità, ci aiuta a essere sale e luce del mondo». Insomma insegna che «la santità è possibile per tutti! La santità è accessibile a tutti!».

Nel primo pomeriggio il cardinale Parolin ha tenuto una conferenza incentrata sul tema: «Papa Francesco e i sacerdoti, in cammino con il popolo di Dio». Articolato in otto punti — la preghiera, “uscire”, insegnare, celebrare l’Eucaristia, confessare, accogliere i poveri, la fraternità sacramentale, Maria — l’intervento del porporato ha tracciato alcune linee guida per «il ministero pastorale nel nostro ventunesimo secolo» facendo “dialogare” il Pontefice con il Santo. Riguardo al primo aspetto ha fatto notare come Vianney trascorresse «ore e ore davanti al tabernacolo della sua chiesa, per chiedere al Signore la conversione degli abitanti di Ars». E anche «il Santo Padre si alza presto la mattina e prega fino alla messa alle 7 del mattino. Di sera, interrompe le sue occupazioni e ritorna a lungo in cappella fino a cena». Dunque «la preghiera è necessaria per crescere nella nostra fedeltà». E inoltre ha «un obiettivo pastorale», anche quando si sperimenta «l’ardidità».

Il secondo aspetto della «Chiesa in uscita» trae origine dalla constatazione che «l’azione pastorale si basa sul discernimento: osservare la situazione, guardare con benevolenza, ascoltare con attenzione»; e che in tale contesto «lo Spirito Santo ispira la creatività per trovare il modo migliore per avvicinarsi agli altri». D’altronde san Giovanni Maria uscì dal «presbiterio per incontrare la sua gente. Non la trovò in chiesa perché non ci andava più da molto tempo» a causa della Rivoluzione francese.

Riguardo all’insegnamento — terzo punto — il cardinale Parolin ha chiarito che esso deve rifarsi a una «chiara proposta di fede», come faceva nella sua predicazione il Curato d’Ars. E se il Papa insiste molto sulla qualità delle omelie, il segretario di Stato ha suggerito anche di proporre incontri di formazione a livello parrocchiale. Quanto all’Eucaristia — quarto punto — essa «costituisce il cuore del sacerdote»: al punto che san Giovanni Maria esclamava «Mio Dio! Come deve essere compatito un prete quando la fa come una cosa normale!», e che Bergoglio l’ha definita «l’atto supremo della rivelazione» (Misericordiae vultus, 11 aprile 2015, n. 7).

Per il tema della riconciliazione il cardinale Parolin ha ricordato le decine di migliaia di persone che accorrevano al confessionale dove il curato d’Ars trascorreva dalle quindici alle diciotto ore al giorno, e come esso per il vescovo di Roma — che «ha un acuto senso della tenerezza di Dio che avvolge la fragilità dell’uomo» — rappresenti «il sacramento della misericordia». Purtroppo, ha osservato il relatore, «molti fedeli non si confessano più»: da qui l’«invito a fare di tutto affinché riscoprano questo sacramento essenziale. Ciò richiede una determinata volontà pastorale, una catechesi incessante… e anche un certo coraggio per accettare di accogliere con disponibilità quanti vengono a chiedere, a volte timidamente, questo sacramento dell’amore».

Per la cura dei poveri, il conferenziere ha ricordato come ad Ars dovessero nascondere i vestiti perché sapevano che il curato dava agli indigenti tutto ciò che aveva; con carità creativa ha fondato il collegio Providence per sollevare dalla miseria materiale e morale le ragazze che vivevano per strada. E il Pontefice da parte sua ha parlato a più riprese di opzione preferenziale per i poveri.

Da ultimo il segretario di Stato ha accennato alla «concreta fraternità sacramentale» come a «una grande sfida odierna, perché il ministero è spesso pesante e difficile», e «non possiamo esercitarlo in solitudine»; e al ruolo della Vergine Maria nella spiritualità del santo e del Papa.

Al termine, della giornata il porporato benedice un itinerario — all’interno del santuario di Ars — dedicato al cardinale Emile Biayenda, arcivescovo di Brazzaville morto nel 1977, di cui è in corso la causa di canonizzazione.

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Il cardinale Stella: “L’Istruzione vaticana? Un’allerta perché le parrocchie non diventino agenzie di servizi”

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2020

Il cardinale Stella: “L’Istruzione vaticana? Un’allerta perché le parrocchie non diventino agenzie di servizi”
Il prefetto della Congregazione per il Clero spiega i contenuti del documento del 20 luglio: «L’attenzione sul tema dei laici che celebrano nozze e funerali utile solo a creare titoli ad effetto». «Le parrocchie non sono “aziende” che possono essere dirette da chiunque»
di Salvatore Cernuzio – Vatican Insider

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È trascorsa una settimana dalla pubblicazione dell’Istruzione per le parrocchie redatta dalla Congregazione per il Clero, dal titolo “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa ».

Acclamato come «una rivoluzione» in ambienti laici, catalizzatore dell’attenzione dei media per la questione «tariffari» per i sacramenti e dei laici che celebrano nozze e funerali, il documento vaticano è finito sotto il fuoco di fila delle critiche di alcuni vescovi, in prima linea quelli della Germania. Per comprendere meglio punti e spunti del documento e come esso non esuli dal solco della tradizione della Chiesa, Vatican Insider ha intervistato il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero.

Eminenza, si è parlato di svolta e di rivoluzione per questa istruzione. Nel documento, però, viene specificato che non vi è alcuna novità dal punto di legislativo. Qual è allora la chiave di lettura corretta?
«Per sua natura un’Istruzione non può produrre nuove leggi, bensì aiuta ad applicare meglio quelle esistenti, cercando di renderle più chiare e indicando i procedimenti per eseguirle. Il punto del documento è nel suo titolo. È essenziale richiamare a una conversione missionaria che non sia solo dei singoli fedeli, chierici o laici, o dei “professionisti” della pastorale, ma che invece coinvolga la comunità parrocchiale in quanto tale, con tutte le sue componenti. Occorre quindi che ciascuno riscopra la propria vocazione ecclesiale e si senta corresponsabile dell’unica missione evangelizzatrice, rendendosi disponibile per i servizi e gli incarichi che gli corrispondono all’interno della comunità parrocchiale e soprattutto nell’ambito della missione evangelizzatrice della Chiesa. Una Istruzione, si potrebbe dire, è come lo scriba del Vangelo ed estrae dal tesoro – teologico, pastorale e canonico – della Chiesa “cose nuove e cose antiche” per tradurle nella vita quotidiana del Popolo di Dio».

A livello mediatico ampia attenzione si è concentrata sulla questione dei laici che celebrano nozze e funerali. Reputa riduttiva questa lettura?
«Mi permetta di dire che, sì, trovo riduttiva e utile solo per creare titoli a effetto l’attenzione speciale che è stata data al tema dei laici in relazione a matrimoni e funerali. Infatti, si tratta di norme già esistenti e di possibilità che, in relazione ai matrimoni, possono realizzarsi quando sussista la mancanza di sacerdoti e diaconi, all’interno di un dialogo che coinvolge il vescovo diocesano, la Conferenza episcopale e la Santa Sede».

Può spiegare meglio questo punto?
«Nel matrimonio i ministri del sacramento sono gli sposi, mentre colui che chiede loro di manifestare il proprio consenso – chierico o laico che sia – adempie alla funzione di “teste qualificato” e accoglie a nome della Chiesa il “sì” degli sposi. Allo stesso modo, circa il rito delle esequie, questo può avvenire anche senza la celebrazione della messa, e il Rituale Romano prevede quali parti dei diversi riti possono essere eseguite anche da laici».

Qual è dunque il messaggio che voleva far passare la Congregazione per il Clero affrontando questa tematica?
«Che matrimoni e funerali sono per i sacerdoti occasioni di incontro con i fedeli e anche con persone che abitualmente non frequentano la Chiesa, in circostanze emotivamente forti. Il fatto che ci siano possibili diverse alternative per la celebrazione dei riti non dovrebbe farci cadere in un funzionalismo sganciato dall’esperienza di fede del Popolo di Dio».

Con le nuove indicazioni qualcuno intravede il rischio che i preti finiscano per essere sovraccaricati di amministrazione e burocrazia. È così?
«In realtà è esattamente l’opposto e l’Istruzione ha voluto anche proporre un segnale di allerta rispetto ad una concezione della parrocchia, qua e là esistente, come “agenzia” che eroga servizi di diverso tipo (sacramentali, cultuali, sociali, caritativi) e non come una comunità missionaria, anche una “famiglia” direi, in cui ciascuno contribuisce per la sua parte, secondo vocazione, carisma, disponibilità e competenza. In tale ottica, il sacerdote dovrebbe essere aiutato proprio a non perdersi in amministrazione e burocrazia, ma a concentrarsi piuttosto sulle priorità del suo ministero – l’Eucaristia, l’annuncio della Parola, la direzione spirituale e la confessione, la promozione della carità e la vicinanza ai fedeli, soprattutto i più bisognosi – accompagnato dall’aiuto e stimolato dall’esempio degli altri membri della comunità, chierici, consacrati e laici. Peraltro, è essenziale ricordare che la suddivisione di compiti e ministeri all’interno della comunità deve porsi in un orizzonte missionario e di evangelizzazione, in modo che la parrocchia non lavori unicamente per la propria “sopravvivenza”, magari rimpiangendo i “bei tempi”, ma sia animata in ogni suo membro di un vivo anelito ad annunciare Cristo e a testimoniarLo a chi si è allontanato e a chi non Lo ha mai conosciuto».

Cosa occorre per realizzare questo?
«Che ogni fedele si senta attivamente corresponsabile di tale missione, secondo le sue possibilità concrete. Mi lasci dire invece che la “vocazione” dello spettatore, magari polemico e critico dell’impegno altrui, di certo non viene da Dio e non contribuisce all’evangelizzazione. La parrocchia, sia per chi la vive come singolo che per coloro che vi partecipano come membri di associazioni, movimenti e gruppi, è un luogo di incontro col Signore, di accoglienza, di esperienze di fede vissuta, pur con le fatiche che si sperimentano talvolta anche nelle migliori famiglie».

Il rafforzamento del ruolo del parroco, con l’esplicita indicazione che deve trattarsi sempre e solo di un sacerdote, si può considerare una risposta a certe istanze emerse durante il Sinodo sull’Amazzonia?
«Più che altro l’Istruzione ha inteso confermare la specificità del parroco come “pastore proprio” della comunità, ribadendo la centralità dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. In quanto pastore proprio, da sempre e per la natura del suo incarico, il parroco può essere solo un sacerdote, chiamato a rendere Cristo sacramentalmente presente, in special modo nell’Eucaristia e nella Riconciliazione. In questo modo, emerge il tratto identificativo e specifico del ministero sacerdotale che è la carità pastorale, tramite la quale il presbitero vive la propria paternità spirituale, facendo un totale dono di sé come padre alla Chiesa e alla sua comunità. Ciò non significa che il parroco debba fare tutto da solo, senza ascoltare altri o senza lasciare loro margine per una creatività e responsabilità personale. Ma occorre fare attenzione a non ridurre la parrocchia al rango di “filiale” di una “azienda” – in questo caso la diocesi – con la conseguenza di poter essere “diretta” da chiunque, magari anche da gruppi di “funzionari” con diverse competenze».

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