Il Santo Volto di Gesù in padre Pio da Pietrelcina

Posté par atempodiblog le 26 juillet 2025

Il Santo Volto di Gesù in padre Pio da Pietrelcina
di padre Stefano Maria Manelli – Il settimanale di Padre Pio
Tratto da:  Radici Cristiane

Il Volto di Gesù in padre Pio da Pietrelcina ha riflessi particolari segnati in profondità dalla sua configurazione spirituale certamente non comune. È evidente in padre Pio il peso di una realtà carismatica così eccezionale, che impegnerà senza fine gli studiosi della teologia mistica a tutti i livelli di ricerca anche interdisciplinare. Lo spiega padre Stefano Maria Manelli in questo prezioso ed appassionato articolo, che pubblichiamo per gentile concessione de “Il Settimanale di padre Pio”, edito dalla Casa Mariana Editrice. (Radici Cristiane)

Il Santo Volto di Gesù in padre Pio da Pietrelcina dans Commenti al Vangelo Padre-Pio-Ges-e-San-Francesco-d-Assisi

Nelle Fonti Francescane leggiamo questa significativa testimonianza riportata dal beato Tommaso da Celano nella Vita seconda di San Francesco d’Assisi sulla morte di san Francesco rivelata ad alcuni santi frati e sull’entrata del Serafico Padre nel Regno dei cieli:

«In quella notte [della morte di san Francesco d’Assisi] e alla stessa ora, il padre glorioso apparve ad un altro frate di vita lodevole, mentre era intento a pregare. Era vestito di una dalmatica di porpora, e lo seguiva una folla innumerevole di persone. Alcuni si staccarono dal gruppo per chiedere al frate: “Costui non è forse Cristo, o fratello?”. “Sì, è lui”, rispondeva. Ed altri di nuovo lo interrogavano: “Non è questi san Francesco?”. E il frate allo stesso modo rispondeva affermativamente. In realtà sembrava a lui e a tutta quella folla che Cristo e Francesco fossero una sola persona» (n. 219).

Questa affermazione non può essere giudicata temeraria da chi sa intendere bene, perché «chi aderisce a Dio diventa un solo spirito» (cfr. 1Cor 6, 17) con Lui e lo stesso Dio «sarà tutto in tutti» (cfr. 1Cor 12, 6).
Per questo e con non minore valore di autorità, la Liturgia definisce san Francesco di Assisi «fedelissima immagine di Cristo Crocifisso» (dal Prefazio della santa Messa).
Questo episodio riguardante san Francesco d’Assisi nella sua straordinaria conformità e somiglianza anche fisica con Cristo «povero e crocifisso», serve bene per immettere subito padre Pio da Pietrelcina sulla pista agiografica a lui più congeniale, sia perché egli è un francescano, figlio del Poverello d’Assisi, sia perché anch’egli è uno stimmatizzato, ben somigliante al suo Serafico Padre.

Il volto di Gesù
Nel Vangelo possiamo tutti scoprire il Volto di Gesù. Volto teandrico. Volto umano. Volto divino. Volto di bimbo. Volto di adulto. Volto paterno. Volto compassionevole. Volto trasfigurato. Volto sdegnato. Volto appassionato. Volto crocifisso… Chi potrà mai esaurire, in effetti, le espressioni delle fattezze reali di un volto umano e divino insieme?
Ma già questa ricchezza e varietà di espressioni erano presenti, si può dire, nel volto di padre Pio, segnate pressoché sempre da un quid arcano non afferrabile né misurabile, che sfuggiva ad ogni dimensione soltanto umana, trascendendola in modo quasi imperativo e sovrano, ma con naturalezza, senza ombra di posa o di maniera o di forzatura qualsiasi. Padre Pio appariva come un mistero anch’esso umano-divino, sia pure in misura ridotta, e tale mistero ne impersonava l’intera figura e in particolare il volto.
È testimonianza moltiplicabile indefinitamente. Gli occhi, i sorrisi, la tristezza, lo sdegno, la dolcezza, la durezza, le lagrime, le parole sferzanti: chi è colui che ha visto padre Pio, che ha conosciuto padre Pio da vicino e non ricorda tutto ciò? Il suo volto s’irradiava o s’incupiva per cose, che non si udivano né si vedevano da altri che da lui. Il suo volto tradiva operazioni ad intra inafferrabili ed inspiegabili a chicchessia. I suoi occhi, in particolare, penetravano e scrutavano al di là del visibile e del sensibile, leggendo nei cuori e nelle anime come in un libro aperto.

Un vero “Gesù visibile”
Insegna san Giovanni della Croce che ogni fenomeno mistico di natura anche fisica si diparte sempre da una radice spirituale ad intra che matura, fiorisce e si manifesta quindi ad extra. E san Francesco di Sales, infatti, spiega bene che il fenomeno mistico fisico delle stimmate di san Francesco di Assisi fu la proiezione e manifestazione esterna del mistero della crocifissione di Cristo, già tutto presente e operante in lui, da molto tempo, nell’intimo del cuore, come è attestato espressamente nelle stesse Fonti Francescane (n. 594).
Se padre Pio è stato visto, chiamato e considerato, da molti, un vero “Gesù visibile”, ciò significa che già nell’intimo egli era pieno di Gesù, aveva assimilato Gesù, si era fatto assorbire da Gesù, vivendo l’arcana esperienza di san Paolo che scrive:

«Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20).

In particolare, poi, riguardo al Volto di Gesù riflesso nel volto di padre Pio, l’evidenza dell’identificazione si può dire che apparisse primaria e a volte pressoché totalizzante. Infatti, era soprattutto guardando padre Pio nel volto, che si poteva provare netta l’impressione di vedere riflesso nel suo il volto stesso di Cristo con i suoi lampeggiamenti negli occhi, i sorrisi celestiali, le contrazioni di dolore, la concentrazione intensissima, la trasfigurazione di sguardi e lagrime.
Chi scrive ricorda bene tutto questo, impresso indelebilmente nella memoria. Il Volto di Gesù, il volto di padre Pio: due volti in uno, ambedue irradiazioni del divino nell’umano e attraverso l’umano, senza diaframmi, quasi a identificarsi, per attimi lunghi o brevi, agli occhi stupefatti dei presenti, incapaci di sottrarsi a quella così arcana visibilità del divino partecipata dal Volto di Cristo al volto di padre Pio.

Come un’icona
Forse la configurazione migliore del volto misterioso di padre Pio è quella dell’“icona” del Volto di Cristo. Si sa che l’“icona”, a differenza di ogni altra raffigurazione pittorica, condensa in sé una sorta di “presenza celeste” particolarmente avvertita, soprattutto dai cristiani d’Oriente, per la forza evocativa che l’immagine iconica provoca in chi la guarda e la prega.
L’impressione più forte che colpiva la vista e incideva nell’animo era particolarmente quella che si provava guardando padre Pio all’atto della consacrazione del pane e del vino durante la celebrazione della sua santa Messa. A quel punto, in quei lunghi minuti di tempo che durava il mistero della consacrazione eucaristica, si può dire che il volto di padre Pio diventasse visivamente un’impressionante “icona” del Volto di Cristo durante la crocifissione. Senza tema di esagerazione, chi scrive ha visto e può attestare tutto ciò, pur mancando i termini adeguati a descrivere la realtà dolorosa delle espressioni sofferte del volto di padre Pio e lo stupore struggente che ogni volta si provava a guardare quel volto in quei momenti così arcani e sovrumani.

«Sul volto pallidissimo, trasfigurato – è stato scritto da Gennaro Preziuso in Padre Pio, un martire – erano visibili dolorose contrazioni che lo facevano vibrare». «Sul volto di padre Pio – ha aggiunto Fallani nella stessa opera – passavano le vibrazioni interiori della sua anima, scossa dal memoriale della Passione vissuto minuto per minuto nella liturgia eucaristica».

Idem Christus
Dopo la celebrazione della santa Messa, invece, di solito padre Pio «aveva il viso splendente – afferma un altro teste diretto – di un roseo di fiamma… Era così il volto di Mosè, quando scendeva dal Sinai, dopo il colloquio col Signore?», si legge in Detti e aneddoti di Padre Pio (P. Costantino Capobianco).
E un altro testimone oculare, in pagine profonde di analisi sugli scritti e sulla vita di padre Pio, ha potuto affermare con acutezza di indagine e di riflessioni che nel frate, visto dall’interno e dall’esterno, si attua e si coglie il mistero della trasformazione in Cristo fino al punto che «il processo tocca il culmine: e con lui si ha non soltanto un “alter Christus”, non soltanto un avviamento alla “identitas Christi”, ma addirittura l’idem Christus!», è scritto in Solo nel mistero di Dio di san Panunzio.
Si è ben lontani, qui, dalle descrizioni di quei pii volti oleografici così graditi a certa letteratura devozionistica, ferma alle apparenze che commuovono mentre rifugge dal mistero di quei volti trasfigurati che colpiscono e magari sconvolgono. Il Santo Volto di Cristo, così dolce e insieme maestoso nella sagoma della celebre Sindone, aiuta a scavalcare le impressioni di volti, che nella loro bellezza anche non comune rivelano soltanto una dimensione umana, che non trascende in nulla l’umano, mortificando la dimensione più nobile e sovrana dell’uomo, che è quella tutta interiore e spirituale riflessa e irradiata soprattutto dai lineamenti e movimenti del volto animato dalla divina grazia, che riflette il Volto umanato del Tre volte Santo.
Se è vero che il richiamo primario del Santo Volto di Gesù è al mistero della sua Crocifissione e Morte per la redenzione universale, è anche vero che tale richiamo costituisce il cuore della spiritualità cristocentrica francescana vissuta ai livelli più alti dell’esperienza mistica, anche fisica, dal Serafico padre san Francesco, espressa dottrinalmente ai livelli della più elevata teologia mistica dal Dottore serafico, san Bonaventura da Bagnoregio.

Assimilazione al Crocifisso
Nella storia degli stimmatizzati certamente l’esperienza dell’assimilazione al Crocifisso in padre Pio resta unica e ineguagliabile, segnata al vivo e davvero scolpita, si può dire, dalle parole di san Paolo Apostolo: «Sono crocifisso con Cristo in croce…» (Gal 2, 19) e «Porto nel mio corpo le stigmate del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6, 17).
Nell’accurata indagine sul magistero spirituale di padre Pio da Pietrelcina, infatti, padre Melchiorre da Pobladura ha potuto scrivere che «indubbiamente il richiamo alla Croce è una delle “costanti” dell’insegnamento di padre Pio. È un pensiero dominante, facilmente individuabile nel sottofondo del suo magistero». Nel cammino della vita spirituale secondo padre Pio – afferma ancora padre da Pobladura in Alla scuola spirituale di padre Pio da Pietrelcina – è essenziale «incontrarsi vitalmente con Cristo Crocifisso», aiutati e accompagnati dalla sua divina Madre Maria, la «cara Corredentrice».

«Tieni nel tuo cuore Gesù Crocifisso»: è questa una delle espressioni più frequenti uscite dalla penna di padre Pio nelle sue lettere di direzione spirituale. E in un’altra lettera di direzione spirituale raccomanda di guardare al Crocifisso, di «avere gli occhi sempre fissi su Colui che vi guida». E il Volto di Gesù prediletto da padre Pio resta appunto quello doloroso della Sindone ossia il volto di Gesù Crocifisso, mentre passa in second’ordine, per lui, il Volto glorioso di Gesù Risorto. «Gesù glorificato è bello – scrive espressamente padre Pio – ma quantunque egli sia tale, sembrami che lo sia maggiormente crocifisso». «Quanto è bello il suo Volto – scrive ancora – e dolci i suoi occhi».

«Nei suoi insegnamenti e nelle sue esortazioni – rileva attentamente padre Melchiorre da Pobladura in una pagina di acuta analisi – egli mette l’accento più sulla morte ignominiosa del Cristo che sulla sua trionfale risurrezione» e questa impostazione «sembra più consona ed anche più intelligibile alla natura umana decaduta», giacché «lo stato di morte è, si può dire, più connaturale e consustanziale alla vita dell’uomo che non quello di gloria. La vita umana è intessuta di spine… Orbene, presentare come sostrato di questo faticoso cammino la vita gloriosa del Cristo risorto è in certo modo invitare quasi a vivere fuori del tempo presente e a cullarsi nel futuro. La risurrezione è il termine escatologico del cristiano, la morte invece, simboleggiata nella Croce, è lo stato attuale di ogni persona in qualunque condizione di vita si trovi. In altre parole la sapienza della Croce si addice più che la sapienza della risurrezione alla vita presente… Realisticamente, pertanto, la vita cristiana deve essere orientata sotto il segno della Croce, più che vista e contemplata sotto lo splendore della risurrezione».

La “teologia cordis”
Padre Pio, con la sua teologia cordis, così caratteristicamente francescana, adorava amorosamente il mistero dell’Incarnazione e aveva una passione così ardente per il Natale di Gesù, che quasi si estasiava nella contemplazione gioiosa di Gesù Bambino a Betlemme. Chi ha avuto l’occasione di vederlo, ricorda bene il volto roseo, trasfigurato, di padre Pio che contemplava Gesù Bambino mentre lo dava a baciare ai fedeli nella Notte Santa del Natale. Tutto ciò è vero.
Ma è ancora più vero che i suoi sguardi al Crocifisso erano di una frequenza e di una intensità amorosa così particolare da rivelare, senza posa o forzatura alcuna, una partecipazione amorosa di sofferenza viva e immediata. Chi scrive ricorda bene che i figli spirituali avevano un’attenzione particolare nel portare a padre Pio i Crocifissi da benedire; e padre Pio ad ogni Crocifisso rivolgeva, con la benedizione, uno sguardo prolungato che rapiva e commuoveva anche i presenti. Quale mistero visibile di comunione, in quei momenti, fra il Santo Volto di Gesù Crocifisso e il volto di padre Pio, anch’egli crocifisso!

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Il primato del Santo Padre nel cuore di Maria

Posté par atempodiblog le 6 novembre 2013

Il primato del Santo Padre nel cuore di Maria dans Fede, morale e teologia uutw

Se noi vogliamo amare molto il Papa, quindi, dobbiamo chiedere questa grazia alla Madonna, perché chi può amare il Papa come lo ama Lei?
Il Papa è la nostra roccia, una roccia evangelica, una roccia divina, perché creata dalla Parola viva di Gesù, Verbo incarnato: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt l6,l8).
Giustamente san Francesco di Sales diceva che «Gesù Cristo, la Chiesa e il Papa sono tutt’uno». È impossibile dividerli. Essi sono la «testata d’angolo» (Lc 20,17) dell’umanità, del mondo, dell’universo da salvare.
Per questo c’è tanta superficialità nelle parole di chi dice che accetta Gesù Cristo e la Chiesa, ma non il Papa.
Quando Napoleone tenne prigioniero il papa Pio VII, per decidere alcune questioni sulla Chiesa, radunò egli stesso a Parigi molti vescovi di Francia e d’Italia, e voleva che deliberassero sui punti in questione.
Ma i Vescovi rimasero in assoluto silenzio. Napoleone insistette e fece forti pressioni. Nulla. Allora cominciò a impazientirsi e a minacciare. A questo punto il più anziano dei Vescovi si alzò e disse con molta calma: «Sire, aspettiamo il Papa. La Chiesa senza il Papa non è la Chiesa!».
Soltanto il Papa, il Successore di san Pietro, insegna il Catechismo, «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (n.882).

Non può sbagliare
Il Papa è l’unico maestro sulla terra che non possa mai sbagliare nell’insegnamento della fede e della morale.

«La fede romana – scriveva san Girolamo – è inaccessibile all’ errore». Ed è per questo che san Cipriano poteva affermare: «La Chiesa di Roma è radice e madre di tutte le Chiese». Soltanto chi si trova unito al Papa è sicuro di essere nella verità infallibile di ciò che deve credere e operare per salvarsi.
È Gesù stesso che volle l’infallibilità di san Pietro: «Ho pregato perché non venga meno la tua fede» (Lc 22,32). È Gesù stesso che lo volle nostra guida infallibile: «Tu conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32).
Per questo il Papa è l’unico maestro universale e indefettibile; anzi, è l’unico che può «confermare la fede» dei cristiani, garantendola infallibilmente da ogni errore dottrinale e morale. In questo senso, sulla terra il Papa, ogni Papa, è il sommo teologo, il sommo biblista, il sommo moralista.
Soltanto la sua parola di maestro universale è parola divinamente garantita da Cristo «Via, Verità e Vita» (Gv l4,6).
Per questo san Tommaso d’Aquino, chiamato «maestro del mondo», era pronto a rinunciare a qualsiasi pensiero dei grandi Santi Padri, di fronte al pensiero del Papa.

Il fiasco dell’Inferno
Contro il Papato faranno fiasco non solo tutti gli uomini che volessero lottarlo, ma anche tutto l’Inferno. È sempre Gesù che lo garantisce: «Le porte dell’Inferno non prevarranno mai» (Mt l6,l8).
E non solo i nemici non prevarranno, ma si sfracelleranno su questa «testata d’angolo, roccia contro cui si sbatte e pietra di rovina. Difatti, contro di essa andranno ad urtare coloro che non hanno voluto credere al Vangelo…» (1 Pt 2,7-8).
Contro di essa andò a sbattere Lutero, l’impenitente eresiarca, che offendeva e malediceva il Papa come un forsennato: «O Papa, io sarò la tua morte!… Sì, io, papa Lutero I, per comandamento di Nostro Signore Gesù Cristo e dell’Altissimo Padre, ti mando all’Inferno!…».
Povero e infelice Lutero!
Contro il Papa si scagliò anche il terribile Napoleone. Il Papa, inerme, gli disse: «Il Dio d’altri tempi vive ancora. Egli ha sempre stritolato i persecutori della Chiesa…».
Sull’isolotto di sant’Elena, Napoleone ricordava queste parole, e diceva a un amico: «Ah, perché non posso gridare da qui, a quelli che hanno qualche potere sulla terra: Rispettare il rappresentante di Gesù Cristo! Non toccate il Papa: altrimenti sarete annientati dalla mano vendicatrice di Dio. Anzi, proteggete la Cattedra di Pietro!».

«I falsi maestri»
Scrivendo a Timoteo, san Paolo insegna questa importante verità: quando non si sopporta più la sana dottrina, ci si procura «una folla di maestri» che consentano di «assecondare le proprie passioni», e che parlino di fantasie anziché di verità (cf 2 Tm 4,3-4).

Ci siamo. Basta leggere certi libri di teologi ritenuti «grandi e celebri» per dare ragione a san Paolo a occhi chiusi. E questi teologi sono davvero «una folla» e hanno messo su un mercato enorme di libri e riviste che sono pressoché tutti simili a cibi guasti, avariati o sospetti. Poveri gli incauti che ci cascano a comprarli!
Questi teologi sono «i falsi maestri» di cui parlano con parole terribili, anzi, spaventose, san Pietro e san Paolo (cf 2 Pt 2,2-ll; l Tm 1,3-7; 4,1-ll; 6,3-5; 2 Tm 3,1-7; 4,1-5). Questi «falsi maestri» vengono chiamati dal papa Paolo VI «teologi da camera» e «autoteologi», e di essi – dice ancora il Papa – è necessario «diffidare», perché fanno fare «naufragio nella fede» (l Tm l,l9).

Pregare per il Papa
La piccola Giacinta di Fatima, prima della morte ebbe dalla Madonna una visione in cui vide il Papa in mezzo a gravissime sofferenze.

La piccola veggente raccomandò con tutte le forze, da parte della Madonna, di pregare per il Papa, di soffrire con lui e per lui, che deve pascere il gregge universale (Gv 21,15-17).
Si sa che sempre ci sono state anime generose che hanno offerto e immolato la loro vita per il Papa. San Vincenzo Strambi, ad esempio, confessore del papa Leone XII, si offrì come vittima per far vivere più a lungo il Papa. E così avvenne: il Papa visse per altri cinque anni, mentre san Vincenzo morì cinque giorni dopo la sua offerta.
Guido Negri, intrepido soldato, morì al fronte dopo aver offerto la sua vita per il Papa.
Noi tutti possiamo dimostrare al Papa il nostro filiale attaccamento, come lo dimostrava san Massimiliano M. Kolbe, che considerava ogni volta una grazia entusiasmante poter vedere il Papa, accostarsi vicino, baciargli la mano; come lo dimostrava san Pio da Pietrelcina, che voleva avere sempre l’immagine del Papa accanto a quella della Madonna, e poco prima di morire scrisse una lettera al Papa per rinnovargli la sua dedizione e fedeltà totale.

Tratto da: Maggio mese di Maria di padre Stefano Maria Manelli FI. Casa Mariana Editrice

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Il rispetto umano

Posté par atempodiblog le 21 juin 2008

Il rispetto umano è una piaga della vita cristiana. Ed è una piaga di molti, di troppi cristiani.
Dove si vede Dio offeso, Gesù oltraggiato, la Madonna e i santi maltrattati, bisognerebbe vedere i cristiani coraggiosi e coerenti che fanno muro di difesa e di onore alla loro Fede.
Invece, quanto coniglismo e quanta viltà di animo! Addirittura, quanto sforzo di nascondersi fra gli stessi nemici della Fede, per paura di essere scoperti e segnati a dito!
È vero che oggi, in questo mondo corrotto, in questa società scandalosa e beffarda, dominata dall’ateismo più animalesco che si possa concepire, occorre davvero gran coraggio per essere coerenti.
Ma non è forse questo un motivo in più perché i cristiani, lungi dal nascondersi, si facciano avanti a testimoniare con energia la loro fede «che vince il mondo» (Gv 5,4)?
Coloro che si vergognano, che hanno paura di apparire come veri cristiani, hanno più le vesti da vili traditori che da discepoli di Cristo.
Contro costoro c’è la parola tagliente e terribile di Gesù: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole
davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).

«Pescatori e pescatrici»
Nella lotta contro il protestantesimo che rovinava la fede di tanti cristiani con le sue eresie dottrinali e morali, san Carlo Borromeo volle istituire grandi scuole di catechismo e di istruzione religiosa per il popolo. Ebbe bisogno di cristiani laici coraggiosi. Li trovò, uomini e donne. Li divise nei due gruppi dei «pescatori» e delle «pescatrici», e organizzò i giri apostolici per le case, per le strade, per i campi. Era uno spettacolo di vera fede vedere questi cristiani coraggiosi all’opera per testimoniare Gesù Cristo e annunciare il suo Vangelo puro, senza errori.
Ogni cristiano dovrebbe far suo, con fierezza, il grido di san Paolo: «Non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16). Dovunque. In casa o fuori. Negli uffici o nelle scuole. Tra gli amici e tra i nemici. «I veri cristiani – diceva san Gregorio Magno – sanno morire, ma non transigere». E dovrebbe bastare il ricordo dei gloriosi martiri, sempre vivi nella Chiesa celeste e terrestre. La loro gloria conferma luminosamente la parola di Gesù: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,35).

Si vergognano…
Che cosa dire, adesso, di molti cristiani che per rispetto umano mancano persino ai loro doveri fondamentali?
Si vergognano di farsi il segno di croce e di recitare qualche preghiera mattino e sera, o prima dei pasti.
Si vergognano di entrare in una chiesa a pregare, di avere la corona e di recitare il Rosario, di salutare un’immagine sacra nelle edicole.
Si vergognano di andare a Messa. Si vergognano di confessarsi. Si vergognano di ricevere la Santa Comunione.
Si vergognano di riprendere chi bestemmia o profana cose sacre. Addirittura, alcuni arrivano a vergognarsi di… non bestemmiare!
Si vergognano di difendere la loro fede dagli attacchi e dagli insulti dei nemici; e magari si vergognano di essere considerati ancora cristiani… Si vergognano di non leggere stampe per sporcaccioni, di non vedere cinema immondi, di non seguire le nuove mode invereconde.
Si vergognano di rimproverare chi dà scandalo, chi offende e dileggia la morale evangelica. Arrivano a vergognarsi di opporsi all’aborto, al divorzio, alla pillola contro la vita umana. Si vergognano, si vergognano… Pare che non sappiano fare altro!

Chi non si vergogna
Ancora giovanetto, san Bernardino da Siena fu invitato una volta da uno zio a casa sua. Andò, ma vi trovò anche altre persone che nella conversazione con facilità parlavano scorrettamente. Pronto e risoluto, san Bernardino disse allo zio: «O questi signori cambiano modo di parlare, o io me ne vado via!». Lo zio avvertì gli ospiti, e il linguaggio non fu più scorretto.
Ma dovunque si trovava, san Bernardino non solo non aveva neppure l’ombra del rispetto umano, ma era lui che incuteva rispetto a tutti. Anche i suoi compagni lo sapevano bene, e se talvolta si lasciavano andare a qualche discorso non corretto al solo veder arrivare san Bernardino, dicevano fra loro: «smettiamo, arriva Bernardino».
San Giuseppe Moscati, ugualmente, fu un cristiano pieno di luce ed esercitava un fascino indescrivibile con la testimonianza della sua fede viva. Chi voleva, poteva vederlo ogni mattina fermo e raccolto in chiesa per due ore di preghiera. Sulla cattedra, prima di iniziare l’insegnamento, esortava sempre gli studenti a innalzare la mente al «Signore Dio delle scienze» (1 Sam 2,3). Non appena suonava l’Angelus, interrompeva ogni discorso e anche la visita medica, invitando tutti i presenti a recitare con lui l’Angelus.
Quale forza e trasparenza di fede vissuta in lui! Altro che i meschini rispetti umani della nostra fede da vili complessati…

Non vergognarsi di Lei
«Fammi degno di lodarti, o Vergine Santa!».
Contro ogni rispetto umano, contro ogni paura o viltà, debbo e voglio lodare la Madonna, che è mia Madre.
Non solo non mi vergognerò di Lei, ma voglio difenderla e glorificarla, voglio amarla e farla amare, dovunque, con passione filiale sempre ardente.
Posso guardare a tutti i santi, paladini di amore vibrante verso la celeste Madre e Regina. Ma guardo in particolare a san Massimiliano M. Kolbe, a questo apostolo e vittima dell’Immacolata, il quale non solo non si vergognò mai dell’Immacolata, ma volle consumarsi totalmente per Lei, fino a essere considerato esaltato e folle, anzi, fino a chiamarsi da se stesso «folle dell’Immacolata».

di Stefano Maria Manelli FI – “Maggio, mese di Maria”

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Il «nemico numero uno»

Posté par atempodiblog le 16 mai 2008

Il demonio è il grande nemico dell’uomo. E’ il «nemico numero uno» dice il Papa Paolo VI.  

Satana appare agli inizi del genere umano, e si presenta “fin da principio omicida, mentitore e padre della menzogna” (Gv 8,44-45). Riesce a far cadere i nostri progenitori Adamo ed Eva, e diventa “il principe di questo mondo” (2 Cor 4,4), «l’accusatore dei nostri fratelli” (ap 12,10).

Con il peccato originale, quindi, “tutto il mondo è stato posto sotto il maligno” (1 Gv 5,19) e i demoni sono “i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12).

Come appaiono tenebrosi i primi eventi dell’umanità novella, a causa di questo infernale assassino, che ha “l’impero delle tenebre” (Lc 22,53)!

San Pio da Pietrelcina, in una lettera al suo Padre spirituale ha accennato alla figura mostruosa di satana, visto in una visione come un essere orrendo e gigantesco, alto come una montagna nera…

San Pietro ce lo presenta con l’immagine di un leone ruggente sempre pronto a sbranarci (1 Pt 5,8-9). Come lo tortura l’invidia, perché noi possiamo salvarci! Egli ci vuole tutti con sé all’Inferno.

Anche una scena stupenda, però, ci appare agli inizi dell’umanità soggiogata da satana e oppressa dal peccato. Una Donna sublime, con il suo figlio, “schiaccia la testa” (Gn 3,15) al serpente tentatore. L?Immacolata, vincitrice di satana, splende nelle tenebre del peccato, con il suo divin figlio. L’Immacolata è la disfatta di satana.

La pagina del Genesi in cui Dio stesso presenta l’Immacolata è simile a un’aurora che si alza meravigliosa sulla notte dell’umanità peccatrice. L’autore ispirato del Cantico dei cantici così esclama, rapito: “Chi è costei che s’avanza come l’aurora, bella come la luna, eletta come il sole, tremenda come esercito schierato?” (Ct 6,9).

Questa è l’Immacolata, la Guerriera invincibile, la Signora delle Vittorie, il terrore dei demoni.

Ci basti qui ricordare un particolare narrato da santa Bernardetta Soubirous dell’Immacolata a Lourdes. La piccola veggente vide da un lato della grotta una torma di demoni scalmanati che le urlavano grida infernali. Spaventata, santa Bernardetta alzò subito gli occhi all’Immacolata. E bastò che l’Immacolata volgesse un solo sguardo severo verso i demoni, perché questi si dessero a precipitosa fuga.

Così il demonio, di fronte all’Immacolata, dimostra di essere davvero ciò che significa il suo nome Beelzebul: un “dio delle mosche”!

La tattica del demonio è quella di allettare i sensi e l’immaginazione dell’uomo per far prevaricare lo spirito. Si presenta come un consigliere e un servitore in guanti gialli, con offerte di beni e piaceri seducenti da guadagnare. Così fece con Eva (Gn 3, 1-7). Così tentò anche con Gesù nel deserto (Mt 4,1) e con tanti santi di ogni tempo: san Benedetto, san Francesco d’Assisi, santa Teresa d’Avila, il santo curato d’Ars, san Giovanni Bosco e san Pio da Pietrelcina.

Abilissimo e scaltro com’è, egli sa servirsi di tutto per rovinarci: gli basta un’occhiata immodesta di David che guarda Betsabea (2 Sam 11,2-26) una golosità di Esaù che vuole un piatto di lenticchie (Gn 25,29-34), un attaccamento al denaro di Anania e Saffica che nascondono dei soldi (At 5,1-10).

Egli tenta persino di proporre cose apparentemente utili per le anime. Si sa che il Santo Curato d’Ars predicava in maniera semplicissima, feconda di grazie per le anime. Ebbene il demonio andò da lui tutto premuroso e lo esortò a predicare in maniera dotta e difficile, assicurandogli la fama di grande predicatore.
Il santo avvertì l’inganno e respinse l’insidia e continuò con la sua predicazione facile ed efficace. Dovette pagarla però, con molti dispetti furiosi che il demonio gli fece di giorno e di notte.

Quattro stupidi…

Il capolavoro dell’arte di satana è arrivare a convincere gli uomini che egli non esiste. A questo punto, è chiaro, il demonio può trattare gli uomini da veri burattini.

Una volta san Pio da Pietrelcina ascoltò una predica in cui l’oratore non faceva che chiedersi se veramente il demonio non esiste, come dicono alcuni. Soltanto alla fine, l’oratore concluse affermando l’esistenza del demonio.

Dopo la predica, san Pio ammonì il predicatore dicendogli che quando si parla del demonio bisogna parlare subito della sua esistenza e della sua azione nefasta nel mondo; soltanto alla fine si può aggiungere: “Ci sono poi quattro stupidi che osano negare l’esistenza del demonio…”.

Questi “quattro stupidi” oggi sono diventati molti, persino nella Chiesa. Tanto è vero che il papa Paolo VI è dovuto intervenire espressamente con un discorso (il 15-11-1972) per ribadire la verità di fede sull’esitenza di Satana come persona e per costatare amaramente come il “fumo di Satana” stia affumicando la Chiesa. Come insegna il catechismo, il diavolo è “una persona: Satana, il Maligno, l’angelo che si oppone a Dio. Il “diavolo” è colui che “vuole ostacolare” il Disegno di Dio e la sua “opera di salvezza” compiuta in Cristo” (n. 2851).

Un’altra volta, san Pio da Pietrelcina disse a una figlia spirituale: “Se si potesse vedere con gli occhi del corpo quanti demoni hanno invaso la terra, non si vedrebbe più il sole!”. Contro questi “impuri apostati”, come li chiamava lo stesso san Pio, quale non deve essere la nostra difesa?

“Vigilate e pregate”

Gesù ci ha messo in guardia contro le insidie del diavolo. Egli ci ha insegnato le parole del Padre nostro: «…non ci indurre in tentazione» (Lc 11,4). Egli ci ha raccomandato con cura: «Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione» (Mc 14,38).

La vigilanza e la preghiera sono le due grandi forze dell’uomo contro il demonio. Facciamo nostra questa raccomandazione paterna di san Pio da Pietrelcina: «Figlio mio, il nemico non dorme; all’erta con la vigilanza e la preghiera. Con la prima lo avvistiamo, con la seconda abbiamo l’arma per difenderci».
La vigilanza ci fa avvistare le occasioni pericolose (una lettura, uno spettacolo, una persona, un luogo, una voglia…); la preghiera ci dà la forza di evitare i pericoli, di fuggire le occasioni, come raccomandava san Filippo Neri.

Anche sant’Agostino insegna che il demonio è solo un cane legato, e può mordere solo chi si avvicina a lui. Alla larga, quindi! Se il demonio si fa insolente, ascoltiamo la parola di san Giovanni Bosco che diceva ai suoi giovani: «Rompete le corna al demonio con la Confessione e la Comunione».

San Massimiliano M. Kolbe ha scritto che oggi «il serpente alza la testa in tutto il mondo, ma l’Immacolata gliela schiaccia in vittorie strepitose».
Per battere il demonio nel modo più umiliante bisogna ricorrere all’Immacolata. Il demonio ha letteralmente terrore di Colei, che, da sola, «è terribile come un esercito schierato» (Ct 6,9).

Quando santa Veronica Giuliani veniva assalita fisicamente dal demonio, non appena riusciva ad invocare la Madonna, il demonio, fuggiva precipitosamente urlando: «Non invocare la mia nemica».

La preghiera mariana più forte contro il demonio è il Rosario. Una volta gli fu chiesto durante un esorcismo, quale preghiera egli temesse di più. Rispose: «Il Rosario è il mio flagello!».
Se i cristiani portassero addosso e usassero spesso questo «flagello dei demoni», quante rovine, sventure e peccati in meno sulla terra!

Tratto da “Maggio, mese di Maria” – P. Stefano Maria Manelli – Casa Mariana Editrice – Roma 2003, p. 63.

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