La fortezza della Madonna

Posté par atempodiblog le 30 mars 2024

La fortezza della Madonna dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Maria-donna-del-Sabato-santo

Ammira la fortezza della Madonna: ai piedi della Croce, con il più grande dei dolori umani — non c’è dolore come il suo dolore — piena di fortezza. — Chiedile questo vigore, per saper stare anche tu presso la Croce.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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PASQUA/ Come potrebbe Cristo non essere risorto, se ci cambia ora?

Posté par atempodiblog le 10 avril 2023

PASQUA/ Come potrebbe Cristo non essere risorto, se ci cambia ora?
La morte è davvero la grande questione della vita. Si dice che duemila anni fa un uomo sia risorto dai morti. Il fatto è che esiste ed opera. Dunque è vero
di Don Federico Pichetto – Il Sussidiario

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I giorni di Pasqua, come quelli di Natale, sono pieni di auguri: le persone inviano gradevoli messaggi, immagini e frasi che esprimono contenuti e propositi. Nelle banche dati facilmente consultabili in rete, si reperiscono materiali sempre nuovi, idee da comunicare sulle chat personali, nei post, all’interno dei gruppi. È il modo con cui il nostro tempo riduce la festa ad un genere di consumo, qualcosa da cui è possibile assorbire un’emozione di breve durata che ci predisponga velocemente all’emozione successiva. L’importante, in fondo, è che la festa non ci disturbi e non ci cambi. Le parole, in questo modo, smettono di essere lo strumento con cui uno comprende di più quello che vive e diventano il rivestimento con cui ci allontaniamo e ci difendiamo dall’esperienza concreta.

Tutti gli articoli, tutte le riflessioni – perfino quella che scorre adesso sotto gli occhi di chi legge –, si prestano a fare il gioco di chi non ha alcuna intenzione di imparare qualcosa da quello che accade, ma desidera semplicemente perpetrare quello che già sa, quello che già conosce e lo rassicura.

Il paradosso è diventato ancora più grande nel giorno di Pasqua, la festa che introduce il cambiamento più grande e rivoluzionario della storia: un uomo che risorge dai morti. Siamo così abituati a sentire questa storia che quasi ci dimentichiamo che la morte è davvero la grande questione della vita: nostro marito muore, nostra moglie muore, i nostri genitori e i nostri figli muoiono. Ma muore anche la passione per il lavoro, muore l’amore fra due persone, muore il desiderio con cui uno comincia la facoltà o la scuola superiore. Non c’è una cosa che non finisca. E a questa fine non c’è scampo. Camus, volendo aggiungere l’asso in una partita a carte già vinta, diceva che “gli uomini muoiono e non sono felici”.

Non solo l’ombra della fine incombe su tutto, anche sull’ultimo neonato che viene alla vita, ma questa fine è accompagnata da un’oscurità più grande, quella dell’infelicità. Siamo infelici per le nostre scelte, per come siamo trattati, abbandonati, esclusi. Siamo infelici per una vita che non è andata o non sta andando come vorremmo. E tutto è maledettamente in corsa verso la morte.

In questo fosco quadro, che spesso anestetizziamo con un discorsetto preciso e pulito, con l’alcool o con la droga, col sesso o col cinismo dei soldi, accade qualcosa di inaudito: la scomparsa di un corpo. Duemila anni fa un corpo, un corpo di un morto, è letteralmente svanito nel nulla. In tanti dicono che è stato portato via nottetempo, in molti suggeriscono si tratti di un complotto senza precedenti, qualcuno sostiene di averlo visto vivo.

Ora, se nei primi due casi sarebbe per noi impossibile determinare con certezza quanto accadde in quella notte, nel terzo caso la soluzione sarebbe incredibilmente più lineare, più semplice: se un morto è risorto, e non è più morto, esso è ancora vivo. E se è vivo, si badi bene, significa che è possibile ancora oggi incontrarlo, al punto tale che la grande questione del cristianesimo non riguarderebbe tanto la storicità del fatto, bensì se Gesù Cristo sia o sia stato. Se è stato, Egli non è più e quello che rimane è un insegnamento eticamente potente; ma se Egli è, se Egli sta, se Egli è presente, allora il punto è poterlo intercettare, poterlo rivedere.

E, cosa non da poco, questo “poterlo rivedere” non sarebbe ad appannaggio dei soliti capi, dei soliti noti delle gerarchie di qualunque tempio, ma sarebbe ad un passo da tutti, ad un passo da te.

Perché in ognuno di noi il Mistero ha posto un cuore capace di riconoscerLo, capace di sobbalzare ogni qualvolta il Suo sguardo entri in contatto con il nostro sguardo. Un cuore che il tempo, e il cinismo di questo tempo, ha forse messo a tacere, ma che la Chiesa continuamente educa e risveglia, chiamandolo a guardare oltre, ad allargare quella ragione che è un tutt’uno con il cuore e che è affermazione indomita di verità, di bellezza, di giustizia e di amore.

Non si tratta, in questi giorni, di farci gli auguri di Pasqua. Non si tratta di spegnere con i nostri discorsi la sfida affascinante che ci aspetta: si tratta di capire se Colui che dicono essere vivo sia davvero vivo, se la Sua grande presenza possa guarire il nostro amore, il nostro matrimonio, la nostra famiglia, la nostra comunità e la nostra vita dalla fine orribile di un’esistenza senza senso votata all’oblio.

Se questo fosse vero, se questo fosse possibile, come apparirebbero grotteschi i nostri auguri pasquali! Come apparirebbero banali i nostri testi o le nostre devote immagini! Davvero tutto diventerebbe urgente: la nostra amicizia, il nostro pranzo di festa, la nostra preghiera, il nostro ritrovarci. Tutto avrebbe come unica tensione il testimoniarci a vicenda un fatto, con tanto di data e ora, capace di capovolgere tutto. Capace di far ricominciare un’intera vita. E questa sì, allora, sarebbe davvero una buona Pasqua.

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Domenica di Risurrezione: “Il giorno del trionfo del Signore”

Posté par atempodiblog le 9 avril 2023

Domenica di Risurrezione: “Il giorno del trionfo del Signore
Il giorno del trionfo del Signore, della sua Risurrezione, è definitivo. Dove sono i soldati che le autorità avevano messo di guardia? Dove sono i sigilli che erano stati posti sulla pietra del sepolcro? Dove sono coloro che condannarono il Maestro? Dove sono quelli che crocifissero Gesù?… Di fronte alla sua vittoria, avviene la grande fuga di quei poveri miserabili. Riémpiti di speranza: Gesù Cristo vince sempre. (Forgia, 660)

Domenica di Risurrezione: “Il giorno del trionfo del Signore” dans Commenti al Vangelo Ges-Risorto

La sera del sabato Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo, e Salòme comprarono gli aromi per imbalsamare il corpo morto di Gesù.

Il giorno dopo, di buon mattino, arrivano al sepolcro quando il sole è già sorto (Mc 16, 1-2).

Entrando, rimangono costernate perché non trovano il corpo del Signore. Un giovane, in bianche vesti, dice loro: Non temete, so che cercate Gesù Nazareno: non est hic, surrexit enim sicut dixit, non è qui, perché è risorto come aveva predetto (Mt 28, 5).

E’ risorto! Gesù è risorto: non è più nel sepolcro. La Vita ha sconfitto la morte.

E’ apparso alla sua Santissima Madre. E’ apparso a Maria di Magdala, pazza d’amore. E a Pietro e agli altri apostoli. E a te e a me, che siamo suoi discepoli e più pazzi della Maddalena: quante cose gli abbiamo detto!

Non vogliamo mai più morire a causa del peccato. Che la nostra risurrezione spirituale sia eterna.

- E prima di terminare la decina, tu hai baciato e piaghe dei suoi piedi , e io più audace perché più bambino ho posato le mie labbra sul suo costato aperto. (Il santo rosario, Primo mistero glorioso: La Resurrezione del Signore).

di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: OPUS DEI

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Ponte Sant’Angelo, dove gli angeli cantano sfiorando la terra

Posté par atempodiblog le 9 mars 2023

Ponte Sant’Angelo, dove gli angeli cantano sfiorando la terra
Può far pensare alle vie colonnate di epoca antica, o all’attitudine barocca della decorazione fastosa, quella degli angeli lungo gli spalti del ponte a Roma. Invece le ragioni affondano, come sempre, in motivi più profondi e sacri. Le dieci statue ricordano ciascuno un oggetto della Passione di Cristo. Si tratta di un luogo dedicato alla Quaresima come incarnazione del suo significato di passaggio, di cammino verso la Pasqua di Risurrezione
di Maria Milvia Morciano – Vatican News

Ponte Sant'Angelo, dove gli angeli cantano sfiorando la terra dans Angeli Ponte-Sant-Angelo

Le statue degli angeli di Ponte Sant’Angelo non sono una semplice decorazione, l’eco dei fastigi imperiali di vie colonnate e percorsi trionfali. Questi angeli di pietra ci accompagnano nella traversata del Tevere in ricordo di un avvenimento memorabile. Il giorno in cui scesero sulla terra schiere alate, planando intorno alla preziosa icona della Vergine proveniente dalla basilica di Santa Maria Maggiore, la Salus Populi Romani, portata in processione per far cessare la peste.

L’origine del regina Coeli, tra gli angeli e lo sguardo di Maria
Papa Gregorio pregava per la fine dell’epidemia che aveva messo in ginocchio l’intera città, causando migliaia di vittime. Era il 590. Aveva organizzato una processione settiforme verso San Pietro, e procedeva alla guida con la sacra icona mariana e tutto il popolo a seguire.

Giunti al mausoleo di Adriano, allora denominato Castellum Crescentii, unico collegamento in quel punto tra le due sponde del Tevere, l’aria divenne un unico turbinio di angeli: “Regina Coeli, laetare, Alleluja – Quia quem meruisti portare, Alleluja – Resurrexit sicut dixit, Alleluja!”, cantavano. “Ora pro nobis rogamus, Alleluja!”, rispose San Gregorio. Queste sono proprio le parole del Regina Coeli, che da allora si recitano al posto dell’Angelus in tempo pasquale e salutano Maria Regina in segno di gioia per la Risurrezione del Figlio. L’origine dell’antifona nasce proprio in questo luogo e ha radici angeliche.

Ponte-Sant-Angelo dans Articoli di Giornali e News

San Michele arcangelo e gli angeli intorno
La storia è nota: con l’intervento dell’arcangelo Michele, che apparve e rinfoderò la sua spada, la peste cessò. Da allora, il luogo è stato dedicato alle creature celesti. Sul mausoleo, che mutò per questo motivo il suo nome in Castel Sant’Angelo, fu posta la statua del principe degli angeli.
Una prima effige, risalente all’epoca di Paolo III, è del 1544 e opera di Raffaello da Montelupo, in marmo e rame, alta poco più di 3 metri e restaurata dal Bernini nel 1660. Successivamente fu sostituita da quella che oggi vediamo sul colmo del mausoleo anche da molto lontano, nella sua sagoma inconfondibile, opera dello scultore fiammingo Peter Anton Verschaffelt, che vinse il concorso indetto da Papa Benedetto XIV Lambertini in occasione del Giubileo del 1750, e inaugurata due anni dopo, nel 1752.

Il ponte in origine
La struttura del ponte, come la vediamo oggi, è il risultato di rifacimenti secolari. All’inizio fu fatto costruire dall’imperatore Adriano per collegare quello che aveva progettato fosse il suo mausoleo, il suo sepolcro dinastico, enorme e ricchissimo, inaugurato nel 134 d.C. Anche il suo nome era una celebrazione del suo costruttore, si chiamava infatti pons Aelius o Hadriani.

Non aveva tanto una funzionalità di passaggio quanto la dimostrazione del potere imperiale. Tuttavia l’importanza sempre maggiore assunta dall’area sulla riva sinistra del Tevere, grazie all’attrazione esercitata dai luoghi dove era stato crocifisso l’apostolo Pietro e quindi dalla basilica a lui dedicata, divenne nel tempo punto nevralgico della viabilità. Nel Medioevo, infatti, si trovava lungo il percorso compiuto dai pellegrini diretti alla tomba di Pietro. Così, di conseguenza, prese il nome di pons Sancti Petri. Un percorso molto affollato, soprattutto durante i giubilei, come quello del 1450 che costò la vita di molti pellegrini precipitati nel fiume a causa del crollo delle spallette, cedute a causa della calca di gente che si avvicendeva sul ponte. All’imbocco del ponte vi erano due cappelle che in seguito, nel 1527, furono abbattute e sostituite, nel 1535, dalle due statue di Pietro e Paolo.

La mano del Bernini
Nel 1669, papa Clemente IX fece sostituire e realizzare un nuovo parapetto, progettato dal principale protagonista della scena artistica romana del XVII secolo: Giovan Lorenzo Bernini.
Sulle balaustre furono poste dieci statue, cinque per lato, raffiguranti angeli che recano gli strumenti della Passione. La direzione dei lavori fu sempre affidata al Bernini ma la realizzazione si deve agli allievi, tranne due scolpite dallo stesso artista: l’angelo con il cartiglio e quello con la corona di spine, che ora si trovano nella basilica di Sant’Andrea delle Fratte, mentre sul ponte ci sono due copie. Su ogni sostegno, su cui insistono le statue, ci sono brevi versetti tratti dall’Antico e Nuovo Testamento che aiutano nella comprensione dell’oggetto portato dalle creature alate.

Mentre l’Angelo con la colonna della flagellazione riproduce perfettamente quella conservata nella basilica di Santa Prassede, il cartiglio è invece rappresentato con la sigla contratta, alla maniera antica, INRI. Il Bernini non si ispirò al cartiglio scoperto nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme con l’iscrizione sulla croce di Cristo, nelle tre lingue ebraico, greco e latino, come raccontato nei Vangeli.

Il ritrovamento del Titulus Crucis fece infatti grande scalpore e da quel momento fu raffigurato abbastanza fedelmente da artisti a partire da Luca Signorelli e Michelangelo. Ma è del tutto evidente che trasferire su una scultura iscrizioni così minute e difficilmente leggibili da lontano avrebbe avuto una resa senz’altro meno efficace.

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Cristo vive

Posté par atempodiblog le 18 avril 2022

Cristo vive dans Citazioni, frasi e pensieri Resurrezione

Cristo vive. Questa è la grande verità che riempie di contenuto la nostra fede. Gesù, che morì sulla Croce, è risorto, ha trionfato sulla morte, sul potere delle tenebre, sul dolore, sull’angoscia. Non abbiate paura: con questa esortazione un angelo salutò le donne che andavano al sepolcro. Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui. Haec est dies quam fecit Dominus, exultemus et laetemur in ea; questo è il giorno che fece il Signore, esultiamo.

Il tempo pasquale è tempo di gioia, di una gioia che non è limitata a quest’epoca dell’anno liturgico, ma è presente in ogni momento nell’animo del cristiano. Poiché Cristo vive: Cristo non è un uomo del passato, che visse un tempo e poi se ne andò lasciandoci un ricordo e un esempio meravigliosi. No: Cristo vive. Gesù è l’Emmanuele, Dio con noi. La sua Risurrezione ci rivela che Dio non abbandona mai i suoi.

– San Josemaría Escrivá de Balaguer 

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La prima apparizione di Cristo risorto fu per la Madonna

Posté par atempodiblog le 17 avril 2022

La prima apparizione di Cristo risorto fu per la Madonna
Dalle Omelie di san Vincenzo Ferrer, sacerdote.
Tratto da: Frati Domenicani dell’Italia Settentrionale

Il-Risorto-e-sua-Madre-El-Greco

Cristo uscì dal sepolcro senza bisogno di aprirlo, come era nato da una vergine senza violare la sua verginità. Ritto sopra il sepolcro mostrò il suo corpo glorioso e le sue piaghe a tutti i santi padri, che adorandolo in ginocchio dissero: «Gloria a te, Signore, risorto dai morti, con il Padre e lo Spirito Santo». Questo è il primo spunto di meditazione in questa celebrazione della benedetta risurrezione di Gesù Cristo.

Il secondo spunto è il suo manifestarsi per grazia tutta particolare alla Vergine Maria. Molti teologi ritengono che Cristo nella sua risurrezione apparve in primo luogo a sua Madre; lo dice espressamente sant’Ambrogio nella sua opera «Sulle vergini»: «Maria vide la risurrezione di Cristo, e la vide per prima». Gli evangelisti non si curano di addurre a questo proposito testimoni irrefutabili, perché la testimonianza resa dalla Madre in favore del Figlio sarebbe potuta apparire sospetta: ma ci sono tre motivi che inducono a credere a questa prima apparizione di Cristo alla Vergine Madre.

Il primo motivo è il quarto comandamento, che Gesù volle osservare. Poiché nella passione del Figlio Maria doveva soffrire più di tutti gli altri, Cristo per speciale privilegio aveva risparmiato alla Madre sua i dolori del parto, come eccezione alle normali leggi della natura; allo stesso modo non aveva voluto che provasse le angosce della morte, che sono più grandi di tutte le sofferenze di questa vita, come dice Alberto Magno: «La cosa più terribile di tutte è la morte, perché in essa l’anima viene sradicata tutta in una volta, come un albero». Ma tutti i dolori del parto e della morte piombarono su Maria nella passione del Figlio. Poiché dunque la Scrittura dice: «Onora tuo padre e non dimenticare i gemiti di tua madre» (Sir 7,29), e poiché Cristo osservò perfettamente il comandamento dell’amore per i genitori, ne segue che la sua prima apparizione fu per la Madre sua, che aveva dovuto soffrire più di tutti gli altri.

Il secondo motivo è il merito della fede di Maria. Infatti è certo – perché è attestato dai vangeli – che nel momento della passione di Cristo persero la loro fede in lui tutti gli apostoli e i discepoli ,sia pure nel senso di una fede intesa nella sua globalità: alcuni infatti dubitavano solo del suo essere Dio e Messia, ma tutti lo ritenevano un santissimo profeta. Tuttavia solo la Vergine Maria quel sabato santo continuò a credere con fede immutabile, e per questo nella chiesa si celebra ogni sabato la sua memoria liturgica. Poiché dunque la Scrittura dice: «Il Signore si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui» (Sap 1,2), ne risulta che l’essere stata a lei riservata la prima apparizione di Gesù risorto, fu un premio per il merito della sua fede.

Il terzo motivo è l’intensità dell’amore di Maria. È certo il fatto che non è mai esistita madre alcuna che abbia amato tanto il figlio come la Vergine Maria amò Cristo. Poiché dunque egli l’ha detto, avverrà così: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21).

Questi sono i tre motivi da cui argomentiamo che Cristo apparve in primo luogo alla sua Madre vergine, anche se gli evangelisti non lo dicono espressamente.

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Il bene ha già vinto: Cristo è risorto!

Posté par atempodiblog le 4 avril 2021

PASQUA DI RISURREZIONE
Il bene ha già vinto: Cristo è risorto!
La Risurrezione è l’evento che ci garantisce che la vita umana cammina verso un’altra vita: cammina verso la Terra Promessa. Oggi siamo come su un ponte: non possiamo costruire la casa sul ponte, non possiamo giocare tutto sull’oggi, ma dobbiamo vivere camminando: dobbiamo vivere riscaldandoci con la speranza dell’attesa. Senza la Risurrezione di Cristo non è spiegabile ciò che è accaduto intorno a Cristo e dopo Cristo.
del di Angelo Card. Comastri (Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano) – La nuova Bussola Quotidiana

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La Risurrezione di Gesù è il cuore dell’annuncio cristiano. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, sottolinea che questa è la notizia che gli è stata trasmessa e lui fedelmente la trasmette alle varie comunità: “A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Cor 15,3-5). Questa notizia è talmente importante e decisiva che San Paolo arriva ad esclamare: “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo” (1Cor 15,14-15).

“Cristo è risorto!”. Questa notizia gioiosa si trasmette di generazione in generazione e si rafforza con la testimonianza dei martiri e dei santi; e dovunque arriva, essa accende la speranza e conferma l’attesa di un mondo nuovo.

Sì, oggi noi lo diciamo davanti al mondo, lo gridiamo davanti alla nostra coscienza che è tentata di ritornare alla sfiducia: Cristo è risorto! La verità che sostiene tutto, il pilastro che dà stabilità a tutta la volta immensa della storia umana è un annuncio gioioso: il mondo va verso una meta di felicità, che è al di là e al di sopra di ogni nostra immaginazione. “La più orribile bestemmia, che sia mai uscita da labbra umane” scrisse Paul Claudel, “è la seguente: forse la verità è triste!”. Questa affermazione dubitativa è di Ernesto Renan, e Claudel coglie nel segno quando dice che è una bestemmia orribile.

No! Noi crediamo esattamente il contrario di ciò che disse Renan: la verità è gioiosa, perché l’ultima verità è la Risurrezione. La fede nella Risurrezione ci impegna ad amare la vita, a credere nella vita, a difendere il senso della vita, a riempire di gioia tutta la vita. Ma come è avvenuta la Risurrezione di Cristo? Come si è consumato questo fatto straordinario, che ha dato inizio a tutta l’avventura del cristianesimo? Tutto è avvenuto secondo lo stile che Cristo aveva inaugurato a Betlemme: la Risurrezione non è esplosa come una bomba assordante, ma è sbocciata silenziosamente come uno splendido fiore di primavera. Perché?

Perché Dio non ama il clamore e non cerca stolte rivincite: Dio è Dio; Dio non è un uomo! Ce lo ricorda il profeta Osea con parole che sono un chiaro invito a buttare via ogni misura umana, quando ci si accosta ai fatti di Dio: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? […] Il mio cuore si commuove dentro di me […]. Non darò sfogo all’ardore della mia ira [...] perché sono Dio e non uomo” (Os 11,7-9).

Tuttavia, un fatto oggettivamente si impone alla riflessione onesta di chiunque sia aperto alla verità. Il fatto è questo: improvvisamente un gruppo di uomini impauriti (nell’ora della Passione erano tutti scappati e il responsabile del gruppo aveva addirittura rinnegato il Maestro) si trasforma in un manipolo di coraggiosi, disposti ad affrontare anche la morte.

Perché? Niente accade senza una causa! Qual è allora la causa di questa trasformazione? Gli apostoli dicono di aver visto Gesù Risorto. Si sono ingannati questi uomini? È stata una allucinazione collettiva? No! Tutti concordano nell’affermare che è impossibile una allucinazione collettiva che duri per anni e non cada neppure davanti all’urto della persecuzione e del martirio. Il comportamento umano segue delle costanti: se, in questo caso, si accetta la spiegazione della allucinazione, si deve ammettere anche che la storia umana non segue nessuna legge e nessuna costante.

Altri si chiedono ancora: è mai possibile che un gruppo di ebrei, rigorosamente monoteisti, possa all’improvviso inginocchiarsi davanti ad un uomo che si proclama Figlio di Dio e muore sulla Croce, patibolo degli schiavi? Qualcosa deve essere accaduto, qualcosa si è imposto alla “ragione” di questi uomini, altrimenti ci troveremmo, ancora una volta, davanti ad un comportamento inspiegabile e assurdo.

Ma la spiegazione c’è: è la Risurrezione di Gesù! Infatti, la fede nella Risurrezione si spiega soltanto con il fatto della Risurrezione.

Possiamo aggiungere un’ulteriore riflessione. Se, per assurdo, la Risurrezione di Gesù fosse un “falso storico” c’è da chiedersi: è mai possibile che da un falso storico nasca il movimento ideale più grande che la storia conosca e fiorisca il patrimonio di pensiero al quale il mondo attinge inesauribilmente da due millenni? È mai possibile che da un “falso storico” germogli la fioritura di credenti ragionevolissimi come Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Giovanni Keplero, Isacco Newton, Blaise Pascal, Max Plank, Alessandro Volta, L. Pasteur, E.M. Ampère, Guglielmo Marconi? Costoro, razionali in tutti i campi, sarebbero diventati irrazionali soltanto nella fede!?

Onestamente riconosciamo una conclusione che si impone alla ragione: senza la Risurrezione di Cristo non è spiegabile ciò che è accaduto intorno a Cristo e dopo Cristo.

Ma che cos’è la Risurrezione? E quale luce porta alla ricerca di significato per la nostra vita? La Risurrezione è l’evento che ci garantisce che la vita umana cammina verso un’altra vita: cammina verso la Terra Promessa! Quanto è importante saperlo! Se è vero questo, noi oggi siamo come su un ponte: non possiamo costruire la casa sul ponte, non possiamo giocare tutto sull’oggi, ma dobbiamo vivere camminando; dobbiamo vivere riscaldandoci con la speranza dell’attesa.

La Risurrezione di Gesù è un evento che ci ricorda che anche il corpo umano sarà salvato. In altre parole: la presenza di Dio che oggi guarisce il centro interiore della nostra persona, un giorno abbraccerà anche il corpo e brillerà sul volto di tutti coloro che hanno accolto l’Amore di Dio. Allora quanto dobbiamo rispettare il nostro corpo!

Quanto dobbiamo lottare, fin da quaggiù, perché il corpo sia liberato dal peso dell’egoismo e diventi, già oggi, una trasparenza del Mistero che è presente nel cuore! Quanto dobbiamo impegnarci per trasmettere agli altri la coscienza della dignità del corpo umano, perché esso è destinato alla Risurrezione!

Resta un ultimo interrogativo. Questo futuro promesso da Dio, questa Risurrezione di Gesù che anticipa il futuro del mondo, questa Risurrezione che noi aspettiamo… che rapporto ha con il presente che noi viviamo? Tra il presente e il futuro eterno esiste lo stesso rapporto che c’è tra il seme e la spiga, tra il germoglio e la pianta. E, siccome Dio è Amore e il Paradiso è l’esistenza umana liberata da ogni distanza da Dio, possiamo dire con certezza che la Risurrezione futura sarà tutta in rapporto alla misura di carità che noi oggi realizziamo nella vita. Ci ricorda infatti San Paolo: “La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà” (1Cor 13,8). La carità è l’ultima parola del mondo, così come è stata la prima parola del mondo: perché Dio è Carità.

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LETTURE/ De Lubac, Cristo risorto è l’inizio di una comunione senza fine

Posté par atempodiblog le 4 avril 2021

LETTURE/ De Lubac, Cristo risorto è l’inizio di una comunione senza fine
I Padri della Chiesa videro la Resurrezione di Cristo in prospettiva non solo personale, ma totalizzante. Ne parla Henri de Lubac in “Cattolicismo”
di Danilo Zardin – Il Sussidiario

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“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11, 25-26).

Fin dai suoi inizi, la fede cristiana ha riconosciuto nella Pasqua l’evento fondativo di una nuova realtà nello spazio dell’essere. Assolutamente nulla di solo interiore, limitato alla regolazione dei debiti di coscienza di un io isolato con il Dio giudice severo del mondo, ma un fatto di portata cosmica, dinamicamente esplosivo, capace di spezzare il ciclo dell’incessante ripetizione di un destino bloccato su sé stesso, spalancando tutto ciò che esiste a una rivoluzione che restituiva un senso al procedere inesorabile della storia nel flusso del tempo (“circuitus illi iam explosi sunt”: Agostino, De civitate Dei, 12, 21).

Se la disobbedienza dei progenitori aveva introdotto la ferita del male e della divisione nel tessuto della vicenda umana, nell’irrompere del Risorto si identificava il germe di un riscatto aperto alla grazia di una comunione ristabilita sulle sue basi, orientata alla ricompaginazione dell’intera comunità dei viventi nella salvezza di un unico corpo trasfigurato: una “cosa sola” di matrice divina, avvolta dall’abbraccio infinitamente misericordioso di Dio-carità, passato attraverso il sacrificio del Signore innalzato sul legno della croce, al centro di un universo riconciliato con ciò da cui aveva preso origine.

Le dimensioni sovranamente oggettive, universalistiche e globali, del salto di qualità provocato dalla risurrezione di Cristo dentro la catena della vita del mondo sono illuminate con limpida evidenza dal pensiero dei Padri: quello che, in modi particolarmente felici, padre Henri de Lubac ha ricostruito nella memorabile sintesi dedicata al genio “unificante” dello spirito cristiano primitivo, ricollocandolo all’interno dell’orizzonte totalizzante, veramente “cattolico” nel senso proprio del termine, a cui si legava la sua aspirazione a includere ogni frammento di esistente, ogni minima briciola di autentica esigenza umana. “Cattolico” non per delimitazione confessionale ristretta, ma come marchio identificativo di una fresca ispirazione sorgiva, modellata dalla coscienza che dell’apertura alla “cattolicità” faceva il vettore trainante della rigenerazione dell’intera creazione terrena, al di là e prima di ogni dialettica interna, di ogni divaricazione di accenti e di ogni conflitto tra fratelli insinuatisi, con l’andare del tempo, nella trama dell’identica dottrina e nella condivisione della medesima mensa eucaristica. Ci stiamo riferendo a Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma (Parigi 1938; prima edizione italiana Jaca Book, 1979): un classico opera di un grande maestro, uno di quei testi sempre fecondi a cui è utile ritornare per procedere sicuri sui passi di ogni nuovo sforzo di immaginazione.

Il quarto capitolo dell’affresco di de Lubac mette a tema il problema della “vita eterna”. Fin dal suo attacco iniziale è fulminante, perché fa emergere l’inconsistenza di ogni riduzione in senso individualista del concetto di sopravvivenza dell’anima, di premio e di accesso alla “visione dell’Essenza divina” inaugurato dall’avvenimento della salvezza di Cristo.

L’unicità esclusiva dell’io come oggetto supremo dell’amore redentore del Dio che si è fatto carne non poteva essere scissa, nella prospettiva dei vescovi pastori e dei maestri di vita cristiana dei primi secoli, dall’incardinamento del destino di felicità dell’io-persona nell’universo sinfonico della communio, dentro quel “mistero d’unità” di cui “la creazione fu il preludio” (è il tema delle prime sezioni del volume) e che, sfigurato dai ribaltamenti del peccato, era stato messo nelle condizioni di tornare a risplendere nel cuore del mondo dalla risurrezione di Cristo-nuovo Adamo, a sua volta prolungata dalla continuità del suo corpo sacramentale che è la Chiesa. Da qui derivava l’inclinazione risolutamente sovrapersonale dell’escatologia, che de Lubac ripropone, con linguaggio attualizzato fino a rasentare il rischio del fraintendimento equivoco, sottolineandone la densità “sociale” delle implicazioni: il che vuol dire, in ultima analisi, insistere sulla visione della persona umana come essere in relazione, sul primato del noi in armonia con la cura e la promozione dell’io, sulla riconversione nell’unità come fonte di una umanità risanata dalle sue lacerazioni dolorose.

“Nella tradizione cristiana – ricorda de Lubac – il cielo è sempre stato concepito sotto l’analogia di una città”. La santa Jerusalem è la figura profetica di questo Paradiso riappacificato: una “città armoniosa”, dove “tutti regnano con il grande Re” (Agostino), città di Dio “edificata dal congregarsi dei suoi santi cittadini” (Gregorio Magno). I santi “vi vivono in società, vi gioiscono in comune: socialiter gaudentes, e attingono la loro gioia da questa stessa comunità”.

I passaggi successivi completano il quadro tracciato. La “felicissima societas”, la “coelestis beatorum mutua caritativa societas” era sì configurata come una “città compatta”, come “una sola casa”: una “società ristretta come una famiglia unica, rannicchiata sotto un solo tetto”, quello della “redempta familia Christi Domini”. Ma nello stesso tempo essa si concepiva “dilatata all’estremo”, chiamata a “contenere nelle sue mura” la totalità delle creature, a realizzarsi, “nella sua perfezione”, appunto come catholica societas. La vita eterna in cui si entra sulle orme del Risorto che agisce nella vita del mondo equivaleva a una forza di attrazione proiettata, missionariamente, all’infinito, verso i confini ultimi del cosmo. Tutto era destinato a esserne investito, e solo il puntare a questa possibilità ideale di riassorbimento nella pienezza di una “unità perfetta” segnava il traguardo della corsa dei secoli fino al secondo avvento del Figlio dell’uomo.

“Le prime generazioni cristiane avevano un sentimento vivissimo di questa solidarietà di tutti gli individui e delle diverse generazioni nel cammino verso la medesima salvezza”, annota de Lubac.

Spingendosi in avanti in senso radicale, alcuni, come Origene, arrivarono a congetturare che persino Cristo, allusivamente parlando, non potesse godere fino in fondo della beatitudine perfetta finché uno solo dei membri che vi erano destinati restava “più o meno invischiato nel male o nella sofferenza”. La communitas degli eletti doveva essere riempita in ognuno dei ranghi preordinati dalla sapienza divina per ricomprendervi le ondate delle emergenze di ogni epoca. E questo non poteva che avvenire sul filo di uno sviluppo nel tempo.

Secondo credenze molto diffuse, rintracciabili anche in Ambrogio, solo al culmine finale della storia i beati avrebbero potuto essere ammessi alla pienezza della gloria divina, perché solo allora sarebbe stata ricomposta l’universale “assemblea dei giusti”. Anche i testi liturgici dipingevano l’ottavo giorno, quello del tempo eterno, come la sintesi inseparabile del “numero completo dei santi” e del “godimento consumato”. Lo aveva già preconizzato Agostino, di nuovo, nei suoi sermoni. “Ora noi vediamo attraverso uno specchio, in enigma e in una maniera parziale. Ma quando l’uno e l’altro popolo, alfine purificati, alfine risuscitati, alfine coronati, alfine trasfigurati per l’eternità vedranno Iddio faccia a faccia, quando non ci sarà più che il solo Israele…, allora lui stesso sarà visto da Dio”: con lo sguardo della simbiosi totalmente trasparente, senza più veli e diaframmi di separazione.

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Liturgia di contemplazione della Sindone a Torino: la cerimonia in tv in programma sabato 3 aprile

Posté par atempodiblog le 3 avril 2021

Liturgia di contemplazione della Sindone a Torino: la cerimonia in tv in programma sabato 3 aprile
“La Sindone non viene spostata in nessun modo, ma le immagini della diretta televisiva permetteranno a tutti di partecipare alla preghiera da casa e dagli schermi dei computer”
della Redazione di Torino Today

Liturgia di contemplazione della Sindone a Torino: la cerimonia in tv in programma sabato 3 aprile dans Apparizioni mariane e santuari Sacra-Sindone-in-Tv-e-sui-Social

Le parole dell’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, introducono l’evento in programma sabato 3 aprile 2021: “Torniamo anche quest’anno di fronte alla Sindone, a pregare per la nostra comunità e per il mondo intero ancora assediato dalla pandemia. La Segreteria di Stato della Santa Sede ha autorizzato questo momento, che non è una ostensione vera e propria, ma una contemplazione del sacro Lino deposto nella sua Teca. La Sindone non viene spostata in nessun modo: ma le immagini della diretta televisiva permetteranno a tutti di partecipare alla preghiera da casa e dagli schermi dei computer. Un grazie per questa collaborazione va alla rete TV2000 e al Centro Televisivo Vaticano, che diffonderà il segnale in tutto il mondo. Questo giorno del Sabato Santo è centrale, nel cammino della Chiesa; la Sindone infatti oltre che specchio del vangelo ci offre non solo il corpo martoriato di Gesù nei segni della sua passione ricordati dai Vangeli, ma è anche icona di questo giorno che prelude alla pasqua di risurrezione. Papa Francesco ci ha detto che non siamo noi che guardiamo il volto di Gesù nel sepolcro ma è Lui che ci guarda e ci invita a vederlo vivo in tanti fratelli e sorelle che soffrono a causa del coronavirus, o per ingiustizie e violenze o soprusi vari ricevuti, ma anche poveri come sono tanti senza dimora e immigrati”.

La liturgia in diretta
La diretta televisiva della Contemplazione va in onda per l’Italia dalle 17 alle 18 su TV2000 (canale 28 del digitale terrestre). Per il resto del mondo viene rilanciata via satellite dal Centro Televisivo Vaticano, da Telepace e altre emittenti. Viene offerta la traduzione simultanea in inglese e in spagnolo. La prima parte della celebrazione (dalle 17) vedrà esporre i vari segni della passione commentati da alcune persone scelte tra quanti si prodigano per alleviare le sofferenze del loro prossimo o hanno sperimentato la pandemia o altre forme di malattie o di ingiustizie e violenze. La seconda parte del pomeriggio (17,30) sarà dedicata alla preghiera presieduta dall’arcivescovo. “Quest’anno a differenza dello scorso anno abbiamo impostato la preghiera secondo una tradizione millenaria che ha segnato il Sabato Santo, giorno di silenzio e di meditazione e di preghiera davanti alla tomba di Cristo. Si tratta dell’ora di Maria che richiama la Madre di Dio che sta davanti al sepolcro del figlio in attesa della sua risurrezione e ricorda le parole del vangelo che annunciano la sua passione e morte e quelle pronunciate sulla croce che parlano di perdono, di fiducia nel Padre suo, di accoglienza del buon ladrone, di abbandono alla volontà del Padre e in particolare di invito a Giovanni apostolo a considerarsi figlio di Maria e accoglierla nella propria casa e a Maria di considerarsi madre di Giovanni e dunque di tutti noi. Mi auguro che tutto ciò aiuti le nostre comunità ma anche ogni persona di buona volontà ad accogliere nella speranza e per i credenti nella fede, questo messaggio pasquale di morte e risurrezione per non arrendersi e scoraggiarci mai difronte ad ogni tragedia e difficoltà che dobbiamo affrontare nella vita ma anche a operare perché tanti nostri fratelli e sorelle bisognosi di sostegno e aiuto trovino in ciascuno di noi il coraggio di imitare il Signore che non si è lasciato vincere dal male ma lo ha vinto con il bene e per questo ha sconfitto anche la morte. Il messaggio che la celebrazione vuole offrire a tutti è questo: il tuo amore è per sempre. Facciamo nostra così la certezza dell’apostolo Paolo ai Romani: chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, la miseria? Ma in tutte queste cose noi otteniamo la completa vittoria, grazie a colui che ci ha amato. Niente e nessuno ci potrà mai strappare da quell’amore che Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù nostro Signore (8,35-39)”.

Social
Accanto alla diretta televisiva si ripropone la condivisione della preghiera del Sabato Santo sui social, a partire dalla pagina Facebook della Sindone. La diretta si raggiunge anche dal canale Youtube dedicato. La preparazione della Contemplazione è presente anche su Twitter e Instagram (@sindoneofficial). Le dirette (condotte da don Luca Ramello, direttore della Pastorale giovanile della diocesi) sono raggiungibili, inoltre, a partire dal sito ufficiale, dalla pagina Facebook della Sindone e dal canale Youtube.

Chi interviene
Nella diretta social (dalle 16.30) e in quella televisiva intervengono studiosi ed esperti della Sindone e persone che stanno dedicando il proprio impegno a quelle opere di solidarietà e di carità verso il prossimo cui la Sindone richiama. Si vuole così contestualizzare la Contemplazione nella realtà torinese e nel cammino della città intera.

Ecco chi interviene. Nella diretta social: il prof. Gian Maria Zaccone, storico, direttore del Centro internazionale di studi sulla Sindone; don Roberto Gottardo, presidente della Commissione diocesana per la Sindone; il prof. Nello Balossino, direttore del Museo della Sindone; la dott. Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali di Torino. Infine è previsto, collegamento da Taizé, l’intervento del Priore Frère Alois, che parla del «pellegrinaggio di fiducia» della comunità ecumenica.

Nella prima parte della preghiera in Duomo si è voluto associare una riflessione a ciascuno dei «segni», delle piaghe, che la Sindone ci evidenzia. Il segno della croce sulle spalle è commentato da Piera Gioda, insegnante ed educatrice, del direttivo del Cisv di Torino. Quella croce invita a riflettere sul servizio dei giovani nel tempo della pandemia. Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, parla dei segni dei chiodi ai piedi, in relazione al tema delle migrazioni; Daniela Sironi, coordinatore delle Comunità di S. Egidio di Torino, dei segni alle mani: collegate ai senza fissa dimora e alle nuove solitudini. Il prof. Bruno Barberis, studioso della Sindone, invita a riflettere sulla corona di spine, segno di «potere» rovesciato e calpestato. Ferdinando Garetto, medico di cure palliative, parte dalla ferita al costato per il suo intervento sulla malattia, la sofferenza, la pandemia. E infine mons. Giuseppe Ghiberti, biblista e presidente d’onore della Commissione per la Sindone, invita a riflettere sui segni del Volto.

La Cappella del Guarini
“Celebriamo questa contemplazione nella nostra Cattedrale: e qualche metro sopra di noi possiamo vedere, finalmente restaurata, la Cappella inventata da Guarino Guarini, che fu la prima «casa» della Sindone qui a Torino. In questi giorni sono stati completati anche i restauri dell’altare del Bertola, al centro della Cappella: ed è un segno importante, che ci dà coraggio sulle nostre capacità di riprenderci anche dagli eventi più gravi. A quella Cappella si accede ora da Palazzo Reale, ed è compresa nel percorso museale. Ma essa rimane un luogo di culto, di preghiera e di riflessione: anche per questo mi auguro che non mancheranno, presto, occasioni per portare anche lassù la presenza di una liturgia che ricollega la nostra cultura e il nostro passato al «presente» della preghiera della Chiesa”.

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Il vincitore è chi dà la vita per gli altri, non chi la toglie

Posté par atempodiblog le 28 mars 2021

DOMENICA DELLE PALME
Il vincitore è chi dà la vita per gli altri, non chi la toglie
La strada indicata da Cristo rifugge il Potere, va verso la Croce, questo è il trionfo di Dio. Seguiamo il comportamento di Maria; facciamoci umili e con Lei seguiamo il Signore nella strada della Croce. Qui sta anche la nostra vittoria.
del di Angelo Card. Comastri (Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano) – La nuova Bussola Quotidiana

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Un tempo spesso si cantava: Christus vincit, Christus regnat!, Cristo vince, Cristo regna! Ma qual è il trionfo di Dio? Certamente è tanto diverso da come noi lo immaginiamo.

Per capire qual è la strada del trionfo di Dio, meditiamo il senso degli avvenimenti di questo giorno. Guardiamo innanzi tutto come si comporta la folla. La folla! Essa grida, canta, prega, ma la folla è sempre ambigua. Oggi acclama, domani bestemmia. Oggi esalta e domani bastona. La folla fa paura: cambia troppo facilmente il proprio atteggiamento.

E noi? E la nostra fede? E la nostra risposta a Cristo? Non basta una preghiera, non basta una Messa, non basta un’opera di carità per essere cristiani. Gesù ha detto: “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mc 13,13). E ancora: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62).
Il vero cristiano è colui che cammina dietro a Cristo ogni giorno con fedeltà e perseveranza!

Ma qual è la strada di Cristo? Guardiamo il comportamento di Gesù. Gesù respinge Satana, quando Satana gli propone la strada del Potere: perché Dio non vince così! Gesù fugge quando gli uomini, dopo il miracolo dei pani, lo vogliono proclamare re: fugge, perché Dio non vince così! Gesù rimprovera Pietro, quando egli tenta di distoglierlo dalla strada di Gerusalemme; e va decisamente verso Gerusalemme, verso la Croce: perché questa è la strada di Dio, la strada del Suo trionfo!

E oggi noi guardiamo Gesù che entra a Gerusalemme: ormai è vicina la Sua ora, l’ora tanto attesa!
Egli si presenta mite, buono, pacifico, apparentemente debole. Così Gesù ci ha insegnato che la grande forza del mondo è la bontà: il vero forte è l’uomo buono; il vero forte è colui che ha vinto la violenza dentro di sé; il vincitore è chi dà la vita per gli altri e non chi toglie la vita agli altri. Noi abbiamo accolto la Sua lezione? Noi camminiamo nella Sua strada? Ci riconosciamo nelle scelte di Cristo?

Ma nella passione non c’è soltanto Gesù; ci sono anche altri personaggi che prendono risalto in rapporto a Gesù.
C’è Pilato: un indeciso, perché vuoto. Chi è vuoto di ideali, facilmente può condannare… anche Cristo: ieri e oggi!
C’è Pietro: un indeciso, perché debole. La debolezza è pericolosa: è terreno di tradimento. E oggi, più che in altri tempi, la debolezza soccombe: nel nostro tempo la fedeltà a Dio si paga con l’eroismo.
C’è Giuda: un deciso al male, perché orgoglioso. E l’orgoglio è il cancro dell’anima, l’orgoglio è la radice di ogni violenza. L’orgoglio è un male tanto diffuso; l’orgoglio è l’inizio dell’inferno.
Ci sono i sommi sacerdoti: gente che conosceva la lettera della Bibbia, ma non conosceva lo spirito; gente che usava la Bibbia per piegarla alle proprie vedute, mentre invece dovevano loro piegarsi e convertirsi alla Parola di Dio.
Infine c’è Maria: una decisa nel bene fino alla Croce, perché Maria è umile di cuore. Nello scenario della Passione di Cristo, Maria rivela tutta la sua grandezza. Vengono in mente le parole profetiche di Elisabetta: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45). Maria è la credente: è la creatura che si è fidata ciecamente di Dio.

Quale è il personaggio nel quale ci ritroviamo? La passione di Gesù continua: chi siamo noi oggi nella passione del Signore? Forse ci ritroviamo talvolta nel comportamento di Pilato, talvolta in quello di Pietro, talvolta in quello di Giuda o in quello dei sommi sacerdoti…
Allora ecco un proposito e un impegno per tutti: seguiamo il comportamento di Maria; facciamoci umili e con Lei seguiamo il Signore nella strada della Croce: la strada della vittoria di Dio e della nostra vittoria.

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Persona, non personaggio

Posté par atempodiblog le 26 mars 2021

La quarta predica di Quaresima tenuta dal cardinale Cantalamessa
Persona, non personaggio
Fonte: L’Osservatore Romano

Persona, non personaggio dans Articoli di Giornali e News Ges-di-Nazaret

«Fra una settimana sarà il Venerdì santo e subito dopo la Domenica di risurrezione. Risorgendo, Gesù non è tornato alla vita di prima come Lazzaro, ma a una vita migliore, libera da ogni affanno. Speriamo che sia così anche per noi. Che dal sepolcro in cui ci ha tenuti rinchiusi per un anno la pandemia, il mondo — come ci va ripetendo continuamente il Santo Padre — esca migliore, non lo stesso di prima». Con questa speranza il cardinale Raniero Cantalamessa ha concluso, venerdì mattina 26 marzo, la quarta e ultima predica di Quaresima che ha tenuto nell’aula Paolo VI , alla presenza di Papa Francesco.

Una meditazione centrata sul fatto che tutto gira ancora intorno a «un certo Gesù» — come si legge negli Atti degli apostoli — che il mondo ritiene morto e la Chiesa proclama essere vivo. «Gesù di Nazareth — ha testimoniato il predicatore della Casa Pontificia — è vivo! Non è una memoria del passato, non è solo un personaggio, ma una persona. Vive “secondo lo Spirito”, certo, ma questo è un modo di vivere più forte di quello “secondo la carne”, perché gli permette di vivere dentro di noi, non fuori o accanto».

«Nella nostra rivisitazione del dogma — ha spiegato con un’attenta analisi storica — siamo giunti al nodo che unisce i due capi». Gesù “vero uomo” e Gesù “vero Dio”, infatti, «sono come i due lati di un triangolo, il cui vertice è Gesù, “una persona”». Del resto, ha puntualizzato, il dogma è «una struttura aperta: cresce e si arricchisce, nella misura in cui la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, si trova a vivere nuove problematiche e in nuove culture».

La Chiesa, da parte sua, «è in grado di leggere la Scrittura e il dogma in modo sempre nuovo, perché essa stessa è resa sempre nuova dallo Spirito Santo». Non a caso, lo storico Jaroslav Pelikan affermava che «la tradizione è la viva fede dei morti» (cioè «la fede dei Padri che continua a vivere») mentre «il tradizionalismo è la morta fede dei viventi».

Secondo il cardinale Cantalamessa, oggi è opportuno «scoprire e proclamare che Gesù Cristo non è un’idea, un problema storico e neppure soltanto un personaggio, ma una persona e una persona vivente! Questo infatti è ciò che è carente e di cui abbiamo estremo bisogno per non lasciare che il cristianesimo si riduca a ideologia, o semplicemente a teologia».

Partendo anche dalla sua esperienza personale di studio, il predicatore ha riproposto il «più celebre “incontro personale” con il Risorto che mai sia accaduto sulla faccia della terra: quello dell’apostolo Paolo». Scrivendo di questo a Filemone, Paolo dice espressamente: «Perché io possa conoscere lui». Ma proprio «quel semplice pronome “lui” (auton) contiene su Gesù più verità che interi trattati di cristologia», ha insistito il cardinale. «Lui», infatti, «vuol dire Gesù Cristo “ in carne ed ossa”». L’esperienza da vivere è quella di «incontrare una persona dal vivo dopo avere conosciuto per anni la sua fotografia».

«Riflettendo sul concetto di persona nell’ambito della Trinità — ha continuato il predicatore — sant’Agostino e dopo di lui san Tommaso d’Aquino, sono arrivati alla conclusione che “persona”, in Dio, significa relazione». E «il pensiero moderno ha confermato questa intuizione: essere persona è “essere-in-relazione”».

E così, ha fatto presente Cantalamessa, «non si può conoscere Gesù come persona se non entrando in un rapporto personale, da io a tu, con lui. Non possiamo accontentarci di credere nella formula “una persona”, dobbiamo raggiungere la persona stessa e, mediante la fede e la preghiera, “toccarla”».

Gesù, per ciascuno, deve essere «persona, non solamente un personaggio: c’è una grande differenza tra le due cose». Insomma, con figure insigni del passato come Giulio Cesare, Leonardo da Vinci, Napoleone «è impossibile parlare». Dunque, attenzione, a «relegare Gesù al passato» senza «farsi riscaldare il cuore con un relazione esistenziale con lui». Papa Francesco lo scrive chiaramente all’inizio della sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, al numero 3: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui». Dunque, ha aggiunto il cardinale, «la vita di ogni persona, si divide esattamente come si divide la storia universale: “avanti Cristo” e “dopo Cristo”, prima dell’incontro personale con Cristo e in seguito a esso».

Come fare allora? «Solo per opera dello Spirito Santo — ha risposto il predicatore — che non aspetta altro che glielo chiediamo: “Fa’ che per mezzo tuo conosciamo il Padre e conosciamo anche il Figlio”. Che lo conosciamo di questa conoscenza intima e personale che cambia la vita».

Ma il cardinale ha invitato anche a «fare un passo avanti» per arrivare alla comprensione che «Dio è amore, il mistero più grande e più inaccessibile alla mente umana». In realtà «si potrebbero passare ore intere a ripetere dentro di sé questa parola, senza finire mai di stupirsi: Dio, ha amato me, creatura da nulla e ingrata! Ha dato se stesso — la sua vita, il suo sangue — per me. Singolarmente per me! È un abisso nel quale ci si perde». Il nostro rapporto personale con Cristo è dunque essenzialmente «un rapporto di amore». E «consiste nell’essere amati da Cristo e amare Cristo. Questo vale per tutti, ma assume un significato particolare per i pastori della Chiesa», perché «l’ufficio del pastore trae la sua forza segreta dall’amore per Cristo».

Per andare al sodo, il cardinale ha suggerito il significato della meditazione sulla vita personale di ciascuno, «in un momento di grande tribolazione per tutta l’umanità». Ed è ancora Paolo a far da riferimento, quando nella Lettera ai Romani scrive: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?». L’apostolo «passa in rassegna nella sua mente tutte le prove attraversate», ma «constata che nessuna di esse è così forte da reggere al confronto con il pensiero dell’amore di Cristo».

Paolo «ci suggerisce un metodo di guarigione interiore basato sull’amore. Ci invita a portare a galla — ha affermato il predicatore — le angosce che si annidano nel nostro cuore, le tristezze, le paure, i complessi, quel difetto fisico o morale che non ci fa accettare serenamente noi stessi, quel ricordo penoso e umiliante, quel torto subito, la sorda opposizione da parte di qualcuno. Esporre tutto ciò alla luce del pensiero che Dio mi ama, e troncare ogni pensiero negativo, dicendo a noi stessi, come l’apostolo: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”».

Infine, ha concluso, l’apostolo «ci invita a guardare con occhi di fede il mondo che ci circonda e che ci fa ancora più paura ora che l’uomo ha acquisito il potere di sconvolgerlo con le sue armi e le sue manipolazioni». Quello che «Paolo chiama l’“altezza” e la “profondità” sono per noi — nell’accresciuta conoscenza delle dimensioni del cosmo — l’infinitamente grande sopra di noi e l’infinitamente piccolo sotto di noi». E in questo momento, ha osservato Cantalamessa, quell’«infinitamente piccolo» è «il coronavirus che da un anno tiene in ginocchio l’intera umanità».

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Ecco, anima mia, cosa ti dice Gesù Risorto

Posté par atempodiblog le 13 avril 2020

Resurrexi, et adhuc tecum sum. Alleluia! - Sono risorto, sono sempre con te. Alleluia!”. Cari fratelli e sorelle, Gesù crocifisso e risorto ci ripete oggi quest’annuncio di gioia: è l’annuncio pasquale. Accogliamolo con intimo stupore e gratitudine!
Benedetto XVI

Ecco, anima mia, cosa ti dice Gesù Risorto dans Don Giustino Maria Russolillo Beato-Angelico

Ecco, anima mia, cosa ti dice Gesù Risorto
del beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

1. Sono risorto e sto ancora con te! Non ti lascio, non ti posso lasciare! Io sto con te e tu con me. Staremo assieme per l’eternità!

2. I monti sono la nostra casa di colloquio, di riposo, di estasi! Sto ancora con te per invitarti a salire! Sono risorto per indicarti la strada… io non ti lascio e tu non mi lascerai giammai!

3. Ma tu non mi senti, non mi vedi ancora! Sei triste assai, perché? Tu non mi possiedi!

4. Tutto ti darò se tu mi ami! Perciò sono risorto. Perciò sto ancora con te! Risorgi tu pure e fermati con me. Vivi la mia vita, godi la mia gioia!

5. Sono risorto e sto ancora con te! Ma io cammino … se non mi segui, non staremo assieme. Deh, non fermarti! Per te son morto, per te risorto, per te cammino!

6. Vieni, diletta! Ascendiamo al cielo. Quanta festa troveremo lungo il cammino, quanta luce sui monti, quanto fuoco sulle vette! Quante cose ci diremo, non ti fermare!

7. Vieni, diletta! Ascendiamo al cielo. Al cielo della purezza infinita, della bellezza immensa, dell’amore eterno! Il cammino è lungo, non ti fermare!

8. Vieni, diletta! Ascendiamo al cielo. Ti porterò sul cuore, non temere. Il corpo rimarrà ostia sull’altare, l’anima salirà con me al Padre mio. A lui ti offrirò, candido fiore divinizzato dell’affetto mio!

9. Sarai del Padre, e resterai mia! Sarai la gioia dell’eterno sposo. Tutta in noi vivrai e noi in te! Sarai beata per l’eternità.

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La fede invitta di Maria

Posté par atempodiblog le 11 avril 2020

La fede invitta di Maria dans Commenti al Vangelo La-piet-di-Michelangelo

Tu hai creduto che era il Figlio di Dio Colui che supplicava Dio di non abbandonarLo. Mentre, spezzata dal dolore, Tu Madre, morta col Figlio, tenevi in grembo il Suo corpo senza vita con lo stesso amore con cui lo tenevi da bambino. Tu sola hai creduto con l’eroismo della fede più grande di quella di Abramo, nella gloria imminente della Resurrezione.

Da dove la sorgente segreta della Tua fede vittoriosa che ha consentito a Dio di diventare uomo, affinché l’uomo fosse partecipe della divina natura?

Come potremo noi, uomini di poca fede, sballottati dalle onde del dubbio e dell’incertezza, in ricerca continua di umane sicurezze, trovare un appoggio sicuro per credere?

La fede invitta di Maria sgorga come acqua trasparente dalle sorgenti inesauribili della sua profondissima umiltà.

Un cuore umile, puro e semplice, crede con la fiducia di un bimbo ad ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Anche la Vergine ha udito il sibilo del serpente infrangere l’altissimo silenzio dell’anima che accoglie e medita la Parola di Verità ma il Suo Cuore neppure per un istante ha distolto lo sguardo dalla divina contemplazione per posarsi sui sinuosi ragionamenti dell’antico e viscido seduttore.

 A noi esseri instabili ma assetati di certezze concedi o Vergine fedele di attingere con le labbra alle sorgenti chiare e fresche della Tua umile fede.

di Padre  Livio Fanzaga – Magnificat. Il poema di Maria, ed. SugarCo

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Novena alla Divina Misericordia (dal 10 al 18 aprile 2020)

Posté par atempodiblog le 10 avril 2020

Novena alla Divina Misericordia (dal 25 marzo al 2 aprile 2016) dans Fede, morale e teologia Ges-confido-in-Te

La Festa della Divina Misericordia, secondo le apparizioni di Gesù a santa Faustina, deve essere preceduta da una novena, che va recitata ogni giorno a partire dal Venerdì Santo per nove giorni consecutivi, fino al sabato precedente la Festa della Misericordia (seconda Domenica di Pasqua, dal 10 al 18 aprile 2020, ndr).

Gesù per due volte espresse il desiderio che la sua confidente, attraverso una preghiera di nove giorni, si preparasse a questa Solennità. La Santa ci ha trasmesso la promessa del Salvatore rivolta a tutti i fedeli e contenuta in queste parole: “Durante questa novena elargirò alle anime grazie di ogni genere”.

Sebbene il tempo tra il Venerdì Santo e la seconda Domenica di Pasqua possegga un particolare privilegio, tuttavia la novena alla Divina Misericordia può essere recitata anche in qualsiasi altro periodo dell’anno. (Radio Maria)

Per recitare la novena cliccare qui Freccia dans Viaggi & Vacanze NOVENA ALLA DIVINA MISERICORDIA

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Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati

Posté par atempodiblog le 9 avril 2020

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati
Nell’Ultima cena Gesù istituisce l’Eucaristia e fonda il sacerdozio. E Papa Francesco nella Messa in Coena Domini ricorda la santità di tanti parroci anonimi e coloro che si sono sacrificati soprattutto in questo periodo di pandemia. A tutti raccomanda: sperimentate il perdono di Dio e perdonate con generosità
di Adriana Masotti – Vatican News

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati dans Commenti al Vangelo Santo-Padre

Un Giovedì Santo davvero particolare quello di quest’anno a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia che ha stravolto in poco tempo la vita di tutti. Anche i giorni del Triduo Pasquale, al centro della calendario liturgico, i più importanti per i cristiani, vedranno le chiese aperte ma le celebrazioni senza la presenza dei fedeli. Sarà così anche per le celebrazioni liturgiche di Papa Francesco. Il Papa non ha presieduto stamattina la Messa del Crisma con i sacerdoti di Roma, ma alle 18, all’altare della Cattedra in San Pietro, celebra la Messa in Coena Domini, che fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia.

La Basilica solo in apparenza vuota
La Basilica vaticana è vuota, con il Papa che indossa i paramenti di colore bianco, solo poche persone: i lettori, i cantori, alcuni sacerdoti e alcune religiose, un vescovo e il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica, tutti a distanza di sicurezza. Omesso il tradizionale rito della lavanda dei piedi che gli anni scorsi vedevano Francesco ripetere il gesto di Gesù a carcerati, poveri e rifugiati. L’ultima volta lo aveva fatto nella Casa Circondariale di Velletri o, nel 2018, in quella romana di Regina Coeli. Eppure, tramite i media sono probabilmente molto più numerosi del solito coloro che oggi partecipano alla Messa.

Gesù amò i suoi fino alla fine
Ad aprire la celebrazione è il canto del Gloria. La prima Lettura è tratta dal Libro dell’Esodo e riferisce le prescrizioni date dal Signore al suo popolo, per mezzo di Mosè e Aronne, per la cena pasquale. La seconda è un brano della seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi che ai fedeli ricorda: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga”. La pagina del Vangelo secondo Giovanni è la descrizione dell’Ultima cena di Gesù con i suoi che, scrive, “amò fino alla fine”.

Eucaristia, servizio, unzione
Il Papa tiene l’omelia a braccio. Sottolinea tre parole che sono tre realtà al centro del Giovedì Santo: l’Eucaristia, il servizio, l’unzione. Il Signore vuole rimanere con noi, nell’Eucaristia, afferma Francesco, e noi diventiamo il suo tabernacolo. Gesù, continua, arriva a dire che “se non mangiamo il suo corpo e non beviamo il suo sangue, non entreremo nel Regno dei Cieli”. Ma per entrare nel Regno dei Cieli è necessaria anche la dimensione del servizio e Francesco prosegue:

Servire, sì, tutti. Ma il Signore, in quello scambio di parole che ha avuto con Pietro, gli fa capire che per entrare nel Regno dei Cieli dobbiamo lasciare che il Signore ci serva, che sia il Servo di Dio servo di noi. E questo è difficile da capire.

La grazia del sacerdozio
E poi il sacerdozio: il Papa dice che oggi desidera essere vicino a tutti i sacerdoti. Tutti dal primo all’ultimo, dice, siamo unti dal Signore, unti per celebrare l’Eucaristia e per servire. E se non è stato possibile oggi celebrare la Messa crismale con i sacerdoti, in questa di stasera il Papa vuole ricordare i sacerdoti, specie quelli che offrono la vita per il Signore, e che si fanno servitori degli altri. Ricorda le molte decine di sacerdoti che sono morti in Italia a causa del Covid-19, prestando servizio agli ammalati, assieme ai medici e al personale sanitario. “sono i Santi della porta accanto”, capaci di dare la vita. E poi ci sono i sacerdoti che prestano servizio nelle carceri o quelli che vanno lontano per portare il Vangelo e muoiono lì, quindi e prosegue:

Diceva un vescovo che la prima cosa che lui faceva, quando arrivava in questi posti di missione, era andare al cimitero e mettere sulla tomba dei sacerdoti che hanno lasciato la vita lì, giovani, per la peste del posto: non erano preparati, non avevano gli anticorpi, loro; nessuno ne conosce il nome.

Porto all’altare con me tutti i sacerdoti
Tanti i sacerdoti anonimi, i parroci di campagna o nei paesini di montagna, sacerdoti che conoscono la gente. “Oggi vi porto nel mio cuore e vi porto all’altare”, afferma Papa Francesco. E poi ci sono i sacerdoti calunniati che per strada vengono insultati:

Tante volte succede oggi, non possono andare in strada perché dicono loro cose brutte in riferimento al dramma che abbiamo vissuto con la scoperta dei sacerdoti che hanno fatto cose brutte.

Chiedere perdono e perdonare
Cita poi i sacerdoti, i vescovi e lui stesso “che non si dimenticano di chiedere perdono” perché “tutti siamo peccatori”.  E poi i sacerdoti in crisi, nell’oscurità. A tutti raccomanda solo una cosa: “non siate testardi come Pietro. Lasciatevi lavare i piedi. Il Signore è il vostro servo, Lui è vicino a voi per darvi la forza, per lavarvi i piedi”. Dall’essere perdonati a perdonare il peccato degli altri. Papa Francesco raccomanda un “cuore grande di generosità nel perdono” sull’esempio di Cristo.

Lì c’è il perdono di tutti. Siate coraggiosi. Anche nel rischiare nel perdonare, per consolare. E se non potete dare un perdono sacramentale in quel momento, almeno date la consolazione di un fratello che accompagna e lascia la porta aperta perché torni.

Il Papa conclude ringraziando il Signore per il sacerdozio e per i sacerdoti e dice infine: “Gesù vi vuole bene. Soltanto chiede che voi vi lasciate lavare i piedi”.

La preghiera al Signore perché vinca il male
Al momento della preghiera dei fedeli un diacono presenta cinque intenzioni. Si prega per la Chiesa perché “annunci a ogni uomo che solo in te c’è salvezza”; la seconda supplica il Signore di sostenere “le sofferenze dei popoli” e perché “i governanti cerchino il vero bene e le persone ritrovino speranza e pace ». La terza è per i sacerdoti perché siano “un riflesso vivo del sacrificio che celebrano e servano i fratelli con generosa dedizione”. Nella quarta si prega per i giovani, perché il Signore tocchi il loro cuore e loro lo seguano “sulla via della croce”, scoprendo “che solo in te c’è libertà, gioia e vita piena”. Infine si chiede a Dio di consolare l’umanità afflitta “con la certezza della tua vittoria sul male: guarisci i malati, consola i poveri e tutti libera da epidemie, violenze ed egoismi”. Una preghiera quanto mai attuale in mezzo alla ‘tempesta’ in cui stiamo vivendo.

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