San Disma, la speranza passa dalla croce

Posté par atempodiblog le 25 mars 2025

San Disma, la speranza passa dalla croce
Oltre all’Annunciazione la Chiesa celebra oggi san Disma, il buon ladrone che si convertì in punto di morte confessando la regalità di Gesù e avendo in premio la vita eterna. Un santo perfetto per riscoprire la speranza, tema di questo Giubileo.
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

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Il nostro mondo secolarizzato sta perdendo progressivamente la speranza e non sa bene più neanche cosa significhi. Il termine, speranza, viene ancora usato in tante circostanze, ma molto spesso in una dimensione puramente orizzontale e perfino “sperando” fini non buoni. Ma ci viene in soccorso il Catechismo della Chiesa Cattolica, che all’inizio del numero 1817 spiega: «La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo». Questa è l’unica speranza che non delude, come già scriveva san Paolo (Romani 5,5), e come ricorda l’incipit della Spes non confundit, la bolla di indizione del Giubileo del 2025.

I santi, da amici di Cristo, sono coloro che più di altri hanno nutrito questa speranza: chi dalla primissima infanzia, chi magari dopo una conversione in età matura, chi addirittura nell’ultimissimo tratto della vita terrena. L’esempio più clamoroso è quello del buon ladrone, uno dei due malfattori crocifissi assieme a Gesù e che il Martirologio Romano commemora oggi, 25 marzo, stesso giorno dell’Annunciazione del Signore. Un santo in buona sostanza canonizzato da Gesù stesso, con le famose parole trasmesse dall’evangelista Luca («In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso»), che ci permettono di afferrare un po’ il senso dell’infinita misericordia di Dio.

Di questo santo sono stati tramandati diversi nomi, di cui uno dei più noti è certamente Disma (Dimas in spagnolo e portoghese). Dai Vangeli sappiamo poco di lui, ma tanto basta per capire – a una lettura incrociata – quale profondo atto di contrizione e umiltà dovette fare sulla croce, in quel lasso di tempo tra la crocifissione e la morte di nostro Signore, ossia tra le nove del mattino e le tre del pomeriggio. Almeno all’inizio di quel lasso di sei ore, il futuro santo non diede grande prova di sé, anzi peggiorò la sua condizione di peccatore. Da san Matteo (27,44) e san Marco (15,32) sappiamo infatti che anche il buon ladrone si associò a quanti insultavano Gesù in croce.

Ma la mansuetudine, la divina pazienza mostrata da Gesù lungo tutto il tempo della crocifissione, il perdono invocato sui propri persecutori («Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»; Lc 23,34) e, ancora, l’intercessione di Maria Santissima ai piedi della croce, evidentemente, a un certo punto toccarono nell’intimo il cuore di Disma.

San Luca, di fatto integrando il racconto degli altri due sinottici, ci restituisce in pochi ma incisivi versetti la conversione vissuta in croce dal buon ladrone, basata su alcuni grandi capisaldi che già i Padri della Chiesa non hanno mancato di esaltare: il pentimento, la correzione fraterna, la confessione delle proprie colpe, il riconoscimento non solo dell’innocenza di Gesù ma perfino della sua regalità; e questo proprio quando nostro Signore – crocifisso, flagellato, coronato di spine, deriso e oltraggiato nei modi più vari – era al culmine della sua umiliazione.

Il buon ladrone – scrive la venerabile Maria di Ágreda nella Mistica Città di Dio – «intuì un barlume di questo arcano», ossia del mistero della Redenzione che Gesù stava mirabilmente operando sul Calvario, mostrando tutto il suo amore per ogni uomo.

In un certo senso, san Disma è stato il perfetto contraltare di Giuda Iscariota. Se il più grande peccato di Giuda fu (più ancora del tradimento) la disperazione della salvezza, si può dire che il più grande merito del buon ladrone fu la speranza, dunque la fiducia che ripose nella misericordia di Gesù. Una misericordia che è immensamente più grande di ogni nostro peccato e che non aspetta altro di riversarsi su ciascuno di noi, purché ci pentiamo e chiediamo perdono. In questo senso, san Disma ci può essere compagno speciale in questo Giubileo dedicato alla speranza, tanto più che in qualche modo l’indulgenza plenaria è “sorella” di quella grazia immensa accordata da Gesù al buon ladrone («oggi sarai con me in paradiso»), sorella della stessa solida promessa di salvezza eterna.

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Il saluto ai fedeli, la sosta a Santa Maria Maggiore: il Papa è tornato a casa

Posté par atempodiblog le 23 mars 2025

Il saluto ai fedeli, la sosta a Santa Maria Maggiore: il Papa è tornato a casa
Nell’Angelus scritto il grazie del Pontefice per le preghiere: «Ho sperimentato la pazienza del Signore». Francesco esprime dolore per i nuovi bombardamenti su Gaza: «Tacciano subito le armi»
di Mimmo Muolo – Avvenire

Il saluto ai fedeli, la sosta a Santa Maria Maggiore: il Papa è tornato a casa dans Articoli di Giornali e News Il-Papa-affacciato-al-balcone-del-Gemelli-Ansa
Il Papa affacciato al balcone del Gemelli  Ansa

Si affaccia in carrozzina dal balconcino per due minuti, saluta, benedice e mostra il pollice in segno che va tutto bene. Poi, guardando giù ai tremila fedeli presenti, dice: «Questa signora con i fiori gialli, che brava». La voce migliorata rispetto all’audio messaggio di oltre una settimana fa. Anche l’aspetto buono, in relazione a ciò che ha passato. E poi torna dentro. È già una giornata memorabile, questa domenica 23 marzo 2025, nella storia del pontificato di Francesco. Il Papa, dopo 38 giorni di ricovero, riappare in pubblico al momento dell’Angelus. E subito dopo, a bordo di una Fiat 500, lascia il Gemelli. Per dirigersi – questa la sorpresa, un’altra di quelle a cui ci ha abituati Francesco – alla Basilica di Santa Maria Maggiore, dove arriva alle 12.40 e consegna a Sua Eminenza il Cardinale Makrickas dei fiori da porre davanti all’icona della Vergine Salus Populi Romani. Gesto tanto significativo quanto importante per far comprendere lo stato d’animo del Papa. Il quale evidentemente considera questi la lunga degenza come uno dei viaggi più pericolosi e impegnativi compiuti durante il suo Pontificato.

Da Casa Santa Marta, infatti, era partito il 14 febbraio scorso, febbricitante, e con addosso quella polmonite bilaterale che per due volte, in questo mese e oltre (come hanno detto ieri i medici) lo ha portato «in pericolo di vita». Enorme dunque l’emozione nel vederlo nuovamente, sia pure per così breve tempo.

È già una giornata memorabile, e di festa, per la guarigione del Pontefice, incessantemente invocata con preghiere e rosari. E proprio a una preghiera mariana, l’Angelus, si affida Francesco per mostrarsi finalmente di persona, dopo la fotografia diffusa domenica scorsa e che lo ritraeva nella cappella del suo appartamento, al decimo piano del Gemelli. Tutti gli occhi sono puntati verso quella finestra, non solo quelli delle migliaia di persone che affollano il piazzale di ingresso del Policlinico, attorno alla statua di san Giovanni Paolo II, epicentro di preghiere e omaggi in questi giorni. Ma anche gli occhi del mondo intero, che seguono la diretta diffusa urbi et orbi, si potrebbe dire, dai canali di Vatican Media.

Il Papa non pronuncia che poche parole. Ma quanto significative. Il resto lo dice con il linguaggio del corpo. E adesso può finalmente tornare a casa, dove dovrà restare in covalescenza per almeno due mesi. Il che, tradotto in termini pratici, significa, che non potrà tenere udienze per i primi tempi. Poi si vedrà. E anche per i riti della settimana santa, tra meno di un mese, ormai, si valuterà in base all’evoluzione delle condizioni di salute. L’umore del Papa è comunque buono, come si è visto anche oggi, ed è «felicissimo» di tornare a casa hanno detto i medici. Dal punto di vista della polmonite bilaterale è guarito, non ha mai avuto il Covid, non è mai stato intubato ed è rimasto sempre vigile e ben orientato, hanno riferito i sanitari ieri pomeriggio. Ha solo bisogno di riposo e il luogo migliore per lui in questo momento è casa sua.

Il testo dell’Angelus, come già era capitato nella cinque domeniche precedenti durante il ricovero, è stato distribuito per iscritto. Commentando la parabola del fico sterile e della pazienza del contadino, Francesco scrive: «In questo lungo tempo di ricovero, ho avuto modo di sperimentare la pazienza del Signore, che vedo anche riflessa nella premura instancabile dei medici e degli operatori sanitari, così come nelle attenzioni e nelle speranze dei familiari degli ammalati. Questa pazienza fiduciosa, ancorata all’amore di Dio che non viene meno, è davvero necessaria alla nostra vita, soprattutto per affrontare le situazioni più difficili e dolorose».

Poi il Papa rivolge un pensiero agli scenari di guerra. «Mi ha addolorato la ripresa di pesanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, con tanti morti e feriti. Chiedo che tacciano subito le armi; e si abbia il coraggio di riprendere il dialogo, perché siano liberati tutti gli ostaggi e si arrivi a un cessate il fuoco definitivo. Nella Striscia la situazione umanitaria è di nuovo gravissima ed esige l’impegno urgente delle parti belligeranti e della comunità internazionale». «Sono lieto invece – prosegue il testo – che l’Armenia e l’Azerbaigian abbiano concordato il testo definitivo dell’Accordo di pace. Auspico che esso sia firmato quanto prima e possa così contribuire a stabilire una pace duratura nel Caucaso meridionale».

Francesco esprime infine gratitudine per le preghiere: «Con tanta pazienza e perseveranza state continuando a pregare per me: vi ringrazio tanto! Anch’io prego per voi. E insieme imploriamo che si ponga fine alle guerre e si faccia pace, specialmente nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Libano, Myanmar, Sudan, Repubblica Democratica del Congo. La Vergine Maria ci custodisca e continui ad accompagnarci nel cammino verso la Pasqua». E infatti è confermato che anche stasera alle 19.30 si pregherà in piazza San Pietro. Il Rosario sarà animato animato dai canonici del Capitolo della Basilica Vaticana e guidato dal cardinale Mauro Gambetti, arciprete della stessa Basilica.

I saluti e gli incontri prima di uscire dall’ospedale
Questa mattina, prima di affacciarsi dal balcone del quinto piano dell’ospedale per un saluto e per impartire la benedizione, Papa Francesco ha salutato brevemente il personale e i vertici dell’Università Cattolica e del Policlinico Gemelli: il Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, professoressa Elena Beccalli; il Presidente della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, dottor Daniele Franco; inoltre il Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, professor Antonio Gasbarrini; il Vicepresidente della Fondazione Policlinico Gemelli, dottor Giuseppe Fioroni; il Direttore generale della Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS, professor Marco Elefanti, l’Assistente Ecclesiastico Generale dell’Università Cattolica, S.E. Monsignor Claudio Giuliodori, e il professor Sergio Alfieri, Direttore del Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche del Policlinico e Responsabile dell’equipe medica del Gemelli; il direttore sanitario della Fondazione Policlinico Gemelli, dottor Andrea Cambieri.

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San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 19 mars 2025

San Giuseppe
Il beato Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale, consapevole della potentissima intercessione di Giuseppe, che si estende a ogni grazia, come già ricordava santa Teresa d’Avila
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

San Giuseppe dans Angeli San-Giuseppe

Se giustamente l’antico adagio teologico afferma che di Maria non si dice mai abbastanza, similmente si può dire del suo castissimo sposo poiché in nessun altro santo, eccetto la stessa Madre di Dio, la dimensione del mistero è così grande come in san Giuseppe. E in nessun altro santo come nel padre putativo di Gesù le logiche divine appaiono del tutto straordinarie e ribaltate rispetto alle logiche del mondo. La Chiesa insegna che solo a Dio si deve il culto di latria (adorazione); a Maria è riservata una venerazione specialissima detta iperdulia («oltre la dulia», cioè il culto di angeli e santi), cui segue immediatamente la protodulia dovuta a Giuseppe, da venerare come primo tra tutti i santi.

Il perché lo spiega bene Leone XIII nella Quamquam Pluries: «Poiché tra Giuseppe e la beatissima Vergine esistette un vincolo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto nessun altro mai. Infatti il matrimonio costituisce la società, il vincolo superiore ad ogni altro: per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro. Pertanto se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercé il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei». Non è perciò casuale il posto unico che san Giuseppe occupa nel cuore dei credenti, dai fedeli più semplici ai più grandi teologi, fino ai pontefici, che da secoli esortano i cristiani ad accrescere la devozione verso il Custode della Sacra Famiglia, in sommo grado ripieno di fede, speranza e carità.

Il Vangelo non gli attribuisce direttamente nessuna parola, ma il suo silenzio e ogni circostanza in cui si parla di lui hanno un peso specifico enorme. Giuseppe collega Gesù alla discendenza di Davide, è l’uomo chiamato da Dio a cooperare alla realizzazione delle profezie e all’adempimento delle antiche promesse. Perciò il primo capitolo di Matteo, l’evangelista che più si rivolge ai Giudei, si apre con la genealogia di Gesù e – al suo culmine – ci presenta Giuseppe come «lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo». Come Luca approfondirà la prospettiva interiore della Vergine, Matteo ci offre uno spaccato dei pensieri di Giuseppe, da lui lodato quale «giusto». Un giusto che in ogni istante, per quanto tormentato, pensò a proteggere Maria, preservandola dalla lapidazione e custodendone l’onore, fino al conforto del messaggero celeste: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Giuseppe abbracciò quindi la sua vocazione di sposo e «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore», prendendo con sé la sua sposa. Quel «fece» dice molto su questo glorioso santo nascosto, che ama la legge di Dio e dunque la osserva, abbandonandosi totalmente alla Volontà divina, con il pieno assenso del suo intelletto. Come Maria ha detto liberamente sì a Dio, così Giuseppe: entrambi sorpresi da Lui, entrambi pronti a servire il Suo disegno salvifico. «La sorpresa del casto Giuseppe era paragonabile a quella della Vergine Maria quando al momento dell’Annunciazione ha chiesto: « Come può accadere se non conosco uomo? » Maria voleva sapere come avrebbe potuto essere vergine e madre allo stesso tempo, e san Giuseppe non sapeva come poter essere vergine e padre», ha detto il venerabile Fulton Sheen (1895-1979) in una splendida catechesi: «L’Angelo del Signore ha spiegato a entrambi che solo Dio aveva il potere di fare una cosa simile».

Attraverso il matrimonio con Maria, luce per tutti gli sposi, Giuseppe divenne padre di Gesù e ne servì la missione proprio con la sua paternità verginale. Salvò il Bambino da Erode con la fuga in Egitto, lo allevò, lo nutrì, lo vestì, gli insegnò un mestiere, assolvendo di giorno in giorno i suoi compiti paterni verso Gesù, il quale da parte sua obbediva docilmente ai genitori e «cresceva in sapienza, età e grazia», preludio della sua attività pubblica. A Dio piacque che Gesù, Verbo incarnato, venisse chiamato figlio di Giuseppe e volle che alla custodia del santo patriarca fossero affidati «gli inizi della Redenzione» (Messale Romano). Come ricorda san Giovanni Paolo II nella Redemptoris Custos, Giuseppe fu allo stesso tempo il Custode del Redentore, il primo devoto di Maria e il primo uomo al quale fu partecipato il mistero dell’Incarnazione che si era compiuto nella sua sposa. Alla quale è indissolubilmente legato. Perciò, insegnano i santi, la vera devozione dell’uno accresce la devozione verso l’altra: e insieme sono strada sicura verso Cristo.

Ecco perché san Giovanni Crisostomo ne sottolineava l’eccezionale ruolo di «ministro della salvezza» e il beato Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale, consapevole della potentissima intercessione di Giuseppe, che si estende a ogni grazia, come già ricordava santa Teresa d’Avila: «Ad altri sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso San Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol darci a intendere che, a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, altrettanto gli è ora in cielo nel fare tutto ciò che gli chiede».

Divisore dans San Francesco di Sales

Per saperne di più:

Freccia dans Viaggi & Vacanze Quamquam Pluries, enciclica di Leone XIII, con in calce l’orazione «A te, o beato Giuseppe…»

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La festa della Sindone, a Torino un’ostensione multimediale aperta al mondo

Posté par atempodiblog le 16 mars 2025

La festa della Sindone, a Torino un’ostensione multimediale aperta al mondo
Presentate le iniziative speciali collegate alla festa liturgica del sacro lino di Torino nell’anno giubilare. L’iniziativa, dal titolo “Avvolti. Sindone, Speranza, Giubileo”, si avvale delle nuove tecnologie per offrire un approccio inedito dove fede e innovazione si uniscono per arrivare al cuore delle persone. Il cardinale Repole: “Sarà la prima ostensione multimediale della storia”
di Maria Milvia Morciano – Vatican News
Tratto da: Radio Maria

La festa della Sindone, a Torino un'ostensione multimediale aperta al mondo dans Articoli di Giornali e News La-festa-della-Sindone-a-Torino-un-ostensione-multimediale-aperta-al-mondo

“Si ricorda anche che alcuni studiosi hanno osservato, mediante un confronto al computer, una perfetta corrispondenza del Volto Santo di Lucca con quello dell’Uomo della Sindone”. (Maria Milvia Morciano)

Quest’anno la memoria liturgica della Sindone, il 4 maggio prossimo, riveste un significato particolarmente intenso perché è racchiusa nell’anno giubilare: i suoi significati di fede e di speranza diventano pertanto più vividi non solo per la città di Torino che la custodisce, ma anche per tutto il mondo che quest’anno potrà parteciparvi grazie alle tecnologie digitali, realizzando un pellegrinaggio virtuale, attraverso programmi dedicati e collegamenti speciali.

Calco della resurrezione
[...] durante la conferenza stampa di presentazione delle iniziative speciali collegate alla festa, dal 25 aprile al 5 maggio, il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, custode pontificio del sacro lino, ne ha ricordato l’attualità poiché, mostrando “un Uomo sconfitto dalla storia, vilipeso, torturato e ucciso”, rispecchia i drammatici eventi attuali, guerre ma anche malattie e l’abbandono dei più deboli. Allo stesso tempo, però, il velo è un “invito a vivere una vita nuova” perché è “il calco della resurrezione” e in questo senso apre alla speranza che è sempre “fiducia che tutte le sconfitte della nostra storia non siano l’ultima parola, ma solo nell’orizzonte dell’eternità. È un orizzonte di speranza, quel telo, che ci lascia Gesù, perché ci dice che ci sarà un giudizio sulla storia, di cui molti uomini e donne hanno bisogno”.

La “Tenda della Sindone” accanto alla Cattedrale
Come già preannunciato lo scorso anno, l’ostensione pubblica non avrà luogo, ma le proposte offerte sono diverse: programmi dedicati e collegamenti speciali e, nel centro del capoluogo piemontese, a piazza Castello, proprio dietro la Cattedrale dove è custodita la Sindone, l’allestimento di una “Tenda della Sindone” che durante i giorni della festa accoglierà cittadini e visitatori che avranno così l’opportunità di conoscere il velo sindonico, la sua storia e il suo significato. “C’è un modo laico di avvicinarsi al telo, che porta un interesse – ha osservato il porporato – di tipo scientifico, poi c’è un interesse religioso, che deriva dalla tradizione cristiana, perché sorprendentemente la Sindone dice ciò che dicono i Vangeli rispetto alla morte di Gesù”. L’esposizione è stata allestita in una tenda e non in un luogo sacro, ma “è comunque subito dietro alla cattedrale, dove il telo è conservato – ha sottolineato il cardinale Repole – e direi che permette di immergersi in quella vicenda di cui parla il Nuovo Testamento. Nulla vieta che chi vuole possa poi sporgersi nella cattedrale”.

Un nuovo approccio per avvicinare ancora più persone
Nella tenda sarà esposta, distesa su un tavolo, quasi come su un “tavolo operatorio”, la riproduzione della Sindone a grandezza naturale, che potrà essere “esplorata” illuminando di volta in volta alcuni dei dettagli più significativi: come il Volto, la corona di spine, i segni dei chiodi. Le risorse offerte dalla tecnologia permetteranno di vedere il lino su cui è impresso il negativo fotografico del corpo di Gesù: non sarà esposto, ma fruibile in modo multimediale, “sarà la prima ostensione multimediale della storia” – aggiunge ancora Repole – “che spera, con questo nuovo approccio di avvicinare nuove persone, anche molti giovani”. Infatti, attenzione particolare sarà riservata alle nuove generazioni perché “ci sembrava un modo di concludere un itinerario di catechesi con un taglio esistenziale rivolto ai più giovani – precisa il cardinale – con la consapevolezza che per noi cristiani con loro si gioca una partita nuova, perché la trasmissione della fede come avveniva in passato non è più scontata”.

Per questo motivo, il progetto della diocesi di Torino è stato realizzato, oltre che in occasione dell’Anno giubilare, anche come contributo alla “Festa dei giovani” che conclude il ciclo di catechesi 2024-2025, iniziato l’8 novembre dello scorso anno e giunto alla terza edizione. Guidato dal cardinale Repole, il corso coinvolge i ragazzi delle diocesi di Torino e Susa di età compresa tra i 18 e i 30 anni. L’iniziativa è stata resa possibile grazie al contributo di Regione Piemonte, Città di Torino, Camera di Commercio di Torino, Fondazione Carlo Acutis.

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Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona

Posté par atempodiblog le 14 mars 2025

Provate ad immaginare se un bel giorno vi arrivasse un invito che stavate aspettando da moltissimo tempo, da qualcuno che avevate tanto atteso di incontrare. Una persona al fianco della quale avete tanto desiderato di trattenervi, per stare lungo tempo vicini a parlare. Il giorno in cui quell’invito arrivasse, quanto grande sarebbe la vostra gioia? La morte è l’invito di Dio ed è con questa gioia in cuore che io la attendo. Io so bene quanto Dio sia buono e bello e con quanta tenerezza Egli si prenda cura di me”.

di Takashi Paolo Nagai

Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona dans Articoli di Giornali e News Riposo

Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona
Nella nona meditazione degli Esercizi Spirituali in Aula Paolo VI, di cui pubblichiamo una sintesi, il predicatore della Casa Pontificia si sofferma sul concetto biblico del riposo che non è inattività ma condizione di pienezza e appagamento. E prima delle parole del religioso, quelle di monsignor Viola, segretario del Dicastero per il Culto Divino, che a nome della Curia assicura al Papa, nell’anniversario dell’elezione, vicinanza e preghiera
de La Redazione di Vatican News

La vita eterna è un dono già presente, ma spesso fatichiamo a comprenderne un aspetto fondamentale: il riposo. Fin da piccoli, siamo abituati a sentire la preghiera:

«L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen».

L’idea di un’eternità basata sul riposo eterno può sembrare deludente, come se la vita finisse con un’infinita dormita. Ma questa percezione nasce da un equivoco profondo: vediamo il riposo solo come inattività, mentre nella visione biblica è una condizione di pienezza e appagamento.

Dio stesso ha vissuto il riposo, quando Gesù, dopo la croce, è stato deposto nel sepolcro. Questo momento non è un’inerzia sterile, ma il compimento di un’opera, come racconta un’antica omelia sul Sabato Santo: «Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi».

Cristo riposa, eppure agisce misteriosamente, liberando i prigionieri degli inferi. Questo ci insegna che fermarsi non significa essere inutili, ma saper abbracciare il tempo con fiducia, senza inseguire un’attività frenetica e sterile.

Oggi il riposo è un lusso trascurato. Viviamo in una società che ci impone di essere sempre attivi, sempre connessi, sempre produttivi. Eppure, più aumentano le opportunità, meno riusciamo a riposare davvero. La parabola del servo, che dopo aver lavorato non si aspetta un premio ma accetta di aver fatto ciò che era chiamato a fare, ci insegna un segreto importante. Fino a quando viviamo con l’ossessione del risultato, non troveremo mai riposo. Solo chi accoglie con serenità il proprio limite può finalmente fermarsi in pace.

Il vero riposo non è inattività, ma libertà. È lo stato in cui non dobbiamo più dimostrare nulla, perché ci lasciamo abbracciare dall’amore di Dio. È la pace interiore che ci permette di dire: «Chi è entrato nel riposo di Dio, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie» (Eb 4,10).

Vivere bene il riposo significa allenarsi alla vita eterna, imparando a vivere senza paura, a lasciar andare il superfluo e a fidarci del fatto che Dio è già all’opera in noi.

Il riposo vero è pace interiore, non si misura in risultati, ma nella capacità di accogliere ciò che la vita ci dona. Non è fuga, ma un modo per imparare a vivere più intensamente, senza ansia. Non è passività, ma una fiducia attiva che ci rende liberi di amare. «Nell’amore non c’è timore. L’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

Alla fine, la vita eterna non è un traguardo lontano, ma una realtà che cresce già dentro di noi. Già ora, siamo chiamati a viverla.

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L’universo in una sola piaga di Gesù

Posté par atempodiblog le 13 mars 2025

L’universo in una sola piaga di Gesù
L’universo intero è in una sola piaga di Gesù, perché una sola sofferenza di Cristo ha ontologicamente la capacità di salvare tutto. Il Cristianesimo è l’unica religione che afferma che nella singolarità vi è la spiegazione di tutto.
di Corrado Gnerre – Radici Cristiane

L’universo in una sola piaga di Gesù dans Corrado Gnerre L-universo-in-una-sola-piaga-di-Ges

San Bonaventura insegnava a Parigi; era molto famoso: le sue lezioni erano seguitissime e molto apprezzate. Un giorno si recò a fargli visita un suo collega, san Tommaso d’Aquino. Questi lo pregò di mostrargli i libri di cui si serviva per i suoi studi. San Bonaventura lo introdusse nella sua celletta e gli mostrò dei libri ordinatissimi che stavano sul suo tavolino. San Tommaso non si accontentò e domandò di vedere altri libri, dai quali sicuramente attingeva la sapienza per i suoi insegnamenti.

Il Santo francescano gli mostrò allora un piccolo oratorio nel quale vi era solo l’immagine del Crocifisso: tutto annerito per i tanti baci che gli dava.

Ecco, padre, il mio miglior libro – disse san Bonaventura indicando il Crocifisso – da qui attingo tutto quello che insegno e scrivo; gettandomi ai piedi di questo Crocifisso, domandando a Lui la luce dei miei dubbi, faccio nelle scienze maggior progresso che leggendo qualsiasi libro”. Poi san Bonaventura concluse: “Vi sono uomini che studiano molto nei libri e concludono poco; mentre i santi diventano grandi sapienti soprattutto perché studiano il Crocifisso”.

Si racconta anche di una giovane aristocratica che chiese di entrare in una comunità religiosa. Per provarne la vocazione, la Superiora le fece un quadro assai duro ed esigente della vita in quella comunità. Le fece vedere il monastero insistendo particolarmente sui luoghi più austeri. La giovane sembrava scoraggiarsi, poi, improvvisamente, domandò alla Superiora: “Troverò un Crocifisso in quella cella in cui dovrò stare molto ristretta e in cui dovrò dormire sopra un pagliericcio? Troverò un Crocifisso in quel refettorio, in cui il cibo sarà molto grossolano? Lo troverò in quel Capitolo, in cui dovrò ricevere tante correzioni?”. La Superiora rispose: “Oh! sì, figlia, il Crocifisso è dappertutto”. “Ebbene, madre – rispose decisa la giovane – io penso che niente mi sarà difficile quando avrò con me un Crocifisso in tutti quei luoghi in cui dovrò sacrificarmi”.

Nella teologia cristiana la sofferenza di Cristo ha un ruolo centrale. Certamente la Passione e la Morte di Gesù non sono la conclusione; la conclusione è la Resurrezione, ma indubbiamente costituiscono il momento apicale del Cristianesimo, il momento più rappresentativo in quanto è la massima espressione dell’amore di Dio verso l’uomo. Non a caso il segno distintivo dei cristiani è, appunto, il segno della Croce.

La parte contiene il tutto
Tutto questo ci permette di fare delle considerazioni su un’unicità del Cristianesimo. Nella teologia salvifica cristiana si afferma che la sofferenza di Cristo ha redento l’universo intero. Tutto è ricapitolato in Cristo. Quando ci poniamo dinanzi ad un oggetto, per osservarlo nella sua interezza, dobbiamo indirizzare lo sguardo verso il centro e poi, eventualmente, ruotare lo sguardo per completarne la visione. E’ una legge dell’ottica. Ugualmente quando si vuole sintetizzare un discorso o un fatto bisogna enuclearne l’essenza. Ebbene, il Cristianesimo afferma che il centro non solo di una vita, non solo della storia di alcuni uomini, non solo di quella di una nazione o di un continente, ma dell’universo intero è nella singola, e circoscritta temporalmente (“sotto Ponzio Pilato” recitiamo nel Credo), sofferenza di Gesù.

Se nel centro s’include la visione di tutto l’oggetto, se nella sintesi si riassume un fatto, allora possiamo dire che nella sofferenza di Cristo vi è l’universo intero. Ma – è noto – tutto ciò che Gesù ha singolarmente fatto ha avuto un valore infinito, perché vissuto e voluto da un soggetto divino. Dunque possiamo dire che già in una sola sofferenza di Cristo vi è l’universo intero. Già in una sola sua piaga. […]

“Dentro le tue piaghe nascondimi”
Una famosa preghiera per il ringraziamento eucaristico (tanto amata da sant’Ignazio di Loyola) dice: “dentro le tue piaghe nascondimiOvvero l’uomo può trovare la sua dimora nelle piaghe di Gesù. […]

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L’angelo custode può scherzare e giocare con chi custodisce?

Posté par atempodiblog le 11 mars 2025

L’angelo custode può scherzare e giocare con chi custodisce?
di Corrado Gnerre – Il Cammino dei Tre Sentieri

L’angelo custode può scherzare e giocare con chi custodisce? dans Amicizia HGAU8991

Nel Diario di santa Gemma Galgani (nata il 12 marzo 1878, ndr) si legge questo episodio:

La Santa sta per andare a dormire, ma si sente fortemente agitata a causa della vicinanza del demonio. Invoca il suo angelo custode che le appare, e così ella gli chiede di non lasciarla sola, di vegliare al suo fianco quella notte.

Ma l’angelo le risponde che ha bisogno di riposo, che anch’egli vuole andare a dormire. Giustamente santa Gemma gli ribatte che questo non può essere perché gli angeli non hanno bisogno di riposo e di sonno. A queste parole, l’angelo sorride e le fa capire che aveva voluto scherzare.

La questione che pone la domanda è tutt’altro che banale: è possibile che l’angelo possa scherzare e giocare con chi custodisce?

E’ possibile perché lo scherzo, così come il gioco, possono servire per alzare il morale. Scherzo e gioco rientrano nel ristoro dello spirito, che, proprio perché è oggettivamente un bene, sta certamente a cuore a colui che la Divina Provvidenza ha scelto come sostegno e conforto.

A proposito del gioco non sono poche le esperienze che hanno avuto santi bambini di poter giocare perfino con Gesù Bambino.

Il piccolo san Gerardo Majella soleva recarsi al santuario di Nostra Signora delle Grazie dove si trovava una statua della Vergine avente tra le braccia il Divino Bambino. Un giorno, tornando dal santuario, san Gerardo mostrò alla mamma un pezzo di pane. La madre, insospettita, decise di seguire Gerardo la volta successiva in cui si fosse recato al santuario. Fu così testimone di un fatto straordinario: il Bambino della statua prendeva vita e scendeva dalle braccia della Vergine per giocare con il piccolo Gerardo… se dunque Gesù arriva a giocare con i Santi, volete che non lo possano fare gli angeli custodi?

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Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, sarà santo. Decreto definisce venerabile Salvo D’Acquisto

Posté par atempodiblog le 25 février 2025

Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, sarà santo. Decreto definisce venerabile Salvo D’Acquisto
Brindisino di nascita, studi di Giurisprudenza a Napoli. Poi l’incontro con una nobildonna che sposa. Giovanni Paolo II lo eleva agli altari nel 1980. Papa Francesco avvia il processo di beatificazione di Salvo D’Acquisto
di Elena Scarici – Corriere del Mezzogiorno

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Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, sarà santo. Lo rende noto la Sala Stampa della Santa Sede, riferendo dell’udienza concessa ieri da Papa Francesco al cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e a monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali, per autorizzare il Dicastero delle Cause dei Santi a promulgare i decreti riguardanti nuovi santi e beati.

Il nome di Bartolo Longo è sinonimo nel mondo della Madonna di Pompei, veneratissima dai napoletani e meta ogni anno di pellegrinaggi da tutti i continenti. Vissuto tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, pugliese di Latiano (Brindisi), quello che diventerà un apostolo del Rosario vive una prima fase della vita con un disagio interiore molto acuto. Durante gli studi di Giurisprudenza a Napoli si avvicina per qualche tempo allo spiritismo per poi ritrovare la fede grazie all’aiuto di alcuni sacerdoti. Si accende in lui il desiderio di promuovere opere di carità e diventato amministratore dei beni della contessa Marianna Farnararo, rimasta vedova con cinque figli piccoli, lavora perché la gente povera che viveva sui terreni della nobildonna nella Valle di Pompei abbia una esistenza più dignitosa. Nel 1875 porta a Pompei una immagine della Madonna e nel 1876 avvia la costruzione del santuario destinato a diventare luogo di culto mondiale, consacrato alla Madonna del Rosario il 7 maggio 1891.

Bartolo Longo sposa la contessa e insieme donano la proprietà del santuario a Leone XIII, che ne lascia ai coniugi l’amministrazione. Per lui è l’inizio di una nuova vita di totale devozione alla Vergine, che esercita anche con un intenso lavoro di scrittura e diffusione di libri, opuscoli e riviste. Muore nel 1926, Giovanni Paolo II lo eleva agli altari nel 1980. Proprio questa enorme diffusione della devozione mariana scaturita dal Santuario di Pompei ha indotto nel 2024 l’arcivescovo prelato e delegato pontificio del Santuario Tommaso Caputo, assieme al vescovo di Acerra Antonio Di Donna, presidente dei presuli campani, a chiedere al Papa la canonizzazione del Beato Bartolo Longo.

Si avvia invece alla beatificazione Salvo D’Acquisto, il vicebrigadiere napoletano dell’Arma dei Carabinieri Reali insignito della Medaglia d’oro al valor militare per essersi sacrificato il 23 settembre 1943 salvando così un gruppo di civili durante un rastrellamento delle truppe naziste nel corso della Seconda guerra mondiale. La storia di Salvo D’Acquisto è un esempio di eccellenza umana prima che prettamente cristiana: nato a Napoli nel 1920, a 18 anni entra nell’Arma dei carabinieri. Tra il ‘40 e il ’42 viene inviato in Libia dove dimostra schiettamente le sue convinzioni sia per la rettitudine morale sia per i gesti con cui la accompagna, il segno della croce in pubblico o la recita del Rosario. Diventato vicebrigadiere viene destinato alla stazione di Torrimpietra.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il 22 settembre un reparto nazista – ormai nemico in terra italiana – arriva alla Torre di Palidoro, ubicata nel territorio della caserma. Alcuni soldati individuano e forzano incautamente delle cassette contenenti ordigni, provocando un’esplosione che uccide un militare e ne ferisce altri due. Il comandante sospetta di un attentato e fa arrestare Salvo D’Acquisto che, per l’assenza del suo superiore, in quel periodo comanda la stazione dei carabinieri. Il vicebrigadiere spiega a più riprese che si è trattato di un tragico incidente, ma i nazisti decidono per una rappresaglia e rastrellano 22 persone, le costringono a scavare una grande fossa e si apprestano a fucilarle quando Salvo D’Acquisto si autoaccusa come unico responsabile dell’accaduto, offrendosi in cambio della liberazione di tutti gli altri. Il carabiniere 23enne viene fucilato all’istante mentre gli ostaggi riescono ad avere salva la vita. Una decisione, è stato riconosciuto nel decreto che definisce “venerabile” Salvo D’Acquisto, non dettata da «un semplice atto di solidarietà civica e di filantropia laica», bensì inserita «in uno stile di vita consapevolmente e coerentemente cristiano». Le spoglie di Salvo D’Aquisto sono conservate nella basilica di Santa Chiara a Napoli.

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La scala che Cristo salì durante la Passione e il luogo più santo al mondo

Posté par atempodiblog le 25 février 2025

La scala che Cristo salì durante la Passione e il luogo più santo al mondo
La tradizione li identifica nei 28 gradini del Pretorio di Pilato percorsi da Gesù prima di essere condannato a morte. Moltitudini di fedeli giungono a Roma per salirli in ginocchio e ottenere l’indulgenza plenaria per sé o per un defunto. Nel Santuario affidato alla custodia dei Passionisti si conserva anche l’antica cappella privata dei Papi, detta « Sancta Sanctorum » che custodisce al suo interno reliquie di grande valore
di Paolo Ondarza – Vatican News

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È per eccellenza il Santuario della Passione di Cristo. Sorge a pochi passi dalla Basilica di San Giovanni in Laterano dove fino al XIV secolo, prima della attività avignonese, sorgeva il Patriarchio, l’antica residenza ufficiale del romano Pontefice. Conserva i ventotto gradini che la tradizione ci ha tramandato come quelli del Pretorio di Ponzio Pilato, fatti trasportare a Roma dalla madre dell’imperatore Costantino, Sant’Elena. La donna ritenuta di fatto la prima archeologa cristiana, durante il suo viaggio in Terra Santa tra il 327 ed il 328, effettuò numerose ricerche per ritrovare i luoghi della vita di Gesù.

A custodire “in perpetuum” la Scala Santa dal 1854, per volere di Pio IX, sono i Religiosi Passionisti il ​​cui carisma è quello di “promuovere la memoria della Passione del Signore”: “la più grande e stupenda opera del divino amore”, come diceva il fondatore San Paolo della Croce.

Per il Giubileo atteso un milione di visitatori
Ci lasciamo alle spalle l’intenso traffico urbano che caratterizza Piazza di San Giovanni in Laterano e ci dirigiamo a piedi verso questo luogo venerato e visitato da secoli da moltitudini pellegrini di tutto il mondo. Ad accoglierci nel silenzio dell’adiacente convento, voluto 150 anni fa da Papa Mastai, è il rettore Padre Leonello Leidi: “Generalmente in un anno superiamo il mezzo milione di visitatori. Quest’anno stima di arrivare al milione”, commenta illustrandoci anche le varie iniziative messe in calendario per l’Anno Santo. Tra tutte la celebrazione della Via Crucis e della Messa internazionale ogni venerdì pomeriggio, ad eccezione dei mesi di luglio e agosto.

Il trasporto è avvenuto in una notte
“Il Santuario – spiega il sacerdote – risale all’epoca di Papa Sisto V che lo istituì nel 1590 con la bolla Cum rerum singolarum . Un anno prima il Pontefice aveva chiesto al suo architetto di fiducia Domenico Fontana di traslare, in una sola notte come dicono le cronache, la Scala Santa dal lato nord dell’antico Patriarchio al luogo in cui oggi è collocata, al centro di altre quattro scale. Abbiamo notizie certe che fin dall’anno Mille questi 28 gradini siano identificati dai pellegrini con quelli saliti da Cristo diverse volte, quando venne giudicato e condannato a morte nel Pretorio di Gerusalemme”.

I-segni-delle-ginocchia-scavati-nel-marmo dans Apparizioni mariane e santuari

I segni delle ginocchia scavati nel marmo
Per antica tradizione la Scala Santa si sale solo in ginocchio. L’evidente segno del passaggio di generazioni di pellegrini sono i solchi scavati nei gradini di marmo, ricoperti di legno di noce nel 1724 da Papa Innocenzo XIII. “Salire è molto faticoso”, ammette padre Leidi, “questo esercizio ascetico vuole significare un atto di penitenza, un’immedesimazione nella Passione di Cristo”.

Le gocce del sangue di Gesù
Sul primo, sull’undicesimo e sull’ultimo gradino il rettore del Santuario ci fa notare la presenza di alcuni oblò in vetro, oltre i quali si intravedono croci di ottone e marmo: “Secondo una tradizione sviluppatasi nel Medioevo, su alcuni scalini gocce del Sangue di Cristo dopo la flagellazione.

Quelle macchie, oggi invisibili, sono ancora oggetto di devozione da parte dei pellegrini che qui si fermano, e vi posano il capo o oggetti religiosi”: innumerevoli preghiere, crocifissi, rosari, immaginette o fotografie di persone care per le quali si chiede una grazia speciale, sono stati ritrovati al di sotto della copertura lignea rimossa in occasione dei restauri conclusi nel 2020. Oggi sono conservati dai Padri Passionisti in un’apposita teca.

Un percorso penitenziale accessibile a tutti
Nel corso dello stesso intervento conservativo, condotto dalle maestranze dei Musei Vaticani e finanziato dai ‘Patrons of the Arts in the Vatican Museums’, in una delle quattro scale costruite attorno alla Scala Santa è stato installato un montascale per consentire anche alle persone con difficoltà motorie di compiere il pellegrinaggio e ottenere l’indulgenza plenaria che nel Santuario è concessa alle consuete condizioni (Confessione, Comunione, Credo e Preghiera per il Papa), ogni giorno dell’anno, al di là del Giubileo.

L’arte che favorisce la fede
La contemplazione nella salita di due delle scale laterali è favorita da 75 meravigliose scene bibliche affrescate sulle pareti e sulla volta nel XVI secolo su commissione di Sisto V, da almeno 12 pittori diversi: una Biblia Pauperum che aiuta il pellegrino ad immergersi nella storia della salvezza. Un ricco apparato decorativo di 33 affreschi con la Passione di Cristo avvolge invece il percorso della Scala Santa. Di 1700 mq in totale la superficie dipinta nel Santuario. In ginocchio saliamo i 28 gradini e grazie a queste opere è più facile immedesimarsi e meditare sui dolori del Rendentore.

Colomba Bonifacio VIII concepì il Giubileo
Terminata l’ascesa si giunge nel cuore del Santuario: la Cappella di San Lorenzo in Palatio, nota come « Sancta Sanctorum ». Originariamente inglobata nel Patriarchio, menzionata per la prima volta nel Liber Pontificalis dell’ottavo secolo, era la cappella privata del Pontefice. Padre Leidi la definisce “la Cappella Sistina dei primi tempi” dove “si svolgevano alcune funzioni della Settimana Santa”. Era il punto di partenza della “processione che portava il Pontefice appena eletto all’intronizzazione nella Basilica di San Giovanni”. “Possiamo immaginare – osserva il rettore del Santuario della Scala Santa – che in questo luogo Bonifacio VIII concepì l’idea del primo Giubileo del 1300”.

La cappella privata dei Papi
La cappella è chiusa da una massiccia porta in bronzo che, varcata, introduce ad un ambiente decorato da elementi gotici e affreschi della Scuola Romana voluti da Papa Nicolò III. Sotto i nostri piedi si stende come un pregiato tappeto il pavimento cosmatesco costituito da un mosaico di porfido, granito e marmo, colorato proveniente dagli antichi monumenti di età imperiale.

L-icona-del-Santissimo-Salvatore dans Articoli di Giornali e News

L’icona non dipinta da mano d’uomo
Appena dentro il sacello lo sguardo è catturato da un’antica icona di Cristo in trono, ricoperta da preziose lastre d’argento fin dai primi anni del secondo millennio. La sua esecuzione è databile tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. L’icona è da sempre venerata come il “Santissimo Salvatore”, titolo della vicina Basilica Lateranense. Avvolti nel mistero sono l’autore, le origini e l’arrivo a Roma di questa immagine che un’antica leggenda vorrebbe iniziata dall’evangelista Luca e completata dagli angeli: è detta infatti “acheropita”, ovvero “non dipinta da mano umana”.

Nei secoli passati al mattino di Pasqua i Pontefici si recavano nel « Sancta Sanctorum » per assistere all’ Anastasis, l’apertura delle ante che chiudevano l’icona, un rito che evocava l’uscita di Cristo dal sepolcro. Inoltre nella notte del 14 agosto, alla vigilia della solennità dell’Assunta, l’immagine del Santissimo Salvatore veniva condotta in processione attraverso il Foro Romano fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore dove alle prime luci dell’alba avveniva l’incontro con l’icona della “Salus Populi Romani”.

L’altare cassaforte
Al di sotto della venerata immagine si imponente un altare di epoca carolingia su cui può celebrare solo il Papa: si presenta come una cassaforte chiusa da porte di bronzo e circondata da una massiccia grata di ferro, serrata da un sistema di lucchetti molto complessi. Sulle porte in bronzo del XIII secolo sono effigiate le figure dei santi Pietro e Paolo, a memoria delle due teste degli Apostoli che qui un tempo si conservavano. All’interno è racchiusa un’arca cipressina dei tempi di Leone III contenente numerose reliquie di santi dei primi secoli del cristianesimo e altre riconducibili alla vita di Gesù Cristo stesso: dai sandali di Nostro Signore alle teste delle sante Agnese o Prassede. Erano custodite in preziosi reliquiari e teche medievali, dal 1905 esposti nel Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana, oggi parte del percorso di visita dei Musei Vaticani sotto la responsabilità del Reparto Arti Decorative.

Il frammento del triclinio dell’Ultima Cena
Sulla parete antistante la porta di ingresso della cappella è conservato invece in un reliquiario di legno e cristallo un frammento di legno che la tradizione identifica con una parte del triclinio su cui Gesù era adagiato durante l’Ultima Cena, il Giovedì Santo.

Il silenzio e il mistero si avvolgono chi accede in questo ambiente caratterizzato da una sacralità senza tempo. “Non est in toto sanctior orbe locus” recita il cartiglio lungo la parete: non esiste al mondo luogo più santo di questo.

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Preghiamo per il dolce Cristo in terra

Posté par atempodiblog le 23 février 2025

Preghiamo per il dolce Cristo in terra dans Citazioni, frasi e pensieri Il-Santo-Padre-e-la-Mamma-del-Cielo

“Dove c’è Pietro vi è la Chiesa. E dove c’è la Chiesa non c’è la morte, ma la Vita Eterna”. (S. Ambrogio)

Preghiamo per il Papa, dolce Vicario di Cristo in terra, per la sua salute, per il suo spirito e la sua anima. Preghiamo per lui e per la Chiesa, perché nell’ora della prova possiamo, uniti a Pietro, restare uniti in Cristo nel vincolo della Carità, unico segno credibile di fronte al mondo.

di don Antonello Iapicca

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Uniti al Santo Padre

Posté par atempodiblog le 19 février 2025

Uniti al Santo Padre dans Amicizia Uniti-al-Santo-Padre

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La monaca santa dei Ponti Rossi

Posté par atempodiblog le 16 février 2025

La monaca santa dei Ponti Rossi
La Beata Maria Giuseppina di Gesù crocifisso. Padre Pio le disse: “Ci santificheremo insieme”.
di Francesco Bosco – Voce di Padre Pio

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Una bambina come tante
Giuseppina Catanea nasce a Napoli il 18 febbraio 1896, da Francesco, impiegato ferroviario a Benevento, e Concetta dei marchesi Grimaldi. Terzogenita di una famiglia devota e amorevole, viene battezzata pochi giorni dopo la nascita. “Pinella”, così viene affettuosamente chiamata in famiglia, si distingue per la sua salute delicata, ma per il resto appare una bambina come tutte le altre, dimostrando una profonda spiritualità.
Nonostante sia solo una bambina, frequenta da sola la Chiesa di Santa Caterina e si dedica ad aiutare i bisognosi. Sebbene la sua salute fragile la costringa spesso ad assentarsi da scuola, riesce comunque a eccellere negli studi.
Nel settembre 1908, la sorella maggiore Antonietta entra nel monastero carmelitano dei Santi Giovanni e Teresa. Giuseppina l’accompagna, e quel momento segna l’inizio di una forte attrazione verso la vita monastica. Tuttavia, decide di accantonare temporaneamente l’idea, legata com’è alla madre alla quale è molto affezionata. Per un periodo pensa persino di costruirsi una vita matrimoniale, ma ben presto si rende conto che il suo destino è altrove, vicino a Dio. Riceve alcune proposte di matrimonio che rifiuta con cortesia. Tuttavia, uno dei suoi pretendenti, risentito dal rifiuto, arriva persino a ferirla con un’arma da caccia. Invece di denunciare l’accaduto, Giuseppina decide di tacere, coprendo ferita con un’immagine della Madonna e lasciando che guarisse da sola.
Nel frattempo la sorella Antonietta, costretta a lasciare il monastero per motivi di salute, viene scelta dal suo direttore spirituale, padre Romualdo di Sant’Antonio, per fondare un nuovo Carmelo a Napoli. Viene considerata una missione voluta da Dio e accolta con fede dalla famiglia.
Il 15 agosto 1910 Antonietta inizia la sua nuova vita religiosa in due modeste stanze prese in affitto dalle suore Betlemite a Santa Maria dei Monti, sui Ponti Rossi. Qui, il 22 ottobre, riceve l’abito carmelitano e prende il nome di suor Maria Teresa.

Quadro-Miracoloso-di-san-Giuseppe-ai-Ponti-Rossi-di-Napoli dans Fede, morale e teologia

Una irresistibile chiamata
Anche Giuseppina è presente alla cerimonia, celebrata nella Chiesa di Santa Teresa al Museo, e avverte nuovamente il richiamo alla vita consacrata.
Il 2 aprile 1913, viene benedetta la cappella della nuova casa, un segno che il sogno del Carmelo di Napoli si sta realizzando.
Dopo lunghe preghiere e riflessioni, Giuseppina comprende che deve seguire il suo cuore e rispondere alla chiamata di Dio. Comunica la sua decisione alla madre e alle zie, che si oppongono fermamente, ma lei risponde con determinazione: “Non posso più far attendere Colui che mi chiama”. Decide quindi di unirsi al Terz’Ordine Carmelitano, ricevendo lo scapolare come segno di appartenenza alla famiglia carmelitana.
Il 10 marzo 1918, prende la decisione definitiva. Chiede alla madre il permesso di andare ai Ponti Rossi per partecipare alla novena in onore di san Giuseppe. La madre acconsente, pensando che il cambio d’aria possa aiutarla a guarire definitivamente dagli attacchi d’angina. Tuttavia, Giuseppina non tornerà mai più a casa: la sua permanenza nel monastero si prolunga a causa dei bombardamenti della Prima Guerra Mondiale e dell’epidemia della “spagnola”.
A Natale si ammala. Il medico le diagnostica una bronco-pleurite che si aggrava fino a diventare polmonite doppia. Le condizioni peggiorano ulteriormente quando sviluppa una broncoalveolite, ma non perde la speranza, e sopporta le sofferenze offrendo tutto a Dio.
Nel novembre del 1920, decide di entrare definitivamente in monastero, nonostante le pressioni dei familiari per farla tornare a casa.
Poco dopo, la sua salute subisce un ulteriore colpo: viene colpita da tubercolosi alla spina dorsale, paralisi completa e meningismo spinale. Nonostante queste prove dolorose, Giuseppina cerca di abbracciare la volontà di Dio con serenità, mentre le sue consorelle pregano per la sua guarigione.

Quel misterioso vento
Nella primavera del 1923, ha un sogno che segna un punto di svolta nella sua vita: le appare un santo vestito di nero e una voce che accompagna la visione dice: “San Francesco ti ha guarita dal tuo male”. Quando padre Romualdo le porta un’immaginetta di san Francesco Saverio, Giuseppina riconosce immediatamente il Santo del sogno.
Il 26 giugno, la reliquia del braccio del Santo viene portata nella sua cella: subito dopo un misterioso vento la spinge a rialzarsi. Quella che sembrava una paralisi permanente scompare, e Giuseppina riesce a stare in piedi e a camminare, tra le grida di gioia delle sue consorelle. E’ un vero miracolo.
Da quel momento, inizia per lei, un nuovo tipo di apostolato. In parlatorio accoglie persone di ogni ceto sociale, offrendo conforto, consigli e preghiere.
Dopo un lungo percorso, che condusse Giuseppina anche a Roma in udienza da Papa Pio XI, arrivò l’approvazione pontificia del monastero nel 1932.
Un anno più tardi, Giuseppina e le altre monache ricevono ufficialmente l’abito carmelitano, e lei diventa suor Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso. La sua missione è quella di portare la luce di Dio a tutti coloro che la cercano.
Maria Jose, la futura regina d’Italia, viene a raccomandarle la sua creatura che sta per nascere. I suoi prediletti però sono i poveri e gli infelici.
È solita dire: “Lo dico a Gesù”.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Carmelo sperimenta, grazie a suor Giuseppina, una speciale protezione di Dio. Nonostante le bombe che cadono, tanta gente va da lei a chiedere la sua preghiera e notizie dei soldati lontani. Ella soffre l’indicibile e chiede continuamente a Dio la fine del conflitto armato. Consola, prega, ottiene l’impossibile. Vede il futuro il crollo del fascismo, l’Italia che rinasce.

Per Padre Pio era l’eletta di Dio
Sicuramente la santa monaca già conosceva Padre Pio, ma è dal 1940 che affiorano documenti che segnalano un rapporto di figliolanza spirituale quando dopo aver lanciato il suo grido di aiuto, Padre Pio dal Gargano le rispondeva tramite i comuni amici: “L’amato Padre Pio vi ha nel cuore quale eletta di Dio”.
All’inizio del 1944 dolori atroci stritolano il suo corpo lentamente, perde la vista, ma il suo sguardo rimane bello e luminoso.
La notte del 28 settembre Gesù le anticipa: “Sarà stentata la tua vita”.
I medici diagnosticano la sua nuova malattia: sclerosi a placche.
Continua a pregare: “Gesù, trasfigurami in Te”. Nonostante le sue condizioni, nel 1945 viene eletta priora e guida la comunità con dolcezza e determinazione.
Madre Giuseppina mantiene sempre il sorriso e la forza d’animo e continua ad accogliere i fedeli con parole di conforto e speranza.
Nel 1947, una donna napoletana dopo essersi confessata da Padre Pio, gli domanda: “Madre Giuseppina le manda a dire che vuole salvarsi l’anima. Se crede, le dica una parola per l’anima sua”. Padre Pio sorride e risponde: “Vuole salvarsi l’anima?”, poi con tono di voce appassionato, afferma: “Dille che le mando una fiumana di benedizioni, tutti i sorrisi degli angeli del Paradiso, e che ci santificheremo insieme”.
Le sue ultime parole mostrano una profonda accettazione della volontà di Dio: “E’ infermità della volontà di Dio”.
Riceve gli ultimi Sacramenti.
Offre le sofferenze atroci, le preghiere, la vita, per i sacerdoti, per i più lontani da Dio, per l’avvenire dell’Italia, per la Chiesa.
Prega intensamente: “Gesù, sii per me Gesù, sii per tutti Gesù”.
Muore serenamente il 14 marzo 1948, domenica di Passione. Pochi giorni prima, Padre Pio da Pietrelcina le aveva mandato a dire: “Prego tanto il Signore che l’aiuti nel suo olocausto, che sia sempre merito per sé, per le anime, per la gloria del Signore. Un giorno quando ci sarà dato di vedere la luce del pieno meriggio allora conosceremo quale valore e quali tesori siano state le sofferenze terrene che ci avranno fatto guadagnare tanto per la patria che non avrà fine. Dalle anime generose e innamorate, aspetta eroismi per giungere dopo l’ascesa al Calvario, al monte dell’Ascensione”.
Nel 1987 Papa Giovanni Paolo II la dichiarò Venerabile, mentre nel 2008 Papa Benedetto XVI la proclamò Beata. Oggi è conosciuta come la “monaca santa” dei Ponti Rossi.

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L’universo esprime un’armonia musicale

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2025

L’universo esprime un’armonia musicale
di Corrado Gnerre – Il Cammino dei Tre Sentieri

L’universo esprime un’armonia musicale dans Articoli di Giornali e News Il-ciclo-del-Sole-tradotto-in-note-diventa-una-sinfonia

Che cos’é l’armoniaIl dizionario risponde che l’armonia è una consonanza di voci o di strumenti in accordo tra loro. La parola chiave è “accordo”. Essa sottende l’ordine e il perfetto combaciamento.

La creazione può essere logicamente spiegata solo come effetto del Bene. Dio, infatti, deve essere concepito necessariamente come assoluto e, in quanto assoluto, non può aver alcun bisogno. Dunque, la causa prima non può che aver creato per pura gratuità. La pura gratuità è l’amore, dunque il Bene.

John Ronald Reuel Tolkien nel Simmarillon narra la creazione come una musica e poi precisa che il male nasce nel momento in cui s’inserisce la stonatura, ovvero lo stridore di Melkor.

I Pitagorici, al di là di certi errori insiti nel loro pensiero, insistevano sul fatto che l’universo esprimesse una vera e propria musica; nella convinzione, cioè, che esso si fondasse per l’appunto sull’armonia.

Recentemente ansa.it ha riportato:

Una sinfonia che diventa sempre più incalzante, in un crescendo man mano che il Sole si avvicina al picco di attività nel suo ciclo di 11 anni: gli ultimi 3 anni di brillamenti solari sono stati tradotti in note musicali e trasformati in un video musicale dall’Agenzia Spaziale Europea grazie ai dati raccolti dalla sua sonda Solar Orbiter, che studia la nostra stella dal 2020.

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Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare

Posté par atempodiblog le 16 janvier 2025

Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare
Intervista con l’arcivescovo visitatore apostolico inviato da Papa Francesco nella parrocchia delle presunte apparizioni: è lui a leggere preventivamente i messaggi attribuiti alla “Regina della Pace” e ad autorizzarne la pubblicazione
di Andrea Tornielli – Vatican News
Tratto da: Radio Maria

Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare dans Andrea Tornielli Radio-Vaticana-Andrea-Tornielli-e-il-Nunzio-Apostolico-Cavalli

«Medjugorje è un posto normale, senza alcuna cosa speciale ed è divenuto per grazia un luogo spirituale dove le persone vengono da ogni parte del mondo. Vengono, e lì cominciano a pregare». Lo afferma in un’intervista con i media vaticani l’arcivescovo Aldo Cavalli, 78 anni, lecchese, una vita trascorsa al servizio della Santa Sede nelle nunziature, che nel novembre 2021 è stato inviato da Papa Francesco come visitatore apostolico nel piccolo paese della Bosnia ed Erzegovina divenuto negli ultimi quarant’anni uno dei centri mariani più visitati del mondo. Il 2024 è stato un anno importante per Medjugorje: lo scorso maggio il Dicastero per la dottrina della fede ha pubblicato le nuove norme sui presunti fenomeni soprannaturali che facilitano il via libera alla devozione senza impegnare la Santa Sede nella dichiarazione di soprannaturalità. E a settembre è stata divulgata la nota intitolata “La Regina della Pace”, dedicata all’esperienza spirituale di Medjugorje, che assegna al fenomeno mariano il “nulla osta”, cioè il riconoscimento più alto tra quelli previsti dalle nuove norme. Da allora i “presunti messaggi” che i veggenti ricevono vengono pubblicati «con approvazione ecclesiastica».

Già da qualche anno lei vive nella parrocchia di Medjugorje e incontra i pellegrini. Qual è stata la sua esperienza?
A Medjugorje non ero mai stato. Però sono italiano, e come tanti del mio Paese avevo avuto contatti con chi ci era andato. Sempre notavo, quando tornavano da Medjugorje, che queste persone erano più impegnate a livello spirituale e umano: in chiesa, nelle catechesi, nel fare il bene. Erano molto più impegnate di prima. Ora sono lì da tre anni: è un luogo normale, senza nessuna cosa speciale ed è divenuto per grazia un luogo spirituale dove le persone vengono da ogni parte del mondo. Vengono e lì cominciano a pregare. Entrano in comunione con il Signore Gesù e la Vergine Maria li accompagna. È un pregare semplice: vogliono cambiare vita, vivere meglio di prima, vogliono risolvere o affrontare bene i problemi che hanno. Un cambiamento che si chiama conversione, che si attua in particolare nel sacramento della penitenza. Questo accade normalmente a Medjugorje.

Che cosa la colpisce guardando ai tanti pellegrini?
Arrivano giovani e adulti. Vengono senza alcuna sponsorizzazione. Arrivano tutti con uno scopo: incontrare il Signore e la Vergine Maria. Non trovano niente da vedere o da visitare: come turismo religioso siamo a zero. Ma qui giovani e adulti cominciano a pregare. Ero appena arrivato, a febbraio di tre anni fa, e mi trovavo tra le panchine all’aperto dietro la chiesa. Viene una famiglia latinoamericana, con un ragazzo quindicenne che era un ribelle, un vero ribelle! Dopo appena cinque minuti è venuto a confessarsi… e i genitori lo guardavano sorpresi. È un luogo di grazia che il Signore ha scelto per farsi incontrare. Il nulla osta del Papa vuol dire: andate, andate, andate! Andate lì perché è un luogo di grazia, dove si incontra il Signore e il Signore ti incontra.

Grazie alle nuove norme volute da Papa Francesco, ora il procedimento per esaminare e pronunciarsi su questi casi punta più sui frutti spirituali.
Il Dicastero per la Dottrina della fede ha esaminato due punti che sono documentabili. Il primo riguarda i frutti. A Medjugorje vengono da ogni parte del mondo, in migliaia e migliaia. Quest’anno sono venuti due milioni di persone adulti e giovani. Quasi 50.000 preti sono venuti per pregare, per convertirsi. Poi altri frutti molto importanti sono le tante vocazioni. Tante persone che pregano. Il secondo elemento che è stato esaminato sono i messaggi. Ogni messaggio è stato confrontato con la nostra fede e si è constatato che i messaggi vi corrispondono. Frutti molto positivi, e i messaggi positivi per la fede: questo ha permesso di dire che Medjugorje è un luogo di grazia.

Lei è personalmente coinvolto nella pubblicazione dei messaggi che vengono divulgati una volta al mese. Che cosa accade concretamente?
È molto semplice: quando c’è un messaggio, chi l’ha ricevuto lo scrive e me lo invia nella lingua in cui scrive, cioè il croato. Me lo traducono subito in italiano. Questo processo è molto interessante: ci sono almeno due mediazioni umane molto importanti: per quello che parliamo sempre di “presunti messaggi” anche se siamo in favore al punto che alla fine del messaggio scriviamo: “con approvazione ecclesiastica”. Ma attenzione, i messaggi sono definiti “presunti” perché passano attraverso due mediazioni umane: non scrive la Madonna, scrive la persona che riceve. La seconda mediazione è la traduzione dal croato all’italiano: sono due lingue totalmente differenti. Noi diciamo che il messaggio va bene, che corrisponde alla fede e invitiamo a leggerlo e meditarlo perché è positivo. Non aggiunge nulla alla Rivelazione, però arricchisce. Aiuta a vivere meglio la fede oggi.

Sappiamo che nessuna rivelazione privata, dunque nessuna delle apparizioni mariane, aggiunge niente alla Rivelazione. Quale atteggiamento dobbiamo avere e quali rischi evitare? Perché talvolta c’è il rischio di lasciarsi prendere da un eccesso di curiosità verso i “segreti”, una curiosità un po’ apocalittica.
Il Dicastero per la Dottrina della fede lo scorso maggio ha pubblicato delle norme che sono fondamentali per capire la decisione su Medjugorje. Ha ricordato che prima cosa la Rivelazione, la Parola di Dio, è solo la Bibbia è che questa Rivelazione si è conclusa con l’Apocalisse. Ciò non toglie che lo Spirito Santo si possa servire di messaggi e di rivelazioni private affidate a persone e che servono per attuare meglio l’unica vera Rivelazione. Tutto questo non aggiunge niente alla Rivelazione, ma può essere utile. Ecco l’importanza dei messaggi. Possono essere utili per attuare oggi la Rivelazione che il Signore ha fatto una volta per sempre.

Lei ha conosciuto i veggenti di Medjugorje? Li ha incontrati?
Sì. E posso dire che sono persone semplici, hanno la loro famiglia, hanno i problemi che ha ogni famiglia.

Scusi se la interrompo: qualcuno aveva fatto un’obiezione per il fatto che nessuno di loro era diventato prete o suora…
Ma ognuno ha la sua vocazione! Sono persone semplici, persone buone. Non ho niente da dire. Ci vediamo spesso, prendiamo il caffè insieme. Sono persone che crescono nella fede, ognuno alla propria maniera, e diventano sapienti, sempre più sapienti. Sto in contatto con loro: non sono diventati preti o suore e ognuno ha la sua missione, la sua vita di famiglia.

Che cosa ha imparato in questi tre anni trascorsi nella parrocchia di Medjugorje?
Che lì c’è la grazia. Ho imparato che il Signore, con la sua grazia, ci segue sempre. Ho imparato che il Signore nella nostra vita ha un piano e ci accompagna. Ci vuole bene.

A Medjugorje la Madonna si è definita “Regina della Pace”. Un messaggio quanto mai attuale in questo nostro tempo.
Uno dei primi presunti messaggi, del 1981, è molto profondo a questo proposito. Dice: pace, pace, pace che regni la pace. Attenzione: non tra di noi, ma innanzitutto tra Dio e noi, e poi anche tra di noi. Questo è fondamentale. Quando gli ebrei sono usciti dall’Egitto, Dio ha detto tramite il profeta Mosè: se volete vivere liberi, ci sono alcune regole da seguire, sono i Comandamenti. Dio per la pace è fondamentale. Nei comandamenti ci vengono dette poche cose per vivere: rispettare la vita e non uccidere, la famiglia è fondamentale punto di riferimento, rispettiamoci a vicenda. Se viviamo così viviamo in pace. Se invece non viviamo così ci sono le guerre.

Un’altra caratteristica che rende particolarmente attuale il messaggio di Medjugorje è il fatto che la presunta apparizione sia avvenuta in una terra dove convivono religioni diverse e che è stata segnata in tempi recenti da violenze terribili. Ci sono messaggi che toccano questo tema. Che cosa può dire in proposito?
La parola che usiamo è dialogo. Dia logos, dialogo tra di noi, ma logos vuol dire: io ti presento la mia identità, ti presento il mio modo di vivere, di pensare, di credere, di attuare. Tu mi presenti la tua identità. Dialogando ci conosciamo, ognuno mantenendo la sua identità. Se perdiamo l’identità, non dialoghiamo più. E allora viene la tragedia. Lì ci sono diverse religioni, diversi modi di vivere. Dobbiamo dialogare. E lì noi a Medjugorje abbiamo una identità chiara: il Signore Gesù Cristo è per noi l’unico Signore.

Le nuove norme pubblicate lo scorso maggio dal Dicastero per la Dottrina della fede sono espressione dell’animo pastorale di Papa Francesco e corrispondono all’atteggiamento di grande attenzione verso la fede dei semplici e la devozione popolare. Quanto è importante questo aspetto?
Dobbiamo mettere dei punti di riferimento di fede molto forti. La fede popolare si arricchisce mettendo come punto di riferimento la Madre di Dio e punto di riferimento assoluto, il Signore Gesù Cristo. La Madre di Dio che ti accompagna a questo incontro. Quando la gente semplice viene con tutti i suoi problemi, si incontra con la Madre di Dio che ha sofferto come loro. L’immagine della Vergine Addolorata c’è in quasi tutte le parrocchie: lei che ha sofferto come te, e ti accompagna al Signore Gesù che ti dà la forza per vivere bene. Cambiare vita non è lasciare la famiglia, lasciare il lavoro… quando ritorni nella vita di prima, sei cambiato dentro. Sai che con il Signore posso affrontare i problemi. Ecco la fede dei semplici. Ecco il Rosario, l’Eucaristia e l’adorazione eucaristica. La scorsa estate avevo davanti a me 30/40 mila giovani che stavano in adorazione in un silenzio assoluto. Lì, in quel pane trasformato, c’è la presenza reale, sostanziale del Signore Gesù Cristo. Lui mi guarda, io lo guardo, Lui mi parla, io gli parlo. Quante persone mi han detto: io lì ho sentito il Signore che mi ha parlato.

Da quanto ci ha raccontato e da quanto abbiamo letto nella Nota del Dicastero sul fenomeno di Medjugorje, si può concludere rivolgendo l’invito a tutti di compiere questo pellegrinaggio?
Il documento vuol dire in modo ben chiaro: andate a Medjugorje perché è un luogo di grazia.

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Banneux/ La Madonna ha dato alla sorgente un significato cristologico ben preciso

Posté par atempodiblog le 14 janvier 2025

Banneux/ La Madonna ha dato alla sorgente un significato cristologico ben preciso
di padre Livio Fanzaga – Radio Maria

La Vergine dei poveri di Banneux dans Apparizioni mariane e santuari La-Vergine-dei-Poveri-di-Leon-Jamin
La Vergine dei Poveri di Leon Jamin

La Madonna, a Banneux, nell’interpretazione del significato della sorgente svolge un ruolo particolare, che possiamo anche evidenziare sotto il profilo teologico perché dice: “questa sorgente è riservata per me”. Crea un intimo rapporto tra Lei e la sorgente. Le dà un significato profondamente cristologico: la sorgente è Cristo.
La Madonna che dal giardino, dove appare, indietreggia e guida Mariette lungo la via e la porta fino alla sorgente, sta ad indicare una mariologia simbolica straordinaria: la Madonna mediatrice tra noi e Gesù Cristo, “ad Jesum per Mariam” (san Bernardo).
È la Madonna che ci conduce a Cristo, sorgente d’acqua viva. Quando la Madonna invita a mettere le mani nella sorgente, ci invita ad attingere le grazie da Colui che è la fonte di ogni grazia: Gesù Cristo, “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1,14.16).
La Madonna ha dato alla sorgente un significato cristologico ben preciso.

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