Il Papa della misericordia

Posté par atempodiblog le 21 avril 2025

Il Papa della misericordia
di Andrea Tornielli – Vatican News

Il nostro Santo Padre Francesco è nato in Cielo dans Papa Francesco I Papa-Francesco

«La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare. Siamo troppo poveri per porre le condizioni, abbiamo bisogno di perdonare, perché abbiamo bisogno di essere perdonati». Se c’è un messaggio che più di ogni altro ha caratterizzato il pontificato Francesco e che è destinato a rimanere, è quello della misericordia.

Il Papa ci ha lasciato improvvisamente questa mattina, dopo aver dato l’ultima benedizione Urbi et Obi nel giorno di Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, dopo aver fatto l’ultimo giro tra la folla, per benedire e salutare.

Tanti sono stati i temi affrontati dal primo Pontefice argentino nella storia della Chiesa, in particolare l’attenzione verso i poveri, la fratellanza, la cura della Casa comune, il no deciso e incondizionato alla guerra. Ma il cuore del suo messaggio, quello che certamente ha fatto più breccia, è il richiamo evangelico alla misericordia. A quella vicinanza e tenerezza di Dio verso chi si riconosce bisognoso del suo aiuto. La misericordia come «l’aria da respirare», cioè ciò di cui abbiamo più necessità, senza la quale sarebbe impossibile vivere.

Tutto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio è stato vissuto all’insegna di questo messaggio, che è il cuore del cristianesimo. Fin dal primo Angelus recitato il 17 marzo 2013 dalla finestra di quell’appartamento papale che non avrebbe mai abitato, Francesco ha parlato della centralità della misericordia, ricordando le parole dettegli da un’anziana signora venuta a confessarsi quando lui era da poco vescovo ausiliare di Buenos Aires: «Il Signore perdona tutto… Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe».

Il Papa venuto «dalla fine del mondo» non ha apportato cambiamenti agli insegnamenti della bimillenaria tradizione cristiana, ma riportando in modo nuovo la misericordia al centro del suo magistero, ha cambiato la percezione che tanti avevano della Chiesa. Ha testimoniato il volto materno di una Chiesa che si china su chi è ferito e in particolare su chi è ferito dal peccato. Una Chiesa che fa il primo passo verso il peccatore, proprio come Gesù fece a Gerico, invitandosi a casa dell’impresentabile e odiato Zaccheo, senza chiedergli nulla, senza precondizioni. Ed è perché si è sentito per la prima volta guardato e amato così, che Zaccheo si è riconosciuto peccatore trovando in quello sguardo del Nazareno la spinta per convertirsi.

Tanta gente, duemila anni fa, si è scandalizzata vedendo il Maestro entrare proprio nella casa del pubblicano di Gerico. Tanta gente si è scandalizzata in questi anni per i gesti di accoglienza e di vicinanza del Pontefice argentino verso ogni categoria di persone, in special modo per “impresentabili” e peccatori. Nella sua prima omelia a una messa con il popolo, nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, Francesco disse: «Quanti di noi forse meriterebbero una condanna! E sarebbe anche giusta. Ma Lui perdona! Come? Con la misericordia che non cancella il peccato: è solo il perdono di Dio che lo cancella, mentre la misericordia va oltre. È come il cielo: noi guardiamo il cielo, tante stelle, ma quando viene il sole al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono. Così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza, perché Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza».

Durante tutti gli anni del suo pontificato, il 266° successore di Pietro ha mostrato il volto di una Chiesa vicina, capace di testimoniare tenerezza e compassione, accogliendo e abbracciando tutti, anche a costo di correre dei rischi e senza preoccuparsi delle reazioni dei benpensanti. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade – aveva scritto Francesco in “Evangelii gaudium”, la road map del suo pontificato – piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Una Chiesa che non confida nelle capacità umane, nel protagonismo degli influencer che rimandano solo a sé stessi e nelle strategie del marketing religioso, ma si fa trasparente per far conoscere il volto misericordioso di Colui che l’ha fondata e la fa vivere, nonostante tutto, da duemila anni.

È quel volto e quell’abbraccio che tanti hanno riconosciuto nel vecchio Vescovo di Roma venuto dall’Argentina, che aveva iniziato il suo pontificato andando a pregare per i migranti morti in mare a Lampedusa, e l’ha concluso immobilizzato in sedia a rotelle, spendendosi fino all’ultimo istante per testimoniare al mondo l’abbraccio misericordioso di un Dio vicino e fedele nell’amore verso tutte le sue creature.

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Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare

Posté par atempodiblog le 16 janvier 2025

Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare
Intervista con l’arcivescovo visitatore apostolico inviato da Papa Francesco nella parrocchia delle presunte apparizioni: è lui a leggere preventivamente i messaggi attribuiti alla “Regina della Pace” e ad autorizzarne la pubblicazione
di Andrea Tornielli – Vatican News
Tratto da: Radio Maria

Il nunzio Cavalli: Medjugorje luogo di grazia scelto dal Signore per farsi incontrare dans Andrea Tornielli Radio-Vaticana-Andrea-Tornielli-e-il-Nunzio-Apostolico-Cavalli

«Medjugorje è un posto normale, senza alcuna cosa speciale ed è divenuto per grazia un luogo spirituale dove le persone vengono da ogni parte del mondo. Vengono, e lì cominciano a pregare». Lo afferma in un’intervista con i media vaticani l’arcivescovo Aldo Cavalli, 78 anni, lecchese, una vita trascorsa al servizio della Santa Sede nelle nunziature, che nel novembre 2021 è stato inviato da Papa Francesco come visitatore apostolico nel piccolo paese della Bosnia ed Erzegovina divenuto negli ultimi quarant’anni uno dei centri mariani più visitati del mondo. Il 2024 è stato un anno importante per Medjugorje: lo scorso maggio il Dicastero per la dottrina della fede ha pubblicato le nuove norme sui presunti fenomeni soprannaturali che facilitano il via libera alla devozione senza impegnare la Santa Sede nella dichiarazione di soprannaturalità. E a settembre è stata divulgata la nota intitolata “La Regina della Pace”, dedicata all’esperienza spirituale di Medjugorje, che assegna al fenomeno mariano il “nulla osta”, cioè il riconoscimento più alto tra quelli previsti dalle nuove norme. Da allora i “presunti messaggi” che i veggenti ricevono vengono pubblicati «con approvazione ecclesiastica».

Già da qualche anno lei vive nella parrocchia di Medjugorje e incontra i pellegrini. Qual è stata la sua esperienza?
A Medjugorje non ero mai stato. Però sono italiano, e come tanti del mio Paese avevo avuto contatti con chi ci era andato. Sempre notavo, quando tornavano da Medjugorje, che queste persone erano più impegnate a livello spirituale e umano: in chiesa, nelle catechesi, nel fare il bene. Erano molto più impegnate di prima. Ora sono lì da tre anni: è un luogo normale, senza nessuna cosa speciale ed è divenuto per grazia un luogo spirituale dove le persone vengono da ogni parte del mondo. Vengono e lì cominciano a pregare. Entrano in comunione con il Signore Gesù e la Vergine Maria li accompagna. È un pregare semplice: vogliono cambiare vita, vivere meglio di prima, vogliono risolvere o affrontare bene i problemi che hanno. Un cambiamento che si chiama conversione, che si attua in particolare nel sacramento della penitenza. Questo accade normalmente a Medjugorje.

Che cosa la colpisce guardando ai tanti pellegrini?
Arrivano giovani e adulti. Vengono senza alcuna sponsorizzazione. Arrivano tutti con uno scopo: incontrare il Signore e la Vergine Maria. Non trovano niente da vedere o da visitare: come turismo religioso siamo a zero. Ma qui giovani e adulti cominciano a pregare. Ero appena arrivato, a febbraio di tre anni fa, e mi trovavo tra le panchine all’aperto dietro la chiesa. Viene una famiglia latinoamericana, con un ragazzo quindicenne che era un ribelle, un vero ribelle! Dopo appena cinque minuti è venuto a confessarsi… e i genitori lo guardavano sorpresi. È un luogo di grazia che il Signore ha scelto per farsi incontrare. Il nulla osta del Papa vuol dire: andate, andate, andate! Andate lì perché è un luogo di grazia, dove si incontra il Signore e il Signore ti incontra.

Grazie alle nuove norme volute da Papa Francesco, ora il procedimento per esaminare e pronunciarsi su questi casi punta più sui frutti spirituali.
Il Dicastero per la Dottrina della fede ha esaminato due punti che sono documentabili. Il primo riguarda i frutti. A Medjugorje vengono da ogni parte del mondo, in migliaia e migliaia. Quest’anno sono venuti due milioni di persone adulti e giovani. Quasi 50.000 preti sono venuti per pregare, per convertirsi. Poi altri frutti molto importanti sono le tante vocazioni. Tante persone che pregano. Il secondo elemento che è stato esaminato sono i messaggi. Ogni messaggio è stato confrontato con la nostra fede e si è constatato che i messaggi vi corrispondono. Frutti molto positivi, e i messaggi positivi per la fede: questo ha permesso di dire che Medjugorje è un luogo di grazia.

Lei è personalmente coinvolto nella pubblicazione dei messaggi che vengono divulgati una volta al mese. Che cosa accade concretamente?
È molto semplice: quando c’è un messaggio, chi l’ha ricevuto lo scrive e me lo invia nella lingua in cui scrive, cioè il croato. Me lo traducono subito in italiano. Questo processo è molto interessante: ci sono almeno due mediazioni umane molto importanti: per quello che parliamo sempre di “presunti messaggi” anche se siamo in favore al punto che alla fine del messaggio scriviamo: “con approvazione ecclesiastica”. Ma attenzione, i messaggi sono definiti “presunti” perché passano attraverso due mediazioni umane: non scrive la Madonna, scrive la persona che riceve. La seconda mediazione è la traduzione dal croato all’italiano: sono due lingue totalmente differenti. Noi diciamo che il messaggio va bene, che corrisponde alla fede e invitiamo a leggerlo e meditarlo perché è positivo. Non aggiunge nulla alla Rivelazione, però arricchisce. Aiuta a vivere meglio la fede oggi.

Sappiamo che nessuna rivelazione privata, dunque nessuna delle apparizioni mariane, aggiunge niente alla Rivelazione. Quale atteggiamento dobbiamo avere e quali rischi evitare? Perché talvolta c’è il rischio di lasciarsi prendere da un eccesso di curiosità verso i “segreti”, una curiosità un po’ apocalittica.
Il Dicastero per la Dottrina della fede lo scorso maggio ha pubblicato delle norme che sono fondamentali per capire la decisione su Medjugorje. Ha ricordato che prima cosa la Rivelazione, la Parola di Dio, è solo la Bibbia è che questa Rivelazione si è conclusa con l’Apocalisse. Ciò non toglie che lo Spirito Santo si possa servire di messaggi e di rivelazioni private affidate a persone e che servono per attuare meglio l’unica vera Rivelazione. Tutto questo non aggiunge niente alla Rivelazione, ma può essere utile. Ecco l’importanza dei messaggi. Possono essere utili per attuare oggi la Rivelazione che il Signore ha fatto una volta per sempre.

Lei ha conosciuto i veggenti di Medjugorje? Li ha incontrati?
Sì. E posso dire che sono persone semplici, hanno la loro famiglia, hanno i problemi che ha ogni famiglia.

Scusi se la interrompo: qualcuno aveva fatto un’obiezione per il fatto che nessuno di loro era diventato prete o suora…
Ma ognuno ha la sua vocazione! Sono persone semplici, persone buone. Non ho niente da dire. Ci vediamo spesso, prendiamo il caffè insieme. Sono persone che crescono nella fede, ognuno alla propria maniera, e diventano sapienti, sempre più sapienti. Sto in contatto con loro: non sono diventati preti o suore e ognuno ha la sua missione, la sua vita di famiglia.

Che cosa ha imparato in questi tre anni trascorsi nella parrocchia di Medjugorje?
Che lì c’è la grazia. Ho imparato che il Signore, con la sua grazia, ci segue sempre. Ho imparato che il Signore nella nostra vita ha un piano e ci accompagna. Ci vuole bene.

A Medjugorje la Madonna si è definita “Regina della Pace”. Un messaggio quanto mai attuale in questo nostro tempo.
Uno dei primi presunti messaggi, del 1981, è molto profondo a questo proposito. Dice: pace, pace, pace che regni la pace. Attenzione: non tra di noi, ma innanzitutto tra Dio e noi, e poi anche tra di noi. Questo è fondamentale. Quando gli ebrei sono usciti dall’Egitto, Dio ha detto tramite il profeta Mosè: se volete vivere liberi, ci sono alcune regole da seguire, sono i Comandamenti. Dio per la pace è fondamentale. Nei comandamenti ci vengono dette poche cose per vivere: rispettare la vita e non uccidere, la famiglia è fondamentale punto di riferimento, rispettiamoci a vicenda. Se viviamo così viviamo in pace. Se invece non viviamo così ci sono le guerre.

Un’altra caratteristica che rende particolarmente attuale il messaggio di Medjugorje è il fatto che la presunta apparizione sia avvenuta in una terra dove convivono religioni diverse e che è stata segnata in tempi recenti da violenze terribili. Ci sono messaggi che toccano questo tema. Che cosa può dire in proposito?
La parola che usiamo è dialogo. Dia logos, dialogo tra di noi, ma logos vuol dire: io ti presento la mia identità, ti presento il mio modo di vivere, di pensare, di credere, di attuare. Tu mi presenti la tua identità. Dialogando ci conosciamo, ognuno mantenendo la sua identità. Se perdiamo l’identità, non dialoghiamo più. E allora viene la tragedia. Lì ci sono diverse religioni, diversi modi di vivere. Dobbiamo dialogare. E lì noi a Medjugorje abbiamo una identità chiara: il Signore Gesù Cristo è per noi l’unico Signore.

Le nuove norme pubblicate lo scorso maggio dal Dicastero per la Dottrina della fede sono espressione dell’animo pastorale di Papa Francesco e corrispondono all’atteggiamento di grande attenzione verso la fede dei semplici e la devozione popolare. Quanto è importante questo aspetto?
Dobbiamo mettere dei punti di riferimento di fede molto forti. La fede popolare si arricchisce mettendo come punto di riferimento la Madre di Dio e punto di riferimento assoluto, il Signore Gesù Cristo. La Madre di Dio che ti accompagna a questo incontro. Quando la gente semplice viene con tutti i suoi problemi, si incontra con la Madre di Dio che ha sofferto come loro. L’immagine della Vergine Addolorata c’è in quasi tutte le parrocchie: lei che ha sofferto come te, e ti accompagna al Signore Gesù che ti dà la forza per vivere bene. Cambiare vita non è lasciare la famiglia, lasciare il lavoro… quando ritorni nella vita di prima, sei cambiato dentro. Sai che con il Signore posso affrontare i problemi. Ecco la fede dei semplici. Ecco il Rosario, l’Eucaristia e l’adorazione eucaristica. La scorsa estate avevo davanti a me 30/40 mila giovani che stavano in adorazione in un silenzio assoluto. Lì, in quel pane trasformato, c’è la presenza reale, sostanziale del Signore Gesù Cristo. Lui mi guarda, io lo guardo, Lui mi parla, io gli parlo. Quante persone mi han detto: io lì ho sentito il Signore che mi ha parlato.

Da quanto ci ha raccontato e da quanto abbiamo letto nella Nota del Dicastero sul fenomeno di Medjugorje, si può concludere rivolgendo l’invito a tutti di compiere questo pellegrinaggio?
Il documento vuol dire in modo ben chiaro: andate a Medjugorje perché è un luogo di grazia.

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Il cuore del Pastore e la fede del popolo

Posté par atempodiblog le 20 septembre 2024

Il cuore del Pastore e la fede del popolo
Il nulla osta per Medjugorje è stato possibile grazie al riconoscimento dei frutti positivi dell’esperienza spirituali vissuta in quel luogo e all’approccio pastorale del Papa
di Andrea Tornielli – Vatican News

Il cuore del Pastore e la fede del popolo dans Andrea Tornielli Gospa-Medjugorje

Il via libera ufficiale alla devozione e all’esperienza spirituale che ha avuto inizio a Medjugorje nel giugno 1981, quando sei ragazzi hanno raccontato di aver visto la Madonna, è stato possibile grazie agli abbondanti frutti positivi constatati in questa parrocchia visitata ogni anno da più di un milione di persone e in tutto il mondo: pellegrinaggi, conversioni, ritorno ai sacramenti, matrimoni in crisi che si ricostruiscono. È a questi elementi che ha sempre guardato Papa Francesco, fin quando era vescovo in Argentina: la pietà popolare che muove tante persone verso i santuari va accompagnata, corretta quando è necessario, ma non soffocata. Nel giudicare i presunti fenomeni soprannaturali bisogna sempre prestare attenzione proprio ai frutti spirituali. Corrisponde a questo sguardo del Successore di Pietro l’aver sganciato, grazie alle nuove norme pubblicate lo scorso maggio, il giudizio della Chiesa dalla più impegnativa dichiarazione di soprannaturalità. Quest’ultima potrà ancora esserci, ma non bisogna più attenderla per autorizzare culto, devozioni e pellegrinaggi, se non vi sono inganni o interessi nascosti, se i messaggi sono ortodossi e soprattutto si riscontrano tante esperienze positive.

Grazie al cuore di pastore di Francesco avviene dunque il pronunciamento su una delle apparizioni mariane più conosciute e più contrastate dell’ultimo secolo. Una decisione che non giunge a sorpresa. Già lo scorso maggio il cardinale Fernández, rispondendo a una domanda su Medjugorje, aveva detto: «Con queste norme pensiamo che sarà più facile andare avanti e arrivare a una conclusione». E non si tratta di un approccio inedito, come attestano le parole usate dall’allora cardinale Ratzinger nel libro intervista “Rapporto sulla fede”: «Uno dei nostri criteri è separare l’aspetto della vera o presunta “soprannaturalità” dell’apparizione da quello dei suoi frutti spirituali. I pellegrinaggi della cristianità antica si dirigevano verso luoghi a proposito dei quali il nostro spirito critico di moderni sarebbe talvolta perplesso quanto alla “verità scientifica” della tradizione che vi è legata. Ciò non toglie che quei pellegrinaggi fossero fruttuosi, benefici, importanti per la vita del popolo cristiano. Il problema non è tanto quello della ipercritica moderna (che finisce poi, tra l’altro, in una forma di nuova credulità) ma è quello della valutazione della vitalità e dell’ortodossia della vita religiosa che si sviluppa attorno a questi luoghi». Proprio Benedetto XVI, nel 2010, aveva affidato a una commissione guidata dal cardinale Ruini lo studio del fenomeno, e l’esito era stato favorevole.

La Nota intitolata “Regina della Pace” riconosce dunque la bontà dei frutti, presenta un giudizio complessivamente positivo dei tantissimi messaggi legati a Medjugorje che nel corso di questi anni sono stati divulgati, correggendo alcuni testi problematici e alcune interpretazioni che possono aver risentito dell’influenza soggettiva dei veggenti. A proposito degli ex ragazzi protagonisti del fenomeno, negli anni oggetto di controversie e anche di accuse, il documento chiarisce fin dalle prime righe che il nulla osta non implica un giudizio sulla loro vita morale e che in ogni caso i doni spirituali «non esigono necessariamente la perfezione morale delle persone coinvolte per poter agire». Al tempo stesso, proprio il fatto che sia stato concesso il nulla osta, sta a significare che non sono stati rilevati aspetti particolarmente critici o rischiosi, né tantomeno menzogne, falsificazioni o mitomanie.

La Nota del Dicastero valorizza i due nuclei centrali del messaggio di Medjugorje: quello della conversione e del ritorno a Dio e quello della pace. Quando il fenomeno ha avuto inizio e Maria si è presentata come “Regina della Pace”, nessuno poteva immaginare che proprio quelle terre sarebbero state teatro di cruenti scontri. Chi scrive è rimasto profondamente colpito, partecipando a un pellegrinaggio, dalle testimonianze degli amici e concittadini dei veggenti: persone che non erano in alcun modo implicate nelle apparizioni o nei messaggi, le quali, di fronte alle crudeltà della guerra che in quelle terre era stata combattuta anche tra vicini di casa, avevano saputo perdonare. E grazie alla loro esperienza di fede legata alle apparizioni di Medjugorje si erano riconciliati anche con chi si era macchiato di gravi violenze ai danni dei loro parenti. Un aspetto ben più “miracoloso” di tanti altri fenomeni di cui si parla attorno ai luoghi delle apparizioni.

L’autentico messaggio di Medjugorje, in fondo, sta in quei messaggi nei quali la Madonna relativizza sé stessa e invita a non andar dietro ai falsi profeti, a non cercare con curiosità notizie su “segreti” e previsioni apocalittiche, come si evince da un messaggio del novembre 1982: «Non andate in cerca di cose straordinarie, ma piuttosto prendete il Vangelo, leggetelo e tutto vi sarà chiaro».

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Con Pietro, sempre

Posté par atempodiblog le 13 mars 2024

Con Pietro, sempre
Undici anni di pontificato sulla via della misericordia e della pace
di Andrea Tornielli – Vatican News

Con Pietro, sempre dans Andrea Tornielli Non-possiamo-separarci-da-Pietro

Nel silenzio assordante della diplomazia, in un panorama caratterizzato dall’assenza sempre più evidente di iniziativa politica e di leadership capaci di scommettere sulla pace, mentre il mondo ha iniziato una folle corsa al riarmo destinando ai sofisticati strumenti di morte somme che basterebbero per assicurare due volte l’assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti della terra e ridurre significativamente le emissioni di gas serra, la solitaria voce di Papa Francesco continua a supplicare di far tacere le armi e a invocare il coraggio di favorire percorsi di pace. Continua a chiedere il cessate il fuoco in Terra Santa, dove allo spietato massacro del 7 ottobre attuato dai terroristi di Hamas è seguita e continua ad essere perpetrata la tragica carneficina di Gaza. Continua a chiedere di far tacere le armi nel tragico conflitto deflagrato nel cuore dell’Europa cristiana, nell’Ucraina distrutta e martoriata dai bombardamenti dell’esercito aggressore russo. Continua a invocare pace nelle altre parti del mondo dove si combattono con indicibili violenze i conflitti dimenticati che compongono i tasselli sempre più grandi di un conflitto mondiale.

Il Vescovo di Roma entra nel dodicesimo anno di pontificato in un’ora buia, con le sorti dell’umanità in balia del protagonismo di governanti incapaci di valutare le conseguenze delle loro decisioni che sembrano arrendersi all’ineluttabilità della guerra. E con lucidità e realismo dice che «è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo», cioè «chi ha il coraggio di negoziare», perché «negoziare è una parola coraggiosa», della quale non bisogna vergognarsi. Papa Francesco, sfidando le incomprensioni dei vicini e dei lontani, continua a mettere al centro la sacralità della vita, ad essere vicino alle vittime innocenti e a denunciare gli sporchi interessi economici che muovono i fili delle guerre ammantandosi di ipocrisia.

Un rapido sguardo a questi ultimi undici anni di storia fa comprendere il valore profetico della voce di Pietro. L’allarme, lanciato la prima volta due lustri fa, sulla terza guerra mondiale a pezzi. L’enciclica sociale Laudato si’ (2015), che ha mostrato come cambiamenti climatici, migrazioni, guerre, economia che uccide sono fenomeni interconnessi tra di loro e possono essere affrontati soltanto attraverso uno sguardo globale. La grande enciclica sulla fratellanza umana (Fratelli tutti, 2020), che ha indicato la via per costruire un mondo nuovo basato sulla fraternità, togliendo ancora una volta qualsiasi alibi all’abuso del nome di Dio per giustificare il terrorismo, l’odio e la violenza. E poi il costante riferimento nel suo magistero alla misericordia, che intesse tutta la trama di un pontificato missionario.

Nelle società secolarizzate, e “liquide” senza più certezze, nulla può essere dato per scontato e l’evangelizzazione – insegna Francesco – ricomincia dall’essenziale, come si legge in Evangelii gaudium (2013): «Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. [...] La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna».

La testimonianza della misericordia rappresenta dunque un elemento fondamentale di questo «amore salvifico di Dio» che è «previo all’obbligazione morale e religiosa». In altre parole, chi non è ancora venuto in contatto con il fatto cristiano, come aveva già osservato lucidamente Benedetto XVI nel maggio 2010, difficilmente rimarrà colpito e affascinato dall’affermazione di norme e obblighi morali, dall’insistenza sui divieti, dagli elenchi minuziosi dei peccati, dalle condanne, o dagli appelli nostalgici ai valori di un tempo.

All’origine dell’accoglienza, della vicinanza, della tenerezza, dell’accompagnamento, all’origine di una comunità cristiana capace di abbracciare e di ascoltare c’è il riverbero della misericordia che si è sperimentata e che si cerca – pur tra mille limiti e cadute – di restituire. Se si leggono con questi occhi i gesti del Papa, anche quelli che hanno provocato in alcuni le stesse reazioni scandalizzate che provocavano duemila anni fa i gesti di Gesù, se ne scopre la profonda forza evangelizzatrice e missionaria.

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Accuse assurde e infamanti

Posté par atempodiblog le 16 avril 2023

Accuse assurde e infamanti
A proposito delle presunte rivelazioni su Papa Wojtyla e il caso Orlandi
di Andrea Tornielli – Vatican News

Accuse assurde e infamanti dans Andrea Tornielli Giovanni-Paolo-II

Pensate che cosa sarebbe accaduto se qualcuno fosse andato in televisione ad affermare, sulla base di un “sentito dire” proveniente da una fonte anonima e senza lo straccio di un riscontro o testimonianza anche soltanto di terza mano, che vostro padre o vostro nonno di notte usciva di casa e insieme a qualche “compagno di merende” andava in giro a molestare ragazze minorenni. E immaginate che cosa sarebbe successo se il vostro parente, ormai defunto, fosse universalmente conosciuto e da tutti stimato, a motivo di qualche importante ruolo ricoperto. Non avremmo forse letto commenti ed editoriali indignati per il modo inqualificabile con cui è stata lesa la buona fama di questo grande uomo, amato da tanti?

È accaduto davvero, purtroppo, con san Giovanni Paolo II, Pontefice della Chiesa cattolica dal 16 ottobre 1978 al 2 aprile 2005. L’accusa è stata lanciata da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazza scomparsa nel centro di Roma in un pomeriggio di giugno del 1983. Pietro, in presenza del suo avvocato Laura Sgrò che annuiva, ha raccontato nel corso della trasmissione Di martedì condotta su La7 in prima serata da Giovanni Floris, che papa Wojtyla la notte usciva in compagnia di qualche monsignore per andare a cercare ragazzine. Il tutto è stato presentato come indiscrezione credibile, accompagnata da qualche sorrisino ammiccante, come se si parlasse di un segreto di Pulcinella. Prove? Nessuna. Indizi? Men che meno. Testimonianze almeno di seconda o terza mano? Neanche l’ombra. Solo anonime accuse infamanti.

Parole che Pietro Orlandi ha accompagnato all’audio attribuito ad un sedicente membro della Banda della Magliana il quale asserisce – anche lui senza prove, indizi, testimonianze, riscontri o circostanze – che Giovanni Paolo II “pure insieme se le portava in Vaticano quelle”, intendendo Emanuela e altre ragazze: per porre fine a questa “schifezza” il segretario di Stato di allora si sarebbe rivolto alla criminalità organizzata per risolvere il problema. Una follia. E non lo diciamo perché Karol Wojtyla è santo o perché è stato Papa. Anche se questo massacro mediatico intristisce e sgomenta ferendo il cuore di milioni di credenti e non credenti, la diffamazione va denunciata perché è indegno di un Paese civile trattare in questo modo qualunque persona, viva o morta, che sia chierico o laico, Papa, metalmeccanico o giovane disoccupato. È giusto che tutti rispondano degli eventuali reati, se ne hanno commessi, senza impunità alcuna o privilegi. È sacrosanto che si indaghi a 360 gradi per cercare la verità sulla scomparsa di Emanuela. Ma nessuno merita di essere diffamato in questo modo, senza neanche uno straccio di indizio, sulla base dei “si dice” di qualche sconosciuto personaggio del sottobosco criminale o di qualche squallido anonimo commento propalato in diretta Tv.

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Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia

Posté par atempodiblog le 1 avril 2020

Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia
On line sul sito della Libreria Editrice Vaticana “Forti nella tribolazione”, volume digitale a cura del Dicastero per la Comunicazione che raccoglie pronunciamenti del Papa, preghiere e meditazioni, indicazioni sui sacramenti
di Salvatore Cernuzio – Vatican Insider

Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia dans Andrea Tornielli Il-Vaticano-pubblica-un-e-book-per-pregare-e-non-perdere-il-senso-di-comunit-nel-tempo-della-pandem
Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia 

Nei giorni della quarantena, della desolazione sociale, del terrore suscitato dalle notizie apprese dai Tg o sul web per la pandemia di Covid-19 che sembra irrefrenabile, arriva dalla Santa Sede un aiuto per tutti i credenti. Si tratta di un libro dal titolo “Forti nella tribolazione”, da oggi disponibile gratuitamente sul sito internet della Libreria Editrice Vaticana. Pensato e curato dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, il volume vuole aiutare a scoprire la vicinanza di Dio in un periodo dove, guardandosi intorno, sembra di scorgere solo dolore, sofferenza, paura, solitudine.

Quasi un compendio, dunque, in 184 pagine per condividere, meditare, pregare tutti insieme, in modo da mantenere vivo il senso di comunità messo duramente alla prova dall’emergenza sanitaria. In sostanza, il servizio che i media vaticani hanno cercato di offrire sin dall’inizio della epidemia di coronavirus attraverso iniziative come “In prima linea”, il programma radiofonico in onda su 105 per dar voce a tutti coloro che in questi giorni aiutano gli altri, o semplicemente svolgendo il lavoro di canale di trasmissione delle parole del Papa. A cominciare da quelle pronunciate nelle omelie a Santa Marta, per volontà dello stesso Pontefice trasmesse ogni mattina alle 7 in streaming come segno di accompagnamento ai fedeli “digiuni” delle funzioni religiose.

Proprio le riflessioni mattutine del Pontefice compongono un’ampia sezione del volume. Assieme ad esse, gli Angelus e i vari interventi straordinari di Francesco sul tema a partire dal 9 marzo. Tra questi, anche la stupenda preghiera pronunciata dal Vescovo di Roma venerdì scorso, in piazza San Pietro, in occasione della benedizione straordinaria “Urbi et Orbi” per chiedere a Dio di porre fine all’ondata di sofferenza provocata dal coronavirus.

Più nel dettaglio, “Forti nella tribolazione” – che in copertina riporta una immagine dell’arcangelo Michele, protettore della Chiesa contro il male – si divide in tre sezioni. La prima è costellata di preghiere, riti e suppliche per i momenti difficili tratti dalla tradizione cristiana, come ad esempio le invocazioni per i malati, per la liberazione dal male, per affidarsi all’azione dello Spirito Santo. Preghiere che provengono da diverse Chiese nel mondo, ma anche da varie epoche storiche.

La seconda parte, invece, si basa sulle indicazioni delle autorità ecclesiastiche per continuare a vivere i sacramenti. Uno strumento utile in un tempo in cui, per prevenire il rischio di contagio, sono diventate una costante le celebrazioni «senza concorso di popolo» che suscitano non poche sofferenza nei credenti, soprattutto in vista della Pasqua. Le meditazioni nel libro vertono quindi sul tema della comunione spirituale spiegando anche come si ottiene il perdono dei peccati, nonostante l’impossibilità di confessarsi. Una indicazione, questa, già offerta ai fedeli da Papa Francesco attingendo al Catechismo della Chiesa cattolica. 

Infine la terza parte è, come detto, una summa degli interventi che il Pontefice ha fatto e che farà. Sì, anche quelli che «farà», perché il libro, pubblicato solo on line e non in edizione cartacea, sarà aggiornato più volte a settimana e arricchito con nuovi testi. È possibile scaricarlo più volte con un semplice click.

Il senso di tutta l’iniziativa viene spiegato nell’introduzione a firma di Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani: «Il libro è un tentativo di aiutare tutti in questo momento di angoscia e di tribolazione ad essere comunque forti, che vuol dire avere una speranza», si legge. «Vorrebbe essere un piccolo aiuto offerto a tutti, per saper scorgere e sperimentare nel dolore, nella sofferenza, nella solitudine e nella paura la vicinanza e la tenerezza di Dio. Certo, la fede non cancella il dolore, la comunione ecclesiale non toglie l’angoscia – scrive Tornielli -, ma illumina la realtà e la rivela abitata dall’amore e dalla speranza fondata non sulle nostre capacità, ma proprio su Colui che è fedele e non ci abbandona mai».

È possibile scaricare il libro cliccando Freccia dans Viaggi & Vacanze QUI

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Celibato, interviene la Santa Sede: “Per il Papa è un dono prezioso, la sua posizione è nota”

Posté par atempodiblog le 14 janvier 2020

Celibato, interviene la Santa Sede: “Per il Papa è un dono prezioso, la sua posizione è nota”
Il portavoce vaticano Matteo Bruni e il direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli dopo le anticipazioni del libro di Benedetto XVI e del cardinale Sarah: Francesco come Paolo VI che diceva di preferire di dare la vita prima di cambiare la legge sul celibato
di Salvatore Cernuzio – Vatican Insider

Celibato, interviene la Santa Sede: “Per il Papa è un dono prezioso, la sua posizione è nota” dans Andrea Tornielli Santo-Padre-Francesco

«La posizione del Santo Padre sul celibato è nota». Ed è quella ricalcata da tutti gli ultimi Pontefici, a cominciare da Paolo VI dal quale Francesco ha mutuato la nota frase: «Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato». Mentre incalza il dibattito – fragoroso sul web a colpi di tweet e post, più felpato nelle voci scambiate nei corridoi della Curia romana – per le anticipazioni sul libro di Benedetto XVI e il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino, la Santa Sede è intervenuta per chiarire alcuni punti fondamentali. A cominciare dalla «posizione», appunto, del Papa – il regnante, Francesco – su una questione controversa che ha animato le discussioni negli ultimi cinquant’anni, ancor più il Sinodo sull’Amazzonia con la proposta dei “viri probati”.

Una posizione certamente non aperturista, quella di Jorge Mario Bergoglio, come dimostrano i vari interventi sul tema riassunti in una breve nota del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, e in un’accurata analisi del direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli.

Due pubblicazioni che non vogliono costituire una memoria difensiva del Pontefice – dato che, fino a prova contraria, non gli viene imputata alcuna colpa -, ma uno strumento per ridimensionare l’acceso dibattito venutosi a creare con il nuovo intervento del Papa emerito. Lo stesso Pontefice che aveva promesso silenzio e nascondimento dopo le sue dimissioni, ma che per la terza volta in questi sette anni ha reso pubbliche le sue posizioni su una problematica spinosa (l’ultima era, l’aprile scorso, con gli “appunti” sugli abusi). Un gesto indubbiamente animato dal profondo amore alla verità e all’unità della Chiesa – come ribadisce nel nuovo volume edito da Fayard presentandosi, insieme a Sarah, come un vescovo in «filiale obbedienza a Papa Francesco» -, ma che, al di là di ogni intenzione, va ad alimentare la narrativa di un doppio pontificato o di un «pontificato condiviso» (tesi avvalorata da alcuni membri dell’entourage di Ratzinger), di gran voga ultimamente dopo l’uscita del film Netflix “I due Papi”, e a prestare il fianco agli oppositori del pontificato bergogliano che approfittano di ogni persona – fosse anche il predecessore – e situazione per delegittimare il Papa in carica.

Nel suo comunicato il portavoce Bruni ricorda un importante intervento di Francesco sul celibato che è la risposta offerta ai giornalisti sul volo che lo riportava, nel gennaio 2019, da Panama a Roma. «È possibile pensare che nella Chiesa cattolica, seguendo il rito orientale, Lei permetterà a degli uomini sposati di diventare preti?», domandava al Papa una giornalista francese. Il Vescovo di Roma ha risposto così: «Mi viene alla mente una frase di San Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Mi è venuta in  mente e voglio dirla, perché è una frase coraggiosa, in un momento più difficile di questo, 1968/1970… Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa. Io non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nelle località più remote – penso alla Isole del Pacifico… Quando c’è necessità pastorale, lì, il pastore deve pensare ai fedeli».

Proprio una «necessità pastorale» sta alla radice della proposta dei vescovi della Regione Panamazzonica, presentata ai padri riuniti nel Sinodo dello scorso ottobre, di ordinare uomini sposati di comprovata fede per distribuire i sacramenti in quelle comunità indigene che vivono in luoghi sperduti della foresta dove i sacerdoti, a causa delle lunghe distanze (in Perù e in Brasile, ad esempio, si parla anche di otto giorni di viaggio) o della carenza di clero, celebrano messa una volta ogni due mesi. Al termine del Sinodo i padri hanno approvato l’ipotesi con una maggioranza dei due terzi, in una soluzione forse più “soft”: ordinare sacerdoti diaconi permanenti sposati. Più che «preti sposati», «sposi spretati», volendo usare il gioco di parole di un vaticanista di lungo corso.

La questione è ora al vaglio del Pontefice, il quale si pronuncerà in merito nella esortazione apostolica post-sinodale che sembra possa essere pubblicata già nelle prossime settimane. Qualcuno ha già previsto scenari apocalittici come l’abolizione definitiva del celibato e la conseguente scomparsa della stessa Chiesa (alcune espressioni del cardinale Sarah, che nel libro arriva a definire «una catastrofe pastorale, una confusione ecclesiologica e un oscuramento della comprensione del sacerdozio» l’eventuale possibilità di ordinare uomini sposati, sembrano muoversi in questo senso), nella certezza assoluta che il Papa argentino dia il suo placet alla proposta.

Nell’attesa bisognerebbe ripartire dai fatti concreti e dalle parole già pronunciate, come quelle del Papa nel discorso finale del Sinodo il 26 ottobre. Come fa notare Tornielli nel suo editoriale, Bergoglio, dopo aver seguito in aula tutti i lavori, non ha menzionato in alcun modo il tema dell’ordinazione di uomini sposati, «neanche di sfuggita». Ha invece ricordato le quattro dimensioni del Sinodo: quella relativa all’inculturazione, quella ecologica, quella sociale e infine la dimensione pastorale, che «le include tutte».

«In quello stesso discorso – sottolinea il direttore editoriale -, il Pontefice ha parlato della creatività nei nuovi ministeri e del ruolo della donna e riferendosi alla scarsità di clero in certe zone di missione, ha ricordato che ci sono tanti sacerdoti di un Paese che sono andati nel primo mondo – Stati Uniti ed Europa – “e non ce ne sono per inviarli alla zona amazzonica di quello stesso Paese”». Nient’altro. Anzi, il Papa ha espresso il proprio compiacimento nel vedere che i partecipanti all’assise non siano «caduti prigionieri di questi gruppi selettivi che del Sinodo vogliono vedere solo che cosa è stato deciso su questo o su quell’altro punto intra-ecclesiastico, e negano il corpo del Sinodo che sono le diagnosi che abbiamo fatto nelle quattro dimensioni». Un rischio che sembra invece paventarsi ora, a tre mesi dalla chiusura del Sinodo.

Sempre Tornielli nell’articolo pubblicato sul sito Vatican News e su L’Osservatore Romano ricorda anche un punto fondamentale nelle discussioni sul celibato, il fatto che esso non è e non mai stato un «dogma», bensì una «disciplina ecclesiastica della Chiesa latina» che tutti i Papi hanno sempre considerato un «dono prezioso».

La Chiesa cattolica di rito orientale prevede infatti la possibilità di ordinare sacerdoti uomini sposati ed eccezioni sono state ammesse anche per la Chiesa latina proprio da Benedetto XVI nella Costituzione apostolica “Anglicanorum coetibus” (la vera “svolta” sul celibato) dedicata agli anglicani che chiedono la comunione con la Chiesa cattolica, dove si prevede «di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede».

Ora Benedetto, in coppia con Sarah che rimarca il «legame ontologico-sacramentale tra sacerdozio e celibato», riflette sull’argomento risalendo alle radici ebraiche del cristianesimo per affermare che sacerdozio e celibato sono uniti dall’inizio della «nuova alleanza» di Dio con l’umanità, stabilita da Gesù. E ricorda che già «nella Chiesa antica», cioè nel primo millennio, «gli uomini sposati potevano ricevere il sacramento dell’ordine solo se si erano impegnati a rispettare l’astinenza sessuale».

Tutta questa tradizione «ha un peso e una validità». Così diceva Papa Francesco, ancora cardinale, dialogando con l’amico rabbino Abraham Skorka nel libro “Il cielo e la terra”. Nella conversazione l’allora arcivescovo di Buenos Aires spiegava di essere favorevole al mantenimento del celibato «con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori».

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Una lettera ai fratelli preti per incoraggiarli e sostenerli

Posté par atempodiblog le 4 août 2019

Una lettera ai fratelli preti per incoraggiarli e sostenerli
Il ringraziamento di Papa Francesco al servizio quotidiano di tanti sacerdoti che in ogni parte del mondo accompagnano il popolo di Dio
di Andrea Tornielli – Vatican News

Una lettera ai fratelli preti per incoraggiarli e sostenerli dans Andrea Tornielli Sacerdoti-in-una-comunit-indigena-in-Brasile
Sacerdoti in una comunità indigena in Brasile

Il dramma degli abusi, il grido sgomento delle vittime, che li hanno subiti da chi mai avrebbero immaginato, pesa come un fardello sulle spalle di ogni sacerdote. Ci sono preti che vengono guardati con sdegno, con sospetto, per colpe che non hanno, ma che rimangono ferite sanguinanti per l’intero corpo ecclesiale.

Con la lettera ai sacerdoti in occasione del 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, modello di prete consumatosi nel servizio al popolo di Dio, Papa Francesco – che pure non si è certo tirato indietro di fronte al dovere della denuncia e del rimprovero, quando necessario – risponde ringraziando l’esercito silenzioso dei sacerdoti che non hanno tradito né la fede né la fiducia. In questa lettera, firmata da San Giovanni in Laterano, sede del Vescovo di Roma, come a sottolineare di averla scritta proprio come pastore e Vescovo di Roma, il Papa manifesta vicinanza, incoraggiamento, sostegno, conforto a tutti i sacerdoti del mondo. A quei preti che ogni giorno, spesso con fatica, sfidando la delusione e l’incomprensione, tengono aperte le chiese e celebrano i sacramenti. A quei preti che vincendo la tristezza e l’abitudinarietà, continuano a mettersi in gioco nell’accogliere chi ha bisogno di una parola, di conforto, di accompagnamento. A quei preti che quotidianamente visitano la loro gente, donandosi senza riserve, piangendo con chi è nel pianto e gioendo con chi è nella gioia. A quei preti che vivono “in trincea”, che a volte rischiano la propria vita per essere vicini al loro popolo. A quei preti che devono percorrere giorni e giorni di canoa per raggiungere qualche villaggio sperduto per andare a trovare le pecore isolate del loro gregge.

C’è una grandezza poco raccontata nella vita ordinaria della Chiesa. Una grandezza capace di fare la storia anche se mai conquisterà le pagine dei manuali o le luci della ribalta. È la grandezza del servizio nel nascondimento, di chi si dona senza protagonismi, confidando soltanto nella grazia di Dio. È la grandezza della vita regalata agli altri da quei preti «peccatori perdonati», come  il Papa definisce anche se stesso,  che avendo sperimentato e continuando a sperimentare la misericordia, lasciano a Dio l’iniziativa e lo seguono nel servizio alle loro comunità.

C’era bisogno di una parola di incoraggiamento, di stima, di vicinanza. C’era bisogno di un ringraziamento come quello contenuto nelle pagine della lettera papale. Perché il dolore provocato al corpo ecclesiale dalle infedeltà di pochi – come accaduto con la tremenda piaga degli abusi – non rischiasse di far dimenticare la fedeltà di molti, vissuta nonostante le tante fatiche e i limiti umani. Per questo Papa Francesco ha voluto rendere grazie a chi ancora oggi offre tutta la propria esistenza a Dio servendolo nella sua gente, e rinnova quell’iniziale “sì” della propria vocazione facendo memoria della chiamata ricevuta.

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Medjugorje, la fede mariana e la decisione del Pastore

Posté par atempodiblog le 13 mai 2019

Medjugorje, la fede mariana e la decisione del Pastore
L’autorizzazione dei pellegrinaggi è un segno di riconoscimento del bene che accade nella parrocchia-santuario, dove tante persone si riavvicinano ai sacramenti
di Andrea Tornielli – Vatican News

Medjugorje, la fede mariana e la decisione del Pastore dans Andrea Tornielli Pellegrini-a-Medjugorje

Per comprendere le ragioni e il significato profondo della decisione di autorizzare i pellegrinaggi a Medjugorje da parte di Francesco è utile rileggere alcuni passi dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il documento che traccia la rotta del suo pontificato. Il Papa in quel testo ricordava che «nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi». E ricordava pure, citando le parole del documento finale della conferenza dei vescovi latinoamericani ad Aparecida, che «il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione». «Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!», concludeva il Pontefice.

È un dato di fatto che milioni di pellegrini in questi anni abbiano vissuto una significativa esperienza di fede recandosi a Medjugorje: lo attestano le lunghe file ai confessionali e le adorazioni eucaristiche serali nella grande chiesa parrocchiale senza un metro quadrato libero da fedeli inginocchiati.
«Credo» che «a Medjugorje ci sia la grazia. Non si può negare. C’è gente che si converte», aveva detto il Papa dialogando nel 2013 con padre Alexandre Awi Mello mariologo e oggi segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. In quella intervista, trasformata in un libro (È mia madre. Incontri con Maria, edizioni Città Nuova), Francesco metteva certo in guardia dal protagonismo dei veggenti e dal moltiplicarsi di messaggi e segreti. Ma senza mai disconoscere i frutti positivi dell’esperienza dei pellegrinaggi. Nella prefazione a quel libro, il teologo argentino Carlos María Galli aveva scritto: «Per Francesco la cosa più importante è la fede mariana del “santo popolo fedele di Dio”, che ci insegna ad amare Maria oltre la riflessione teologica. In quanto figlio e membro, come qualsiasi altro, del Popolo di Dio, Bergoglio – Francesco – partecipa del sensus fidei fidelium e si identifica con la profonda pietà mariana del popolo cristiano».

È proprio per questo che, continuando a studiare il fenomeno Medjugorje e senza che vi sia un pronunciamento sull’autenticità delle apparizioni, il Papa ha inteso prendersi cura di chi affronta i disagi del viaggio per recarsi a pregare in quel luogo. Per questo aveva voluto un suo inviato permanente, un vescovo dipendente dalla Santa Sede, incaricato proprio della cura pastorale dei pellegrini. E sempre per questo adesso stabilisce di andare oltre quanto dichiarato più vent’anni fa dalla Congregazione per la dottrina della fede, che permetteva i pellegrinaggi a Medjugorje ma solo «in maniera privata». Ora invece le diocesi e le parrocchie potranno organizzare e guidare quei pellegrinaggi espressione della pietà mariana del popolo di Dio.

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Benedetto XVI: “Francesco privo di particolare formazione teologica? Uno stolto pregiudizioˮ

Posté par atempodiblog le 13 mars 2018

Benedetto XVI: “Francesco privo di particolare formazione teologica? Uno stolto pregiudizioˮ
Lettera del Papa emerito per la presentazione della collana LEV sulla teologia del successore: Bergoglio «è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica», c’è «continuità interiore tra i due pontificati»
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Benedetto XVI: “Francesco privo di particolare formazione teologica? Uno stolto pregiudizioˮ dans Andrea Tornielli Lettera_del_Papa_emerito_Benedetto_XVI
La lettera del Papa emerito Benedetto XVI per la presentazione della collana LEV sulla teologia del successore Francesco

Uno «stolto pregiudizio». Con queste parole decise Benedetto XVI dal suo eremo in Vaticano bolla l’affermazione secondo la quale il suo successore non avrebbe statura teologica mentre lui, Papa teologo, sarebbe stato soltanto un teorico senza comprendere la vita del cristiano di oggi. Le affermazioni del Papa emerito, che sottolinea anche la «continuità interiore» dei due pontificati, sono contenute in una lettera inviata al Prefetto della Segreteria per la comunicazione Dario Edoardo Viganò, che ne ha letto alcuni passaggi durante la presentazione della collana “La Teologia di Papa Francesco”, edita dalla Libreria Editrice Vaticana (LEV), avvenuta la sera di lunedì 12 marzo presso la Sala Marconi di Palazzo Pio.

«Plaudo a questa iniziativa – scrive Benedetto XVI – che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi».

Ratzinger ringrazia di aver ricevuto in dono gli undici libri scritti da altrettanti teologi di fama internazionale che compongono la collana curata da don Roberto Repole, Presidente dell’Associazione Teologica Italiana. «I piccoli volumi – aggiunge Benedetto XVI - mostrano a ragione che Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento».

Non è la prima volta che il Papa emerito fa sentire la sua voce manifestando sintonia con il successore, anche se mai l’aveva fatto con questa forza. Nell’ottobre 2015 si tenne a Roma un convegno teologico sulla dottrina della giustificazione.

In quell’occasione venne letto dall’arcivescovo Georg Gänswein il testo di un’intervista con Ratzinger realizzata dal teologo gesuita Jacques Servais su «cosa è la fede e come si arriva a credere», nella quale Papa Benedetto citava Francesco parlando diffusamente della misericordia: «L’uomo di oggi ha in modo del tutto generale la sensazione che Dio non possa lasciar andare in perdizione la maggior parte dell’ umanità. In questo senso la preoccupazione per la salvezza tipica di un tempo è per lo più scomparsa. Tuttavia, a mio parere, continua a esistere, in altro modo, la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un “segno dei tempi” il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante – a partire da suor Faustina (Kowalska, santa, ndr), le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina».

«Papa Giovanni Paolo II – continuava Ratzinger – era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. Ma non è di certo un caso che il suo ultimo libro, che ha visto la luce proprio immediatamente prima della sua morte, parli della misericordia di Dio. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza».

«Papa Francesco – continuava Benedetto XVI citando il suo successore – si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia».

Benedetto, nel breve saluto finale, era tornato a parlare della misericordia: «Grazie soprattutto a lei, Santo Padre! La sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio».

Alla presentazione del volume, presso la Sala Marconi, dopo l’intervento introduttivo di monsignor Viganò, il cardinale Walter Kasper ha illustrato la teologia profetica di Papa Francesco, sottolineando che il suo magistero «da una parte incontra la resistenza del conservatorismo fondamentalista, dall’altra delude molti riformisti liberali in Occidente, perché il suo programma non è liberale, ma radicale» e, «come ogni profezia, molto resta aperto». Il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il gesuita Luis Francisco Ladaria, assente per una piccola indisposizione, ha inviato il suo discorso, che è stato letto dal sottosegretario del dicastero, don Matteo Visioli. Il testo ha ruotato attorno al concetto teologico di misericordia, partendo dalla considerazione che nell’antropologia biblica il cuore, sede dei pensieri e dei sentimenti, «può essere trasformato e purificato solo da Dio» liberando l’uomo dal peccato e dalla morte con «una vera e propria ricreazione». In questo senso la misericordia è l’aspetto più radicale del manifestarsi di Dio, «perché non si rivolge solo a chi lo merita, ma anche a chi se ne era reso positivamente indegno». Ladaria nel suo testo ha sottolineato che «solo conoscendo il peso del peccato possiamo conoscere il peso ancora più grande della grazia divina», e, in particolare, «nel costato trafitto di Gesù la pietà e la fede dei cristiani scoprono la misericordia che il suo cuore aperto rivela». Don Roberto Repole, presidente dell’Associazione Teologica Italiana e curatore della collana presentata oggi, ha concluso la tavola rotonda sottolineando il «forte stimolo» per i teologi di oggi rappresentato dal pensiero teologico di Papa Francesco, un pensiero capace di evitare il «fissismo che non è veramente tradizionale» da un lato e l’adattamento ai tempi dall’altro. L’incontro è stato concluso dal direttore della Lev fra Giulio Cesareo.

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Il Papa istituisce nel calendario la festa di Maria madre della Chiesa

Posté par atempodiblog le 3 mars 2018

Il Papa istituisce nel calendario la festa di Maria madre della Chiesa
Un decreto del cardinale Sarah, prefetto del Culto divino, stabilisce la memoria obbligatoria nel rito romano per il lunedì dopo Pentecoste
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Il Papa istituisce nel calendario la festa di Maria madre della Chiesa dans Andrea Tornielli Affresco_di_Maria_Theotok_s_nel_Monastero_di_Visoki_Decani
Affresco di Maria Theotokós nel Monastero di Visoki Decani

«Il Sommo Pontefice Francesco, considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, madre della Chiesa, sia iscritta nel calendario romano nel lunedì dopo Pentecoste e celebrata ogni anno». È quanto si legge nel decreto pubblicato sabato 3 marzo 2018 e firmato dal cardinale prefetto della Congregazione del Culto divino, Robert Sarah. Il decreto porta la data dello scorso 11 febbraio, centosessantesimo anniversario della prima apparizione di Lourdes.

Insieme al decreto sono stati pubblicati i relativi testi liturgici, in latino, per la messa, l’Ufficio divino e il Martirologio romano. Le Conferenze episcopali provvederanno ora ad approvare la traduzione dei testi. Il motivo della celebrazione, spiega in una nota di commento alla decisione papale il cardinale Sarah, è legato alla «maturazione della venerazione liturgica riservata a Maria a seguito di una migliore comprensione della sua presenza “nel mistero di Cristo e della Chiesa”, come ha spiegato il capitolo VIII della Lumen gentium del Concilio Vaticano II».

Nel promulgare la costituzione conciliare sulla Chiesa, il 21 novembre 1964, Paolo VI «volle solennemente riconoscere a Maria il titolo di “Madre della Chiesa”» . Una decisione accolta dall’applauso dell’aula. «Il sentire del popolo cristiano – spiega Sarah – in due millenni di storia, aveva in vario modo colto il legame filiale che unisce strettamente i discepoli di Cristo alla sua santissima Madre».

«L’acqua e il sangue sgorgati dal cuore di Cristo sulla croce, segno della totalità della sua offerta redentiva – si legge ancora nel commento del porporato Prefetto del Culto – continuano sacramentalmente a dar vita alla Chiesa attraverso il Battesimo e l’Eucaristia. In questa mirabile comunione, sempre da alimentare tra il Redentore e i redenti, Maria santissima ha la sua missione materna da svolgere». Una messa votiva dedicata a Maria madre della Chiesa era stata approvata dalla Congregazione nel 1973, in vista dell’Anno Santo del 1975.

Durante il pontificato di Giovanni Paolo II vi era stata concessa la possibilità alle Conferenze episcopali di aggiungere il titolo di “Madre della Chiesa” nelle Litanie lauretane che si recitano al termine del Rosario. Inoltre nel corso degli anni era stato anche approvato l’inserimento della celebrazione della “Madre della Chiesa” nel calendario proprio di alcuni Paesi, come la Polonia e l’Argentina, proprio nel lunedì dopo Pentecoste. In altre date si celebrava in luoghi peculiari, come la Basilica di San Pietro, dove era avvenuta la proclamazione da parte di Paolo VI, come pure in alcuni ordini e congregazioni religiose.

Ora Papa Francesco ha stabilito che, il lunedì dopo Pentecoste, la memoria di Maria Madre della Chiesa diventi obbligatoria per tutta la Chiesa di rito romano. «È evidente – osserva Sarah – il nesso tra la vitalità della Chiesa della Pentecoste e la sollecitudine materna di Maria nei suoi confronti… L’auspicio è che questa celebrazione, estesa a tutta la Chiesa, ricordi a tutti i discepoli di Cristo che, se vogliamo crescere e riempirci dell’amore di Dio, bisogna radicare la nostra vita su tre realtà: la croce, l’ostia e la Vergine».

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“Disperdere le tenebre di vendetta e mancato rispetto per la vita”

Posté par atempodiblog le 8 septembre 2017

“Disperdere le tenebre di vendetta e mancato rispetto per la vita”
Un milione di persone alla messa nel Parco Simón Bolívar di Bogotà: Francesco cita quanti si sono impegnati per favorire il processo di pace, che hanno «preso il largo» come Pietro. A fine celebrazione, incontro con cardinali e vescovi del Venezuela
di Andrea Tornielli – La Stampa

“Disperdere le tenebre di vendetta e mancato rispetto per la vita” dans Andrea Tornielli Santo_Padre_Francesco_in_Colombia

Una pioggia battente ha irrigato in modo abbondante il Parco Simón Bolívar dove Papa Francesco celebra la sua prima messa colombiana, nello stesso luogo dove la celebrò 31 anni fa san Giovanni Paolo II e dove lo hanno atteso 1 milione di fedeli. È la messa votiva per la pace e la giustizia, che corona la prima densa giornata interamente trascorsa a Bogotà. Una giornata che ha avuto proprio la pace e la riconciliazione al centro. Come già accaduto ieri e come si è ripetuto stamane, tantissime persone sono scese in strada per salutare Francesco al suo passaggio: l’accoglienza è stata calorosa e straordinaria.

Dopo aver percorso i vari settori a bordo della papamobile, Bergoglio nei pressi della sacrestia è stato accolto da un gruppo di disabili. Quindi ha avuto inizio la liturgia. Nell’omelia il Papa ha commentato il brano evangelico dove si racconta di Gesù che predica sul Mar di Galilea. «Tutti vengono ad ascoltarlo; la parola di Gesù – dice Francesco – ha qualcosa di speciale che non lascia indifferente nessuno; ha il potere di convertire i cuori, di cambiare piani e progetti. È una parola confermata dall’azione, non sono conclusioni scritte a tavolino, espressioni fredde e staccate dal dolore della gente, e perciò è una Parola che serve sia per la sicurezza della riva sia per la fragilità del mare».

Bergoglio suggerisce quindi una similitudine: «Questa amata città, Bogotá, e questo bellissimo Paese, la Colombia, presentano molti degli scenari umani descritti nel Vangelo. Qui si trovano moltitudini che anelano a una parola di vita, che illumini con la sua luce tutti gli sforzi e mostri il senso e la bellezza dell’esistenza umana». Ma ci sono anche le tenebre, avverte Francesco. «Anche qui, come in altre parti del mondo, ci sono fitte tenebre che minacciano e distruggono la vita: le tenebre dell’ingiustizia e dell’inequità sociale; le tenebre corruttrici degli interessi personali o di gruppo, che consumano in modo egoista e sfrenato ciò che è destinato al benessere di tutti; le tenebre del mancato rispetto per la vita umana che miete quotidianamente l’esistenza di tanti innocenti, il cui sangue grida al cielo; le tenebre della sete di vendetta e di odio che macchia di sangue umano le mani di coloro che si fanno giustizia da soli; le tenebre di coloro che si rendono insensibili di fronte al dolore di tante vittime».

Parole che fotografano le piaghe purtroppo presenti nel Paese. «Tutte queste tenebre, Gesù le disperde e le distrugge con il suo comando sulla barca di Pietro: “Prendi il largo”». «Noi possiamo – continua Francesco – invischiarci in discussioni interminabili, fare la conta dei tentativi falliti ed elencare gli sforzi finiti nel nulla; come Pietro, sappiamo cosa significa l’esperienza di lavorare senza nessun risultato». Il Papa ricorda che anche la Colombia ha conosciuto questa realtà, quando per un periodo di sei anni ebbe 16 presidenti e «pagò caro le sue divisioni» e «anche la Chiesa in Colombia ha fatto esperienza di impegni pastorali vani e infruttuosi…, però come Pietro, siamo anche capaci di confidare nel Maestro, la cui parola suscita fecondità».

Il comando di gettare le reti, spiega ancora il Papa, «non è rivolto soltanto a Simon Pietro; a lui è toccato di prendere il largo, come quelli che nella vostra Patria hanno per primi riconosciuto quello che più urge, quelli che hanno preso iniziative di pace, di vita. Gettare le reti comporta responsabilità. A Bogotá e in Colombia si trova in cammino un’immensa comunità, che è chiamata a diventare una rete robusta che raccolga tutti nell’unità, lavorando per la difesa e la cura della vita umana, particolarmente quando è più fragile e vulnerabile: nel seno materno, nell’infanzia, nella vecchiaia, nelle condizioni di disabilità e nelle situazioni di emarginazione sociale. Anche le moltitudini che vivono a Bogotà e in Colombia possono diventare vere comunità vive, giuste e fraterne se ascoltano e accolgono la Parola di Dio».

«C’è bisogno – conclude Francesco – di chiamarci gli uni gli altri, di mandarci dei segni, come i pescatori, di tornare a considerarci fratelli, compagni di strada, soci di questa impresa comune che è la patria». Al termine della messa il Papa ha salutato i cardinali e alcuni vescovi del Venezuela, intrattenendosi con loro a parlare della situazione del Paese. Prima della fine del viaggio molti si attendono qualche parola di Francesco sulla grave situazione venezuelana.

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“L’evangelizzazione non può essere presuntuosa”

Posté par atempodiblog le 13 avril 2017

“L’evangelizzazione non può essere presuntuosa”
Il Papa invita a fare omelie brevi e afferma: nessuno separi «queste tre grazie del Vangelo: la sua verità non negoziabile, la sua misericordia incondizionata, e la sua gioia inclusiva»
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

“L’evangelizzazione non può essere presuntuosa” dans Andrea Tornielli Papa_Francesco

«Che nessuno cerchi di separare queste tre grazie del Vangelo: la sua verità non negoziabile, la sua misericordia incondizionata con tutti i peccatori, e la sua gioia intima e inclusiva». Papa Francesco celebra la messa crismale del Giovedì Santo in San Pietro, durante la quale viene benedetto l’olio che sarà usato per amministrare i sacramenti lungo l’anno, e spiega che «Non può essere presuntuosa l’evangelizzazione. Non può essere rigida l’integrità della verità». Con il Vescovo di Roma concelebrano i preti della diocesi, che rinnovano le promesse fatte al momento dell’ordinazione.

Nell’omelia, il Papa ha insistito sul «lieto annuncio ai poveri» che Gesù ha portato. «Gioioso della gioia evangelica: di chi è stato unto nei suoi peccati con l’olio del perdono e unto nel suo carisma con l’olio della missione, per ungere gli altri.

E, al pari di Gesù, il sacerdote rende gioioso l’annuncio con tutta la sua persona. Quando predica l’omelia – breve, se possibile – lo fa con la gioia che tocca il cuore della sua gente mediante la Parola con cui il Signore ha toccato lui nella sua preghiera».

«Come ogni discepolo missionario, il sacerdote rende gioioso l’annuncio con tutto il suo essere. E, d’altra parte, sono proprio i particolari più piccoli – tutti lo abbiamo sperimentato – quelli che meglio contengono e comunicano la gioia: il particolare di chi fa un piccolo passo in più e fa sì che la misericordia trabocchi nelle terre di nessuno; il particolare di chi si decide a concretizzare e fissa giorno e ora dell’incontro; il particolare di chi lascia, con mite disponibilità, che usino il suo tempo…».

Il lieto annuncio, sottolinea Francesco, «non è un oggetto, è una missione». E in una sola parola, Vangelo, nell’atto di essere comunicato «diventa gioiosa e misericordiosa verità. Che nessuno cerchi di separare queste tre grazie del Vangelo: la sua Verità – non negoziabile –, la sua Misericordia – incondizionata con tutti i peccatori – e la sua Gioia – intima e inclusiva».

Bergoglio sottolinea che «mai la verità del lieto Annuncio potrà essere solo una verità astratta, di quelle che non si incarnano pienamente nella vita delle persone perché si sentono più comode nella lettera stampata dei libri. Mai la misericordia del lieto Annuncio potrà essere una falsa commiserazione, che lascia il peccatore nella sua miseria perché non gli dà la mano per alzarsi in piedi e non lo accompagna a fare un passo avanti nel suo impegno. Mai potrà essere triste o neutro l’Annuncio, perché è espressione di una gioia interamente personale. La gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli, la gioia di Gesù nel vedere che i poveri sono evangelizzati e che i piccoli vanno ad evangelizzare».

Francesco ha quindi detto che «le gioie del Vangelo» sono «speciali» e «vanno messe in otri nuovi». Ha quindi presentato tre icone di otri nuovi. La prima è quella delle anfore di pietra delle nozze di Cana. «Maria è l’otre nuovo della pienezza contagiosa. Lei è la Madonna della prontezza», e «senza la Madonna non possiamo andare avanti nel sacerdozio!». Lei «ci permette di superare la tentazione della paura: quel non avere il coraggio di farsi riempire fino all’orlo, quella pusillanimità di non andare a contagiare di gioia gli altri».

La seconda icona del lieto Annuncio è la brocca che portava sulla testa la Samaritana al pozzo, il mezzo con cui la donna attinge l’acqua per dissetare Gesù. «Un otre nuovo con questa concretezza inclusiva il Signore ce l’ha regalato nell’anima “samaritana” che è stata Madre Teresa di Calcutta. Lui la chiamò e le disse: ho sete. “Piccola mia, vieni, portami nei buchi dei poveri. Vieni, sii mia luce. Non posso andare da solo. Non mi conoscono, per questo non mi vogliono. Portami da loro”. E lei, cominciando da uno concreto, con il suo sorriso e il suo modo di toccare con le mani le ferite, ha portato il lieto Annuncio a tutti». Le «carezze sacerdotali ai malati ai disperati del sacerdote uomo della tenerezza».

Infine, la terza icona del lieto Annuncio è «l’otre immenso del Cuore trafitto del Signore: integrità mite, umile e povera, che attira tutti a sé. Da Lui dobbiamo imparare che annunciare una grande gioia a coloro che sono molto poveri non si può fare se non in modo rispettoso e umile fino all’umiliazione».

Per questo Francesco ha spiegato che «non può essere presuntuosa l’evangelizzazione. Non può essere rigida l’integrità della verità. Perché la verità si è fatta carne, tenerezza, si è fatta bambino, si è fatta uomo, si è fatta peccato in croce. Lo Spirito annuncia e insegna tutta la verità e non teme di farla bere a sorsi. Lo Spirito ci dice in ogni momento quello che dobbiamo dire ai nostri avversari e illumina il piccolo passo avanti che in quel momento possiamo fare. Questa mite integrità dà gioia ai poveri, rianima i peccatori, fa respirare coloro che sono oppressi dal demonio».

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Critiche al Papa, se s’indigna il popolo

Posté par atempodiblog le 12 avril 2017

Critiche al Papa, se s’indigna il popolo
Il popolo di Dio, a messa in parrocchia, ha tutto il diritto di indignarsi e di gridare un liberante “Basta!” se il prete usa il pulpito per sparlare del Papa
di Andrea Tornielli – Sacri Palazzi

Critiche al Papa, se s'indigna il popolo dans Andrea Tornielli Papa_Francesco

L’episodio in sé non va certo enfatizzato. Domenica scorsa, nel giorno della celebrazione delle Palme, un viceparroco di origini indiane in una parrocchia di Montesilvano, in provincia di Pescara, ha criticato dal pulpito Papa Francesco. Non era la prima volta che accadeva. Don Edward Pushparaj, invece di commentare il Vangelo della Passione, si è prima lamentato del fatto che il Pontefice fin dal suo primo Giovedì Santo abbia incluso una donna e una donna musulmana (in un carcere minorile) tra le persone alle quali ha lavato i piedi, facendo memoria del gesto compiuto da Gesù. Com’è noto, con un apposito decreto della Congregazione del Culto divino la possibilità (non certo l’obbligo) di includere delle donne è stata ufficializzata dalla Santa Sede.

Il sacerdote non si è limitato a questo ma ha aggiunto che “in questi quattro anni Francesco ha fatto solo del male alla Chiesa”. Ora, nel web di preti che criticano il Papa – l’attuale e i predecessori – se ne trovavano e se ne trovano anche diversi. Don Edward però lo ha fatto dal pulpito, durante l’omelia della messa delle Palme in parrocchia.

La notizia – ed è il motivo per cui vi dedico queste righe – è però un’altra. La gente, i fedeli presenti a messa non hanno sopportato in silenzio come accade spesso durante le celebrazioni. Non ce l’hanno fatta a sopportare e hanno cominciato a contestare il prete contestatore chiedendogli di smettere. Alcuni si sono alzati e sono usciti dalla Chiesa.

Certo, non è mai bello che una celebrazione liturgica venga interrotta. Ma il troppo è troppo. E anche il “santo popolo fedele di Dio”, come lo chiama Papa Francesco, ha diritto di indignarsi un po’ e di chiedere al prete di non scandalizzare i semplici fedeli usando l’omelia per attaccare il Pontefice. E’ una piccola notizia che dà speranza. Sì, perché di fronte a certe elucubrazioni, a certe campagne mediatiche, ai complottismi senza ritorno ormai di stampo blasfemo messi nero su bianco da chi faceva l’iper-papista fino a quattro anni fa; di fronte all’insistenza con cui si cerca di confondere la gente per poi dire – dopo aver seminato confusione – che le persone sono confuse, l’unica vera risposta è una reazione pacata ma ferma. Una reazione sdrammatizzante dal basso. Servono a poco o a nulla le controdeduzioni sul web o sui social, il batti e ribatti nei circoli autoreferenziali di chi vive occupandosi esclusivamente di quale cartuccia mediatica sparare contro il Papa. Nel caso di don Edward non si è trattato di tifoserie manipolate o “gestite” da qualcuno, non erano truppe cammellate venute lì per contestare un povero prete “resistente”.

No, era gente comune, che andando a messa la Domenica delle Palme non ha tollerato di sentire un prete che dal pulpito attaccava il Papa. L’arcivescovo di Pescara, Tommaso Valentinetti, ha invitato il sacerdote a prendersi qualche giorno di riposo lontano dalla parrocchia. E pare gli abbia espresso un pensiero riassumibile in questo modo: io sono nato quando il Papa era Pio XII. A me hanno insegnato a voler bene al Papa e ho voluto bene a Pio XII, a Giovanni XXIII, a Paolo VI, a Giovanni Paolo I, a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI e ora a Francesco.

Un prete ha tutto il diritto di avere delle obiezioni su questa o quella decisione dell’attuale Vescovo di Roma come dei suoi predecessori. Ha diritto di esprimerle, di scriverle, etc. Ma il popolo di Dio, a messa in parrocchia, ha tutto il diritto di indignarsi e di gridare un liberante “Basta!” se il prete usa il pulpito per sparlare del Papa. Un liberante “Basta!” dei semplici fedeli ci salverà.

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Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2016

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”
Il concistoro di Francesco che ha consegnato la berretta rossa a diciassette nuovi cardinali: «Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Lui ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni». Il Pontefice e i nuovi porporati salgono su due pulmini e vanno a incontrare Ratzinger
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi” dans Andrea Tornielli Concistoro_creazione_nuovi_cardinali
Il terzo concistoro di Papa Francesco per la creazione di nuovi cardinali

«Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore». Il Papa predica ai cardinali del concistoro, nel giorno in cui vengono incorporati nel collegio diciassette nuovi porporati, tredici con meno di ottant’anni e dunque elettori in un eventuale conclave, più quattro ultraottantenni. E in un tempo in cui nel mondo, ma anche nella Chiesa, sembrano prevalere le polarizzazioni, invita a tornare all’essenziale della missione nel segno della misericordia.

Apre la lista dei porporati l’italiano Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria – che apre la lista e nel suo saluto ha ricordato come alcuni cardinali vengono «da luoghi dove molti, milioni, sono i “malcapitati”, adulti e bambini, lasciati morti o mezzi morti sulle strade dei loro villaggi e quartieri, o sotto le macerie delle proprie case e scuole, a causa di efferate violenze e di sanguinosi, disumani e inestricabili conflitti». Quindi seguono Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana); Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid (Spagna); Sérgio Da Rocha, arcivescovo di Brasilia (Brasile); Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago (USA); Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka (Bangladesh), Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida (Venezuela); Jozef De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio); Maurice Piat, vescovo di Port-Louis (Isole Mauritius); Kevin Joseph Farrell, Prefetto del dicastero per i laici e la famiglia (USA); Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico); John Ribat, arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea); Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark (USA); Antony Soter Fernandez, arcivescovo emerito di Kuala Lumpur (Malesia); Renato Corti, vescovo emerito di Novara (Italia); S ebastian Koto Khoarai, vescovo emerito di Mohale’s Hoek (Leshoto); don Ernst Simoni, prete della diocesi di Shkodrë-Pult (Albania). Dei diciassette nominati, uno, l’africano Koto Khoarai, primo cardinale del Leshoto, non è presente a Roma. Non era in condizioni di affrontare il viaggio e riceverà la berretta dalle mani del nunzio apostolico in Sud Africa, Peter Brian Wells nei prossimi giorni.

Nell’omelia Bergoglio ha commentato il brano evangelico: dopo l’istituzione dei dodici apostoli, Gesù discese «dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli apostoli è accompagnata da questo mettersi in cammino verso la pianura». L’elezione, «li conduce al cuore della folla» e così «il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura», e «specialmente in una chiamata: siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Questo invito è accompagnato da quattro esortazioni: «amate, fate il bene, benedite e pregate», azioni che «facilmente realizziamo con i nostri amici».

Il problema però sorge, ha aggiunto Francesco, «quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni», dicendo: «Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male». E queste «non sono azioni che vengono spontanee». Di fronte ad avversari e nemici, infatti, «il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di demonizzarli, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno». È questa, osserva ancora il Pontefice, una delle «caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù», da lì «proviene la potenza della nostra missione». Il nemico è «qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno».

«Il Nostro Padre – ha detto ancora Francesco – non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici. L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione».

Bergoglio ha ricordato che il nostro è un tempo «in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio – ha spiegato – come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico». Nemico «perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze», per «il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale» o perché «pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede». E poco a poco, «senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia» e le differenze «si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza».

«Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza - osserva ancora Francesco – che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi!».

«Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni – sottolinea il Pontefice per ribadire come questo male colpisca anche all’interno della Chiesa – Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo collegio cardinalizio». Un collegio dove differenze di usanze, colore di pelle e lingue rappresenta invece «una delle nostre più grandi ricchezze».

«Come Chiesa – ha concluso Francesco – continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità. Caro fratello neo cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione».

La formula della creazione prevede il giuramento dei nuovi cardinali, quindi l’imposizione della berretta e la consegna dell’anello cardinalizio con l’assegnazione del titolo o della diaconia. Durante il rito, l’unico neo-cardinale al quale il Papa si è inchinato è Ernst Simoni, l’unico non vescovo, prete che ha subito la persecuzione in Albania.

Il Pontefice e i nuovi cardinali, al termine della celebrazione, salgono su due pulmini e si recano al Monastero Mater Ecclesiae per incontrare il Papa emerito Benedetto XVI.

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