Tu ci ami per primo

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2023

Tu ci ami per primo
di Søren Kierkegaard

Tu ci ami per primo dans Citazioni, frasi e pensieri Tu-ci-ami-per-primo

O Dio nostro Padre,
Tu ci hai amato per primo!

Signore, noi parliamo di Te
come se Tu ci avessi amato per primo
in passato, una sola volta.

Non è così: Tu ci ami per primo, sempre,
Tu ci ami continuamente,
giorno dopo giorno, per tutta la vita.

Quando al mattino mi sveglio
e innalzo a Te il mio spirito, Signore, Dio mio,
Tu sei il primo,
Tu mi ami sempre per primo.

E sempre così:
Tu ci ami per primo
non una sola volta,
ma ogni giorno, sempre.

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Condurre gli uomini al silenzio

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2022

La solitudine necessaria dans Andrej Tarkovskij La-solitudine-necessaria

Lo stato attuale del mondo  e in effetti tutto ciò che è vivente  è ammalato.
Se fossi un medico e mi venisse chiesto un consiglio, direi:
Create il silenzio! 
Conducete gli uomini al silenzio!

Søren Kierkegaard

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In autunno si guarda il cielo

Posté par atempodiblog le 22 septembre 2020

In autunno si guarda il cielo dans Citazioni, frasi e pensieri Autunno

“Per questo preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda il cielo. In primavera la terra”.

Søren Kierkegaard

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L’importante nella vita

Posté par atempodiblog le 26 avril 2016

On the Sailing Boat

Ecco l’importante nella vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto magnifica che ogni altra sia un nulla al suo confronto e anche se si dimenticasse tutto il resto, quella non la si dimenticherebbe mai più!

Søren Kierkegaard

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“Capire che non può capire”

Posté par atempodiblog le 26 février 2016

Kierkegaard

«Finora si è sempre parlato così: “Il dire che non si può capire questa o quella cosa, non soddisfa la scienza che vuol capire”. Ecco lo sbaglio. Si deve dire proprio il contrario: qualora la scienza “umana” non voglia riconoscere che vi è qualcosa che essa non può capire, o — in modo ancor più preciso — qualcosa di cui essa con chiarezza può “capire che non può capire”, allora tutto è sconvolto. È pertanto un compito della conoscenza umana capire che vi sono e quali sono le cose che essa non può capire.».

di Søren Kierkegaard
Tratto da: Le grandi opere filosofiche e teologiche. Ed, BOMPIANI. Pag. 67

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Prender per Cielo il proprio cervello

Posté par atempodiblog le 16 avril 2015

Prender per Cielo il proprio cervello dans Alessandro Manzoni 1zwofis

[...] Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il piú degno che l’uomo possa esercitare; ma che purtroppo può anche guastare, come tutti gli altri. Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono. Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care. Le accadeva quindi, o di proporsi per bene ciò che non lo fosse, o di prender per mezzi, cose che potessero piuttosto far riuscire dalla parte opposta, o di crederne leciti di quelli che non lo fossero punto, per una certa supposizione in confuso, che chi fa piú del suo dovere possa far piú di quel che avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o di vederci ciò che non c’era; e molte altre cose simili, che possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori; ma a donna Prassede, troppo spesso e, non di rado, tutte in una volta.

Al sentire il gran caso di Lucia, e tutto ciò che, in quell’occasione, si diceva della giovine, le venne la curiosità di vederla; e mandò una carrozza, con un vecchio bracciere, a prender la madre e la figlia. Questa si ristringeva nelle spalle, e pregava il sarto, il quale aveva fatta loro l’imbasciata, che trovasse maniera di scusarla. Finché s’era trattato di gente alla buona che cercava di conoscer la giovine del miracolo, il sarto le aveva reso volentieri un tal servizio; ma in questo caso, il rifiuto gli pareva una specie di ribellione. Fece tanti versi, tant’esclamazioni, disse tante cose: e che non si faceva così, e ch’era una casa grande, e che ai signori non si dice di no, e che poteva esser la loro fortuna, e che la signora donna Prassede, oltre il resto, era anche una santa; tante cose insomma, che Lucia si dovette arrendere: molto piú che Agnese confermava tutte quelle ragioni con altrettanti “sicuro, sicuro”.

Arrivate davanti alla signora, essa fece loro grand’accoglienza, e molte congratulazioni; interrogò, consigliò: il tutto con una certa superiorità quasi innata, ma corretta da tante espressioni umili, temperata da tanta premura, condita di tanta spiritualità, che, Agnese quasi subito, Lucia poco dopo, cominciarono a sentirsi sollevate dal rispetto opprimente che da principio aveva loro incusso quella signorile presenza; anzi ci trovarono una certa attrattiva. E per venire alle corte, donna Prassede, sentendo che il cardinale s’era incaricato di trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare e di prevenire a un tratto quella buona intenzione, s’esibì di prender la giovine in casa, dove, senz’essere addetta ad alcun servizio particolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l’altre donne ne’ loro lavori. E soggiunse che penserebbe lei a darne parte a monsignore.

Oltre il bene chiaro e immediato che c’era in un’opera tale, donna Prassede ce ne vedeva, e se ne proponeva un altro, forse piú considerabile, secondo lei; di raddirizzare un cervello, di metter sulla buona strada chi n’aveva gran bisogno. Perché, fin da quando aveva sentito la prima volta parlar di Lucia, s’era subito persuasa che una giovine la quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un sedizioso, a uno scampaforca insomma, qualche magagna, qualche pecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi, e ti dirò chi sei. La vista di Lucia aveva confermata quella persuasione. Non che, in fondo, come si dice, non le paresse una buona giovine; ma c’era molto da ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel non rispondere, o risponder secco secco, come per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente molta caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le sue idee. E quell’arrossire ogni momento, e quel rattenere i sospiri… Due occhioni poi, che a donna Prassede non piacevan punto. Teneva essa per certo, come se lo sapesse di buon luogo, che tutte le sciagure di Lucia erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel poco di buono, e un avviso per far che se ne staccasse affatto; e stante questo, si proponeva di cooperare a un così buon fine. Giacché, come diceva spesso agli altri e a se stessa, tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello. Però, della seconda intenzione che abbiam detto, si guardò bene di darne il minimo indizio. Era una delle sue massime questa, che, per riuscire a far del bene alla gente, la prima cosa, nella maggior parte de’ casi, è di non metterli a parte del disegno. [...]

Tratto dal CAP. XXV de ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni

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I pregiudizi: il cielo e il cervello

«Le idee fisse sono come i crampi ai piedi: il rimedio migliore è camminarci sopra». (Soeren Kierkegaard)

La maggior parte delle persone crede di pensare, mentre in realtà organizza semplicemente i propri pregiudizi. «Con le idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non erano quelle che le fossero meno care». Così ironizzava Alessandro Manzoni su un personaggio minore del suo capolavoro, I promessi sposi.

Il profilo di donna Prassede affiora idealmente anche nell’osservazione del filosofo e psicologo statunitense William James (1842-1910) che oggi proponiamo. Egli punta su quella deviazione del pensiero che è il pregiudizio. Se è vero che il concetto elaborato attraverso il pensiero è fondamentale nella ricerca, è altrettanto vero che molto spesso il punto di partenza è un preconcetto e attorno ad esso si elabora un pensare che in realtà si trasforma in un circolo vizioso. In pratica si gira attorno alla propria idea fissa per difenderla, sostenendola con argomentazioni faziose. Dobbiamo riconoscere che un po’ tutti abbiamo «talora inconsapevolmente» i nostri pregiudizi intoccabili, che non verranno mai scalfiti dalle obiezioni altrui.

Lo scrittore francese Anatole France di un suo personaggio, un illustre accademico, notava che «si lusingava di essere un uomo senza pregiudizi; e questa pretesa è già di per sé un grande pregiudizio». Cerchiamo, allora, con coraggio di vagliare le nostre idee, soprattutto quelle più care, confrontandole con quelle ad esse antitetiche per scoprire se resistono alla luce di un vero, spietato, fondato giudizio.

di Mons. Gianfranco Ravasi – Avvenire

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Quando nel romanzo compare donna Prassede, non può non venire in mente qualche nostra vecchia zia un po’ brontolona e saccente, alla quale in fondo vogliamo bene, anche se… preferiamo stare alla larga, se possibile: è il risultato di alcune sapienti pennellate con le quali il Manzoni tratteggia questo indimenticabile personaggio, messo là apposta a… perseguitare la povera Lucia.

L’avvio è come di consueto molto tranquillo e assolutamente non fa presagire questo ulteriore dramma per la nostra protagonista femminile: “Poco distante da quel paesetto, villeggiava una coppia d’alto affare”…ma poi arriva subito la frecciatina: “Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene” [naturalmente il Manzoni riporta i giudizi di quel popolo che nella sua semplicità si basava unicamente sulle apparenze… e le cose non sono molto cambiate: tutti i tempi si assomigliano!]. Ma leggiamo subito dopo il giudizio benevolo e anche tagliente dell’autore: “mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che purtroppo può guastare, come tutti gli altri”. Certo che se il far del bene diventa un mestiere part time, può guastare. E vediamo ora l’affondo quasi impietoso, se non fosse in un contesto così pacifico e inoffensivo: “Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso vanno come possono. Con le idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve fare con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata: Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care…”.

Una gentildonna come lei, dunque, molto inclinata a far del bene, e certamente abbastanza partecipe degli eventi del tempo, appena sa di Lucia e della sua prodigiosa liberazione, decide di avere anche lei la sua piccola parte in questi fatti così inusitati. A dire il vero, il suo proposito non è del tutto gratuito e disinteressato; il suo bravo interesse l’aveva anche se in assoluta buona fede: Oltre il bene chiaro e immediato che c’era in un’opera tale, donna Prassede ce ne vedeva, e se ne proponeva un altro, forse più considerabile, secondo lei; di raddrizzare un cervello, di metter sulla buona strada chi n’aveva bisogno.

Ed ecco la nobile missione di raddrizzare il cervello e mettere sulla buona strada la povera Lucia: fin da quando aveva sentito la prima volta parlar di Lucia, s’era subito persuasa che una giovine che aveva potuto promettersi a un poco di buono (…), qualche magagna, qualche pecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi e ti dirò chi sei: ancora il solito proverbio, che altrove abbiamo definito come espressione della mediocrità di un popolo, e che qui diventa ancor più evanescente perché si basa su delle premesse alquanto labili: il “sentito dire” generico delle notizie sensazionali che via via si arricchiscono di particolari di assoluta fantasia.

Risulta inoltre interessante lo sguardo che donna Prassede ha nei confronti di Lucia; sguardo fortemente condizionato da quelle passioni, quei giudizi, quelle idee, poche ma tenaci, che ormai facevano parte della sua forma mentis. Ed ecco una descrizione di Lucia assolutamente superficiale, ma ritenuta esauriente dalla anziana e testarda nobildonna: non che in fondo non le paresse una buona giovine; ma c’era molto da ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel non rispondere, o rispondere secco secco, come per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le sue idee.


Dove sta l’errore di donna Prassede? E come evitare un simile errore di valutazione?

Il primo errore consiste nel fatto che la nostra nobildonna parte da un’ipotesi negativa nel giudicare i fatti; e questo è un punto di partenza che chiude il cuore e l’intelligenza alla comprensione della realtà.
Quanto all’errore di valutazione, c’è da rilevare una notevole imprudenza, nonostante l’età avanzata, nel valutare sulla base di pregiudizi non verificati seriamente.

Autore: Pinna, Maria Vittoria  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

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In autunno

Posté par atempodiblog le 3 novembre 2013

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In autunno tutto ci ricorda il crepuscolo. E tuttavia mi sembra la stagione più bella; volesse il cielo allora, quando io vivrò il mio crepuscolo, che ci fosse qualcuno che mi ami come io ho amato l’autunno”.

Søren Kierkegaard

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Soeren Kierkegaard. Ammiratori di Cristo? No: imitatori

Posté par atempodiblog le 11 octobre 2013

“Il mio pensiero dominante era che nella nostra età è stato dimenticato che cosa significa esistere e che cosa significa interiorità”. (Soeren Kierkegaard)

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Settimo figlio di un agiato commerciante, Soeren Kierkegaard nacque a Copenhagen il 5 maggio 1813: il clima familiare improntato a una religiosità severa, la morte dei genitori e di tre fratelli e la sensazione di essere vittima di una sorta di maledizione contribuirono a rendere la sua personalità estremamente sensibile e drammaticamente attraversata da una costante vena di sofferenza. Non intraprese la carriera di pastore, alla quale si era pure avviato, né coronò con le nozze il fidanzamento con Regina Olsen, ma lo interruppe dopo breve tempo: trascorse tutta la sua breve esistenza – morì l’11 ottobre 1855 – nella meditazione, scrivendo notevoli opere filosofiche, che gli hanno assicurato un posto di primissimo piano nella storia del pensiero occidentale.
La filosofia kierkegaardiana, dominata da una viva e palpitante ansia religiosa, prende le mosse da una decisa critica dell’idealismo, la grande corrente di pensiero sviluppatasi agli inizi del XIX secolo, che ebbe in Hegel il massimo rappresentante. Di essa Kierkegaard contesta il primato attribuito alle realtà sovraindividuali (lo Spirito, la Storia, lo Stato): per il filosofo danese l’unico vero protagonista è “il singolo”, e l’irriducibile individualità di ciascun uomo è la sola categoria filosofica degna di essere presa in considerazione. Di qui un’importante conseguenza: la filosofia non potrà mai diventare una scienza oggettiva, come avrebbe voluto Hegel, bensì rimarrà sempre una riflessione soggettiva nella quale il singolo è direttamente coinvolto (non casualmente, il capolavoro di Kierkegaard resta il Diario) perché non può esistere una riflessione scissa dalla vita concreta, un sapere che non si leghi all’esistenza. Anche per quanto riguarda la condizione dell’uomo, Kierkegaard si differenzia radicalmente da Hegel, che ritiene di poter interpretare e risolvere tutto attraverso la mediazione e la sintesi dei contrasti e delle opposizioni; al contrario, il pensatore danese è convinto che la vita del singolo sia caratterizzata dalla possibilità: l’individuo viene a trovarsi sempre in bilico tra varie opzioni che si escludono a vicenda. Per questo motivo, all’uomo è costantemente richiesto di scegliere, accettando l’inevitabile rischio che è connesso ad ogni scelta: ciascuno sarà ciò che avrà scelto di essere, giocandosi quotidianamente il proprio destino. Tutto ciò fa sì che l’esistenza umana sia drammaticamente segnata dall’angoscia e dalla disperazione: angoscia che deriva proprio dal fatto che l’uomo è completamente libero di operare qualunque scelta, disperazione che è il frutto di quella lacerante tensione che il singolo prova quando si rende conto dell’insufficienza e della finitezza che lo contraddistinguono. Kierkegaard ha individuato tre modi fondamentali di vivere, corrispondenti a tre tipi di scelta che ogni persona può operare: si tratta della vita estetica, di quella etica e di quella religiosa.
Il primo genere di esistenza, simboleggiato dalla figura del Don Giovanni (Kierkegaard dedicò pagine memorabili all’omonima opera mozartiana), è caratterizzato dalla ricerca del piacere momentaneo e di emozioni sempre diverse: esso, tuttavia, conduce ben presto alla noia e all’insoddisfazione, perché dischiude davanti all’uomo il vuoto e il nulla propri della vita dell’esteta. La scelta etica è caratterizzata, a giudizio di Kierkegaard, dall’assunzione da parte di chi la compie di un impegno che richiede serietà e fedeltà: è il caso del buon padre di famiglia, che rimane fedele alla moglie e si assume le responsabilità connesse alla sua condizione di marito, di genitore e di lavoratore. Siamo qui in presenza di una scelta ben più alta di quella dell’esteta, ma non ancora risolutiva del dramma del singolo, che non si sente appagato da essa.
A questo punto, abissalmente differente da tutte le altre, si prospetta la vita religiosa: il singolo, che ha preso sul serio la propria angoscia e la propria disperazione, opta per la fede, aprendosi in modo totale e incondizionato a Dio: non v’è nulla di normale e di tranquillizzante nella vita religiosa, tanto che la figura scelta da Kierkegaard come simbolo di essa è quella di Abramo, l’uomo della speranza impossibile, l’uomo che per obbedire a Dio era pronto, contro qualunque codice etico tradizionale, a uccidere il figlio. La fede cristiana è scandalo e paradosso, e lungi dall’essere riconducibile entro schemi razionali, scompagina i disegni umani; l’Incarnazione di Cristo realizza un’inconcepibile inserzione dell’eterno nel tempo, la sua crocifissione accentua in misura quasi insopportabile l’assurdità della fede che è richiesta al credente: eppure – insiste Kierkegaard – fuori della dimensione della fede, l’esistenza umana è priva di significato. Sembra opportuno sottolineare due fra le numerose caratteristiche della concezione religiosa di Kierkegaard. La prima è costituita dall’evidente carica contestatrice che egli attribuì alla fede cristiana e in nome della quale rivolse aspre critiche alla gerarchia della chiesa protestante danese, colpevole ai suoi occhi di avere annacquato il genuino messaggio evangelico, che, invece, egli desiderava mantenere inalterato nella sua dirompente e provocatoria paradossalità. Infine, Kierkegaard guardò a Gesù Cristo come all’unico salvatore dell’uomo e ricordò a tutti che il Signore non cerca ammiratori, ma imitatori pronti a prendere la croce e a seguirlo.

di Maurizio Schoepflin – Il Timone

 Ricorda
“Kierkegaard afferma ripetutamente la superiorità del cristianesimo cattolico su quello protestante, ma non giunse ad un’accettazione esplicita del cattolicesimo, come fecero molti, spinti dall’ardore e dalla forza dei suoi scritti”.

(Cornelio Fabro, voce Kierkegaard, in Enciclopedìa Cattolica, voi. VII, col. 692).

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Colei che ha capito Dio

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013

“Non abbandonare senza amore un uomo o la speranza in lui, poiché è possibile che anche il figlio più perduto si salvi, che anche il nemico più accanito possa ritornare tuo amico; è possibile che colui che è caduto così in fondo si risollevi; è possibile che l’amore che si è raffreddato torni ad ardere: perciò non abbandonare mai un uomo, neppure nell’ultimo momento, non disperare, no – spera tutto!”. (Soren Kierkegaard)

Colei che ha capito Dio dans Canti 68ty

«Quando nell’ombra cade la sera». Sono le parole che compongono la prima frase dell’omonimo canto popolare ed evocano pensieri che ci rimandano alla sera intesa come fine della giornata o come conclusione di un cammino difficoltoso o ancora come termine del cammino della vita; una sera, però, che si rischiara dall’immagine luminosa di Maria alla quale l’uomo può aprire il suo cuore nella ricerca di conforto, coraggio, aiuto. Il futuro del mondo in cui siamo immersi è incerto: la febbre dell’egoismo ha ormai contaminato tutto ciò che ci circonda, ma la certezza che Maria è speranza è ancora viva e forte.

I valori umani indicati da Maria sono le virtù basilari per guarire dall’incomprensione, dalla rivalità, dall’avidità. A un mondo schiavo del denaro Maria richiama la povertà, a un mondo provocatore e astuto consiglia la semplicità di cuore; a un mondo vecchio e indurito dall’odio porta il sorriso addolcito di giovinezza. L’uomo che affida la sua vita alla maternità di Maria è guidato verso i misteriosi legami dello Spirito che lo portano gradualmente a creare un contatto sempre più intenso con il Dio dell’amore, della misericordia, del perdono.

Nel corso dei secoli la devozione mariana ha trovato numerose espressioni: si sono sviluppati pensieri individuali in armonia con profondi sentimenti di fiducia e di speranza. In questo contesto un ruolo importante va riservato ai canti popolari mariani che hanno arricchito la preghiera della Chiesa e impresso il loro carattere alla cultura dei popoli. Le origini di queste lodi non ci sono note e oggi la maggior parte di esse sono cadute in disuso, ma bisogna riconoscere che le melodie e i testi di questi canti coinvolgono e trascinano.

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T. Grassi, Incoronazione della Vergine (1692), chiesa Madonna del Popolo, Romagnano Sesia (Novara).

«Quando nell’ombra» è un canto semplice, strutturato con strofe e ritornello; la conduzione ritmica si presenta uguale nel corso del brano, creando regolarità e continuità. La melodia delle strofe rispecchia, pur nella sua brevità, un percorso di quattro battute ascendenti, in progressione, a cui corrispondono altrettante battute, sempre in progressione, ma discendenti. È un percorso che richiede delicatezza nell’esecuzione; la graziosità melodica non va disturbata dall’appoggio sulla croma: tutto procede con linearità e spontaneità, privilegiando una sonorità delicata e leggera.

Il ritornello inizia con due battute che, data la scelta ritmica, interrompono l’atmosfera precedente. Le tre semiminime di Fa’ pura introducono una successione melodica più marcata che fa esplicito riferimento a una richiesta di aiuto, a un’invocazione resa ancora più convincente dall’apertura verso l’acuto che può essere accompagnata, anche, da un’intensità sonora maggiore.  È qui il punto che maggiormente si presta alla coralità con la possibilità di aggiungere alla melodia principale altre voci che danno rinforzo e grandiosità al ritornello. Dalla terza battuta del ritornello, poi, si riprende il ritmo iniziale, seppur leggermente variato nell’ultima parte, con un evidente richiamo melodico che conduce a una conclusione dolce e riservata.

Quando nell’ombra…
Quando nell’ombra cade la sera,
è questa, o Madre, la mia preghiera:
fa’ pura e santa l’anima mia.
Ave Maria, Ave.
Di stelle e d’angeli incoronata,
da mille popoli sempre invocata:
ave, divina bianca Regina.
Avvolta in splendida candida veste,
cinta da un serico nastro celeste:
ave, divina bianca Regina.
Nel duol, nel gaudio da mane a sera
s’innalzi unanime una preghiera
alla divina bianca Regina.

di Luisa Tarabra
a cura di Mario Moscatello e Giuseppe Tarabra – Madre di Dio

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In verità vi dico: viva i peccatori

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2013

In verità vi dico: viva i peccatori
Gesù cercava le ferite del peccato e le guariva. Ma ammoniva gli scribi, che chiamava “sepolcri imbiancati”.
di Antonio Socci – Panorama

In verità vi dico: viva i peccatori dans Antonio Socci p2je

Il Cristianesimo, strano a dirsi, entra nel mondo precisamente in polemica dura con i moralisti. A ogni pagina dei Vangeli Gesù appare traboccante di tenerezza verso i peccatori, perfino i più malfamati. Invece è durissimo solo con coloro che si ritenevano “giusti”.

Con loro, per scuoterli, usa parole di fuoco: “Guai a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito” (Lc 11,43-46). “Tutto quello che fanno è per farsi vedere dalla gente… Guai a voi scribi e farisei ipocriti. Voi siete come sepolcri imbiancati: all’esterno sembrano bellissimi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di marciume” (Mt 24,4 e segg).
Gesù non sta alla larga dai peccatori e dai disprezzati, anzi li cerca premurosamente. Come nota il filosofo Soren Kierkegaard: “Non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrarvi con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore”.

Ma soprattutto Gesù rifiuta la presunzione di giudicare gli altri come peccatori, perché peccatori per lui sono tutti gli uomini e nessuno si salva se umilmente non si lascia perdonare. Un altro grande convertito del Novecento, lo scrittore francese Charles Péguy, scriverà: “Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia. Ciò che si chiama la morale è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia operi sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”.
Lo si vede, in effetti, sul Calvario, dove il ladrone si converte, mentre i dottori della Legge inveiscono contro Gesù: “E’ per questo che niente è più contrario a ciò che si chiama la religione come ciò che si chiama la morale” estremizzava Péguy “e niente è così idiota che confondere così insieme la morale e la religione”.
Naturalmente Péguy non fa l’elogio del peccato. Gesù ha orrore di ogni peccato, ma condanna il legalismo. Come Paolo e Agostino condannano l’ideologia dell’onesto, il moralismo. Ciò sarà il giacobinismo. Perché non ci si salva con le nostre forze. Gesù dice: “Senza di me non potete fare nulla”. Egli dice infatti di essere venuto per i peccatori, le cui ferite del peccato possono diventare feritoie della grazia. Spiega di essere venuto per salvare, non per condannare. E’ stupefacente. Colui che ha più cambiato il mondo e lo ha umanizzato e santificato non fa mai l’accusatore. Perdona sempre.

E’ ancora Péguy che lo spiega: “C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In modo molto semplice. Facendo il Cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”.

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C’è Uno solo che può mettersi fino in fondo al posto tuo

Posté par atempodiblog le 21 mars 2013

C'è Uno solo che può mettersi fino in fondo al posto tuo dans Citazioni, frasi e pensieri abbraccioges

Mio ascoltatore, se tu stesso sei stato,o forse sei, sofferente oppure se hai conosciuto chi soffre, forse con la buona intenzione di dargli conforto, hai senz’altro ascoltato spesso la comune protesta di chi soffre: “Tu non mi capisci, sì , non mi capisci, non ti metti al mio posto. Se ti mettessi al mio posto, se fossi capace di metterti al mio posto, se potessi metterti fino in fondo al mio posto e dunque capirmi fino in fondo, allora parleresti diversamente”. Parleresti diversamente, il che vuol dire, nel linguaggio di chi soffre, anche tu vedresti e capiresti che non esiste conforto. Questa è dunque la protesta, chi soffre protesta quasi sempre che chi lo vuole confortare non si mette al suo posto.
C’è Uno solo che può mettersi fino in fondo al posto tuo e di ciascun sofferente: il Signore Gesù Cristo…
Lui sa avere compassione. E che Lui non possa non avere compassione lo vedi dal fatto che per compassione è stato provato in tutto e al nostro stesso modo: è stata proprio la compassione a fargli decidere di venire al mondo… Cristo si è messo fino in fondo al tuo posto. Era Dio e divenne uomo  così si è messo al tuo posto. Questo desidera infatti la vera compassione: mettersi al posto di chi soffre per poter davvero recare conforto. Ma proprio questo la compassione umana non è capace di farlo: solo la compassione divina lo può.
E Dio divenne uomo. Divenne uomo. E divenne quell’uomo che tra tutti, tutti incondizionatamente, ha sofferto di più; mai è nato e mai nascerà o potrà nascere essere umano capace di soffrire quanto Lui.
Oh, quale sicurezza per la Sua compassione, quale compassione offrire una tal sicurezza!
Comparendo apre le Sue braccia a tutti i sofferenti: venite qui, dice, voi tutti che soffrite e siete oppressi: venite a me!

Sören Kierkegaard

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La freccia dell’arciere

Posté par atempodiblog le 5 avril 2012

La freccia dell'arciere dans Citazioni, frasi e pensieri

Come la freccia dell’arciere addestrato, quando si allontana dalla corda dell’arco non si dà riposo prima di arrivare al bersaglio, così l’uomo è creato da Dio avendo come obiettivo Dio, e non riesce a trovare riposo se non in Dio.

Sören Kierkegaard

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Quando si è più certi dell’amore di Dio

Posté par atempodiblog le 8 janvier 2012

Quando si è più certi dell’amore di Dio dans Citazioni, frasi e pensieri kierkegaard

“L’amore (cioè il vero amore, non l’amor proprio che ama solamente ciò ch’è egregio, eccellente ecc., quindi in fondo non ama che se stesso) sta in rapporto inverso alla grandezza e all’eccellenza dell’oggetto. Se quindi io sono proprio una nullità: se nella mia miseria mi sento il più miserabile di tutti i miserabili: bene, è certo allora, eternamente certo, che Dio mi ama.
Cristo dice: “Neppure un passero cade in terra, senza la volontà del Padre” (Mt 10,29). Oh, io faccio un’offerta più umile ancora: davanti a Dio io sono meno di un passero: tanto è più certo allora che Dio mi ama, tanto più saldamente si chiude il sillogismo.
Sì, lo Zar delle Russie, di lui si potrebbe forse pensare che Dio lo potrebbe trascurare: Dio ha tante altre cose da ascoltare! E lo Zar delle Russie è una cosa tanto grande. Ma un passero … no, no perché Dio è amore, e l’amore si rapporta inversamente alla grandezza e all’eccellenza dell’oggetto.
Quando ti senti abbandonato nel mondo sofferente, quando nessuno si prende cura di te, tu concludi: « Ecco che Dio non si prende cura di me ». Vergognati, stolto e calunniatore che sei! tu che parli così di Dio. No, proprio chi è più abbandonato sulla terra, egli è più amato da Dio. E se non fosse assolutamente il più abbandonato, se avesse ancora una piccola consolazione, anzi anche se questa gli venisse tolta: nello stesso momento diventerebbe più certo ancora che Iddio lo ama”.

Sören Kierkegaard

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Un riparo sicuro sotto il Suo Amore

Posté par atempodiblog le 26 septembre 2011

Un riparo sicuro sotto il Suo Amore dans Citazioni, frasi e pensieri 5k2f86

Pensa a una persona che si mettete davanti a un’altra e con il suo corpo la copre completamente, così che nessuno possa scorgere chi si nasconde dietro: allo stesso modo Gesù Cristo nasconde il tuo peccato con il suo corpo santo. [...] Li nasconde letteralmente.

Pensa a una chioccia che, preoccupata, nel momento del pericolo raccoglie i pulcini sotto le proprie ali, li copre, ed è pronta a dare la sua vita piuttosto che privarli di quel riparo che ne rende impossibile la vista all’occhio del nemico: allo stesso modo egli nasconde il tuo peccato.

Allo stesso modo: perché anch’egli è preoccupato, infinitamente preoccupato nell’amore; darà la sua stessa vita prima di privarti di questo riparo sicuro sotto il suo amore. Prima darà la sua vita, anzi no, proprio per questo ha dato la sua vita, per assicurarti un riparo sicuro sotto il suo amore.

Sören Kierkegaard

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Il Cristianesimo

Posté par atempodiblog le 25 mai 2011

Il Cristianesimo dans Citazioni, frasi e pensieri cristianesimo

Il Cristianesimo non soltanto ha in sé qualcosa che l’uomo non si è dato da sé, ma contiene cose che mai sarebbero venute in mente all’uomo neppure come desiderio ideale.

Sören Kierkegaard

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