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L’universo in una sola piaga di Gesù

Posté par atempodiblog le 13 mars 2025

L’universo in una sola piaga di Gesù
L’universo intero è in una sola piaga di Gesù, perché una sola sofferenza di Cristo ha ontologicamente la capacità di salvare tutto. Il Cristianesimo è l’unica religione che afferma che nella singolarità vi è la spiegazione di tutto.
di Corrado Gnerre – Radici Cristiane

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San Bonaventura insegnava a Parigi; era molto famoso: le sue lezioni erano seguitissime e molto apprezzate. Un giorno si recò a fargli visita un suo collega, san Tommaso d’Aquino. Questi lo pregò di mostrargli i libri di cui si serviva per i suoi studi. San Bonaventura lo introdusse nella sua celletta e gli mostrò dei libri ordinatissimi che stavano sul suo tavolino. San Tommaso non si accontentò e domandò di vedere altri libri, dai quali sicuramente attingeva la sapienza per i suoi insegnamenti.

Il Santo francescano gli mostrò allora un piccolo oratorio nel quale vi era solo l’immagine del Crocifisso: tutto annerito per i tanti baci che gli dava.

Ecco, padre, il mio miglior libro – disse san Bonaventura indicando il Crocifisso – da qui attingo tutto quello che insegno e scrivo; gettandomi ai piedi di questo Crocifisso, domandando a Lui la luce dei miei dubbi, faccio nelle scienze maggior progresso che leggendo qualsiasi libro”. Poi san Bonaventura concluse: “Vi sono uomini che studiano molto nei libri e concludono poco; mentre i santi diventano grandi sapienti soprattutto perché studiano il Crocifisso”.

Si racconta anche di una giovane aristocratica che chiese di entrare in una comunità religiosa. Per provarne la vocazione, la Superiora le fece un quadro assai duro ed esigente della vita in quella comunità. Le fece vedere il monastero insistendo particolarmente sui luoghi più austeri. La giovane sembrava scoraggiarsi, poi, improvvisamente, domandò alla Superiora: “Troverò un Crocifisso in quella cella in cui dovrò stare molto ristretta e in cui dovrò dormire sopra un pagliericcio? Troverò un Crocifisso in quel refettorio, in cui il cibo sarà molto grossolano? Lo troverò in quel Capitolo, in cui dovrò ricevere tante correzioni?”. La Superiora rispose: “Oh! sì, figlia, il Crocifisso è dappertutto”. “Ebbene, madre – rispose decisa la giovane – io penso che niente mi sarà difficile quando avrò con me un Crocifisso in tutti quei luoghi in cui dovrò sacrificarmi”.

Nella teologia cristiana la sofferenza di Cristo ha un ruolo centrale. Certamente la Passione e la Morte di Gesù non sono la conclusione; la conclusione è la Resurrezione, ma indubbiamente costituiscono il momento apicale del Cristianesimo, il momento più rappresentativo in quanto è la massima espressione dell’amore di Dio verso l’uomo. Non a caso il segno distintivo dei cristiani è, appunto, il segno della Croce.

La parte contiene il tutto
Tutto questo ci permette di fare delle considerazioni su un’unicità del Cristianesimo. Nella teologia salvifica cristiana si afferma che la sofferenza di Cristo ha redento l’universo intero. Tutto è ricapitolato in Cristo. Quando ci poniamo dinanzi ad un oggetto, per osservarlo nella sua interezza, dobbiamo indirizzare lo sguardo verso il centro e poi, eventualmente, ruotare lo sguardo per completarne la visione. E’ una legge dell’ottica. Ugualmente quando si vuole sintetizzare un discorso o un fatto bisogna enuclearne l’essenza. Ebbene, il Cristianesimo afferma che il centro non solo di una vita, non solo della storia di alcuni uomini, non solo di quella di una nazione o di un continente, ma dell’universo intero è nella singola, e circoscritta temporalmente (“sotto Ponzio Pilato” recitiamo nel Credo), sofferenza di Gesù.

Se nel centro s’include la visione di tutto l’oggetto, se nella sintesi si riassume un fatto, allora possiamo dire che nella sofferenza di Cristo vi è l’universo intero. Ma – è noto – tutto ciò che Gesù ha singolarmente fatto ha avuto un valore infinito, perché vissuto e voluto da un soggetto divino. Dunque possiamo dire che già in una sola sofferenza di Cristo vi è l’universo intero. Già in una sola sua piaga. […]

“Dentro le tue piaghe nascondimi”
Una famosa preghiera per il ringraziamento eucaristico (tanto amata da sant’Ignazio di Loyola) dice: “dentro le tue piaghe nascondimiOvvero l’uomo può trovare la sua dimora nelle piaghe di Gesù. […]

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Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore

Posté par atempodiblog le 6 février 2022

Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore
Tratto dal commento di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, al libroEsercizio di perfezione e di virtù cristiane” di padre Alfonso Rodriguez S.J.

Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore dans Fede, morale e teologia sant-Alfonso-Rodriguez-sj

Per quanto riguarda il giudizio: questo può riguardare o l’azione che uno compie oppure la sua intenzione. Come sappiamo, quando Cristo ci ha proibito di giudicare l’intenzione delle persone è perché il cuore è noto soltanto a Dio. Per quanto riguarda l’azione in sé per sé considerata, per es. vediamo una persona che uccide un’altra persona, anche per quanto riguarda l’azione bisogna agire con molta prudenza. Bisogna effettivamente non precipitarsi nel giudizio, ma avere tutti gli elementi necessari. La temerarietà può riguardare sia l’azione in se stessa in quanto noi non sappiamo giudicare con oggettività, per cui molte volte esprimiamo giudizi a partire da dati assolutamente insufficienti, per cui se vediamo una persona in giro a mezzanotte pensiamo “chissà dove va… invece, può darsi, sia andata a trovare un povero, non bisogna essere precipitosi ed imprudenti e di valutare bene la materia in se stessa, sia l’intenzione nota soltanto a Dio, perché soltanto Lui vede nel fondo dei cuori.

Mi ricordo sempre la morte del povero cardinale Daniélou, grande uomo di Chiesa, che era andato a trovare una povera ex prostituta abbandonata (lui era solito fare questi gesti di grandissima carità) e quando arrivò al sesto piano, dopo aver salito tutte le scale a piedi, morì d’infarto. Ebbe un infarto arrivato in cima. Ecco il giudizio temerario, subito c’era chi diceva: “perché era là?”, “cosa faceva là?, “quella era una prostituta!… E giù giudizi a più non posso. Si trattava, invece, di uno squisitissimo atto di carità.

Si chiamano giudizi temerari in quanto c’è una temerarietà, quindi un’imprudenza e una leggerezza nel giudicare un’azione e c’è anche una temerarietà di voler giudicare il cuore e a noi l’intenzione sfugge. [...]

I giudizi temerari già son tali quando si consumano nel nostro cuore, se poi vengono manifestati ad altri assumono una gravità maggiore, cioè la gravità della diffamazione, della calunnia e perciò, diceva il nostro autore, i teologi ci ammoniscono che bisogna guardarsi dal manifestare ad altri tali giudizi o sospetti quando si presentano alla mente per non essere causa agli altri dello stesso sospetto o confermarveli nel caso li avessero già avuti. Tale è infatti la nostra perversa inclinazione che degli altri crediamo più facilmente il male che il bene. Poi abbiamo visto che questo atteggiamento del giudicare temerariamente oltre che offendere il prossimo, offende anche Dio che si è riservato il diritto di giudicare. La persona santa non giudica mai: scusa, compatisce e prega.

S-Alfonso-Rodriguez-gesuita dans Libri

Dei giudizi temerari
Tratto da: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane di padre Alfonso Rodriguez S.J.
Proprietà riservata alla Società Editrice Internazionale di Torino
Torino, 1931
Scuola Tipografica Salesiana Via Cottolengo, 32

CAPO XV
Dei giudizi temerari; e si dichiara in che consista la malizia e gravezza di essi (da pag. 147 a p. 149)

1) I giudizi temerari sono contrari alla carità;
2) Perché si infama il prossimo nel nostro cuore;
3) Altro averli, altro ammetterli;
4) E un usurpare la giurisdizione di Dio;
5) Specie se si giudica l’interno altrui.

1) «E tu, dice l’Apostolo S. Paolo, perché giudichi il tuo fratello, o perché disprezzi il tuo fratello?» (Rom. 14, 10). Fra le altre tentazioni colle quali il demonio, nemico del nostro bene, ci suole far guerra, una, e molto principale, è il metterci nella mente giudizi o sospetti contro i nostri fratelli, acciocché, levando da noi la buona opinione che di essi abbiamo, ne levi insieme l’amore e la carità, o almeno ci faccia raffreddare in essa. Per la medesima ragione abbiamo noi altri da procurare di resistere con molta diligenza a questa tentazione, tenendola per molto grave; poiché tocca un tasto tanto principale e delicato, quanto è la carità. Così ce ne avverte S. Agostino (S. Aug. De amicit. l. 2, c. 24): Se ti vuoi conservare in amore e carità coi tuoi fratelli, egli dice, prima d’ogni altra cosa bisogna che ti guardi molto dai sinistri giudizi e sospetti; perché questi sono il veleno della carità. E S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 8) dice: Una peste sono questi giudizi, occulta e segreta, ma gravissima, la quale scaccia lontano da sé Dio e distrugge la carità dei fratelli.

2) La malizia e gravezza di questo vizio consiste nell’infamare una persona il suo prossimo entro se stessa, disprezzandolo e stimandolo meno, e dandogli un basso e disonorevole luogo entro il suo cuore, per indizi leggieri e a ciò fare non bastevoli. Nel che fa torto ed ingiuria al suo fratello; e tanto sarà maggiore la colpa in questo, quanto la cosa della quale uno giudica il suo fratello sarà più grave e gl’indizi meno sufficienti.

Si potrà ben comprendere la gravezza di questa colpa da un’altra simile. Se tu lacerassi la fama del tuo fratello presso d’un altro, facendo che quel tale perdesse il buon concetto e la buona opinione che prima aveva di lui, e così presso d’un tale venissi ad infamarlo, ben si vede che sarebbe questo un grave peccato. Or questo medesimo torto ed ingiuria gli fai col torgli presso di te, senza cagione e senza bastanti indizi, quel buon concetto e quella buona opinione che avevi tu di lui; perché tanto stima il tuo fratello l’essere in buona riputazione presso di te, quanto l’essere nella medesima presso qualunque altro. E in causa propria potrà ben ciascuno conoscere qual grave torto ed ingiuria fa egli in questo al suo prossimo. Non t’aggraveresti tu, che uno ti tenesse per tale, senza che n’avessi dato motivo bastante? Or così viene aggravato da te quell’altro col giudicarlo tu per tale. Misuralo da te stesso; ché questa è la misura della carità col nostro prossimo e della giustizia ancora.

3) È però qui da avvertirsi che l’esser tentato di giudizi temerari è una cosa, e l’esser vinto dalla tentazione di essi è un’altra. Come siamo soliti di dire nelle altre tentazioni, che l’aver tentazioni è una cosa, e un’altra è l’esser vinto e il consentir in esse; e diciamo che non sta il male nella prima, ma nella seconda cosa; così qui non sta il male nell’esser uno molestato da pensieri di sinistri giudizi e sospetti; sebbene sarebbe meglio che avessimo tanta carità e amore verso i nostri fratelli, tal concetto di essi e tanta cognizione dei nostri propri difetti, che non si risvegliasse in noi il pensiero dei difetti altrui: ma finalmente, come dice S. Bernardo (S. BERN. De inter. domo, c. 8, n. 15), «non sta la colpa nel senso, ma nel consenso» e nell’esser vinto dalla tentazione; ed allora dice uno esser vinto dalla tentazione dei giudizi temerari, quando deliberatamente consente in essi, e per mezzo di quelli perde la buona opinione e il buon concetto che aveva del suo fratello, e non lo stima più come faceva prima; anzi entro se stesso lo disprezza, secondo le parole sopra citate dell’Apostolo S. Paolo.

E in tal caso, quando si confessa, non ha da dire che gli sono venuti nella mente giudizi temerari contro il suo fratello; ma che ha consentito in essi e che è stato vinto dalla tentazione. E avvertono qui i teologi, che la persona si deve grandemente guardare di comunicar ad un altro il giudizio, o sospetto cattivo, che gli è venuto in mente del suo prossimo; acciocché non sia cagione che l’altro venga ad ammettere il medesimo giudizio e sospetto, o a confermarsi in quello, che forse gli era già venuto prima nella mente; perché è tanto cattiva la nostra inclinazione, che più facilmente crediamo il male dell’altro che il bene. Ed anche avvertono che nel confessarsi non deve uno manifestar la persona contro la quale ha avuto in mente il giudizio, come né anche la persona della quale si sia offeso per la tale o tal cosa che fece; acciocché non venga con questo a ingenerare a di lei pregiudizio nel confessore qualche cattivo sospetto, o qualche mal concetto. La circospezione e la cura che i dottori e i Santi vogliono che abbiamo dell’onore e della buona opinione del nostro prossimo è tanto grande; e tu vuoi per certi leggieri indizi levargli il buon concetto e la riputazione in cui era presso di te, e in cui ha naturale ragione e diritto di essere presso di tutti, mentre le sue azioni non fanno sufficiente testimonianza del contrario?

4) Oltre l’ingiuria e il torto che in questo si fa al prossimo, contiene in sé questo vizio un’altra malizia e ingiuria grave contro, Dio; che è usurpare la giurisdizione e il giudizio che unicamente è proprio del medesimo Dio, contravvenendo a quello che dice Cristo nostro Redentore, come si legge nel Vangelo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati» (Lc 6, 37). S. Agostino (S. AUG. De serm. Dom. in monte, l. 2, c, 18) dice che il Signore proibisce qui i giudizi temerari, quali sono giudicar l’intenzione del cuore, od altre cose incerte ed occulte: perché Dio riservò a sé la cognizione di queste cause; e così comanda che noi non c’ingeriamo in esse. L’Apostolo S. Paolo dichiara questa cosa più in particolare scrivendo ai Romani: «Chi sei tu che condanni il servo altrui? Egli sta ritto o cade per il suo padrone» (Rom. 14, 4). Il giudicare è atto di superiore: quest’uomo non è tuo suddito: ha padrone lascialo giudicare a lui; non usurpar tu la giurisdizione di Dio. «Per la qual cosa non vogliate giudicare prima del tempo, fintantoché venga il Signore, il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre e manifesterà i consigli del cuore; e allora ciascheduno avrà lode da Dio» (1Cor 4, 5). Questa è la ragione che adduce l’Apostolo S. Paolo del non dover noi giudicare in simili cose; perché queste sono cose incerte ed occulte, che appartengono al giudizio di Dio; e così colui che s’intromette in giudicar queste cose usurpa la giurisdizione e il giudizio che unicamente appartengono a Dio.

5) Nelle Vite dei Padri (De vit. patr. 1. 5, lib. 9, n. 11) si racconta di uno di quei monaci, che con alcuni indizi che vide, o udì, giudicò malamente di un altro monaco, e subito sentì una voce dal cielo che gli disse: Gli uomini si sono ribellati, e hanno usurpato il mio giudizio, e si sono ingeriti nella giurisdizione altrui. E se diciamo questo, e lo dicono i Santi ancora, delle cose che hanno qualche apparenza di male; che sarà di coloro che ancora le cose per se stesse buone le interpretano sinistramente, giudicando che si facciano con mala intenzione e per fini umani? Questo è più propriamente usurpare la giurisdizione e il giudizio di Dio; poiché ancora dentro i cuori degli uomini si vuole entrare e giudicar le intenzioni ed i pensieri occulti; il che è proprio solamente di Dio. «Vi siete fatti giudici di pensamenti ingiusti», dice l’Apostolo S. Giacomo (Gc 2, 4); e il Savio aggiunge che questi tali si vogliono far indovini, giudicando quel che non sanno e non possono sapere (Prov 23, 7).

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Papa Francesco: Continuate a studiare gli scritti di papa Benedetto XVI

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2018

Papa Francesco: Continuate a studiare gli scritti di papa Benedetto XVI
In occasione del conferimento del Premio Ratzinger 2018, papa Francesco esalta il papa emerito e il “dialogo costruttivo con la cultura di oggi”. Premiati Marianne Schlosser, teologa cattolica all’Università di Vienna, e Mario Botta, architetto svizzero, che ha costruito diverse chiese. Apprezzamenti per il contributo femminile nella teologia e per la costruzione di “spazio sacro nella città degli uomini”.
della Redazione di AsiaNews

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L’incoraggiamento a “continuare a studiare” gli scritti di papa Benedetto XVI, l’apprezzamento per il contributo femminile nella teologia e alle “arti cristianamente ispirate”: sono i temi sottolineati da papa Francesco stamane, ricevendo in udienza i membri della “Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, in occasione del conferimento del Premio Ratzinger 2018, giunto alla sua ottava edizione.

I vincitori di quest’anno sono: Marianne Schlosser, teologa cattolica tedesca, medievista specialista di San Bonaventura, ordinario di Teologia della spiritualità nella Facoltà di teologia cattolica dell’università di Vienna dal 2004; e Mario Botta, architetto svizzero, che ha costruito numerosi edifici sacri e diverse chiese.

Rivolgendo il suo “pensiero affettuoso e grato al papa emerito Benedetto XVI”, Francesco ha detto che “il suo è uno spirito che guarda con consapevolezza e con coraggio ai problemi del nostro tempo, e sa attingere dall’ascolto della Scrittura nella tradizione viva della Chiesa la sapienza necessaria per un dialogo costruttivo con la cultura di oggi”.

A proposito del premio Ratzinger conferito a una donna, egli ha commentato: “è molto importante che venga riconosciuto sempre di più l’apporto femminile nel campo della ricerca teologica scientifica e dell’insegnamento della teologia, a lungo considerati territori quasi esclusivi del clero. È necessario che tale apporto venga incoraggiato e trovi spazio più ampio, coerentemente con il crescere della presenza femminile nei diversi campi di responsabilità della vita della Chiesa, in particolare, e non solo nel campo culturale”.

“L’impegno dell’architetto creatore di spazio sacro nella città degli uomini – ha detto poi riferendosi all’impegno di Mario Botta – è di valore altissimo, e va riconosciuto e incoraggiato dalla Chiesa, in particolare quando si rischia l’oblio della dimensione spirituale e la disumanizzazione degli spazi urbani”.

“Sullo sfondo e nel contesto dei grandi problemi del nostro tempo – ha concluso – la teologia e l’arte devono… continuare ad essere animate ed elevate dalla potenza dello Spirito, sorgente di forza, di gioia e di speranza… Ringrazio i teologi e gli architetti che ci aiutano ad alzare il capo e a rivolgere i nostri pensieri verso Dio. Auguri a tutti voi per il vostro nobile lavoro, perché sia sempre indirizzato a questo fine”.

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Sarà beato Romano Guardini?

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2017

Sarà beato Romano Guardini?
di Andrea Gagliarducci – ACI Stampa

Sarà beato Romano Guardini? dans Articoli di Giornali e News Romano_Guardini

Le sue opere hanno ispirato Benedetto XVI e Papa Francesco. Ora, la diocesi di Monaco-Frisinga ha annunciato che il prossimo dicembre si aprirà la fase diocesana della sua causa di beatificazione. Comincerà così l’iter che potrebbe portare agli onori degli altari Romano Guardini, uno dei teologi di riferimento del XX secolo.

Così di riferimento che la sua biografa Hanna-Barbara Gerl lo definì “un padre della Chiesa del XX secolo”. Così di impatto che Benedetto XVI, da teologo, da cardinale e da Papa, ha detto di voler proseguire sulle strade aperte da Guardini, di cui era stato allievo. Così profondo che lo stesso Papa Francesco pensò di approfondirne il pensiero, durante i mesi che ha trascorso in Germania nel 1986.

La fase diocesana della causa di beatificazione si aprirà sabato 16 dicembre, con una Messa nella Cattedrale di Monaco.

Nato a Verona nel 1885, ma subito trasferito in Germania, a Magonza, fu ordinato sacerdote nel 1910, e ottenne il dottorato nel 1915 con una tesi su San Bonaventura, come tra l’altro fece Joseph Ratzinger molti anni dopo. Tra le sue varie opere, una serie di omelie sulla vita e la persona di Gesà Cristo, trascritte dallo stesso Guardini e confluite nel libro “Il Signore”.

Sotto il regime nazista, poté lavorare solo come istitutore privato, senza incarichi pubblici nelle università, dalla quale i nazisti lo pensionarono prematuramente. Ma in quei tempi guidò anche un movimento giovanile, il “Quickborn” (Sorgente di vita), che proponeva Cristo come guida della gioventù. Il movimento fu fonte di ispirazione per gli appartenenti al gruppo della Rosa bianca, un gruppo di studenti cristiani che si oppose alla Germania nazista in modo non violento, finché i principali membri del gruppo furono arrestati, processati e condannati a morte.

Guardini insegnò filosofia della religione a Berlino, Tubinga e Monaco. Per problemi di salute, dovette lasciare l’insegnamento nel 1962, e non poté partecipare come membro della commissione liturgia al Concilio Vaticano II. Ad ogni modo le sue idee di rinnovamento liturgico furono grande fonte di ispirazione, specialmente grazie al suo libro “Lo Spirito della Liturgia”. È stato anche uno dei cofondatori dell’Accademia Cattolica di Baviera. Morì l’1 ottobre 1962.

La prossima apertura della sua causa di beatificazione è stata annunciata il 24 ottobre dalla diocesi di Monaco-Frisinga, La diocesi ha annunciato anche che nello stesso giorno si aprirà la causa diocesana di Fritz Michael Gerlich (1883-1934), storico e giornalista convertito al cattolicesimo, oppositore del nazismo, incarcerato per questo nel 1933, trasferito nel campo di concentramento di Dachau nel 1934 e lì assassinato.

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Divina Maternità di Maria Santissima

Posté par atempodiblog le 11 octobre 2015

Divina Maternità di Maria Santissima (11 ottobre)
Autore: Dom Prosper Guéranger
Fonte: L’anno liturgico
Tratto: Santi e Beati

dolcezza

Il Titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più Glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua Ragion d’Essere, il motivo di tutti i Suoi Privilegi e delle Sue Grazie. Per noi il Titolo racchiude tutto il Mistero dell’Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia Sorgente per Maria di Lodi e per noi di Gioia. Sant’Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una Prova Sicura della nostra Fede. La Chiesa quindi non Celebra alcuna Festa della Vergine Maria senza Lodarla per questo Privilegio. E così Saluta la Beata Madre di Dio, nell’Immacolato Concepimento, nella Natività, nell’Assunzione e noi nella Recita Frequentissima dell’Ave Maria facciamo altrettanto.

L’Eresia Nestoriana.
« Theotókos », Madre di Dio, è il Nome con cui nei Secoli è stata Designata Maria Santissima. Fare la Storia del Dogma della Maternità Divina sarebbe fare la Storia di tutto il Cristianesimo, perché il Nome era entrato così profondamente nel cuore dei Fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto Madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato. Era allora Vescovo di Alessandria San Cirillo, l’Uomo Suscitato da Dio per Difendere l’Onore della Madre del Suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: « Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se Nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la Fede che ci hanno Trasmesso gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la Dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri ».

Il Concilio di Efeso.
Nestorio non cambiò pensiero e l’Imperatore convocò un Concilio, che si aprì ad Efeso il 24 Giugno 431 sotto la Presidenza di San Cirillo, Legato del Papa Celestino. Erano presenti 200 Vescovi i quali Proclamarono che « la Persona di Cristo è Una e Divina e che la Santissima Vergine deve essere Riconosciuta e Venerata da tutti quale Vera Madre di Dio ». I Cristiani di Efeso Intonarono Canti di Trionfo, Illuminarono la Città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i Vescovi « venuti – gridavano essi – per Restituirci la Madre di Dio e Ratificare con la loro Santa Autorità ciò che era Scritto in tutti i cuori ». Gli sforzi di Satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un Magnifico Trionfo alla Madonna e, se vogliamo Credere alla Tradizione, i Padri del Concilio, per Perpetuare il Ricordo dell’Avvenimento, aggiunsero all’Ave Maria le Parole: « Santa Maria, Madre di Dio, Pregate per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte ». Milioni di persone recitano ogni giorno questa Preghiera e Riconoscono a Maria la Gloria di Madre di Dio, che un Eretico aveva preteso negare.

Maria Vera Madre di Dio.
Riconoscere che Maria è Vera Madre di Dio è cosa facile. « Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Papa Pio XI nell’Enciclica Lux Veritatis, Colei che l’ha Generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la Persona di Gesù Cristo è Una e Divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo Uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l’Anima umana, così Maria ha acquistato la Maternità Divina per aver Generato l’Unica Persona del Figlio Suo ».

Maria e Gesù.
La Maternità Divina Unisce Maria con il Figlio con un Legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha Generato il Figlio, l’Uomo-Dio, con la Sua Stessa Sostanza e Gesù è Premio della Sua Verginità ed Appartiene a Maria per la Generazione e per la Nascita nel Tempo, per l’Allattamento con il quale lo nutrì, per l’Educazione che gli diede, per l’Autorità Materna Esercitata su di Lui.

Maria e il Padre.
La Maternità Divina Unisce in Modo Ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio Stesso di Dio, Imita e Riproduce nel Tempo la Generazione Misteriosa con la quale il Padre Generò il Figlio nell’Eternità, Restando così Associata al Padre nella Sua Paternità. « Se il Padre ci Manifestò un’Affezione così Sincera, dandoci Suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l’Amore che aveva per Te, o Maria, gli fece Concepire ben altri Disegni a Tuo riguardo e ha Stabilito che Gesù fosse Tuo come è Suo e, per realizzare con Te una Società Eterna, volle che Tu fossi la Madre del Suo Unico Figlio e volle essere il Padre del Tuo Figlio » (Discorso sopra la Devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.
La Maternità Divina Unisce Maria allo Spirito Santo, perché per Opera dello Spirito Santo ha Concepito il Verbo nel Suo Seno. In questo Senso Papa Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Enc. Divinum Munus, 9 Maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il Santuario Privilegiato, per le Inaudite Meraviglie che ha Operate in Lei.

« Se Dio è con tutti i Santi, afferma San Bernardo, è con Maria in Modo tutto Speciale, perché tra Dio e Maria l’Accordo è così Totale che Dio non solo si è Unita la Sua Volontà, ma la Sua Carne e con la Sua Sostanza e quella della Vergine ha fatto un Solo Cristo, e Cristo se non deriva come Egli è, né Tutto Intero da Dio, né Tutto Intero da Maria, è tuttavia Tutto Intero Dio e Tutto Intero di Maria, perché non ci sono due Figli, ma c’è un Solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L’Angelo dice: « Ti Saluto, o Piena di Grazia, il Signore è con Te. È con Te non solo il Signore Figlio, che Rivestisti della Tua Carne, ma il Signore Spirito Santo dal quale Concepisti e il Signore Padre, che ha Generato Colui che Tu Concepisti. È con Te il Padre che fa sì che Suo Figlio sia Tuo Figlio; è con Te il Figlio, che, per Realizzare l’Adorabile Mistero, apre il Tuo Seno Miracolosamente e Rispetta il Sigillo della Tua Verginità; è con Te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio Santifica il Tuo Seno. Sì, il Signore è con Te » (3a Omelia Super Missus Est).

Maria Nostra Madre.
Salutandoti Oggi con il Bel Titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che « avendo dato la Vita al Redentore del Genere Umano, Sei per questo Fatto Stesso Divenuta Madre Nostra Tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio Suo, Dio ti ha Inculcato Sentimenti del tutto Materni, che respirano solo Amore e Perdono » (Pio XI Enc. Lux Veritatis).

Dalla Gloria del Cielo ove Sei, ricordati di noi, che ti Preghiamo con tanta Gioia e Confidenza. « L’Onnipotente è con Te e Tu Sei Onnipotente con Lui, Onnipotente per Lui, Onnipotente dopo di Lui », come dice San Bonaventura. Tu puoi Presentarti a Dio non tanto per Pregare quanto per Comandare, Tu sai che Dio Esaudisce Infallibilmente i Tuoi Desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma Tu Sei Divenuta Madre di Dio per Causa Nostra e « non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a Te sia stato abbandonato. Animati da questa Confidenza, o Vergine delle Vergini, o Nostra Madre, veniamo a Te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci Prostriamo ai Tuoi Piedi. Madre del Verbo Incarnato, non disprezzare le nostre Preghiere, Degnati di esaudirle » (San Bernardo).

La Festa dell’Undici Ottobre.
Il 1931 ricorreva il XV° Centenario del Concilio di Efeso e Papa Pio XI pensò che sarebbe stata « cosa utile e gradita per i Fedeli Meditare e Riflettere sopra un Dogma così Importante » come quello della Maternità Divina e, per lasciare una Testimonianza Perpetua della sua Devozione alla Madonna, Scrisse l’Enciclica Lux Veritatis, Restaurò la Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma e Istituì una Festa Liturgica, che « avrebbe contribuito a sviluppare nel Clero e nei Fedeli la Devozione verso la Grande Madre di Dio, presentando alle Famiglie come Modelli, Maria e la Sacra Famiglia di Nazareth, affinché siano sempre più rispettati la Santità del Matrimonio e l’Educazione della Gioventù. Che cosa implichi per Maria la Dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle Feste del Primo Gennaio e del 25 Marzo, ma l’Argomento è Inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.

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Al Paradiso per mezzo di Maria

Posté par atempodiblog le 26 janvier 2014

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La santa Madre è anche chiamata dalla Chiesa stella del mare: “Ave, Maris Stella”. Infatti, dice san Tommaso, “come i naviganti sono guidati al porto per mezzo della stella, così i cristiani sono guidati al Paradiso per mezzo di Maria”. Allo stesso modo, san Pier Damiani la chiama “Scala del Cielo” poiché “per mezzo di Maria Dio è sceso dal cielo in terra, affinché grazie a lei gli uomini meritassero di salire dalla terra al Cielo”. Sant’Anastasio esclama: “Ave, sei stata ripiena di grazia perché Tu fossi la via della nostra salvezza e il cammino per ascendere alla patria celeste”. Perciò san Bernardo chiama la Vergine “Veicolo per salire al Cielo” e san Giovanni Geometra la saluta: “Salve, Nobilissimo Cocchio” sul quale i suoi devoti sono condotti in Cielo. San Bonaventura dice: “Beati quelli che Ti conoscono, o Madre di Dio! Il conoscerTi è la strada della vita immortale e il pubblicare le Tue virtù è la via della salvezza eterna”. Nelle Cronache francescane si narra che fra Leone vide un giorno una scala rossa sopra cui stava Gesù Cristo e una scala bianca sopra cui stava la Sua santa Madre. Osservò che alcuni cominciavano a salire la scala rossa ma, dopo pochi gradini, cadevano; ricominciavano a salire e cadevano di nuovo. Esortati ad andare per la scala bianca, li vide salire felicemente, mentre la Beata Vergine porgeva loro la mano e così giungevano senza difficoltà in paradiso.

Sant’Alfonso Maria de Liguori

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San Francesco d’Assisi e il suo desiderio di restaurare la Chiesa (di San Bonaventura da Bagnoregio)

Posté par atempodiblog le 4 octobre 2013

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7. Ormai ben radicato nell’umiltà di Cristo, Francesco richiama alla memoria l’obbedienza di restaurare la chiesa di San Damiano, che la Croce gli ha imposto.
Vero obbediente, ritorna ad Assisi, per eseguire l’ordine della voce divina, se non altro con la mendicazione.
Deposta ogni vergogna per amore del povero Crocifisso, andava a cercar l’elemosina da coloro con i quali un tempo aveva vissuto nell’abbondanza, e sottoponeva il suo debole corpo, prostrato dai digiuni, al peso delle pietre.
Riuscì così, a restaurare quella chiesetta, con l’aiuto di Dio e il devoto soccorso dei concittadini. Poi, per non lasciare intorpidire il corpo nell’ozio, dopo la fatica, passò a riparare, in un luogo un po’ più distante dalla città, la chiesa dedicata a San Pietro spinto dalla devozione speciale che nutriva, insieme con la fede pura e sincera, verso il Principe degli Apostoli.

8. Riparata anche questa chiesa, andò finalmente in un luogo chiamato Porziuncola, nel quale vi era una chiesa dedicata alla beatissima Vergine: una fabbrica antica, ma allora assolutamente trascurata e abbandonata. Quando l’uomo di Dio la vide così abbandonata, spinto dalla sua fervente devozione per la Regina del mondo, vi fissò la sua dimora, con l’intento di ripararla.
Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della chiesa stessa, chiamata fin dall’antichità Santa Maria degli Angeli. Perciò la scelse come sua residenza, a causa della sua venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo.

Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la meta. Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine.
Riguardo a questo luogo, un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione degna di essere riferita. Gli sembrò di vedere innumerevoli uomini, colpiti da cecità, che stavano attorno a questa chiesa, in ginocchio e con la faccia rivolta al cielo. Tutti protendevano le mani verso l’alto e, piangendo, invocavano da Dio misericordia e luce.

Ed ecco, venne dal cielo uno splendore immenso, che penetrando in loro tutti, portò a ciascuno la luce e la salvezza desiderate.
È questo il luogo, nel quale san Francesco, guidato dalla divina rivelazione, diede inizio all’Ordine dei frati minori. Proprio per disposizione della Provvidenza divina, che lo dirigeva in ogni cosa, il servo di Cristo aveva restaurato materialmente tre chiese, prima di fondare l’Ordine e di darsi alla predicazione del Vangelo. In tal modo non solamente egli aveva realizzato un armonioso progresso spirituale, elevandosi dalle realtà sensibili a quelle intelligibili, dalle minori alle maggiori; ma aveva anche, con un’opera tangibile, mostrato e prefigurato simbolicamente la sua missione futura.
Infatti, così come furono riparati i tre edifici, sotto la guida di quest’uomo santo si sarebbe rinnovata la Chiesa in tre modi: secondo la forma di vita, secondo la Regola e secondo la dottrina di Cristo da lui proposte – e avrebbe celebrato i suoi trionfi una triplice milizia di eletti. E noi ora costatiamo che così è avvenuto.

Fonte: “Legenda Maior” – (Vita di san Francesco d’Assisi) di San Bonaventura da Bagnoregio, capitolo II, traduzione di Simpliciano Olgiati
Tratto da: Luci sull’Est 

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Il Papa con due santi in Paradiso. Intervista incrociata a due dotti figli di Francesco e Ignazio sul “francescano in talare da gesuita”

Posté par atempodiblog le 10 juillet 2013

Il Papa con due santi in Paradiso
Intervista incrociata a due dotti figli di Francesco e Ignazio sul “francescano in talare da gesuita”
La duttilità di spirito propria ai gesuiti, “scioltezza la chiamava il cardinal Martini. La povertà “baluardo di tutte le altre virtù”.
L’intreccio delle spiritualità ignaziana e francescana, il paradigma ancora attuale della dispusta sui “Riti cinesi”.
Ignazio ha voluto che i gesuiti fossero orientati a “en todo amar y servir” e rinunciassero alle dignità ecclesiastiche.
Francesco è nome impensabile per chi doveva reggere la barca di Pietro: quel nome non evocava capacità di governo e di potere.
di Andrea Monda – Il Foglio
Tratto da: sanfrancesco.org

Il Papa con due santi in Paradiso. Intervista incrociata a due dotti figli di Francesco e Ignazio sul “francescano in talare da gesuita” dans Andrea Monda c81l

“Chiàmati Adriano, sarai riformatore, anzi chiamati Clemente XV, così ti vendichi di Clemente XIV che sciolse la Compagnia di Gesù”. Non sappiamo quale cardinale avesse suggerito scherzosamente il nome di Clemente a Jorge Mario Bergoglio, ma forse non aveva in grande simpatia i francescani, visto che Clemente XIV era seguace del Poverello d’Assisi, e invece il nome scelto alla fine dal primo Papa gesuita è stato proprio quello di Francesco. Di questo Papa anfibio, metà gesuita e metà francescano, parliamo con due esponenti di rilievo dei due ordini, professori di teologia nei luoghi di maggiore livello scientifico rispettivamente dei gesuiti, la Pontificia Università Gregoriana, dove padre Sandro Barlone insegna Teologia dogmatica, e dei francescani, l’Istituto Teologico di Assisi dove fra Guglielmo Spirito è docente di Teologia spirituale.

Volto e look molto simile allo Sean Connery del “Nome della rosa”, fra Guglielmo Spirito non solo è francescano (del ramo dei Conventuali, ad Assisi), ma anche italoargentino, proprio come Bergoglio, anzi vicino di casa, come rivendica con un pizzico di orgoglio e quel dolce accento sudamericano che ormai tutto il mondo ha cominciato ad apprezzare dal 13 marzo scorso: “La casa dei suoi genitori è nel quartiere di Flores, a pochi minuti di macchina dalla casa dei miei, nel quartiere di Belgrano”. Così spiega perché nessun Papa aveva mai osato chiamarsi Francesco: “I figli di san Francesco hanno dato alla chiesa cinque papi (e perfino un antipapa, Alessandro V nel ’400) e cioè Niccolò IV (+1292), Sisto IV (+1484), Giulio II (+1513), Sisto V (+1590) e infine Clemente XIV (+1774), tutti e cinque dell’ordine dei Frati minori detti Conventuali, il ramo più antico, gemello dell’ordine dei Predicatori, o domenicani. Personalmente ritengo che il nome Francesco fosse semplicemente impensabile per chi doveva reggere la barca di Pietro: quel nome non evocava di certo le capacità di governo (lui si dimise dalla guida dell’ordine, la cui evoluzione non riusciva a gestire) e tantomeno di potere, nemmeno spirituale. Francesco non fu un organizzatore, un fondatore capace di organizzare i suoi, quanto lo furono san Benedetto, san Domenico o sant’Ignazio, tutt’altro, il suo splendido carisma è decisamente altrove. Dovette arrivare san Bonaventura a integrare quanto mancava, a riorganizzare, e così non per caso è chiamato il Secondo fondatore. Si potrebbe quasi dire che a volte più che un ‘ordine’ quello francescano è un ‘contrordine’ o un ‘disordine’… Ignazio in questo è, oso dire, quasi l’opposto: la Compagnia è ottimamente funzionante fin dall’inizio”. Padre Sandro Barlone lo incontriamo dove insegna, un luogo in cui, fa notare, le storie dei due ordini s’intrecciano: “L’Università Gregoriana, retta dai gesuiti, rientra nel territorio della parrocchia dei SS. Apostoli, retta dai francescani Conventuali, nella cui Basilica è sepolto Clemente XIV, il Papa conventuale che il 13 luglio 1773 soppresse la Compagnia di Gesù” e ci spiega perché, prima ancora del tabù del nome Francesco, il suo confratello Bergoglio ne ha distrutto un altro, quello del primo Papa gesuita della storia. “La Compagnia di Gesù si è distinta per un compito specifico: la difesa e la propagazione della fede sotto la guida del Romano Pontefice. Un servizio esplicitato dal quarto voto di obbedienza al Papa emesso dai professi, il che vuol dire andare, senza indugio, in ogni parte del mondo, al cenno del Romano Pontefice e mette i gesuiti a servizio del bene universale della chiesa di cui solo il Papa possiede la visione esatta, ma li mantiene anche costantemente in uno stato di mobilità: truppe leggere da inviare dove sorge un bisogno della chiesa, allora come ora e di fatto li taglia fuori dalla possibilità che si possa pensare ad essi per compiti diversi, ad esempio le nomine episcopali che li sedentarizzerebbero e che porterebbero a “scremare” la Compagnia dei suoi uomini migliori. Per questo sant’Ignazio ha voluto che i gesuiti professi fossero più orientati a servire “en todo amar y servir”, senza divenire servili, e rinunciassero, per voto, alle dignità ecclesiastiche sia fuori che dentro la Compagnia, a meno che non vi fosse un ordine esplicito e indubbio da  parte del Papa. Questo spiega perché attualmente vi siano vescovi e cardinali anche tra i gesuiti ma dice anche perché non vi siano stati, sino a Francesco, papi provenienti dalla Compagnia di Gesù”.

Padre Barlone è sorpreso, ma non troppo, dalla scelta del gesuita Bergoglio di chiamarsi Francesco: “Nomen omen”. Il nome di Francesco evoca immediatamente un dato rapporto con Dio, con la realtà, con il prossimo. Forse dovremmo inquadrare questo evento nella duttilità e nella libertà di spirito propria ai gesuiti, “scioltezza” la chiamava il cardinale Martini. E’ singolare, difatti, che il nome Francesco lo abbia assunto un gesuita e non uno dei cinque papi francescani che pure vi sono stati nella storia. Al di là della fantasia di chi ignora la storia della Compagnia o presume di conoscerla solo per il ricorso a stereotipi di maniera, vi è un reale influsso della figura di san Francesco nella vicenda spirituale di Ignazio sin dai suoi inizi: “E se io facessi ciò che ha fatto san Francesco?… San Francesco ha fatto quest’altro: ebbene, devo farlo anch’io”, leggiamo nella sua ‘Autobiografia’. Influsso, questo, che si registra sul posto che la povertà riveste nella vita di sant’Ignazio e, più tardi, nella stessa vita dell’ordine, che definisce nelle Costituzioni la povertà “baluardo di tutte le altre virtù”. Influsso che raggiunge la sua nota più autentica nell’amore personale a Cristo e nella conformazione alla sua persona, mete a cui mira la dinamica degli ‘Esercizi Spirituali’ e si riflette, pure, nello stesso rapporto con il creato a cui Papa Francesco fa sovente riferimento. Il Principio e Fondamento degli Esercizi che parla delle creature come doni di Dio, e, soprattutto, la Meditazione per ottenere l’amore spirituale, che parla della presenza di Dio in tutte le realtà, sono testi poi tanto distanti dal ‘Cantico delle creature’?”.

Chiedere a entrambi qualcosa sui rapporti a volte anche molto tesi tra gesuiti e francescani è come entrare in un libro di storia che frate Spirito e padre Barlone conoscono perfettamente. Spirito: “Non c’è mai stata una vera e propria ‘guerra’ tra francescani e gesuiti, solo alcune scaramucce: la rivalità ‘storica’ è stata piuttosto tra i domenicani e i gesuiti (come nel Medioevo tra domenicani e francescani), perché entrambi gareggiavano nelle università e poi, nel Seicento, si sono trovati anche coinvolti in dispute teologiche di scuola, quasi di scuderia. Anzi, francescani e gesuiti erano ‘alleati’ contro i domenicani, nella polemica teologica a favore dell’Immacolata Concezione di Maria nel Cinquecento, Seicento e Settecento. Perfino del terzo Generale della Compagnia, san Francesco Borgia (+1572), si diceva che fosse ‘un francescano in talare da gesuita’: quindi la scelta e lo stile di Bergoglio hanno un illustre precedente tra gli stessi santi gesuiti. La sventurata soppressione della Compagnia nel 1773 sotto Clemente XIV, un frate minore conventuale, Gian Vincenzo Ganganelli, non fu dovuta a nessuna avversione da parte del Pontefice o dei francescani, bensì agli intrighi e alle feroci pressioni dei governi massonici in Europa, che vedevano nei gesuiti una barriera ai loro disegni di egemonia incontrastata. La sparizione delle favolose Reducciones tra i guaraní ne fu un frutto amaro, che invano i francescani tentarono di addolcire. Noi siamo tutti vittime della chiacchiera, del luogo comune, per cui si dividono, con l’accetta, i gesuiti – i ‘colti’ – e i francescani – i ‘semplici’ -, ma non è così, ovviamente. Ad esempio, al Concilio di Trento c’erano più teologi francescani che domenicani, i confratelli di san Tommaso. La semplice verità è che in ogni ordine esiste la massima ‘varietà’, non tutti i frati sono come quelli di ‘Marcelino Pan y Vino’, basti pensare a Sisto V, costruttore della Roma barocca, a san Giovanni da Capestrano (+1456) condottiero della crociata contro i turchi, o al cappuccino Joseph du Tremblay (+1638), chiamato ‘l’eminenza grigia di Richelieu’ o anche a san Pio da Pietrelcina, il quale non era certo un ‘tenerone’, e nemmeno san Massimiliano Kolbe”. Padre Barlone ci tiene a ricordare che, “guerra” no, ma un contrasto tra gesuiti e francescani ci fu: tra il Seicento e il Settecento in Cina e in India: “Nel 1582 arriva in Cina il gesuita Matteo Ricci che si impegna nello studio della lingua e della cultura cinese di cui divenne tanto esperto da poter confrontarsi con successo con gli intellettuali confuciani di cui adottò anche la foggia dell’abbigliamento. La linea seguita da Ricci e poi dai suoi successori fu quella di una saggia inculturazione: i gesuiti erano d’origine straniera ma si presentavano come partecipi della cultura cinese e così il cristianesimo non veniva visto come qualcosa di straniero, di barbaro. Per un popolo come i cinesi che ritenevano di essere il ‘centro’ del mondo la cosa era fondamentale. I gesuiti speravano in tal modo di convertire la Cina nel suo insieme partendo dalla classe dirigente. Il loro atteggiamento però scatenò quello che è passato alla storia come la ‘Controversia dei riti cinesi’. Secondo Ricci i riti in onore di Confucio e degli antenati – che ogni buon cinese doveva espletare – erano solo dei ‘riti civili’ e non ‘idolatri’ e per questo potevano essere eseguiti anche dopo la conversione alla fede cristiana. Ma i francescani e con loro i domenicani– forse perché più in contatto con le religioni popolari – affermavano che tali riti erano ‘idolatri’ e perciò bisognava proibirli a tutti i convertiti sostenendo in tutti i modi la loro proibizione per chi si convertiva al cristianesimo. La questione dei ‘Riti cinesi’ fu rimessa al giudizio del Pontefice che alla fine di una vicenda tortuosa nel 1747 condannò senza appello i ‘Riti cinesi’ e prescrisse a tutti i missionari operanti in Cina un impegno esplicito a non tollerarli. Il tentativo di presentare il cristianesimo in veste cinese così fallì, la decisione ebbe la dolorosa conseguenza di allontanare l’interesse del mondo intellettuale e del potere imperiale dal cristianesimo. I missionari continuarono nella loro opera ma furono espulsi e ostacolati dalle autorità e soprattutto furono visti come estranei in una civiltà tanto orgogliosa di se stessa. Come si sa, la Santa Sede è poi ritornata sulla complicata controversia nel 1939 con Pio XII che, ribaltando le decisioni precedenti ammise la possibilità, a certe condizioni, e la liceità dei ‘Riti cinesi’. Ormai, però, la Cina aveva voltato pagina. E la stessa vicenda, mutatis mutandis, la si ebbe anche in India”.

Parla con passione padre Barlone, ci si rende conto che in gioco non è solo il prestigio del passato, tranquillamente riconosciuto anche da frate Spirito, ma è la situazione presente della chiesa nel suo dialogo con il mondo e l’obiettivo della sua riflessione è la critica che ancora oggi si fa a certi atteggiamenti della Compagnia di Gesù colpevole per alcuni di annacquare il cristianesimo nell’adeguarsi ai “riti” del mondo, con il rischio però, magari da riconoscere con il senno del poi, di perderlo del tutto, come allora fu per la Cina e l’India. La questione aperta è l’immediato futuro, da vivere nella luce di questo neonato pontificato. Per padre Barlone in Papa Francesco si coglie la spiritualità della Compagnia, nella quale confluiscono anche altre spiritualità, come la povertà francescana, l’obbedienza di Cassiano, di san Benedetto ma anche francescana. Cita la famosa locuzione “perinde ac cadaver” con la quale si suole sintetizzare lo stile dell’obbedienza del gesuita alla volontà dei superiori, che però, dice, prima che dei gesuiti è anch’essa di san Francesco e, prima ancora, tipica della sequela cristiana, dell’essere compagni di Gesù (cum panis = mangiare lo stesso pane), così come esplicitato negli Esercizi nella cosiddetta “chiamata del re”. Non c’è in Bergoglio, secondo padre Barlone, quel vago buonismo o il populismo di cui alcuni parlano magari preoccupati o al contrario entusiasti, c’è invece il linguaggio della kenosi, della missione alle periferie (il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare…), c’è in fondo la semplice logica dell’Incarnazione. E’ davvero sorprendente sentire giornalisti, che ignorano la teologia e fondamentalmente il cristianesimo, stupirsi che il Papa parli in modo semplice e alludere a una certa debolezza teologica delle sue omelie quando invece il Papa è prima di tutto un pastore: un discepolo di Cristo fatto pastore e modello del gregge, chiamato a guidare la chiesa confermando i suoi fratelli nella fede, non necessariamente facendo lezioni in stile accademico. Bene inteso, può anche farle, conclude Barlone, ma per questioni più formali o di dottrina ha già i suoi organi: la curia, le congregazioni romane, il teologo della casa pontificia e le sue università, che sono, per l’appunto, università pontificie.

Frate Spirito per dipingere il futuro fa riferimento a un episodio del 2010, l’ultimo incontro personale con l’allora vescovo di Buenos Aires: “In un grande raduno internazionale dei francescani conventuali a Pilar lo invitammo a presiedere l’Eucaristia. Bergoglio guidò 60 km circa per raggiungerci e io, come segretario dell’Assemblea, lo accolsi e lo accompagnai in una cappella, dedicata a san Giuseppe, con una grande statua del santo che porta per mano il Figlio. Eravamo da soli e il cardinale si inchinò davanti alla statua, come fece sul balcone, il giorno dell’elezione, e posò la sua mano su quella di Giuseppe, che serra quella di Gesù. Per un paio di minuti rimase in preghiera, e io vedevo le tre mani intrecciate, formando un tutt’uno. Rimasi sorpreso e deliziato, per la spontaneità e la estrema confidenza e fiducia che il gesto svelava. Poi mi disse, ‘sono pronto, andiamo’, e andò a rivestirsi. La stessa croce pettorale che porta ancora, gli stessi modi miti, dimessi, familiari. Durante l’omelia sono rimasto sorpreso di come parlasse di san Francesco, presentandolo come ‘paradigma della vita cristiana’ tout-court, e pensai ‘quanto è gentile nell’adattarsi all’udienza, parlando ai frati come se fosse uno di loro’… adesso mi accorgo che parlava piuttosto ex abundantia cordis, parlava davvero come un ‘francescano’! E così sarà, lui rimarrà uguale a se stesso, non a caso ha scelto il 19 marzo, festa di san Giuseppe, per cominciare il suo pontificato; forse sarà un secondo san Francesco Borgia, ‘un francescano in talare da gesuita’, con in più la freschezza tipica della fede iberoamericana; quel buon senso della fede che dà l’istinto delle cose di Dio, in accordo con il discernimento degli spiriti, che è uno dei grandi doni che la chiesa ricevette tramite gli ‘Esercizi Spirituali’ di sant’Ignazio. Così il continente sudamericano è stato evangelizzato da francescani, gesuiti e domenicani e così credo che adesso il genio latino americano, ancora giovane di ‘soli’ 500 anni, confluirà nel ministero fresco e spontaneo del Papa. Tutta la mite e profonda sapienza di Benedetto XVI, nella cui scia Bergoglio s’inserisce con il suo modo personale, credo che adesso sarà resa ancora più accessibile a chiunque. Forse un piccolo cambiamento da quando era arcivescovo di Buenos Aires: lo vedo più radioso, più espansivo, più solare di prima, insomma, ancora più gesuiticamente francescano!”.

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«Il profumo mariano dell’Eucaristia»

Posté par atempodiblog le 28 mars 2013

Celebrando il Signore lodiamo Maria
«Il profumo mariano dell’Eucaristia»
Giovedì santo: la continuità salvifica tra “il Corpo dato per noi” e “il Corpo nato dalla Vergine”.
di Sergio Gaspari, smm – Madre di Dio

La sera del Giovedì santo, nell’invitare i fedeli a sostare in adorazione (fino a mezzanotte) del Santissimo Sacramento, è bene esortarli pure a respirare «il profumo mariano dell’Eucaristia», a contemplare cioè la continuità salvifica tra «il Corpo dato per noi» e «il Corpo nato dalla Vergine». L’Eucaristia richiama l’Annunciazione a Nazaret, ripresenta il Natale di Gesù a Betlemme, ritualizza il sacrificio pasquale della nuova ed eterna alleanza.

«Il profumo mariano dell'Eucaristia» dans Fede, morale e teologia Benedetto-XVI
Roma, 15.6.2006, Basilica di San Giovanni in Laterano: Benedetto XVI celebra la Messa del Corpus Domini (foto A. GIULIANI).

1. Maria-Pasqua-Eucaristia. «L’antichità cristiana – osserva Benedetto XVI – designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo di Cristo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo» (Sacramentum caritatis, 15). Infatti sant’Ambrogio di Milano (+397), parlando del miracolo dell’Eucaristia che rende presente Cristo nella celebrazione, affermava: «Quello che noi ripresentiamo è il Corpo nato dalla Vergine » (De Mysteriis, 53). Testo così ripreso da san Tommaso d’Aquino (+1274): «Ciò che noi consacriamo è il Corpo nato dalla Vergine» (S. Th. III, q. 75, a. 4).

«Caro Christi, Caro Mariae», esclamerà Ambrogio Auperto (+781): nella Caro Christi, “Carne di Cristo”, la fede della Chiesa rivede la Caro Mariae, “Carne di Maria”. Senza dubbio il riferimento alla Vergine è garante della retta fede nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. Quando Berengario (+1088) propose un’interpretazione simbolica dell’Eucaristia, svuotando il realismo del Corpo di Cristo, il Concilio romano del 1079 gli impose di sottoscrivere che il pane e il vino dopo la consacrazione sono «il vero Corpo di Cristo che è nato dalla Vergine» (DS 700). Ma Ratrammo di Corbie (+875) aveva già reagito alla totale identificazione tra corpo storico e corpo sacramentale, osservando la «non piccola differenza tra il corpo che esiste nel mistero e il corpo che ha patito, fu sepolto ed è risorto».

Il corpo storico «è la vera carne di Cristo», mentre il corpo del mistero «è il sacramento della sua carne»; inoltre questo «rappresenta la memoria della passione e morte del Signore» e ingloba tutti i fedeli che formano un solo corpo con lui. Riferendosi alla dimensione pasquale, Giovanni Paolo II nel 2003 precisava: «L’Eucaristia, mentre rinvia alla passione e alla risurrezione, si pone al tempo stesso in continuità con l’incarnazione » (Ecclesia de Eucharistia, 55).

Nella bolla Incarnationis mysterium (1998) il Pontefice aveva puntualizzato: «Da duemila anni, la Chiesa è la culla in cui Maria depone Gesù e lo affida all’adorazione e alla contemplazione di tutti i popoli… Nel segno del Pane e del Vino consacrati, Cristo Gesù risorto e glorificato… rivela la continuità della sua incarnazione» (n. 11).

Il 5.6.1983 Giovanni Paolo II predicava: «Quel Corpo e quel Sangue divino… conserva la sua originaria matrice da Maria… Ogni Messa ci pone in comunione intima con lei, la Madre, il cui sacrificio “ritorna presente”, come “ritorna presente” il sacrificio del Figlio». E continuava: «Pane fragrante che porta ancora in sé il sapore e il profumo della Vergine Maria». Nell’enciclica Redemptoris Mater (1987) ribadiva: la maternità divina «è particolarmente avvertita e vissuta» nell’Eucaristia, dove «si fa presente Cristo, il suo vero corpo nato da Maria Vergine» (n. 44).

Giovanni-Paolo-II dans San Bonaventura da Bagnoregio
Roma, 22.2.2000: Giubileo della Curia romana. Celebrazione eucaristica in San Pietro presieduta da Giovanni Paolo II (GIULIANI).

2. Sguardo alla tradizione della Chiesa. Come in una polifonia sinfonica Padri, tradizione, riti liturgici, arte e fede popolare si intrecciano armonicamente nel rilevare il nesso Eucaristia-Maria, che ruota attorno a tre cerchi concentrici: Corpo di Cristo nato da Maria, dimensione pasquale dell’Eucaristia e corpo sacramentale.

Sant’Ireneo di Lione (ca. +202) afferma che se non si ammette che Cristo è vero uomo nato dalla Vergine, allora «neppure il calice dell’Eucaristia è la comunione con il suo sangue, né il pane che noi spezziamo è la comunione con il suo corpo».

Sant’Efrem Siro (+373) parla del «sacramento di quel corpo unico che (il Signore) prese da Maria», e aggiunge: «Maria ci ha dato il pane che conforta, al posto del pane che affatica datoci da Eva». Rivolgendosi al Cenacolo, Efrem esclama: «Benedetto il luogo, dove fu spezzato quel pane (proveniente) dal venerato covone (Maria). In te fu spremuto il grappolo (proveniente) da Maria, il calice della redenzione».

Ambrogio Auperto (+781) nella festa della Presentazione di Cristo al Tempio predica: il gesto della Madre che offre il Figlio profetizza misticamente l’azione sacramentale della Chiesa anch’essa offerente di Cristo.

Pascasio Radberto (ca. +865) identifica il Corpo eucaristico di Cristo con il Corpo storico avuto da Maria, quando afferma: Idem Corpus quod natum ex Virgine.

Per san Pier Damiani (+1072) il Corpo di Cristo che noi riceviamo nella Comunione eucaristica è il medesimo Corpo che Maria ha concepito, partorito, nutrito e allevato con materna sollecitudine. E conclude: «Eva ha mangiato un cibo a causa del quale ci ha condannati alla fame dell’eterno digiuno; al contrario, Maria ha confezionato un cibo che ci ha spalancato l’ingresso al convito del cielo».

Per san Bernardo di Chiaravalle (+1153) la Madre è unita al Figlio in un’unica offerta: ella sta presso la croce per presentare «la vittima santa, a Dio gradita». E in una mirabile espressione, estasiato dichiara alla Vergine: Filius tecum, qui ad condendum in te mirabile sacramentum, “Il Figlio è con te, per preparare in te il mirabile sacramento”.

Arnaldo di Bonneval o di Chartres (+ dopo il 1156), biografo di san Bernardo, afferma: «Unica è la carne di Maria e quella di Cristo, unico è lo Spirito, unica la carità». E aggiunge: fin dalla Presentazione di Gesù al Tempio, si profilano due offerenti: Unum olocaustum ambo (Christus et Maria) pariter offerebant, “Nello stesso tempo ambedue (Cristo e Maria) offrivano un unico olocausto”.

Isacco della Stella (ca. +1169), discepolo di san Bernardo, parla di novus Sacerdos, non vetus Melchisedech, neque natus caro de carne… sed novus Iesus natus de Spiritu, cioè l’Eucaristia richiama il mistero nuovo: nuovo annuncio alla Figlia di Sion, nuova maternità, nuova nascita di Cristo, nuovo ed eterno sacerdote.

Nell’Ufficio della primitiva festa del Corpus Domini, composto nel 1246, si afferma che questa vera carne che noi mangiamo è la stessa che Gesù ha preso dalla Vergine.

San Bonaventura (+1274) spiega: siccome il Corpo di Cristo nell’incarnazione ci è stato dato per mezzo di Maria, anche la nostra offerta e Comunione eucaristica devono realizzarsi tramite le mani di lei. Nel sec. XIV viene composta l’antifona Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine, che attraversa i secoli.

Santa Caterina da Siena (+1380) descrive la Vergine «terra fruttifera e germinatrice del fructo» e colei che nell’incarnazione del Verbo dà la «farina sua». Nel Pane eucaristico, frutto sacramentale dell’offerta pasquale di Cristo, la Chiesa riscontra la “farina”, l’offerta olocaustica della Madre.

Il francese Giovanni di Gersone (+1429) chiama Maria madre dell’Eucaristia: «Tu sei la Madre dell’Eucaristia, perché …tu più di tutti gli altri, dopo il Figlio, eri cosciente del sacramento nascosto ai secoli».

La Scuola francese di spiritualità del 1600-700 accentua la continuità tra la maternità di Maria e il ministero del sacerdote.

San Giovanni Eudes (+1680) vede nel sacerdote l’immagine della Vergine Madre, perché per mezzo di entrambi il Cristo è formato, è dato ai fedeli, è offerto in olocausto a Dio.

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (+1787) è l’autore del libretto Visite al Santissimo Sacramento e a Maria Santissima.

San Giovanni Bosco (+1888) raccomandava la devozione a Gesù sacramentato e a Maria.

Leone XIII (+1903) parlava dell’Eucaristia come il prolungamento sacramentale dell’incarnazione storica del Signore dalla Vergine.

San Pio X (+1914) chiamava Lourdes «il più glorioso Santuario eucaristico» per rafforzare l’idea che ogni santuario mariano ha il suo centro unico nell’Eucaristia.

Secondo I.A. Schuster (+1954), l’Eucaristia ci “imparenta” con la Madre del Signore. Quando facciamo la Comunione ella «riconosce in noi qualche cosa che è sua e che le appartiene».

Pio XII (+1958) affermava: Maria non ha altro desiderio che di introdurre gli uomini «nel cuore del mistero della redenzione che è l’Eucaristia».

Lo scrittore ateo J.P. Sartre (+1980) fa dire alla Vergine che contempla Gesù bambino: «Questa carne divina è la mia carne… È Dio e mi assomiglia».

Benedetto XVI, domenica 9.9.2007 all’Angelus, puntualizzava: «Come Maria portò Gesù nel suo grembo e gli diede un corpo perché potesse entrare nel mondo, anche noi accogliamo Cristo nel Pane spezzato. E rendiamo il nostro corpo lo strumento dell’amore di Dio».

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I nostri corpi risorgeranno

Posté par atempodiblog le 15 août 2012

(Credo… la risurrezione della carne)

I NOSTRI CORPI RISORGERANNO

(Gv. 5, 28 s.)

 

I nostri corpi risorgeranno dans Fede, morale e teologia


Terminò in un fallimento l’esperienza della predicazione di Paolo ad Atene: il suo discorso dinanzi all’areopago quando giunse al punto cruciale della « Risurrezione dei morti, alcuni si misero a deriderlo, altri dissero: su questo argomento ti ascolteremo un’altra volta ». La stessa cosa accadde quando Paolo davanti al Re Agrippa, incatenato, parlò di Cristo Risorto e accennò alla Risurrezione dei morti: « Festo a gran voce disse: sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello ».

E’ difficile essere compresi quando si parla della Risurrezione dei morti, ma è una verità sicura e fondamentale. E’ uno dei temi centrali nella predicazione degli apostoli. Quando qualcuno mise in dubbio la Risurrezione dei morti, l’intervento di S. Paolo scattò fulmineo: « Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto e se Cristo non è risorto è vana la nostra fede… Ora, Cristo è risorto ».

Il celebre scrittore Vittorio Messori scrive che con la Risurrezione dei morti il cristianesimo raggiunge il vertice dell’umanesimo e supera tutte le altre religioni: « Il cristiano vede nel Vangelo un vertice che non può essere superato: perchè nulla è più alto che vada oltre l’Incarnazione di Dio stesso; nulla è pensabile che vada oltre la Risurrezione dei morti.

Gandhi stesso lo comprese e perciò disse che compito dell’Induismo – se vuol avere un futuro – è assorbire il massimo possibile di cristianesimo ».

Il filosofo Jean Guitton afferma: « Questo mistero è paradossale e sta al centro della fede, è il mistero dei misteri »

S. Agostino esclama: « La nostra speranza è la Risurrezione dei morti; la nostra fede è la Risurrezione dei morti. Tolta questa fede, tutta la dottrina cristiana va in frantumi ».

1. LA RAGIONE ESIGE LA RISURREZIONE DEI MORTI:

a) Dio è sapienza infinita, le sue opere sono fatte bene. Ora, Dio ha creato l’uomo composto di anima e di corpo, cioè di spirito e di materia. La morte li divide: il corpo muore e l’anima non muore; ma questa separazione violenta e contro natura (dovuta al peccato) non può durare in eterno, non può l’uomo rimanere incompleto per l’eternità. Dunque è necessaria la Risurrezione dei corpi.

b) Dio è giustizia infinita e ciò esige che il corpo debba seguire, nel premio o nella pena della vita ultraterrena, la sua anima, poiché esso è stato compagno e strumento di bene o di male sulla terra: dunque deve risorgere.

2. LA SACRA SCRITTURA CI DÀ LA CERTEZZA DELLA RISURREZIONE DEI CORPI.

« E’ certa la Risurrezione dei corpi? – chiedeva il S. Curato d’Ars – E’ certa come è certo che c’è la domenica dopo il sabato? Di più! E’ certa com’è certo che c’è il giorno dopo la notte? Di più!
Perché può darsi che i giorni cessino, ma non può darsi che la Parola di Dio non
si avveri ». Infatti Dio per mezzo dei profeti e del suo stesso Figlio Gesù e di S. Paolo e di S. Giovanni ha parlato chiaramente.

Isaia: « Il Signore distruggerà la morte per sempre e tergerà le lacrime su ogni volto… I tuoi morti rivivranno, i tuoi cadaveri risorgeranno! Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nelle tenebre ».

Daniele: « Quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre ».

I sette fratelli Maccabei e la loro mamma, davanti al carnefice che per ordine del Re Antioco con orribili torture aveva cercato di costringerli a calpestare le leggi del Signore senza riuscirvi, prima di esalare l’ultimo respiro, affermano la loro fede nella Risurrezione, e uno di loro cui era stata strappata la pelle del capo insieme ai capelli, a nome di tutti dice: « Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il Re del mondo, dopo che saremo morti per obbedire alle sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna ».

Cristo Dio con autorità afferma: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». « Io sono la Resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche
se muore, vivrà ».

Gesù dice di se stesso: « Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo con
forte potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli con grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro del cielo ».

S. Paolo con entusiasmo esclama: « Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poichè se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo ». « Tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. E’ necessario infatti che questo corpo corruttibile si rivesta di incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà rivestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della Scrittura: Dov’è, o morte, la tua vittoria? ».

Anche S. Giovanni ci parla, nell’Apocalisse, della Risurrezione di tutti i morti e del loro presentarsi al Giudizio di Dio: « Vidi un trono grande, candido, e Uno che vi sedeva: dal suo cospetto fuggì terra e cielo. E vidi i morti, grandi e piccoli, ritti dinnanzi al trono e furono aperti dei libri. E un altro libro fu aperto che è della vita; e furono giudicati i morti da quello che era scritto nei libri, secondo le loro opere. E il mare rese i suoi morti, e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno fu giudicato secondo le sue opere ».

3. COME SARANNO I CORPI RISORTI?

I corpi dei dannati, dice S. Bonaventura, « saranno carichi di miserie e di difetti », sensibili al dolore, pesanti, oscuri, tenebrosi, orribili e destinati a rimanere per sempre, insieme all’anima, nell’inferno.

Invece i corpi degli eletti saranno
meravigliosi. Rimarranno gli stessi corpi di prima perché, altrimenti, non si tratterebbe di una Risurrezione, ma di una nuova creazione; conserveranno pure i loro sensi come la vista, l’udito, l’odorato, il tatto, il gusto. Tuttavia i corpi con i loro sensi saranno trasformati, spiritualizzati, pur restando visibili. Infatti lo Spirito Santo ci dice per mezzo di S. Paolo: « Si semina un corpo corruttibile e sorge incorruttibile; si semina ignobile e sorge glorioso; si semina debole e sorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale ».

Questi corpi non saranno mai più soggetti a
sofferenze: « Ecco la dimora di Dio con gli uomini – dice la Bibbia –; e tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perchè le cose di prima sono passate ». Saranno corpi perfettissimi, agili come la fantasia, veloci come il pensiero, luminosi e partecipi dello splendore e della gloria dell’anima. « I giusti – dice Gesù – rifulgeranno come il sole nel Regno del Padre loro ».

4. ATTENZIONE: CHI RISORGERA’ PER L’IGNOMINIA, CHI PER LA GLORIA.

Già il profeta Daniele aveva detto: gli uni risorgeranno « alla vita eterna, e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna ».

Gesù esclama: « Non meravigliatevi di questo, perchè viene l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la voce e ne usciranno: quelli che bene operarono per una risurrezione di vita,
quelli che male operarono per un risurrezione di condanna ».

Cammineremo verso la Risurrezione gloriosa, se, risorgendo alla grazia di Dio, perseveremo e cresceremo in grazia.

Le preghiere, i sacrifici, le lotte, le rinunce, le sofferenze aumenteranno, giorno dopo giorno, la nostra gloria futura, come ci assicura lo Spirito Santo: « Il momentaneo e leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria ».

ESEMPIO. Nelle biografie del P. Pio da Pietralcina, incontriamo il celebre attore Carlo Campanini. E’ una delle innumerevoli anime che hanno trovato Dio per merito delle inaudite sofferenze e dell’assiduo apostolato in confessionale del P. Pio. Carlo, dopo la sua conversione, nei teatri e nelle piazze d’Italia, ove parlava ai gruppi di preghiera di P. Pio, andava ripetendo: « Io vivevo come una bestia, senza Messa, senza preghiera, immerso in tanti peccati. Poi ho incontrato un santo Sacerdote che mi ha riportato al Signore. Ho incominciato a partecipare alla Messa ogni giorno. Ma qualche volta cadevo ancora in alcuni peccati di desiderio impuro. Il P. Pio mi disse: Carlo, non avvilirti; pensa che hai una Mamma nel Cielo; invocala ogni giorno con la recita del Rosario. Da quel momento ho sempre recitato ogni giorno tre Rosari, e non sono più caduto in nessun peccato, neppure di desiderio. E nel mio cuore, pur in mezzo a tribolazioni, ho sempre avuto tanta gioia!… ».

Anche noi se vivremo una intensa vita eucaristica e mariana, vinceremo tutte le tentazioni, vivremo in grazia e nella gioia, in attesa del giorno in cui, come dice S. Paolo, « Gesù Cristo trasfigurerà il nostro fragile corpo per renderlo conforme al suo Corpo glorioso ».

PROPOSITO. Chiediamo alla Madonna che il  nostro corpo sia sempre strumento di grande amore a Gesù e al prossimo affinché  possa risorgere per la risurrezione gloriosa ».

Fonte: Con Maria Verso Gesù
Piccola e completa Istruzione religiosa – alla luce di Maria Immacolata – sul Credo, sui Sacramenti e i Comandamenti
di fr.Crispino Lanzi,  Cappuccino

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Il Card. Comastri ricorda Madre Teresa

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2011

IO LA RICORDO COSÌ…
Angelo Comastri

Il Card. Comastri ricorda Madre Teresa dans Cardinale Angelo Comastri 205sk1k

Mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi mi chiese: «Quante ore preghi ogni giorno?». Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: «Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?». Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò: «Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!».

Non ho più dimenticato questo incontro: il segreto di Madre Teresa sta tutto qui. Ci siamo rivisti tante altre volte (l’ultima il 22 maggio scorso), ma ogni azione e ogni decisione di Madre Teresa li ho trovati meravigliosamente coerenti con questa convinzione di fede: «Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore, e così …».

Nel 1979 ricevette il Premio Nobel per la Pace: lo accolse stupendosi e restando quietamente piccola nelle mani di Dio. Andò a ritirare il premio con la corona del Santo Rosario stretta tra le grosse mani, abituate alla fatica del lavoro e alla dolcezza della carezza: nessuno osò rimproverarla per il suo affetto verso la Madonna, neppure in una terra rigidamente luterana!

Tornando da Oslo Madre Teresa fece tappa a Roma. Vari giornalisti si accalcarono nel cortile esterno della povera dimora delle Missionarie della Carità sul Monte Celio. Madre Teresa non si sottrasse ai giornalisti, ma li accolse come figli, mettendo nella mano di ciascuno una piccola medaglia dell’Immacolata. I giornalisti furono generosi in foto e domande; una domanda fu un po’ birichina: «Madre, lei ha settanta anni! Quando lei morirà, il mondo sarà come prima. Che cosa è cambiato dopo tanta fatica?» Madre Teresa avrebbe potuto reagire con un po’ di santo sdegno ed invece fece un sorriso luminoso, come se le avessero dato un bacio affettuosissimo. E aggiunse: «Vede, io non ho mai pensato di poter cambiare il mondo! Ho cercato soltanto di essere una goccia di acqua pulita, nella quale potesse brillare l’amore di Dio. Le pare poco?».

Il giornalista non riuscì a rispondere, mentre attorno alla Madre si era creato il silenzio dell’ascolto e della emozione. Madre Teresa riprese la parola e chiese al giornalista « sfacciatello »: «Cerchi di essere anche lei una goccia pulita e così saremo in due. È sposato?». «Sì, Madre». «Lo dica anche a sua moglie e così saremo in tre. Ha dei figli?». «Tre figli, Madre». «Lo dica anche ai suoi figli e così saremo in sei …».

Non c’era bisogno di aggiungere altro: Madre Teresa aveva detto chiaramente che ognuno di noi ha in mano un piccolo, ma indispensabile capitale d’amore; è questo personale capitale d’amore che dobbiamo preoccuparci di investire: il resto è divagazione inutile o polemica sterile o maschera di disimpegno.

Nel 1988 venne a Porto Santo Stefano (GR), dove ero parroco: fu un dono immenso, inatteso, meraviglioso. Era il 18 maggio e il cielo, dopo una insolita burrasca, era tornato limpido e azzurro, confondendosi con il mare sorridente. Madre Teresa fissò come una bambina lo scenario unico del Monte Argentario e parlò così: «Come è bello questo luogo! In un luogo così bello, anche voi dovreste preoccuparvi di avere anime belle». Bastarono queste parole per far scattare una attenzione e una vibrazione del cuore di oltre ventimila persone. Madre Teresa, allora, con la coerenza della fede, aggiunse:

«La vita è il più grande dono di Dio. È per questo che è penoso vedere quanto accade oggi: la vita viene volontariamente distrutta dalle guerre, dalla violenza, dall’aborto. E noi siamo creati da Dio per cose più grandi: amare ed essere amati! Il più grande distruttore di pace nel mondo è l’aborto. Se una madre può uccidere il proprio figlio nella culla del suo grembo, chi potrà fermare me e te nell’ucciderci reciprocamente?».

Queste parole sembravano raggi luminosi lanciati nel cielo buio: ciascuno si sentiva scoperto e ogni briciola di egoismo bruciava e diventava salutare rimprovero. Al termine della Veglia di Preghiera accadde un fatto, che ho sempre vivo nella memoria, ricordandolo, ancora mi emoziono profondamente. Un ricco industriale mi aveva manifestato l’intenzione di regalare a Madre Teresa la sua villa per accogliere i malati di Aids ed aveva in mano le chiavi per consegnarle alla Madre. Riferii la proposta a Madre Teresa, che prontamente rispose: «Debbo pregare, debbo pensarci: non so se è cosa buona portare i malati di Aids in un luogo di grande turismo. E se fossero rifiutati? Soffrirebbero due volte!». Quale saggezza! Quale libertà interiore!

Però a tutti noi, uomini di poca fede, sembrava che Madre Teresa stesse per perdere una bella e rara occasione. Un distinto signore, che aveva assistito al dialogo, si sentì in dovere di consigliare: «Madre, intanto prenda la chiave e poi si vedrà…». Madre Teresa, senza alcuna esitazione, forse sentendosi ferita in ciò che aveva di più caro e di più prezioso, chiuse il discorso dicendo risolutamente: «No, signore! Perché ciò che non mi serve, mi pesa!».

Queste parole sono un capolavoro. Mi richiamarono alla memoria ciò che San Bonaventura scrisse riguardo a San Francesco: «Nessuno amò tanto la ricchezza, quanto Francesco amò la povertà!». Madre Teresa era così. Era un limpido fiume di fede che sbocciava in opere di carità: la fede, e soltanto la fede, stava alla sorgente del suo agire.

Nel 1991, sempre nel mese di maggio, venne a Massa Marittima (GR). Con mia grande sorpresa mi comunicò la decisione di aprire a Piombino una casa per le Suore Contemplative delle Missionarie della Carità: «Pregheranno davanti a Gesù nel Tabernacolo – mi disse – e così si diffonderà attorno la luce della bontà. Ci vogliono cuori puri per accogliere l’Amore! Cuori puri!».

Da Massa Marittima, in elicottero, andammo all’Isola d’Elba per un secondo incontro di preghiera. Durante il tragitto indicavo a Madre Teresa i vari luoghi della costa tirrenica, mentre lei inviava a tutti il regalo di un’Ave Maria. A un certo punto un uomo, che ci accompagnava nel volo, cadde in ginocchio accanto a me e, con voce tremante, mi disse: «Padre, io non so che cosa mi stia accadendo! Mi sembra che Dio, Dio stesso mi stia guardando attraverso gli occhi di quella donna».

Riferii subito alla Madre le parole appena ascoltate. Ella, con tranquillità disarmante, commentò: «Gli dica che Dio lo sta guardando da tanto tempo: era lui che non se ne accorgeva…! God is love: Dio è Amore!». E, rivolta all’uomo, gli strinse la mano con affetto e gli consegnò alcune medagliette della Madonna: sembravano baci, che portavano il profumo dell’amore di Dio. Madre Teresa era così: semplice, umile, limpida, evangelicamente trasparente.

Il 22 maggio [1997] mi scrisse un messaggio per la VI Giornata Mondiale del Malato, che verrà celebrata a Loreto l’11 febbraio 1998. Il messaggio dice così: «Cari fratelli e sorelle che soffrite! Voi siete così vicini al cuore di Gesù Crocifisso che, senza staccarsi dalla Croce, egli può baciarvi e parteciparvi il Suo Amore. Siate Santi! Tutti per Gesù attraverso Maria». È il suo testamento: amare… amare! Lasciando però che sia Gesù, Volto e Presenza dell’Amore di Dio, a riempirci di Carità!

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Il nome di Maria

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2009

Il nome di Maria dans Citazioni, frasi e pensieri mariaregina

« O Maria, glorioso e ammirabile è il Tuo nome; quelli che lo pronunciano in punto di morte non temono l’Inferno, poiché i demoni al sentir nominare Maria subito abbandonano l’anima ».

San Bonaventura

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