San Disma, la speranza passa dalla croce

Posté par atempodiblog le 25 mars 2025

San Disma, la speranza passa dalla croce
Oltre all’Annunciazione la Chiesa celebra oggi san Disma, il buon ladrone che si convertì in punto di morte confessando la regalità di Gesù e avendo in premio la vita eterna. Un santo perfetto per riscoprire la speranza, tema di questo Giubileo.
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

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Il nostro mondo secolarizzato sta perdendo progressivamente la speranza e non sa bene più neanche cosa significhi. Il termine, speranza, viene ancora usato in tante circostanze, ma molto spesso in una dimensione puramente orizzontale e perfino “sperando” fini non buoni. Ma ci viene in soccorso il Catechismo della Chiesa Cattolica, che all’inizio del numero 1817 spiega: «La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo». Questa è l’unica speranza che non delude, come già scriveva san Paolo (Romani 5,5), e come ricorda l’incipit della Spes non confundit, la bolla di indizione del Giubileo del 2025.

I santi, da amici di Cristo, sono coloro che più di altri hanno nutrito questa speranza: chi dalla primissima infanzia, chi magari dopo una conversione in età matura, chi addirittura nell’ultimissimo tratto della vita terrena. L’esempio più clamoroso è quello del buon ladrone, uno dei due malfattori crocifissi assieme a Gesù e che il Martirologio Romano commemora oggi, 25 marzo, stesso giorno dell’Annunciazione del Signore. Un santo in buona sostanza canonizzato da Gesù stesso, con le famose parole trasmesse dall’evangelista Luca («In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso»), che ci permettono di afferrare un po’ il senso dell’infinita misericordia di Dio.

Di questo santo sono stati tramandati diversi nomi, di cui uno dei più noti è certamente Disma (Dimas in spagnolo e portoghese). Dai Vangeli sappiamo poco di lui, ma tanto basta per capire – a una lettura incrociata – quale profondo atto di contrizione e umiltà dovette fare sulla croce, in quel lasso di tempo tra la crocifissione e la morte di nostro Signore, ossia tra le nove del mattino e le tre del pomeriggio. Almeno all’inizio di quel lasso di sei ore, il futuro santo non diede grande prova di sé, anzi peggiorò la sua condizione di peccatore. Da san Matteo (27,44) e san Marco (15,32) sappiamo infatti che anche il buon ladrone si associò a quanti insultavano Gesù in croce.

Ma la mansuetudine, la divina pazienza mostrata da Gesù lungo tutto il tempo della crocifissione, il perdono invocato sui propri persecutori («Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»; Lc 23,34) e, ancora, l’intercessione di Maria Santissima ai piedi della croce, evidentemente, a un certo punto toccarono nell’intimo il cuore di Disma.

San Luca, di fatto integrando il racconto degli altri due sinottici, ci restituisce in pochi ma incisivi versetti la conversione vissuta in croce dal buon ladrone, basata su alcuni grandi capisaldi che già i Padri della Chiesa non hanno mancato di esaltare: il pentimento, la correzione fraterna, la confessione delle proprie colpe, il riconoscimento non solo dell’innocenza di Gesù ma perfino della sua regalità; e questo proprio quando nostro Signore – crocifisso, flagellato, coronato di spine, deriso e oltraggiato nei modi più vari – era al culmine della sua umiliazione.

Il buon ladrone – scrive la venerabile Maria di Ágreda nella Mistica Città di Dio – «intuì un barlume di questo arcano», ossia del mistero della Redenzione che Gesù stava mirabilmente operando sul Calvario, mostrando tutto il suo amore per ogni uomo.

In un certo senso, san Disma è stato il perfetto contraltare di Giuda Iscariota. Se il più grande peccato di Giuda fu (più ancora del tradimento) la disperazione della salvezza, si può dire che il più grande merito del buon ladrone fu la speranza, dunque la fiducia che ripose nella misericordia di Gesù. Una misericordia che è immensamente più grande di ogni nostro peccato e che non aspetta altro di riversarsi su ciascuno di noi, purché ci pentiamo e chiediamo perdono. In questo senso, san Disma ci può essere compagno speciale in questo Giubileo dedicato alla speranza, tanto più che in qualche modo l’indulgenza plenaria è “sorella” di quella grazia immensa accordata da Gesù al buon ladrone («oggi sarai con me in paradiso»), sorella della stessa solida promessa di salvezza eterna.

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San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 19 mars 2025

San Giuseppe
Il beato Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale, consapevole della potentissima intercessione di Giuseppe, che si estende a ogni grazia, come già ricordava santa Teresa d’Avila
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

San Giuseppe dans Angeli San-Giuseppe

Se giustamente l’antico adagio teologico afferma che di Maria non si dice mai abbastanza, similmente si può dire del suo castissimo sposo poiché in nessun altro santo, eccetto la stessa Madre di Dio, la dimensione del mistero è così grande come in san Giuseppe. E in nessun altro santo come nel padre putativo di Gesù le logiche divine appaiono del tutto straordinarie e ribaltate rispetto alle logiche del mondo. La Chiesa insegna che solo a Dio si deve il culto di latria (adorazione); a Maria è riservata una venerazione specialissima detta iperdulia («oltre la dulia», cioè il culto di angeli e santi), cui segue immediatamente la protodulia dovuta a Giuseppe, da venerare come primo tra tutti i santi.

Il perché lo spiega bene Leone XIII nella Quamquam Pluries: «Poiché tra Giuseppe e la beatissima Vergine esistette un vincolo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto nessun altro mai. Infatti il matrimonio costituisce la società, il vincolo superiore ad ogni altro: per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro. Pertanto se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercé il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei». Non è perciò casuale il posto unico che san Giuseppe occupa nel cuore dei credenti, dai fedeli più semplici ai più grandi teologi, fino ai pontefici, che da secoli esortano i cristiani ad accrescere la devozione verso il Custode della Sacra Famiglia, in sommo grado ripieno di fede, speranza e carità.

Il Vangelo non gli attribuisce direttamente nessuna parola, ma il suo silenzio e ogni circostanza in cui si parla di lui hanno un peso specifico enorme. Giuseppe collega Gesù alla discendenza di Davide, è l’uomo chiamato da Dio a cooperare alla realizzazione delle profezie e all’adempimento delle antiche promesse. Perciò il primo capitolo di Matteo, l’evangelista che più si rivolge ai Giudei, si apre con la genealogia di Gesù e – al suo culmine – ci presenta Giuseppe come «lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo». Come Luca approfondirà la prospettiva interiore della Vergine, Matteo ci offre uno spaccato dei pensieri di Giuseppe, da lui lodato quale «giusto». Un giusto che in ogni istante, per quanto tormentato, pensò a proteggere Maria, preservandola dalla lapidazione e custodendone l’onore, fino al conforto del messaggero celeste: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Giuseppe abbracciò quindi la sua vocazione di sposo e «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore», prendendo con sé la sua sposa. Quel «fece» dice molto su questo glorioso santo nascosto, che ama la legge di Dio e dunque la osserva, abbandonandosi totalmente alla Volontà divina, con il pieno assenso del suo intelletto. Come Maria ha detto liberamente sì a Dio, così Giuseppe: entrambi sorpresi da Lui, entrambi pronti a servire il Suo disegno salvifico. «La sorpresa del casto Giuseppe era paragonabile a quella della Vergine Maria quando al momento dell’Annunciazione ha chiesto: « Come può accadere se non conosco uomo? » Maria voleva sapere come avrebbe potuto essere vergine e madre allo stesso tempo, e san Giuseppe non sapeva come poter essere vergine e padre», ha detto il venerabile Fulton Sheen (1895-1979) in una splendida catechesi: «L’Angelo del Signore ha spiegato a entrambi che solo Dio aveva il potere di fare una cosa simile».

Attraverso il matrimonio con Maria, luce per tutti gli sposi, Giuseppe divenne padre di Gesù e ne servì la missione proprio con la sua paternità verginale. Salvò il Bambino da Erode con la fuga in Egitto, lo allevò, lo nutrì, lo vestì, gli insegnò un mestiere, assolvendo di giorno in giorno i suoi compiti paterni verso Gesù, il quale da parte sua obbediva docilmente ai genitori e «cresceva in sapienza, età e grazia», preludio della sua attività pubblica. A Dio piacque che Gesù, Verbo incarnato, venisse chiamato figlio di Giuseppe e volle che alla custodia del santo patriarca fossero affidati «gli inizi della Redenzione» (Messale Romano). Come ricorda san Giovanni Paolo II nella Redemptoris Custos, Giuseppe fu allo stesso tempo il Custode del Redentore, il primo devoto di Maria e il primo uomo al quale fu partecipato il mistero dell’Incarnazione che si era compiuto nella sua sposa. Alla quale è indissolubilmente legato. Perciò, insegnano i santi, la vera devozione dell’uno accresce la devozione verso l’altra: e insieme sono strada sicura verso Cristo.

Ecco perché san Giovanni Crisostomo ne sottolineava l’eccezionale ruolo di «ministro della salvezza» e il beato Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale, consapevole della potentissima intercessione di Giuseppe, che si estende a ogni grazia, come già ricordava santa Teresa d’Avila: «Ad altri sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso San Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol darci a intendere che, a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, altrettanto gli è ora in cielo nel fare tutto ciò che gli chiede».

Divisore dans San Francesco di Sales

Per saperne di più:

Freccia dans Viaggi & Vacanze Quamquam Pluries, enciclica di Leone XIII, con in calce l’orazione «A te, o beato Giuseppe…»

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Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona

Posté par atempodiblog le 14 mars 2025

Provate ad immaginare se un bel giorno vi arrivasse un invito che stavate aspettando da moltissimo tempo, da qualcuno che avevate tanto atteso di incontrare. Una persona al fianco della quale avete tanto desiderato di trattenervi, per stare lungo tempo vicini a parlare. Il giorno in cui quell’invito arrivasse, quanto grande sarebbe la vostra gioia? La morte è l’invito di Dio ed è con questa gioia in cuore che io la attendo. Io so bene quanto Dio sia buono e bello e con quanta tenerezza Egli si prenda cura di me”.

di Takashi Paolo Nagai

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Padre Roberto Pasolini: il vero riposo è pace interiore, accogliere ciò che la vita ci dona
Nella nona meditazione degli Esercizi Spirituali in Aula Paolo VI, di cui pubblichiamo una sintesi, il predicatore della Casa Pontificia si sofferma sul concetto biblico del riposo che non è inattività ma condizione di pienezza e appagamento. E prima delle parole del religioso, quelle di monsignor Viola, segretario del Dicastero per il Culto Divino, che a nome della Curia assicura al Papa, nell’anniversario dell’elezione, vicinanza e preghiera
de La Redazione di Vatican News

La vita eterna è un dono già presente, ma spesso fatichiamo a comprenderne un aspetto fondamentale: il riposo. Fin da piccoli, siamo abituati a sentire la preghiera:

«L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen».

L’idea di un’eternità basata sul riposo eterno può sembrare deludente, come se la vita finisse con un’infinita dormita. Ma questa percezione nasce da un equivoco profondo: vediamo il riposo solo come inattività, mentre nella visione biblica è una condizione di pienezza e appagamento.

Dio stesso ha vissuto il riposo, quando Gesù, dopo la croce, è stato deposto nel sepolcro. Questo momento non è un’inerzia sterile, ma il compimento di un’opera, come racconta un’antica omelia sul Sabato Santo: «Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi».

Cristo riposa, eppure agisce misteriosamente, liberando i prigionieri degli inferi. Questo ci insegna che fermarsi non significa essere inutili, ma saper abbracciare il tempo con fiducia, senza inseguire un’attività frenetica e sterile.

Oggi il riposo è un lusso trascurato. Viviamo in una società che ci impone di essere sempre attivi, sempre connessi, sempre produttivi. Eppure, più aumentano le opportunità, meno riusciamo a riposare davvero. La parabola del servo, che dopo aver lavorato non si aspetta un premio ma accetta di aver fatto ciò che era chiamato a fare, ci insegna un segreto importante. Fino a quando viviamo con l’ossessione del risultato, non troveremo mai riposo. Solo chi accoglie con serenità il proprio limite può finalmente fermarsi in pace.

Il vero riposo non è inattività, ma libertà. È lo stato in cui non dobbiamo più dimostrare nulla, perché ci lasciamo abbracciare dall’amore di Dio. È la pace interiore che ci permette di dire: «Chi è entrato nel riposo di Dio, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie» (Eb 4,10).

Vivere bene il riposo significa allenarsi alla vita eterna, imparando a vivere senza paura, a lasciar andare il superfluo e a fidarci del fatto che Dio è già all’opera in noi.

Il riposo vero è pace interiore, non si misura in risultati, ma nella capacità di accogliere ciò che la vita ci dona. Non è fuga, ma un modo per imparare a vivere più intensamente, senza ansia. Non è passività, ma una fiducia attiva che ci rende liberi di amare. «Nell’amore non c’è timore. L’amore perfetto scaccia il timore» (1Gv 4,18).

Alla fine, la vita eterna non è un traguardo lontano, ma una realtà che cresce già dentro di noi. Già ora, siamo chiamati a viverla.

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Cristo re dell’universo

Posté par atempodiblog le 23 novembre 2024

Cristo re dell’universo
Tratto da: Inchiesta sull’Inferno. Salvezza e perdizione nelle profezie di Medjugorje. Di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti. Ed. PIEMME

Cristo re dell'universo dans Anticristo Cristo-Re-dell-Universo

[...] Una volta corrotto il cuore dell’uomo con il peccato, Satana ha esteso il suo potere nel mondo, però il suo non è un dominio totale perché la parola “principe” sta a indicare che il Diavolo non è re. Solo Dio è il Re dei re, l’Onnipotente, Colui che tiene ben salde in mano le redini del mondo e della storia.

Le antiche religioni, di fronte al dilagare del Male, della sofferenza, della morte, hanno spesso ceduto alla tentazione di immaginare che ci fosse un dio del Male autonomo e originario, contrapposto a un dio del Bene, lasciando così l’umanità in balìa di questo scontro incessante e dall’esito incerto. Quando il cristianesimo è apparso nel mondo, affermando la potenza del solo Dio Creatore dell’universo, si è avuta una sorta di grande esorcismo contro il Male, ridotto al rango di creatura, privato di ogni presunta connotazione divina. Questo ha indotto – come ben osserva Benedetto XVI nel suo volume Gesù di Nazaret – le popolazioni dell’impero romano a convertirsi in proporzioni sempre maggiori nei primi secoli all’annuncio della Buona Novella: un annuncio liberatorio, perché esorcizzava il Male riconfermando la potenza di Cristo re dell’universo, restituendo così all’uomo quella autonomia, quella possibilità di redenzione che prima pareva negata. La venuta di Cristo nella carne è stato dunque il più grande esorcismo di sempre, poiché ha posto un freno a quel potere di Satana che, nel mondo greco-romano, era dilagato sotto forma di politeismo, superstizione, spiritismo. Certo, la storia è sempre stata guidata da Dio, che, dopo il peccato originale, ha scelto patriarchi, profeti, re e uomini giusti per preparare il suo popolo all’avvento di Gesù. Però l’incarnazione ha segnato uno spartiacque nella storia del mondo, poiché con la sua venuta Cristo ha preparato il momento in cui il principe del mondo sarebbe stato cacciato fuori: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12,31).

Quando Satana verrà cacciato fuori dal mondo, avrà termine quella attività che, per permissione divina, il Diavolo va svolgendo dal tempo del peccato originale, ovvero quella strategia di inganno e di seduzione con la quale Lucifero e i suoi demoni vogliono indurre l’uomo alla ribellione contro Dio. Quanti daranno il loro consenso a questa tentazione, scegliendo radicalmente il Maligno al posto di Dio, accetteranno di farsi schiavi del peccato e del Demonio. E se quest’ultimo sarà cacciato dal mondo, per regnare internamente all’Inferno, così dovrà essere di ogni anima dannata che avrà preferito il principe di questo mondo, Satana, a Cristo re dell’universo.

Insomma, qui si tratta di capire che ci sono due regni, contrapposti tra loro, il Regno di Dio e il regno del Diavolo, il Paradiso e l’Inferno, e le anime andranno nell’uno o nell’altro a seconda del re o del principe che avranno scelto di adorare e di servire. Satana sa bene che il tempo è breve, che presto verrà cacciato, e sa anche di aver già perso la sua guerra nel momento in cui Cristo è morto e risorto, vincendo il peccato, il Male e la morte.

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“Ci ha amati”, l’Enciclica del Papa sul Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2024

“Ci ha amati”, l’Enciclica del Papa sul Sacro Cuore di Gesù
“Dilexit nos”, quarta Enciclica di Francesco, ripercorre tradizione e attualità del pensiero “sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo”, invitando a rinnovare la sua autentica devozione per non dimenticare la tenerezza della fede, la gioia di mettersi al servizio e il fervore della missione: perché il Cuore di Gesù ci spinge ad amare e ci invia ai fratelli
di Alessandro Di Bussolo – Vatican News

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“«Ci ha amati», dice San Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla «potrà mai separarci» (Rm 8,39)”. Inizia così la quarta Enciclica di Papa Francesco, intitolata dall’incipit “Dilexit nos” e dedicata all’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo: “Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16)” (1).

Freccia dans Viaggi & Vacanze Dilexit-Nos dans Commenti al Vangelo LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DELL’ENCICLICA

L’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore
In una società – scrive il Papa – che vede moltiplicarsi “varie forme di religiosità senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore” (87), mentre il cristianesimo spesso dimentica “la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona” (88), Papa Francesco propone un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore e invita a rinnovare la sua autentica devozione ricordando che nel Cuore di Cristo “possiamo trovare tutto il Vangelo” (89): è nel suo Cuore che “riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare” (30).

Il mondo sembra aver perso il cuore
Francesco spiega che incontrando l’amore di Cristo, “diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”, come invita a fare nelle sue Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti (217). E davanti al Cuore di Cristo, chiede al Signore “di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita” e riversi su di lei “i tesori della sua luce e del suo amore”, affinché il mondo, “che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore” (31). Nell’annunciare la preparazione del documento, al termine dell’udienza generale del 5 giugno, il Pontefice aveva chiarito che avrebbe aiutato a meditare sugli aspetti “dell’amore del Signore che possano illuminare il cammino del rinnovamento ecclesiale; ma anche che dicano qualcosa di significativo a un mondo che sembra aver perso il cuore”. E questo mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, nel 1673, che si chiuderanno il 27 giugno 2025.

L’importanza di tornare al cuore
Aperta da una breve introduzione e articolata in cinque capitoli, l’Enciclica sul culto del Sacro Cuore di Gesù raccoglie, come preannunciato a giugno, “le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”.

Il primo capitolo, “L’importanza del cuore”, spiega perché serva “ritornare al cuore” in un mondo nel quale siamo tentati di “diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato” (2). Lo fa analizzando cosa intendiamo per “cuore”: la Bibbia ce ne parla come di un nucleo “che sta dietro ogni apparenza” (4), luogo dove “non conta ciò che si mostra all’esterno o ciò che si nasconde, lì siamo noi stessi” (6). Al cuore portano le domande che contano: che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, chi sono davanti a Dio (8). Il Papa sottolinea che l’attuale svalutazione del cuore nasce “nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo”, così che nel grande pensiero filosofico si sono preferiti concetti come quelli di “ragione, volontà o libertà”. E non trovando posto per il cuore, “non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale” che può unificare tutto, e cioè l’amore (10). Invece, per il Pontefice, bisogna riconoscere che “io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone” (14).

Il mondo può cambiare a partire dal cuore
È il cuore “che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo” (17). La spiritualità di santi come Ignazio di Loyola (accettare l’amicizia del Signore è una questione di cuore) e san John Henry Newman (il Signore ci salva parlando al nostro cuore dal suo sacro Cuore) ci insegna, scrive Papa Francesco, che “davanti al Cuore di Gesù vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù” (27). E questo ha conseguenze sociali, perché il mondo può cambiare “a partire dal cuore” (28).

“Gesti e parole d’amore”
Ai gesti e alle parole d’amore di Cristo è dedicato il secondo capitolo. I gesti con i quali ci tratta come amici e mostra che Dio “è vicinanza, compassione e tenerezza”, si vedono negli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con la prostituta, con la donna adultera e con il cieco sulla strada (35). Il suo sguardo, che “scruta l’intimo del tuo essere” (39), mostra che Gesù “presta tutta la sua attenzione alle persone, alle loro preoccupazioni, alle loro sofferenze” (40). In modo tale “da ammirare le cose buone che riconosce in noi” come nel centurione, anche se gli altri le ignorano (41). La sua parola d’amore più eloquente è l’essere “inchiodato sulla Croce”, dopo aver pianto per l’amico Lazzaro e aver sofferto nell’Orto degli Ulivi, consapevole della propria morte violenta “per mano di quelli che Lui tanto amava” (46).

Il mistero di un cuore che ha tanto amato
Nel terzo capitolo, “Questo è il cuore che ha tanto amato”, il Pontefice ricorda come la Chiesa riflette e ha riflettuto in passato “sul santo mistero del Cuore del Signore”. Lo fa riferendosi all’Enciclica di Pio XII Haurietis aquas, sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù (1956). Chiarisce che “la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù”, perché noi adoriamo “Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore” (48). L’immagine del cuore di carne, sottolinea il Papa, ci aiuta a contemplare, nella devozione, che “l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano” (61) Il suo Cuore, prosegue Francesco citando Benedetto XVI, il suo contiene un “triplice amore”: quello sensibile del suo cuore fisico “e il suo duplice amore spirituale, l’umano e il divino” (66), in cui troviamo “l’infinito nel finito” (64).

Il Sacro Cuore di Gesù è una sintesi del Vangelo
Le visioni di alcuni santi, particolarmente devoti al Cuore di Cristo – precisa Francesco – “sono stimoli belli che possono motivare e fare molto bene”, ma “non sono qualcosa che i credenti sono obbligati a credere come se fossero la Parola di Dio”. Quindi il Papa ricorda con Pio XII che non si può dire che questo culto “debba la sua origine a rivelazioni private”. Anzi, “la devozione al Cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana in quanto significa l’apertura piena di fede e di adorazione al mistero dell’amore divino e umano del Signore, tanto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo” (83). Il Pontefice invita poi a rinnovare la devozione al Cuore di Cristo anche per contrastare “nuove manifestazioni di una ‘spiritualità senza carne’ che si moltiplicano nella società” (87). È necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo” (90) davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti” (88).

L’esperienza di un amore “che dà da bere”
Negli ultimi due capitoli, Papa Francesco mette in evidenza i due aspetti che “la devozione al Sacro Cuore dovrebbe tenere uniti per continuare a nutrirci e ad avvicinarci al Vangelo: l’esperienza spirituale personale e l’impegno comunitario e missionario” (91). Nel quarto, “L’amore che dà da bere”, rilegge le Sacre Scritture, e con i primi cristiani, riconosce Cristo e il suo costato aperto in “colui che hanno trafitto” che Dio riferisce a se stesso nella profezia del libro di Zaccaria. Una sorgente aperta per il popolo, per placare la sua sete dell’amore di Dio, “per lavare il peccato e l’impurità” (95). Diversi Padri della Chiesa hanno menzionato “la ferita del costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito”, su tutti Sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore” (103).  A poco a poco questo costato ferito, ricorda il Papa “venne assumendo la figura del cuore” (109), ed elenca diverse donne sante che “hanno raccontato esperienze del loro incontro con Cristo, caratterizzato dal riposo nel Cuore del Signore” (110). Tra i devoti dei tempi moderni, l’Enciclica parla prima di tutto di San Francesco di Sales, che raffigura la sua proposta di vita spirituale con “un cuore trafitto da due frecce, racchiuso in una corona di spine” (118)

Le apparizioni a Santa Margherita Maria Alacoque
Sotto l’influsso di questa spiritualità, Santa Margherita Maria Alacoque racconta le apparizioni di Gesù a Paray-le-Monial, tra la fine di dicembre 1673 e il giugno 1675. Il nucleo del messaggio che ci viene trasmesso può essere riassunto in quelle parole che Santa Margherita ha udito: “Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore (121).

Teresa di Lisieux, Ignazio di Loyola e Faustina Kowalska
Di Santa Teresa di Lisieux, il documento ricorda il chiamare Gesù “Colui il cui cuore batteva all’unisono col mio” (134) e le sue lettere alla sorella suor Maria, che aiuta a non concentrare la devozione al Sacro Cuore “su un aspetto doloristico” quello di chi intendeva la riparazione come un “primato dei sacrifici”, ma sulla fiducia “come la migliore offerta, gradita al Cuore di Cristo” (138). Il Pontefice gesuita dedica alcuni passi dell’Enciclica anche al posto del Sacro Cuore nella storia della Compagnia di Gesù, sottolineando che nei suoi Esercizi Spirituali, Sant’Ignazio di Loyola propone all’esercitante “di entrare nel Cuore di Cristo” in un dialogo da cuore a cuore. Nel dicembre 1871, padre Beckx consacrò la Compagnia al Sacro Cuore di Gesù e padre Arrupe lo fece nuovamente nel 1972 (146). Le esperienze di Santa Faustina Kowalska, si ricorda, ripropongono la devozione “con un forte accento sulla vita gloriosa del Risorto e sulla misericordia divina” e motivato da queste, anche San Giovanni Paolo II “ha collegato intimamente la sua riflessione sulla misericordia con la devozione al Cuore di Cristo” (149). Parlando della “devozione della consolazione”, l’Enciclica spiega che davanti ai segni della Passione conservati dal cuore del Risorto, è inevitabile “che il credente desideri rispondere” anche “al dolore che Cristo ha accettato di sopportare per tanto amore” (151). E chiede “che nessuno si faccia beffe delle espressioni di fervore credente del santo popolo fedele di Dio, che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo” (160). Perché poi “desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati” e “possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione” (162).

La devozione al Cuore di Cristo ci invia ai fratelli
Il quinto e ultimo capitolo “Amore per amore” approfondisce la dimensione comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica devozione al Cuore di Cristo, che, nel momento in cui “ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli” (163). Infatti l’amore per i fratelli è il “gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore” (167). Guardando alla storia della spiritualità, il Pontefice ricorda che l’impegno missionario di San Charles de Foucauld lo rese “fratello universale”: “lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, voleva ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente” (179). Francesco parla poi della “riparazione”, come spiegava San Giovanni Paolo II: “offrendoci insieme al Cuore di Cristo, «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo»” (182).

La missione di far innamorare il mondo
L’Enciclica ricorda ancora con San Giovanni Paolo II che “la consacrazione al Cuore di Cristo «è da accostare all’azione missionaria della Chiesa stessa, perché risponde al desiderio del Cuore di Gesù di propagare nel mondo, attraverso le membra del suo Corpo, la sua dedizione totale al Regno». Di conseguenza, attraverso i cristiani, «l’amore sarà riversato nei cuori degli uomini, perché si edifichi il corpo di Cristo che è la Chiesa e si costruisca anche una società di giustizia, pace e fratellanza»” (206). Per evitare il grande rischio, sottolineato da San Paolo VI, che nella missione “si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo” (208), servono “missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo” (209).

La preghiera di Francesco
Il testo si conclude con questa preghiera di Francesco: “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!” (220).

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Assunzione della Beata Vergine Maria

Posté par atempodiblog le 14 août 2024

Assunzione della Beata Vergine Maria
di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Blog di p. Livio – Direttore di Radio Maria

Buona festa dell'Assunta! dans Amicizia maria_assunta_in_cielo

Oggi gioiamo con tutta la Chiesa per l’Assunzione alla gloria celeste dell’Immacolata Vergine Maria con la sua anima e il suo corpo e per essere esaltata come Regina dell’universo a fianco di suo Figlio, il Signore dei dominanti e il vincitore del peccato e della morte.

La Madre di Dio, terminato il corso della sua vita terrena, ha avuto il singolare previlegio di partecipare alla resurrezione di suo Figlio, divenendo così un segno per tutti i credenti di quello che sarà il compimento della loro vita.

Noi giustamente ci domandiamo quale sarà la condizione in cui ci troveremo in Paradiso e la risposta la troviamo nella Vergine Maria, che è già ora ciò che noi saremo quando, alla fine del mondo, i nostri corpi risorgeranno e si uniranno alle nostra anime beate, partecipando come Maria alla gloria di Cristo risorto.

Con questa meravigliosa verità di fede, definita dalla Chiesa, noi possiamo camminare nel pellegrinaggio della nostra vita terrena con lo sguardo rivolto al Cielo, dove la Madre di Cristo e madre nostra ci attende, tenendo viva la speranza che non delude.

Cari amici, in questo mondo nel quale regnano l’incredulità e la morte, che soffocano e intristiscono la vita, teniamo viva nella preghiera la nostra unione con Gesù e Maria, che sono una fonte inesauribile di grazia e di santità, grazie alla quale veniamo plasmati a loro immagine e somiglianza.

La Vergine Maria assunta in Cielo, nel nostro tempo come mai prima, scende in mezzo a noi, per sorreggerci nel grande combattimento escatologico in atto e per renderci, alla fine, partecipi del trionfo del suo Cuore Immacolato.

La Madonna è qui per rafforzarci nella fede e guidarci nella battaglia, affinché crolli il mondo senza Dio, sotto il cui peso l’umanità geme, e al suo posto nasca il mondo della pace e dell’amore, che il cuore umano desidera.

“Nella tua maternità hai conservato la maternità, nella tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio; hai raggiunto la sorgente della Vita, ti che hai concepito il Dio vivente e che, con le tue preghiere liberi le anima dalla morte” (C.C. Cattolica 966).

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Trasfigurazione del Signore

Posté par atempodiblog le 6 août 2024

“La festa della Trasfigurazione del Signore ci ricorda che siamo chiamati a fare esperienza dell’incontro con Cristo perché, illuminati della sua luce, possiamo portarla e farla risplendere ovunque come piccole lampade di Vangelo che portano un po’ d’amore e di speranza”. 
Papa Francesco (06/08/2021)

Trasfigurazione del Signore dans Commenti al Vangelo Luce-di-Cristo

Gesù attende di risplendere su chi ha sete di Lui, in unione al suo Corpo mistico, la Chiesa
Trasfigurazione del Signore

Nel prefazio, la liturgia della Trasfigurazione recita che Nostro Signore «fece risplendere una luce incomparabile per preparare i suoi discepoli allo scandalo della croce».
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria

Introducendo i misteri della luce nella recita del Rosario, san Giovanni Paolo II scrisse che la scena evangelica della Trasfigurazione di Nostro Signore può essere assunta a «icona della contemplazione cristiana». E il nostro fine, come già per gli apostoli annichiliti ed estasiati di fronte alla maestà divina, è «fissare gli occhi sul volto di Cristo».

Come testimoni dell’ineffabile mistero del suo Corpo glorioso, Gesù volle con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, dunque il suo vicario in terra, il primo martire dei Dodici e il discepolo prediletto, che è anche colui ad aver scritto il libro che chiude la Sacra Bibbia. Proprio nell’epilogo dell’Apocalisse, Gesù dà un’ultima definizione di Sé chiamandosi «la stella radiosa del mattino» (Ap 22, 16), che attende di risplendere su chi ha sete di Lui, in unione al suo Corpo mistico, la Chiesa.

Sul santo monte (2 Pt 1, 18), identificato con il Tabor, i tre apostoli ebbero un anticipo del premio di cui godranno in eterno i redenti: «(…) il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17, 2). A conversare con Gesù ci sono Mosè ed Elia, che rappresentano la Legge e i Profeti, quindi la continuità dell’unico piano salvifico di Dio che si disvela tra l’Antica e la Nuova Alleanza. Come già nel Battesimo nel Giordano, altro mistero della luce, anche in questa epifania il Padre rende testimonianza al Figlio venuto in mezzo agli uomini: «Questi è il Figlio mio, l’amato. Ascoltatelo!». La voce proviene dalla nube luminosa, simbolo dello Spirito Santo, a completare l’unità trinitaria. Di fronte a tanta gloria gli apostoli cadono con la faccia a terra e sono presi da un sacro timore. Ma porteranno dentro di loro quel gaudio che Pietro, pur ancora umanamente incapace di penetrare quel mistero di salvezza, aveva espresso poco prima così: «È bello per noi restare qui».

L’episodio della Trasfigurazione si colloca dopo la solenne confessione petrina («Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente») e il primo annuncio della Passione, in cui sempre Pietro aveva protestato con Gesù all’idea che Egli dovesse soffrire ed essere ucciso. Si può dire che esso sia il contraltare del mistero doloroso nell’Orto degli Ulivi, dove i testimoni prescelti saranno ancora Pietro, Giacomo e Giovanni. Nel Getsemani – anziché la luce divina del Figlio – si manifesteranno le tenebre del peccato che Gesù, per redimerci, assumerà sulla sua sacra umanità, sudando lacrime di sangue. Il preludio dolorosissimo al Calvario.

Proprio nei giorni tra il primo annuncio della Passione e la Trasfigurazione, Gesù aveva detto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». Nel prefazio, la liturgia della Trasfigurazione recita infatti che Nostro Signore «fece risplendere una luce incomparabile per preparare i suoi discepoli allo scandalo della croce». Una prefigurazione della gloria futura, in definitiva, che passa dalla croce, secondo la via insegnata da Gesù, abbracciata da Maria e poi imitata dagli apostoli. Esempi sicuri per guadagnare il Paradiso.

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Cuore Immacolato di Maria

Posté par atempodiblog le 8 juin 2024

Cuore Immacolato di Maria
La devozione al Cuore Immacolato di Maria ha superato vari ostacoli, radicandosi anche attraverso alcune delle più grandi manifestazioni mariane della storia, con in testa Fatima. Dove la Madonna chiese la Comunione riparatrice nei primi sabati del mese
a cura di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria

Cuore Immacolato di Maria dans Apparizioni mariane e santuari Sacro-Cuore-di-Maria

Il giorno dopo la solennità del Sacro Cuore di Gesù, la Chiesa celebra la memoria liturgica del Cuore Immacolato di Maria, attendendo con salda speranza il compimento della promessa fatta dalla Madre Celeste ai tre pastorelli di Fatima: “Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà”. Sarà questo trionfo il preludio al tempo di pace “per quanti diranno di  a mio Figlio”, prima dell’ultimo combattimento escatologico che si concluderà con il secondo, definitivo e glorioso avvento dell’Agnello, Nostro Signore Gesù Cristo, come profetizzato da san Giovanni Evangelista nell’Apocalisse. La Madre e il Figlio, dunque, i cui Sacri Cuori sono così intrecciati e perfettamente uniti nello stesso mistero di salvezza da non poter essere separati. Lo insegnava già san Giovanni Eudes (1601-1680), fondatore della Congregazione di Gesù e Maria, il quale fu il primo a celebrare con i suoi confratelli le feste del Sacro Cuore e del Cuore Immacolato.

Le rivelazioni di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) furono poi il più potente impulso alla devozione al Sacro Cuore, che si diffuse nonostante l’ostilità dell’eresia giansenista. Il radicamento del culto al Cuore Immacolato di Maria passerà, anch’esso superando vari ostacoli, attraverso alcune delle più grandi manifestazioni mariane della storia. Come l’apparizione del 27 novembre 1830 a santa Caterina Labouré, che dopo aver contemplato la figura radiosa dell’Immacolata vide apparire i Sacri Cuori di Gesù e Maria, il primo coronato di spine, il secondo trafitto da una spada, oltre a una M intersecata dalla I di Iesus e sormontata da una croce, con tutto intorno 12 stelle. È l’immagine divenuta celebre con la diffusione della Medaglia Miracolosa, lo straordinario compendio di simboli disseminati in tutte le Sacre Scritture e che ricordano in particolare la partecipazione di Maria all’opera redentrice del Figlio. Questa mirabile partecipazione, che fa di Maria la Corredentrice, è già implicita nelle parole rivolte da Dio a Satana subito dopo il peccato originale (Gn 3, 15), è espressa poi nella profezia di Simeone (“E anche a te una spada trafiggerà l’anima”; Lc 2, 35) e culmina nel segno grandioso della Donna vestita di sole (Ap 12).

Questo disegno divino, in cui il dolore acquista senso e diventa tutt’uno con l’Amore, è proseguito con Fatima. Qui, il 13 giugno 1917, la Madonna comunicò alla piccola Lucia dos Santos (1907-2008) la sua missione: “Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato”. Il 10 dicembre di otto anni più tardi, Lucia, già in convento, vide Maria e al suo fianco Gesù Bambino, che le disse: “Abbi compassione del Cuore Immacolato della tua Santissima Madre, ricoperto delle spine che gli uomini ingrati in tutti i momenti vi infiggono, senza che ci sia chi faccia un atto di riparazione per strapparle”. Fu allora che la Vergine fece a Lucia la solenne promessa sulla Comunione riparatrice dei cinque sabati: “A tutti coloro che per cinque mesi, al primo sabato, si confesseranno, riceveranno la santa Comunione, reciteranno il Rosario e mi faranno compagnia per 15 minuti meditando i Misteri, con l’intenzione di offrirmi riparazioni, prometto di assisterli nell’ora della morte con tutte le grazie necessarie alla salvezza”.

Nel 1944 la memoria liturgica venne estesa da Pio XII a tutta la Chiesa, a ricordo della consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria, operata due anni prima dallo stesso pontefice su invito della beata Alexandrina Maria da Costa. La celebrazione, inizialmente stabilita al 22 agosto, nell’Ottava dell’Assunta, venne spostata al giorno attuale (il primo sabato dopo il Sacro Cuore di Gesù) dalla riforma del 1969, con il grado di memoria facoltativa, poi resa obbligatoria da san Giovanni Paolo II. La liturgia ci ricorda che Maria, sede della Sapienza, meditava nel silenzio quotidiano la volontà divina e “custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. La Madre Celeste ha assecondato ogni ispirazione della Grazia. Proprio per questo è necessario imitarla e combattere al suo fianco contro il male, affinché Lei e il Figlio possano regnare – come diceva san Massimiliano Maria Kolbe – “in ogni cuore che batte sulla terra”. In vista della gloria eterna.

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I colori della Visitazione: Pontormo, Raffaello e Tintoretto

Posté par atempodiblog le 31 mai 2024

I colori della Visitazione: Pontormo, Raffaello e Tintoretto
Innumerevoli artisti di ogni epoca si sono confrontati con l’episodio evangelico dell’incontro di Maria con la cugina Elisabetta: due donne e lo Spirito Santo che agisce in loro.
di Antonio Tarallo – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria

I colori della Visitazione: Pontormo, Raffaello e Tintoretto dans Antonio Tarallo Visitazione-di-Tintoretto

Sono tanti, innumerevoli, gli artisti di ogni epoca che si sono confrontati con l’episodio evangelico della Visitazione: «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo» (Lc 1,39-45).

Ci troviamo di fronte all’incontro di due donne. La descrizione dell’evangelista Luca colpisce per diversi aspetti: c’è un viaggio; l’incontro tra Maria ed Elisabetta; e sullo sfondo, lo Spirito Santo che agisce in loro. E poi un saluto, quello di santa Elisabetta, così diretto e spontaneo, così importante per la salvezza dell’intera umanità, al quale seguirà il saluto della Vergine, un inno alla potenza del Signore: il Magnificat.

La lista degli artisti è varia e oltrepassa lo spazio e il tempo: Giotto; Luca Della Robbia; il Ghirlandaio; il Beato Angelico; Pinturicchio; Perugino; Raffaello Sanzio; il Pontormo; Sebastiano del Piombo; Lorenzo Lotto; Tintoretto; fino ad arrivare alle ottocentesche e novecentesche rappresentazioni di Mary Evelyn Pickering De Morgan e Maurice Denis; di  Pietro Gaudenzi e Achille Funi.

C’è, dunque, un primo dato da evidenziare: l’episodio della Visitazione può essere considerato fra le scene evangeliche più rappresentate nel mondo dell’arte. Questa umanità, sposata alla divinità, colpisce la mente artistica di ogni tempo: si tratta di un incontro di due madri; della loro gioia nell’attendere il proprio figlio. Sono cugine: l’una attende il Precursore, colui che aprirà la strada a Gesù; l’altra, il Salvatore del Mondo. L’episodio, dunque, è carico di una “drammaturgia” tutta da sviluppare attraverso la tela, i colori, le forme. Il soggetto descritto non poteva che suscitare l’immaginazione, la creatività degli artisti. Dalle parole passare all’immagine: è stata, in fondo, questa la sfida di ogni artista che si è cimentato nel descrivere con colori e forme l’episodio della Visitazione di Maria a santa Elisabetta che la Chiesa oggi ricorda nella liturgia.

001 dans Articoli di Giornali e News

L’elemento di questa scena che troviamo sottolineato in quasi tutte le rappresentazioni è la gioia. Una gioia condivisa, soprattutto. Così come è la goia ad essere protagonista di uno dei quadri più famosi: La Visitazione del Pontormo, anche conosciuta anche come La Visitazione di Carmignano. L’opera, un olio su tavola, databile intorno al 1528-1530, è conservata nella propositura dei Santi Michele e Francesco a Carmignano, in provincia di Prato. Rappresenta una delle opere maggiormente significative del Manierismo fiorentino e indubbiamente uno dei dipinti più celebri di Jacopo Carucci da Pontorme, meglio conosciuto come il Pontormo. Sono Maria ed Elisabetta ad essere protagoniste della magnifica tavola: dominano la scena con le loro figure allungate, dalle dimensioni maestose e dalle forme tondeggianti, con le vesti dai colori sgargianti. Vesti che hanno dei ringofiamenti ben evidenti nella zona del ventre: si comprende che sono due donne in attesa di partorire. Dietro loro, il Pontormo colloca altre due donne (non presenti nel Vangelo di Luca) che sembrano quasi i loro “doppi” mostrati di fronte anziché di profilo. Su questo elemento pittorico la critica si divide: per alcuni studiosi sono semplicemente delle ancelle; per altri, invece, rappresentano le due protagoniste ritratte in maniera speculare, in un gioco puramente intellettuale. Anche queste due figure catturano l’attenzione del pubblico: il loro sguardo, rivolto a chi guarda l’opera, sembra quasi invitare il pubblico a rimanere in silenzio davanti a questo incontro così speciale.

Altro elemento, non immediatamente evidente, è dato dalla presenza di due uomini che siedono su un pilastro di pietra che si sviluppa lungo la facciata dell’edificio che si erge a sinistra del dipinto: sono davvero minuscoli in confronto alle due immense figure femminili. Anche in questo caso la critica si divide: saranno forse Giuseppe e Zaccaria, sposi di Maria ed Elisabetta? O semplicemente due uomini che da lontano assistono all’incontro? La querelle rimane aperta.

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Maestro indiscusso del Rinascimento italiano è Raffaello Sanzio. Anche lui si è inoltrato nelle pagine del Vangelo di Luca dipigendo una delle opere più significative del ‘500 pittorico europeo: è La Visitazione, dipinto a olio su tavola trasportato su tela databile intorno al 1517,  conservato al Museo del Prado di Madrid. La tavola presenta una committenza particolare: fu commissionata, infatti, da Giovanni Battista Branconio, protonotaro apostolico, per volere di suo padre Marino, che la destinò alla chiesa di San Silvestro all’Aquila. La moglie di Marino Branconio si chiamava Elisabetta. Per questo motivo lui e la moglie hanno dato il nome di Giovanni Battista al loro figlio.

Anche questa volta, al centro del dipinto si ergono le due figure femminili protagoniste: la Vergine Maria e santa Elisabetta. Maria è colta mentre tiene la mano sinistra sul grembo; il suo sguardo, timido, si volge verso il basso: è un saluto quasi discreto quello che compie la Vergine di fronte alla cugina. Elisabetta, con un copricapo bianco, va incontro alla cugina. Dai volti si comprende la differenza di età fra le due.

Un particolare è da evidenziare: i piedi delle due donne sono in movimento. Raffaello sembra cogliere Maria ed Elisabetta proprio nel primo istante dell’incontro. Sullo sfondo, a sinistra, troviamo una sorta di “salto” temporale: è la scena del Battesimo di Gesù compiuto da Giovanni Battista. I due bambini che precedentemente erano nel grembo prendono corpo, figura, nel lato sinistro della tela. In primo piano dell’opera, le madri; sullo sfondo, i loro due figli.

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Del Tintoretto abbiamo due versioni dello stesso soggetto: uno, realizzato intorno al 1588 e conservato nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia; l’altro, del 1550 circa, conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. Quest’ultima opera ci fa assistere all’incontro da una prospettiva più bassa rispetto alle due figure femminili: sia le Vergine Maria che santa Elisabetta, infatti, sono colte presso l’ingresso della casa di Elisabetta. Questa volta, le due donne però non si abbracciano; la Vergine ed Elisabetta sono colte poco prima del vero incontro, dell’abbraccio descritto dagli altri artisti. E poi, evidenti (seppur posizionati in maniera marginale nel quadro pittorico) sono i personaggi maschili: dietro Maria vi è san Giuseppe; vicino a Elisabetta, nel riquadro inferiore, Zaccaria.

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L’attualità e la forza della preghiera mariana

Posté par atempodiblog le 4 mai 2024

L’attualità e la forza della preghiera mariana
La preghiera mariana ha origine dalla vicinanza della Vergine ad ogni persona, dalla sua dolcissima maternità che si effonde su ognuno. Questa verità si riscontra nei Vangeli, i quali narrano la premura e la sollecitudine della Madre di Dio. Ciò accade, ad esempio, nell’episodio delle nozze di Cana (Gv 2), nel quale mostra una speciale attenzione verso gli sposi in difficoltà: è pronta a capire il loro disagio e ad intervenire invocando suo Figlio. Questa stessa cura dimostra quando si reca da Elisabetta per sostenerla ed aiutarla nel tempo del parto, secondo la puntuale descrizione “lucana” (Lc 1, 39-56). La ammiriamo al fianco di Gesù, nell’accompagnarlo in ogni evento della sua vita: dalla culla al Calvario. Sul Gòlgota è con Lui nel condividere il momento del dolore e della massima oblazione.
di Raffaele Di Muro – Agenzia SIR

L’attualità e la forza della preghiera mariana dans Commenti al Vangelo Maria-primo-Tabernacolo
(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La preghiera mariana ha origine dalla vicinanza della Vergine ad ogni persona, dalla sua dolcissima maternità che si effonde su ognuno. Questa verità si riscontra nei Vangeli, i quali narrano la premura e la sollecitudine della Madre di Dio. Ciò accade, ad esempio, nell’episodio delle nozze di Cana (Gv 2), nel quale mostra una speciale attenzione verso gli sposi in difficoltà: è pronta a capire il loro disagio e ad intervenire invocando suo Figlio.

Questa stessa cura dimostra quando si reca da Elisabetta per sostenerla ed aiutarla nel tempo del parto, secondo la puntuale descrizione “lucana” (Lc 1, 39-56). La ammiriamo al fianco di Gesù, nell’accompagnarlo in ogni evento della sua vita: dalla culla al Calvario.

Sul Gòlgota è con Lui nel condividere il momento del dolore e della massima oblazione. Egli si offre per la salvezza di tutti e Maria è pienamente inserita in questo incredibile mistero d’amore. La carità della Vergine verso tutti si manifesta fin dagli albori della Chiesa.

Lo sanno bene i discepoli che, dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo, fanno esperienza della sua vicinanza. Lo sanno bene i primi cristiani che si recano in pellegrinaggio nei luoghi mariani di Terra Santa per “celebrare” la sua maternità. La sappiamo bene noi, oggi, che invochiamo il suo aiuto in ogni evento del nostro cammino.

Storicamente, attraverso le sue molteplici apparizioni in ogni parte del mondo, ha dato un segno della sua vicinanza ai fratelli e alle sorelle di ogni popolo. Ovunque ci sono santuari e luoghi significativi che attestano solennemente la sua delicatezza materna pronta a rivelarsi nella storia di ogni persona.

Altro importante fondamento della preghiera mariana è costituito dallo speciale ruolo di Maria nella storia della salvezza. Lei è scelta da Dio per cooperare alla redenzione dell’umanità e per questo entra pienamente nel progetto d’amore da Lui pensato per il bene di ognuno. È l’Immacolata concezione chiamata da Dio perché Gesù si incarni ed entri nella storia dell’umanità.

È la Madre di Dio mediante la quale il Cristo fa il suo ingresso nel mondo per portare a tutti la certezza della vita eterna. Tutta questa meraviglia si realizza grazie alla disponibilità della Vergine, che aderisce in pieno al meraviglioso progetto divino. Per questa ragione è definita mediatrice di grazie e di bene a favore dei fratelli e delle sorelle di ogni latitudine, di ogni tempo.

Ci sono stati santi che sono arrivati ad affidare alla Vergine tutta la loro esistenza. Essi ci fanno comprendere in che modo mirabile Ella agisce in noi e quanti miracoli può realizzare nel nostro cammino di fede. Ricordo l’esempio di S. Massimiliano Kolbe (1894-1941), martire di Auschwitz. Da giovane frate in formazione, con altri sei frati, si “consacra” all’Immacolata e fonda la Milizia dell’Immacolata (Roma 1917).

Il santo dà vita ad un apostolato senza precedenti, fondando nel 1927 una vera e propria Città dell’Immacolata in Polonia. Si tratta di un centro di irradiazione del messaggio cristiano a mezzo stampa e radio. Questi si dona ancora generosamente, affidandosi a Maria, offrendo la propria disponibilità per la missione giapponese (1930-1936).

Ad Auschwitz il santo polacco ha la forza di sostituirsi ad un padre di famiglia nella pena capitale. Tanta forza e tanta determinazione derivano proprio dal fatto di aver posto la propria esistenza nelle mani dell’Immacolata.

Con Lei nel cuore tutto è un miracolo e anche gli intenti pastorali più difficili si realizzano prodigiosamente. La forza che la Vergine dona è un potente baluardo, la luce che da Lei promana è foriera di gesti eroici, come quello del santo polacco nel campo di sterminio. Sperimentando, passo dopo passo, la delicatezza della Vergine, è possibile rendere la propria vita un dono, un’oblazione.

La vita di Massimiliano Kolbe, come quella di tanti santi che si sono affidati alla Madre di Dio, è la conferma che abbandonarsi nelle mani di Maria conduce al porto sicuro della comunione con il Signore e ad un cammino spirituale ed apostolico altamente significativo.

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Il Papa: il nostro valore non dipende dal successo ma dalla bellezza agli occhi di Dio

Posté par atempodiblog le 21 avril 2024

Il Papa: il nostro valore non dipende dal successo ma dalla bellezza agli occhi di Dio
Nella Domenica dedicata a Gesù Buon Pastore, al Regina Caeli Francesco si sofferma sul senso del “dare la vita” per le proprie pecore. Il Pontefice insiste sul fatto che, per Cristo, ciascuno è insostituibile e non si tratta solo di un modo di dire. “Quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco!”, osserva, invitando a mettersi alla presenza di Gesù e lasciarsi accogliere da Lui
di Antonella Palermo – Vatican News

Il Papa: il nostro valore non dipende dal successo ma dalla bellezza agli occhi di Dio dans Commenti al Vangelo Ges-buon-Pastore

Non determinare la propria autostima sulla base del giudizio altrui o degli obiettivi che si riesce a raggiungere, ma considerando l’amore di Dio per ciascuno, riscoperto ogni giorno mettendosi alla sua presenza. È quanto ricorda Papa Francesco nella catechesi del Regina Caeli della quarta domenica di Pasqua dedicata al Buon Pastore.

Il Buon pastore sacrifica la vita
Per tre volte nel Vangelo di Giovanni al capitolo 10 si ripete che il pastore dà la propria vita per le pecore. “Gesù  spiega il Papa  non è solo un bravo pastore che condivide la vita del gregge; è il Buon Pastore, che per noi ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito”. La precisazione riguarda il contesto storico del tempo del Messia:

Essere pastore, specialmente al tempo di Cristo, non era solo un mestiere, era tutta una vita: non si trattava di avere un’occupazione a tempo, ma di condividere le intere giornate, e pure le nottate, con le pecore, di vivere in simbiosi con loro. Gesù infatti spiega di non essere un mercenario, a cui non importa delle pecore (cfr v. 13), ma colui che le conosce (cfr v. 14). Lui conosce le pecore. È così: Lui ci conosce, ognuno di noi, ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova (cfr Lc 15,4-5).

L’amore di Gesù non è uno slogan
Gesù non è solo la guida, dunque, il Capo del gregge, ma soprattutto è chi pensa a ciascuno di noi come all’amore della sua vita. Così precisa ancora Francesco che aggiunge:

Pensiamo a questo: io per Cristo sono importante, lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita. Non è un modo di dire: Lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me, perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo. 

Lasciarsi accogliere dal Padre
La preoccupazione del Papa va a quelle persone, tante, che oggi si ritengono inadeguate o persino sbagliate. “Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri!”, esclama il Pontefice. “Quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco!”. E poi l’invito, per riscoprire il segreto della vita, a dedicare ogni giorno un tempo alla preghiera, a lasciarsi guardare con lo sguardo amorevole di Dio, nella raccomandazione a Maria affinché “ci aiuti a trovare in Gesù l’essenziale per vivere”:

Oggi Gesù ci dice che noi per Lui valiamo tanto e sempre. E allora, per ritrovare noi stessi, la prima cosa da fare è metterci alla sua presenza, lasciarci accogliere e sollevare dalle braccia amorevoli del nostro Buon Pastore.

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Gesù abbraccia la nostra vita

Posté par atempodiblog le 10 mars 2024

Siamo tutti peccatori e tutti bisognosi di perdono. Nessuno può erigersi a giudice degli altri e puntare il dito per condannarlo, come se lui fosse innocente. Gli uomini, dice Paolo, sono stati tutti rinchiusi nel peccato, affinché a tutti venisse concessa la misericordia. Uno solo è senza peccato.

La consapevolezza che siamo tutti peccatori ci deve mantenere in un atteggiamento di umiltà e di indulgenza nei confronti degli altri. Non dimentichiamo mai che, senza l’aiuto della grazia, potremmo cadere anche noi in quelle situazioni di vita che condanniamo con tanta severità nel prossimo.

L’intransigenza nei confronti del male non ci deve mai rendere duri verso i peccatori, come se noi fossimo fatti con una pasta diversa.

Uno solo fra tutti gli uomini è radicalmente senza peccato. Gesù non solo è santo, come lo è Maria, la piena di grazia, ma è la fonte stessa di ogni santità. Lui solo conosce ciò che vi è nel segreto di ogni cuore e lui solo ha i titoli per giudicare.

di Padre Livio Fanzaga – La pazienza di Dio. Vangelo per la vita quotidiana, Ed. Piemme

Gesù abbraccia la nostra vita dans Commenti al Vangelo Pietra-che-edifica

Gesù abbraccia la nostra vita
Papa Francesco
Angelus
Domenica, 10 marzo 2024


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa quarta domenica di Quaresima il Vangelo ci presenta la figura di Nicodemo (cfr Gv 3,14-21), un fariseo, «uno dei capi dei Giudei» (Gv 3,1). Egli ha visto i segni che Gesù ha compiuto, ha riconosciuto in Lui un maestro mandato da Dio ed è andato a incontrarlo di notte, per non essere visto. Il Signore lo accoglie, dialoga con lui e gli rivela di essere venuto non a condannare ma a salvare il mondo (cfr v. 17). Fermiamoci a riflettere su questo: Gesù non è venuto a condannare, ma a salvare. È bello, eh!

Spesso nel Vangelo vediamo Cristo svelare le intenzioni delle persone che incontra, a volte smascherandone atteggiamenti falsi, come con i farisei (cfr Mt 23,27-32), o facendole riflettere sul disordine della loro vita, come con la Samaritana (cfr Gv 4,5-42). Davanti a Gesù non ci sono segreti: Egli legge nel cuore, nel cuore di ognuno di noi. E questa capacità potrebbe inquietare perché, se usata male, nuoce alle persone, esponendole a giudizi privi di misericordia. Nessuno infatti è perfetto, tutti siamo peccatori, tutti sbagliamo, e se il Signore usasse la conoscenza delle nostre debolezze per condannarci, nessuno potrebbe salvarsi.

Ma non è così. Egli infatti non se ne serve per puntarci il dito contro, ma per abbracciare la nostra vita, per liberarci dai peccati e per salvarci. A Gesù non interessa farci processi o sottoporci a sentenze; Egli vuole che nessuno di noi vada perduto. Lo sguardo del Signore su ognuno di noi non è un faro accecante che abbaglia e mette in difficoltà, ma il chiarore gentile di una lampada amica, che ci aiuta a vedere in noi il bene e a renderci conto del male, per convertirci e guarire con il sostegno della sua grazia.

Gesù non è venuto a condannare, ma a salvare il mondo. Pensiamo a noi, che tante volte, tante volte che condanniamo gli altri; tante volte che ci piace sparlare, cercare pettegolezzi contro gli altri. Chiediamo al Signore che ci dia a tutti questo sguardo di misericordia, di guardare agli altri come Lui ci guarda a tutti noi.

Maria ci aiuti a desiderare il bene gli uni degli altri.

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E’ il tempo dell’adorazione

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2023

SANTA MESSA DELLA NOTTE
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Domenica, 24 dicembre 2023
[Multimedia]

E' il tempo dell’adorazione dans Commenti al Vangelo Adorazione

«Il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). È questo il contesto nel quale Gesù nasce e su cui il Vangelo si sofferma. Poteva accennarne rapidamente, invece ne parla con accuratezza. E con ciò fa emergere un grande contrasto: mentre l’imperatore conta gli abitanti del mondo, Dio vi entra quasi di nascosto; mentre chi comanda cerca di assurgere tra i grandi della storia, il Re della storia sceglie la via della piccolezza. Nessuno dei potenti si accorge di Lui, solo alcuni pastori, relegati ai margini della vita sociale.

Ma il censimento dice di più. Nella Bibbia non lasciava un bel ricordo. Il re Davide, cedendo alla tentazione dei grandi numeri e ad una malsana pretesa di autosufficienza, aveva commesso un grave peccato proprio facendo il censimento del popolo. Voleva saperne la forza e dopo circa nove mesi ebbe il numero di quanti potevano maneggiare la spada (cfr 2 Sam 24,1-9). Il Signore si sdegnò e una disgrazia colpì il popolo. In questa notte, invece, il “Figlio di Davide”, Gesù, dopo nove mesi nel grembo di Maria, nasce a Betlemme, la città di Davide, e non punisce il censimento, ma si lascia umilmente conteggiare. Uno fra i tanti. Non vediamo un dio adirato che castiga, ma il Dio misericordioso che si incarna, che entra debole nel mondo, preceduto dall’annuncio: «sulla terra pace agli uomini» (Lc 2,14). E il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo (cfr Lc 2,7).

Il censimento di tutta la terra, insomma, manifesta da una parte la trama troppo umana che attraversa la storia: quella di un mondo che cerca il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri. È l’ossessione della prestazione. Ma al contempo nel censimento risalta la via di Gesù, che viene a cercarci attraverso l’incarnazione. Non è il dio della prestazione, ma il Dio dell’incarnazione. Non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume.

Fratelli e sorelle, stanotte possiamo chiederci: noi in che Dio crediamo? Nel Dio dell’incarnazione o in quello della prestazione? Sì, perché c’è il rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo. Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali. Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”; non ci salva premendo un bottone, ma Lui si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro gli altri! Tante volte è radicata in noi questa immagine. Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra.

Guardiamo dunque al «Dio vivo e vero» (1 Ts 1,9): a Lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a Lui, che rivoluziona la storia abitandola; a Lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a Lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo; giusto, abita le nostre ingiustizie. Fratelli e sorelle, ecco lo stupore del Natale: non un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani, ma l’inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi. Guardiamo il Bambino, guardiamo la sua mangiatoia, guardiamo il presepe, che gli angeli chiamano «il segno» (Lc 2,12): è infatti il segnale rivelatore del volto di Dio, che è compassione e misericordia, onnipotente sempre e solo nell’amore. Si fa vicino, si fa vicino, tenero e compassionevole, questo è il modo di essere di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Sorelle, fratelli, stupiamoci perché “si è fatto carne (cfr Gv 1,14). Carne: parola che richiama la nostra fragilità e che il Vangelo utilizza per dirci che Dio è entrato fino in fondo nella nostra condizione umana. Perché si è spinto a tanto? – ci domandiamo –. Perché gli interessa tutto di noi, perché ci ama al punto da ritenerci più preziosi di ogni altra cosa. Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento tu non sei un numero, ma sei un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore. Ma tu, guardando al tuo cuore, alle prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi e per i tuoi peccati. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze? Come i pastori, che hanno lasciato le loro greggi, lascia il recinto delle tue malinconie e abbraccia la tenerezza di Dio bambino. E fallo senza maschere, senza corazze, getta in Lui i tuoi affanni ed Egli si prenderà cura di te (cfr Sal 55,23): Lui, che si è fatto carne, non attende le tue prestazioni di successo, ma il tuo cuore aperto e confidente. E tu in Lui riscoprirai chi sei: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio. Ora puoi crederlo, perché stanotte il Signore è venuto alla luce per illuminare la tua vita e i suoi occhi brillano d’amore per te. Noi abbiamo difficoltà a credere in questo, che gli occhi di Dio brillano di amore per noi.

Sì, Cristo non guarda i numeri, ma i volti. Chi, però, guarda a Lui, tra le tante cose e le folli corse di un mondo sempre indaffarato e indifferente? Chi lo guarda? A Betlemme, mentre molta gente, presa dall’ebbrezza del censimento, andava e veniva, riempiva gli alloggi e le locande parlando del più e del meno, alcuni sono stati vicini a Gesù: sono Maria e Giuseppe, i pastori, poi i magi. Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a Lui. Non parlano, ma adorano. Questa notte, fratelli e sorelle, è il tempo dell’adorazione: adorare.

L’adorazione è la via per accogliere l’incarnazione. Perché è nel silenzio che Gesù, Parola del Padre, si fa carne nelle nostre vite. Facciamo anche noi come a Betlemme, che significa “casa del pane”: stiamo davanti a Lui, Pane di vita. Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. Adorare è intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia. Un grande narratore di imprese epiche scrisse a suo figlio: «Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra»  (J.R.R. Tolkien, Lettera 43, marzo 1941).

Fratelli e sorelle, stanotte l’amore cambia la storia. Fa’ che crediamo, o Signore, nel potere del tuo amore, così diverso dal potere del mondo. Signore, fa’ che come Maria, Giuseppe, i pastori e i magi, ci stringiamo attorno a Te per adorarti. Resi da Te più simili a Te, potremo testimoniare al mondo la bellezza del tuo volto.


Copyright © Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice Vaticana

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La portata del dono che è la Vergine Maria Immacolata

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2023

La portata del dono che è la Vergine Maria Immacolata
di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Blog di p. Livio – Direttore di Radio Maria

La portata del dono che è la Vergine Maria Immacolata dans Avvento Maria-Immacolata

Cari amici, la Vergine Maria Immacolata è la protagonista della Storia che stiamo vivendo. In questo tempo è qui per realizzare la profezia che ha fatto a Fatima e cioè che al termine di questi anni travagliati il Suo Cuore Immacolato trionferà. La Madonna è indubbiamente un dono immenso che Dio ci ha fatto. La presenza di Maria e la certezza del trionfo del Suo Cuore Immacolato sono la speranza che alimenta la fiducia nel nostro cuore guardando al futuro.

Per capire la portata del dono che è la Vergine Maria Immacolata dobbiamo dare uno sguardo alla Storia della Salvezza che da sempre è illuminata dalla presenza della Madonna. La Storia della Salvezza ha avuto inizio con la caduta di Eva che ha compromesso il progetto divino di gioia e di felicità per il genere umano. Dio ha dovuto inviare Suo Figlio per riscattare l’umanità e per ripristinare il suo progetto di salvezza e di gioia nell’eternità, che era la condizione originaria dei nostri progenitori.

Il tema dell’Immacolata è presente già dall’inizio della Storia della Salvezza. Nelle prime pagine della Sacra Scrittura si legge una promessa che Dio rivolge al serpente infernale che aveva tentato i progenitori:

Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno

Questa promessa illumina la Storia della Salvezza fin dalle origini. Questa inimicizia indica un’opposizione radicale fra la Donna e la serpe. C’è anche la contrapposizione tra Eva, che si è fatta sedurre, e Maria, madre della nuova umanità cioè quella dei salvati che entreranno nell’ambito della grazia, della purificazione, della santificazione. All’inizio della Storia della Salvezza risplende questa figura meravigliosa, il cui Figlio sarà il Redentore e sarà Lui stesso il vittorioso nei confronti del drago e della sua stirpe.

Questa profezia si è realizzata pienamente nel momento in cui la Vergine ha concepito e generato il Signore, il Salvatore, il quale con la sua incarnazione, passione e morte ha redento l’umanità. L’Immacolata è all’origine della Storia della Salvezza, è al centro ed è anche al termine. Siamo entrati nell’ultima fase della Storia della Salvezza che ha un inizio, la Creazione, un centro che è l’Incarnazione e una fase ultima che è quella che stiamo vivendo e che è una fase di prove, di persecuzioni, di tradimenti ma che culminerà con il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria.

Così come la Madonna ha accompagnato Cristo sul Calvario e gli è stata accanto in ogni istante della Passione, allo stesso modo Maria non lascerà sola la Chiesa nel momento della prova e del suo Calvario. La Madonna è qui per portare l’umanità nel tempo della pace. La parte finale della Storia della Salvezza prevede il trionfo del Cuore Immacolato di Maria. La profezia della Genesi in cui Dio dice che avrebbe posto inimicizia fra il serpente e la Donna è stata un’espressione di cui Pio IX – che ha proclamato il dogma dell’Immacolata – ha dato una lettura teologica e profetica. Fra il serpente e la Donna l’inimicizia è tale per cui il serpente non ha potuto mai intaccare la Donna, nemmeno nel primo istante del concepimento. Il serpente non ha mai, nemmeno per un momento, avuto potere sulla Donna.

Maria è veramente la nuova Eva, è stata concepita senza peccato originale. La Madonna è l’Immacolata, su di Lei il serpente non ha mai potuto nulla. La Madonna mai è stata violata per nessuna ragione dagli effetti del peccato originale. Maria è l’Immacolata fin dal primo istante del suo concepimento e per tutta la sua vita, è stata preservata dagli effetti del peccato originale. Maria è la tutta pura e la tutta santa!

Guardando all’Immacolata, allora, vediamo la radicalità della Redenzione. Con Maria Dio ha ripristinato il genere umano, ha creato una nuova realtà che è quella che Lui aveva in mente fin dall’inizio della Creazione ma che è stata compromessa dal peccato originale. Una creatura umana non avrebbe mai potuto accogliere nel suo grembo il Verbo Incarnato se fosse stata violata in qualche modo dal peccato originale. La Madonna non è mai stata di satana, nemmeno per un istante. La vittoria di Dio è totale ed è quella di un nuovo genere umano.

Come diceva Sant’Agostino, tutti noi con il Battesimo rinasciamo nel grembo della Vergine Maria e diventiamo membra vive del corpo mistico di Cristo. La Madonna è l’unica creatura sulla quale satana mai ha potuto avere, nemmeno per un istante, potere. Questa è la rabbia di satana e il suo odio verso l’Immacolata. Satana è libero dalle catene anche per la rabbia che nutre dentro di sé vedendo che si realizza quello che la Madonna ha profetizzato a Fatima.   

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Papa Francesco: “In Avvento prepariamo con cura la casa del cuore”

Posté par atempodiblog le 3 décembre 2023

Papa Francesco: “In Avvento prepariamo con cura la casa del cuore”
L’appello del Papa per Gaza: “auspico che tutti coloro che sono coinvolti possano raggiungere al più presto un nuovo accordo per il cessate il fuoco”
di Marco Mancini – ACI Stampa
Tratto da: Radio Maria

Papa Francesco: “In Avvento prepariamo con cura la casa del cuore” dans Articoli di Giornali e News Cuore-culla-del-Santo-Natale

La Santa Sede ieri ha confermato che le condizioni di salute del Papa migliorano e a scopo precauzionale – come domenica scorsa – Francesco ha recitato la preghiera dell’Angelus da Santa Marta.

“Sto migliorando, ma sarà monsignor Braida a leggere”, ha esordito Papa Francesco.

Il tema centrale del Vangelo della I Domenica di Avvento è la vigilanza. E il Papa la esplica nel senso cristiano.

“La vigilanza dei servi non è fatta di paura, ma di desiderio, nell’attesa di andare incontro al loro signore che viene. Si tengono pronti al suo ritorno perché gli vogliono bene, perché hanno in animo di fargli trovare, quando arriverà, una casa accogliente e ordinata: sono contenti di rivederlo, al punto che ne aspettano il rientro come una festa per tutta la grande famiglia di cui fanno parte. È con questa attesa carica di affetto che vogliamo anche noi prepararci ad accogliere Gesù”.

In Avvento “prepariamo con cura la casa del cuore, perché sia ordinata e ospitale. Vigilare significa tenere pronto il cuore. È l’atteggiamento della sentinella, che nella notte non si lascia tentare dalla stanchezza, non si addormenta, ma rimane desta in attesa della luce che verrà. Il Signore è la nostra luce ed è bello disporre il cuore ad accoglierlo con la preghiera e ad ospitarlo con la carità, i due preparativi che lo fanno stare a suo agio”.

Il Papa suggerisce un programma di vita per l’Avvento: “incontrare Gesù che viene in ogni fratello e sorella che ha bisogno di noi e condividere con loro ciò che possiamo: ascolto, tempo, aiuto concreto. Ci fa bene oggi chiederci come preparare un cuore accogliente per il Signore.

Possiamo farlo accostandoci al suo Perdono, alla sua Parola, alla sua Mensa, trovando spazio per la preghiera, accogliendolo nei bisognosi.

Coltiviamo la sua attesa senza farci distrarre da tante cose inutili e senza lamentarci in continuazione, ma tenendo il cuore vigile, cioè desideroso di Lui, desto e pronto, impaziente di incontrarlo”.

“In Israele e Palestina – sono le parole del Papa al termine dell’Angelus lette da Monsignor Braida – la situazione è grave: addolora che la tregua sia stata rotta, ciò significa morte, distruzione, miseria.

Molti ostaggi sono stati liberati ma tanti sono ancora a Gaza; pensiamo a loro, alle loro famiglie che avevano visto una luce, una speranza di riabbracciare i loro cari. A Gaza c’è tanta sofferenza, mancano i beni di prima necessità: auspico che tutti coloro che sono coinvolti possano raggiungere al più presto un nuovo accordo per il cessate il fuoco e trovare soluzioni diverse rispetto alle armi, provando a percorrere vie coraggiose di pace.

Desidero assicurare la mia preghiera per le vittime dell’attentato avvenuto questa mattina nelle Filippine dove una bomba è esplosa durante la messa: sono vicino alle famiglie, al popolo di Mindanao che già tanto ha sofferto.

Anche se a distanza seguo con grande attenzione i lavori della COP28. Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi -schemi del passato- e abbracciamo una visione comune, impegnandoci tutti e ora senza rimandare per una necessaria conversione ecologica globale.

Oggi è la giornata internazionale delle persone con disabilità: accogliere e includere chi vive questa condizione aiuta tutta la società a diventare più umana. Nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle scuole, nel lavoro, nello sport impariamo a valorizzare ogni persona con le sue qualità e capacità e non escludiamo nessuno”.

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