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Dove giunse l’arte diabolica: libri maliziosamente scritti

Posté par atempodiblog le 28 août 2015

La mia vita nel cuore della Trinità – Diario della beata Elisabetta Canori Mora

DOVE GIUNSE L’ARTE DIABOLICA

canori mora
Foto di Margaret Lew

Rivestita di luce divina
Visitata la Scala Santa, mi portai a visitare la chiesa di San Giovanni in Laterano, pregando per i presenti bisogni della santa romana Chiesa. Mi portai, poi in altra chiesa, dove mi fermai per buone due ore e mezza, ed ivi ascoltai la Messa cantata ad onore di Maria Santissima Addolorata, per essere il giorno di venerdì di passione. Nella detta chiesa si sopì il mio spirito, ed in questo tempo fui sollevata dallo Spirito del Signore, inoltrata a considerare l’infinita grandezza di Dio per mezzo di una chiarissima luce ed inaccessibile splendore. Ad un tratto vidi il mio spirito riempito di quella luce che mirabilmente lo aveva tutto penetrato, in guisa tale che era divenuto una stessa cosa con quella luce, e per potermi in qualche maniera spiegare dirò come quando una bianca nube viene dallo splendore del sole percossa, con i suoi raggi, viene quasi ad essere simile al sole, per avergli compartito i suoi splendidi raggi. In simil guisa fu il mio spirito rivestito di divina luce, ed in questa maniera fu avvicinato ed intimamente unito al suo Dio.

Quanto bene, quante grazie le compartì l’amante Signore, quanto lume le donò di propria cognizione affinché l’anima si umiliasse fino al profondo del suo nulla. Qual chiara intelligenza si degnò donarmi per innalzare il povero mio intelletto a penetrare la sua infinita grandezza. Quanto mai restò appagato il mio cuore, come rapito. Veramente mi si rende impossibile il poterlo spiegare. Dopo aver goduto di questo gran bene, fu il mio spirito condotto, per mezzo di santi Angeli, in un luogo dove vedevo una grandissima sala. Nel mezzo di questa vedevo una tavola con tre libri. La tavola era tutta adornata di emblemi o siano tutti strumenti alludenti alla setta dei convitati, i quali vedevo tutti in circolo alla tavola, scompostamente seduti. Erano questi uomini di bruttissimo aspetto e sopra la loro fronte si leggevano tutti i sette vizi capitali, le false massime e la loro audacia nel sostenerle e le macchine che ordivano per perseguitare la santa Chiesa cattolica.

Brucia quei tre libri!
Ognuno di questi aveva al suo fianco uno spirito maligno con il viso di moro e con il corpo tutto peloso a guisa di orso. Io tutto vedevo, senza essere da loro osservata. Dopo molti battimenti di mani, con molta allegria aprirono i libri anzidetti. Io non lessi cosa contenevano, ma indicato mi fu da quei messaggeri celesti che con me stavano celati in un angolo di quella gran sala, che il mio spirito con loro aveva penetrato per via di agilità, senza essere da questi osservati.

Quando questi uomini facinorosi stavano svolgendo i grandi libri, il mio spirito ebbe dal Signore un ordine di farmi avanti e liberamente avessi preso i tre libri e li avessi dati alle fiamme di un fuoco, che io vedevo ardere in un angolo di quella sala. Mi fu ancora manifestato che i tre libri contenevano cose che disonoravano Dio. A questa notizia sentivo un santo zelo di risarcire l’onore di Dio a costo della mia propria vita e a costo di ogni mio gravissimo patimento. Conobbi che questi tre libri erano maliziosamente scritti, ed erano contro i divini misteri della nostra santa fede, questo era il primo. Il secondo contro il Credo, il terzo contro il santo Evangelo. Sentivo internamente dirmi: «Se mi ami difendi il mio onore, prendi quei libri e dalli alle fiamme».

Spronato il mio spirito, senza aver alcun riguardo, vado con prontezza alla tavola, prendo i libri e incontinente li do alle fiamme; ma siccome al mio spirito Dio per sua bontà gli aveva compartito tanta chiarezza e agilità, non era che un’ombra candida ammantata di luce. Appena mi avvicinai a loro tutti restarono stupiti e pieni di smarrimento, ed immantinente quei maligni spiriti partirono dal loro fianco. Questi uomini restarono molto confusi, dandosi dei pugni in testa come in atto di disperazione, anche loro partirono. Allora quei messaggeri celesti sbaragliarono la tavola con tutti gli emblemi che vi erano sopra. Poi tornai a vedere quegli infelici sventurati, che quei maligni spiriti, che erano prima al loro fianco come custodi e suggeritori del loro cattivo operare. Erano divenuti in quell’istante barbari ministri della giustizia e del furore di Dio, ognuno dei quali era crudelmente incatenato dal suo maligno spirito con catena di ferro e grossa collana al collo. Erano barbaramente strascinati via.

A questa scena così funesta il mio spirito non lasciava di pregare per questi infelici l’altissimo Dio, affinché si fosse degnato accordargli la sua misericordia; ma la mia preghiera non fu esaudita che per soli due giovanetti che, pieni di lacrime, a me rivolti mi chiedevano aiuto.

Io mi annientai in me stessa per conoscermi insufficiente, ciò nonostante mi rivolsi al mio Dio facendogli una fervida preghiera, offrendo gli infiniti meriti di Gesù Cristo all’eterno divin Padre. Invocai ancora il potente aiuto di Maria santissima ed ottenni, per l’infinita bontà di Dio, la grazia che i due giovanetti fossero lasciati liberi e scatenati da quei maligni spiriti e tornati fossero a calcare la strada della loro eterna salute.

Io restai, lodando e benedicendo la divina giustizia e la divina misericordia, profondata nel proprio mio nulla.

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Comunioni sacrileghe

Posté par atempodiblog le 28 août 2015

La mia vita nel cuore della Trinità - Diario della beata Elisabetta Canori Mora

ALLA SOMMITÀ DELLA GLORIA DI DIO

Comunioni sacrileghe dans Beata Elisabetta Canori Mora Beata-Elisabetta-Canori-Mora
Immagine tratta da: Mis ilustraciones

Comunioni sacrileghe
Mi portai in questa medesima giornata del 27 dal mio padre spirituale, il quale mi domandò come avevo passato la notte del santo Natale, e mi obbligò di manifestargli quanto mi era accaduto nello spirito. Io, per obbedienza, gli comunicai il surriferito fatto, il medesimo mi domandò se mi ero ricordata di raccomandare i poveri peccatori, io gli risposi: «Padre mio, mi sono dimenticata, in quei momenti, affatto di tutti; ho perfino dimenticato che gli uomini, che vivono in questo mondo, fossero capaci di offendere Dio, mentre in quei momenti altro non conoscevo che amore».

Il suddetto padre mi gridò e mi disse: «Così voi amate il vostro prossimo, che ve ne siete dimenticata? Io», mi disse, «vi comando di fare per i peccatori una forte preghiera al Signore, acciocché li illumini».

Con umile sommissione gli risposi che avrei fatto quanto mi comandava, e che da miserabile peccatrice, avrei fatto subito, per questi, la preghiera. Difatti, all’istante, mi portai in una chiesa, dove si celebrava la messa cantata, e pregai il Signore per i poveri peccatori, come mi aveva comandato il mio padre spirituale. Fatta la preghiera, così sento dirmi: «Mira, o figlia, come viene oltraggiato il mio amore da questi uomini ingrati, che sacrilegamente hanno la temerarietà di ricevermi, non per ossequiarmi, ma per dileggiarmi».

E difatti, fisso l’interno sguardo, e vedo, con somma mia pena ed orrore, tanti uomini con la bocca aperta e molto spalancata, con un palmo di lingua fuori della bocca, con i capelli dritti, con gli occhi stravolti e spaventati, a guisa di spiritati, sopra la loro lingua avevano l’impressione della sacrosanta particola, il loro aspetto era tanto spaventevole e brutto che faceva orrore; a questa vista così funesta, io ebbi proprio a morire dalla pena e dallo spavento, che mi cagionò un male tanto grande nell’anima e nel corpo, che credevo di morire in chiesa; ma, per misericordia di Dio, dopo qualche poco di tempo, potei tornare alla mia casa, accompagnata da una delle mie figlie, che si credeva di non potermici condurre, perché parevo un cadavere, per il gran male che avevo sofferto.

Il resto della giornata lo passai un poco in piedi, e un poco sopra il letto, non potendo reggere la grave afflizione e travaglio di spirito, al riflesso delle tante e gravi offese che riceve il Signore da tanti uomini ingrati.

Tre giorni restò afflitto il mio spirito e cagionevole ancora il mio corpo per questo fatto, ma poi il Signore, per sua infinita bontà, tornò a dare la calma e la pace al mio spirito, col dissipare questa funesta vista, così cessò la grave mia afflizione. E così potei iniziare il nuovo anno 1822 in somma tranquillità di spirito, non avendo altro pensiero che di perfezionare la povera anima mia con l’acquisto delle sante virtù, non avendo altro desiderio che di prepararmi alla morte. Bramando di lasciare questa spoglia mortale, il mio spirito altro non cerca che di tornare al suo principio e al suo fine, che è Dio: questo desiderio mi fa perdere ogni altro pensiero, e ogni altro qualunque desiderio. Mi pare propriamente di vivere in questo mondo in un duro esilio, mi pare di essere fuori del mio centro, altro non desidero che di terminare i miei giorni nella pace del Signore, per potermene tornare donde ne ebbi origine.

Ah, sì, al mio Dio, per poterlo amare e incessantemente ringraziare e benedire per tutta l’interminabile eternità, affidata alla sua divina grazia e nei suoi infiniti meriti.

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La storia di Elisabetta Canori Mora

Posté par atempodiblog le 4 février 2015

La storia di Elisabetta Canori Mora
Chiese di Roma / San Carlino. Elisabetta, la santa paziente delle donne tradite (Febbraio 2011)
di Alessandra Buzzetti – Il Sussidiario.net

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Memoria liturgica: 5 febbraio

Ha dispensato la sua ultima grazia in Ucraina: a una madre disperata, che ha invocato quella beata tanto strana, e insieme così vicina. E potrebbe essere proprio questo il miracolo che farà diventare santa Elisabetta Canori Mora. Sicuramente alla beata, che ha vissuto l’infedeltà coniugale come occasione per santificare se stessa e convertire il marito fedifrago, non dovrebbe, di questi tempi, mancare il lavoro. E pregare sulla tomba della beata Elisabetta, è un’occasione unica per ammirare uno dei gioielli architettonici del Barocco romano.

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Chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane (Roma)

Sulla soglia della Chiesa del San Carlino alle Quattro Fontane – a due passi dal Quirinale – ci accoglie padre Javier Carnerero, della Comunità dei Trinitari spagnoli, ancora custodi della Chiesa progettata per loro, nel 1643, dal geniale Francesco Borromini. Oggi padre Javier custodisce anche la memoria di Elisabetta, come postulatore della sua causa di canonizzazione.

La tomba è in una cappella accanto all’altare, ornata di fiori freschi, dato che la sua festa è passata da poco. «Quando il 4 febbraio del 1825 Elisabetta è morta, già santa per il popolo romano che a lei si rivolgeva già da tempo – racconta padre Javier – è stata sepolta nella cripta della Chiesa. Abitava a meno di un isolato di distanza, era una terziaria trinitaria e frequentava moltissimo la nostra chiesa. Una volta dichiarata venerabile è stata portata quassù. Con lei anche l’immagine miracolosa di Gesù Nazareno del Riscatto, il capofamiglia, di fatto, dei Mora».

La storia di Elisabetta comincia in una nobile e numerosa famiglia romana, caduta in disgrazia alla fine del 1700: dopo una breve “educandato” nel Monastero di santa Rita da Cascia, in compagnia della sorellina Benedetta, Elisabetta – divenuta nel frattempo una bella e vivace ragazza – viene data in sposa a un ottimo partito: Cristoforo Mora, promettente avvocato e figlio di uno dei medici più in vista della città. Dopo i primi anni il matrimonio – all’apparenza perfetto – comincia a scricchiolare: Cristoforo da amante geloso fino all’ossessione – tanto da non far più uscire di casa la moglie e da impedirle qualsiasi lavoro manuale per non sciupare la sua bellezza – si trasforma in marito infedele. Perde la testa per una donna di rango inferiore – che non lascerà fino alla morte della moglie – dilapida il patrimonio di famiglia, incurante anche del destino delle due figlie, Marianna e Lucina: per Elisabetta è l’inizio di una vita travagliata, segnata da incomprensioni, umiliazioni, miseria, eppure mai dalla disperazione. La ragione è semplice: la fedeltà alla vocazione che Dio le aveva dato significava amare suo marito. L’autobiografia scritta da Elisabetta – su ordine del suo padre spirituale, che si era reso conto di avere a che fare con una donna dai talenti straordinari – è il racconto di un dialogo serrato con Dio, cui Elisabetta si abbandona totalmente.

Lui le risponde sempre, tirandola fuori dai peggior guai: quando il marito arriva quasi sul punto di ammazzarla, quando è costretta a vendere tutti i gioielli, abito da sposa compreso, per pagare i creditori; quando deve far fronte alle calunnie delle cognate, che la trattano come una serva, riservandole sempre i lavori più umili e tentando di rinchiuderla nel Convento romano, destinato alle prostitute impenitenti; quando anche alcuni confessori le suggeriscono di separarsi dal marito, ma lei capisce che il suo compito è dare la sua vita per la salvezza di Cristoforo e per quella delle figlie.

«Elisabetta non è una donna che subisce passivamente – racconta padre Javier – il giudizio sul comportamento del marito è chiaro e glielo dice; eppure lo perdona, lo aspetta ogni notte – pur sapendo che rincaserà solo all’alba – arriva addirittura a pregare anche per l’amante di Cristoforo». Cristoforo, dal canto suo, una cosa buona la fa: lascia totalmente libera la moglie di educare le figlie come vuole, mettendosi contro anche le accanite sorelle zitelle.

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L’immagine del Gesù del Riscatto

A Elisabetta non mancano i segni, che il calvario intrapreso sia, realmente, la strada della sua santità: in una delle sue numerose visioni, in un periodo di particolari ristrettezze economiche, Gesù le annuncia che sarebbe diventato presto il suo capofamiglia. Detto, fatto: il giorno dopo un sacerdote sconosciuto suona alla porta, consegnandole un’immagine di Gesù, che, da lì a poco, diventerà famosa in tutta Roma, per i tanti miracoli concessi. Tra i beneficiari si contano addirittura due Papi. Ma in vita Elisabetta non vedrà accadere il miracolo più atteso: la conversione di suo marito. Cristoforo si rinnamorerà di lei, solo dopo la sua morte, decidendo di cambiare in modo radicale la sua vita: diventa frate conventuale e anche sacerdote.

Non è mai troppo tardi per lasciarsi amare. E le tante donne tradite o madri in difficoltà, che vengono a pregare sulla tomba di Elisabetta sanno bene che Dio può far santo anche il più incallito peccatore. Con buona pace dei sepolcri imbiancati.

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