Un gioiello nel cuore di Napoli: La Basilica di Santa Chiara
Posté par atempodiblog le 11 août 2016
Tesori d’Italia
Un gioiello nel cuore di Napoli: La Basilica di Santa Chiara
Il complesso monumentale di Santa Chiara a Napoli è senz’altro uno dei maggiori capolavori dell’arte italiana, phanteon della dinastia dei Borbone delle Due Sicilie e centro di spiritualità francescana noto in tutto il mondo.
di Penelope Salomone – Radici Cristiane (2009)
“Si dica o racconti quel che si vuole, ma qui ogni attesa è superata”: Così Napoli, nella seconda metà del Settecento, sbalordiva il sommo poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe.
Impossibile dar torto a un così raffinato viaggiatore, tanto più che ancora oggi il capoluogo campano continua ad attrarre visitatori da tutto il mondo. Malgrado la cementificazione selvaggia, la disoccupazione, la malavita e le mille e mille emergenze che affliggono giorno per giorno gli abitanti di questa città, affascinante e contraddittoria, da sempre al centro dell’universale attenzione.
Dopo (e anche prima) di Goethe è stato un coro ininterrotto di meraviglie. Lo scenario impareggiabile del Golfo. Il fascino (terrificante) del Vesuvio. I luoghi del mito. L’estro e il genio degli artisti partenopei. Una tradizione canora e musicale nonché teatrale (Bracco, Viviani, i De Filippo, Totò) pressoché unica. La creatività e l’abilità degli artigiani. Le leggendarie delizie gastronomiche (pizza, spaghetti, babà, sfogliatelle, pastiere); non solo cibi golosi, ma potenti detonatori della fantasia.
Ventisetti secoli di storia, arte, tradizione
A questo punto, però, dobbiamo terminare questa fuggevole lista, senza fine. E saltiamo al centro storico partenopeo: Dopo quello di Roma, il più esteso del pianeta, iscritto all’UNESCO, 14 anni fa, nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità, racchiude le testimonianze di 27 secoli di storia.
Infatti, esso comprende la città greco-romana, le mura medievali, quattro castelli (un primato, nessun’altra città ne possiede altrettanti), innumerevoli porte, palazzi storici, piazze e fontane monumentali, due regge, quattro grandi parchi (la Villa Comunale, il Parco Virgiliano, Capodimonte e la Floridiana), più di 20 tra musei e pinacoteche, il Lungomare, quattro porti turistici, due isolotti e, infine, un reticolo di cunicoli sotterranei risalenti al periodo classico.
Città dello spirito cristiano
Ma Napoli è soprattutto una delle città a più alta densità di chiese e di conventi (pur se molti edifici di culto hanno mutato funzione nel corso del tempo) e tabernacoli disseminati praticamente ovunque, emblema della fervida religiosità della sua gente che attraverso i millenni ha maturato la propria vocazione verso i valori dello spirito.
D’altronde è qui, e non altrove, che ogni anno, puntuale il 19 settembre e la prima domenica di maggio si ripete il miracolo di San Gennaro allorché il sangue del Santo, conservato nelle ampolline custodite nel Duomo, si scioglie sotto gli occhi di migliaia di fedeli (e di curiosi). Sicuramente un’esperienza che lascia nell’animo un segno indelebile.
Il complesso monumentale
A tal proposito a tutti coloro che sono alla ricerca di un autentico lifting dello spirito, suggeriamo una sosta in un angolo di quiete, avvolto da un’atmosfera romantica, pittoresca e meditativa: il complesso monumentale di Santa Chiara.
Cattura solo il cuore del viaggiatore attento all’estetica, l’estimatore del particolare, l’anima sensibile di chi sa coglierne la bellezza silenziosa tra il dedalo di vicoli, brulicanti di folla, con gli (immancabili) panni stesi ad asciugare al sole.
Dalle finestre del vicino Palazzo Filomarino, in cui visse per 38 anni insieme ai suoi libri che oggi costituiscono la ricca e articolata biblioteca dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, il filosofo Benedetto Croce vedeva svettare il possente campanile trecentesco. “Mi grandeggia innanzi il campanile di Santa Chiara […] innalza i suoi tre piani dai finestroni in stile romanzo, dorico e ionico”.
La maestosa basilica alta oltre 40 metri, in tufo grigio (estratto dalle cave vesuviane) e il monastero annesso (che per secoli ha accolto monache discendenti da famiglie nobiliari) furono fortemente voluti da Sancia di Maiorca, seconda moglie di Roberto d’Angiò, attratta dalla vita claustrale e devota alla Santa d’Assisi.
La prima pietra fu posta nel 1310. I lavori, diretti da Gagliardo Primario e Lionardo di Vito durarono 30 lunghi anni: nel 1340, la chiesa fu aperta al culto. Tuttavia già da qualche tempo si era inaugurata a Napoli, grazie agli Angioini, una felice stagione architettonica che tra il XII e XV secolo arricchì la città di meravigliose chiese come Sant’Egidio (costruita nel 1270 da Pietro di Angricourt), Santa Maria la Nova, il Duomo, la Chiesa del Carmine, Santa Maria Incoronata dove operarono artisti eccelsi quali Simone Martini e Giotto.
La cittadella francescana fu realizzata costruendo due edifici contigui e, ovviamente, separati: un monastero, destinato ad ospitare le clarisse, e un convento per i frati minori francescani. Questa originale conformazione a “convento doppio” fu possibile grazie all’approvazione di Papa Clemente V ottenuta nel 1317.
La chiesa poi tra il 1742 e il 1747 fu interamente ricoperta da ornamenti barocchi: marmi policromi, stucchi, cornici dorate. Il tetto a capriate fu nascosto da dipinti di vari pittori napoletani dell’epoca quali il de Mura, il Conca, Bonito, de Maio e Massotti.
La memoria di tutta questa pletorica trasformazione oggi si ravvisa solo nelle foto dei Fratelli Alinari, perché durante il bombardamento del 4 agosto 1943 l’edificio fu colpito da spezzoni incendiati e bruciò per sei giorni.
Immediato, anche grazie al fervido impegno di padre Gaudenzio dell’Aja, seppur laborioso fu il ripristino architettonico che riportò Santa Chiara in dieci anni alla primitiva e austera struttura gotico provenzale, così come la possiamo ammirare oggi.
Alle spalle dell’altare è situato il Coro delle clarisse, composto da tre navate. Su una parete sopravvive solitario (purtroppo) un frammento di un affresco raffigurante la Crocifissione in cui si riconosce la mano de “il più sovrano maestro stato in dipintura”, ovvero Giotto, chiamato a decorare la chiesa nel 1326.
Nel presbiterio vi è quanto si è riusciti a recuperare del grandioso sepolcro di Roberto d’Angiò, opera dei fratelli Giovanni e Pacio Bertini, la tomba di Maria di Valois e di Carlo di Calabria realizzate dallo scultore toscano Tino di Camaino e nelle cappelle sarcofagi e tombe trecentesche fortunatamente salvate dalle rovine.
Nella prima cappella a sinistra adiacente all’ingresso riposa Salvo D’Acquisto. Il giovane carabiniere napoletano che s’immolò nel settembre del 1943 a Torre Palidoro vicino Roma per salvare 22 ostaggi civili ritenuti responsabili di un presunto attentato contro le forze armate tedesche.
Il bellissimo pavimento in marmo è firmato dal fiorentino Ferdinado Fuga, architetto di corte di Carlo III di Borbone che, tra l’altro, nella capitale del Regno delle Due Sicilie realizzò l’Albergo dei Poveri e i Granili, ma aveva già legato il suo nome a Roma alla manica lunga del Quirinale, ai Palazzi Corsini e della Consulta e alla facciata di Santa Maria Maggiore.
Pantheon dei Borbone delle Due Sicilie
La basilica angioina accoglie il Pantheon della dinastia borbonica. Per un certo tempo le spoglie dei sovrani e principi della dinastia delle Due Sicilie furono deposte in un ambiente adiacente al coro dei frati, malgrado fossero stati presentati tre progetti sotto i regnanti Ferdinando II e Francesco II per realizzare la Reale Cappella funebre.
Un contributo decisivo alla risoluzione della controversa vicenda nel pieno rispetto della integrità architettonica del luogo sacro è stato dato da Padre Gaudenzio, storico e saggista, impegnato non solo nel restauro della Basilica ma anche nella redazione corretta della genealogia del Casato delle Due Sicilie da Carlo di Borbone a Francesco II.
Grazie a lui, il 10 aprile 1984 le salme del Re Francesco II di Borbone, della regina Maria Sofia e della loro figliola Maria Cristina Pia furono riportate nella loro capitale e tumulate in Santa Chiara.
Il chiostro delle clarisse
Dal cortile si entra nel celebre chiostro delle clarisse, che ormai non manca mai nell’Italia illustrata che dilaga dai rotocalchi per la gioia dei turisti del Terzo millennio che in gruppo accorrono a consumare rapidamente le bellezze storiche nazionali.
Mentre in questa oasi di pace, di ordine e contemplazione, lontana dalla confusione ansiogena della (pur vicina) frenetica vita cittadina, sarebbe consigliabile una lunga sosta senza fretta per recepire appieno l’incantesimo magico.
Le pareti sono interamente decorate da affreschi secenteschi, raffiguranti santi, allegorie, scene dell’Antico Testamento e la rappresentazione veristica della “Morte di una monaca” vicino all’ingresso del cimitero delle clarisse: la semplicità e l’equilibrio della pittura, tanto e ovunque presente, diventano stile supremo, eleganza massima.
Il muro perimetrale del chiostro, le panche e i pilastri ottogonali che sorreggevano il pergolato (non più ripristinato nell’ultimo restauro) furono rivestiti, nel 1742 durante il badessato di Ippolita Carminagno, dall’architetto Domenico Antonio Vaccaro, da mattonelle maiolicate vivamente colorate di blu, verde e giallo.
Su di esse i mastri rigiolari Donato e Giuseppe Massa, padre e figlio, eredi di una tradizione artigianale medievale che aveva raggiunto l’apice con l’arrivo a Napoli degli Aragonesi, riprodussero magistralmente scene bucoliche, coreografiche tarantelle, racconti mitologici e trionfi di fiori e frutta.
La cornice artistica si fonde perfettamente con la balsamica cornice naturale dell’incantevole giardino delimitato da due vialetti punteggiate da piante di agrumi. In questo scenario di confortante tranquillità e mirabile armonia non mancate di visitare anche il museo, il presepe settecentesco e l’area archeologica.
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