Dio non ci ha abbandonato

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2024

Dio non ci ha abbandonato dans Amicizia Non-ci-ha-abbandonato

Dio non ci ha abbandonato. Ha assunto e fatto sua la nostra vita crocifissa. L’ha riscattata, l’ha liberata e l’ha ricolmata di speranza.

di Padre Livio Fanzaga – Credo. Le verità fondamentali della fede, ed. SugarCo

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“Pensate che gli angeli siano lenti come gli aeroplani?”

Posté par atempodiblog le 10 octobre 2024

“Pensate che gli angeli siano lenti come gli aeroplani?”
Fonte: Fermenti Cattolici Vivi
Tratto da: Radio Maria

“Pensate che gli angeli siano lenti come gli aeroplani?” dans Amicizia San-padre-Pio-da-Pietrelcina

Padre Pio cercava sempre di inculcare nei suoi figli spirituali l’amore verso gli angeli custodi che, fin dalla nascita, illuminano, custodiscono e governano la creatura umana.

Dall’angelo custode riceveva spesso preziosi servigi. A lui affidava poi numerosi incarichi che riguardavano il suo ministero sacerdotale. Per aiutare, in caso di bisogno, i suoi figli spirituali lontani, mandava sempre l’angelo custode.

Un giorno, l’inglese Cecil Humpherey-Smith, noto figlio spirituale di Padre Pio, mentre era in Italia ebbe un incidente d’auto e fu ferito gravemente. Un amico, vedendolo in pessime condizioni, andò all’ufficio postale e inviò un telegramma a Padre Pio chiedendo preghiere per Cecil. Quando consegnò il telegramma allo sportello, il postino gli diede un altro telegramma a lui indirizzato, proveniente da San Giovanni Rotondo. Con esso Padre Pio assicurava le sue preghiere per la guarigione di Cecil Humpherey-Smith.

Passò qualche mese prima che Cecil potesse viaggiare. Appena fu guarito, con l’amico si recò a San Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio.

Giunti al convento, incontrarono il venerato padre, lo ringraziarono per le sue preghiere e, al fine di soddisfare la loro curiosità, chiesero a Padre Pio come fosse venuto a conoscenza dell’incidente e come avesse fatto a inviare loro così rapidamente il suo telegramma di rassicurazione.

Padre Pio con un largo sorriso sulle labbra disse: “Pensate che gli angeli siano lenti come gli aeroplani?”.

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LETTURE/ Il segreto dell’amicizia tra Dostoevskij e Solov’ëv

Posté par atempodiblog le 13 août 2020

LETTURE/ Il segreto dell’amicizia tra Dostoevskij e Solov’ëv
Il 13 agosto (calendario gregoriano) del 1900 moriva Vladimir Solov’ëv. Il filosofo aveva con Dostoevskij un rapporto di profonda amicizia
di Vincenzo Rizzo – Il Sussidiario

LETTURE/ Il segreto dell’amicizia tra Dostoevskij e Solov’ëv dans Amicizia Ivan-Kramskoi-ritratto-di-V-Solovev-1885-particolare
Ivan Kramskoi, ritratto di V. Solovev (1885), particolare

Qual è il segreto dell’amicizia e che esperienza fa vivere? Questa domanda scaturisce dal rapporto straordinario e generativo tra Dostoevskij e Solov’ëv: due grandi intellettuali distanti a livello generazionale (trentadue anni di differenza), che hanno lasciato un’eredità valida ancora oggi per cogliere ciò che “strappa dal nulla”.

Si può tentare di rispondere alle domande, non in maniera frontale e analitica, ma cercando di sorprendere alcuni aspetti che chiariscono il percorso della ricerca. Il legame tra i due scrittori, ad esempio, già dall’inizio (1873), non è un comodo rispecchiarsi dell’uno nell’altro, un’affinità di interessi o un’attenta benevolenza, ma un’asimmetria produttiva. Il giovane Solov’ëv guarda allo scrittore, già affermato e famoso, come una persona a cui porre domande significative e con cui confrontarsi su individualismo, razionalismo e positivismo. Ma, curiosamente, Dostoevskij vede in Vladimir, nonostante la giovane età, qualcuno di più grande e di autorevole. A Fëdor ricorda, infatti, Sidlovskij, una persona influente e significativa del suo passato. E, inoltre, il suo volto gli rammenta la “Testa di Cristo” di Annibale Carracci.

L’uno richiama all’altro, insomma, la memoria di qualcosa di più grande, con un invito a imparare. Non a caso, il grande scrittore nel 1878 si reca ad ascoltare le celebri Lezioni sulla Divinoumanità del filosofo: un richiamo al Dio vivente, al Dio tutto in tutti. Ognuno, ancora, vede nell’altro una specifica e opposta originalità che non è obiezione a sé, ma conferma di un misterioso legame nascosto. Dostoevskij indaga il sottosuolo e il basso dell’umano, fino ad arrivare agli  abissi dell’abiezione, alla morsa del tormento, al sussulto del tremore. Solov’ëv, invece, è preso dalle altezze mistiche della Sofia e da un riso, talvolta, stranamente contagioso. Entrambi considerano l’amicizia non come mero conforto, ma come compagnia al destino nei momenti cruciali della vita, proprio quando la vita urta e ferisce. È Solovëv, infatti, ad accompagnare Dostoevskij, dopo la morte dell’amato figlio Alëša, al monastero di Optina Pustyn. Così scrive Anna Snitkina in Dostoevskij mio marito: “pregai Solov’ëv, che in quei giorni di dolore veniva da noi molto spesso, di persuaderlo ad andare con lui a Optina Pustyn’ dove egli si proponeva di passare l’estate”.

Nel loro rapporto vive,  anche,  una comune certezza che fa sì, addirittura, che l’uno possa parlare a nome dell’altro, nel Nome dell’Altro. Rispondendo a una lettera di Peterson, riguardo alle idee di Fëdorov, il 24 marzo 1878, il genio russo scrive che lui e Solovëv credono in una letterale, effettiva e personale resurrezione e che essa avverrà sulla terra. Si tratta, qui, di una forte ed evidente vicinanza e consonanza spirituale. Volgin, a tal proposito, afferma in Poslednii God Dostoevkogo (L’ultimo anno di Dostoevskij) che Solov’ëv è stata una delle rare persone a cui lo scrittore si è sentito veramente vicino negli ultimi anni della sua vita. E certo colpisce, anche, la medesima e vibrante tensione dello sguardo dei due: insieme verso la stessa profondità, lo stesso abisso. Entrambi, alla ricerca delle cose ultime, scrutano il mysterium iniquitatis e ciò che lo vince. La falsificazione del bene operata dall’Anticristo e la correzione dell’opera di Cristo fatta dal Grande Inquisitore, nei loro celebri testi, non hanno l’ultima parola, non hanno il potere di cancellare la Bellezza suprema: essa è più forte, perché totalmente vera.

Si può dire, allora, a giusta ragione, che nella loro unità c’è una reciproca e feconda compenetrazione. L’uno è presente all’altro e nell’altro. Alcuni tratti del filosofo sono rinvenibili nell’Alëša de I fratelli Karamazov e di Anna Snitkina in Ivan Karamazov. E anche il tema del Dio vivente, caro al filosofo, è presente ne “Il visitatore misterioso” dei Karamazov. E c’è aria di parentela, certamente, tra l’universalismo cristiano dell’entusiasmante Discorso su Puškin (1880) di Dostoevskij e il centrale concetto di unitotalità di Vladimir Sergeevič. Per i due straordinari profeti v’è, innanzitutto, un punto di partenza: la condivisione ideale del cristianesimo come Avvenimento. Così scrive Solov’ëv in Opravdanie dobra (La Giustificazione del Bene): “il vero cristianesimo … è un avvenimento assoluto – rivelazione della personalità perfetta del Dio-Uomo, di Cristo risuscitato corporalmente”.

Tale avvenimento non è statico, ma dinamico: avviene con una forza attuale presente. Nei Tre discorsi in memoria di Dostoevskij (ed. La Casa di Matriona), scritti tra il 1881 e il 1883, ricorre numerose volte il termine sila (forza). Il filosofo parla di forza divina, forza interiore, forza spirituale, forza benefica. Non si tratta di un’affermazione intellettuale o di un termine ben pensato, ma di un’esperienza reale: “Avendo sperimentato la forza divina nell’anima – una forza che si manifesta vittoriosa attraverso ogni infermità umana – Dostoevskij è giunto alla conoscenza del Dio e del Dio-Uomo”. Secondo il filosofo,  la presenza di “un di più” è la cifra e la peculiarità dello scrittore. Un di più, segretamente, in movimento nelle loro vite, capace di unire, vincendo il nulla.

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“Un albero per il Vesuvio”. Così gli ultrà del Toro conquistano il cuore di Napoli

Posté par atempodiblog le 28 juillet 2017

“Un albero per il Vesuvio”. Così gli ultrà del Toro conquistano il cuore di Napoli
Un gruppo di tifosi della Curva Maratona in segno di solidarietà e amicizia ha deciso di intervenire dopo gli incendi dei giorni scorsi
di Gianluca Oddenino – La Stampa

“Un albero per il Vesuvio”. Così gli ultrà del Toro conquistano il cuore di Napoli dans Amicizia Vesuvio

Si dice che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Vero, però a volte basta poco per invertire la rotta e fare rumore al contrario: basta un gruppo di ultrà del Toro e la loro decisione di autotassarsi per finanziare l’acquisto di piante da reimpiantare nel Vesuvio devastato dagli incidenti. Un gesto di solidarietà e di amicizia, nato spontaneamente dalle “Teste Matte” della curva Maratona nei confronti dei tifosi della Ercolanese 1924 che recentemente hanno onorato il Grande Torino a Superga. A Napoli non si parla d’altro e ha già scatenato ringraziamenti di ogni tipo.

Seminare bene si può, nel vero senso della parola, e aiuta in tempi di insulti, idiozie e follie con curve contrapposte e avvelenate dal calcio. Questi tifosi del Toro non pensavano di fare il giro del web con la loro iniziativa spontanea, ma a Napoli quel gesto non è passato inosservato. «L’Ercolanese è la squadra dai colori granata – scrive su Facebook il presidente di Teste Matte – e sappiamo tutti che purtroppo in questo periodo gran parte dei parchi naturali della zona vesuviana stanno bruciando. Con lo stesso spirito di amicizia e rispetto verso gli Ercolanesi, daremo un piccolo contributo».

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Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2016

Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare
Dal Burkina Faso, 18 anni, sbarcato a Trapani con il sogno di fare il meccanico per la Ducati: legato a mani e piedi dagli scafisti dopo che sul barcone aveva urlato terrorizzato delle onde. Ferite andate in setticemia, arti tagliati. Inchiesta della Procura
di Alessandro Fulloni – Corriere della Sera

Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare dans Amicizia Aruna

Non aveva mai visto il mare Aruna, diciotto anni dal Burkina Faso e un sogno: fare il meccanico di moto in Italia. (Esattamente: aggiustare le moto Ducati). Per questo quando si è trovato sballottato da quei cavalloni alti chissà quanto poche ore dopo essera salpato dalla Libia (qualche giorno fa, prima di Natale) ha gridato per il terrore. Un terrore incontrollabile. Chissà se davvero con quelle urla aveva spaventato anche gli altri migranti a bordo, come poi è stato raccontato. Fatto sta che gli scafisti per risolvere quello che pareva loro un problema non hanno fatto altro che prendere Aruna, immobilizzarlo, legarlo (meglio: incaprettarlo) e sbatterlo giù nella stiva, tra fetore e scarichi dei diesel, dove è rimasto due giorni (senza bere, nè mangiare. I bisogni addosso). Corde strettissime, a caviglie e polsi, che si sono trasformate in lame che gli hanno scarnificato la pelle. Nel prosieguo della navigazione verso la Sicilia il barcone è poi finito alla deriva.

Setticemia e cancrena
Una chiamata d’allarme ha allertato il soccorso. La nave Gregoretti, della Guardia costiera, arrivata dopo poco, ha agganciato l’imbarcazione e effettuato il trasbordo dei migranti da salvare. Il ragazzo è stato portato all’hotspot di Trapani «Milo» dove è rimasto tre giorni. Solo nel trasferimento successivo alla struttura di accoglienza cui era stato destinato, la «Piccola Famiglia dell’Esodo Decollatura» – una comunità religiosa a mille metri di altezza sulla Sila che in queste ore è imbiancata da una fitta neve – ci si è accorti di quanto stesse male. «Era in condizioni disperate, febbre altissima, piedi neri e gonfi: sono corso in ospedale senza stare a pensarci su» racconta padre Benedetto Marani, il direttore del centro arrivato a Trapani apposta per prelevare il ragazzo. Le ferite agli arti erano in setticemia, la cancrena era al galoppo. Per salvarlo sono state necessarie tre operazioni nel giro di settantadue ore. Tutte concluse con amputazioni. L’ultima mercoledì. Aruna adesso non ha più piedi, il taglio è avvenuto a metà polpaccio. Anche le mani sono ridotte a moncherini. Delle dita restano solo i metacarpi. Falangi, falangine e falangette sono state tranciate, con ossa e pelle irrecuperabili per la necrosi.

Il calvario del diciottenne
Sono stati i medici di Catanzaro, oltre a padre Benedetto, a ricostruire il calvario del diciottenne. In sala operatoria già al primo intervento avevano notato lividi, escoriazioni e tagli dovuti agli stretti legacci. Aprendo una delle ferite per disinfettarla hanno trovato i resti di una corda. Per questo a Trapani Aruna piangeva di continuo per il dolore. Non riusciva nemmeno a raggiungere il bagno, strisciava appoggiandosi sui gomiti. O veniva aiutato da qualche amico, lo stesso che gli porgeva cucchiaio e forchetta alla bocca perché lui con le mani oramai non era più in grado di sorreggere nulla, men che meno di lavarsi. Suor Benedetta Giordano, superiora alla Piccola Famiglia, racconta che il ragazzo è arrivato in Libia dopo aver attraversato a piedi la parte algerina del deserto del Sahara. Un viaggio durato sei mesi, costato (compreso il «biglietto» per imbarcarsi) una cifra attorno ai 3.500 euro.
Aruna (lo chiamano tutti così per cognome come si usa in Africa, ma il suo nome è Widraou) è orfano, ultimo di sette fratelli. Di quasi tutti non ha più notizie. Solo di uno ha il telefono e si sono sentiti in questi giorni. È in Costa d’Avorio e fa il meccanico di moto. Erano assieme quando Aruna – pazzo per le moto italiane, la superiora dice che la sua passione sono le Ducati – ha deciso di incamminarsi verso un destino differente. Che comprendesse magari quel sogno delle «rosse» a due ruote.

La sottoscrizione
La storia di Aruna ha commosso il personale dell’ospedale di Catanzaro. Che si è prodigato per avviare una sottoscrizione che possa consentire l’acquisto delle protesi necessarie per consentirgli di sperare in una vita normale. «Il nostro è un lavoro non solo scientifico e tecnico ma prima di tutto emozionale – racconta l’infermiera Maria Rosaria Costantino, tra le prime ad avviare l’iniziativa -. Quando è arrivato qui, le sue condizioni erano persino difficili da raccontare. Abbiamo subito pensato di attivare la macchina degli aiuti per prima cosa attraverso un bollettino postale. Lui è un ragazzo coraggioso. Per noi è già come un figlio. Gli altri ospiti della Onlus, che parlano lingua francese, fanno i turni in ospedale per fargli compagnia». Il personale medico ha anche indirizzato, con una lettera aperta, un appello a Comune, Provincia e Regione. «Ci saranno da sostenere, tra le altre cose – dicono – le spese per le protesi e per la riabilitazione per questo ragazzo rimasto completamente solo». La prefettura ha risposto immediatamente. Una volta dimesso effettuerà il recupero in una struttura a carico del Servizio sanitario nazionale, come accadrebbe a tutti i cittadini italiani.

L’inchiesta
Ora però resta da chiarire perché nessuno si sia accorto per tempo, una volta sbarcato, della gravità delle sue condizioni. Risposte che cercheranno alla procura di Catanzaro, dove è stata aperta un’inchiesta contro ignoti. Padre Benedetto racconta che sul referto medico rilasciato a Trapani c’è scritto che il ragazzo presentava edemi agli arti. Nient’altro. E poi aggiunge lo hanno caricato a braccia sulla corriera che lo ha portato a Catanzaro perché lui non riusciva nemmeno a stare in piedi. Dopo l’ultima operazione «ho chiesto ad Aruna di cosa avesse bisogno: lui mi ha risposto che voleva una rivista che parlasse delle moto Ducati». Richiesta rimbalzata sulla stampa calabrese. E giovedì qualcuno ha portato delle riviste e una maglietta di Valentino Rossi. Aruna ha pronunciato una sola parola, in italiano: «Grazie».

Per chi volesse dare una mano
Suor Benedetta vuole aggiungere unicamente una cosa. Questa: «Per chi volesse dare una mano, il conto corrente postale è il 71662753 ed è intestato alla Piccola Famiglia dell’Esodo onlus, la causale è “Amici di Aruna”»

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Siamo tutti stranieri

Posté par atempodiblog le 23 juin 2016

Il razzista è colui che nega se stesso
Siamo tutti stranieri
dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte

Siamo tutti stranieri dans Amicizia tutti_fratelli

Siamo tutti stranieri sulla terra che pure è la nostra, pellegrini in questo mondo: perciò, ciascuno ritrova se stesso in quanto scopre l’altro, scoprendo se stesso altro dall’altro, e proprio così riconoscendosi rivolto all’altro, accogliente dell’altro.

L’alterità è lo stimolo a (ri)scoprire l’identità nell’atto dell’accogliere. Perciò, “il razzista è colui che nega se stesso per quello che è” (E. Jabès, Uno straniero…, o.c., 25).

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Buona Pasqua a tutti!

Posté par atempodiblog le 27 mars 2016

Cristo è risorto! Alleluja!

Resurrezione Giotto

Buona Pasqua a tutti! Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca!

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L’usanza di estrarre il Patrono particolare per tutto l’anno

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2015

L'usanza di estrarre il Patrono particolare per tutto l'anno dans Amicizia Tutti-i-Santi

A Capodanno da noi c’è l’usanza di estrarre il Patrono particolare per tutto l’anno. La mattina, durante la meditazione, mi venne uno di questi segreti desideri, e cioè che Gesù Eucaristico fosse il mio Patrono particolare anche per quest’anno, come per il passato. Nascosi però questo mio desiderio al mio Diletto; parlai con Lui di tutto, ad eccezione del fatto che Lo volevo come Patrono.

Quando andammo in refettorio per la colazione, dopo aver fatto il segno della croce, ebbe inizio l’estrazione dei Patroni. Appena mi avvicinai alle immaginette sulle quali erano scritti i Patroni, ne presi una senza pensarci e non la lessi subito. Volevo mortificarmi per qualche minuto. All’improvviso sento nel mio intimo una voce: «Sono il tuo Patrono, leggi». Allora guardai subito quello che c’era scritto e lessi: «Patrono per il 1935 la Santissima Eucaristia». Il cuore mi sobbalzò dalla gioia e mi allontanai alla chetichella dal gruppo delle suore ed andai almeno per un momento davanti al SS.mo Sacramento e là diedi sfogo ai sentimenti del mio cuore. Gesù però mi fece osservare in modo delicato che in quel momento avrei dovuto essere con le consorelle. Andai immediatamente, attenendomi alla regola.

O Santa Trinità, Unico Dio, insondabile nella grandezza della Misericordia verso le creature e specialmente verso i poveri peccatori. Hai mostrato l’abisso insondabile della Tua Misericordia, che nessuna mente, né umana né angelica, è riuscita mai a scandagliare. Il nostro nulla e la nostra miseria sprofondano nella Tua grandezza. O Bontà infinita, chi può adorarti degnamente? Si trova un’anima che possa comprendere il Tuo amore? O Gesù, tali anime esistono, ma non sono molte.

Santa Faustina Kowalska

Divisore dans San Francesco di Sales

Cliccando sul link sottostante potete scoprire a quale santo siete stati affidati…:

http://infodamedjugorje.altervista.org:80/ilsantodellanno.html

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Per essere amico di un altro…

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2015

Amicizia

“E non è necessario, per essere amico di un altro,
che lui scopra che quello che dici tu è vero e venga con te.
Non è necessario, vado io con lui,
per quel tanto di limatura di vero che ha”.

don Luigi Giussani
Tratto da: Lo Straniero Fb

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Con i botti di Capodanno Fido e Felix rischiano la vita: Ecco come aiutarli

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2015

Con i botti di Capodanno Fido e Felix rischiano la vita: Ecco come aiutarli
Tratto da: Leggo

Con i botti di Capodanno Fido e Felix rischiano la vita: Ecco come aiutarli dans Amicizia No-ai-botti

Ogni fine anno si trasforma in un incubo per i nostri amici animali. Non solo per quelli che dividono la casa con noi. Pensate che negli uccelli il fragore dei botti li fa fuggire dai nidi e li induce a volare al buio alla cieca anche per chilometri, andando a morire sfracellati su un muro o contro cavi elettrici. Quelli che riescono ad atterrare o a posarsi in qualche albero spesso muoiono assiderati a causa delle rigide temperature invernali e alla mancanza di un riparo.

Negli animali degli allevamenti come mucche, cavalli e conigli, le conseguenze delle esplosioni possono provocare nelle femmine gravide addirittura l’aborto.

Cani, gatti e piccoli animali domestici, poi, si spaventano a morte per i botti della notte di San Silvestro. Il motivo? La loro soglia uditiva infinitamente più sviluppata e sensibile di quella umana. L’uomo ha un udito con una percezione compresa tra le frequenze denominate infrasuoni, intorno ai 15 hertz, e quelle denominate ultrasuoni, sopra i 15.000 hertz. Cani e gatti, invece, dimostrano facoltà uditive di gran lunga superiori: il cane fino a circa 60.000 hertz mentre il gatto fino a 70.000 hertz. Dunque, provate a immaginare cosa avviene nella testa dei nostri amici pelosi. Per gli esemplari sofferenti di cuore poi può essere davvero un rischio mortale. Perciò ecco alcuni consigli dei veterinari per gestire al meglio i nostri pets alla vigilia del conto alla rovescia.

Non lasciare mai il cane all’aperto, preferire invece stanze piccole, magari lontane dalla strada o da zone dove qualcuno può sparare petardi.

E’ preferibile non lasciare l’animale da solo, ma se proprio non si può fare diversamente, rendere viva la stanza con un po’ di musica o televisione a basso volume e luce.

Se si è in casa, evitare di rassicurare cani e gatti ad ogni rumore coccolandoli: quello che per noi è un gesto di affetto fatto al fine di tranquillizzare l’animale, provoca l’effetto contrario poiché suggerisce che c’è qualcosa che non va. Meglio continuare a chiacchierare normalmente.

Se l’animale si agita troppo, farsi prescrivere dal veterinario dei fiori di bach: non fanno male (non preoccupatevi se sono sciolti in alcol, in realtà la percentuale è minima una volta diluiti) ed è consigliabile iniziare a somministrarli anche qualche giorno prima del 31 dicembre per favorire il rilassamento. Ma evitate le soluzioni dei sedativi fai da te.

Lasciamo pure che si rifugino dove preferiscono, anche se si tratta di un luogo che normalmente gli è “vietato”. Durante le passeggiate teniamoli al guinzaglio, evitando anche di liberarli nelle aree per gli animali per evitare fughe dettate dalla paura. E’ fondamentale non portarli fuori nelle ore immediatamente precedenti perché spesso gli scoppi iniziano con anticipo. E ricordate che spesso si continua a sparare – sebbene in misura molto minore – anche nei giorni successivi il 31 dicembre e fino all’Epifania. Per cui: occhi e orecchie aperte!

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La confessione del Papa: «Mi sono sentito usato»

Posté par atempodiblog le 14 septembre 2015

La confessione del Papa: «Mi sono sentito usato»
Francesco parla dell’amicizia, dell’ambiente e dei fondamentalismi durante la prima intervista a una radio indipendente e non confessionale (FM Milenium) dell’Argentina
di Andrès Beltramo Álvarez – Vatican Insider

papa francesco

«Mi sono sentito usato da persone che si sono presentate come amiche e che io forse non avevo visto più di una o due volte in vita mia. Hanno usato questo per il loro vantaggio». Una confessione onesta di Papa Francesco sull’amicizia utilitaria. «A me, questo fa male», ha detto durante la prima intervista a una radio indipendente e non confessionale, FM Milenium dell’Argentina. Il dialogo è stato trasmesso ieri, domenica 13 settembre, a Buenos Aires.

Un’ora circa di conversazione tra Francesco e un suo amico da più di 15 anni: Marcelo Figueroa. Presbiteriano, si erano conosciuti nei tempi quando lui era il direttore delle Società Bibliche Argentine. Da allora hanno alimentato un’amicizia che è riuscita a sopravvivere anche nei momenti più difficili, come la malattia. «Diálogos para el encuentro» (dialoghi per l’incontro) è il nome del programma che si può ascoltare tutte le domeniche pomeriggio, sulla frequenza 106.7 FM.

«Non ho mai avuto tanti ‘amici’ come adesso. Tutti sono amici del Papa. L’amicizia è qualcosa di molto sacro. Lo dice la Bibbia: ‘abbi uno o due amici’. Prima di considerare amico qualcuno, lascia che il tempo lo metta alla prova, per vedere come reagisce davanti a te», ha detto Jorge Mario Bergoglio, prima di chiarire che tutti vivono l’esperienza dell’amicizia utilitaria.

«L’amicizia è accompagnare la vita dell’altro da un presupposto tacito. In genere, le vere amicizie non devono essere esplicitate, succedono, e poi è come se si coltivassero. Al punto di far entrare l’altra persona nella mia vita come sollecitudine, come buon auspicio, come salutare curiosità di sapere com’è lui, la sua famiglia, i suoi figli», ha aggiunto.

Secondo il Pontefice, bisogna saper distinguere l’amicizia da altre forme di relazione come quella che si instaura tra colleghi. Anche se sono passati mesi o anni, ha spiegato, quando uno si ritrova con un amico si sente come se il tempo non fosse trascorso.

«Noi uomini, per il nostro peccato, per la nostra debolezza, fomentiamo la cultura dell’inimicizia. Dalla guerra fino alle chiacchiere di quartiere, o al lavoro. Uno degrada, calunnia o diffama l’altro con molta libertà, come se fosse la cosa più naturale al mondo, anche se non fosse vero, soltanto per avere un posto più potente o qualcos’altro», ha spiegato.

Francesco ha anche detto che, di fronte a questa tendenza all’inimicizia, bisogna spingere «l’amicizia sociale», che per lui si chiama «cultura dell’incontro». Ha anche riconosciuto che agli esseri umani «piace molto» diventare dei giudici per marcare le distanze, ma, ha ricordato, l’unico giudice è Dio.

Poi ha parlato del dialogo interreligioso, riconoscendo che ogni confessione ha il proprio «gruppetto di fondamentalisti», il cui «lavoro» è distruggere per un’idea, non per la realtà. Ha spiegato che questi fondamentalisti «allontanano a Dio dalla compagnia del suo popolo» e lo trasformano in un’ideologia. «Allora, nel nome di quel Dio ideologico, uccidono, attaccano, distruggono, calunniano. Per essere un po’ pratici, trasformano questo Dio in un idolo», ha ribadito.

E poi ha riflettuto sulla stessa idea, osservando che c’è oggi «un’oscurità trasversale», che nasconde l’orizzonte dell’umanità, rinchiude in delle ideologie e costruisce delle mura che impediscono l’incontro. «Metto un muro invece di tendere un ponte e lì l’amicizia dei popoli non può darsi», ha detto.

Ha anche parlato del suo rapporto con i fedeli, rivelando il bisogno che sente di avvicinarsi perché la gente lo rivitalizza, raccontandogli le sue pene, e lui riceve tutti. Ed è questo che devono essere i preti: dei ponti, ha spiegato, e che per quello si chiamano «pontefici». «Quando abbraccio la gente, è Gesù che abbraccia me! Ricevo una vita contenta, allegra, una testimonianza…».

«Quando un prete si isola, nella sua postura ieratica o nella sua postura legalista, o nella sua postura da principe – quando dico prete, dico vescovo, Papa…. – quando si allontana – ha scandito Francesco -, incarna in certa maniera quei personaggi ai quali Gesù dedica tutto il capitolo 23 del Vangelo di Matteo. Quei legalisti, farisei, sadducei, dottori della legge che si sentivano dei puri».

Si è anche detto «pescatore» e ha ammesso che deve lottare costantemente contro i suoi egosimi. E ha rivelato che tutto il buono che ha è stato un regalo; a volte si rivolge a Gesù e dice: «Ma dai, è tanto buona la gente, come pensa, quanto buona che è!».

Più avanti ha anche parlato del rapporto dell’essere umano con l’ambiente; purtroppo, ha detto, non sempre l’uomo è «amico» del creato, perché speso tratta la natura come il suo «nemico peggiore». E si è spiegato meglio ricordando che Dio ha detto: «Crescete, moltiplicatevi, dominate la terra, prendetevi cura della terra! Ma arriva un momento nel quale l’uomo si sente padrone, va oltre quello che vuol dire prendersi cura della terra e la tralascia. E così crea un’incultura, perché abusa della natura».

Figueroa, l’intervistatore, ha fatto una domanda sul capitolo due della «Laudato sì», dove Francesco denuncia un sistema che alimenta il degrado dell’ambiente, un sistema corrotto e perverso.

Al riguardo, il Papa ha spiegato: «È un sistema che, per il guadagno (perché in fondo c’è il guadagno, l’agnello e sempre d’oro, l’idolo è d’oro e si trova nel centro)… L’uomo è stato spostato dal centro e lì c’è il denaro. Non si ha in considerazione il creato, e tra esso l’uomo. La schiavitù, il lavoro schiavo, non prendersi cura del creato, non prendersi cura del re del creato. Cioè, abbiamo un rapporto cattivo con il creato in questo momento».

E ha aggiunto: «Ricordo la frase di un dirigente politico molto importante nel mondo: ‘Non si tratta di prendersi cura del creato per formare un mondo migliore per i nostri figli, perché non ci sarà’. Se continuiamo a questi ritmi, non ci sarà. Si tratta di prendersi cura del creato per questo momento. Siamo di fronte all’irreversibile, ed è tragico. E, d’altra parte, non è invincibile (quest’ingiustizia, ndr), perché, anche se arrivasse la catastrofe, io credo nella terra nuova e nei cieli nuovi. Ho speranza e so che il creato sarà trasformato».

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Mariatona mondiale: 12, 13, 14 maggio

Posté par atempodiblog le 11 mai 2015

Mariatona mondiale: 12, 13, 14 maggio dans Amicizia 11ilb9k

Cari amici,
in questo mese di maggio, dedicato in modo speciale alla Madonna, tutte le 72 Radio Maria faranno la “Mariatona”, per infondere nuovo vigore a questo straordinario progetto di evangelizzazione e di promozione umana in ogni parte del mondo. Saranno tre giorni molto intensi, durante i quali gli ascoltatori sono invitati a riflettere sul meraviglioso dono di Radio Maria, grazie al quale sono sostenuti nella fede e nel cammino di ogni giorno. La Madonna non poteva fare un regalo migliore al suo popolo di umili devoti! Sarà bello ascoltare le testimonianze su quello che Radio Maria dà ogni giorno a tanta gente.

Nel medesimo tempo saranno tre giorni di mobilitazione, perché ognuno dia un sostegno speciale a Radio Maria, che vive solo con le offerte e i sacrifici dei suoi ascoltatori. La divina Provvidenza infatti opera, in via ordinaria, attraverso il cuore degli uomini.

Facciamo tutti, nella misura delle possibilità, il nostro pezzetto di strada che va dalla casa alla Posta e dalla casa alla Banca, per permettere a Radio Maria di  andare avanti in questi momento di grande necessità.

Chi non ne ha la possibilità sappia che la preghiera è un aiuto preziosissimo per una Radio che ha la missione di evangelizzare.

Un grazie di cuore a tutti gli ascoltatori che divengono anche sostenitori. Dobbiamo sentirci tutti più responsabili perché questa grande opera di Maria continui a illuminare la mente e a confortare il cuore di tante persone.

Vostro Padre Livio
Tratto da: Radio Maria

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Per scoprire come aiutare Radio Maria cliccare sui link sottostanti:

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Buona Pasqua

Posté par atempodiblog le 5 avril 2015

“Chi ci potrà mai parlare dell’amore all’uomo proprio di Cristo, traboccante di pace? Grazie ad esso noi impariamo a non essere più in guerra con noi stessi, né fra di noi, né con gli angeli, ma a realizzare con essi le cose divine secondo la nostra possibilità, secondo la provvidenza di Gesù che opera tutto in tutti e che produce una pace ineffabile e predeterminata fin dall’eternità e che ci riconcilia a Lui nello Spirito e attraverso di Lui e in Lui al Padre”.

Dionigi l’Areopagita

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Raffaello Sanzio, “Cristo benedicente”, 1506 circa, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

«“Pace a voi!” (Gv 20,19.20). Questo è il primo saluto del Risorto ai discepoli; saluto che quest’oggi ripete al mondo intero. O buona novella tanto attesa e desiderata! O annuncio consolante per chi è oppresso sotto il peso del peccato e delle sue molteplici strutture! Per tutti, specialmente per i piccoli e i poveri, proclamiamo oggi la speranza della pace, della pace vera, fondata sui solidi pilastri dell’amore e della giustizia, della verità e della libertà».

Giovanni Paolo II

Buona Pasqua a tutti!

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Radio Maria nelle carceri

Posté par atempodiblog le 28 mars 2015

Radio Maria nelle carceri
Il gran lavoro dei nostri volontari per portare sorriso e conforto ai detenuti
Tratto da: Il giornalino di Radio Maria

Radio Maria nelle carceri dans Amicizia 14o2d7k

“Non ero mai passata davanti a una chiesa in vita mia, ma ringrazio Dio per aver vissuto questo momento di preghiera”. Il ricordo della testimonianza di una giovane del carcere Pagliarelli fa ancora commuovere Giuseppe che due anni fa, insieme agli altri volontari dello Studio mobile di Palermo, ha trasmesso l’“Ora di Spiritualità” da uno dei carceri più affollati d’Italia (1181 persone, tra uomini e donne): “È stata un’esperienza incredibile: siamo stati accolti benissimo sia dai cappellani che dalle autorità, che in occasione della nostra diretta hanno dimostrato una grande carità nei confronti dei 200 detenuti  che hanno preso parte alla trasmissione. Prima di andare in onda siamo andati quattro volte a fare le prove e tutti hanno sempre partecipato, due di loro ci hanno addirittura aiutato a risolvere un problema tecnico”.

Stessa grande accoglienza, l’anno scorso, nel carcere di Trapani, che ospita 445 persone: “Il detenuto-artista che ha decorato il salone da dove abbiamo trasmesso ha voluto anche disegnare una bellissima Madonna in onore di Radio Maria”, dice Giuseppe, che non vede l’ora di tornare al Pagliarelli l’8 maggio, per trasmettere il Rosario e la santa Messa con i Vespri.

Non c’è dubbio: ogni volta che i volontari di Radio Maria entrano in uno dei 233 istituti di pena italiani per realizzare una trasmissione di preghiera è sempre una festa e alla fine, nel cuore di tutti, rimane sempre qualcosa di speciale, un sentimento di gioia e di gratitudine che rappresenta il giusto premio per un lavoro molto impegnativo. Dietro ogni diretta, infatti, c’è un’organizzazione che coinvolge detenuti, volontari, personale carcerario e che parte con diverse settimane di anticipo, necessarie per prendere contatto con i cappellani, ottenere il via libera dalle autorità, inoltrare le richieste d’ingresso negli istituti, risolvere i problemi tecnici che, in strutture così protette, inevitabilmente si moltiplicano. Eppure, nonostante tutte le difficoltà, ogni mese i nostri Studi mobili ci assicurano almeno una trasmissione dal carcere e, nel 2015, il numero dei collegamenti potrebbe addirittura aumentare.

Merito del progetto “Madre di Misericordia”, un altro “miracolo di volontariato” che ha reso ancora più stretto e fecondo il rapporto che da sempre lega Radio Maria al mondo del carcere. Dal 2011, infatti, la piccola squadra di volontarie capitanata dalla signora Giò Carrozza è stata in grado di contattare pressoché tutti i 242 cappellani italiani e di inviare loro rosari, vangeli, libretti di preghiera, immagini e soprattutto ben 15mila delle nostre radioline a forma di Madonna stilizzata, appositamente studiate per rispettare gli standard di sicurezza imposti per l’ingresso in carcere. Sussidi molto apprezzati dai sacerdoti e soprattutto dai detenuti, che ci mandano lettere commoventi.

“Ringrazio particolarmente Padre Livio che pregando si ricorda sempre di noi – ha scritto di recente un detenuto di Rebibbia –: stia certo che le nostre preghiere arriveranno anche a lui e a tutta l’associazione Radio Maria. Sono qui in attesa di una vostra parola di conforto che sempre mi portate”. Un conforto che si avverte in modo particolare ascoltando “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi”, la trasmissione condotta da don Giacomo Martino, cappellano del carcere di Genova-Pontedecimo, in onda il quarto e quinto lunedì del mese alle 22.45: un appuntamento molto apprezzato non solo da detenuti e addetti ai lavori, ma anche dagli ascoltatori che intervengono numerosi per porre le loro domande e conoscere più da vicino questo pezzo di società intriso di sofferenza ma anche di grande speranza, che troppo spesso tendiamo a rimuovere.

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Napoli abbraccia Papa Francesco, il “dolce Cristo in terra”

Posté par atempodiblog le 21 mars 2015

Napoli abbraccia Papa Francesco, il “dolce Cristo in terra”  dans Amicizia scsy1u

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