Quaresima, occasione di gioia per l’incontro con Gesù

Posté par atempodiblog le 17 février 2021

Mercoledì delle ceneri
Quaresima, occasione di gioia per l’incontro con Gesù
Con la celebrazione odierna iniziamo un cammino nel quale dobbiamo prendere coscienza che, ogni giorno, si ripresenta la verità di Cristo; siamo chiamati, cioè, a riscoprire quotidianamente la salutare forza della sua presenza e a sentire che è un cammino sicuro quello che la Chiesa ci invita a percorrere.
di Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio– La nuova Bussola Quotidiana

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È importante recuperare, nei suoi aspetti più significativi e nel solco della tradizione, ciò che la liturgia ci propone nei momenti più forti dell’anno. Il Mercoledì delle ceneri è l’antichissima e bellissima celebrazione con la quale la Chiesa inizia il cammino della Quaresima. Essa aiuta a capire che non si comincia un cammino, come quello quaresimale, senza la consapevolezza della fatica, facendo i conti con la delusione e la tristezza, inevitabili conseguenze di una vita che non poggia su Cristo.

Tuttavia, insieme a tutto questo dobbiamo tenere presente, fin dall’inizio, che è un cammino nel quale dobbiamo prendere coscienza che, ogni giorno, si ripresenta la verità di Cristo; siamo chiamati, cioè, a riscoprire quotidianamente la salutare forza della sua presenza e a sentire che è un cammino sicuro quello che la Chiesa ci invita a percorrere. L’uomo non teme il fatto di dovere camminare e, quindi, fare fatica, ma si spaventa di fronte a un cammino incomprensibile, del quale non conosce l’esito o, ancor peggio, della cui positività dubita.

Il nostro cuore, perciò, non può e non deve essere determinato solo e primariamente dalla consapevolezza del nostro limite, degli errori dei quali siamo responsabili, della nostra vulnerabilità rispetto alla mentalità del mondo. Non dobbiamo insistere solo sul male, ma recuperare a pieno il senso di quella gioia cristiana che ha investito la nostra esistenza come conseguenza dell’incontro con il nostro Signore Gesù Cristo, presente e attivo nella Chiesa. Ciascuno di noi è realmente, e non per modo dire, figlio di Dio, tanto che possiamo chiamare Dio con l’appellativo di Padre, rivolgendo a Lui, ogni giorno, la preghiera nella quale emerge massimamente la confidenza con Lui, la preghiera del Padre Nostro.

Il periodo della Quaresima è allora da considerare, innanzitutto, il periodo in cui la Chiesa apre il suo cuore, con rinnovata dolcezza e tenerezza, al mistero della presenza di Cristo; lo riscopre vivo – sarei tentato di dire, ripetendo una formula cara a Giussani – «dentro le ossa e il sangue della vita». È il mistero di una presenza che non si allontana mai da noi, che ci stringe a sé, che ci attrae a sé. Ricordo con tanta commozione l’immagine che sant’Ambrogio forniva della liturgia quaresimale: nel periodo della Quaresima è come se venissimo fasciati dalla presenza di Cristo, in modo che non ci lasci, che non ci abbandoni, che non si provochi un vuoto fra la sua presenza e la nostra vita. Cristo è, infatti, la presenza di Dio nella nostra vita. Nella Quaresima è come se Cristo ci stringesse a Lui chiedendoci di non sostituire con qualcosa d’altro questa sua mirabile presenza.

Ciò rende la nostra vita carica insieme di gioia e di tristezza. Gioia perché il Signore è presente e non ci abbandona mai. Tristezza perché spesso noi ci sorprendiamo a sostituire la sua presenza con qualcosa che sembra corrispondere di più. Questo è il peccato nella vita cristiana: pensare che possa esistere qualcosa che sostituisca la sua presenza.

Il Signore è una presenza incombente e tenerissima. Incombente perché investe tutti gli spazi della vita. Tenerissima perché il Signore dà alla nostra vita il suo senso vero, il suo significato profondo.

Così, cominciare un’altra volta il cammino quaresimale significa mettere i nostri passi sull’unica strada che non ci deluderà mai. Il cammino che siamo chiamati a percorrere dietro a Cristo è un percorso sicuro perché il Signore guida i nostri passi su quella strada certa che, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, apre il nostro cuore a Colui che, unico, non può tradire né mentire. E questo è ciò che rende la nostra vita lieta.

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Domenica delle Palme

Posté par atempodiblog le 25 mars 2018

Domenica delle Palme
La Domenica delle Palme segna l’inizio della Settimana Santa, come ben ricorda la monizione che precede la liturgia e introduce la processione: “Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della morte e Resurrezione”.
di Mons. Luigi Negri– La nuova Bussola Quotidiana

Domenica delle Palme dans Commenti al Vangelo maesta-duccio-ingresso-a-gerusalemme

La Domenica delle Palme segna l’inizio della Settimana Santa, come ben ricorda la monizione che precede la liturgia e introduce la processione: “Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della morte e Resurrezione”. Già queste parole ci consentono di entrare nel cuore della celebrazione, che ha come suo punto d’inizio il ricordo dell’ingresso messianico di Cristo a Gerusalemme, il Re di tutti i secoli e Nostro Signore che entra nella Città Santa sul dorso di un’umilissima asina, adempiendo così la profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9, 9).

I rami e i mantelli che la folla stese sulla strada sono il segno di un popolo che acclama il suo re, senza tuttavia immaginare che la regalità di Cristo avrebbe trovato il suo compimento sul Calvario. È la logica di Dio, così sorprendente e scandalosa per il mondo, è il mistero della croce che è già contenuto in quello che per la logica umana ha l’apparenza di un ossimoro: il Re su un asino. Un Re al quale i fanciulli cantano “Osanna al figlio di Davide”, che sconcerta chi detiene una qualche forma di potere terreno (“non senti quello che dicono?”, domandano sdegnati gli increduli scribi e sommi sacerdoti), a cui Gesù ricorda la necessità di farsi piccoli per entrare nel Regno dei Cieli, rievocando il Salmo 8: “Sì, non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?”.

Ecco perché il culmine della liturgia odierna non può che essere la Passione. Tutte le letture mostrano il commovente legame tra l’Antica e la Nuova Alleanza che si realizza in Cristo, il divin Verbo che ama ciascuno di noi e perciò abbassatosi fino a noi per mantenere le promesse di salvezza, ossia la liberazione dal peccato e dalla schiavitù a cui ci assoggetta Satana con i suoi inganni. Solo Cristo è la risposta al male, solo dalla sua croce – che ogni cristiano è chiamato a portare – passano la vittoria sulla morte e la gloria eterna, e non per nulla la liturgia della Parola si apre con un’altra profezia avverata, riprendendo un passo cristologico di Isaia, noto come Terzo canto del Servo: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50, 6). Il Servo cantato da Isaia è la prefigurazione di Gesù sofferente e obbediente in tutto alla volontà del Padre, per espiare i nostri peccati e realizzare il disegno salvifico.

La processione che precede la liturgia è documentata a Gerusalemme fin dal IV secolo, presto estesasi in altri centri della cristianità come la Siria e l’Egitto. Con il tempo la processione accrebbe la sua importanza, arricchendosi di inni sacri e della rituale benedizione delle palme, attestata dal VII secolo. In quest’epoca operò tra gli altri un celebre innografo e teologo come sant’Andrea di Creta (c. 650-740), che sulla Domenica delle Palme scrisse: “Corriamo anche noi insieme a Colui che si affretta verso la Passione e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a Lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti e altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai Suoi piedi le nostre persone. […] Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele”.

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Monsignor Luigi Negri: “Idee eretiche. I grillini perché vengono a messa?”

Posté par atempodiblog le 10 juin 2015

Ferrara, vescovo vs M5s: “Idee eretiche. I grillini perché vengono a messa?”
Monsignor Luigi Negri, in un’intervista al Messaggero, attacca lo “scientismo tecnocratico di Casaleggio” che “diffonde l’idea che l’uomo sia uguale a Dio”
Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Monsignor Luigi Negri: “Idee eretiche. I grillini perché vengono a messa?” dans Articoli di Giornali e News qn7987

“I libri di Casaleggio diffodono l’idea sbagliata che l’uomo sia uguale a Dio. E’ un’eresia”. L’arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, al Messaggero attacca il Movimento 5 Stelle e i suoi elettori, responsabili di generare “la formazione del pensiero unico da diffondere grazie al web”. Una “deriva che non è uno scherzo”. Il punto, per il prelato, è che il movimento politico sostiene una “sostanziale equiparazione tra l’uomo e Dio, e che l’autorità suprema delle scelte è la rete”.

Una posizione di “scientismo tecnocratico” che è la “forza più subdola che la Chiesa oggi si trova a combattere”e che per Negri è incompatibile con la religione cattolica.

“Mi chiedo che senso abbia – dice – la partecipazione ad un mistero come l’Eucaristia, che è Cristo che si è fatto uomo”. E si chiede anche “che ci vengono a fare a messa”, perché “a chi non crede nella Trinità e pensa che tutto si possa costruire con le proprie mani, compreso la salvezza…beh, ne tragga le conseguenze”.

Quello di Negri, che in passato aveva anche “scomunicato” il film di Rob Zombie Le streghe di Salem, “non è un giudizio politico, ma culturale”, e il monsignore è convinto che M5s “sul piano degli atteggiamenti pratici dà origine a posizioni inaccettabili“. Nel mirino c’è “l’ideologia di base”, e “soprattutto il primo capitolo” del libro del cofondatore Gianroberto Casaleggio “dove esiste un’equazione tra l’uomo e Dio”.

Al responsabile della diocesi di Ferrara, il Messaggero ricorda di essere stato “più volte contestato” dagli esponenti cittadini del Movimento. A ricordare l’episodio dello scontro è lui stesso: in consiglio comunale “si sono battuti per fare pagare alla Chiesa una tassa per le manifestazioni religiose che transitano davanti al Duomo. Tipo le processioni del Corpus Domini per intenderci. Ma la cosa non è passata”. Ma a parte questo, specifica, “non ci sono problemi di sorta”. Dopo quell’episodio, Negri dice di averli criticati per il “loro giacobinismo”. Poi ha fatto dietrofront: “Dopo – conclude – mi sono pure pentito di averlo detto, anche se la maggioranza dei Cinque Stelle non sa nemmeno chi siano i giacobini. Oggi, purtroppo, sono in tanti a non conoscere più la storia”

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Un pastore allarmato di fronte a posizioni e politiche che affermano che “l’uomo è Dio”…

Posté par atempodiblog le 24 avril 2013

DAL REVIVAL DI IDEE DEL PRIMO HITLERISMO ALLE LEGGI SULLE UNIONI GAY, “NON È GIUSTO CONTINUARE IN UN’EQUIVOCA TOLLERANZA”. NÉ PER I CATTOLICI, NÉ PER LE PERSONE RAGIONEVOLI
Tratto da: Corrispondenza Romana

Un pastore allarmato di fronte a posizioni e politiche che affermano che “l’uomo è Dio”… dans Fede, morale e teologia monsluiginegri

(Il Foglio del 19/04/2013) Carissimo direttore, poiché mi trovo quasi sempre d’accordo con le tue posizioni dal punto di vista cultural-politico, mi permetto di farti avere delle osservazioni che sento assolutamente necessario, in coscienza, formulare e pubblicare. Mi hanno indotto a questo anche due bellissimi articoli che ho letto recentemente sulla questione dell’assetto cultural- social-politico in questo momento tragicomico della nostra storia nazionale.

Uno è un articolo del professor Francesco Alberoni sul fanatismo devastante di certe posizioni politiche, che mi ha ricordato i tempi indimenticabili dei miei studi universitari, in cui l’allora giovane professor Alberoni ci insegnava i rudimenti della sociologia. E poi l’articolo molto acuto del professor Aldo Grasso con cui ho condiviso tanti anni di insegnamento in Cattolica.

Non voglio fare nessun intervento nell’ambito specifico dell’impegno dei laici, soprattutto dei laici che hanno deciso di partecipare attivamente alla vita delle istituzioni. Non tocca ai vescovi stabilire l’identikit del presidente della Repubblica e non tocca ai vescovi indicare le priorità di carattere politico in senso stretto, ma tocca ai vescovi intervenire sulle gravi vicende di carattere culturale che sono arrivate, nel nostro paese, a un livello di crisi che mi sembra senza ritorno.

Mi sono chiesto se è giusto che noi continuiamo a tacere di fronte a posizioni culturali, sociali e politiche che affermano letteralmente che l’uomo è Dio; e che affermano una subordinazione totale e parossistica alla rete, indicata come soluzione globale di tutti i problemi dell’umanità.

Se si possa tacere di fronte a una modalità di porsi, nella vita politica, che disprezza, nel linguaggio e negli atteggiamenti, qualsiasi interlocutore che viene sbrigativamente percepito come avversario da eliminare. Se è possibile far prevalere tutta una serie di valutazioni personalistiche di carattere moralistico come ambito in cui decidere la presentabilità o meno di candidati a questa o a quella carica. A parte l’ignoranza spaventosa per cui si possono citare frasi del primo hitlerismo e di alcuni documenti delle più terribili dittature del Ventesimo secolo cercando di dargli una patente di credibilità e di autorevolezza. In questo contesto, dove una persona ragionevole, io non vorrei scomodare la fede, una persona ragionevole si trova veramente a disagio, ritengo che sia giusto che un vescovo della chiesa cattolica dica che c’è una sostanziale inconciliabilità fra la visione della realtà che nasce dalla fede e questa vita politica ridotta alla difesa accanita dei propri interessi particolari o di formazione ideologica.

Non credo che sia giusto che si possa continuare in un’equivoca tolleranza di posizioni che obiettivamente sono distruttive, non solo e non tanto della fede cattolica, ma di una vita sociale autenticamente fondata su valori sostanziali e inderogabili, quelli che Benedetto XVI aveva così genialmente sintetizzato nell’espressione “valori non negoziabili”.

Di fronte alla proposta di una vita socio- politica ridotta a posizioni teoriche demenziali, corredate da un linguaggio e relativi atteggiamenti dello stesso tipo, io mi sento di dire con tranquillità, almeno ai fedeli cattolici della mia diocesi, che non è possibile essere cristiani e contemporaneamente appoggiare a qualsiasi livello posizioni e scelte che sono evidentemente in contrasto con la concezione della vita che la chiesa, coerentemente, da duemila anni insegna. Se poi la novità è rappresentata, anche sul piano istituzionale, da disegni di legge che riguardano il riconoscimento civile delle unioni gay, il cambiamento a spese del Servizio sanitario nazionale del sesso, ci rendiamo conto da che parte va questa presunta novità.

Ma c’è un ulteriore e ultimo disagio. Mi sono chiesto in questi giorni: ma dove è finita la presenza politica dei cattolici in Italia? Si caratterizzano per le scelte politiche che fanno, destra o sinistra, ma non più per quella vera appartenenza a valori in forza dei quali diventa possibile un vero dialogo, confronto, e al limite la collaborazione.

Mi sono reso conto con amarezza che la presenza politica dei cattolici sembra non esistere più. Esistono dei cattolici che a titolo sempre più personale, quindi nel senso restrittivo della parola, militano di qua o di là ma ricevono la loro dignità dalla scelta analitica che hanno fatto. E forse qui non è in ballo soltanto la responsabilità dei laici. Forse l’azione educativa che noi dovremmo insistentemente riprendere con i nostri laici, soprattutto quelli impegnati nei campi più difficili, sembra essere venuta meno. Non so se non è più chiesta. Resta il fatto che da noi vescovi viene offerta in modo sempre più blando e sempre meno mordente. Non è un contributo ma non credo che potessi tacere ai fedeli della mia chiesa questa direttiva che ho ritenuto necessario dare.

Siccome poi il vescovo di una diocesi particolare vive e deve vivere un affetto per la chiesa universale, pongo questo mio intervento a disposizione di quanti, nelle altre chiese, possano riconoscersi e ritrovarsi in esso.

Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara – Comacchio

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SINODO/ Luigi Negri: nel mondo anticristiano di oggi ci attende un nuovo martirio

Posté par atempodiblog le 9 octobre 2012

Il Sinodo dei Vescovi, dedicato a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, è incominciato come un grande evento di fede e di comunione illuminato dalla presenza forte di Benedetto XVI. La Messa inaugurale, domenica scorsa, nella quale il Santo Padre ha attribuito il titolo di dottore della Chiesa a San Giovanni d’Avila e a Ildegarda di Bingen, ha connesso la celebrazione del Sinodo al grande evento del Concilio, all’anno della fede, alla riscoperta del catechismo della Chiesa cattolica come strumento fondamentale per l’approfondimento della identità della fede.
Oggi, partecipando per intero, mattina e pomeriggio, ai nostri lavori, Benedetto XVI ha dato il tono altissimo di un sinodo che in tanto saprà affrontare adeguatamente i problemi dell’evangelizzazione e della trasmissione della fede, se sarà all’altezza dell’esperienza della fede. Ha quindi richiamato tutti i padri sinodali a recuperare il senso vivo dell’evento della fede. Occorre, aveva detto nella sua omelia di domenica, “un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale”. Fede è l’incontro con Cristo e la sequela di Lui, l’immedesimazione con la sua vita, con il suo temperamento, con il suo modo d’essere e di sentire, perché soltanto in questa immedesimazione e per questa immedesimazione, la nostra vita umana si compie in maniera piena e profondamente corrispondente alle esigenze fondamentali del nostro cuore.
E così questa traboccante esperienza di umanità ci mette sulla strada degli uomini nostri fratelli, con una grande capacità di giudizio, per cui evangelizzazione non può significare in nessun caso un irenismo concordistico, un andare d’accordo per andare d’accordo, un dialogo per il dialogo, ma vorrà dire una capacità di porre di fronte al cuore di ogni uomo l’avvenimento di Cristo perché, se l’uomo vuole, possa seguirlo.
I termini sono dati con estrema sintesi e con grande paternità. Il lavoro è cominciato, sono arrivate esperienze diverse di tutti i continenti, anche, come è facile immaginare, esperienze di dolore e di sofferenza.
C’è stato, infine, un inatteso richiamo al martirio come dimensione inevitabile dell’evangelizzazione in un mondo disperato e anti-cristiano come quello in cui viviamo.
È cominciata una grande esperienza ecclesiale, intellettuale, morale, e quindi di servizio pieno alla Chiesa, in tutta la materialità della nostra esistenza.

Mons. Luigi Negri
Tratto da: ilsussidiario.net

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L’animalismo è l’idolatria del terzo millennio

Posté par atempodiblog le 20 février 2011

“In certe posizioni animaliste a oltranza che teorizzano l’intoccabilità della natura e degli animali si esprime il ritorno alla mitologia, una sorta di eliminazione di millenni di civiltà”.
di Mons. Luigi Negri (Vescovo di S. Marino e Montefeltro)

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Intervista a Mons. Luigi Negri:
“L’uomo postmoderno, spaventato dagli effetti degradanti di un razionalismo che è diventato tecnoscientismo e che tende a considerare la realtà come oggetto di manipolazione, ha cominciato ad affermare la intangibilità del dato naturale, cadendo però in una sorta di idolatria della natura. Alla volontà di dominio sulla natura viene contrapposta la volontà naturale, ma in questo modo si verifica una esaltazione della natura che finisce per avere non la stessa dignità del soggetto umano, ma addirittura superiore. Perché il soggetto umano si sarebbe macchiato del peccato di aver manipolato la natura”.
E in effetti l’ha anche manipolata con conseguenze nefaste…
“Certo, e l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI lo denuncia con chiarezza. Gli eccidi perpetrati ai danni della natura soprattutto in alcune aree del mondo, sono l’espressione di una volontà di dominio assoluto e cieco sulla natura stessa che ha avuto ripercussioni disastrose anche sugli uomini. La risposta non può però essere l’idolatria della natura, un ambientalismo ideologico che in alcune situazioni, anche in Italia, ha ingessato lo sviluppo, impedito la realizzazione di opere pubbliche e di strade che invece avrebbero migliorato la vita delle persone. Così come il rispetto degli animali e la loro protezione quando siano a rischio di estinzione, sono principi indiscutibili, ma non si può subordinare la vita, la dignità e la libertà degli uomini a quella della natura e degli animali. Tutti gli “ismi”, nella fattispecie anche l’animalismo, così come tutte le assolutizzazioni, nascono da un sostanziale squilibrio all’interno dell’uomo.”
In tanti si battono per salvaguardare gli animali mentre cala il silenzio sulla difesa della vita degli uomini.
“Purtroppo è un’evidenza incontrovertibile: oggi si difendono gli animali, ai quali vengono attribuiti diritti che sono propri dell’uomo, e poi si accetta l’aborto, cinque milioni di italiani non nati di cui quasi nessuno sembra darsi pensiero, oppure le manipolazione genetiche…”
Quale ribaltamento di valori è avvenuto per arrivare a tanto?
“La sacralità e la indisponibilità della vita dell’uomo prima di non essere considerate un valore, vengono stizzosamente percepite come qualcosa che appartiene al passato. Mi sembra questo il ribaltamento, direi esistenziale, al quale si assiste. Dentro l’universo naturale e animale che per una diffusa mentalità corrente costituisce ormai una sorta di unità indifferenziata, vengono quasi a scomparire le differenze fra animali e uomini dotati di ragione e di volontà. Ciò che è sancito nei primi due capitoli del libro della Genesi, cioè la superiorità dell’uomo sugli animali e sulla natura, e che da questo punto di vista appartiene davvero alla cultura universale, resta sullo sfondo. La sacralità della vita sembra qualcosa di poco interessante e la ruota della storia sembra girare nel senso di una natura indifferenziata anziché in quello di un universo chiamato a misurarsi con l’uomo, centro del cosmo e della storia”.
Però l’uomo al centro del cosmo ha dato anche segni di dispotismo.
“Adamo è creato perché possa realizzare pienamente la sua personalità nel dialogo con il mistero di Dio e, contemporaneamente, esercitare nei confronti dell’universo un potere non dispotico e distruttivo, ma finalizzato alla piena realizzazione di sé attraverso un uso intelligente della realtà naturale e animale. Per questo Dio consente all’uomo di dare un nome a tutte le creature, e il nome significa l’identità e destinazione”.
Lei ha parlato di idolatria della natura e degli animali, cosa intende esattamente?
“La forma più diffusa di idolatria, ma anche la più comica, alla quale stiamo assistendo nel terzo millennio, è quella verso la natura e gli animali. Dopo l’idolatria per le ideologie, per le grandi idee e progettualità socio-politiche, ha preso il sopravvento quella naturalista e animalista. Il pensiero debole che costituisce il pane quotidiano della nostra società, non è quello che mette un crisi la metafisica o la scienza, ma è l’adorazione degli animali in natura, delle spiagge da sogno, dei fondali marini e così via. Oggi non ci si scandalizza se un bambino viene gettato nella spazzatura, ma ci si irrita e ci si mobilita per gli animali degli zoo e dei circhi, per i cani abbandonati, per il destino dei pesci e così via. Ma se l’uomo è solo una variabile all’interno del grande orizzonte della natura, siamo davanti alla soppressione della idea fondamentale della metafisica, che cioè tocca all’uomo rivelare l’essere, il mondo, e portarlo al suo senso, al suo destino e utilità ultimi”.
Un ritorno indietro di qualche millennio nella storia del pensiero occidentale?
“A prima dei presocratici e di Aristotele, ma direi meglio a prima del mito, che è la prima forma di intelligenza e afferma la distinzione fra la realtà e l’uomo. Siamo a quella sorta di indistinzione metafisica e fisica fra uomo e natura che caratterizza il buddismo. Jacques Maritain all’inizio del secolo scorso diceva che il buddismo è una forma di pensiero debolissimo e quando l’occidente lo avesse scoperto e gli avesse attribuito un valore fondamentale, quello sarebbe stato il segno della crisi dell’occidente. Mi sembra sia stato un buon profeta. L’embrione della civiltà si forma quando l’uomo prende in qualche modo coscienza di essere di più della realtà naturale ed animale e perciò inizia a non vivere più come un animale. La civiltà comincia quando l’uomo non accetta più un’esistenza raminga nelle caverne, al pari dell’animale, non accetta di morire per le strade ed essere lasciato all’incuria della natura e degli altri animali, ma quando fissa una dimora stabile e quando incomincia ad inumare coloro che sono morti. Questo è il piccolo ma inesorabile passo che indica dice l’uomo supera infinitamente il contesto naturale ed animale”.
Anche l’ammaestramento degli animali è visto come una rottura dello stato di natura e come tale da condannare. Perché?
“Perché alla base c’è un’idea di intoccabilità della natura, considerata come qualcosa di definitivamente compiuto e perciò di divino (nel senso in cui l’ha inteso la filosofia greca). Ma che la natura sia già compiuta è una aberrazione, perché se non si potesse toccarla e usarla, non solo morirebbe l’uomo ma la natura stessa e si estinguerebbero anche gli animali, i quali esistono per una forma di dialettica, a volte anche pesante, visto che quelli più forti divorano i più deboli. Il naturalismo ad oltranza è irrealistico, così come tutti i termini mitologici”.
Roger Scruton sostiene che il pensiero animalista-naturalista dei giorni nostri affonda le sue radici nel secolarismo. Cosa ne pensa?
“Concordo, nel senso che il secolarismo taglia le radici con qualsiasi questione di carattere meta-storico e meta-naturale, provocando una ‘mutilazione’ nell’uomo. Il quale mantiene un’esigenza spirituale profonda, che è quella di superare il finito per trovare nell’assoluto la ragion d’essere del contingente. Un uomo così amputato ha ancora l’esigenza dell’assoluto, che rimane e non può essere sradicata. E siccome questa esigenza ha bisogno di esprimersi, l’idolatria della natura e degli animali diventa un modo per ‘scaricare’ la dimensione religiosa, anche se in modo irragionevole e assolutamente inadeguato. E’ quell’irrazionalismo postmoderno che si contrappone specularmente, come per un movimento del pendolo, all’iper-razionalismo scientista e tecnologico”.
Eppure ci sono anche sacerdoti che firmano manifesti sulla coscienza degli animali.
“Non hanno letto la Bibbia o hanno smarrito l’antropologia cattolica, ma direi l’antropologia naturale, che vede nell’uomo il soggetto adeguato di comprensione e di uso di una realtà diversa da lui e alla quale non può essere ridotto. Mi sembra che siano in crisi non solo la metafisica e la teologia, ma anche quel buonsenso che è il primo alleato di una retta ragione e di una retta fede. Il senso comune capisce che un cammello non è un uomo, che non ha la coscienza di un essere umano. Già San Tommaso parlava di una capacità cogitativa, di ordinamento delle sensazioni, di interiorizzazione del pericolo da parte degli animali, ma la coscienza è altro, è ciò che consente il trascendimento del dato naturale nella sua comprensione definitiva”.
E si può parlare di diritto alla vita per gli animali, così come fa appunto il “manifesto sulla coscienza degli animali”?
“Utilizzare il termine diritto per un animale significa equipararlo al soggetto umano, mentre la natura è governata da una legge che afferma il diritto globale della natura ad essere se stessa e in questo diritto è contenuto anche l’ordine del rapporto fra le varie realtà che fanno parte della natura. Non si può scorporare un diritto degli animali e farlo valere come prioritario”.
Eppure è questo che sta avvenendo.
“Certo, ma perché siamo in presenza di una antropologia animale. Ma questo conferma la perdita totale anche del buonsenso di cui parlavo prima”.
Lei è stato chiamato a far parte del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Cosa pensa degli sbarchi che stanno interessando le coste italiane come mai si era verificato in precedenza?
“La Chiesa è provocata dai fatti drammatici ai quali stiamo assistendo, a considerare questi fratelli innanzitutto come interlocutori, soggetti di una rinnovata evangelizzazione. L’ingresso di popolazioni diverse come formazione, etnia, cultura, tradizione religiosa, costituisce una sfida all’occidente ma in particolare alla Chiesa cattolica”.
Ma gli immigrati sono una minaccia o una ricchezza?
“Devono essere sentiti anzitutto dalla Chiesa come una grande e inedita possibilità di evangelizzazione. A questi uomini che giungono a migliaia nel nostro contesto culturale, la Chiesa deve offrire ciò che ha di più caro, che custodisce con fedeltà assoluta e che comunica con una dedizione totale: il mistero di Cristo morto e risorto, redentore dell’uomo e centro del cosmo e della storia. Ma perché questa evangelizzazione sia possibile deve calarsi in un contesto di accoglienza umana nella quale i diritti fondamentali della persona e il rispetto della dignità siano riconosciuti ed attuati. La Chiesa però non esaurisce il suo compito quando gli immigrati e gli itineranti sono stati accolti in maniera umanamente e fisicamente adeguata, ma allorquando sia possibile aprire con essi un dialogo sul loro destino. Io credo che a questa evangelizzazione debba seguire un momento di formazione e maturazione culturale della coscienza personale e sociale, che li renda soggetti vivi e interattivi dentro la vita della società in cui sono entrati, quindi capaci di difendere i propri diritti nel rispetto delle legge e degli ordinamenti della società che li ha accolti”.
C’è il rischio che la Chiesa si confini solo in un ambito di “soccorso” ai bisogni concreti e materiali?
“Questo rischio si corre sempre, ma la Chiesa non è un’agenzia di carattere socio-politico, che si occupa dei diritti delle maggioranze o delle minoranze, ma ha una funzione di evangelizzazione. Se si riuscirà a fare avvertire nella Chiesa e nella società questo nuovo itinerario, credo che si sarà fatto molto sia per la pastorale dei migranti e sia per i migranti stessi”.

di Claudio Monti
Fonte: Circo.it

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Una Verità che mi trascende

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2008

Una Verità che mi trascende dans Citazioni, frasi e pensieri monsnegritp5

“Si dice che non si può parlare della verità, se non si è coerenti. Come dire che la forza della verità si fonda sulla coerenza con cui io la vivo. Io preferisco affermare una Verità che mi trascende e mi giudica: le chiedo di rendere la mia vita meno incoerente, di aiutarmi ad essere testimone di una verità che salva. Se parlassero solo quelli che si credono coerenti, ci sarebbe un silenzio assordante, rotto soltanto dagli scribi, dai farisei e dagli imbecilli”.

di Mons. Luigi Negri (Vescovo di S. Marino e Montefeltro)

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