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Santa Teresina e la Vergine del sorriso (13 maggio 1883)

Posté par atempodiblog le 13 mai 2013

Santa Teresina e la Vergine del  sorriso (13 maggio 1883) dans Riflessioni teresinaelaverginedelso

Spesso si dice che santa Teresa del Bambin Gesù non ebbe mai segni, nulla di straordinario, nella sua vita… in realtà non è vero. Dio da a ogni anima dei segni… chi fa un sogno, chi vede gli occhi di un immagine muoversi e così via… i segni sono importanti, come afferma anche padre De la Potterie.

Teresa di Lisieux, gravemente ammalata, tanto da far temere per la sua vita, fu miracolosamente guarita il 13 maggio 1883, domenica di Pentecoste, dall’intervento della Santissima Vergine.

Teresina vide la statua viva e maternamente sorridente, nello splendore della sua eterna giovinezza. Anche su questa vita eccezionale la Santa Vergine ha posto il sigillo di santità. D’altra parte come avrebbe potuto essere la santa dell’infanzia spirituale senza avere la Madonna come Maestra? E non è forse la Madonna colei che ci dona il Bambino Gesù?

Sunto di una riflessione di padre Livio Fanzaga

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Proclamati santi i martiri di Otranto

Posté par atempodiblog le 12 mai 2013

E’ più facile staccare la mia testa dal mio corpo, che il cuore dal mio Signore”. (Duca di Gordon)

Proclamati santi i martiri di Otranto  dans Stile di vita martiriotrantovaticano

I Martiri di Otranto ufficialmente santi. La gioia di una comunità in festa

Nella celebrazione in Piazza San Pietro la canonizzazione di Antonio Primaldo e Compagni, uccisi dai turchi nel 1480. Papa Francesco nell’omelia: “Dove trovarono la forza? La fede fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano”

Tratto da: OtrantoToday – Lecceprima.it

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La giovane Italia non pensa cattolico

Posté par atempodiblog le 11 mai 2013

Rapporti prematrimoniali, convivenza, divorzio e contraccettivi: tutto normale secondo i ragazzi del terzo millennio. Lo rivela un’inchiesta molto attendibile. Brutte sorprese anche nelle risposte dei cattolici praticanti
di Mario Palmaro – Il Timone

La giovane Italia non pensa cattolico dans Mario Palmaro mariopalmaro

Italia, 2011: che cosa pensano i giovani in materia di matrimonio, contraccezione, omosessualità, aborto, figli in provetta, eutanasia? La risposta arriva da un sondaggio – serio e per nulla fazioso – promosso dall’Associazione Difendere la Vita con Maria, e realizzato dall’Università Cattolica e dalla Fondazione ESAE. Gli intervistati sono giovani fra i 14 e i 25 anni di Novara e provincia, e sono un campione rappresentativo, che fotografa il modo di pensare di un ragazzo italiano all’inizio del terzo millennio.
C’è poco da stare allegri. Cominciamo dal matrimonio: un massiccio 69% di giovani considera normale la convivenza prematrimoniale. I decisamente contrari sono poco più di 7 su 100. “Quando è giusto avere il primo rapporto sessuale?” Un etereo 2,9 per cento risponde «dopo il matrimonio». Per il 52 per cento «solo quando si è innamorati», mentre per il 18% «qualunque momento va bene».
I ragazzi del 2011 non sembrano ostili al matrimonio, e il 60% si rifiuta di definirlo superato. Ma più del 44% è d’accordo o abbastanza d’accordo nel definire il divorzio «una possibilità normale». E circa il 50% pensa che non debba essere evitato a tutti i costi.

C’era una volta la morale
Tutta l’etica sessuale – o almeno quello che ne rimane – è coerente con questo approccio. L’ultimo tabù rimasto é “tradire il proprio partner”, giudicato come grave o inaccettabile da un massiccio 70%. D’altra parte, i giovani formano un “partito bulgaro” di favorevoli alla contraccezione: più dell’82% degli intervistati ritiene che usare metodi anticoncezionali «non è per niente grave». Solo per 8 ragazzi su 100 è invece molto grave o inaccettabile. Si registra in questo caso la quota più modesta di «non sa, non risponde», pari al 4,8%. È il trionfo della cultura contraccettiva, humus ideale nel quale prosperano la precocità delle prime esperienze sessuali, la convivenza prima o in luogo del matrimonio, la giustificazione dell’aborto «almeno in certi casi».
Secondo il 41% dei giovani, avere rapporti omosessuali rimane «molto grave o inaccettabile»; ma di poco inferiore (37,7%) è il gruppo secondo il quale «non è per niente grave». Si tratta di numeri che rivelano un epocale cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’omosessualità. «Un figlio può avere genitori dello stesso sesso?»: più del 60% dei giovani é decisamente o almeno abbastanza in disaccordo, ma il 20% si dichiara abbastanza o decisamente d’accordo. Secondo il 38% degli intervistati una “donna sola”, se vuole, ha il diritto di avere un figlio.

Aborto, diritto intoccabile
Per quanto riguarda l’aborto, quasi il 46% dei giovani sostiene che la persona umana esiste dal concepimento: un dato incoraggiante, anche se non si deve trascurare un 34% che colloca l’inizio della persona «dopo alcuni giorni o mesi dal concepimento», e il solito piccolo esercito (20,2%) di enigmatici «non sa, non risponde». “Se tu fossi incinta, potresti pensare di abortire?” A un sorprendente 44,2% che risponde decisamente «no, mai», fa da contraltare un 16% di «sì, senz’altro», affiancato da un 39,8% di possibilisti «sì, forse». Non cambiano di molto le risposte da parte dei maschi, chiamati a misurarsi con l’ipotesi che sia la loro ragazza ad aspettare un bimbo. Il 94,4% degli intervistati dichiara con sicurezza di sapere che cosa sia «la pillola del giorno dopo», ma il 31% è convinto si tratti di un normale contraccettivo, ignorando che essa è potenzialmente anche abortiva. Risultato: per il 44,7% il ricorso alla pillola del giorno dopo «non è per niente grave», e solo un modesto 14,5% giudica molto grave o inaccettabile un simile comportamento. Se la gravidanza è indesiderata, o se vi sono delle difficoltà economiche, più del 20% ritiene che non sia per niente grave abortire, mentre il 35% è decisamente contrario. Se invece l’aborto è praticato per tutelare la salute della madre, i favorevoli passano a un massiccio 48,5%, e i contrari a un modesto 15,4%.
Un dato singolare: nonostante la diffusa mentalità eugenetica che porta a eliminare i figli «difettosi», i giovani del sondaggio sembrano meno favorevoli all’aborto per malattie del feto: il 26% ritiene che in questa situazione abortire non sia per niente grave, ma il 21,5% pensa che sia abbastanza grave, e quasi il 40% giudica molto grave o inaccettabile l’aborto eugenetico. Si tratta del dato positivamente più sorprendente dell’intera ricerca. Le resistenze all’aborto crollano di fronte ai cosiddetti «casi limite»: per la metà dei giovani intervistati (il 50,5%) l’aborto non è per niente grave in caso di violenza sessuale, mentre uno “zoccolo duro” del 13,5% lo condanna. In molte risposte emerge in filigrana il principio di autodeterminazione della donna, veicolato dalla legge 194 del 1978: il 18,6% ritiene che, se un’amica confidasse di voler abortire, non le direbbe nulla. Percentuale alla quale andrebbero sommati il 19,2% che «non sa, non risponde», e il 17% che ritiene la decisione di abortire «un problema solo suo». Peraltro, più del 55% é decisamente o abbastanza d’accordo che il padre del concepito dovrebbe potersi opporre all’aborto. L’affermazione perentoria secondo cui «nessuno ha diritto di decidere di abortire» trova decisamente d’accordo, però, solo uno striminzito 9,6% del campione.

Plebiscito per la dolce morte e i figli in provetta
L’eutanasia? Per il 42% non è per niente grave, contro un 22% che la giudica illecita. E la fecondazione artificiale? I giovani attribuiscono una imponente legittimazione al cosiddetto «figlio in provetta»: il 68% degli intervistati ritiene che «non è per niente grave». A resistere il «solito » zoccolo duro del 13,7% che giudica molto grave o inaccettabile la fecondazione artificiale. Il dato è, francamente, impressionante. La stessa popolazione che conserva remore morali comunque significative sull’aborto procurato, sugli atti omosessuali e sul divorzio, assume invece un atteggiamento totalmente assolutorio sul «figlio in provetta», in misura di 7 intervistati su 10. C’è di che riflettere sulle “strategie” adottate in materia di legge 40 del 2004.

Cattolici, praticanti e sorprendenti
E i giovani cattolici “praticanti regolari”? Forse è questa la parte più sconvolgente del sondaggio: il 33% spiega che potrebbe pensare di abortire; il 20% definisce la pillola del giorno dopo “un normale metodo anticoncezionale” e il 26% sostiene che non è per niente grave usarla. Abortire per la salute della madre non è per niente grave secondo il 37% dei giovani cattolici praticanti; in caso di violenza carnale, sono favorevoli il 31%. L’affermazione “nessuno ha diritto di decidere di abortire” trova d’accordo solo il 16% dei cattolici praticanti. Il 12% dei ragazzi che vanno in chiesa almeno ogni domenica ritiene che usare droghe leggere non sia per niente grave. Capitolo omosessualità: per il 21% dei giovani praticanti “non è per niente grave”. L’eutanasia? Per il 22% si può fare senza problemi, per il 35% è molto grave o inaccettabile, il 24% non sa o non risponde. La debacle più vistosa arriva sulla contraccezione: il 71,2% ritiene che usarla non sia per niente grave. Ma anche la fecondazione artificiale raccoglie consensi massicci, superiori al 50%. I rapporti prematrimoniali e la convivenza prematrimoniale sono condannati da un modesto 12%.
Da qualche anno si parla, anche in casa cattolica, di emergenza educativa. Leggendo questi numeri, forse sarebbe meglio parlare di una debacle: il Magistero della Chiesa insegna che convivenza e rapporti prematrimoniali sono peccato grave, ma 9 giovani su 10 che vanno alla Messa tutte le domeniche pensano esattamente il contrario. Evidentemente, in troppe chiese e parrocchie il “piatto” della dottrina cattolica piange. Urgono immediate e robuste contromisure.

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Inoltre iconarrowti7 Una dottrina propria

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Un’indagine svela l’“effetto Francesco”

Posté par atempodiblog le 11 mai 2013

Un’indagine svela l’effetto Francesco”
di Massimo Introvigne – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Ascolta tua Madre

Un'indagine svela l'“effetto Francesco” dans Andrea Tornielli papafrancescomisericord

Il primo a rilevarlo è stato, tra i giornalisti, l’amico Andrea Tornielli. C’è un «effetto Francesco» e a Pasqua, commossi dagli appelli del nuovo Papa ad affidarsi senza riserve alla misericordia divina, molti «lontani» sono tornati in chiesa, spesso dopo tanti anni, e si sono confessati. Anch’io ho sentito tanti aneddoti di questo genere, non solo in Italia, raccontati da sacerdoti o religiosi, e anche da autorità ecclesiastiche, e ho verificato questo effetto in ambienti dove non me lo sarei mai aspettato.

Siccome però sono un sociologo, diffido sempre un po’ delle impressioni aneddotiche e preferisco affidarmi ai dati quantitativi. Il centro che dirigo, il CESNUR, ha dunque promosso un’indagine intesa a trasformare le impressioni aneddotiche sull’effetto Francesco in un dato statistico, per quanto primo e parziale. Impostare un’indagine dopo un solo mese di pontificato di Francesco non è stato facile, e i sacerdoti e religiosi sono un universo non sempre entusiasta di rispondere ai sociologi. Ho quindi scelto la tecnica detta a cascata, in cui da un gruppo qualificato d’intervistati si passa, sfruttando i loro contatti, a un altro gruppo.

Mi sono servito di un software che permette di raccogliere risposte a questionari a partire dai social network Facebook e Twitter, e mi
sono rivolto ai sacerdoti e religiosi presenti in una serie di gruppi e ambiti qualificati: non solo i miei amici – che sono comunque cinquemila, il
massimo consentito, su Facebook – ma i partecipanti a gruppi di ex alunni di seminari, di lettori della Nuova Bussola Quotidiana e di Avvenire,
di ascoltatori di Radio Maria, di persone interessate alle news su associazioni e movimenti cattolici.

La ricerca si è chiusa automaticamente al ricevimento della duecentesima risposta ricevuta da un sacerdote o religioso, un campione –
considerata la tecnica usata – rappresentativo e sufficiente. Sono stati intervistati, a titolo di controllo, anche laici cattolici impegnati in una
specifica comunità e un piccolo numero di religiose.
Tra i sacerdoti e religiosi il 53% ha affermato di avere riscontrato nella propria comunità un aumento delle persone che si riavvicinano alla
Chiesa o si confessano, aggiungendo che queste persone citano esplicitamente gli appelli di Papa Francesco come ragione del loro
riavvicinamento alla pratica religiosa. Nel 43,8% di questi casi l’aumento di fedeli è definito come consistente, superiore al 25%. Lo notano di
più i religiosi (66,7%) rispetto ai sacerdoti diocesani (50%). E per il 64,2% del campione l’aumento riguarda particolarmente le confessioni.

Abbiamo condotto la stessa indagine anche su un campione di oltre cinquecento laici cattolici. Percepiscono l’effetto Francesco meno dei
sacerdoti e religiosi, che sono impegnati direttamente nei confessionali. Ma un significativo 41,8% dei laici si è accorto dell’effetto di ritorno
alla Chiesa motivato dagli appelli di Papa Francesco, che sembra dunque essere visibile, per così dire, anche a occhio nudo. Il 17,7% dei laici
dichiara specificamente di avere rilevato un aumento di coloro che si confessano nella propria comunità. Per quanto poi il numero di religiose
che hanno risposto sia modesto, questo primo dato indica che le suore si sono accorte del fenomeno in modo massiccio: 81,82%.

I dati sono, nei limiti dell’indagine, molto significativi. Un effetto rilevato da oltre metà di un campione è un fenomeno non solo esistente
ma di grande rilievo. Non è tanto importante che il 47% dei sacerdoti e religiosi non riscontri l’effetto. I fenomeni sociali percepiti dall’unanimità
o quasi di chi risponde a un questionario sono pochissimi. Né si potrebbe sostenere che gli intervistati hanno scambiato il consueto aumento
di fedeli e penitenti a Pasqua per un effetto legato a Papa Francesco.

Agli intervistati è stato chiesto specificamente di rispondere solo con riferimento a fedeli che motivassero specificamente il loro ritorno alla
Chiesa con gli appelli del nuovo Pontefice, e il questionario era strutturato in modo da indurli a paragonare la Pasqua 2013 a quelle degli anni
precedenti, non ad altri periodi dell’anno liturgico.
Se cercassimo di tradurre il dato in termini numerici e su scala nazionale, con riferimento a metà delle parrocchie e comunità, dovremmo
parlare di centinaia di migliaia di persone che si riavvicinano alla Chiesa accogliendo gli inviti di Papa Francesco. Un effetto massiccio e
perfino spettacolare.

Naturalmente, l’effetto Francesco è anche un effetto Ratzinger: molti affermano spontaneamente di essere stati commossi e scossi anche
dalla rinuncia di Benedetto XVI. E l’effetto andrà verificato alla prova del tempo.
Potrebbe trattarsi di quella che i sociologi chiamano effervescenza religiosa, che non sempre è di lunga durata. Tuttavia, fin da ora possiamo
affermare che non si tratta di impressioni e di aneddoti, ma di numeri reali.

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Perché papa Francesco non dà la comunione

Posté par atempodiblog le 10 mai 2013

Perché papa Francesco non dà la comunione
Perché, dice, tra i fedeli potrebbero infilarsi dei pubblici peccatori non pentiti e lui non vuole assecondare la loro ipocrisia. Il caso dei politici cattolici fautori dell’aborto
di Sandro Magister – Settimo Cielo, L’Espresso Blog

Perché papa Francesco non dà la comunione dans Papa Francesco I papafrancescou

C’è una particolarità, nelle messe celebrate da papa Francesco, che suscita degli interrogativi rimasti finora senza risposta.

Al momento della comunione, papa Jorge Mario Bergoglio non la amministra di persona ma lascia che siano altri a dare l’ostia consacrata ai fedeli. Si siede e aspetta che la distribuzione del sacramento sia completata.

Le eccezioni sono pochissime. Nelle messe solenni il papa, prima di sedersi, dà la comunione a chi lo assiste all’altare. E nella messa dello scorso Giovedì Santo, nel carcere minorile di Casal del Marmo, ha voluto dare lui la comunione ai giovani detenuti che si sono accostati a riceverla.

Una spiegazione esplicita di questo suo comportamento Bergoglio non l’ha data, da quando è papa.

Ma c’è una pagina di un suo libro del 2010 che fa intuire i motivi all’origine del gesto.

Il libro è quello che raccoglie i suoi colloqui con il rabbino di Buenos Aires Abraham Skorka.

Al termine del capitolo dedicato alla preghiera, Bergoglio dice:

Davide era stato adultero e mandante di un omicidio, e tuttavia lo veneriamo come un santo perché ebbe il coraggio di dire: ‘Ho peccato’. Si umiliò davanti a Dio. Si possono commettere errori enormi, ma si può anche riconoscerlo, cambiare vita e riparare a quello che si è fatto. È vero che tra i parrocchiani ci sono persone che hanno ucciso non solo intellettualmente o fisicamente ma indirettamente, con una cattiva gestione dei capitali, pagando stipendi ingiusti. Sono membri di organizzazioni di beneficenza, ma non pagano ai loro dipendenti quel che gli spetta, o fanno lavorare in nero. […] Di alcuni conosciamo l’intero curriculum, sappiamo che si spacciano per cattolici ma hanno comportamenti indecenti di cui non si pentono. Per questa ragione in alcune occasioni non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo, perché non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto. Si potrebbe anche negare la comunione a un noto peccatore che non si è pentito, ma è molto difficile provare queste cose. Ricevere la comunione significa ricevere il corpo del Signore, con la coscienza di formare una comunità. Ma se un uomo, più che unire il popolo di Dio, ha falciato la vita di moltissime persone, non può fare la comunione, sarebbe una totale contraddizione. Simili casi di ipocrisia spirituale si presentano in molti che trovano riparo nella Chiesa e non vivono secondo la giustizia che predica Dio. E non mostrano pentimento. È ciò che comunemente chiamiamo condurre una doppia vita”.

Come si può notare, Bergoglio spiegava nel 2010 il suo astenersi dal dare personalmente la comunione con un ragionamento molto pratico: Non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto”.

Da pastore sperimentato e da buon gesuita, egli sapeva che tra chi si accostava a ricevere la comunione potevano esserci dei pubblici peccatori non pentiti, che peraltro si professavano cattolici. Sapeva che a quel punto sarebbe stato difficile negare loro il sacramento. E sapeva degli effetti pubblici che quella comunione avrebbe potuto avere, se ricevuta dalle mani dell’arcivescovo della capitale argentina.

Si può arguire che Bergoglio avverta lo stesso pericolo anche da papa, anzi ancor più. E per questo adotti lo stesso comportamento prudenziale: Non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo”.

I pubblici peccati che Bergoglio ha portato ad esempio, nel suo colloquio con il rabbino, sono l’oppressione del povero e la negazione del giusto salario all’operaio. Due peccati tradizionalmente elencati tra i quattro che gridano vendetta al cospetto di Dio”.

Ma il ragionamento è lo stesso che in questi ultimi anni è stato applicato da altri vescovi a un altro peccato: il pubblico sostegno alle leggi pro aborto da parte di politici che si professano cattolici.

Quest’ultima controversia ha il suo epicentro negli Stati Uniti.

Nel 2004 l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, trasmise alla conferenza episcopale statunitense una nota con i principi generali” sulla questione.

La conferenza episcopale decise di applicare” volta per volta i principi richiamati da Ratzinger affidando a ciascun vescovo di esprimere prudenti giudizi pastorali nelle circostanze a lui proprie”.

Da Roma il cardinale Ratzinger accettò questa soluzione e la definì in armonia” con i principi generali della sua nota.

In realtà i vescovi degli Stati Uniti non sono unanimi. Alcuni, anche tra i conservatori, come i cardinali Francis George e Patrick O’Malley, sono riluttanti a fare dell’eucaristia un campo di battaglia politica”. Altri sono più intransigenti.  Quando il cattolico Joe Biden fu scelto come vicepresidente da Barack Obama, l’allora vescovo di Denver Charles J. Chaput, oggi a Filadelfia, disse che l’appoggio dato da Biden al cosiddetto diritto” all’aborto è una grave colpa pubblica e quindi per coerenza egli si dovrebbe astenere dal presentarsi a ricevere la comunione”.

Sta di fatto che lo scorso 19 marzo, nella messa d’inaugurazione del pontificato di Francesco, il vicepresidente Biden e la presidente del partito democratico Nancy Pelosi, anch’essa cattolica pro aborto, facevano parte della rappresentanza ufficiale degli Stati Uniti.

E tutti e due hanno ricevuto la comunione. Ma non dalle mani di papa Bergoglio, che se ne stava seduto dietro l’altare.

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Il libro:

Jorge Bergoglio, Abraham Skorka, Il cielo e la terra”, Mondadori, Milano, 2013.

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La controversia negli Stati Uniti sul dare o no la comunione ai politici cattolici pro aborto, con il testo integrale della nota di Ratzinger del 2004:

> Il vice di Obama è cattolico. Ma i vescovi gli negano la comunione (27.8.2008)

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Quando papa Francesco dà la comunione a quelli che lo assistono all’altare, la dà in bocca e mentre sono inginocchiati.

Proprio come faceva Benedetto XVI con tutti.

preghiera dans Papa Francesco I

Nel suo libro-intervista del 2010 Luce del mondo”, Joseph Ratzinger motivò così questa sua scelta:

Non sono contro la comunione in mano per principio, io stesso l’ho amministrata così ed in quel modo l’ho anche ricevuta. Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la presenza reale. Non da ultimo perché proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell’appiattimento è grande. Ho sentito di persone che si mettono la comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi. In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la comunione – della serie: tutti vanno avanti, allora lo faccio anch’io – volevo dare un segnale forte. Deve essere chiaro questo: È qualcosa di particolare! Qui c’è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale al quale si può partecipare o meno”.

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Inoltre:

Si può dare la comunione in mano ai fedeli? Si, a condizione che…

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Medjugorie a Milano: diecimila fedeli davanti alla Madonna

Posté par atempodiblog le 24 avril 2013

Medjugorie a Milano: diecimila fedeli davanti alla Madonna
La giornata di preghiera con i veggenti raduna alla Fiera un popolo semplice e silenzioso. Ma ricco di amore
di Maurizio Caverzan – Il Giornale
Tratto da: Ascolta tua Madre

Non c’è il pienone previsto nell’immensa sala della Fiera Rho di Milano. La Protezione civile stima in diecimila i presenti, eppure l’elenco delle comunità chiamate dal palco una per una è infinito, da quella «di Busto Arsizio» al «gruppo della Calabria», dalla «gente di Padova» al «gruppo della Liguria».

Medjugorie a Milano: diecimila fedeli davanti alla Madonna dans Antonio Socci medjugorjegospafierarho

È un’Italia sommersa, un popolo semplice, lontano dalle mode, in prevalenza donne, ma anche anziani, giovani e bambini. «È quella che, per distinguerla dalla gente dei media, don Giussani chiamava “la gente gente”», racconta Antonio Socci, autore di «Mistero Medjugorje» (Piemme, 2005). «I giornali e le televisioni di sono pieni della manifestazione dei grillini davanti al Parlamento. Ma di queste migliaia di persone scriveranno in pochi. I riflettori sono già tutti occupati da quelli che frequentano il web e i social network, da quelli che protestano nelle piazze». Socci ha appena terminato la sua struggente testimonianza di fede provata dalla sofferenza per l’arresto cardiaco che il 12 settembre 2009 ha colpito all’improvviso la figlia Caterina. Dopo anni di dolore e tra molti sacrifici Caterina sta sorprendentemente ritornando a una vita più sostenibile. Dopo Socci è il momento di Jakov Colo, uno dei veggenti, padre di tre figli. «Non venite a Medjugorje per parlare con noi, per assistere a fenomeni strani, per provare emozioni – dice Jakov – Venite per convertirvi. Il pellegrinaggio vero comincia quando iniziate la strada del ritorno a casa. Offrite il digiuno e la penitenza per la fine delle guerre e la guarigione dei malati».
La giornata è iniziata alle nove del mattino e si prolunga con un programma fitto di canti, preghiere e testimonianze fino alle nove della sera. Dopo la messa del pomeriggio è attesa l’apparizione della «figura femminile luminosa» che fin dal 24 giugno 1981 i veggenti, allora sei ragazzi, hanno cominciato a riconoscere come la Madonna, «Regina della pace». Da allora, un tempo lunghissimo, continua ad apparire. «È il tempo in cui Dio dimostra la sua pazienza», risponde padre Ljubo Kurtovic. Sopra il palco si legge il testo del messaggio del 25 agosto 2002: «Soltanto nella fede la vostra anima troverà la pace e il mondo la gioia». Il raduno è organizzato da Mir i Dobro (Pace e bene), una Onlus che opera in Bosnia e chiede di devolvere il 5 per mille per le adozioni a distanza e l’accoglienza agli orfani di guerra. Alle 12, ecco il collegamento con Piazza San Pietro per l’Angelus di Papa Francesco. «La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali», esorta Bergoglio. «Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso», invita parlando dei dieci sacerdoti ordinati in mattinata. Anche alla Fiera Rho di Milano scrosciano gli applausi. «Grazie tante per il saluto, ma salutate Gesù», sembra rispondere Francesco.
Qui si susseguono i canti di una devozione forse ingenua – «Gesù mi ama, Gesù ti ama, Gesù ci ama»; «Non si va in cielo in minigonna, perché in cielo c’è la Madonna» a volte accompagnati da un violino tzigano, altre volte da movimenti ritmati cui non si sottraggono anche persone di terza età. Canti che saranno magari il segno di un cristianesimo semplice e tradizionale. Che però, senza intellettualismi, sa parlare direttamente al cuore delle persone così come avviene nella testimonianza di papa Francesco.
Uno dei momenti più coinvolgenti è l’adorazione del Santissimo guidata da padre Ljubo in perfetto italiano, ma con quel tono ieratico conferito dall’accento slavo. Si snodano le ave marie in croato, inglese, francese, spagnolo, tedesco, polacco. Un canto ripete le parole del ladrone crocifisso vicino a Gesù: ricordati di me quando sarai in Paradiso.
La Chiesa non ha ancora riconosciuto le apparizioni di Medjugorje. «Ma è decisivo che non abbia condannato questi fenomeni che pure non sono vincolanti per la fede», riprende Socci. C’è una commissione voluta da Benedetto XVI nel 2010 e presieduta dal cardinal Ruini. Per sua regola la Chiesa non riconosce le apparizioni quando i fenomeni continuano ad avvenire. Ma si pronuncia dopo, quando sono terminati, magari a distanza di secoli.
Intanto la «gente gente» partecipa compunta alla meditazione. Ogni volta che viene pronunciato il nome di papa Francesco, si alza spontaneo l’applauso. Quello di Medjugorje è un popolo fatto di «persone provate dalle ferite della vita – osserva Socci – Ferite che spesso siamo portati a rimuovere e a coprire per non soffrirne troppo». È un cristianesimo dolente quello dei devoti di Medjugorje? «Come la bellezza anche il dolore ci porta alle domande fondamentali dell’esistenza. Ci fa diventare persone più autentiche, più vere. Non è facile che ci lasciamo scovare o scavare nel profondo. Perché, come diceva Rilke, Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ un po’ come si tace una speranza ineffabile».
Al termine della messa la veggente Marija Pavlovic intona la preghiera fino a quando s’interrompe, rapita. I diecimila sprofondano in un silenzio assoluto.

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Mirjana: Il Papa ha bisogno delle nostre preghiere per un duro cammino

Posté par atempodiblog le 22 avril 2013

Mirjana: Il Papa ha bisogno delle nostre preghiere per un duro cammino
Tratto da: Medjugorje Today
Traduzione a cura di: atempodiblog

Mirjana: Il Papa ha bisogno delle nostre preghiere per un duro cammino dans Medjugorje papafrancescoeratzinger

Francesco è il Papa di cui c’è bisogno nel momento presente e subito è entrato nei cuori di tutti. Ma la sua strada sarà molto difficile con troppo lavoro da fare, e così egli ha tanto bisogno di preghiere, dice la veggente Mirjana Dragicevic-Soldo. Lei chiama Benedetto XVI grande, le sue dimissioni una lezione.

La veggente di Medjugorje Mirjana Dragicevic-Soldo ha grandi speranze per Papa Francesco. Eppure il suo compito è anche molto difficile, e ha bisogno di preghiere delle persone per avere successo, la veggente racconta ai pellegrini in un sevizio su Medjugorje, mandato in onda il 25 marzo, dall’emittente televisiva italiana TG1.

“Il nostro Papa Francesco che è subito entrato nel cuore di tutti noi, è un Papa di cui noi abbiamo bisogno per il momento presente. Dobbiamo pregare molto per lui, aiutarlo con le nostre preghiere, perché la sua strada sarà molto difficile e avrà tanto da fare, e se noi non preghiamo per lui, chi lo aiuterà?” dice Mirjana.

La veggente ha commentato anche la decisione di Papa Benedetto XVI di dare le dimissioni, dicendo che c’è qualcosa da imparare dal predecessore di Francesco:

“Lui è un grande uomo che ha dato una lezione a tutti noi. Poiché egli è ormai vecchio e malato e non può dare tutto per la Chiesa, egli ha rassegnato le dimissioni come un grande uomo” dice Mirjana.

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TG1, servizio su Medjugorje. La veggente Mirjana, parla di Papa Francesco:

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Inginocchiarsi è pregare

Posté par atempodiblog le 18 avril 2013

Inginocchiarsi è pregare dans Apparizioni mariane e santuari Adorazione-eucaristica

Passano quattro sere da quando la Madonna fece visita a Mariette, la veggente usciva ogni sera in giardino a pregare, nell’attesa fiduciosa di rivedere la Bella Signora.
Finalmente la quinta sera, lunedì 20 febbraio, eccola puntuale all’appuntamento con la sua piccola veggente. I testimoni sono pochissimi, otto in tutto, e qualcuno non crede nemmeno nelle apparizioni, ma alla vista della preghiera di Mariette e da ciò che succede ci crederà. E c’è, poi, il fatto di sentirsi spinti a inginocchiarsi senza volerlo e senza neppure averlo pensato, senza accorgersene.
Notiamo che il gesto dell’inginocchiarsi è un motivo costante nello scenario delle apparizioni. La Madonna non lo dice espressamente, ma lo fa sentire nei veggenti e negli astanti. E’ il gesto dell’umiltà, dell’adorazione, è il primo gesto da compiere per cominciare a credere. Davanti a Dio e alla Vergine Santa prima ci si inginocchia e poi si può interrogare. Prima si manifesta a Dio la condizione della propria limitatezza e la condizione del proprio limite di creatura davanti al creatore. Poi si può discutere se sarà poi ancora il caso, prima si comincia ad accogliere l’amore di Dio e della nostra Madre Santissima e poi ci si può chiedere se ne varrà ancora la pena, se Dio esiste oppure no. Ma nella chiesa sta scomparendo sempre di più questo atteggiamento. Alcuni liturgisti dicono che il vero atteggiamento è lo stare in piedi perché è sconveniente che un figlio si inginocchi davanti a suo padre. Però questo Padre è anche Dio e la Madonna non lo ha mai dimenticato e ci insegna a inginocchiarci perché questo gesto è già di per sé una preghiera anche se non fosse seguito da parole.

Padre Angelo Maria Tentori – Sorriso tra gli abeti. La Vergine dei Poveri di Banneux

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Santa Caterina Tekakwitha

Posté par atempodiblog le 17 avril 2013

Santa Kateri Caterina Takakwitha
17 aprile

Santa Caterina Tekakwitha dans Santa Kateri Tekakwitha Santa-Caterina-Tekakwitha

A quattro anni la beata rimase orfana. Il vaiolo scoppiato nel 1660 le aveva distrutto la famiglia e le aveva deturpato il volto attorno agli occhi. Venne accolta nella capanna di un suo zio paterno, nel villaggio di Gandaouagué, costruito dopo l’epidemia, dove crebbe ritirata e serena, dedita alle faccende domestiche, con un’anima naturalmente cristiana. Quando doveva uscire dalla capanna per andare a fare legna nella foresta o ad attingere acqua alla sorgente vicina, si avvolgeva in un ampio scialle dal colore cremisi per difendere gli occhi malati dalla viva luce del sole. Nelle ore di riposo, paga della compagnia delle zie e di una sorella adottiva, confezionava piccoli utensili domestici con le fibre delle radici o le cortecce degli alberi. Essendo assai ricercati, rappresentavano una fonte non indifferente di guadagno per la famiglia che l’ospitava. Più tardi imparerà a tramutare la pelle dell’alce e del bufalo in graziose borsette, e ad arabescare di cento disegni le grandi sciarpe dei guerrieri e dei cacciatori.

Tekakwitha crebbe senza scuola e senza studio, amante soltanto della solitudine e del lavoro, ma la grazia di Dio la condusse per vie misteriose alla pratica eroica di tutte le virtù, specialmente di quella più sconosciuta agli Indiani, la castità.

Nel 1667 gli Irochesi si erano finalmente decisi a stringere un patto di amicizia con il Canada, dal 1632 divenuto una provincia della Francia, dopo la guerra condotta contro di loro nel 1666 e terminata con la distruzione di tutti i villaggi della vallata del Mohawk. Intermediari di pace furono tre missionari gesuiti decisi a evangelizzare quei selvaggi anche a costo della vita come in precedenza avevano fatto i loro confratelli: 8. Renato Gouspil (+1642), S. Isacco Jogues (+1646) e S. Giovanni de-la-Lande (+1646). I tre “vestenera”, P. Giacomo Frémin, P. Giovanni Bruyas e P. Giovanni Pierron furono accolti nella grande capanna dello zio di Tekakwitha, capo del nuovo villaggio chiamato Caughnawaga. Nel breve tempo della loro sosta essi parlarono alla santa fanciulla di Dio e del suo infinito amore per gli uomini. L’anima di lei ne rimase conquisa per sempre tanto che crebbe con una invincibile ripugnanza, sconosciuta alla sua gente, per la vita matrimoniale.

Per accrescere il benessere della famiglia le vecchie zie della beata non vedevano l’ora di darla in sposa a qualche gagliardo cacciatore. Alla proposta, la fanciulla impallidì, e non l’accettò sia perché era ancora troppo giovane e sia perché non intendeva contrarre matrimonio. Le zie, anziché darsi per vinte, sperarono di giungere al fidanzamento con la sorpresa e l’inganno. Scelsero il fidanzato, stabilirono il giorno dell’incontro ufficiale d’accordo con i parenti, e incominciarono a circuire l’orfana con insolite cortesie. Una sera la invitarono a sedere vicino al fuoco, al posto della zia più anziana. Frattanto la capanna cominciava ad affollarsi di invitati recanti sorrisi e regali. Ad un certo momento entrò anche il giovane prescelto, guardò la fanciulla a lui predestinata, si accostò incerto al focolare, fece cenno di sedersi accanto a Tekakwitha, ma costei, intuito il piano strategico delle zie, confusa e rossa in viso, si alzò di scatto e fuggì fuori della capanna sospirando: “Mio Dio, salvami da chi mi vorrebbe sua sposa. Prendilo Tu il candido giglio della mia verginità. E’ tuo, e tuo sarà per sempre”. La beata non rivarcò la soglia della capanna se non quando fu deserta, ma dovette subire un trattamento molto duro da parte di coloro che non comprendevano le sue aspirazioni.

La perseguitata trovò conforto nel frequentare la cappella che nel villaggio aveva eretta il P. Giovani Pierron in onore di San Pietro. Essendo costui pittore delineava in tanti quadri i principali misteri della fede, e li spiegava ai selvaggi come poteva non essendo ancora padrone della lingua. Diversi bambini e alcuni adulti ricevettero il battesimo. Anche la beata lo desiderava ardentemente, ma lo zio non ne volle sapere. Diverse famiglie cattoliche per vivere in pace la loro fede si erano trasferite in Canada, a Salto San Luigi, sulla riva del San Lorenzo, nella missione di San Francesco Saverio, eretta dai Gesuiti per l’evangelizzazione degli Uroni e degli Algonchini.

Nel 1670 nella direzione della missione al P. Pierron successe il P. Francesco Boniface il quale, conoscendo bene la lingua degli autoctoni, moltiplicò le conversioni. Alla sua morte (+1674) giunse a sostituirlo, dalla Francia, il P. Giacomo de . Egli per trentasette anni sarà l’apostolo degli Irochesi. Nella primavera del 1675, approfittando dell’assenza degli uomini e delle donne dalle capanne, dalla mattina alla sera, a motivo delle semine, si recò qua e là per confortare i malati e visitare i bambini. Non era mai entrato nella capanna dello zio di Tekakwitha perché lo sapeva contrario al missionario, ma quel giorno una voce misteriosa lo spinse a varcarne la soglia. La beata, ormai diciannovenne, ne fu felice. Narrò al ministro di Dio la sua triste storia, gli parlò della sua irriducibile contrarietà al matrimonio e gli espresse la brama che sentiva del battesimo. Il P. Giacomo ne rimase commosso fino alle lacrime. Non si sarebbe mai sognato difatti di trovare nella capanna di un suo fiero avversario un’anima così misteriosamente segnata dalla grazia. Il battesimo alla casta giovane fu differito quasi di un anno per le dolorose defezioni di cui i missionari erano consci. Il “Giglio dei Mohawks” divenne figlia di Dio il 16-4-1676, solennità di Pasqua, attorniata dai pellerossa adorni delle loro penne variopinte che si alzavano alte a raggiera attorno alle loro fronti. Lo zio non vi si era opposto a condizione che la nipote non abbandonasse il villaggio. Le era stato imposto il nome di Caterina.

Da quel giorno la beata trascorse la sua vita tra il lavoro e la preghiera, la capanna e la chiesa. Non sapendo né leggere, né scrivere, con grande semplicità e fiducia ricorreva al missionario in ogni dubbio e difficoltà, e il ministro di Dio la rassicurava, l’incoraggiava e le indicava la maniera migliore per progredire nella virtù. Nei giorni di festa, Caterina rimaneva più a lungo nella chiesetta del villaggio invece di andare con gli zii a lavorare nei campi o nella foresta, ma costoro, avidi come erano di guadagno, cominciarono a maltrattarla, a considerarla una fannullona. a negarle persino, in quei giorni, il cibo necessario. Caterina resistette incrollabile ai nemici della sua fede come in precedenza aveva resistito ai nemici della sua verginità. Contro di lei le zie assoldarono i monelli del villaggio perché la insultassero e la prendessero a sassate al grido di “cristiana” quando, mattina e sera, usciva dalla povera chiesetta intessuta di cortecce d’alberi. La giovane, pur di rimanere fedele a Cristo, avrebbe versato con gioia il proprio sangue. Anche lo zio infierì contro di lei. Un giorno incaricò persino un giovane di penetrare nella capanna quando la nipote era sola, e di minacciarla di morte facendole roteare una scure sopra il capo. Sperava, in quel modo, di costringerla a ritornare pagana, ma la beata disse senza scomporsi all’aggressore: “Eccomi pronta. Puoi togliermi la vita, ma non la fede”.

Gli zii erano decisi a riuscire nei loro perversi intenti anche a costo di fare ricorso all’arma della calunnia. Nell’inverno del 1677, il capo di Caughnawaga partì con la famiglia per la grande caccia nella foresta di Saratoga. La zia più vecchia, che vedeva, nel comportamento molto riservato della nipote, un rimprovero alla sua vita pagana, le pose gli occhi addosso per coglierla in qualche fallo e umiliarla. Un giorno Caterina, parlando del vecchio zio con alcuni cacciatori, dimenticò di aggiungervi il titolo “mio padre” secondo le usanze degli indiani. Bastò questo alla perfida vecchia per pensare a una tresca tra la nipote e lo zio. Al termine della caccia ella corse dal missionario e accusò la nipote di tale misfatto, ma il “vestenera”, al corrente della preconcetta ostilità della delatrice, la congedò senza darle credito. Interrogò in seguito l’accusata, ma la fanciulla, inorridita solo al pensiero di un simile peccato, dichiarò che mai aveva macchiato la purezza del suo giglio.

Da quel giorno Caterina comprese che il villaggio non offriva più sicurezza ne per la sua virtù, né per la sua fede. Con il concorso del missionario da quel momento pensò alla fuga nella missione di Salto San Luigi, dove avrebbe potuto vivere, in pace, nella capanna della sua sorella adottiva che colà si era trasferita e ora desiderava averla con sé. Suo angelo tutelare nella fuga fu un fiero irochese, della tribù degli Oneidas. Dopo la conversione costui era diventato, in qualità di catechista, un prezioso collaboratore dei missionari. Ogni tanto organizzava spedizioni apostoliche nelle vallate irochesi in compagnia di altri due cristiani tra cui il marito della sorella adottiva di Caterina. Nel 1677 era capitato proprio a Caughnawaga. Venuto a conoscenza delle persecuzioni odiose alle quali era sottoposta la giovane, al termine del suo giro missionario la prese con sé nella canoa. All’alba di quel giorno lo zio si trovava nel vicino Fort-Orange per affari con gli inglesi. Appena costui ne ebbe sentore, imbracciò furente il fucile, saltò nel suo canotto e inseguì i fuggitivi. Li raggiunse nel cuore della foresta, ma non riuscì a mettere le mani sulla nipote perché, al suo apparire, il cognato che la seguiva con una fucilata l’aveva avvertita dell’imminente pericolo, ed ella era riuscita a nascondersi in un groviglio di liane.

A Salto San Luigi, ai confini tra il Canada e Stati Uniti, Caterina fu avviata alla santità dal P. Pietro Cholenec, superiore della missione, e dal P. Claudio Chauchetière, suo collaboratore. Quella località veniva chiamata pure “Villaggio della preghiera” per la serietà con cui le varie tribù degli irochesi, degli uroni e degli algonchini si davano all’orazione e ad ogni opera buona. Caterina non poteva desiderare un ambiente migliore. Nella lettera di presentazione al P. Cholenec, il P. Giacomo diceva: “Caterina Tekakwitha viene a Salto San Luigi. Vi prego di volervi interessare della sua direzione. Conoscerete presto il dono che vi facciamo; è un tesoro”.

La giovane fu ospitata subito nella capanna della sorella adottiva, dove trovò pure Anastasia, la dolce amica della sua mamma e la più autorevole cristiana del villaggio, fuggita anche lei per gli stessi motivi dalla valle del Mohawks. La gioia di Caterina raggiunse il colmo. Ne parlava quasi estasiata ai missionari, motivo per cui prese subito con ardore a praticare quanto di edificante vedeva compiere dagli altri. In breve tempo si distinse talmente tra le giovani della missione che tutti, francesi e indiani, l’ammirarono. Il vaiolo le aveva deturpato il viso, la poca salute l’aveva resa esile e quasi diafana, eppure da lei si sprigionava un fascino che incantava. I suoi sorrisi erano sempre molto luminosi.

A Salto San Luigi Caterina condusse una vita apparentemente semplice, senza estasi e senza visioni. Invece la sua unione con Dio fu totale e continua. Ogni mattina e ogni sera si recava nella povera chiesetta della missione per attingere dalla grazia divina la luce e la forza necessario per più ardue ascensioni. Durante il giorno continuava la sua preghiera nel silenzio della capanna, mentre lavorava nei campi o ascoltava il fruscio degli alberi nella foresta, mentre si beava al profumo dei fiori o alla contemplazione della grande croce solitaria che dominava la riva del fiume. Una cosa ancora le mancava, l’incontro con lo sposo dell’anima sua nella Comunione. Caterina vi si preparò vivendo e lavorando in compagnia di Anastasia, visitando e aiutando i malati, consolando gli afflitti. Attestò il P. Cholenec che “non poteva soffrire che si parlasse bene di lei, Allora fuggiva o con un lembo del suo scialle si copriva, per rossore, il volto pudico”.

Nel villaggio la beata esercitava un meraviglioso ascendente su tutti gli indiani, ma in modo speciale sui bambini. Preoccupata del loro avvenire cristiano, faceva festa quando li incontrava per le viuzze del villaggio. Per tutti aveva un sorriso, una carezza, una buona parola. I missionari, consci dell’incostanza degli indiani, non li ammettevano alla prima comunione se non dopo molti anni di prove. Per dare ai battezzati un’idea altissima dell’Eucaristia la stessa condotta tennero con Tekakwitha. Per il suo primo incontro con Dio scelsero la solennità del Natale 1677. Quando quel sospirato momento venne, ne pianse di gioia. Affermò il P. Cholenec; “Da quel giorno ella pareva più creatura del cielo che della terra, tanto restò piena di Dio e del suo amore”. Ebbe in seguito la felicità di comunicarsi sovente, ma lo fece sempre con tanta devozione che le donne più devote cercavano di mettersi accanto a lei per infervorarsi nello spirito.

Nell’inverno del 1678 anche Caterina, per dovere di giustizia, si inoltrò nella foresta per la grande caccia. Colà, prima del lavoro, si ritirava lungo le rive del ruscello vicino, dove le querce intrecciavano i loro rami a forma di arcata, e sostava a lungo in preghiera davanti alla rozza croce che aveva intagliato sul tronco di un vecchio abete. Chiudeva le sue devozioni con una dura disciplina. Durante la giornata prendeva parte ai lavori del gruppo, e quando la conversazione delle compagne si faceva più rumorosa, ella le incitava a cantare qualche inno imparato nella chiesetta della missione. C’era però chi la spiava con occhi torbidi e lei lo ignorava.

All’inizio della primavera del 1678 i cacciatori avevano già fatto ritorno con le loro famiglie al villaggio per le semine e per la celebrazione della Pasqua. Era la prima volta che Caterina vi prendeva parte e faceva la sua seconda comunione tra un profluvio di lacrime. Alla meditazione fatte dai missionari sulla Passione del Signore ella sentì crescere in sé il misterioso desiderio della sofferenza. Cercò di soddisfarlo in mille maniere. Per la vita sempre più edificante che conduceva, i missionari le permisero di iscriversi all’Associazione della Santa Famiglia che il primo vescovo di Québec, il B. Francesco Montmorency-Laval (+1708), aveva approvata.

Il desiderio della beata di soffrire sempre di più per amore del Signore fu presto appagato. Durante la grande caccia, una donna, gelosa del marito, aveva guardato con sospetto le uscite di Caterina dalla capanna all’alba, e le prolungate veglie di lei al termine del giorno. Una notte suo marito, avendo dovuto durante il giorno inseguire a lungo un cervo, ritornò stanco alla capanna. Invece di andare a coricarsi accanto alla moglie, si era sdraiato e addormentato sul primo giaciglio che nel buio aveva trovato: quello poco lontano da Caterina. Un’altra volta, parlando di una canoa che aveva preparato nella foresta per il ritorno nel villaggio, l’uomo aveva detto che Tekakwitha l’avrebbe aiutato a trasportarla fuori di là perché era molto abile e caritatevole. Alla donna gelosa non occorse altro per pensare a una tresca del marito con Caterina. Si presentò quindi al missionario e li accusò di azioni disoneste. Il missionario, costernato, chiamò a sé la fanciulla, le manifestò l’atroce accusa, ma il “Giglio dei Mohawks”, pur con lo schianto in cuore, fissò serena il missionario, e poi con voce sicura gli disse: “Non ho nulla da rimproverarmi”.

Essendo sola la mondo, non stupisce che Caterina sentisse come tutti il bisogno dell’amicizia. Ne contrasse una con una irochese trentenne, Tegaiaguenta. Il P. Bruyas l’aveva battezzata con il nome di Maria Teresa, ma ella cominciò a vivere secondo gli insegnamenti della fede soltanto dopo la morte per fame del marito durante una grande caccia. Ai piedi della croce, davanti alla quale Caterina amava prolungare le sue preghiere, si narrarono le loro tristi vicende, e proposero di vivere spiritualmente unite nella preghiera comune e nella penitenza.

Sull’avvenire di Caterina, la sorella adottiva credeva di potersi arrogare qualche diritto di decisione. Essendo contrario alle usanze delle giovani irochesi il rimanere sempre zitelle, cominciò anche lei a farle proposte di matrimonio. Se fosse rimasta sola al mondo chi si sarebbe preso cura di lei? Il P. Cholenec, al quale la beata si era rivolta, le raccomandò di pregare e di riflettere bene prima di prendere una decisione, essendo lei sola responsabile del suo avvenire. Caterina accolse l’invito ma, siccome continuava a provare una invincibile avversione per il matrimonio, sia alla sorella adottiva e sia al missionario dichiarò che, a costo della miseria e della fame, sarebbe stata per sempre soltanto la sposa di Gesù!

Alla scuola dei missionari Caterina crebbe pure nella devozione alla Madonna. In Lei era certa di trovare una potente difesa alla sua purezza, virtù ignorata dai selvaggi. Quando ne parlava si stringeva fortemente al petto il rosario che portava sempre appeso al collo come un prezioso monile. Da buona figlia di Maria lo recitava ogni giorno, con le Litanie Lauretane talora persino con i piedi affondati nella neve. Ogni sabato onorava Maria SS. con speciali preghiere e mortificazioni. Meritò così il 25 marzo 1679 di consacrare pubblicamente e perpetuamente a Dio il candore della sua verginità.
Fino alla morte Caterina conservò intatta la sua innocenza battesimale, pregando e facendo penitenza. Aveva capito alla perfezione le parole di Gesù: “Chi vuole venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Sentì ella il fascino della sofferenza pensando ai dolori del Figlio di Dio e ai gravi disordini ai quali si abbandonavano ovunque gli indiani. Nella ricerca delle mortificazioni era assecondata dall’amica Maria Teresa, un tempo apostata. Personalmente Caterina doveva riparare soltanto piccole vanità della prima giovinezza: capelli ben ravviati, abiti più appariscenti, ninnoli e fronzoli al collo e ai polsi.

Caterina aveva iniziato segretamente la vita di mortificazione fin dalla fanciullezza, ma nella missione canadese la volle inasprire. Digiunava ogni mercoledì e sabato. Sovente il nutrimento, già scarso, lo rendeva insipido con la cenere. Attorno ai fianchi portava una specie di fascia intessuta di punte di ferro, e talora si buttava sui fasci di spine da lei raccolte lungo le siepi. Ogni sabato, con la sua amica, prima di andarsi a confessare dal P. Cholenec, si ritirava in una capanna, fuori del villaggio, per pregare e farsi dare una dura disciplina sulle spalle con un fascio di verghe. Tra le lacrime la beata sospirava: “O Gesù, misericordia, pietà!”. Due giorni dopo la morte apparirà alla vecchia Anastasia con una croce tra le mani e le dirà: “Mamma, guarda questa croce quanto è bella! Essa fu la mia felicità per tutta la vita. Oh, quanto desidero che tutti l’amino come io l’amai!”.

Già fino dal marzo del 1679 Caterina aveva incominciato a deperire, forse in seguito a tante penitenze che non sempre i missionari riuscivano a moderare. In uno sforzo supremo continuò a frequentare la chiesetta, a lavorare nella capanna, e a praticare la mortificazione. Nell’inverno del 1680 rimase immobile nel suo lettuccio e assorta in profonda meditazione. Fu assistita dal P. Chauchetière il quale, a sollievo dell’inferma che amava tanto l’innocenza dei bambini, ogni tanto si faceva accompagnare dai fanciulli ai quali faceva il catechismo. Due mesi prima di morire disse al missionario che sarebbe andata in paradiso nella settimana santa. Quando le fu portato il viatico fu lieta di poterlo ricevere con la candidissima veste di seta che la sua amica le aveva imprestato. Morì, assistita dal P. Cholenec, invocando i nomi di Gesù e di Maria il mercoledì santo 17 aprile 1680, come aveva predetto ad alcune donne dell’Associazione della Santa Famiglia.

La salma verginale di Caterina non fu posta in una povera corteccia di albero, avvolta in una coperta, secondo il costume indiano, ma in una cassa di legno, dono di due francesi. Oltre che ad Anastasia, l’angelica fanciulla apparve pure al P. Chauchetière e all’intima sua amica. Sulla sua tomba cominciarono ad accorrere indiani e francesi da ogni parte, persino da Montreal e da Québec. Per intercessione di lei i miracoli si moltiplicarono.

Le reliquie della vergine pellerossa, poste in una cassetta di ebano, dal 1719 sono custodite dai Padri Gesuiti a Caughnawaga, nella diocesi di Albany. Pio XII ne riconobbe l’eroicità delle virtù il 3 gennaio 1943 e Giovanni Paolo II la beatificò il 22 giugno 1980.

di Guido Pettinati – Santi e Beati

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La Vergine ci invita a tornare a Dio senza paura

Posté par atempodiblog le 11 avril 2013

La Vergine ci invita a tornare a Dio senza paura dans Libri verginerivelazionetrefo
12 aprile, Vergine della Rivelazione

Noi ci siamo erroneamente abituati a ritenere che la Madonna appaia soltanto a bambini e a persone buone. Alle Tre Fontane Lei appare a un adulto, a un adulto “non buono”.

Quando un Vescovo domandò al veggente: “perché la Vergine è apparsa proprio a te?”, la risposta fu: “Beh, non so”. “Domandaglielo! Per ubbidienza, se dovesse apparire di nuovo, domandaglielo!”. E così il veggente domandò: “Vergine cara, ma perché proprio a me?”. “Rispondi al mio figlio Pastore che non ho trovato uno più peccatore di te!”.

Allora significa che la Vergine non si schifa di noi, suoi figli, anche se peccatori. Ma viene a trovarci per dirci di convertirci e di ritornare a Dio e di non avere paura, perché lei ci accompagna.

Tratto da: La Bella Signora delle Tre Fontane. Storia della Vergine della Rivelazione – Padre Angelo Maria Tentori, Ed. Paoline

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Per approfondire iconarrowti7 La Bella Signora delle Tre Fontane

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A me basta sapere che la Chiesa è divina…

Posté par atempodiblog le 9 avril 2013

A me basta sapere che la Chiesa è divina... dans Citazioni, frasi e pensieri sacerdoteeucarestiapret

«Le obiezioni sentimentali (contro la Chiesa – n.d.r.) non hanno alcun valore. Abbiamo, sì o no, il dovere di ubbidire a Dio e alla Chiesa. Tutto sta qui. Da questo punto di vista, semplicissimo, il sacerdote è soltanto uno strumento soprannaturale, un generatore di Infinito, e bisogna esser asini per considerarlo diversamente, perché tutto questo avviene e deve avvenire nell’Assoluto. Da più di trent’anni, ascolto Messe dette da sacerdoti che non conosco e mi confesso con altri che non so se siano santi o assassini. Io non sono il loro giudice. E sarei un idiota se pretendessi di indagare. A me basta sapere che la Chiesa è divina e che i Sacramenti amministrati da un cattivo sacerdote hanno esattamente la stessa efficacia di quelli amministrati da un santo sacerdote… Il mondo protestante che mi attornia è incontestabilmente laido, mediocre, privo di assoluto fino all’inverosimile. Qual è il carattere specifico di questo mondo? È l’esclusione del soprannaturale, è il Soprannaturale escluso dal Cristianesimo, cioè l’idea più illogica e sragionevole che sia potuta entrare nella mente umana. Conseguenza: il disprezzo del Sacerdozio, l’avvilimento della funzione sacerdotale al di fuori della quale il soprannaturale non può manifestarsi. Senza il potere di consacrare, di legare e di sciogliere, il Cristianesimo svanisce per far posto… ad un razionalismo abietto, certamente inferiore all’ateismo. Il sacerdote cattolico ha una tale investitura che, se è indegno, la sublimità del suo Ordine risplende molto di più. C’è un sacerdote criminale, meritevole, poniamo della più ampia dannazione? Ebbene, ha ugualmente il potere di transustanziare!… Come non sentire questa infinita grandezza?» (Antologia di cattolici francesi del secolo XIX , trad. e notizie di Domenico Giuliotti, lanciano, Carabba 1931, pp. 198-199)

di Leon Bloy
Tratto da: Oblatio Rationabilis

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Inoltre iconarrowti7 Pensieri sul Sacramento dell’Ordine

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Novena a Santa Bernadette

Posté par atempodiblog le 7 avril 2013

Novena a Santa Bernadette dans Libri Bernardette

Da tutti i santi, anche da Bernadette, ci viene un messaggio di alta e pacificante sapienza: nella sovrana libertà del suo Spirito creatore, Dio concede a ciascuno di noi quei doni che Lui sa appropriati e commisurati al nostro essere. Siamo tutti variamente privilegiati dal suo amore. Dentro un chiostro o sulle strade del mondo, è solo l’adesione totale a questo dono, solo la risposta d’amore a questo amore che ci viene incontro per primo ciò che dà senso alla nostra vita, ciò che sazia il nostro primario e inestinguibile bisogno di felicità.

Tratto da: Sui passi di Bernadette — Padre Livio Fanzaga

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La confessione. Dove il cuore trova pace

Posté par atempodiblog le 7 avril 2013

“La confessione. Dove il cuore trova la pace”
Recensione del libro di padre Livio Fanzaga

Roma, 26 Marzo 2013 (Zenit.org) Stefano Chiappalone

La confessione. Dove il cuore trova pace dans Fede, morale e teologia Ges-misericordioso

Tra le tante crisi di cui soffre il nostro mondo, un posto di rilievo spetta alla crisi della confessione, strettamente connessa a quella perdita del senso del peccato di cui già parlava il venerabile papa Giovanni Paolo II, individuando tra le cause principali di questa epocale «eclissi della coscienza», il secolarismo e il relativismo, nonché alcune tendenze ecclesiali che hanno generano una certa confusione nella predicazione, nella catechesi e nella direzione spirituale. In effetti, bisogna constatare che spesso i confessionali sono vuoti da entrambe le parti: sia quella del penitente sia quella del confessore.

La gente si confessa sempre più di rado, ma è anche vero che chi vuole confessarsi, raramente riesce a trovare in confessionale, o almeno in chiesa, un sacerdote disponibile – impegnato magari in attività che potrebbero benissimo svolgere i laici… L’esempio di sacerdoti santi, quali san Pio da Pietrelcina, san Leopoldo Mandic, o il santo Curato d’Ars – per non citare che i più noti – mostra però lo stretto legame tra l’aureola di cui ora godono in cielo, e le ore passate in confessionale quando erano ancora in questo mondo. Senza contare che un buon confessore, a sua volta è anche un assiduo penitente…

Questo libro di padre Livio Fanzaga, popolare direttore di Radio Maria, costituisce dunque una lettura utilissima per tutti – chierici e laici -, particolarmente in quest’ultimo scorcio dell’Anno Sacerdotale fortemente voluto da papa Benedetto XVI.

La situazione non è disperata, come dimostra la felice eccezione dei santuari,  i cui confessionali sembrano colmare il vuoto dell’ordinaria vita parrocchiale. E comunque, spiega padre Livio, la crisi c’è stata sin dall’inizio, quando Gesù fu accusato di bestemmia soltanto per aver dichiarato di avere il potere di rimettere i peccati (Marco 2,7). «Da allora le ondate minacciose del mysterium iniquitatis si sono abbattute innumerevoli volte. Basti ricordare la dolorosa deriva della riforma protestante che, con la motivazione che basta confessarsi a Dio, ha spazzato via i confessionali da una buona parte dell’Europa. Tuttavia la confessione è sempre risorta, dimostrando di essere un albero dalle radici inattaccabili» (pp. 10-11), poiché essa «trae la sua forza da Gesù Cristo stesso. Questa è la ragione della sua perenne giovinezza» (p. 11).

La confessione è un sacramento apparentemente semplice, eppure «prima che il penitente si accosti al confessionale per ricevere l’assoluzione, nel suo intimo è stata combattuta una battaglia. La luce  e le tenebre, il bene e il male, la disperazione e la speranza si sono contesi il dominio del cuore» (p. 14). Nel confessionale avviene un miracolo che non può verificarsi in nessun laboratorio: «oggi la scienza compie progressi, fino a qualche tempo fa inconcepibili, per quanto riguarda la salute psicofisica dell’uomo. Tuttavia non potrà mai trovare la medicina che trasformi un uomo cattivo in un uomo buono e che dia la pace e la gioia a chi è nel tormento e nella tristezza» (p. 17). Eppure non tutti sembrano voler ricorrere a questa medicina, poiché molti pensano di non essere malati: «ciò che mette in crisi il sacramento della confessione è il crescente offuscamento del senso del peccato. La maggior parte dei cristiani pensa di non avere dei peccati di cui accusarsi. Non c’è quindi da meravigliarsi se non solo si abbandona la pratica del sacramento, ma si finisce per non chiedere perdono a Dio neppure nelle proprie preghiere personali» (p. 19).

Sin dall’inizio il peccato inganna, manifestandosi sotto apparenza di bene. Nella sua falsa imitazione di Dio, «Satana punta a trasformare le sue prede a sua immagine e somiglianza» (p. 22). All’inizio presenta i suoi frutti come graditi agli occhi e desiderabili (cfr. Genesi 3,6), altrimenti chiunque li rifiuterebbe. In realtà però, appena mangiato il frutto, questo si rivela incapace di saziare, generando arsura mai placata e sete mai soddisfatta: «l’incanto si rompe e quella che era un’illusione di felicità si trasforma in delusione» (p. 25) e schiavitù, poiché essendo incapace di appagare, ogni peccato conduce alla vana e interminabile ricerca di sempre nuovi piaceri e, di conseguenza, alla continua necessità di reprimere la voce della coscienza.

Illudendosi di diventare «come Dio» (Genesi 3,5) l’uomo in realtà si riduce spiritualmente ad una larva; la malattia e la rovina sono temporali, prima ancora che eterne, e il degrado verso l’animalità è visibile già su questa terra. «Allora l’uomo, creato per essere abitato da Dio, diviene l’oscura dimora del serpente infernale» (p. 33). Questa malattia, prima o poi conduce inesorabilmente alla morte. L’unico modo per guarirla e spezzare la catena è mettersi in ginocchio davanti alla croce.

«Non ti sei mai chiesto per quale motivo, quando ti confessi, vieni assolto da ogni peccato di cui ti sei pentito? Anche se avessi compiuto i delitti più abominevoli, se ti presenti con un cuore contrito, ricevi un’assoluzione completa. [...] La ragione per cui il sacerdote assolve sempre chi si pente dei suoi peccati è da ricercare nel sacrificio della croce, dove Gesù ha già espiato al nostro posto e a nostro favore. Per essere liberati dal male spirituale che ci affligge, basta accogliere il perdono che il Crocifisso ci offre attraverso la persona del sacerdote»(p. 53). La confessione dunque opera una vera e propria risurrezione dell’anima morta, che passa dal tormento alla pace, prima con Dio, quindi con i fratelli. Alla paura subentra la fiducia.

Ovviamente un cadavere non è in grado di risollevarsi da sé: è Dio a compiere il primo passo verso la confessione, andando in cerca della pecorella smarrita (cfr. Luca 15,4). È una grazia che «sgorga dal Cuore trafitto di Gesù e dal suo amore per ogni anima, ma anche per i meriti di tante anime che pregano e si sacrificano per i peccatori. [...] Questo significa che molte grazie di conversione hanno degli anonimi benefattori i quali hanno interceduto a nostro favore e senza che noi lo sapessimo. La grazia della conversione è un grande mistero di amore e ognuno di noi un giorno saprà chi ha pregato per lui, ottenendogli l’intervento dell’Amore misericordioso» (p. 69).

Dio si fa sentire inizialmente con il rimorso della coscienza: buon segno, poiché significa che qualcosa sta riprendendo vita. Tuttavia non è un rimorso che conduce allo scoraggiamento, in quanto Gesù oltre alla diagnosi ci annuncia anche la guarigione. Non resta che lasciarsi curare, a patto però di affidarsi umilmente al medico: «Pensi che le cose sarebbero più semplici se potessimo confessarci da soli, mettendoci direttamente in contatto con Dio? [...] Ma è quando ti metti in ginocchio davanti al sacerdote che la tua umiltà viene provata  e trovata autentica. Gesù, nella sua divina pedagogia, ha trovato un modo molto semplice per spezzare alla radice il nostro orgoglio, che è la causa della perdizione di molte anime» (p. 78).

La scuola più efficace per imparare a confessarsi è il Crocifisso, un libro vivo dove si apprendono tanto la malizia del peccato, quanto la grandezza della misericordia divina. Non a caso la prima confessione, quella del buon ladrone, avvenne proprio sul Calvario. La croce rivela l’iniquità del mondo e la nostra personale iniquità: «guardando alla croce, ognuno deve imparare a vedere gli effetti del proprio peccato. Soprattutto deve considerare che le sofferenze fisiche del Crocifisso sono poca cosa se paragonate alle trafitture del suo Cuore divino, provocate dall’ingratitudine, dall’indifferenza, dal disamore e dal disprezzo nei confronti della sua sconfinata carità» (pp. 81-82). La croce è un invito a contraccambiare quell’amore: «S. Caterina da Siena lo afferma con parole di fuoco: “Chi è quello stolto bestiale che vedendosi così amato non ami?”» (p. 83).

Dopo aver parlato della bruttezza del peccato e della bellezza del perdono, padre Livio dedica gli ultimi capitoli ai «sette passi» di questo cammino. Innanzitutto la preghiera e l’esame di coscienza, proseguendo fin dentro il cuore del sacramento, con il dolore di aver offeso Dio, il proponimento di non offenderLo più, l’accusa dei peccati, l’assoluzione e infine la penitenza. Il primo passo, la preghiera, è in realtà l’inizio e la fine del perdono – “la fonte e il culmine” potremmo dire, parafrasando quanto afferma il Concilio a proposito della liturgia: «Prima di incominciare il tuo esame di coscienza, raccogliti in preghiera e chiedi a Dio la luce necessaria. Infatti è la grazia che ci aiuta a vedere i peccati, anche i più riposti, e a evitare le forme di autoinganno e di auto giustificazione» (p. 84).

«La preghiera non solo apre il cammino della confessione, ma ne è la logica conclusione. All’inizio è una preghiera di invocazione, alla fine di ringraziamento» (p. 85). Attingendo al Catechismo e al magistero dei Pontefici, oltre che alla propria esperienza, padre Livio ci guida concretamente nei vari passaggi di questo percorso, alla fine del quale «ci viene restituita la grazia santificante e la comunione con Dio. Tuttavia rimangono le pene temporali del peccato, che si devono scontare in questa vita o in purgatorio» (p. 135).

Ancora una volta il penitente non è solo, poiché può beneficiare dell’aiuto e dei meriti dei santi, mediante il grande – quanto dimenticato – tesoro delle indulgenze. «In questo ammirabile scambio, la santità dell’uno giova agli altri, ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri. In tal modo, il ricorso alla comunione dei santi permette al peccatore contrito di essere in più breve tempo e più efficacemente purificato dalle pene del peccato…» (p. 137).

Prima di lasciarci, padre Livio ci fornisce qualche ulteriore consiglio per la battaglia spirituale: l’avversario, infatti, non si arrende e tornerà a bussare alla nostra porta. Dopo il miracolo della conversione e della confessione, il passo successivo è quello della perseveranza. La battaglia durerà per tutta la vita.

Padre Livio Fanzaga, La confessione. Dove il cuore trova la pace, Sugarco Edizioni, Milano 2008, € 15,50

(Recensione pubblicata a maggio 2010 in: Totus tuus Network)

Divisore dans San Francesco di Sales

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L’importanza dei segni

Posté par atempodiblog le 6 avril 2013

“E’ importantissimo, signori, sottolineare il fatto empirico e sensibile dell’apparizione pasquale. Se non facciamo questo, noi cristiani corriamo il grande rischio di trasformare il cristianesimo in una gnosi”.
Paolo VI

L'importanza dei segni dans Commenti al Vangelo L-incredulit-di-Tommaso

L’importanza dei segni
Tommaso viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli
di Padre Ignace de la Potterie

[...] Nell’ultimo episodio Gesù riappare ai discepoli una settimana dopo. Adesso c’è anche Tommaso, assente la prima volta. L’inizio è lo stesso, la vera novità è costituita dalla presenza di Tommaso, che riveste qui un duplice ruolo: essendo «uno dei Dodici» deve aver visto il Signore risorto; ma d’altra parte, lui è anche uno di quelli che non l’ha visto la prima volta e quindi rappresenta un pò tutti noi. Così il caso di Tommaso prefigura l’atteggiamento di tutti i credenti. Perciò vale per tutti l’invito: «Diventa un uomo di fede». Ma poi Gesù dice: «Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto», e l’evangelista utilizza due volte il perfetto. Ma viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli, i quali a loro volta avevano creduto a ciò che aveva detto loro la Maddalena.

Credere sui segni
Gesù dice allora all’apostolo: «Beati coloro che senza aver visto hanno creduto». Su questo versetto c’è molta confusione. Per Bultmann e per Marxsen sarebbe una critica radicale all’importanza dei segni e dell’apparizione pasquale del risorto. Una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore. Il fedele non deve vedere i segni come fatti storici ma come una rappresentazione simbolica che serve a far comprendere l’efficacia della croce. Allora la resurrezione non c’è! Ma un’altra lettura sbagliata è anche quella che traduce: «Beati coloro che senza aver visto crederanno». Non è corretto tradurre con un futuro. Ci sono due verbi all’aoristo, e in tutti gli altri casi di aoristo utilizzati da Giovanni questi hanno valore di anteriorità. Gesù si riferisce quindi al passato ed è questa la ripresa di quanto è accaduto all’inizio del capitolo, cioè il fatto che i discepoli hanno cominciato a credere già sui segni e poi anche sulla testimonianza degli altri senza avere visto il risorto. [...]

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Una falsa veggente contro papa Francesco

Posté par atempodiblog le 5 avril 2013

Una falsa veggente contro papa Francesco
di Massimo Introvigne – La nuova Bussola Quotidiana

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«Il regno nella Casa di Pietro [di Papa Francesco] è alla fine e presto il mio caro Papa Benedetto XVI guiderà i figli di Dio dal suo luogo di esilio. Pietro, il mio Apostolo, il fondatore della Chiesa sulla Terra, lo guiderà nei difficili Ultimi Giorni, mentre la mia Chiesa combatterà per la sua stessa vita». Questa presunta profezia di Gesù Cristo, diffusa lo scorso Venerdì Santo, si è diffusa rapidamente su siti Internet e blog di tutto il mondo, Italia compresa, dove chi si chiede tra Francesco e Benedetto XVI «chi è il Papa?» –con la malcelata intenzione di non obbedire né all’uno né all’altro – spesso si alimenta alla dubbia tavola di rivelazioni private spurie.

Negli ultimi giorni La Nuova Bussola Quotidiana ha ricevuto molte richieste di chiarimenti, perfino da vescovi, sulle presunte profezie – al cui novero appartiene quella appena citata – di una donna irlandese che si fa chiamare Maria della Divina Misericordia («Maria Divine Mercy»). Non solo dall’Italia, dove pure il suo «Libro della verità» è stato tradotto e circola in diversi ambienti. Ci sono Paesi stranieri dove Maria della Divina Misericordia è diventato in pochi giorni un nome noto alla grande stampa.

Chi è Maria della Divina Misericordia? Nessuno lo sa. Oltre a leggere il suo libro, e le rivelazioni private che afferma di ricevere da Gesù Cristo a getto continuo, è possibile sentire la sua voce in un’intervista registrata dove afferma di essere una donna d’affari irlandese madre di quattro figli, che ha cominciato con sua sorpresa a essere destinataria di messaggi divini il 9 novembre 2010. Ma nessuno ha mai visto la donna, né il suo nome è stato comunicato, e non manca nella stessa Irlanda chi pensa che non esista nessuna Maria e che un gruppo di persone anonime diffonda queste presunte rivelazioni per finalità poco chiare.

Il contenuto dei messaggi di Maria della Divina Misericordia li rivela come una classica forma di millenarismo. Si tratta di quella corrente che pretende di conoscere dettagli su come, e spesso anche su quando – con tanto di date precise – sarà la fine dei tempi: una corrente che la Chiesa, con le parole del «Catechismo della Chiesa Cattolica» condanna come una «falsificazione del regno futuro», di cui i buoni fedeli sanno che non possono conoscere «né il giorno né l’ora» (Matteo 25, 13) e neppure le esatte modalità.

Maria della Divina Misericordia annuncia che è in atto l’«Avvertimento», un periodo che sarebbe stato predetto dalla Madonna nelle apparizioni di Garabandal (1961-1965). Queste apparizioni non sono state riconosciute dalla Chiesa, ma – qualunque cosa se ne pensi – non bisogna confondere il movimento di fedeli che s’interessano a Garabandal con il gruppo di preghiera «Gesù all’umanità», che riunisce i seguaci di Maria della Divina Misericordia. In effetti, la grande maggioranza dei devoti di Garabandal non accetta i messaggi di Maria della Divina Misericordia e denuncia il suo tentativo di ricollegarsi a Garabandal come abusivo.

Maria – che si presenta, cosa non nuova tra i millenaristi, come il settimo angelo o il settimo messaggero di cui parla l’Apocalisse – afferma che il periodo della Grande Tribolazione è iniziato nel dicembre 2012 e finirà nel maggio 2016. In questo periodo si rivelerà l’Anticristo, preceduto dal Falso Profeta, il suo alleato. A un certo punto, durante questo tempo, secondo Maria «due comete si scontreranno nel cielo», e tutti potranno vedere i propri peccati e «lo stato della propria anima davanti a Dio». «Molte persone cadranno per terra e piangeranno lacrime di sollievo» e «ogni persona di età superiore ai 7 anni vivrà  un incontro privato mistico con Gesù Cristo che durerà fino a 15 minuti». Miliardi di persone si convertiranno. L’Anticristo e il Falso Profeta saranno sconfitti e ci saranno la Seconda Venuta di Gesù Cristo e il Millennio, il regno futuro del Signore che non coinciderà con la fine del mondo ma con l’inizio di un periodo che durerà letteralmente mille anni in cui Satana sarà legato e non potrà più tentare i buoni. Siamo nell’ambito di quello che la teologia chiama «millenarismo mitigato», una dottrina anch’essa condannata dalla Chiesa a più riprese e da ultimo nel «Catechismo della Chiesa Cattolica».

Ma dove ci troviamo oggi? Utilizzando anche le profezie attribuite al vescovo medievale irlandese Malachia di Armagh (1094-1148) – che gli storici sanno essere un falso costruito nel XVI secolo per influenzare i cardinali in conclavi del Rinascimento –, le quali prevedono un numero di futuri Pontefici secondo il quale Francesco sarebbe l’ultimo Papa prima della fine dei tempi, Maria ha cominciato mesi fa a prevedere che Benedetto XVI sarebbe stato «cacciato dal Vaticano» da un complotto di cardinali. Oggi afferma di avere previsto le dimissioni di Papa Ratzinger, ed è questo che l’ha resa così famosa in molti Paesi. Ma in realtà, se uno legge i suoi messaggi, si rende conto che non ha previsto quello che è effettivamente accaduto. Secondo i testi di Maria, Benedetto XVI avrebbe dovuto essere scacciato dal Vaticano contro la sua volontà, e avrebbe quindi chiamato a raccolta i buoni per difendere la vera Chiesa contro gli usurpatori. Ma non è andata così. È del tutto ovvio che Papa Ratzinger si è dimesso di sua spontanea volontà e che non si appresta a promuovere nessuna crociata contro il nuovo Papa, cui al contrario ha promesso obbedienza.

Per Maria della Divina Misericordia – o chi si nasconde dietro questo nome – Papa Francesco è invece il Falso Profeta, l’alleato dell’Anticristo. Già durante il Conclave Maria aveva predetto che, chiunque fosse stato eletto, si sarebbe trattato di un inganno organizzato da cardinali infedeli in combutta con la massoneria e con l’Ordine degli Illuminati. Ora spiega che l’incoronazione di Papa Francesco «sarà celebrata in ogni angolo della Terra dai gruppi massonici» e che durante la Settimana Santa il Papa farà un «gesto di profanazione del Santo Nome» di Gesù che sarà visibile da tutti coloro che «avranno occhi per vedere» e rivelerà definitivamente Francesco come il Falso Profeta.

sigillov dans Articoli di Giornali e News

Che cosa dovrebbero fare i buoni? Rifiutare Francesco, considerare Benedetto XVI l’unico vero Pontefice e accettare il «Sigillo del Dio Vivente», un nuovo simbolo rivelato a Maria della Divina Misericordia cui è collegata una preghiera recitando la quale si è sicuri della protezione divina nel periodo della Grande Tribolazione. Alla fine della Grande Tribolazione – come accennato, maggio 2016 – ci saranno poi tre giorni e tre notti di oscurità che precederanno la seconda venuta di Gesù Cristo per inaugurare il Millennio.

Per chiunque studi i movimenti millenaristi in tutto questo non c’è nulla di particolarmente nuovo. Si tratta di un aggiornamento, con il riferimento a Papa Francesco, d’idee che circolano in ambienti protestanti da diversi secoli, e che hanno sempre influenzato anche qualche cattolico, determinando le chiarissime condanne riportate nel «Catechismo della Chiesa Cattolica». Le profezie che danno dettagli e date sulla fine dei tempi sono condannate dalla Chiesa come false profezie. E naturalmente sono tanto più gravi se incitano a ribellarsi al Papa e a porre la propria fiducia in profeti anonimi che nessuno ha neppure mai visto e in nuovi segni e preghiere estranee alla tradizione cattolica. Il fatto che decine di migliaia di persone – in modo particolarmente grave nel mondo di lingua inglese, e in alcuni Paesi dell’Europa dell’Est – prestino fede a questi inganni è un ulteriore segno della straordinaria confusione che regna nelle anime.

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