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Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli

Posté par atempodiblog le 12 janvier 2016

Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli
La misericordia è “la carta di identità” di Dio: così Papa Francesco nel libro-intervista “Il nome di Dio è misericordia”, da oggi in libreria. Il volume riporta una conversazione del Pontefice con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” e coordinatore del sito web “Vatican Insider” Suddiviso in nove capitoli e 40 domande, il libro – edito da Piemme – ha la copertina autografa di Papa Francesco. La prima copia del volume, in italiano, è stata consegnata ieri pomeriggio al Pontefice, presso Casa Santa Marta.
di Isabella Piro – Radio Vaticana

Il nome di Dio è Misericordia

Intervista registrata lo scorso luglio
Luglio 2015, Casa Santa Marta: Papa Francesco è da poco rientrato dal suo viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay. È un pomeriggio afoso quando riceve il giornalista Andrea Tornielli, munito di tre registratori. Su un tavolino davanti a sé, il Pontefice ha una concordanza della Bibbia e le citazioni dei Padri della Chiesa. La misericordia è il tema della conversazione che nasce tra i due, in vista del Giubileo straordinario che si aprirà cinque mesi dopo. Oggi, i frutti di quel dialogo sono raccolti nel libro “Il nome di Dio è misericordia”.

Capitolo 1: è tempo di misericordia
Preghiera, riflessione sui Pontefici precedenti e un’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che “riscalda i cuori delle persone con la vicinanza e la prossimità”: sono questi i tre fattori, spiega il Papa, che lo hanno spinto ad indire un Giubileo della misericordia. “La nostra epoca è un tempo opportuno” per questo, dice, perché oggi si vive un duplice dramma: si è smarrito il senso del peccato e lo si considera anche incurabile, inguaribile, imperdonabile. Per questo, l’umanità ferita da tante “malattie sociali” – povertà, esclusione, schiavitù del terzo millennio, relativismo – ha bisogno di misericordia, di quella “carta di identità di Dio”, di Colui “rimane sempre fedele” anche se il peccatore Lo rinnega.

La grazia della vergogna rende il peccatore consapevole del peccato
Centrale poi la riflessione del Papa sul tema della vergogna, intesa come “una grazia” perché rende il peccatore consapevole del proprio peccato. E particolare la sottolineatura del così detto “apostolato dell’orecchio”, ossia della capacità dei confessori di “ascoltare con pazienza” perché oggi le persone “cercano soprattutto qualcuno che sia disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà”. Tra l’altro – nota il Papa – è per questo che tanti si rivolgono ai chiromanti. Il Pontefice rimarca inoltre “che se il confessore non può assolvere, dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale”, perché “l’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento”.

Essere confessori è una grande responsabilità
“Abbiate tenerezza con queste persone – dice il Papa ai sacerdoti – non allontanatele”, perché “la gente soffre” e “essere confessori è una grande responsabilità”. Al riguardo, il Pontefice cita il caso di sua nipote: “Io ho una nipote che ha sposato civilmente un uomo prima che lui potesse avere il processo di nullità matrimoniale – racconta – Quest’uomo era tanto religioso che tutte le domeniche, andando a Messa, andava al confessionale e diceva al sacerdote: ‘Io so che lei non mi può assolvere, ma ho peccato in questo e in quest’altro, mi dia una benedizione’. Questo è un uomo religiosamente formato”.

Capitolo 2: confessione non è tintoria, né tortura. Ascoltare, non interrogare
D’altronde, si va al confessionale “non per essere giudicati”, ma per “qualcosa di più grande del giudizio: per l’incontro con la misericordia” di Dio, senza la quale “il mondo non esisterebbe”. Per questo, sottolinea il Pontefice, il confessionale non deve essere né “una tintoria”, in cui lavare via a secco il peccato come una semplice macchia, né “una sala di tortura” in cui scontrarsi con “l’eccesso di curiosità” di alcuni confessori, curiosità a volte “un po’ malata”, morbosa, che trasforma la confessione in un interrogatorio.

Capitolo 3: riconoscersi peccatori. Il cuore a pezzi è offerta gradita a Dio
Invece, “nel dialogo con il confessore bisogna essere ascoltati, non interrogati” e quindi il sacerdote deve “consigliare con delicatezza”. Ma per ottenere la misericordia di Dio, ribadisce nuovamente Francesco, è importante  riconoscersi peccatori, perché “il cuore a pezzi è l’offerta più gradita al Signore, è il segno che siamo coscienti del nostro bisogno di perdono, di misericordia”.  Il Papa ricorda, poi, che la misericordia di Dio è “infinitamente più grande del nostro peccato” , perché il Signore “ci primerea”, “ci anticipa, ci attende” sempre “con il suo perdono, con la sua grazia”. “Il solo fatto che una persona vada al confessionale – spiega Francesco – indica che c’è già un inizio di pentimento”. E a volte vale di più “la presenza impacciata ed umile di un penitente che fa fatica a parlare, piuttosto che le tante parole di qualcuno che descrive il suo pentimento”.

Capitolo 4: anche il Papa ha bisogno della misericordia di Dio
Dal suo canto, il Papa si definisce “un uomo che ha bisogno della misericordia di Dio” e offre alcuni consigli al penitente e al confessore: al primo, suggerisce di non essere superbo, ma di “guardare con sincerità a se stesso ed al proprio peccato”, così da ricevere il dono della misericordia di Dio. Ai confessori, invece, Francesco suggerisce di pensare innanzitutto ai propri peccati, poi di ascoltare “con tenerezza”, senza “scagliare mai la prima pietra”, ma cercando di “assomigliare a Dio nella sua misericordia”. Come modello, il Pontefice cita il padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, prim’ancora che il giovane ammetta i suoi peccati. “Questo è l’amore di Dio – sottolinea il Papa – Questa è la sua sovrabbondante misericordia”.

Capitolo 5: Chiesa condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore
Di fronte a chi, poi, a volte, afferma che nella Chiesa c’è “troppa misericordia”, il Papa risponde sottolineando che “la Chiesa condanna il peccato”, ma “allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, gli parla della misericordia infinita di Dio”. Bisogna perdonare “settanta volte sette, cioè sempre”, dice il Pontefice, perché “Dio è un padre premuroso, attento, pronto ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere un passo” verso di Lui, e “nessun peccato umano, per quanto grave, può prevalere sulla misericordia e limitarla”. La Chiesa, quindi, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”.

Chiesa sia “in uscita”, “ospedale da campo” per i bisognosi di perdono
Per fare questo, però, essa deve essere “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo che va incontro ai tanti ‘feriti’ bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore”. È importante, infatti, “accogliere con delicatezza chi si ha di fronte, non ferire la sua dignità”, afferma il Pontefice, citando un’esperienza personale, risalente ai tempi in cui era parroco in Argentina: una donna che si prostituiva per mantenere i suoi figli, lo ringraziò perché il futuro Papa l’aveva sempre chiamata “Signora”.

Capitolo 6: non leccarsi le ferite del peccato, ma muoversi verso Dio
E ancora, Francesco mette in guardia dall’atteggiamento di chi dispera “della possibilità di essere perdonato” e preferisce leccarsi le ferite del peccato, impedendone di fatto la guarigione. “Questa è una malattia narcisista che porta l’amarezza”, nota il Papa, e in cui si riscontra “un piacere nell’amarezza, un piacere ammalato”. Al contrario, “la medicina c’è”: basta solo muovere un passo verso Dio o avere almeno il desiderio di muoverlo, “prendendo sul serio la propria condizione”, senza credersi “autosufficienti” e senza dimenticare le nostre origini, “il fango da cui siamo stati tratti, il nostro niente”. E questo “vale soprattutto per i consacrati”, sottolinea il Papa. Nella vita, infatti, l’importante non è “non cadere mai”, bensì “rialzarsi sempre”. Questo, allora, è il compito della Chiesa: “Far percepire alle persone che è sempre possibile ricominciare se soltanto permettiamo a Gesù di perdonarci”.

Delicatezza, e non emarginazione, per le persone omosessuali
Rispondendo, poi, ad una domanda sulle persone omosessuali, il Papa spiega quanto detto nel 2013, durante la conferenza stampa di ritorno da Rio de Janeiro, ovvero “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. “Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica – dice Francesco – dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare”. Il Papa apprezza la dicitura “persone omosessuali” perché – spiega – “prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità”, che “non è definita soltanto dalla sua tendenza omosessuale”. “Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare insieme”, aggiunge il Pontefice.

Misericordia è dottrina, è primo attributo di Dio
Quanto al rapporto tra verità, dottrina e misericordia, Francesco spiega: “Io amo piuttosto dire: la misericordia è vera”, “è il primo attributo di Dio”. “Poi si possono fare riflessioni teologiche su dottrina e misericordia – aggiunge – ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina”. A tal proposito, il Papa cita “i dottori della legge, i principali oppositori di Gesù, che lo sfidano in nome della dottrina”: essi seguono una logica di pensiero e di fede che guarda “alla paura di perdere i giusti, i già salvati”. Gesù, invece, segue un’altra logica: quella che redime il peccato, accoglie, abbraccia, trasforma il male in bene, la condanna in salvezza. È la logica di un Dio che è amore, spiega il Papa, un Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini, che non si ferma “a studiare a tavolino la situazione”, valutando i pro e i contro. Per il Signore, ciò che conta davvero è “raggiungere i lontani e salvarli”, sanare e integrare “gli emarginati che stanno fuori” dalla società.

Logica di Dio è logica dell’amore che scandalizza i “dottori della legge”
Certo, sottolinea Francesco: questa logica può scandalizzare, allora come oggi, provocando “il mugugno” di chi è abituato ai propri “schemi mentali ed alla propria purità ritualistica”, invece di “lasciarsi sorprendere” da un amore più grande. Al contrario, è proprio questa logica la strada che il Signore ci indica di fronte alle persone che “soffrono nel fisico e nello spirito”, per vincere così “pregiudizi e rigidezze” ed evitare di giudicare e condannare “dall’alto della propria sicurezza”. Andare verso gli emarginati ed i peccatori – aggiunge il Papa – non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge, bensì cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia, senza mai cadere nella tentazione di sentirci “i giusti o i perfetti”.

Adesione formale alle regole porta a  degradazione dello stupore
Chi si scopre “ammalato nell’anima”, infatti, deve trovare porte aperte, non chiuse; accoglienza, non giudizio o condanna; aiuto, non emarginazione. I cristiani che “spengono ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore”, spiega Francesco, sono come i dottori della legge, “sepolcri imbiancati” che, con ipocrisia, vivevano attaccati alla lettera della legge, sapevano solo chiudere porte, segnare confini, ma trascuravano l’amore. Se prevale l’adesione formale alle regole – mette in guardia il Papa – allora si verifica “la degradazione dello stupore”, ossia il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza donata da Dio, e ciò ci spinge a credere di “poter fare da soli, di essere noi i protagonisti”. Questo atteggiamento “è alla base del clericalismo” e porta i ministri di Dio a credersi “padroni della dottrina, titolari di un potere”.

Legge della Chiesa è inclusiva, non esclusiva
La Chiesa non deve mai essere così, afferma il Papa, non deve avere l’atteggiamento di chi impone “pesanti fardelli” sulle spalle della gente, senza volerli muovere “neppure con un dito”. “Ad alcune persone tanto rigide – dice il Papa – farebbe bene una scivolata perché così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Gesù”. “La grande legge della Chiesa – infatti – è quella dell’et et e non quella dell’aut aut”. A tal proposito Francesco cita esempi negativi, come i cinquemila dollari richiesti ad una donna per un processo di accertamento di nullità matrimoniale o come il funerale in Chiesa rifiutato ad un bambino perché non battezzato.

Capitolo 7: corruzione, peccato elevato a sistema. Peccatori sì, corrotti no!
Ampia, poi, la riflessione di Francesco sulla corruzione, definita come “il peccato elevato a sistema e divenuto abito mentale, modo di vivere”. Il corrotto pecca e non si pente, dice il Papa, finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo, crede di non dover più chiedere perdono, passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità sua e degli altri. Con la sua “faccia da santarellino”, il corrotto evade le tasse, licenzia i dipendenti per non assumerli definitivamente, sfrutta il lavoro nero e poi si vanta delle sue furbizie con gli amici o magari va a Messa la domenica, ma poi pretende una tangente sul lavoro. E “spesso non si accorge del suo stato” come “chi ha l’alito pesante”. “Peccatori sì, corrotti no!”, esorta il Papa, invitando a pregare, durante il Giubileo, perché Dio faccia breccia nel cuore dei corrotti, donando loro “la grazia della vergogna”.

Giustizia non basta da sola, serve misericordia
Poi, il Pontefice ricorda che la misericordia è “un elemento indispensabile” perché vi sia fratellanza tra gli uomini. La giustizia da sola, infatti, non basta: con la misericordia, Dio va oltre la giustizia, “la ingloba e la supera” nell’amore. “Non c’è giustizia senza perdono – dice ancora Francesco, sulla scia di Giovanni Paolo II – e la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura, più giusta e solidale”. Non solo: “la misericordia contagia l’umanità” e ciò si riflette “nella giustizia terrena, nelle norme giudiziarie”. Basti pensare al crescente rifiuto della pena di morte che si registra a livello mondiale.

Famiglia, prima scuola di misericordia
“Con la misericordia la giustizia è più giusta”, sottolinea ancora il Papa, rimarcando che questo non significa “essere di manica larga, spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi”, bensì aiutare chi è caduto a rialzarsi, perché Dio “perdona tutto”, “fa miracoli anche con la nostra miseria” e la sua misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, tanto che nessuno può porvi un limite. Il Pontefice ricorda, poi, che la famiglia “è la prima scuola della misericordia”, perché in essa “si è amati e si impara ad amare, si è perdonati e si impara a perdonare”.

Capitolo 8: compassione vince globalizzazione dell’indifferenza
Quanto alle caratteristiche dell’amore infinito di Dio, Papa Bergoglio ricorda che Dio ci ama con compassione e misericordia; la prima ha un volto più umano, la seconda invece è divina. Infatti, Gesù non guarda alla realtà dall’esterno, “come se scattasse una fotografia”, ma “si lascia coinvolgere”. Di questa compassione c’è bisogno oggi, spiega il Papa, e ce n’è bisogno per vincere “la globalizzazione dell’indifferenza”.

Capitolo 9: praticare opere di misericordia, è in gioco credibilità dei cristiani
A conclusione del libro-intervista, il Papa si sofferma sulle opere di misericordia, corporali e spirituali: “Sono attuali e sempre valide – dice – restano alla base dell’esame di coscienza ed aiutano ad aprirsi alla misericordia di Dio”. Di qui, l’esortazione a servire Gesù “in ogni persona emarginata”, esclusa, affamata, assetata, nuda, carcerata, malata, disoccupata, perseguitata, profuga. Nell’accoglienza dell’emarginato, ferito nel corpo, e del peccatore, ferito nell’anima, si gioca infatti “la credibilità dei cristiani”, conclude il Pontefice. Perché in fondo, come diceva San Giovanni della Croce, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”.

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Marija: Senza Dio non c’è pace

Posté par atempodiblog le 9 janvier 2016

Messaggio della Regina della Pace di Medjugorje a Marija del 25/12/2015

“Cari figli! 
Anche oggi vi porto mio figlio Gesù tra le braccia e da esse vi do la Sua pace e la nostalgia del Cielo. Prego con voi per la pace e vi invito ad essere pace. Vi benedico tutti con la mia benedizione materna della pace. Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

Marija Pavlovic Lunetti

Telefonata di Padre Livio e Marija – 25 dicembre 2015
Marija: Senza Dio non c’è pace

Tratto da: Radio Maria Fb

Marija: Oggi è stata un’apparizione con la nostalgia del Paradiso, del Cielo. La Madonna è arrivata con Gesù Bambino in braccio. Gesù ci ha guardato come un bambino sveglio, ma non ha detto niente. La Madonna ha pregato su di noi. Io ho raccomandato tutti noi e tutte le persone che si sono raccomandate alle nostre preghiere. L’apparizione è stata abbastanza corta e anche il messaggio. Mi sembrava che la Madonna avesse fretta di tornare in Paradiso. Era gioiosa, tranquilla e soprattutto bella. Il suo sguardo e con Gesù Bambino trasmette a noi un grande desiderio e una grande gioia di essere stati scelti da Lei, di essere quelli che Lei chiama suoi angeli e suoi figli. Come ogni Natale, è arrivata con i vestiti dorati, noi diciamo ricamati d’oro, più ricchi, più belli, più raggianti.

P. Livio: Nel Natale del 2012 invece il messaggio l’ha dato Gesù Bambino, unica volta che Lui ha parlato in 34 anni. Alzandosi con autorità, ha detto: “Io sono la vostra pace. Vivete i miei comandamenti”. Ricordo che tu mi hai chiamato dicendo che era successo una cosa stranissima (Marija non ricordava più quel messaggio). Spiegami come mai che appena ricevuto il messaggio lo sai trascrivere perfettamente, ma dopo qualche tempo lo dimentichi.
Marija: Si perché lo scriviamo subito e abbiamo l’immagine della Madonna. Il messaggio è come impresso nella nostra mente. L’esperienza con la Madonna è così forte per noi che ci rimane come un timbro nel cuore, perché è molto forte e pregnante la sua presenza nella nostra vita. E’ una grazia speciale. Perché noi con la Madonna facciamo esperienza del Paradiso ed entriamo in un’altra dimensione. Non so se riesco a farvi capire. Ma dopo l’apparizione torniamo a vivere come tutti gli esseri umani e dimentichiamo. Però resta la certezza della fede.

P. Livio: Come interpreti le parole: “nostalgia del Cielo? Come un desiderio di morire presto?
Marija: Questa nostalgia dobbiamo averla sempre. Non è che dobbiamo morire per andare in Cielo. La Madonna dice di cominciare a vivere il Paradiso qui sulla terra. Perché se noi abbiamo questa nostalgia del Cielo, del Paradiso, questo desiderio di Dio, cominciamo a vivere in modo diverso, sopportando e combattendo anche fino al martirio… I martiri andavano cantando incontro alla morte. Oggi forse Gesù non chiede da noi la morte, ma chiede che moriamo a tante cose inutili e di attaccarci alle cose spirituali che non marciscono. Oggi tante persone non hanno questo spirito del Natale e del loro rapporto con Dio. Per questo penso che la Madonna ci chiede di avere la nostalgia del Cielo.

P. Livio: La Madonna chiede di “essere pace, ma siamo in tempi tribolati nei quali “satana è sciolto dalle catene“ (messaggio del 1° gennaio 2001), con prove, tentazioni e sofferenze quotidiane. Come conservare la pace in mezzo a tutto questo?
Marija: E’ vero, la Madonna in quel messaggio ci ha detto che satana è sciolto dalle catene, ma ci ha anche invitato a consacrarci al suo Cuore Immacolato e al Cuore di suo Figlio Gesù. Io penso che se noi siamo sotto il manto della Madonna, come Lei tante volte ci ha chiesto, se siamo preghiera, se siamo pace, se siamo speranza, non dobbiamo avere paura… Il Signore ci dà la pace. La Madonna ci dice che dobbiamo cercare questa pace, e ci aiuta con la sua presenza, i suoi messaggi.

P. Livio: E’ con la nostra pace con Dio che il mondo troverà la pace?
Marija: Io credo che se non c’è Dio non c’è pace… La Madonna chiede di essere positivi, perché un cristiano è chiamato ad essere uno che ha la speranza, uno che ha la gioia di vivere. La Madonna ci chiama ad essere gioia, essere espressione della gioia. Nel precedente messaggio ci ha chiesto di pregare per le sue intenzioni. Io ho subito pensato: chissà che cosa la Madonna ci sta nascondendo per non spaventarci. Ma noi preghiamo e poi tante volte ha detto che, grazie alle nostre preghiere, aveva vinto il bene. Ci sono tante cose che non vanno, ma Lei dice: “Pregate”.

P. Livio: Tu pensi che con l’aiuto di quelli che rispondono alla chiamata la Madonna vincerà la sua battaglia per la pace nel mondo?
Marija: La Madonna ha già vinto. Io penso a quello che ha detto fin dai primi anni: “Dio mi ha permesso di essere in mezzo a voi”. Credo profondamente che Dio ha mandato sua Madre in mezzo a noi per dare una svolta alla nostra vita e all’umanità, anche se non ne siamo coscienti. Ma io vedo già questa svolta che comincia col trionfo del Cuore Immacolato di Maria grazie a tanti cuori, a tante famiglie, a tanti gruppi di preghiera, a tante persone umili, semplici che hanno accolto i messaggi della Madonna… Purtroppo la società moderna ha dimenticato l’anima e ha perso il desiderio di Dio e del soprannaturale… Io credo fermamente che nella società e nelle relazioni internazionali tante cose si sono cambiate in modo positivo grazie alla Madonna, al suo messaggio e alla sua presenza. Con Lei sparisce il dubbio, con Lei c’è speranza, con Lei c’è la pace, con Lei c’è Dio. A questa nostra umanità povera, incapace, confusa, triste, a questa umanità che ha messo l’io al centro, Lei sta portando Dio…

Lungo tutta questa notte qui a Medjugorje ci sarà l’adorazione per ringraziare Gesù della presenza della Madonna e dei suoi messaggi.

Marija ha quindi pregato il “Magnificat” e il Gloria.
Padre Livio ha concluso con la benedizione.

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L’annuncio ai pastori, che diventano i primi adoratori del Verbo fatto Uomo

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2016

L’annuncio ai pastori, che diventano i primi adoratori del Verbo fatto Uomo.
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

Adorazione dei pastori

[7 giugno 1944. Vigilia del Corpus Domini]
Più tardi vedo una vasta estensione di campagna. La luna è allo zenit e veleggia placida in un cielo gremito di stelle. Sembrano tante borchie di diamante infisse in un enorme baldacchino di velluto celeste cupo, e la luna vi ride in mezzo col suo faccione bianchissimo, da cui scendono fiumi di luce lattea che fa bianca la terra. Gli alberi spogli sembrano più alti e neri sul suolo così imbiancato, mentre i muretti, che qua e là sorgono a confine, sembrano di latte, e una casina lontana pare un blocco di marmo di Carrara.
Alla mia destra vedo un luogo cintato da una siepe di pruni su due lati e da un muro basso e scabro da altri due. Questo muro sorregge il tetto di una specie di tettoia larga e bassa, che nella parte interna del recinto è costruita parte in muratura e parte in legname, quasi che nell’estate le parti in legno debbano esser tolte e la tettoia mutarsi in porticato. Da questo chiuso esce, di tanto in tanto, un belare intermittente e breve. Devono essere pecorelle che sognano o che forse credono sia prossimo il giorno per il chiarore che dà la luna. Un chiarore persino eccessivo, tanto è intenso, e che cresce, quasi che il pianeta si avvicini alla terra o sfavilli per un misterioso incendio.
Un pastore si affaccia sulla porta e, portandosi un braccio sulla fronte per fare riparo agli occhi, guarda in alto. Pare impossibile che ci si debba riparare dal chiarore della luna. Ma questo è così vivo che abbacina, specie chi esce da un chiuso dove è tenebra. Tutto è calmo. Ma quella luce stupisce.
Il pastore chiama i compagni. Si affacciano sulla porta tutti. Un mucchio d’uomini irsuti, di età diverse. Ve ne sono di appena adolescenti e di già canuti. Commentano il fatto strano e i più giovani hanno paura. Specie uno, un fanciullo sui dodici anni, che si mette a piangere attirandosi le baie dei più vecchi.
«Di che temi, stolto?» gli dice il più vecchio. «Non vedi che aria quieta? Non hai mai visto splendere la luna? Sei sempre stato sotto le vesti della mamma come un pulcino sotto la chioccia, vero? Ma ne vedrai delle cose! Una volta io mi ero spinto verso i monti del Libano, oltre ancora. In alto. Ero giovane e non mi pesava l’andare. Ero anche ricco, allora… Una notte vidi una luce tale che pensai che fosse per tornare Elia sul suo carro di fuoco. Il cielo era tutto un incendio. Un vecchio – allora il vecchio era lui – mi disse: “Grande avventura sta per venire nel mondo“. E per noi fu sventura, perché vennero i soldati di Roma. Oh! ne vedrai, se campi!…»
Ma il pastorello non lo ascolta più. Pare non abbia neppur più paura, perché lascia la soglia e sguscia da dietro le spalle di un nerboruto mandriano, dietro il quale si era rifugiato, ed esce nello stazzo erboso che è davanti alla tettoia. Guarda in alto e cammina come un sonnambulo o come uno ipnotizzato da qualcosa che lo attira totalmente. Ad un certo punto grida: «Oh!» e resta come pietrificato, a braccia un poco aperte.
Gli altri si guardano stupefatti.
«Ma cosa ha quello stolto?» dice uno.

«Domani lo rimando a sua madre. Non voglio pazzi a custodia delle pecore» dice un altro.
E il vecchio che ha parlato poco prima dice: «Andiamo a vedere prima di giudicare. Chiamate anche gli altri che dormono e prendete i bastoni. Che non sia una bestia cattiva o dei malandrini…».
Entrano, chiamando altri pastori, ed escono con torce e randelli. Raggiungono il fanciullo.
«Là, là» egli mormora sorridendo. «Al di sopra dell’albero, guardate quella luce che viene. Pare cammini sul raggio della luna. Ecco che si avvicina. Come è bella!».
«Io vedo solo un più vivo chiarore».
«Io pure».
«Anche io» dicono gli altri.
«No. Io vedo come un corpo» dice uno in cui riconosco il pastore che ha dato il latte a Maria.
«È un… è un angelo!» grida il bambino. «Eccolo che scende e si avvicina… Giù! In ginocchio davanti all’angelo di Dio!».
Un «oh!» lungo e venerabondo si alza dal gruppo dei pastori, che cadono con il volto verso il suolo, e tanto più paiono schiacciati dall’apparizione fulgente quanto più sono anziani. I giovanetti sono in ginocchio, ma guardano l’angelo, che sempre più si avvicina e si ferma sospeso, ventilando le grandi ali, candore di perla nel candore di luna che lo circonda, al disopra del muro del recinto.
«Non temete. Non porto sventura. Io vi reco l’annuncio di una grande allegrezza per il popolo d’Israele e per tutto il popolo della terra». La voce angelica e un armonia d’arpa su cui cantino gole d’usignoli.
«Oggi, nella città di Davide, è nato il Salvatore». L’angelo, nel dire questo, apre più grandi le ali e le muove come per soprassalto di gioia, e una pioggia di faville d’oro e di pietre preziose pare ne sfugga. Un vero arcobaleno che fa un arco di trionfo sul povero stabbio.
«…il Salvatore che è Cristo». L’angelo sfavilla di aumentata luce. Le sue due ali, ora ferme e tese a punta verso il cielo come due vele immobili sullo zaffiro del mare, sembrano due fiamme che salgano ardendo.
«…Cristo, il Signore!». L’angelo raccoglie le sue due fulgide ali e se ne veste come di una sopraveste di diamante sull’abito di perla, si curva come adorasse, con le braccia conserte sul cuore e il volto che scompare, curvato come è sul petto, fra l’ombra dei sommi dell’ali piegate. Non si vede che una oblunga forma luminosa, immobile per lo spazio di un “Gloria »
Ma ecco che si muove. Riapre le ali, alza il volto in cui la luce si fonde al paradisiaco sorriso, e dice: «Lo riconoscerete da questi segni: in una povera stalla, dietro Betlemme, troverete un bambino nelle fasce in una mangiatoia di animali, ché per il Messia non vi fu un tetto nella città di David». L’angelo si fa serio nel dire questo, mesto anzi.
Ma dai Cieli vengono tanti – oh! quanti! – tanti angeli simili a lui, una scala d’angeli che scende esultando e annullando la luna col loro splendore paradisiaco, e si riuniscono intorno all’angelo nunziante in un agitar di ali, in uno sprigionare di profumi, in un arpeggiare di note, in cui tutte le voci più belle del creato trovano un ricordo, ma portato alla perfezione di suono. Se la pittura è lo sforzo della materia per divenire luce, qui la melodia è lo sforzo della musica per fare balenare agli uomini la bellezza di Dio, e udire questa melodia è conoscere il Paradiso, dove tutto è armonia di amore, che da Dio si sprigiona per far lieti i beati e che da questi va a Dio per dirgli: «Ti amiamo!».
Il “Gloria  » angelico si sparge in onde sempre più vaste per la campagna quieta, e la luce con esso. E gli uccelli uniscono un canto che è saluto a questa luce precoce, e le pecore i loro belati per questo anticipato sole. Ma io, come già nella grotta per il bue e l’asino, amo credere che siano gli animali che salutano il loro Creatore, venuto in mezzo ad essi per amarli come Uomo oltre che come Dio.
Il canto si attenua e la luce pure, mentre gli angeli risalgono ai Cieli…
…I pastori tornano in loro.
«Hai udito?».
«Andiamo a vedere?».
«E le bestie?».
«Oh! non succederà loro nulla! Andiamo per ubbidire alla parola di Dio!…»
«Ma dove andiamo?».
«Ha detto che è nato oggi? e che non ha trovato alloggio in Betlemme?». È il pastore che ha dato il latte,
questo che parla ora. «Venite, io so. Ho visto la Donna e mi ha fatto pena. Ho insegnato un luogo per Lei, perché pensavo non trovassero alloggio, e all’uomo ho dato del latte per Lei. È tanto giovane e bella, e deve esser buona come l’angelo che ci ha parlato. Venite, venite. Andiamo a prendere latte, formaggi, agnelli e pelli conciate. Devono esser poveri molto e… chissà che freddo ha Colùi che non oso nominare! E pensare che io ho parlato alla Madre come ad una povera sposa!…»
Vanno nella tettoia e ne escono poco dopo chi con delle fiaschette di latte, chi con delle reticelle di sparto intrecciato con dentro tondi formaggini, chi con delle ceste in cui vi è un agnellino belante, e chi con delle pelli di pecora conciate.
«Io porto una pecora. Ha figliato da un mese. Il latte lo ha buono. Potrà loro servire se la Donna non ha latte. Mi pareva una bambina, e così bianca!… Un viso di gelsomino sotto la luna» dice il pastore del latte. E li guida.
Vanno alla luce della luna e delle torce dopo aver chiuso tettoia e recinto. Vanno per sentieri campestri, fra siepi di pruni spogliati dall’inverno.
Girano dietro Betlemme. Raggiungono la stalla venendo non dalla parte da cui venne Maria, ma dall’opposta, di modo che non passano davanti alle stalle più belle, ma trovano questa per prima. Si accostano al pertugio.
«Entra!».
«Io non oso».
«Entra tu».
«No».
«Guarda, almeno».
«Tu, Levi, che hai visto l’angelo per primo, segno che sei buono più di noi, guarda». Veramente prima gli hanno dato del pazzo… ma ora fa loro comodo che egli osi ciò che loro non osano.
Il fanciullo tituba, ma poi si decide. Si accosta al pertugio, scosta un pochino il mantello, guarda… e resta estatico.
Che vedi?» lo interrogano ansiosi a bassa voce.
«Vedo una donna giovane e bella e un uomo curvi su una mangiatoia e sento…, sento piangere un piccolo bambino, e la donna gli parla con una voce… oh! che voce!».
«Che dice?».
«Dice: “Gesù, piccolino! Gesù, amore della tua Mamma! Non piangere, piccolo figlio!”. Dice: “Oh! potessi dirti: ‘Prendi il latte, piccolino! Ma non ce l’ho ancora!”. Dice: “Hai tanto freddo, amore mio! E ti punge il fieno. Che dolore per la tua Mamma sentirti piangere così e non poterti dare conforto!”. Dice: “Dormi, anima mia! ché mi si spacca il cuore a sentirti piangere e a vederti lacrimare!”, e lo bacia e gli scalda certo i piedini con le sue mani, perché sta curva con le braccia giù nella mangiatoia».
«Chiama! Fatti sentire!».
«Io no. Tu, che ci hai condotti e la conosci».
Il  pastore apre la bocca e poi si limita a fare un mugolio.
Giuseppe si volge e viene alla porta. «Chi siete?».
«Pastori. Vi portiamo cibo e lana. Veniamo ad adorare il Salvatore».
«Entrate».
Entrano e la stalla si fa più chiara per il lume delle torce. I vecchi spingono i bambini davanti a loro.
Maria si volge e sorride. «Venite» dice. «Venite!» e li invita con la mano e col sorriso, e prende quello che ha visto l’angelo e lo attira a sé, fin contro la greppia. E il fanciullo guarda beato.
Gli altri, invitati anche da Giuseppe, si avanzano coi loro doni e li mettono tutti, con brevi, commosse parole, ai piedi di Maria. E poi guardano il Bambinello, che piange piano, e sorridono commossi e beati.
E uno, più ardito, dice: «Prendi, o Madre. È soffice e pulita. L’avevo preparata per il bambino che mi sta per nascere. Ma te la dono. Metti il Figlio tuo fra questa lana, sarà morbida e calda». E offre la pelle di una pecora, una bellissima pelle ricca di lana candida e lunga.
Maria solleva Gesù e ve lo avvolge. E lo mostra ai pastori, che in ginocchio sul fieno del suolo lo guardano estatici.
Si fanno più arditi e uno propone: «Bisognerebbe dargli un sorso di latte, meglio acqua e miele. Ma non abbiamo miele. Si dà ai piccolini. Ho sette figli e so…».
«Qui c’è il latte. Prendi, o Donna».
«Ma è freddo. Caldo ci vuole. Dove è Elia? Egli ha la pecora».
Elia deve essere quello del latte. Ma non c’è. Si è fermato fuori e guarda dalla fessura, e nel buio della notte si perde.
«Chi vi ha guidati?».
«Un angelo ci ha detto di venire, e Elia ci ha guidati qui. Ma dove è ora?».
La pecora lo denuncia con un belato.
«Vieni avanti, ti si vuole».
Entra con la sua pecora, vergognoso di esser il più notato.
«Tu sei?» dice Giuseppe che lo riconosce, e Maria gli sorride dicendo: «Sei buono».
Mungono la pecora e, con la punta di un lino intriso nel latte caldo e spumoso, Maria bagna le labbra del Bambinello, che succhia quel dolciore cremoso. Sorridono tutti e più ancora quando, con l’angolino di tela ancora fra le labbruzze, Gesù si addormenta nel caldo della lana.
«Ma qui non potete rimanere. Fa freddo e vi è umido. E poi… vi è troppo odore di bestie. Non fa bene… e… non sta bene per il Salvatore».
«Lo so» dice Maria con un grande sospiro. «Ma non c’è posto per noi a Betlemme».
«Fa’ cuore, o Donna. Noi ti cercheremo una casa».
«Lo dirò alla padrona mia» dice quello del latte, Elia.
«È buona. Vi accoglierà, dovesse cedervi la sua stanza. Appena è giorno glielo dico. Ha la casa piena di gente. Ma vi darà un posto».
«Per il mio Bambino, almeno. Io e Giuseppe stiamo anche per terra. Ma per il Piccino… »
«Non sospirare, Donna. Ci penso io. E lo diremo a molti ciò che ci è stato detto. Non mancherete di nulla. Per ora prendete ciò che la nostra povertà vi può dare. Siamo pastori…».
«Siamo poveri noi pure. E non vi possiamo compensare» dice Giuseppe.
«Oh! non vogliamo! Anche lo poteste, non vorremmo! Il Signore ce ne ha già compensato. La pace l’ha promessa a tutti. Gli angeli dicevano così: “Pace agli uomini di buona volontà”. Ma a noi ce l’ha già data, perché l’angelo ha detto che questo Bambino è il Salvatore, che è Cristo, il Signore. Siamo poveri e ignoranti, ma sappiamo che i profeti dicono che il Salvatore sarà il Principe della Pace. E a noi ci ha detto di andare ad adorarlo. Perciò ci ha dato la sua pace. Gloria a Dio nei Cieli altissimi e gloria a questo suo Cristo, e benedetta sia tu, Donna, che lo hai generato! Santa sei, perché hai meritato di portarlo! Comandaci come Regina, che saremo contenti di servirti. Che possiamo fare per te?».
«Amare il Figlio mio ed avere sempre in cuore i pensieri di ora».
«Ma per te? Non desideri nulla? Non hai parenti ai quali far sapere che Egli è nato?».
«Si, li avrei. Ma non sono qui vicino. Sono a Ebron… »
«Ci vado io» dice Elia. «Chi sono?».
«Zaccaria il sacerdote ed Elisabetta mia cugina».
«Zaccaria? Oh! lo conosco bene. Nell’estate vado su quei monti, perché i pascoli vi sono ricchi e belli, e sono amico del suo pastore. Quando ti so sistemata vado da Zaccaria».
«Grazie, Elia».
«Niente grazie. Grande onore per me, povero pastore, andare a parlare al sacerdote e dirgli: “È nato il Salvatore”».
«No. Gli dirai: “Ha detto Maria di Nazareth, tua cugina, che Gesù è nato, e di venire a Betlemme”.».
«Così dirò».
«Dio te ne compensi. Mi ricorderò di te, di voi tutti…»
«Dirai al tuo Bambino di noi?».
«Lo dirò».
«Io sono Elia».
«E io Levi».
«Ed io Samuele».
«E io Giona».
«Ed io Isacco».
«Ed io Tobia».
«Ed io Gionata».
«Ed io Daniele».
«E Simeone io».
«E Giovanni mi chiamo io».
«Io Giuseppe e mio fratello Beniamino, siamo gemelli».
«Ricorderò i vostri nomi».
«Dobbiamo andare… Ma torneremo… E ti porteremo altri ad adorare!…».
«Come tornare all’ovile lasciando questo Bambino?».
«Gloria a Dio che ce lo ha mostrato!».
«Facci baciare la sua veste» dice Levi con un sorriso d’angelo.
Maria alza piano Gesù e, seduta sul fieno, offre i piedini, avvolti nel lino, da baciare. E i pastori si chinano
fino al suolo e baciano quei piedini minuscoli, velati di tela. Chi ha la barba se la forbisce prima e quasi tutti piangono e, quando devono andare, escono a ritroso, lasciando il cuore indietro…
La visione mi cessa così, con Maria seduta sulla paglia col Bambino in grembo e Giuseppe che, appoggiato alla greppia con un gomito, guarda e adora.

Dice Gesù:
«Oggi parlo Io. Sei molto stanca, ma abbi pazienza ancora un poco. È la vigilia del Corpus Domini. Potrei parlarti dell’Eucarestia e dei santi che si fecero apostoli del suo culto, così come ti ho parlato dei santi che furono apostoli del Sacro Cuore. (il 2 giugno 1944 ne “I quaderni del 1944) Ma voglio parlarti di un’altra cosa e di una categoria di adoratori del Corpo mio che sono i precursori del culto per Esso. E sono i pastori. I primi adoratori del mio Corpo di Verbo divenuto Uomo.
Una volta ti dissi, e ciò è detto anche dalla mia Chiesa, che i Santi Innocenti sono i protomartiri del Cristo. Ora ti dico che i pastori sono i primi adoratori del Corpo di Dio. E in loro vi sono tutti i requisiti richiesti per essere adoratori del Corpo mio, anime eucaristiche.
Fede sicura: essi credono prontamente e ciecamente all’angelo.
Generosità: essi danno tutta la loro ricchezza al loro Signore.
Umiltà: si accostano a dei più poveri, umanamente, di loro con modestia di atti che non avvilisce, e si professano servi loro.
Desiderio: quanto non possono dare da loro, si industriano a procurare con apostolato e fatica.
Prontezza di ubbidienza: Maria desidera sia avvertito Zaccaria, ed Elia va subito. Non rimanda.
Amore, infine: essi non sanno staccarsi di là, e tu dici: “lasciano là il loro cuore ”. Dici bene.
Ma non bisognerebbe fare così anche col mio Sacramento?
E un’altra cosa, tutta per te, questa: osserva a chi si svela per primo l’angelo e chi merita di sentire le effusioni di Maria. Levi: il fanciullo.
A chi ha l’anima di fanciullo Dio si mostra e mostra i suoi misteri e permette che oda le parole divine e di Maria. E chi ha anima di fanciullo ha anche il santo ardimento di Levi e dice: “Fammi baciare la veste di Gesù”. Lo dice a Maria. Perché è sempre Maria quella che vi dà Gesù. È Lei la Portatrice dell’Eucarestia. È Lei la Pisside viva.
Chi va a Maria trova Me. Chi mi chiede a Lei, da Lei mi riceve. Il sorriso di mia Madre, quando una creatura le dice: “Dammi il tuo Gesù, ché lo ami”, fa trascolorare i Cieli in un più vivo splendore di letizia, tanto è felice.
Dille dunque: “Fammi baciare la veste di Gesù. Fammi baciare le sue piaghe”. E osa di più ancora. Di’ : “Fammi posare il capo sul Cuore del tuo Gesù, perché ne sia beata”.
Vieni. E riposa. Come Gesù nella cuna, fra Gesù e Maria».

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“Lasciamoci abbracciare dal Bambino, avremo una pace nel cuore senza fine”

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2015

“Lasciamoci abbracciare dal Bambino, avremo una pace nel cuore senza fine”
Durante la messa nella notte di Natale, Papa Francesco indica nella nascita di Gesù un richiamo all’“essenzialità” in un mondo dominato dal “lusso”, dall’“apparenza” e dal “narcisismo”
di Luca Marcolivo – Zenit

“Lasciamoci abbracciare dal Bambino, avremo una pace nel cuore senza fine” dans Citazioni, frasi e pensieri Partecipare-alla-Messa-di-Natale

Un avvenimento che è il trionfo della luce. Una volta nato, Gesù fa rifulgere la sua luce su tutti gli umani e realizza la profezia di Isaia: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9,2).

Durante la messa nella notte di Natale nella basilica di San Pietro, Papa Francesco si è soffermato in primo luogo sull’aspetto dell’attesa, richiamato già dall’Antico Testamento.

Un attesa che già riempie di “gioia” il nostro cuore e che moltiplica e fa sovrabbondare questo sentimento, quando “la promessa si è compiuta” e “finalmente si è realizzata”.

Oggi viviamo il mistero di una notte che “viene integralmente da Dio”, ha detto il Pontefice, aggiungendo che la Natività di Cristo non lascia posto al “dubbio”; “lasciamolo agli scettici che per interrogare solo la ragione non trovano mai la verità”, ha chiosato.

Siamo di fronte a un evento che non lascia spazio nemmeno all’“indifferenza, che domina nel cuore di chi non riesce a voler bene, perché ha paura di perdere qualcosa – ha proseguito il Santo Padre -. Viene scacciata ogni tristezza, perché il bambino Gesù è il vero consolatore del cuore”.

Venendo al mondo il Salvatore, “non siamo più soli e abbandonati”: Gesù ci è offerto da Sua Madre come “principio di vita nuova”, come luce che rischiara “la nostra esistenza, spesso rinchiusa nell’ombra del peccato”.

Cessati “ogni paura e spavento”, non possiamo rimanere “inerti”: dobbiamo correre a “vedere il nostro Salvatore deposto in una mangiatoia”, che è “nato per noi”.

La nascita di Cristo ci induce a restare “in silenzio”, lasciando che “sia quel Bambino a parlare” e che imprima “nel nostro cuore le sue parole senza distogliere lo sguardo dal suo volto”.

“Se lo prendiamo tra le nostre braccia e ci lasciamo abbracciare da Lui, ci porterà la pace del cuore che non avrà mai fine”, ha aggiunto il Papa.

“Lasciamoci abbracciare dal Bambino, avremo una pace nel cuore senza fine”.

“Questo Bambino – ha proseguito – ci insegna che cosa è veramente essenziale nella nostra vita. Nasce nella povertà del mondo, perché per Lui e la sua famiglia non c’è posto in albergo. Trova riparo e sostegno in una stalla ed è deposto in una mangiatoia per animali”.

È proprio da questa miseria che “emerge la luce della gloria di Dio” e “la via della vera liberazione e del riscatto perenne”.

Il Bambino nato stanotte “porta impressi nel suo volto i tratti della bontà, della misericordia e dell’amore di Dio Padre”, ci impegna a “«rinnegare l’empietà» e la ricchezza del mondo, per vivere «con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12)”.

È proprio alla sobrietà e all’essenzialità, che la nascita di Gesù ci richiama, in una società spesso “ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, di apparenza e narcisismo”.

“In un mondo che troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato, c’è bisogno di coltivare un forte senso della giustizia, del ricercare e mettere in pratica la volontà di Dio”, ha sottolineato Francesco.

La vera risposta a una “cultura dell’indifferenza, che finisce non di rado per essere spietata”, è uno stile di vita “colmo di pietà, di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera”, ha poi concluso il Papa.

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Urbi et Orbi. Papa Francesco: dove nasce Dio, nascono pace e misericordia

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2015

Papa Francesco \ Udienza Generale e Angelus
Urbi et Orbi. Papa Francesco: dove nasce Dio, nascono pace e misericordia
“Dove nasce Dio, nasce la speranza. Dove nasce Dio, nasce la pace”. E’ uno dei passaggi forti del messaggio natalizio di Papa Francesco, pronunciato dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietroprima della benedizione Urbi et Orbi. Il Pontefice ha ricordato i popoli che soffrono a causa dei conflitti ed ha rivolto un pensiero speciale ai migranti che fuggono dai propri Paesi alla ricerca di un futuro dignitoso. Francesco ha infine sottolineato che questo Natale si celebra nell’Anno Santo della Misericordia ed ha quindi invitato tutti ad essere misericordiosi con i propri fratelli.
di Alessandro Gisotti 
 Radio Vaticana

Papa e Gesù Bambino

Apriamo i nostri cuori per accogliere Gesù in questo “giorno di misericordia, nel quale Dio Padre ha rivelato all’umanità la sua immensa tenerezza”. E’ il Natale del Giubileo della Misericordia e Francesco – rivolgendosi al mondo intero da San Pietro – sottolinea che in questo giorno la luce disperde le tenebre della paura e “diventa possibile incontrarsi, dialogare, soprattutto riconciliarsi”.

Solo la Misericordia di Dio può liberare l’umanità dal male
“Il Natale – riprende – è un avvenimento che si rinnova in ogni famiglia, in ogni parrocchia, in ogni comunità che accoglie l’amore di Dio incarnato in Gesù Cristo”:

“Solo Lui, solo Lui ci può salvare. Solo la Misericordia di Dio può liberare l’umanità da tante forme di male, a volte mostruose, che l’egoismo genera in essa. La grazia di Dio può convertire i cuori e aprire vie di uscita da situazioni umanamente insolubili ».

Pace per la Terra Santa, basta tensioni e violenze
“Dove nasce Dio, nasce la speranza. Lui porta la speranza. Dove nasce Dio – soggiunge – nasce la pace. E dove nasce la pace, non c’è più posto per l’odio e per la guerra”:

“Eppure proprio là dove è venuto al mondo il Figlio di Dio fatto carne, continuano tensioni e violenze e la pace rimane un dono da invocare e da costruire. Possano Israeliani e Palestinesi riprendere un dialogo diretto e giungere ad un’intesa che permetta ai due Popoli di convivere in armonia, superando un conflitto che li ha lungamente contrapposti, con gravi ripercussioni sull’intera Regione”.

Fermare guerre e atrocità, essere vicini a cristiani perseguitati
Al Signore, Francesco chiede che “l’intesa raggiunta” all’Onu “riesca quanto prima a far tacere il fragore delle armi in Siria e a rimediare alla gravissima situazione umanitaria della popolazione stremata”. È altrettanto “urgente”, prosegue, che “l’accordo sulla Libia trovi il sostegno di tutti, affinché si superino le gravi divisioni e violenze che affliggono il Paese”. Ancora, il Papa chiede alla comunità internazionale di “far cessare le atrocità che, sia in quei Paesi come pure in Iraq, Yemen e nell’Africa subsahariana, tuttora mietono numerose vittime, causano immani sofferenze e non risparmiano neppure il patrimonio storico e culturale di interi popoli”:

“Il mio pensiero va pure a quanti sono stati colpiti da efferate azioni terroristiche, particolarmente nelle recenti stragi avvenute sui cieli d’Egitto, a Beirut, Parigi, Bamako e Tunisi. Ai nostri fratelli, perseguitati in tante parti del mondo a causa della fede, il Bambino Gesù doni consolazione e forza. Sono i nostri martiri di oggi”.

Ridare dignità ai poveri, ai bambini soldato, alle vittime della tratta
Pace e concordia chiede il Papa anche per i popoli della Repubblica Democratica del Congo, del Burundi e del Sud Sudan affinché, “mediante il dialogo, si rafforzi l’impegno comune per l’edificazione di società civili animate da un sincero spirito di riconciliazione e di comprensione reciproca”. Il Natale, auspica ancora, “porti vera pace anche all’Ucraina, offra sollievo a chi subisce le conseguenze del conflitto e ispiri la volontà di portare a compimento gli accordi presi, per ristabilire la concordia nell’intero Paese”. “La gioia di questo giorno – soggiunge – illumini gli sforzi del popolo colombiano perché, animato dalla speranza, continui con impegno a perseguire la desiderata pace”:

“Dove nasce Dio, nasce la speranza; e dove nasce la speranza, le persone ritrovano la dignità. Eppure, ancora oggi schiere di uomini e donne sono private della loro dignità umana e, come il Bambino Gesù, soffrono il freddo, la povertà e il rifiuto degli uomini. Giunga oggi la nostra vicinanza ai più indifesi, soprattutto ai bambini soldato, alle donne che subiscono violenza, alle vittime della tratta delle persone e del narcotraffico”.

Soccorrere e accogliere i migranti con generosità
“Non manchi il nostro conforto – ribadisce – a quanti fuggono dalla miseria o dalla guerra, viaggiando in condizioni troppo spesso disumane e non di rado rischiando la vita”.

“Siano ricompensati con abbondanti benedizioni quanti, singoli e Stati, si adoperano con generosità per soccorrere e accogliere i numerosi migranti e rifugiati, aiutandoli a costruire un futuro dignitoso per sé e per i propri cari e ad integrarsi all’interno delle società che li ricevono”.

Dove nasce Gesù, fiorisce la misericordia: riscoprire la tenerezza di Dio
Il Papa rivolge dunque un pensiero a quanti non hanno lavoro, e « sono tanti », affinché il Signore ridoni loro “speranza” e a “quanti hanno responsabilità pubbliche in campo politico ed economico affinché si adoperino per perseguire il bene comune e a tutelare la dignità di ogni vita umana”.

“Dove nasce Dio, fiorisce la misericordia. Essa è il dono più prezioso che Dio ci fa, particolarmente in questo anno giubilare, in cui siamo chiamati a scoprire la tenerezza che il nostro Padre celeste ha nei confronti di ciascuno di noi. Il Signore doni particolarmente ai carcerati di sperimentare il suo amore misericordioso che sana le ferite e vince il male”.

Essere misericordiosi con i propri fratelli
Dopo la benedizione Urbi et Orbi, Francesco ha dunque rivolto un saluto ai fedeli in Piazza San Pietro e a quanti si sono collegati attraverso i mezzi di comunicazione:

“E’ il Natale dell’Anno Santo della Misericordia, perciò auguro a tutti di poter accogliere nella propria vita la misericordia di Dio, che Gesù Cristo ci ha donato, per essere misericordiosi con i nostri fratelli. Così faremo crescere la pace! Buon Natale!”

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Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2015

Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio
Dio è innamorato della nostra piccolezza, la sua misericordia non ha fine. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, alla quale hanno preso parte anche i cardinali del Consiglio dei Nove, che iniziano oggi la dodicesima riunione di lavoro con il Santo Padre. I lavori del Consiglio proseguiranno fino a sabato 12 dicembre. Nell’omelia, il Pontefice ha sottolineato che la misericordia è come una carezza, come l’abbraccio di un genitore che dà consolazione e sicurezza al proprio bambino.
di Alessandro Gisotti  – Radio Vaticana

papa misericordioso

“Il Signore è misericordioso e grande nell’amore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia mattutina muovendo dalla prima Lettura – tratta dal libro di Isaia – laddove in un monologo del Signore si comprende che Dio ha scelto il suo popolo “non perché fosse grande o potente”, ma “perché era il più piccolo di tutti, il più miserabile di tutti”.

Dio si innamora della nostra piccolezza
Dio, prosegue, “si è innamorato di questa miseria, si è innamorato proprio di questa piccolezza”. E in questo monologo di Dio col suo popolo, ribadisce, “si vede questo amore”, un “amore tenero, un amore come quello del papà o della mamma, quando” parla con il bambino che “la notte si sveglia spaventato da un sogno”. E lo rassicura: “Io ti tengo per la destra, stai tranquillo, non temere”:

“Tutti noi conosciamo le carezze dei papà e delle mamme, quando i bambini sono inquieti per lo spavento: ‘Non temere, io sono qui; Io sono innamorato della tua piccolezza; mi sono innamorato della tua piccolezza, del tuo niente’. Anche: ‘Non temere i tuoi peccati, Io ti voglio tanto bene; Io sono qui per perdonarti’. Questa è la misericordia di Dio”.

Il Signore prende su di sé le nostre debolezze
Francesco rammenta, quindi, un Santo che faceva molte penitenze, ma il Signore gli chiedeva sempre di più fino a quando gli disse che non aveva più niente da donargli e Dio gli rispose: “Dammi i tuoi peccati”:

“Il Signore ha voglia di prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, le nostre stanchezze. Gesù quante volte faceva sentire questo e poi: ‘Venite a me, tutti voi che siete affaticati, stanchi e io vi darò ristoro. Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra, non temere piccolino, non temere. Io ti darò forza. Dammi tutto ed Io ti perdonerò, ti darò pace”.

La misericordia di Dio ci faccia più misericordiosi con gli altri
Queste, riprende, “sono le carezze di Dio, queste sono le carezze del nostro Padre, quando si esprime con la sua misericordia”:

“Noi che siamo tanto nervosi, quando una cosa non va bene, strepitiamo, siamo impazienti… Invece Lui: ‘Ma, stai tranquillo, ne hai fatta una grossa, sì, ma stai tranquillo; non temere, Io ti perdono. Dammela’. Questo è quello che significa quando abbiamo ripetuto nel Salmo: ‘Il Signore è misericordioso e grande nell’amore’. Noi siamo piccoli. Lui ci ha dato tutto. Ci chiede soltanto le nostre miserie, le nostre piccolezze, i nostri peccati, per abbracciarci, per accarezzarci”.

“Chiediamo al Signore – ha concluso Francesco – di risvegliare in ognuno di noi e in tutto il popolo la fede in questa paternità, in questa misericordia, nel suo cuore. E che questa fede nella sua paternità e la sua misericordia ci faccia un po’ più misericordiosi nel confronto degli altri”.

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Guardare in alto

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2015

Guardare in alto
di Stefano Chiappalone – Comunità Ambrosiana

Guardare in alto dans Articoli di Giornali e News campanile-morning-270x360

Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento(Papa Francesco)

La candida sagoma squadrata del campanile risalta tra l’azzurro del cielo di una serena domenica autunnale e i rami degli alberi che lo velano leggermente, quasi un sipario che la natura stessa offre per inquadrare ancor meglio il piccolo capolavoro innalzato dall’ingegno umano a gloria di Dio – più precisamente “Deo Optimo Maximo et Sancto Mauritio”, come si legge sulla facciata. Nulla di trascendentale (forse), almeno a prima vista, eppure è bastato sollevare un attimo lo sguardo per ritrovarsi di fronte a quell’abbinamento di semplici forme e pochi colori che calamita l’occhio e lo spirito verso l’alto. Sollevare lo sguardo è in effetti un’operazione inconsueta per l’uomo moderno, e il sottoscritto non fa eccezione in quanto appartenente a quella involuzione dell’homo sapiens che potremmo qualificare homo curvus, più avvezzo a fissare le buche nell’asfalto che lo splendore dei cieli. Il nostro mondo non costruisce torri e persino certi edifici di culto difettano di campanili. Non che manchino edifici alti, che anzi proliferano da qualche decennio sotto forma di grattacieli – talora persino di qualche interesse estetico – o di casermoni ad uso abitativo – generalmente di grande valore antiestetico. Tuttavia, più che dalla tensione verso l’alto, essi sembrano animati dall’affanno di prolungare lo spazio terreno, non molto diversi pertanto da quella Londra sotterranea descritta ne Il Padrone del mondo di Robert H. Benson (1871-1914) in cui “essendosi accorti che lo spazio non è limitato alla superficie del globo, gli uomini di tutto il mondo avevano incominciato a fabbricare sottoterra”. I nostri condomini, in altre parole, somigliano a grigie caverne emerse in superficie, delineando una skyline ben diverso da quella gioiosa società di torri e campanili che ha plasmato i paesaggi dell’Europa che fu – insieme agli alberi che, di fatto, oggi è più facile veder potare che piantare. L’albero come il campanile, tende verso l’alto e verso il futuro, sfuggendo alle nostre pretese di fabbricare e consumare tutto qui ed ora:

Chi iniziava a costruire le cattedrali aveva la certezza che né lui né i suoi figli le avrebbero viste completate. Edificavano, ma per i posteri. Chi oggi pianta più un noce? Chi oggi ha il senso del futuro?”, si chiedeva lo storico pisano Marco Tangheroni (1946-2004).

Dal campanile, all’albero, ai soffitti – altro sintomo e simbolo dell’orientamento interiore della società. Se i Gonzaga, signori di Mantova, si addormentavano contemplando i putti e le altre figure che facevano capolino dall’oculo affrescato da Andrea Mantegna (1431-1506) sulla volta della Camera degli Sposi, più modestamente da studente universitario provai una piccola gioia nel vedere il soffitto irregolare con travi di legno a vista del mio piccolo alloggio pisano – un soffitto tipicamente toscano che al risveglio mi evocava sinuosi viali di cipressi che conducevano alle dolci colline un tempo contese dai Visconti e dai Gherardesca. Era una società che mirava in alto anche architettonicamente, a volte anche troppo: la competizione tra casate nobiliari si manifestava persino nell’altezza delle case-torri, che le leggi antimagnatizie in molte città provvidero ad abbassare forzatamente per tenere a bada la hybris dei loro costruttori e il celebre campanile dell’antica repubblica marinara divenne ancor più celebre per il suo inatteso inclinarsi. Torniamo però ai soffitti: per le strade di Pisa e di Roma mi è capitato spesso di sbirciare, complice la bella stagione, al di là delle finestre aperte di qualche antica dimora, i soffitti affrescati a beneficio esclusivo di fortunati eredi. Se però dovevo accontentarmi di sbirciare dalla strada quelle blasonate volte, non mi erano affatto precluse quelle della dimora del Re dei Re, dove ognuno può sentirsi a casa. Dall’azzurro stellato delle chiese medievali al tripudio di angeli di quelle barocche, centinaia di cieli mi hanno spinto a guardare in alto, a partire dalla chiesa parrocchiale che mi vide bambino nel natio borgo abruzzese. Ero troppo piccolo per non annoiarmi un po’ durante la Messa e tuttavia ero abbastanza piccolo da lasciarmi incantare volando oltre le coltri d’incenso fino a quel misterioso agnello dipinto sulla volta del presbiterio, nonché ai tre angioletti di stucco poco sopra l’altare che ancora oggi torno a guardare con lo stesso incanto di allora, quando il mio cuore di bambino percepiva inconsapevolmente – e forse meglio di ora – quel “Sursum corda – in alto i cuori” con cui la liturgia ci invita a sollevare lo sguardo verso il Santo dei Santi.

Nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore Papa Francesco esortava a levare lo sguardo al Cristo dipinto nella cupola:

Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è ‘Ecce Homo’. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. […] Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono”.

Dalla cupola del Brunelleschi, la riflessione del pontefice si spostava idealmente allo Spedale degli Innocenti, dal volto di Cristo al volto dell’uomo:

Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità!”. Guardare in alto diviene ancora più urgente nei tempi di crisi, quando tutto sembra andare in direzione contraria lasciandoci tentare dallo scoraggiamento. Nell’Avvento di alcuni anni fa, Papa Benedetto ricordava le antiche parole della liturgia: Excita, Domine, potentiam tuam, et veni [Ridesta, Signore, la tua potenza e vieni]: con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente nei giorni dell’Avvento. Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. […] Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce”.

Che ci crolli il mondo addosso o che il mondo stesso stia per crollare, possiamo ancora dirigere gli occhi e il cuore verso l’alto per accorgerci che non siamo mai abbandonati a noi stessi:

L’assalto di Mordor irruppe come un’immensa ondata sulle colline assediate, e le voci ruggivano come una marea che sale fra boati e fragore. Come se ai suoi occhi fosse improvvisamente apparsa una visione, Gandalf trasalì: si voltò a guardare verso nord, dove i cieli erano limpidi e pallidi. Poi alzò le mani e gridò con voce possente che sovrastava ogni altro rumore: Arrivano le Aquile! E molte altre voci gli risposero gridando: Arrivano le Aquile! Arrivano le Aquile! […] Allora tutti i Capitani dell’Ovest gridarono, perché i loro cuori erano pieni di una nuova speranza in mezzo a tutta l’oscurità”.

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Presepe e Dio lontano

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2015

Presepe e Dio lontano
di Clive Stapels Lewis – Lettere di Berlicche

Presepe e Dio lontano dans Anticristo Presepe
Oggi ricorre l’anniversario della nascita di C. S. Lewis

Spero, caro Farfarello, che tu non ti sia lasciato sfuggire l’occasione, durante queste ultime feste natalizie, di ammirare qualcuno dei presepi che in molte case ancora si usa allestire per la gioia dei bambini e dei vecchi. Ce n’è di tutti i tipi, dal legno alla cartapesta, dal cristallo al bronzo, dalla terracotta al plexiglas…

Io amo i presepi. Dirai che sono un vecchio sentimentale… Ebbene, dì pure, se vuoi. Prima però, senti quello che ho da dirti in proposito. Da secoli ormai un’idea mi frulla per il capo alla sola vista di un presepe, e te la voglio confidare in segno di stima. Ebbene, io credo che la grande quantità di energia che noi diavoli abbiamo sempre profuso per inventare argomentazioni seducenti contro Dio sia, in gran parte, fatica sprecata. Noi non dobbiamo creare nuovi argomenti: possiamo usare pari pari i loro. È il cuore che decide, e spesso decide male.

Pensa alle figuri minori del presepe: c’è un solo Giuseppe, una sola Maria, un solo Gesù bambino. Un solo bue, un solo asino. Gli altri sono tutte comparse, compresi i Magi. Ogni uomo al mondo è una figura minore del presepe… Seguimi bene. Dopo aver reso omaggio al Messia, che fanno tutte queste comparse? Se ne tornano, semplicemente, al loro lavoro. Il carrettiere al suo carretto, il panettiere al suo pane, e così via. C’è qualcosa, in tutto ciò, che mi manda in confusione, che mi stordisce e mi umilia: ciascuno torna lieto al suo mestiere, anzi: se prima il lavoro gli pesava, ora gli pesa molto meno, perché ha visto il Messia. Che ira! Tutto diviene accettabile, amabile…

Ma poi, passata l’ira, ecco l’idea! La grande idea! Quella che è la più grande dimostrazione dell’esistenza di Dio, la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi, nella più grande delle bestemmie! Che cos’è mai il tuo Dio? Un’emozione momentanea prima di riprendere il solito tran tran. Un bambinello che ti salva finché resti in estatica contemplazione, ma poi? Immaginiamo quei poveri pastori al momento del congedo. Un inchino, un altro inchino, mettiamoci pure un terzo inchino. Ma poi le spalle dovranno pur voltare, e tornarsene alle loro pecore, non è vero?

E allora noi diavoli pronti, in coro, a soffiar nelle loro orecchie: dalle obiezioni più collaudate (“come può Dio, nella sua bontà, permettere il dolore innocente?”) alle migliori invenzioni della modernità (l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio si trasforma nell’egalité giacobina, che è il suo opposto), e via dicendo. Tutte le obiezioni contro Dio nascono dall’idea di un Dio lontano, che non vuole salvare concretamente gli uomini. Ma questa idea nasce, a sua volta, dalla comodità: un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino. È questa, Farfarello, la nostra carta vincente. Da sempre.

Un abbraccio dal tuo Malacoda

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Tutto è cominciato a Parigi, in Rue du Bac

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2015

Tutto è cominciato a Parigi, in Rue du Bac
di Diego Manetti – La nuova Bussola Quotidiana

108a24k dans Rue du Bac - Medaglia Miracolosa

La traccia Mariana ci porta ancora una volta in Fancia, terra benedetta da numerose apparizioni mariane: La Salette, nel 1846, Lourdes, nel 1858, Pellevoisin, nel 1876… Andiamo dunque in Francia e nello specifico a Parigi, in Rue du Bac, per le apparizioni occorse nel 1830 a Caterina Labouré, in seguito alle quali la santa fece coniare la famosissima “Medaglia Miracolosa” che è oggi diffusa in tutto il mondo, segno dell’amore e della fiducia nella Madonna nutriti da milioni di fedeli di ogni lingua, razza e nazione.

Prima di presentare i fatti, desidero premettere una nota relativa al significato delle apparizioni di Rue du Bac – così vengono solitamente indicate – nell’economia delle apparizioni mariane moderne. Intendo cioè riferirmi a quanto detto da Jean Guitton, grande intellettuale cattolico e Accademico di Francia, che proprio nel suo studio sulla Medaglia Miracolosa ebbe a definire gli eventi di Rue du Bac come l’inizio di un percorso di manifestazioni mariane sempre più frequenti e intense nel mondo, esordio di un ciclo di apparizioni della Madonna volte a mettere in guardia l’umanità dai piani di Satana, intenzionato a distruggere il pianeta sul quale viviamo e bramoso di condurre l’umanità alla dannazione eterna.  Quanto queste diaboliche intenzioni si siano tradotte in malvagi attacchi al mondo contemporaneo è sotto gli occhi di tutti: le guerre, i conflitti, ma anche gli odi e i rancori domestici, senza parlare poi della crisi della famiglia, della perdita dei valori, del dilagare dell’aborto e dell’eutanasia… insomma, uno scenario drammatico in cui davvero si scorge l’azione del Nemico, del Diavolo, scatenato come non mai. 

Ecco: Rue du Bac anticipa proprio questo attacco del Demonio al mondo, rivelando però che il mondo stesso è sotto la protezione della Madonna, di Colei che schiaccia la testa al Serpente. La Madonna è dunque venuta, da Rue du Bac in avanti, sulla terra, per mettere in guardia gli uomini dal rischio che essi vanno correndo ed esortandoli a ritornare a Dio. E quanto più si avvicina il culmine di questo attacco e lo scatenamento della battaglia decisiva, tanto più la Madonna si premura di apparire agli uomini e di far risuonare il suo materno invito alla conversione e ad abbandonarci fiduciosi in Lei per poter, guidati da Lei, vincere il Demonio partecipando di quella vittoria, totale e definitiva, che Cristo già ha ottenuto con la sua Morte e Resurrezione.Questa chiave di lettura spiegherebbe dunque non solo l’importanza di Rue du Bac come inizio di questo provvidenziale disvelamento anticipato dei piani del Diavolo, ma giustificherebbe altresì il moltiplicarsi delle apparizioni mariane e dei messaggi della Madonna in questi ultimi tempi.

Dicevamo di Rue du Bac, dunque. Prima di entrare nel vivo delle apparizioni, desidero premettere alcune notizie in merito allo strumento di cui la Madonna si è servita per trasmettere il Suo messaggio. Anche in questo caso si tratta di una persona umile, semplice, tutta capace di mettersi nelle mani della Madonna e, tramite essa, lasciarsi usare a maggior gloria di Dio. Stiamo parlando di Zoe Labouré, poi diventata Suor Caterina. Nata in Borgogna (Francia) il 2 maggio 1806, era la nona di undici figli. La mamma Louise muore a 42 anni, quando Zoe ne ha solo dieci.Rimasta orfana, la piccola sviluppa però una interna devozione mariana, riconoscendo a poco a poco nella Madonna Colei che, persa ormai la madre terrena, poteva davvero esserle Mamma Celeste.  Appena la sorella maggiore entra in convento a Parigi, nella congregazione delle Figlie della Carità, Caterina – la indichiamo ormai con il nome, a tutti più familiare, che avrebbe poi assunto da religiosa – si trova a dover badare ai fratelli più piccoli e ad aiutare il papà, Pierre, nei lavori della fattoria. Nonostante la difficoltà di questa vita fatta di lavoro e povertà, Caterina non fa mai mancare la preghiera e in essa sviluppa il desiderio di seguire le orme della sorella maggiore. Vinte le resistenze del padre, che preferirebbe poter contare sul suo aiuto per badare alla casa, Caterina entra dunque nell’ordine delle Figlie della carità.

Diciamo dunque una parola su questa realtà religiosa. La Compagnia delle Figlie della Carità fu fondata nel 1633 da San Vincenzo de’ Paoli e, anche grazie all’aiuto di santa Luisa de Marillac, si è poi diffusa in tutto il mondo, fedele alla propria vocazione missionaria e allo spirito dei fondatori secondo i valori della umiltà, della carità e della semplicità. Le apparizioni di Rue du Bac hanno senz’altro contribuito a far conoscere ancor più nel mondo il carisma di questa famiglia religiosa che, diffusasi capillarmente nei cinque continenti, è oggi presente in oltre 90 Paesi, compresi quelli più poveri, per un totale di circa 20.000 Figlie della Carità. Nel 1830 Caterina entra dunque nel convento delle Figlie della Carità di Parigi, in Rue du Bac, presso il quale svolgerà il proprio noviziato. Sarà un periodo ricchissimo di grazie celesti, poichè già il 6 giugno 1830, non molto tempo dopo il suo ingresso, Gesù le appare durante la Santa Messa, come un Re Crocifisso, privo di ogni ornamento, dando inizio a una presenza divina che, per la sua frequenza, diventerà per Caterina davvero familiare, poichè durante l’anno noviziato elle potrà vedere Gesù ogni volta che entrerà nella cappella. 

Proprio in quell’anno di noviziato si svolgeranno le apparizioni che porteranno Caterina a far coniare, secondo le indicazioni della Madonna, la Medaglia Miracolosa, apparizioni di cui parleremo in dettaglio tra poco. Su questi prodigiosi eventi la veggente conserverà sempre il massimo riserbo, non rivelando ad alcuno, in obbedienza al proprio direttore spirituale, le grazie delle quali il Cielo l’aveva favorità nel corso della sua vita. Frattanto venivano distribuite oltre un milione di medaglie miracolose, contribuendo a un notevole rafforzamento della devozione mariana, anche in virtù di eclatanti conversioni e prodigiose guarigioni. Le apparizioni ricevono il riconoscimento da parte dell’arcivescovo di Parigi, nel 1836. Soltanto dopo la morte di Caterina Labouré le sue consorelle seppero che era stata lei a vedere la Madonna e a ricevere l’incarico di diffondere la devozione alla Medaglia Miracolosa. Dopo una vita di silenzio e umiltà, trascorsa in lunghi anni di servizio ai poveri di un ospizio della zona est di Parigi, Caterina muore il 31 dicembre 1876. Il corpo della veggente viene tumulato nella cripta posta sotto la chiesa del convento di Rue du Bac. Quando è stato riesumato, nel 1933, lo si è trovato incorrotto. Le sue spoglie sono oggi esposte nelle stessa cappella dove Caterina ebbe le apparizioni della Madonna, non lontano dall’urna che contiene il cuore del fondatore della congregazione, San Vincenzo de Paoli. Caterina Labouré è stata beatificata da Pio XI nel 1933 e canonizzata da Pio XII nel 1947. Al momento della sua morte, nel 1876, si contavano nel mondo oltre un miliardo di Medaglie Miracolose distribuite tra i fedeli.

Veniamo dunque alle apparizioni che sono accadute nel 1830. Abbiamo già avuto modo di dire come l’intero anno del noviziato sia segnato da eventi prodigiosi: durante la preghiera in cappella Caterina ha per ben tre volte la manifestazione del cuore di San Vincenzo de’ Paoli, il fondatore delle Figlie della carità, che le appare dapprima bianco, poi rosso e infine nero, alternando così i colori della pace, del fuoco e delle tenebre che avrebbero colpito la Francia. Questo è un particolare di non poco conto, che permette di ribadire come le numerose apparizioni mariane in Francia, che abbiamo poco prima ricordato, siano senz’altro una benedizione per quella terra, ma anche segno del grande bisogno di protezione celeste per quel Paese. Altre apparizioni, come già abbiamo ricordato, riguardano direttamente Gesù, che Caterina poteva vedere nella Eucaristia, aldilà delle specie del pane, tanto da poter affermare: “Ho visto Nostro Signore nel Santissimo Sacramento, durante tutto il tempo del mio seminario, tranne a volte durante le quali dubitavo”. Significativa questa ultima affermazione, come a dire che oltre a essere un dono del Cielo queste manifestazioni necessitavano della sincera e robusta fede nella reale presenza di Gesù nell’Eucaristia per poter avere luogo… Avessimo una fede simile anche noi ogni volta che ci avviciniamo all’Eucaristia, allora sì che potremmo riconoscere nel pane consacrato Gesù Cristo realmente presente!

La prima delle apparizioni che porteranno alla devozione della Medagla Miracolosa avviene nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1830, allorchè un angelo guida Caterina nella chiesa del noviziato, dove le appare la Madonna. È bellissimo poter seguire direttamente il racconto che di questa prima apparizione fece Caterina stessa, redigendone un resoconto nel 1834: «Alle undici e mezzo mi sento chiamare per nome: “Suor Labouré! Suor Labouré!” Svegliatami, guardo dalla parte da dove proveniva la voce, che era dal lato del passaggio del letto. Tiro la tenda e vedo un bambino vestito di bianco, dai quattro ai cinque anni, il quale mi dice: “Venite in cappella, la Santa Vergine vi aspetta”. Immediatamente mi viene da pensare: 2mi sentiranno!” Ma quel fanciullo mi risponde: “State tranquilla: sono le undici e mezzo e tutti dormono profondamente. Venite che vi aspetto”. Mi affrettai a vestirmi e seguii il bambino che era restato in piedi senza spingersi oltre la spalliera del letto.  Il fanciullo mi seguì – o meglio, io seguii lui dovunque passava – tenendosi sempre alla mia sinistra. I lumi erano accesi dappertutto dove noi passavamo, il che mi sorprendeva molto. Rimasi però assai più meravigliata all’ingresso della cappella, quando la porta si aprì, appena il bambino l’ebbe toccata con la punta di un dito. La meraviglia poi fu ancora più completa quando vidi tutte le candele e tutte le torce accese, come alla Messa di mezzanotte. Però non vedevo ancora la Madonna. Il bambino mi condusse nel presbiterio, accanto alla poltrona del Signor Direttore, dove io mi posi in ginocchio, mentre il bambino rimase tutto il tempo in piedi. Poiché mi sembrava che passasse molto tempo, ogni tanto guardavo per timore che le suore vegliatrici passassero dalla tribuna».

«Finalmente giunse il momento. Il fanciullino mi avvertì, dicendomi: “Ecco la Santa Vergine, eccolala”. Sentii un rumore, come il fruscio di vesti di seta, venire dalla parte della tribuna, presso il quadro di San Giuseppe, e vidi la Santa Vergine che venne a posarsi sui gradini dell’altare dal lato del Vangelo. Era la Santa Vergine, ma a me sembrava Sant’Anna, solo il volto non era lo stesso. Io non ero certa se si trattasse della Madonna, ma il bambino mi disse “Ecco la Madonna!”. Dire ciò che provai in quel momento e ciò che succedeva in me, mi sarebbe impossibile. Mi sembrava di non riconoscere la Santa Vergine. Fu in quel momento che quel bambino mi parlò, ma non più con voce da bambino, ma come un uomo… Io, guardando la Santissima Vergine, spiccai allora un salto verso di Lei, ed inginocchiatami sui gradini dell’altare, appoggiai le mani sulle ginocchia della Santa Vergine. Quello fu il momento più dolce della mia vita. Dire tutto ciò che provai mi sarebbe impossibile. La Madonna mi spiegò come dovevo comportarmi col mio direttore e parecchie cose che non debbo dire. Mi insegnò il modo di regolarmi nelle mie pene e mostrandomi con la sinistra i piedi dell’altare, mi disse di andarmi a gettare ai piedi dell’altare ad espandervi il mio cuore, aggiungendo che là avrei ricevuto tutti i conforti di cui ho bisogno. (All’altare c’è Gesù e la Madonna rimanda sempre a Suo Figlio, NdR) La Madonna mi disse: “Figlia mia, il Buon Dio vuole incaricarvi di una missione. Essa sarà per voi fonte di molte pene, ma le supererete pensando che sono per la gloria del Buon Dio. Avrete la grazia; dite tutto quanto in voi succede, con semplicità e confidenza. Vedrete certe cose, sarete ispirata nelle vostre preghiere; riferitele a chi è incaricato di guidarvi”». 

(Senza voler rompere questa atmosfera d’incanto che si crea seguendo il racconto direttamente dalle voce di Santa Caterina, vorrei sottolineare quanto sia bella l’estrema confidenza che lega la veggente alla Madonna: appena ella vede la Vergine, ecco che si butta alle sue ginocchia, con affetto e tenerezza verso quella Madre che così spesso era stata l’unico sostegno di lei, che era rimasta orfana di madre a soli dieci anni, come abbiamo visto. Proseguiamo ora con il resoconto di Caterina…). «Io allora chiesi alla Santa Vergine la spiegazione delle cose che mi erano state mostrate (Caterina si riferisce ad alcune visioni avute precedentemente). E la Madonna rispose: “I tempi sono cattivi. Gravi sciagure stanno per abbattersi sulla Francia. Il trono sarà rovesciato. Tutto il mondo sarà sconvolto da disgrazie d’ogni specie (la Santa Vergine, dicendo questo aveva l’aspetto molto addolorato). Ma venite ai piedi di questo altare. Qui le grazie saranno sparse sopra tutte le persone che le chiederanno con fiducia e fervore: grandi e piccoli. Figlia mia, io mi compiaccio di spandere le mie grazie sulla Comunità. Io l’amo molto, ma provo pena. Ci sono degli abusi: la regola non è osservata. Vi è una grande rilassatezza nelle due comunità. Dillo a colui che è incaricato di voi, benché non sia ancora superiore. Egli fra qualche tempo sarà incaricato in modo speciale della Comunità. Egli deve fare tutto il possibile per rimettere la regola in vigore, diteglielo da parte mia. Che egli vegli sulle cattive letture, sulla perdita di tempo e sulle visite. Quando la regola sarà rimessa in vigore, vi sarà una Comunità che verrà ad unirsi alla vostra.  Sopraggiungeranno grandi mali. Il pericolo sarà grande. Ma non temete, la protezione di Dio è sempre là in una maniera particolare e San Vincenzo proteggerà la Comunità. Io stessa sarò con voi, ho sempre vegliato su di voi. Vi accorderò molte grazie. Arriverà un momento in cui il pericolo sarà grande e tutto sembrerà perduto, ma io sarò con voi. Abbiate fiducia. Avrete prove evidenti della mia visita e della protezione di Dio e di quella di San Vincenzo sulle due Comunità”. 

“Ma non sarà lo stesso per le altre comunità. Ci saranno vittime (dicendo questo la Santa Vergine aveva le lacrime agli occhi). Ci saranno vittime nel clero di Parigi: l’Arcivescovo morirà (di nuovo la Madonna versò lacrime). Figlia mia, la Croce sarà disprezzata… Scorrerà il sangue. Apriranno di nuovo il costato di Nostro Signore… (Qui la Santa Vergine non poteva più parlare, un gran dolore le era dipinto sul volto). Figlia Mia …il mondo intero sarà nell’afflizione”. Quanto tempo restai con la Madonna, non saprei dirlo. Tutto quello che so è che se ne andò scomparendo come un ombra che svanisce, io mi accorsi solo di qualcosa che si spegneva, e poi solo un’ombra che si dirigeva verso la tribuna, dalla parte da cui era venuta. Alzatami dai gradini dell’altare, mi accorsi del bambino, là dove l’avevo lasciato, il quale mi disse ‘Se ne è andata!’. Rifacemmo la stessa strada, trovando sempre tutti i lumi accesi e avendo quel bambino sempre alla mia sinistra.  Credo che quel bambino fosse il mio angelo custode, resosi visibile per farmi vedere la Santa Vergine, perché io infatti l’avevo molto pregato di ottenermi un tal favore. Era vestito di bianco e portava con sé una luce miracolosa, ossia era sfolgorante di luce, dell’età dai quattro ai cinque anni. Tornata a letto, sentii suonare le due e non ripresi più sonno.»

Questa prima apparizione è molto intensa. Da una parte, le parole della Madonna costituiscono un forte richiamo allo spirito e al carisma originari delle Figlie della carità per l’intera comunità di Caterina; dall’altra, si adombrano gravi sciagure sul futuro della Francia: nel luglio 1830 ha effettivamente luogo la rivoluzione di luglio che porta all’abdicazione di re Carlo X, costretto a fuggire in Inghilterra. Trascorsi alcuni anni all’insegna di rivendicazioni costituzionali avanzate dall’alte borghesia, si giungerà alle rivoluzioni del 1848 che insanguineranno l’Europa intera, fino alla proclamazione della Seconda Repubblica Francese che, dopo appena quattro anni, lascerà però spazio al Secondo Impero di Napoleone III (1852) che inaugurerà una politica dittatoriale e pesantemente lesiva della libertà religiosa e dei valori della fede cristiana. Questo per dire come il volto della battaglia che oppone Cristo al Demonio assuma i contorni, assai concreti, delle vicende storiche della Francia e della Europa di quel periodo. Nel settembre 1830 ha luogo la seconda apparizione e infine la terza, la più importante, il 27 novembre 1830. È questa la data che viene assunta come ricorrenza della memoria di tale ciclo di apparizioni. 

Suor Caterina si trova in meditazione, nella cappella, quando le appare dunque la Madonna, che la veggente stessa descrive così: «Stava in piedi, la sua veste era di seta e di color bianco aurora… Dal capo le scendeva un velo bianco sino ai piedi. Aveva i capelli spartiti e una specie di cuffia con un merletto di circa tre centimetri di larghezza, leggermente appoggiato sui capelli. Il viso era abbastanza scoperto; i piedi poggiavano sopra un globo, o meglio, sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che una metà. (In seguito Caterina dirà di aver visto anche un serpente di colore verdastro e chiazzato di giallo, sotto i piedi della Vergine, simbolo di quella inimicizia originaria di cui parla la Genesi, al cap. 3, laddove si dice della Donna che schiaccia la testa del serpente che le insidia il calcagno: proprio questa immagine si ripropone agli occhi di Caterina Labourè, che prosegue nella descrizione della Vergine Maria…). Le sue mani, elevate all’altezza della cintura, mantenevano in modo naturale un altro globo più piccolo che rappresentava l’universo. Ella aveva gli occhi rivolti al cielo e il suo volto diventò risplendente, mentre presentava il globo a Nostro Signore. Tutto ad un tratto le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose, le une più belle delle altre, le une più grosse e le altre più piccole, le quali gettavano dei raggi gli uni più belli degli altri, questi raggi partivano dalle pietre preziose; le più grosse mandavano raggi più grandi, e le più piccole raggi meno grandi, sicché tutta se ne riempiva la parte inferiore, e io non vedevo più i suoi piedi… Alcune pietre preziose non mandavano raggi… “Queste pietre che restano in ombra rappresentano le grazie che ci si dimentica di chiedermi’ mi disse la Vergine».

«Mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me e intesi una voce che mi disse queste parole “Questo globo che vedete rappresenta tutto il mondo, in particolare la Francia ed ogni singola persona”… E la Vergine Santissima aggiunse ”Sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me le domandano”. In quel momento… ecco formarsi intorno alla Santissima Vergine un quadro piuttosto ovale, sul quale in alto, a modo di semicerchio dalla mano destra alla sinistra di Maria, si leggevano queste parole scritte a lettere d’oro “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi”. Allora si fece sentire una voce che mi disse: “Fate coniare una medaglia su questo modello. Tutte le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie, specialmente portandola al collo; le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia”. All’istante mi parve che il quadro si voltasse e io vidi il rovescio della Medaglia. Vi era la lettera M (che sta per Maria, NdR) sormontata da una croce senza crocifisso che aveva come base la lettera I (che sta per “Iesus”, NdR) . Più sotto poi vi erano due cuori, uno circondato da spine, l’altro trapassato da una spada. Dodici stelle infine circondavano il tutto. Poi tutto scomparve, come qualcosa che si spegne, ed io sono rimasta ripiena non so di che, di buoni sentimenti, di gioia, di consolazione».

Nel dicembre 1830 ha luogo la quarta e ultima apparizione. Caterina si trova ancora nella cappella, durante la preghiera, e, dopo aver sentito un fruscio familiare, ecco apparire la Vergine Maria, ancora una volta nell’ambito della immagine della Medaglia Miracolosa già vista il 27 novembre precedente. Indicando i raggi che escono dalle sue mani, la Madonna  dice alla veggente: «Questi raggi sono il simbolo delle grazie che la Santa Vergine ottiene per le persone che gliele chiedono… Non mi vedrai più». Si chiudono così le apparizioni a Caterina, la quale riferisce l’accaduto al proprio confessore, il Padre Aladel, che però intima alla religiosa di non pensare a queste cose. La reazione negativa è simile alla chiusura che, inizialmente, manifestano pure i suoi superiori dinnanzi alla richiesta di far coniare la Medaglia Miracolosa. Soltanto due anni dopo, grazie all’autorizzazione dell’arcivescovo di Parigi, mons. De Quelen, si procede a coniare i primi 1.500 esemplari della medaglia. È il 30 giugno 1832. Le grazie ottenute sono fin da subito così numerose –  soprattutto tra i malati di colera in seguito all’epidemia che ha colpito Parigi dal febbraio 1832 – che immediatamente si indica la Medaglia come “Miracolosa” e come tale la conosciamo ancora noi oggi. 

Nel 1836 viene soddisfatta un’altra richiesta avanzata dalla Madonna nel corso delle apparizioni, tramite la fondazione dell’Associazione delle Figlie di Maria Immacolata. Sarà questo il segno della venuta di Maria tra gli uomini, cioè saranno proprio le Figlie di Maria Immacolata quella “traccia” del cammino di Maria che tante volte, cari amici, abbiamo visto esser costituita da un santuario o un edificio sacro posto a memoria del celeste evento. Questa volta però l’edificio sacro già sussiste, ed è la cappella del convento, in Rue du Bac, a Parigi, che ancora oggi si può visitare. Ecco perché, mi sembra di poter dire, la Madonna sceglie una traccia viva, affidando la memoria dell’accaduta a un’associazione religiosa specificamente fondata su sua indicazione. Tra le conversioni che vennero miracolosamente operare in virtù di questa medaglia miracolosa, non possiamo non citare quella dell’ebreo Alphonse de Ratisbonne (1812-1884), avvocato e banchiere. Di animo intriso di sentimenti di profonda ostilità al cristianesimo, si trovava a Roma nel 1842 per motivi di salute. Recatosi in visita presso la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, ebbe una visione della Madonna così come essa appare sulla medaglia fatta coniare da Santa Caterina. Profondamente impressionato da quanto accaduto, Ratisbonne si convertì e nel 1847 fu ordinato sacerdote, dapprima come gesuita e poi come membro dei “Sacerdoti di Nostra Signora di Sion”, congregazione di cui fondò una sede in Palestina.

Questi sono dunque i fatti, cari amici. Senz’altro molti di voi avranno con sé, anche in questo momento, una medaglia miracolosa (nella foto in prima pagina). Prendetela in mano e guardatela con attenzione.  Anzitutto campeggia in essa la scritta “O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi”. Questa scritta ha il valore di una profezia, se volete riferirla al fatto che nel 1858 la Madonna si presenterà a Bernadette proprio come “Immacolata Concezione”; parimenti, non si può non ricordare che appena quattro anni prima delle apparizioni di Lourdes, l’8 dicembre 1854, Pio IX aveva proclamato il dogma della Immacolata Concezione, riconoscendo come Maria, per una singolarissima grazia, avesse ottenuto il privilegio, i vista di essere strumento della Incarnazione di Dio, di essere senza peccato fin dal suo concepimento. Maria è senza peccato perché così può degnamente ricevere il Figlio di Dio e accogliere nel suo grembo il Verbo, il Cristo. Ma proprio in virtù di questa sua immacolatezza Maria è chiamata ad assumere un ruolo di primo piano nella lotta contro il demonio. In quanto Immacolato, il cuore della Madonna non è lambito in alcun modo dal veleno del Serpente antico, cioè dalla seduzione del peccato con la quale il diavolo cerca di distruggere l’amicizia che lega un’anima a Dio Padre. 

Questo ruolo di Maria è proprio evidenziato dal fatto che la Madonna si erga in piedi su un emisfero circondato dalle spire del serpente. Perché Maria è in piedi sul mondo? Perché Lei è la Regina, chiamata a vincere, nel nome di Suo Figlio Gesù, le potenze delle Tenebre, divenendo così Corredentrice, secondo quanto in particolare la Vergine ha rivelato a Ida Peerdeman nelle apparizioni della “Signora di tutti i popoli” avvenute ad Amsterdam dal 1945 al 1959.  Se osservate le braccia aperte della Vergine e i raggi che fuoriescono dalle mani della Madonna questa idea si fa ancora più chiara: la Madonna vince il demonio elargendo le grazie che Ella ottiene da Dio, intercedendo presso il Padre in favore di quanti a Lei ricorrono con fiducia e devozione. Il demonio viene sconfitto nel cuore di ogni uomo attraverso la scelta, individuale e responsabile, che avviene nel profondo dell’animo di ogni persona. Come a dire: Gesù ha già sconfitto il diavolo, una volta per sempre, ma ognuno di noi è chiamato, cari amici, a fare sua questa vittoria, e ciò è possibile in virtù delle grazie che Maria stessa ci ottiene, quale Celeste Mediatrice presso il Padre. Guardate ora il retro della medaglia. La croce, appoggiata sulla “I” di “Iesus”, sormonta la “M” di “Maria”. É come il riassunto di quanto presentato sull’altra faccia della medaglia, se così possiamo dire. La croce è infatti il simbolo della vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte e quindi sul demonio, a causa del quale la morte è entrata nel mondo, come ricorda la Sacra Scrittura. La croce è la via per vincere il diavolo, il peccato e la morte, dunque, e questa croce “poggia” su Gesù perché sulla sua morte e resurrezione si fonda la possibilità, per ognuno di noi, di partecipare della sua vittoria e guadagnare la Gloria del Cielo. Ma questa vittoria di Gesù nella croce a sua volta “poggia” sulla “M” di Maria, come a dire che la Madonna è lo strumento di cui Gesù si serve per realizzare la sua vittoria. 

E non posso non ricordare in proposito quanto dice il Montfort nel suo bellissimo “Trattato della vera devozione a Maria”: come Gesù è venuto al mondo la prima volta attraverso Maria, così Egli deve tornarvi la seconda ancora per mezzo della Madonna. È proprio così dunque: Maria prepara la strada per il ritorno di Cristo. Ecco perché la Madonna è così presente in questi ultimi tempi, per guidare l’umanità confusa e sofferente – e ognuno di noi, cari amici – ad affrontare il tempo della prova restando saldi nella fede. Dicevo che è una vittoria che si gioca nel cuore, nell’intimo di ognuno. Perché di un combattimento spirituale si tratta. Ed ecco dunque i due cuori attraverso i quali questa vittoria sul Male si è realizzata, una volta per tutte, e può realizzarsi ogni giorno, per ogni uomo: il Cuore di Gesù, circondato di spine che ricordano la corona che il Crocefisso ha amato ricevere in nostro favore, e il Cuore di Maria, trapassato da quella spada che il vecchio Simeone aveva predetto accogliendo la Vergine al tempio (Lc 2, 35), simbolo di quei dolori che la Madonna ha saputo accogliere nel Suo Cuore in favore di ognuno di noi, rispondendo in pieno abbandono e illimitato amore a quell’incarico che Gesù le ha assegnato affidandole l’umanità intera, dalla Croce, quand’Ella era ai suoi piedi, insieme a Giovanni (Gv 19, 25-27). Notate poi come i due cuori siano circondati da dodici stelle, che richiamano le dodici stelle che ornano il capo della Donna vestita di Sole di cui parla l’Apocalisse al cap. 12, e che rappresentano i dodici apostoli, cioè la Chiesa, intendendo che l’intera Chiesa di Dio è chiamata a seguire l’invito della Madonna, associandosi alla missione salvifica di Cristo, unendo ogni fedele il proprio cuore ai cuori di Gesù e di Maria. 

Accogliamo questa medaglia con fede, cari amici, e portiamola con noi, magari al collo, con una catenina che ci ricordi il nostro non esser più schiavi del peccato e del demonio bensì l’esser divenuti, con il Battesimo, schiavi d’amore di Gesù e di Maria. Affidiamoci dunque alla preghiera, chiedendo la grazia di poter essere coraggiosi e perseveranti nella nostra scelta per Gesù e per Maria, in ogni giorno della nostra vita:

Preghiera di san Giovanni Paolo II  nella cappella di Ru du Bac

“O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi”. É la preghiera che tu o Maria hai ispirato a Santa Caterina Labouré, in questo luogo, 150 anni fa e tale invocazione, incisa sulla Medaglia, è ora portata e pronunciata da tanti fedeli in tutto il mondo! […] Tu sei benedetta tra tutte le donne!

Vergine Santa sei stata associata intimamente all’opera della nostra redenzione, unita alla croce del Salvatore; il tuo cuore è stato trapassato, accanto al Suo Cuore ed ora nella gloria del tuo Figlio, non cessi di intercedere per noi poveri peccatori.

Vegli sulla Chiesa di cui sei Madre, vegli su ciascuno dei tuoi figli. Ottieni da Dio per noi, le grazie simboleggiate dai raggi di luce, che escono dalle tue mani aperte, con la sola condizione che te le chiediamo che ci accostiamo a te con la fiducia, il coraggio, la semplicità di un bambino. Così ci conduci incessantemente verso il Tuo Divin Figlio.

Giovanni Paolo II (1980)

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Papa: pensiero unico vuol farci mettere all’asta identità cristiana

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2015

Papa: pensiero unico vuol farci mettere all’asta identità cristiana
Il pensiero unico, l’umanismo che prende il posto di Gesù, l’uomo vero, distrugge l’identità cristiana. Non mettiamo all’asta la nostra carta d’identità: è la forte esortazione lanciata da Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

La mondanità porta al pensiero unico e all’apostasia
La prima lettura del giorno, tratta dal primo Libro dei Maccabei, racconta di “una radice perversa” che sorse in quei giorni: il re ellenista Antioco Epìfane impone le usanze pagane in Israele, al “popolo eletto”, cioè alla “Chiesa di quel momento”. Papa Francesco commenta “l’immagine della radice che è sotto terra”. La “fenomenologia della radice” è questa: “Non si vede, sembra non fare male, ma poi cresce e mostra, fa vedere, la propria realtà”. “Era una radice ragionevole” che spingeva alcuni israeliti ad allearsi con le nazioni vicine per essere protetti: “Perché tante differenze? Perché da quando ci siamo separati da loro ci sono capitati molti mali. Andiamo da loro, siamo uguali”. Il Papa spiega questa lettura con tre parole: “Mondanità, apostasia, persecuzione”. La mondanità è fare ciò che fa il mondo. E’ dire: “Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti”. Così, molti israeliti “rinnegarono la fede e si allontanarono dalla Santa Alleanza”. E ciò “che sembrava tanto ragionevole – ‘siamo come tutti, siamo normali’ – diventò la distruzione”:

“Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo – il pensiero unico; la mondanità – e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; anche molti israeliti accettarono il suo culto: sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato. L’apostasia. Cioè, la mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome – il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità”.

L’umanismo di oggi distrugge l’identità cristiana
In Israele vennero bruciati i libri della legge “e se qualcuno obbediva alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte”. Ecco “la persecuzione”, iniziata da una “radice velenosa”. “Mi ha sempre colpito – afferma il Papa – che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico”:

“Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione,  e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì”.

Guardarsi dalle radici velenose che crescono e contagiano
“La liturgia, in questi ultimi giorni dell’anno liturgico” – conclude il Papa – ci esorta a stare attenti alle “radici velenose” che “portano lontano dal Signore”:

“E chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia”.

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La Madonna ci invita alla santità

Posté par atempodiblog le 28 octobre 2015

La Madonna ci invita alla santità
Tratto da: Radio Maria Fb

Messaggio della Regina della Pace di Medjugorje a Marija del 25/10/2015

Cari figli!
La mia preghiera anche oggi è per tutti voi, soprattutto per tutti coloro che sono diventati duri di cuore alla mia chiamata. Vivete in giorni di grazia e non siete coscienti dei doni che Dio vi da attraverso la mia presenza.
Figlioli, decidetevi anche oggi per la santità e prendete l’esempio dei santi di questi tempi e vedrete che la santità è realtà per tutti voi.
Figlioli, gioite nell’amore perché agli occhi di Dio siete irripetibili e insostituibili perché siete la gioia di Dio in questo mondo. Testimoniate la pace, la preghiera e l’amore.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

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Padre Livio Fanzaga: Cosa ti ha colpito di più di questo messaggio?

Marija: Mi sembra questo invito della Madonna a vivere la santità in questi tempi; e ci chiede di seguire l’esempio dei santi che noi abbiamo conosciuto, come San Giovanni Paolo II, Madre Teresa che era una in mezzo a noi. Poi abbiamo conosciuto tanti santi che non sono ancora arrivati sull’altare, ma per i quali speriamo e che noi preghiamo. Tra questi anche la mia guida spirituale, Padre Slavko, per il quale la Madonna ha detto il giorno dopo la sua morte: “Vostro fratello Slavko è nato in Cielo”. Teologicamente non so spiegare, ma per me una persona così è irripetibile e insostituibile, come dice la Madonna. Il Signore ci mette a fianco nella nostra vita questi esempi, queste persone, perché possiamo cercare di imitarli, mentre ringraziamo Dio per averli conosciuti.

P. Livio: Nella nostra vita non incontriamo solo i cattivi, ma anche i santi, che magari sono persone molto semplici. Forse la Madonna aveva uno sguardo su quella coppia di sposi che la Chiesa ha canonizzato: i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino.

Marija: Oggi ero alla Messa qui al Carmelo di Monza, dove ci sono ancora le reliquie degli sposi Martin. Lei pensava di diventare suora e lui sacerdote; invece il Signore li ha portati al matrimonio e hanno avuto nove figli, di cui quattro sono morti in tenera età e le altre cinque sono diventate suore. Una è diventata santa Teresina, le altre, un po’ meno conosciute, ma ugualmente sante agli occhi di Dio. La Madonna dice: “Gioite nell’amore perché agli occhi di Dio siete irripetibili e insostituibili…”, come a dire che noi siamo unici per Dio, che siamo la cosa più bella che ha creato.

P. Livio: Allora anche tu come mamma speri di diventare santa?

Marija: Speriamo. Io spero nel martirio perché è più semplice… Tante volte pensiamo che diventare santi bisogna essere tristi, invece la Madonna anche con questo messaggio ci da’ tanta gioia.

P. Livio: La Madonna ci dice: “Gioite perché voi siete la gioia di Dio”, come i figli che sono la gioia dei genitori.

Marija: Poi dice: “Testimoniate la pace, la preghiera e l’amore”, cioè vivete nella pace, vivete nell’amore.

P. Livio: Ho notato che quasi sempre quando la Madonna dà il messaggio il 25 ottobre, in un modo o nell’altro, fa riferimento alla festa liturgica di tutti i Santi. Forse è una festa che a Lei piace molto. Io credo che questo 25 ottobre Lei ha esortato alla santità pensando a questa festa e al fatto che tutti dobbiamo diventare santi…

Ti ricordi? Quando sono venuto per la prima volta a Medjugorje nel 1985, la Madonna aveva cominciato ad invitare alla santità. Prima ha cercato di risvegliare la fede, poi ha cominciato ad esortare alla santità proprio voi del villaggio.
Marija: E’ vero. La Madonna ha per noi un progetto molto chiaro. Ci dice che siamo duri di cuore. Lei vuole che il nostro cuore tenda al Paradiso. Quei cinque o dieci minuti di Paradiso che io vivo quando la Madonna appare, Lei vorrebbe che li vivessero ognuno di noi. Come? Vivendo l’amore, la preghiera e la pace. Tante volte noi complichiamo le cose, ma in realtà Dio vuole da noi che siamo semplici, trasparenti, forti e saldi nella fede. Quando hai la fede, la trasmetti. Dio è amore e quando abbiamo Dio nel nostro cuore, non abbiamo paura di parlare di Lui perché Lo amiamo sopra ogni cosa.

P. Livio: In qualche modo la Madonna ci insegna la piccola via alla santità come diceva S. Teresa di Gesù Bambino, cioè testimoniare la pace, la preghiera e l’amore; è la via semplice alla santità che tutti possono percorrere.

Marija: Sì, tante volte sembra che dobbiamo fare chissà che cosa e invece noi abbiamo scoperto con la Madonna che noi non salviamo il mondo, è Dio che lo salva. Ma noi dobbiamo mettere la nostra piccola parte, con i doni che Dio ci ha dato e che non possiamo nasconderli sotto terra, ma usarli e sfruttarli con un bel sorriso. Il sorriso non costa niente e quando una persona ci sorride, è una cosa importante, perché è il riflesso dell’anima.

P. Livio: C’è anche un po’ di dispiacere da parte della Madonna vedendo che dopo 34 anni che è qui in mezzo a noi, ci siamo un po’ abituati e, anche noi che abbiamo risposto alla chiamata, siamo un po’ caduti nell’abitudine e non apprezziamo questi grandi doni che Dio ci da’ con questa lunga presenza di Maria.
Marija: Per dire la verità a questa abitudine non mi sono ancora “abituata”… Io sento sempre più il desiderio del Paradiso… Oggi che sono una donna adulta, posso testimoniare con tutto il mio cuore che il Signore lavora dentro di noi, ci sta plasmando. E quando noi diciamo il nostro “sì”, anche se stanco e a volte distratto, è tuttavia sempre un “sì” che il Signore usa anche attraverso la Madonna… Io credo a ciò profondamente nel mio cuore perché vedo quante opere buone il Signore ha fatto attraverso un “sì”: il “sì” tuo, il “sì” mio, il “sì” di altri, nelle piccole e grandi cose. Noi ogni giorno possiamo solo dire grazie.

P. Livio: E’ stato proprio così per Radio Maria… Se noi siamo fedeli, la Madonna fa crescere le cose in un modo miracoloso; come questa radio con la quale la Madonna porta la preghiera in tutto il mondo…

Giovedì avremo la grazia di essere ricevuti dal Papa. Se tu potessi parlare col Papa cosa gli diresti?
Marija: Gli vorrei solo dire che lo amiamo e che preghiamo per lui; e di tenere duro, perché abbiamo il Paradiso che ci aspetta.

Marija ha quindi pregato il “Magnificat” e il Gloria.
Padre Livio ha concluso con la benedizione.

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Il Papa: «Perdono per gli scandali a Roma e in Vaticano»

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2015

Il Papa: «Perdono per gli scandali a Roma e in Vaticano»
Nell’udienza del mercoledì la richiesta di scuse di Francesco. Il più «insopportabile», lo scandalo dei bambini violati, abbandonati o non amati
di F. Cif. - RomaSette

papa francesco

Non ha spiegato, nel dettaglio, a quali fatti si riferisse. Si è limitato a chiedere perdono, «a nome della Chiesa», per «gli scandali che in questi ultimi tempi sono accaduti sia a Roma che in Vaticano». È iniziata così questa mattina, mercoledì 14 ottobre, la catechesi di Papa Francesco ai fedeli che affollavano piazza San Pietro per l’udienza generale del mercoledì. Con loro anche un gruppo di 700 malati, raccolti per evitare il rischio pioggia nell’Aula Paolo VI, attrezzata di maxi schermo.

Ha chiesto scusa, Francesco, per quegli scandali dei quali si parlava nei versetti del Vangelo letti dagli speaker in varie lingue: «Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».

Ed è proprio quello dei bambini violati, abbandonati o non amati lo scandalo più «insopportabile», nelle parole del Papa, «in quanto essi non hanno i mezzi per decifrarlo». Nella catechesi, quindi, è tornato a lanciare il suo allarme sulle condizioni dei bambini di strada di tutto il mondo. «Noi adulti – ha detto – siamo pronti a parlare dei bambini come di una promessa della vita. Noi li facciamo venire al mondo ma cosa promettiamo loro?». L’amore, ha rilevato, «è la promessa che l’uomo e la donna fanno a ogni figlio, fin da quando è concepito nel pensiero. I bambini vengono al mondo e si aspettano di avere conferma di questa promessa: lo aspettano in modo totale, fiducioso, indifeso». E quando accade il contrario, «vengono feriti da uno “scandalo” insopportabile, tanto più grave, in quanto non hanno i mezzi per decifrarlo. Non possono capire cosa succede. Dio veglia su questa promessa, fin dal primo istante. Ricordate cosa dice Gesù? Gli Angeli dei bambini rispecchiano lo sguardo di Dio, e Dio non perde mai di vista i bambini. Guai a coloro che tradiscono la loro fiducia, guai! Il loro fiducioso abbandono alla nostra promessa, che ci impegna fin dal primo istante, ci giudica».

Con «molto rispetto per tutti» e altrettanta «franchezza», Francesco ha aggiunto anche che «la loro spontanea fiducia in Dio non dovrebbe mai essere ferita, soprattutto quando ciò avviene a motivo di una certa presunzione (più o meno inconscia) di sostituirci a Lui. Il tenero e misterioso rapporto di Dio con l’anima dei bambini non dovrebbe essere mai violato. È un rapporto reale, che Dio vuole e custodisce». L’invito dunque è a guardare i bambini «con gli occhi di Gesù», per capire «in che senso difendendo la famiglia proteggiamo l’umanità. Il punto di vista dei bambini – ha continuato – è il punto di vista del Figlio di Dio». Di qui l’invocazione finale: «La santa Madre di Gesù – per mezzo della quale il Figlio di Dio è arrivato a noi, amato e generato come un bambino – renda la Chiesa capace di seguire la via della sua maternità e della sua fede. E san Giuseppe – uomo giusto, che l’ha accolto e protetto, onorando coraggiosamente la benedizione e la promessa di Dio – ci renda tutti capaci e degni di ospitare Gesù in ogni bambino che Dio manda sulla terra».

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La Seo, la cattedrale di Saragozza

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2015

[...] Se sei un amante dell’arte, e vuoi renderti conto di quali meraviglie sia capace il sentimento religioso, non tralasciare di visitare l’altra cattedrale di Saragozza, la Seo, eretta a fianco della basilica del Pilar. Si tratta di una delle chiese più affascinanti di tutta la cristianità, entrando nella quale uno si dimentica di essere sulla terra e quando esce all’aperto si chiede in quale mondo sia capitato. Gli stili più diversi (romanico, mudèjar, gotico, neoclassico e barocco) si intrecciano armoniosamente, gareggiando fra loro nel creare bellezza. L’interno a cinque navate è un vero scrigno che contiene mirabili capolavori, in particolare le numerose cappelle e il coro centrale che non nascondono l’intento di riprodurre qui sulla terra lo splendore e la gloria della Gerusalemme celeste.

da «Pellegrino a quattro ruote» di P. Livio Fanzaga

seo saragozza

La Seo, la cattedrale di Saragozza
di Andrea Lessona – Il Reporter SPAGNA

coro seo
Il coro de La Seo, la cattedrale di Saragozza © Andrea Lessona

L’ombra del campanile cade sulla piazza de La Seo disegnando il barocco sul sagrato della cattedrale di Saragozza. Il neoclassico, invece, è nei miei occhi, fissi sulla facciata bianca della chiesa di San Salvador: insieme di tanti insiemi che la rendono unica.

La storia racconta che fu edificata sull’antico foro romano di Augusto e sui resti della moschea maggiore della Taifa: nel XII secolo, una volta allontanati i mussulmani dall’area, si iniziò a costruire l’edificio ecclesiastico in stile romanico.

Le tracce dell’arte mudèjar sono ancora visibili sulle mura esterne dell’abside e nella torre attuale, eredità del vecchio minareto che venne in parte cancellato dai progetti realizzati dall’architetto Giovan Battista Contini di Roma: sovrascrivere di barocco il passato arabo.

Lascio il sole accecante che brilla sulla capitale dell’Aragona, ed entro nel fresco secolare e spirituale de La Seo. È così che la chiamano qui, con questo diminutivo che è lo stesso dato alla piazza su cui sorge.

Lungo le due navate esterne si distendono una serie interminabile di cappelle: la maggior parte è chiusa da pesanti cancelli in ferro che precludono l’entrata e tutelano i tesori di statue e affreschi che qui hanno trovato dimora.

Cammino in senso antiorario lungo il perimetro della Cattedrale di Saragozza, e ammiro uno ad uno questi capolavori, trionfo d’arte dedicata alla religione. Stile diversi si alternano, si sovrappongono, si elevano solitari. E formano un capolavoro d’insieme.

Terminato il mio viaggio circolare, mi fermo davanti al coro: in questa parte del La Seo ci sono 117 sedie in quercia fabbricate da tre monaci. Appena dietro l’inferriata in bronzo, ecco risaltare le sculture in legno dorato di Juan Ramírez. L’arcivescovo Dalmau Mir è sepolto qui, in una teca a latere.

Lì vicino, si trova l’organo che conserva alcuni resti di quello gotico del 1469 e le canne preservate dal XV al XVIII secolo: è un insieme di vecchi pezzi assemblati tra il 1857 e il 1859 da Pedro Roqués.

Sul retro del coro c’è la cappella di Gesù Cristo in cui sono rappresentati la Crocefissione, Maria Dolorante e San Giovanni. Il tutto si trova sotto un baldacchino sostenuto da colonne Salomoniche di marmo nero.

Negli absidi della chiesa di San Salvador si trova la cappella della Bianca Vergine: il suo altare barocco ha decorazioni in legno dipinto da Jusepe Martínez (1647), un pittore di Saragozza. La scultura in alabastro della Madonna col bambino del XV secolo è dello scultore francese Fortaner de Uesques.

L’altare maggiore, dedicata al Salvatore, fu realizzata in alabastro e dipinta da vari artisti dal 1434 al 1480, tra cui Pere Johan, Francisco Gomar, è Hans Piet D’anso. È considerata uno dei più grandi lavori della scultura gotica europea.

L’altra cappella è dedicata a Pietro e Paolo: al suo interno spiccano in rilievo sull’altare scene dell’intensa vita dei Santi. Prima di uscire, guardo la porta di Pabostría: se non mi trovassi in una chiesa cristiana, potrei pensare di essere in un edificio mussulmano data la sua foggia intarsiata e finemente lavorata.

Segno evidente che l’interno come l’esterno della cattedrale di Saragozza sono proprio un insieme di tanti insiemi che la rendono unica.

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Quando la misericordia di Maria supera l’immaginazione degli scettici

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2015

Quando la misericordia di Maria supera l’immaginazione degli scettici
di Dom Antoine Marie O.S.B. – Radici Cristiane

vergine del pilar
Immagine tratta da: Mis ilustraciones

Nel 1874, Émile Zola visita il santuario di Lourdes. Davanti ai numerosi ex-voto della grotta, egli dichiara, con ironia: “Vedo molti bastoni, molte stampelle, ma non vedo nessuna gamba di legno”. Voleva dire che mai, a Lourdes o altrove, si era visto un arto mancante o amputato riprendere vita e ricrescere.
Analogamente, Jean-Martin Charcot, celebre neurologo della sua epoca: «Consultando il catalogo di guarigioni cosiddette “miracolose” di Lourdes, non si è mai constatato che la fede abbia fatto rispuntare un arto amputato».
Queste dichiarazioni sotto forma di sfida miravano a distruggere, nel nome della ragione e dello spirito critico, la credenza nell’esistenza di un mondo soprannaturale. Ernest Renan dichiara senza ambagi: «Quello che noi confutiamo è il soprannaturale (…) Fino ad ora, non è mai avvenuto un “miracolo” che potesse essere osservato da testimoni degni di fede e constatato con certezza» (Prefazione della Vie de Jésus).

Renan smentito
Il miracolo che racconteremo è di molto anteriore a Renan. Si tratta non di un sogno, né di una favola, ma di un fatto, attestato con tutte le sue circostanze da prove storiche irrefutabili. Questo fatto smentisce categoricamente l’affermazione di Renan…
Per una curiosa anomalia, è rimasto pressoché sconosciuto al di fuori della Spagna per circa tre secoli. Il beneficiario, Miguel Juan Pellicer, è perfettamente noto grazie alle numerose informazioni conservate dagli archivi della parrocchia di Calanda (provincia di Aragona, Spagna settentrionale), che una persona coraggiosa ha sottratto al saccheggio e alle distruzioni durante la Guerra Civile del 1936.
Miguel Juan Pellicer riceve il battesimo il 25 marzo 1617. Egli è il secondo degli otto figli di modesti agricoltori che conducono una vita virtuosa. L’istruzione del bambino si riduce al catechismo. Questa formazione religiosa elementare radica in lui una fede cattolica semplice e solida, fondata sui Sacramenti ricevuti regolarmente e su un’ardente e filiale devozione alla Vergine Maria, venerata a Saragozza con il titolo di “Nuestra Señora del Pilar” (Madonna del Pilastro), Patrona della Spagna.
Verso l’età di diciannove o vent’anni, Miguel si stabilisce come bracciante, al servizio di uno zio materno, nella provincia di Valencia. Alla fine del luglio 1637, mentre guida verso la fattoria due muli che tirano un carro carico di grano, cade dal dorso di uno degli animali e una delle ruote del carro gli passa sulla gamba, al di sotto del ginocchio, provocando la frattura della tibia.
Lo zio Jaime trasporta senza indugio il ferito alla cittadina vicina, poi a una sessantina di chilometri di là, a Valencia, dove arriva il 3 agosto. Miguel vi rimane cinque giorni, nel corso dei quali gli vengono applicati vari rimedi che rimangono senza effetto.
Egli ritorna allora a Saragozza dove giunge nei primi giorni dell’ottobre 1637. Sfinito e febbricitante, viene ricoverato al Real Hospital de Gracia. Lì, viene esaminato da Juan de Estanga, docente all’università di Saragozza, primario del reparto di Chirurgia, e da due maestri chirurghi, Diego Millaruelo e Miguel Beltran. Questi medici, avendo constatato la cancrena avanzata della gamba, concludono che l’unico modo di salvare la vita del malato è l’amputazione.
Quando testimonieranno davanti ai giudici, questi medici descriveranno la gamba come «molto flemmonosa e incancrenita», al punto di apparire «nera».
Verso la metà di ottobre, Estanga e Millaruelo procedono all’operazione: essi tagliano la gamba destra «quattro dita sotto il ginocchio». Anche se assopito dalla bevanda alcolica e narcotica usata a quei tempi, il paziente prova atroci dolori: «Nei suoi tormenti - diranno i testimoni - il giovane invocava di continuo e con molto fervore la Vergine del Pilar».
Uno studente di chirurgia, di nome Juan Lorenzo Garcìa, è incaricato di raccogliere la gamba tagliata e di sotterrarla degnamente nella parte del cimitero dell’ospedale riservata a questo uso. In quell’epoca di fede, il rispetto verso il corpo destinato a risuscitare imponeva che anche i resti anatomici fossero trattati con pietà. Garcìa testimonierà in seguito di aver seppellito il pezzo di gamba, orizzontalmente, «in una buca profonda un palmo», cioè ventun centimetri secondo la misura aragonese.

La potenza della Vergine
Dopo alcuni mesi di permanenza nell’ospedale, prima ancora che la sua piaga sia perfettamente cicatrizzata, Miguel si reca al santuario “del Pilar” distante circa un chilometro, e ringrazia la Vergine «di avergli salvato la vita, affinché potesse continuare a servirla e a manifestarle la sua devozione»; poi la prega con insistenza di «poter vivere del suo lavoro».
Nella primavera 1638, l’amministrazione dell’ospedale gli fornisce una gamba di legno e una stampella. Per sopravvivere, il giovane non ha altra soluzione che farsi “pordiosero”, cioè mendicante autorizzato dal Capitolo dei canonici del santuario del Pilar.
Saragozza conta allora 25.000 abitanti: la maggior parte si recano “a salutare la Vergine” ogni giorno. L’attenzione di questi innumerevoli visitatori è attirata dal viso sofferente di questo giovane storpio che sollecita la loro carità.
Miguel partecipa ogni giorno alla Santa Messa nel santuario; alla fine di questa, egli unge il suo moncone con l’olio delle lampade che ardono continuamente davanti alla statua della Madonna del Pilar. Il professor Estanga ha un bel spiegargli che queste unzioni avranno come effetto di ritardare la cicatrizzazione della sua piaga, Miguel continua il suo gesto di devozione: questo atto di fede nella potenza della Vergine prevale, per lui, sulle regole sanitarie.
All’inizio del 1640, Miguel rientra nel suo paese natale. Egli arriva a Calanda, a dorso di un asinello, nel mese di marzo. Il suo viaggio di circa 120 chilometri l’ha sfinito; ma l’accoglienza affettuosa dei suoi genitori gli restituisce le forze. Miguel sta per compiere 23 anni. Non potendo aiutare i suoi con il suo lavoro, ricomincia a chiedere l’elemosina.
Molti sono coloro che testimonieranno di aver visto il giovane mutilato nei villaggi dei dintorni di Calanda, a dorso di un asinello, con la gamba tagliata in vista, per fare appello alla carità degli abitanti.
Il 29 marzo 1640, si festeggia, quell’anno, il 1600° anniversario della «venuta in carne mortale» della Vergine Maria sulle rive dell’Ebro, secondo la convinzione della gente di quei luoghi. È qui l’origine della venerazione secolare degli spagnoli per la Vergine del Pilar.
Quel giovedì 29 marzo, Miguel si sforza di aiutare i suoi riempiendo di letame delle gerle caricate sul dorso dell’asinello. Lo fa nove volte di seguito, nonostante la sua difficoltà a reggersi sulla sua gamba di legno. Venuta la sera, rientra a casa, stanco, con il moncone più dolente del solito.
Quella notte, i Pellicer devono ospitare, per ordine del governo, uno dei soldati della Cavalleria reale che è in marcia verso la frontiera per respingere le truppe francesi: Miguel è costretto a lasciargli il suo letto e va a dormire su un materasso posato per terra, nella camera dei suoi genitori. Vi si corica, verso le dieci. Dopo essersi tolto la gamba di legno, si stende addosso un semplice mantello, troppo corto per coprire tutto il corpo, perché ha prestato la sua coperta al soldato, poi si addormenta…

Due piedi e due gambe
Tra le dieci e mezzo e le undici, la madre di Miguel entra nella camera, con in mano una lampada a olio. Essa avverte subito «un profumo, un odore soave». Sorpresa, solleva la lampada: dal mantello che copre suo figlio profondamente addormentato sporgono non uno, ma due piedi, «l’uno sull’altro, incrociati».
Colta dallo stupore, va a cercare il marito; questi solleva il mantello: non c’è dubbio, sono proprio due piedi, ognuno all’estremità di una gamba! Non senza difficoltà, riescono a svegliare il figlio. Prendendo a poco a poco coscienza di quello che è avvenuto, Miguel ne è meravigliato; le prime parole che gli vengono sulle labbra sono per chiedere a suo padre che «gli dia la mano e che lo perdoni per le offese che ha potuto fargli».
Questa reazione spontanea e immediata di umiltà, in lui che è il beneficiario di un prodigio, è un segno molto forte dell’origine divina di quest’ultimo. Quando gli si chiede, con emozione, se ha «qualche idea del modo in cui questo è avvenuto», il giovane risponde che non ne sa nulla, ma che quando è stato scosso dal suo sonno, «stava sognando che si trovava nella Santa Cappella di Nostra Signora del Pilar e che si ungeva la gamba tagliata con l’olio di una lampada, come aveva l’abitudine di fare».
Egli tiene subito per certo che è Nostra Signora del Pilar ad avergli riportato e rimesso a posto la gamba tagliata. Davanti al notaio, il lunedì seguente, i genitori affermano a loro volta di «giudicare e tenere per verità che la Vergine Santissima del Pilar ha pregato suo Figlio, Redentore nostro, e che da Dio ha ottenuto questo miracolo, grazie alle preghiere di Miguel, o perché tali erano le Sue vie misteriose».
Riavutosi dalla sua prima emozione, il giovane comincia a muovere e a palparsi la gamba. Osservandola, si scoprono su questa dei segni di autenticità: il primo è la cicatrice lasciata dalla ruota del carro che ha fratturato la tibia; vi è anche la traccia dell’asportazione di una grossa cisti, quando Miguel era ancora piccolo; due graffi profondi lasciati da una pianta spinosa; infine, le tracce del morso di un cane sul polpaccio.
Miguel e i suoi genitori hanno quindi la certezza che «la Vergine del Pilar ha ottenuto da Dio Nostro Signore la gamba che era stata sepolta più di due anni prima». Essi lo dichiareranno sotto giuramento e senza esitazione, davanti ai giudici di Saragozza.
Un giornale del tempo, L’Aviso Histórico, scrive in data 4 giugno 1640, il giorno prima dell’apertura del processo, che, nonostante le ricerche fatte nel cimitero dell’Ospedale di Saragozza, la gamba sepolta non è stata ritrovata: la buca che la conteneva era vuota!

Tutti sono sbalorditi
Fin dall’alba del 30 marzo, venerdì della settimana di Passione, ricorrenza della Beata Vergine Addolorata, l’incredibile notizia si diffonde in tutto il villaggio. Don Juseppe Herrero, vicario della parrocchia, arriva dai Pellicer, segito dal “justicia” che riunisce le funzioni di giudice di pace e di responsabile dell’ordine pubblico, dal sindaco e dal suo vice, dal notaio reale e da due medici di Calanda. Si forma una processione per accompagnare il giovane miracolato alla chiesa parrocchiale, dove lo aspetta il resto degli abitanti. Tutti, dicono i documenti, sono sbalorditi vedendolo di nuovo con la sua gamba destra, mentre l’avevano visto con una sola gamba fino alla sera precedente. Il miracolato si confessa, e riceve la santa Comunione nel corso della Messa di ringraziamento celebrata dal vicario.
Tuttavia, la gamba non ha, all’inizio, un bell’aspetto: colore violaceo, dita del piede ricurve, muscoli atrofizzati e, soprattutto, lunghezza inferiore a quella della gamba sinistra di alcuni centimetri. Ci vogliono tre giorni perché la gamba riprenda il suo aspetto normale, con la sua scioltezza e la sua forza.
Queste circostanze, diligentemente osservate e studiate nel corso del processo, confermano che non si tratta di un numero di illusionismo; esse provano che la gamba restituita è proprio la stessa di quella che era stata sepolta due anni e cinque mesi prima, a più di 100 chilometri di distanza…
Nel mese di giugno seguente, i testimoni affermano davanti ai giudici di Saragozza che Miguel «può appoggiare il tallone a terra, muovere le dita del piede, correre senza difficoltà». Si constata inoltre che, a partire dalla fine di marzo, l’arto ricuperato si è«allungato di quasi tre dita», e che è attualmente lungo quanto l’altro. Un solo segno non scompare: la cicatrice che forma un cerchio rosso nel punto in cui il pezzo di gamba si è riunito all’altro. È come un marchio indelebile del prodigio.
«Bisognerebbe quindi che venisse constatato un miracolo da un certo numero di persone sensate che non avessero alcun interesse alla cosa», affermava Voltaire. «E bisognerebbe che le loro testimonianze fossero registrate in debita forma: in effetti, se noi abbiamo bisogno di tante formalità per atti come l’acquisto di una casa, un contratto di matrimonio, un testamento, quante non ne occorrerebbero per appurare delle cose naturalmente impossibili?» (Voce “Miracle” del suo Dizionario filosofico). Ora, cent’anni prima, è avvenuta precisamente la stesura di un simile atto a Calanda. Il lunedì 1° aprile 1640, quarto giorno dopo il prodigio, il parroco e un prete vicario di Mazaleón, villaggio alla distanza di 50 km, si spostano con il notaio reale del luogo per verificare la realtà dei fatti e ne stendono un atto ufficiale.

Nessuna voce discordante
Alla fine dello stesso mese di aprile, la famiglia Pellicer decide di andare a ringraziare la Vergine del Pilar. A Saragozza, il Comune chiede che si apra un processo, perché sia fatta tutta la luce possibile sull’avvenimento. Il 5 giugno, quindi due mesi e una settimana dopo l’evento, si apre ufficialmente il processo canonico. Esso è pubblico e non a porte chiuse. Vi prendono parte più di cento persone di svariate condizioni sociali.
Contro l’affidabilità di questo processo, non si è mai sollevata nessuna voce discordante. Il 27 aprile 1641, l’arcivescovo pronuncia solennemente la sua sentenza. Egli dichiara «mirabile e miracolosa» la restituzione della gamba destra, precedentemente amputata, di cui ha beneficiato Miguel Juan Pellicer, nativo di Calanda.
Il miracolo di Calanda, impensabile eppure perfettamente attestato, è di natura tale da confortare la nostra fede nell’esistenza di un mondo invisibile, quello di Dio e del suo Regno eterno, al quale siamo chiamati a partecipare in quanto figli adottivi. È questa la realtà suprema ed eterna, alla quale dobbiamo riferire tutte le altre, come un uomo prudente ordina i mezzi al fine.
I miracoli ci rivelano soprattutto il Cuore amante e misericordioso di Dio per l’uomo, in particolare per l’uomo che soffre, che è nel bisogno, che implora la guarigione, il perdono e la pietà. Essi contribuiscono a fondarci in una speranza indefettibile nella misericordia di Dio e ci incoraggiano a dire spesso “Gesù, confido in Te!”.

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E’ bello essere figlio di santi genitori (di Padre Gheddo)

Posté par atempodiblog le 8 octobre 2015

E’ bello essere figlio di santi genitori – Padre Gheddo su “Avvenire”
Tratto da: Padre Piero Gheddo

Santi genitori

Ieri è cominciato il Sinodo sulla Famiglia, invito gli amici lettori a pregare per questa importante celebrazione della Chiesa cattolica.

Desidero solo raccontare la mia esperienza di essere nato da santi genitori (il giudizio spetta naturalmente alla Chiesa), che ha reso serena e anche gioiosa la vita mia e dei miei fratelli. In noi bambini la fede è entrata naturalmente come la lingua italiana, Rosetta e Giovanni erano davvero autentici credenti e imitatori di Gesù Cristo. Uno dei più bei ricordi che ho di loro è quando alla sera dopo cena (pranzo alle 12 e cena alle 19, come molti in Tronzano a quel tempo) si diceva assieme il Rosario seduti attorno al tavolo della cucina e noi bambini eravamo aiutati da mamma e papà a recitare l’Ave Maria, a tenere le mani giunte. E poco dopo ci portavano a letto. Nella camera matrimoniale c’era un bel quadro di Maria col piccolo Gesù in braccio, ci inginocchiavamo tutti davanti a quel quadro e recitavamo assieme le preghiere della sera.

Rosetta e Giovanni si erano sposati per amore, volevano dodici figli (uno più della nonna Anna!) anche se vivevano in una situazione economica precaria. Si fidavano della Provvidenza di Dio! Il loro amore era saldo come una roccia perché fondato su Dio. Erano “sposi per sempre”. Giovanni ha perso Rosetta a 34 anni (lei ne aveva 32) e le è rimasto fedele, anche se a Tronzano, dove era un personaggio stimatissimo anche come presidente dell’Azione cattolica dei giovani, aveva tante occasioni di risposarsi. Ma diceva: “Ho voluto tanto bene a Rosetta, che non potrei più voler bene così ad un’altra donna”.

Il 26 ottobre 1934 mamma Rosetta muore di polmonite e di parto con due gemelli di sette mesi (morti anche loro con lei), papà Giovanni e noi tre bambini ci siamo uniti alla famiglia della nonna Anna e della zia Adelaide, sorella maggiore di papà e direttrice didattica delle scuole di Tronzano.

Papà era un geometra e durante il giorno lavorava molto visitando in bicicletta le cascine e i paesi vicini, ma al mattino si svegliava alle cinque, per portarci alla Messa prima in parrocchia, che era alle sei.

Ricordo che papà era in coro dietro all’altare, io servivo la Messa ed ero incaricato, se lui non veniva quando il sacerdote distribuiva la Comunione, di andare a dirgli di venire e qualche volta papà dormiva!

Caro papà, lavoravi tutto il giorno e alla sera stavi alzato fino alle 22-23 per fare i conti e disegnare i tuoi lavori. Ma al mattino montavi la sveglia per non perdere la Messa, pur di portarci i tuoi bambini! Sono questi gli esempi che rimangono vivi nella nostra memoria di figli e ci educano ancora alla fede e alla vita cristiana.

I nostri genitori li aprivano al prossimo. La mamma, maestra elementare, da ragazza si dedicava gratuitamente ai bambini nell’asilo e nella scuola elementare e alla sera faceva scuola agli analfabeti adulti.

Educava noi bambini a distribuire metà dei doni di Gesù Bambino ai ragazzini che abitavano vicini a noi e non avevano parenti benestanti, come il papà e le sorelle di mamma Rosetta. La nostra casa era aperta ai poveri, a volte invitati a pranzo.

Papà Giovanni era chiamato “il paciere”, perché quando c’era un contrasto tra famiglie chiamavano lui che sapeva parlare di pace e di perdono ed era convincente. Non aveva nessun incarico ufficiale, ma metteva d’accordo famiglie divise facendole pregare assieme e risolvendo i loro problemi nelle eredità di case e terreni. Era chiamato anche “il geometra dei poveri”, perché faceva gratis o per poco le sue prestazioni per i poveri e per l’asilo delle suore.

Mamma Rosetta e papà Giovanni ci hanno trasmesso una grande fiducia in Dio, nel suo amore e Provvidenza. Ricordo bene che papà ripeteva spesso a noi tre ragazzini: “Dovete volervi bene e andare sempre d’accordo”.

Espressioni che ripetevano spesso: “La cosa più importante è fare la volontà di Dio” (mamma Rosetta), “Siamo sempre nelle mani di Dio” (Giovanni). Sul letto di morte, al marito che le diceva: “Se guarisci, faremo in altra maniera perché tutti questi figli ti hanno indebolita”, Rosetta ripeteva diverse volte: “Giovanni, faremo sempre la volontà di Dio”.

Certo papà ha sofferto moltissimo per la morte prematura della mamma (il loro matrimonio è durato solo sei anni, 1928-1934), ma aveva un carattere che educava anche senza parlare. Era sempre sereno, gioioso, aperto agli altri, sapeva giocare con noi ragazzini e alla sera dopocena, finito il Rosario in famiglia, ci chiedeva, uno per uno, come avevamo passato la giornata, la scuola, l‘oratorio, gli amici frequentati. Nelle lettere dall’Urss, non è mai triste o scoraggiato, ma pieno della speranza di poter tornare a casa, in quelle situazioni tragiche, a 20-30 sotto zero e le bombe nemiche. Ma lui scriveva che era un freddo secco e si sopportava bene! Non avrebbe dovuto andare in guerra perché vedovo e padre di tre figli minorenni, ma l’hanno mandato in prima linea in Russia perché non si era mai iscritto al Partito Fascista, non partecipava alle manifestazioni patriottiche e aiutava i perseguitati del regime trovando loro un lavoro.

Chiude la sua vita con un gesto che ricorda quello di San Massimiliano Kolbe ad Auschwitz: rimane tra i feriti intrasportabili mandando a casa il suo sottotenente più giovane. Offre la sua vita per lui, poi diventato sindaco democristiano di Vercelli due volte!

Rosetta e Giovanni dimostrano che si può vivere il Vangelo in una vita come quella di tutti, ma vissuta in modo straordinario. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati alla santità, cioè all’imitazione di Cristo nella normale vita quotidiana. “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” scriveva San Paolo ai Tessalonicesi (1Ts, 4, 3). Non voglio delineare la biografia di mamma e papà in queste due paginette, ma papà, che è vissuto con noi a Tronzano fino al 1940 quando è andato in guerra, ci ha dato esempi di mortificazione perché diceva: “Bisogna mortificarsi nelle cose lecite per poter resistere in quelle illecite”. Non fumava, non beveva vino (se non qualche volta nei brindisi dei pranzi), non giocava al Lotto o d’azzardo (vizio comune anche a quei tempi!); e ci ricordava le virtù e le mortificazioni (fioretti) di mamma Rosetta.

L’Arcivescovo di Vercelli, mons. Enrico Masseroni, comunicandomi la sua decisione di iniziare la causa di canonizzazione (avvenuta il 18 febbraio 2006 a Tronzano vercellese), mi ha detto (testo registrato): «La Causa di beatificazione dei tuoi genitori mi interessa molto e la metto nelle mani di Dio. Io stesso ho avuto un papà straordinario e considero tuo papà del tutto esemplare, perché rappresenta una schiera di uomini dell’Azione cattolica. Anche mio papà aveva fatto la guerra. E mi fa piacere che le figure di tuo padre e di tua madre vengano additate come modello in un tempo come il nostro in cui manchiamo di modelli, un tempo di «aurea mediocrità». Anch’io sono dell’avviso che la chiamata di tutti alla santità dev’essere documentata con esempi concreti. Ricordiamo e onoriamo i tuoi genitori per ricordarne tanti, tantissimi altri». Ringrazio il Signore di essere il figlio primogenito di Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo e raccomando a tutti gli amici lettori di pregare per questa causa di beatificazione, che la Chiesa crede utile come esempio di Vangelo vissuto da una normale coppia di sposi.

Padre Piero Gheddo,

missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), Milano.

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