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Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2016

Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti
I sacerdoti siano mediatori dell’amore di Dio, non intermediari che pensano al proprio interesse. E’ il monito di Papa Francesco nell’omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulle tentazioni che possono mettere a rischio il servizio dei sacerdoti. Il Papa ha messo in guardia dai “rigidi” che caricano sui fedeli cose che loro non portano. Ancora, ha denunciato la tentazione della mondanità che trasforma il sacerdote in un funzionario e lo porta ad essere “ridicolo”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

Sono come bambini ai quali offri una cosa e non gli piace, gli offri il contrario e non va bene lo stesso. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, sottolinea l’insoddisfazione del popolo, mai contento. Anche oggi, ha subito osservato il Pontefice, “ci sono cristiani insoddisfatti – tanti – che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Quindi, si è soffermato sui preti “insoddisfatti” che, ha avvertito, “fanno tanto male”. Vivono insoddisfatti cercano sempre nuovi progetti, “perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù” e per questo “si lamentano o vivono tristi”.

No ai sacerdoti intermediari, sì a sacerdoti mediatori dell’amore di Dio
La logica di Gesù, ha ripreso, dovrebbe dare invece “piena soddisfazione” a un sacerdote. “E’ la logica del mediatore”. “Gesù – ha sottolineato – è il mediatore fra Dio e noi. E noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori”, “non l’altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga”, “lui mai perde”. Totalmente diverso è il mediatore:

“Il mediatore perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma – in questo caso il parroco – per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù. La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso. San Paolo nella Lettera ai Filippesi è chiaro su questo: ‘Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce. Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”.

Il sacerdote autentico, ha soggiunto, “è un mediatore molto vicino al suo popolo”, l’intermediario invece fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro “sempre come funzionario”, “non sa cosa significhi sporcarsi le mani” in mezzo alla realtà. Ed è per questo, ha ribadito, che quando “il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”. E cerca un po’ di felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

La rigidità porta ad allontanare le persone che cercano consolazione
Agli intermediari del suo tempo, ha aggiunto, “Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi vedere e onorare:

“Ma anche per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo. La rigidità. Frusta in mano col popolo di Dio: ‘Questo non si può, questo non si può…’. E tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”.

Quando il sacerdote rigido e mondano diventa funzionario finisce nel ridicolo
Tuttavia, ha ammonito, la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente. E fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”. E con la rigidità, la mondanità. “Un sacerdote mondano, rigido – ha detto Francesco – è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”:

“Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Un buon sacerdote si riconosce se sa giocare con un bambino
“Nell’esame di coscienza – ha detto poi il Papa – considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Una volta, ha raccontato, una persona mi “diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… E’ interessante questo perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, ha affermato, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore – ha ripreso – è aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo: tre icone di sacerdoti mediatori
Nella parte finale dell’omelia il Papa ha quindi proposto, tre “icone” di “sacerdoti mediatori e non intermediari”. Il primo è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane”. “Così – ha detto – finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”.

L’altra icona è San Francesco Saverio, che muore giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove voleva andare ma non potrà perché il Signore lo prende a Sé.

E poi, l’ultima icona: l’anziano San Paolo alle Tre Fontane. “Quella mattina presto – ha rammentato – i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”.

I sacerdoti e il desiderio di terminare la vita in croce
“Tre icone – ha concluso – che possono aiutarci. Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”.

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La Basilica di Sant’Antonio a Padova

Posté par atempodiblog le 31 août 2016

La casa del Santo
La Basilica di Sant’Antonio a Padova
di Anna Roda – CulturaCattolica.it

La Basilica di Sant’Antonio a Padova dans Fede, morale e teologia Tomba_sant_Antonio

Nessuna città, forse, si è mai identificata così completamente con un santo come Padova con sant’Antonio (1195-1231), il frate francescano che in pochissimi mesi, con la sua veemente predicazione contro il malcostume e le sopraffazioni, suscitò una devozione così profonda e un culto così radicato da essere divenuto per i padovani il “Santo”.
I lavori di costruzione della grande basilica, costruita per custodire il corpo di sant’Antonio, iniziarono già l’anno successivo alla sua morte, nel 1232, inglobando la piccola chiesetta di Santa Maria Mater Domini, nella quale lo stesso santo aveva espresso il desiderio di essere sepolto, dopo il suo decesso presso il convento dell’Arcella, a nord di Padova.
Non si sa chi sia stato l’ideatore dell’imponente costruzione. Alcuni affermano che autori del progetto siano stati i magistri comacini, altri propongono il nome di Nicola Pisano (1220-1284), altri, molto più semplicemente frate Elia, lo stesso a cui si deve la basilica di Assisi.

Basilica_di_sant_Antonio_a_Padova dans Stile di vita

La grande basilica
L’attuale basilica è in gran parte l’esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni che si sono succedute nell’arco di una settantina d’anni tra il 1238 e il 1310, con interventi anche nel 1400, 1700 e 1800.

La facciata è costruita su quattro arcate cieche strombate a sesto acuto, con galleria sommitale e timpano conclusivo, nel quale è aperto un rosone, oltre il timpano si innalza un campaniletto rotondo cuspidato.
L’esterno della chiesa è estremamente originale e ricorda le chiese bizantine: sette cupole emisferiche con croci sulla sommità, la centrale conico-piramidale con l’angelo segna-vento in cima e due campanile ottagonali a coronamento nell’area del presbiterio, che paiono dei minareti. Questa commistione di stili si spiega forse con la vicinanza della basilica di San Marco di Venezia. Probabilmente gli architetti hanno voluto accostare la figura di sant’Antonio con quella di san Marco, mentre l’ottava cupola a “pan di zucchero” ricorda certamente il Santo Sepolcro di Gerusalemme e quindi avvicinare sant’Antonio a Gesù, così come Francesco fu dettoalter Christus.
L’interno della basilica è a tre navate, con corto transetto e varie cappelle.
Se ci si porta, oltre l’ingresso, al centro ella navata maggiore, si noterà subito come l’architettura, pur sempre gotica nell’alzato, si distingue nettamente in due parti: quella delle navate e quella dell’abside e del transetto.
L’area delle navate appare di più ampia spazialità, ritmata sa entrambi i lati da due calme e solenni campate sopra le quali corre un matroneo, il quale continua anche nel presbiterio.

La cappella di San Giacomo
Le cappelle sono molto numerose, molte contengono ancora la decorazione originaria, molte altre hanno avuto diverse fasi decorative, alcune anche moderne, come la cappella delle benedizioni affrescata da Pietro Annigoni (1980), che peraltro ha affrescato anche la contro-facciata con Sant’Antonio che predica dal noce (1985).

Vale la pena fermarsi però nella terza cappella di destra dedicata a San Giacomo. Essa fu voluta da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna (Pr), che ebbe importanti incarichi diplomatici e militari presso i Carraresi, signori di Padova.
L’elegante cappella è di origine gotica, edificata negli anni ‘70 del Trecento dall’architetto veneziano Andriolo de Santi. Attraverso cinque arcate trilobate si accede alla cappella completamente affrescata. Al centro si staglia una grande e drammatica Crocefissione, capolavoro di Altichiero da Zevio (notizie dal 1369 al 1384), dipinta attorno al 1370.
Il resto della cappella è decorata con le Storie di San Giacomo desunte dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, opera sempre di Altichiero con la collaborazione di Jacopo Avanzi, bolognese.
Altra cappella di grande importanza è quella del Tesoro, opera barocca del Parodi, allievo di Bernini: un trionfo di marmi, linee sinuose, decorazioni, statue; il tutto per rendere degno onore ad alcune insigni memorie del Santo.
In preziose teche si possono ammirare alcune reliquie di sant’Antonio, tra cui la laringe e la lingua.
Ovviamente, centro della devozione popolare è la cappella della tomba di sant’Antonio, chiamata fin dalle origini “Arca”. La cappella presenta ad altezza d’uomo il sepolcro del santo dietro al quale sfilano i pellegrini in processione; l’architettura dell’insieme è cinquecentesca, opera forse di Tullio Lombardo

Il presbiterio
Nell’area del presbiterio altre opere d’arte ornano la basilica.

Tra il 1447 e il 1454 l’ormai anziano Donatello (1386-1466) realizzava i bronzi dell’altar maggiore: Maria in trono con il Bambino, il Crocefisso e i santi Antonio, Francesco, Giustina, Ludovico, Daniele e Prosdocimo, santi protettori di Padova. Statue drammatiche, dal forte modellato, che bene evidenziano la forza e decisione di Antonio e dei francescani, dalla resa concreta e fisica, soprattutto del Cristo in croce, dallo splendido e muscoloso corpo, il vero lottatore per la salvezza dell’uomo. Queste opere di Donatello furono determinanti per lo sviluppo dell’arte quattrocentesca a Padova e in tutta l’Italia settentrionale; artisti come Mantenga guardarono con attenzione alla lezione dello scultore fiorentino per la loro formazione umanistica.

Il convento
Il convento si articola intorno a quattro chiostri. Il più antico è il Chiostro del Capitolo, detto anche Chiostro della Magnolia risalente al 1433; da qui si accede al chiostro Grande del 1435, opera di Cristoforo da bolzano, così detto perché su di esso vi si affacciavano le stanze del Generale dell’ordine in visita alla basilica. Accanto ad essi abbiamo inoltre il Chiostro del noviziato, realizzato nella seconda metà del Quattrocento in stile gotico, caratterizzato da proporzioni ampie e slanciate, e il Chiostro del beato Luca Belludi, grande amico di Antonio e ministro provinciale dell’ordine nel 1239; quest’ultimo chiostro venne realizzato alla fine del Quattrocento.

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Il beato Claudio e la sua Piccola Lourdes

Posté par atempodiblog le 11 août 2016

Beato Claudio (Riccardo) Granzotto Francescano
Santa Lucia di Piave, Treviso, 23 agosto 1900 – Chiampo, Vicenza, 15 agosto 1947
Memoria liturgica: 15 agosto
di Paolo Risso – Santiebeati

Il beato Claudio e la sua Piccola Lourdes dans Apparizioni mariane e santuari Beato-fra-Claudio-Riccarddo-Granzotto-e-la-piccola-Lourdes

Nel giorno della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, la Chiesa ricorda il Beato Claudio. Nasce a Santa Lucia di Piave (Treviso) il 23 agosto 1900, da umile famiglia. Studia all’Accademia di Venezia, dedicandosi alla scultura. Nel 1930 vince il concorso per la statua del Giocatore di palla da collocare nel Foro Mussolini di Roma, opera però mai realizzata perché il Granzotto rifiuta di iscriversi al partito fascista. Alcuni suoi lavori si trovano nel paese natale, in particolare nella chiesa parrocchiale di S. Lucia e nella gipsoteca a lui dedicata, ma anche a Vittorio Veneto, a Cavalier in provincia di Treviso e a Chiampo (VI), nel cui museo sono conservati gessi originali e oggetti appartenuti al beato. Nel 1935 entra nell’ordine dei Frati Minori. La Congregazione per le Cause dei Santi nel 1993 riconosce l’autenticità del primo miracolo fatto da fra’ Claudio ad un bambino di Verona affetto da peridacriocistite, guarito improvvisamente e senza postumi. È beatificato da Giovanni Paolo II nel 1994. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Padova, beato Claudio (Riccardo) Granzotto, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, che unì l’esercizio della professione religiosa al suo mestiere di scultore e raggiunse in pochi anni la perfezione nell’imitazione di Cristo.

Nell’ottobre 1997, durante una seria malattia di mia madre, mi imbattei in una foto del B. Claudio Granzotto. Sopra vi era scritto un breve cenno biografico e la sua promessa: “Aiuterò e consolerò tutti!”. Lo pregai intensamente e la mamma guarì assai bene. Da allora diventai suo amico. Ne sperimentai la potenza d’intercessione presso Dio, diverse altre volte. Diventò mio amico, insieme agli altri santi del mio “Paradiso personale”.
Ne lessi gli scritti, le biografie. Ne rimasi incantato, e rileggere la sua vita è una meraviglia sempre maggiore ogni volta.

Solo 47 anni
Riccardo Granzotto nacque il 23 agosto 1900 a S. Lucia di Piave (Treviso) da umilissima famiglia. Pochi studi elementari, poi il lavoro insieme al fratello maggiore, che faceva il muratore.
Il servizio militare, verso la fine della 1a guerra mondiale, protratto a lungo. È un giovane cristiano buono e estroso. Disegna assai bene e modella figure bellissime. Inclinato all’arte.
Congedato, comincia a scolpire. Con l’aiuto della famiglia, frequenta l’accademia di Venezia e ottiene a pieni voti il diploma di scultore. In pochi anni, crea una bellissima serie di opere ammirate da molti. Gli brilla davanti un avvenire splendido di artista.
Ma Riccardo, a un certo punto della sua giovinezza, sente il fascino straordinario di Gesù, che è la Verità, l’Amore, la Bellezza infinita, assoluta e eterna.

Questo Gesù, l’Uomo-Dio, ecco la scoperta mirabile – è vivo, proprio Lui, nell’Eucaristia, offerto in sacrificio sull’altare, presente e operante nel Tabernacolo. Riccardo chiede al suo parroco di poter passare le notti in preghiera, prostrato davanti al Gesù Eucaristico: mai sazio di adorazione e di preghiera, di stare con Lui: “perché se Gesù è lì ed è tutto, tu dove vuoi andare?”.

A 33 anni, entra nell’Ordine Francescano, come “fratello”, declinando l’invito dei superiori a accedere al sacerdozio. Veste il saio dei Minori e diventa fra Claudio.
Può continuare la sua opera di artista e realizza opere meravigliose di scultura sacra: immagini di Gesù, della Madonna, dei santi che lui sembra aver visto in Paradiso, come diceva il Beato Angelico (+1455) dei suoi dipinti. Di questo però lasciamo parlare ai competenti di arte, anche perché il capolavoro più sublime, realizzato da lui, in risposta a Dio, è la sua vita.

Sempre mite, umile, sorridente, vive nella preghiera, preferendo gli uffici più umili e nascosti. Si esercita in aspre penitenze, dimostra grande amore ai poveri e, per sfamarli, durante la guerra, rinuncia molto spesso al proprio cibo.

Il suo amore, il suo tesoro, la sua passione assoluta è Gesù eucaristico. Assai oltre le preghiere stabilite dalla regola, il suo tempo, gran parte delle notti, dopo giornate faticose, lo passa davanti a Lui, a intercedere per i peccatori, per la santificazione dei sacerdoti, per la Chiesa e per tutte le anime.

Offerta a Dio la sua vita, per ottenere tempi e costumi migliori, spira il giorno dell’Assunta, il 15 agosto 1947, come aveva predetto. Un’esistenza breve, intensa, solo di 47 anni, percorsa da un fuoco che lo consuma, il medesimo fuoco che Gesù ha portato sulla terra: una passione incontenibile, bruciante per Lui, Gesù, Sacerdote e Ostia del suo sacrificio.

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“Ho visto Gesù”
Occorre un libro intero per illustrare questa passione eucaristica, ma dobbiamo limitarci a pochi frammenti che cogliamo tali quali dalla sua biografia. Tutti sanno, nei conventi dove è passato, da Vittorio Veneto a Barbana, a Chiampo, che fra Claudio ha un rapporto straordinario con il Signore, che passa le notti in preghiera ed è rapito dall’estasi per Lui.

Un giorno, fra Epifanio Urbani gli domanda: “Hai mai visto il Signore?”. Fra Claudio, candidamente, gli risponde: “Sì, una volta, ho visto Gesù. Era maestoso. Una lunga veste bianca gli cadeva fino ai piedi. Gli occhi… oh, gli occhi non li so descrivere. Com’era bello! Lo guardavo e Egli pure mi guardava. Mi invitò a seguirlo… Io sono andato con Lui”.

Il medesimo fra Epifanio gli domanda ancora: “Quanti libri bisogna leggere per scoprire il segreto della preghiera?”. Fra Claudio risponde: “Un libro solo: il Crocifisso”. Poi, indicando il Tabernacolo, continua: “Nell’Eucaristia c’è la sorgente della vera pace. Quanta gioia darebbero a Gesù i sacerdoti, i religiosi, i fedeli, se fossero spesso in adorazione davanti al Tabernacolo! Quale felicità ne avrebbero! Quale divino potere hanno gli uomini: amare Dio!”.

Man mano che l’ascesa spirituale avvicina fra Claudio a Gesù, il colloquio con Lui si fa più intimo. Nulla gli è più gioioso che stare davanti a Lui, nel Tabernacolo, meglio ancora quando è esposto solennemente sull’altare.
L’adorazione eucaristica è la sua vera ricchezza e modella la sua fisionomia a immagine di Gesù.
Tutti notano che lo fa alla maniera dei santi. Tutti vedono il suo volto che si illumina, quando adora.
Chi lo guarda, anche solo una volta, deve cambiare vita e dare la vita a Dio, totalmente. Un esperto maestro di spirito, il P. Fuin, nota dapprima nei suoi lineamenti la tensione di chi si concentra, cui segue l’abbandono in una pace che è vera beatitudine. Allora nessuno e niente lo distrae: “c’è Gesù e Lui basta, perché Lui è tutto”.

Neppure le inclemenze del tempo lo ostacolano. Il freddo intenso dell’inverno, in chiese gelide, non lo distoglie un minuto dalla sua preghiera, neppure dall’adorazione notturna. Chi lo vede immobile davanti all’altare nella morsa del gelo, sente un brivido in tutte le membra. Per fra Claudio però il gelo non esiste: c’è solo il fuoco dell’amore che lo inchioda a Gesù Eucaristico.

Nell’ultima malattia, il tumore gli tortura il cervello. Incapace di fissare il Tabernacolo, prega con gli occhi chiusi. Il dolore non gli spegne la pietà dell’anima ormai prossima all’incontro con Lui.

“Dalla Messa, la salvezza del mondo”
Davanti al Tabernacolo, un giorno pensa che pur non avendo studiato teologia, tuttavia nulla gli impedisce di spiccare il volto verso il suo Dio. “Quando sarò preparato – ha scritto già quando era novizio – chiederò a Dio di essere crocifisso nel corpo e nell’anima in un supremo martirio di amore”.
Così, quando Gesù lo ispira, offre la sua vita a Dio per espiare i peccati del mondo e per la salvezza delle anime. Salirà l’altare non come sacerdote, ma come vittima.

Dopo una lunga preparazione spirituale, con il consenso del confessore, nel modo di un sacro rito, fra Claudio chiede a Dio di soffrire e di morire in totale abbandono alla divina volontà come Gesù sulla croce. In breve, ha i segni che Dio ha accettato la sua offerta.

Il Sacrifico di Gesù, consumato sul Calvario, si perpetua nella Santa Messa. Fra Claudio penetra il mistero della Messa e desidera essere coinvolto nel dramma della Passione salvifica del Cristo. Con questo segreto nel cuore, partecipa a tutte le Messe possibili, servendo all’altare e rinnovando la sua offerta vittimale – infine il suo olocausto – al Signore.

I confratelli sacerdoti lo ammirano e lo invidiano santamente. I fedeli guardano a lui come a modello per crescere nella fede.
Ora che sta per dare tutto, fra Claudio ha acquistato un aspetto jeratico come un antico sacerdote, e mansueto come una vittima che attende l’ora del sacrificio supremo di adorazione e di amore. Tutto si compie in quei giorni di agosto 1947, nella novena dell’Assunta, quando Maria SS.ma, la Madre Corredentrice, lo configura totalmente al suo Figlio Gesù, per chiamarlo a Sé, proprio il giorno della sua gloria.
La morte, quasi come un’assunzione.

Tra le sue note d’anima, allora si ritrova anche un foglietto dimenticato su cui fra Claudio ha scritto: “Sacerdote, quanto è grande la tua dignità. Celebra devotamente la Messa. Dalla Messa, dipende la salvezza del mondo”.
L’olocausto, come desiderava, è accolto: “Tutto è compiuto”.

La data di culto è stata fissata nel Martyrologium Romanum al 15 agosto, mentre l’Ordine dei Frati Minori e la diocesi di Vicenza lo ricordano il 2 settembre.

Beato-Claudio-Riccardo-Granzotto-Piccola-Lourdes dans Riflessioni

La grotta della Piccola Lourdes del beato Claudio
Tratto da: Santuario di Chiampo

La Grotta è il fulcro di tutto il grande movimento religioso-mariano, nato dalla volontà dei Frati Minori di ripresentare qui a Chiampo l’ambiente e il messaggio di Lourdes.

Edificata in cemento e ferro nel 1935 dal Beato Claudio Granzotto con devozione e competenza, è copia fedele di quella dei Pirenei in Francia.

La statua dell’Immacolata – in marmo di Carrara – fu scolpita dal Beato, che infuse nel marmo la sua profonda venerazione alla Vergine.


Durante la costruzione della grotta, quando sembrava venir interrotta da contrarietà insormontabili e restare un sogno infranto, il beato Claudio profetizzò: “Questa grotta diventerà un luogo di preghiera e qui verrà tanta gente…”.

Inaugurata il 29 Settembre 1935, si può considerare a pieno titolo come “Icona” ovvero una riproduzione che incorpora in se, per fedeltà e precisione d’esecuzione, lo spirito dell’originale.

Ai piedi della Grotta c’è la tomba del Beato Claudio, dove il devoto si ferma a parlare con il beato e sperimentare la sua promessa: “aiuterò e consolerò tutti”.

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Pregare lasciando che Dio ci guardi

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2016

Pregare lasciando che Dio ci guardi
«Mi metto davanti al Signore, e non dico niente». Un testo di Albino Luciani vescovo di Vittorio Veneto. La sintonia con le parole di Francesco
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Pregare lasciando che Dio ci guardi dans Andrea Tornielli Albino_Luciani

«La prima cosa per un discepolo è stare con il maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. È un cammino che dura tutta la vita. È uno stare alla presenza del Signore, lasciarci guardare da Lui. Lasciarci guardare dal Signore. Questa è una maniera di pregare. È un po’ noioso, ti fa addormentare? Addormentati, lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda».

Queste parole pronunciate da Francesco nel settembre 2013 nel corso di un’udienza per i catechisti rappresentano un leit-motiv nella sua predicazione e suggeriscono, ispirandosi agli scritti e alle testimonianze di alcuni santi della storia della Chiesa, un modo di pregare che lasci a Dio tutta l’iniziativa.

Nel 2003 il mensile 30Giorni pubblicava una conversazione tenuta da Albino Luciani sulla preghiera quando era vescovo di Vittorio Veneto. 

Rileggendola, colpisce la profonda sintonia tra colui che sarebbe diventato Papa Giovanni Paolo I, e il suo terzo successore. Luciani, dopo aver parlato del «senso di adorazione, di stupore davanti a Dio», suggerendo di sentirsi «sempre piccoli, miseri, davanti» a Lui, aggiungeva:

«Bisogna aiutarli, i fedeli, ad adorare, a ringraziare il Signore. Nessuno è grande davanti a Dio. Davanti a Dio anche la Madonna s’è sentita guardata, piccola. È importantissimo sentirci guardati da Dio. Sentirci oggetto dell’amore che Dio ci porta. San Bernardo, quand’era piccolissimo, in una notte di Natale, s’è addormentato in chiesa e ha sognato. Gli è parso di vedere Gesù bambino che diceva, additandolo: “Eccolo là, il mio piccolo Bernardo, il mio grande amico”. S’è svegliato, ma l’impressione di quella notte non si è più cancellata e ha avuto un’enorme influenza sulla sua vita.Sentiamoci piccoli, perché siamo piccoli. Se non ci sentiamo piccoli è impossibile la fede. Chi alza la cresta, chi si vanta troppo, non ha fiducia in Dio. Tu sei grandissimo, Signore, io, di fronte a te, piccolissimo. Non mi vergogno di dirlo. E farò volentieri quello che mi chiedi».

L’allora vescovo di Vittorio Veneto spiegava di non essere un mistico. «Santa Teresa, che era una donna molto esperta, dice: “Io ho conosciuto dei santi, dei veri santi, che non erano contemplativi, e ho conosciuto dei contemplativi che avevano grazie di orazione superiore, che però non erano santi”. Il che vuol dire che, “salvo meliore iudicio”, non sarebbe necessaria la contemplazione alla santità. Sulla contemplazione quindi non posso perciò intrattenervi, perché sinceramente non me ne intendo, anche se ho letto qualche libro. Perciò mi fermo alla semplice orazione, quella umile, quella delle anime semplici».

«Io mi spiego di solito – aggiungeva Luciani – con un esempio molto semplice e pratico. Sentite: c’è il papà che festeggia l’onomastico: in casa hanno organizzato un po’ di festicciola. Arriva il momento: lui sa già di che si tratta, e dice: “Adesso vediamo cosa mi fanno di bello!”. Per primo viene il più piccolo dei suoi bambini: gli hanno insegnato la poesia a memoria. Povero piccolo! È lì di fronte al papà, recita la sua poesia. “Bravo!”, dice il papà, “ho tanto piacere, ti sei fatto onore, grazie, caro”. A memoria. Va via il piccolino, e si presenta il secondo figliolo, che fa già le medie. Ah, non si è mica degnato di imparare una poesiola a memoria; ha preparato un discorsetto, roba sua, farina del suo sacco. Magari breve, ma si impanca da oratore. “Non avrei mai creduto”, il papà, “che tu fossi così bravo a far discorsi, caro”. È contento il papà: ma guarda che bei pensieri!… Non sarà un capolavoro, ma… Terza, la signorina, la figliola. Questa ha preparato semplicemente un mazzetto di garofani rossi. Non dice niente. Va davanti al papà, neanche una parola: però è commossa, è così rossa che non si sa se sia più rossa lei o i garofani. E il papà le dice: “Si vede che mi vuoi bene, sei così emozionata”. Ma neanche una parola. Però i fiori li gradisce, specialmente perché la vede tanto commossa e così piena di affetto. Poi c’è la mamma, c’è la sposa. Non dà niente. Lei guarda suo marito e lui guarda lei: semplicemente uno sguardo. Sanno tante cose. Quello sguardo rievoca tutto un passato, tutta una vita. Il bene, il male, le gioie, i dolori della famiglia. Non c’è altro».

«Sono i quattro tipi di orazione – spiegava il vescovo di Vittorio Veneto – Il primo è l’orazione vocale: quando dico il rosario con attenzione, quando dico il Pater noster, l’Ave Maria; allora siamo dei bambini. Il secondo, il discorsetto, è la meditazione. Penso io e faccio il mio discorso col Signore: bei pensieri e anche profondi affetti, intendiamoci. Il terzo, il mazzo di garofani, è l’orazione affettiva. La ragazzina tanto emozionata e tanto affettuosa. Qui non occorrono molti pensieri, basta lasciar parlare il cuore. “Mio Dio, ti amo”. Se uno fa anche solo cinque minuti di orazione affettiva, fa meglio che la meditazione. Quarto, la sposa, è l’orazione della semplicità o di semplice sguardo, come si dice. Mi metto davanti al Signore, e non dico niente. In qualche maniera lo guardo. Sembra che valga poco, questa preghiera, invece può essere superiore alle altre».

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Consanguinei di Gesù

Posté par atempodiblog le 16 juin 2016

Consanguinei di Gesù
di Pippo Corigliano

Consanguinei di Gesù dans Fede, morale e teologia cuore_di_Ges_e_di_Maria

Il mese di giugno è in singolare sintonia con il tema del Giubileo della Misericordia anche perché le feste del Cuore di Gesù e di Maria ci riportano all’amore misericordioso di Dio.

Sant’Agostino (De sancta virginitate,6) dice che «Maria cooperò col suo amore alla nascita nella Chiesa dei fedeli, membra di quel Capo di cui ella è madre secondo il corpo». E’ un motivo in più per considerarci «consanguinei» di Gesù, come diceva San Josemaría Escrivá: «Figli miei sapete perché vi voglio così bene? Perché vedo scorrere in voi lo stesso sangue di Gesù».

Questa «fisicità» del considerarci figli di Maria e fratelli di Gesù ci aiuta nell’identificazione con Cristo. Lo Spirito Santo è l’ autore di questa identificazione. Quello stesso Spirito che ha inondato l’anima e il corpo di Maria per farci pervenire Gesù. «Lo Spirito come il vento, soffia dove vuole» (Gv. 3,8) vien detto a Nicodemo: a me tocca non frapporre ostacoli e tenere le finestre del mio animo ben aperte a questa benefica corrente.

La lettura quotidiana del Vangelo e di un libro spirituale, la frequente confessione e la santa comunione, l’orazione mentale e la recita del rosario, assieme alle altre pratiche sono le finestre spalancate, sono l’alimento del bambino che sono io che ha bisogno di pasti frequenti. Tanto più frequenti quanto più piccolo è il bambino.

Nella mia corsa forsennata nell’impiegare inutilmente il tempo, queste pratiche sono il rimedio che non me lo fa sprecare e agevolano l’identificazione con Cristo.

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Papa: è eretico dire “questo o niente”, Gesù insegna sano realismo

Posté par atempodiblog le 9 juin 2016

Papa: è eretico dire “questo o niente”, Gesù insegna sano realismo
Volere “questo o niente” non è cattolico, è “eretico”. E’ il monito di Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta tutta incentrata sul “sano realismo” che il Signore ha insegnato ai suoi discepoli. Il Papa ha messo l’accento sul male che arrecano al popolo di Dio gli uomini di Chiesa che fanno il contrario di ciò che dicono. Quindi, ha esortato a liberarsi da un idealismo rigido che non permette di riconciliarci tra noi.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Gesù Sacerdote

“La vostra giustizia deve superare quella degli scribi e dei farisei”. Papa Francesco ha preso spunto da questa esortazione di Gesù, nel Vangelo del giorno, per soffermarsi sull’importanza del realismo cristiano. Il popolo, ha affermato il Pontefice, era “un po’ sbandato” perché “quelli che insegnavano la legge non erano coerenti” nella loro “testimonianza di vita”. Gesù chiede dunque di superare questo, di “andare in su”. Prende dunque come esempio il primo Comandamento: “Amare Dio e amare il prossimo”. E sottolinea che chiunque si adira con suo fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.

Insultare il fratello è come dare uno schiaffo alla sua anima
“Questo – ha detto il Papa – fa bene sentirlo, in questo tempo dove noi siamo tanto abituati ai qualificativi e abbiamo un vocabolario tanto creativo per insultare gli altri”.

Questo, ha ripreso, “è peccato”, è “uccidere, perché è dare uno schiaffo all’anima del fratello”, alla sua “dignità”. E con amara ironia ha aggiunto che spesso diciamo tante parolacce “con molta carità, ma le diciamo agli altri”.

Ancora il Papa, riferendosi alla presenza dei bambini a Messa, ha esortato a rimanere “tranquilli”, “perché la predica di un bambino in chiesa è più bella di quella del prete, di quella del vescovo e di quella del Papa”. Lasciarlo fare, è stato il suo invito, “che è la voce dell’innocenza che ci fa bene a tutti”.

Dà scandalo un uomo di Chiesa che fa il contrario di ciò che dice
Gesù, ha poi affermato il Papa, a “questo popolo disorientato” chiede di guardare “in su” e andare “avanti”. Ma non manca di rilevare quanto male faccia al popolo la contro-testimonianza dei cristiani:

“Quante volte noi nella Chiesa sentiamo queste cose: quante volte! ‘Ma, quel prete, quell’uomo, quella donna dell’Azione Cattolica, quel vescovo, quel Papa ci dicono: ‘Dovete fare così!’, e lui fa il contrario. Quello è lo scandalo che ferisce il popolo e non lascia che il popolo di Dio cresca, che vada avanti. Non libera.

Anche, questo popolo aveva visto la rigidità di questi scribi e farisei e anche quando veniva un profeta che dava loro un po’ di gioia lo perseguitavano e anche lo ammazzavano: non c’era posto, per i profeti, lì. E Gesù dice a loro, ai farisei: ‘Voi avete ucciso i profeti, avete perseguitato i profeti: quelli che portavano l’aria nuova’”.

Seguire il sano realismo della Chiesa, no a idealismi e rigidità
“La generosità, la santità”, che ci chiede Gesù, “è uscire ma sempre, semprein su. Uscire in su”. Questa, ha detto Francesco, è la “liberazione” dalla “rigidità della legge e anche dagli idealismi che non ci fanno bene”. Gesù, ha poi commentato, “ci conosce bene”, “conosce la nostra natura”. Ci esorta dunque a metterci d’accordo quando abbiamo un contrasto con l’altro. “Gesù – ha detto il Papa – ci insegna anche un sano realismo”. “Tante volte – ha soggiunto – non si può arrivare alla perfezione, ma almeno fate quello che potete, mettetevi d’accordo”:

“Questo sano realismo della Chiesa cattolica: la Chiesa cattolica mai insegna ‘o questo, o questo’. Quello non è cattolico. La Chiesa dice: ‘Questo e questo’. ‘Fai la perfezione: riconciliati con tuo fratello. Non insultarlo. Amalo. Ma se c’è qualche problema, almeno mettiti d’accordo, perché non scoppi la guerra’. Questo sano realismo del cattolicesimo. Non è cattolico ‘o questo, o niente’: quello non è cattolico. Quello è eretico.

Gesù sempre sa camminare con noi, ci dà l’ideale, ci accompagna verso l’ideale, ci libera da questo ingabbiamento della rigidità della legge e ci dice: ‘Ma, fate fino al punto che potete fare’. E lui ci capisce bene. E’ questo il nostro Signore, è questo quello che insegna a noi”.

Riconciliarsi tra noi, è la “santità piccolina” del negoziato
Il Signore, ha detto ancora, ci chiede di non essere ipocriti: di non andare a lodare Dio con la stessa lingua con la quale si insulta il fratello. “Fate quello che potete”, ha soggiunto, “è l’esortazione di Gesù”, “almeno evitate la guerra fra di voi, mettetevi d’accordo”:

“E mi permetto di dirvi questa parola che sembra un po’ strana: è la santità piccolina del negoziato. ‘Ma, non posso tutto, ma voglio fare tutto, ma mi metto d’accordo con te, almeno non ci insultiamo, non facciamo la guerra e viviamo tutti in pace’. Gesù è un grande! Ci libera di tutte le nostre miserie. Anche da quell’idealismo che non è cattolico

Chiediamo al Signore che ci insegni, primo, a uscire da ogni rigidità, ma uscire in su, per poter adorare e lodare Dio; che ci insegni a riconciliarci fra noi; e anche, che ci insegni a metterci d’accordo fino al punto che noi possiamo farlo”.

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La bellezza incantevole e la dolcezza ineffabile della Sapienza incarnata

Posté par atempodiblog le 22 mai 2016

La bellezza incantevole e la dolcezza ineffabile della Sapienza incarnata
Da: ‘L’amore dell’eterna Sapienza’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

Montfort

La Sapienza s’è fatta uomo solo per attirare i cuori degli uomini alla sua amicizia ed alla sua imitazione. Ecco perché s’è compiaciuta di adornarsi di tutte le amabilità e dolcezze umane più incantevoli e sensibili, senza difetti né brutture.

I) La Sapienza è dolce nelle sue origini
Se noi la consideriamo nelle sue origini, essa è soltanto bontà e dolcezza. È dono dell’amore del Padre ed effetto di quello dello Spirito Santo. È data a noi dall’amore ed è formata dall’amore: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». È dunque tutta amore, anzi è l’amore stesso del Padre e dello Spirito Santo.

È nata dalla madre più dolce, affettuosa e bella, dalla divina Maria. Volete spiegarmi la dolcezza di Gesù? Spiegatemi prima la dolcezza di Maria sua madre, alla quale egli somiglia nella soavità del temperamento. Gesù è figlio di Maria e, perciò, in lui non si trova né fierezza né rigore né bruttezza e ancora infinitamente meno che nella madre, perché è la Sapienza eterna, la dolcezza e la bellezza stessa.

II) È dolce, secondo i profeti
I profeti, ai quali venne rivelata in anticipo la Sapienza incarnata, la chiamano pecorella e agnello mansueto. Predicono che per la sua dolcezza non spezzerà una canna incrinata, e non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta, cioè che avrà tanta bontà che quando un povero peccatore sarà mezzo affranto, accecato, perduto per le proprie colpe e quasi con un piede nell’inferno, non lo lascerà perdersi del tutto, a meno ch’egli stesso non la costringa.

San Giovanni Battista, che per quasi trent’anni restò nel deserto a meritarsi con le sue austerità la conoscenza e l’amore della Sapienza incarnata, appena la vide, additandola ai discepoli, esclamò: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!». Non disse infatti come sembra avrebbe dovuto: «Ecco l’Altissimo, ecco il Re della gloria, ecco l’Onnipotente…». Conoscendola però a fondo più di qualsiasi altro uomo del passato o del futuro, disse: «Ecco l’agnello di Dio! Ecco la Sapienza eterna che per inebriare i cuori e rimettere i nostri peccati ha unito in sé tutte le dolcezze di Dio e dell’uomo, del cielo e della terra!».

III) È dolce nel nome
Ma che cosa ci dice il nome di Gesù, il nome proprio della Sapienza incarnata, se non carità ardente, amore infinito e dolcezza incantevole?

Gesù, Salvatore, colui che salva l’uomo, colui del quale è prerogativa amare e salvare l’uomo! «Nulla si canta di più soave, nulla si ascolta di più giocondo, nulla si pensi di più dolce di Gesù, il Figlio di Dio!»
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Oh, quanto è dolce all’orecchio ed al cuore di un’anima predestinata il nome di Gesù! «È miele sulla bocca, melodia nell’orecchio, giubilo nel cuore!».

IV) È dolce nel volto
«Gesù è dolce nel volto, dolce nelle parole, dolce nelle azioni».

L’amabilissimo Salvatore aveva un volto così dolce e buono, che invaghiva i cuori e gli occhi di quanti lo vedevano. I pastori che vennero a trovarlo nella stalla furono attratti dalla dolcezza e soavità del suo viso, tanto che restavano giorni interi come rapiti fuori di sé a guardarlo. I re, anche i più fieri, non appena conobbero le dolci attrattive di questo bel bambino, deposta ogni fierezza, caddero senza difficoltà ai piedi della sua culla.

Quante volte si dissero l’un l’altro: «Amici, com’è dolce star qui! Non si trovano nei nostri palazzi gaudii simili a quelli che si gustano in questa stalla alla vista di questo Dio-bambino!».

Quando Gesù era giovanissimo, le persone afflitte ed i bambini venivano da tutti i paesi vicini per vederlo e gioire con lui. Si dicevano a vicenda: «Andiamo a vedere il piccolo Gesù, il bel bambino di Maria». La bellezza e la maestà del suo volto, diceva san Giovanni Crisostomo, erano così dolci ed al tempo stesso così imponenti, che quanti lo videro non poterono non amarlo.

Qualche re molto distante dalla sua terra, alla fama della sua bellezza volle averne il ritratto, e si racconta che nostro Signore medesimo lo abbia inviato al re Abgar in segno di speciale benevolenza.

Alcuni autori assicurano che i soldati romani ed i giudei gli velarono il volto per maltrattarlo e schiaffeggiarlo con maggior libertà, perché dai suoi occhi e dal viso gli traspariva uno splendore di bellezza così dolce ed incantevole che disarmava i più crudeli.

V) È dolce nelle parole
Gesù è dolce nelle parole. Mentre viveva in terra, conquistava tutti con la dolcezza delle parole, e non lo si udì mai alzare troppo la voce né discutere con animosità, proprio come avevano predetto i profeti: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce».

Chi l’ascoltava spassionatamente era colpito dalle parole di vita che uscivano dalla sua bocca, tanto da esclamare: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!». E chi lo odiava, molto sorpreso dall’eloquenza e sapienza delle sue parole, si chiedeva: «Da dove mai viene a costui questa sapienza?».

Parecchie migliaia di umili persone abbandonarono le case e le famiglie per andarlo ad ascoltare fin nell’interno del deserto, trascorrendo diversi giorni senza bere e senza mangiare, solo sazi della soavità della sua parola.

E con la dolcezza del parlare, quasi come un’esca, attrasse gli apostoli alla sua sequela, guarì gli ammalati più incurabili, consolò i più afflitti. A Maria Maddalena, desolata, disse soltanto «Maria!» e la colmò di gioia e di dolcezza.

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La Madonna insegna a pregare

Posté par atempodiblog le 16 avril 2016

La Madonna insegna a pregare
Tratto da: Medjugorje. Il cielo sulla terra— Padre Livio Fanzaga, ed. PIEMME

La Madonna insegna a pregare dans Fede, morale e teologia Santa-Maria

[…] Bisogna sentire col cuore i gesti e le parole della preghiera. La preghiera del cuore non è una scuola per iniziati. Non necessita di maestri come le tecniche di meditazione orientale. Quando parliamo con una persona che ci sta a cuore, non lo facciamo distrattamente e col pensiero altrove. La guardiamo negli occhi e siamo consapevoli di quello che diciamo. Parliamo ed ascoltiamo nello scambio di pensieri e sentimenti. Ciò vale infinitamente di più quando preghiamo, perché ci apriamo a Colui che non è fuori di noi, ma in noi, più intimamente di quanto lo sia qualsiasi altra persona. Per ottenere questo risultato la Gospa dà dei suggerimenti che si trovano già nella tradizione ascetica e mistica. Non si tratta di nulla di particolare, ma semplicemente di quelle regole elementari che valgono per qualsiasi attività ben fatta, la quale richiede attenzione e concentrazione. Nel campo della preghiera il consiglio unanime della tradizione, perché non si riduca a uno spreco di parole, è quello di mettersi alla divina presenza. Solo così la preghiera diviene un dialogo intimo con Dio. Al riguardo la Gospa ha dato un messaggio concreto ed efficace:

“Cari figli, anche oggi vi invito a pregare. Voi, cari figli, non siete in grado di comprendere quanto valore ha la preghiera, finché non dite da voi stessi: Adesso è il tempo della preghiera. Adesso null’altro è importante per me. Adesso per me nessuna persona è importante all’infuori di Dio” (02-10- 1986).

La veggente Vicka ama ripetere ai pellegrini che la preghiera del cuore non la si impara sui libri, ma con l’impegno di praticarla ogni giorno. Si impara a pregare pregando. Si cresce nella misura in cui il cuore si apre a Dio. Si avanza nella preghiera del cuore attraverso la perseveranza e l’accompagnamento della Madre, come un bambino che impara a camminare. All’inzio i passi sono incerti, poi diventano più spediti e infine corre veloce senza incertezze. La Madonna non esclude affatto le preghiere spontanee sia dei singoli come nelle celebrazioni liturgiche. Ne è un esempio l’adorazione eucaristica che a Medjugorje è il culmine della preghiera del cuore, per il silenzio e il raccoglimento dei pellegrini e le invocazioni del celebrante. Tuttavia la Gospa mira piuttosto ad animare dall’interno la preghiera liturgica, specialmente quella centrata sui sacramenti. Per questo insiste perché la Santa Messa divenga un’esperienza di Dio.

“Cari figli, vi invito a vivere la S. Messa. Molti di voi ne hanno sperimentato la bellezza, ma ci sono anche coloro che non vengono volentieri. Io vi ho scelto, cari figli, e Gesù nella S. Messa vi dà le sue grazie. Perciò, vivete coscientemente la S. Messa e la vostra venuta sia piena di gioia. Venite con amore ed accogliete in voi la S. Messa.” (03-04-1986).

Questa fonte di tutte le grazie non solo deve essere vissuta col cuore, ma divenire un appuntamento quotidiano irrinunciabile: “La S. Messa, figlioli, non sia per voi un’abitudine, ma vita; vivendo ogni giorno la S. Messa sentirete il bisogno della santità” (25-01-1998).

Ogni vera preghiera deve essere fatta col cuore. Se non sgorga dal sacrario interiore non può arrivare fino al cielo, ma ci ricade addosso. Quando, al termine delle nostre preghiere, siamo nella medesima situazione spirituale in cui abbiamo incominciato, significa che abbiamo sprecato parole. Per pregare col cuore è necessario aprirsi a Dio e ricevere la Sua luce e la Sua grazia. Proprio per questo non è solo opera nostra, ma un dono dello Spirito Santo. E’ lo Spirito infatti che prega in noi con gemiti inenarrabili. La Gospa lo sa bene e ce lo ricorda:

“Volgete i vostri cuori alla preghiera e chiedete che lo Spirito Santo si effonda su di voi” (16-05-1985). “Rinnovate la vostra preghiera personale e in modo particolare pregate lo Spirito Santo affinché vi aiuti a pregare col cuore” (25-05-2003).

La preghiera nello Spirito non è l’appannaggio di alcuni gruppi, ma l’essenza stessa della preghiera cristiana. E’ il dono che la Gospa fa alla Chiesa perché si rinnovi ogni giorno di più nei cuori dei suoi fedeli.

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La Madonna è lo strumento per far scendere Gesù

Posté par atempodiblog le 10 avril 2016

La Madonna è lo strumento per far scendere Gesù dans Citazioni, frasi e pensieri kapbsx

“A me – dice il Papa, rivolgendosi alla Comunità del Centro Aletti – piace tanto pregare il Rosario davanti a un quadro della Madonna che voi mi avete regalato della Madonna: lei sembra il centro di questo quadro, e di questa icona. Ma la Madonna guardando bene è la più grande, ma ha il Bambino in braccio, e le mani della Madonna sono come scalini e il bambino che scende: la Madonna è lo strumento per far scendere Gesù. Una mano è la legge, l’altra mano si aggrappa alla Madonna per non cadere. Il centro è sempre Gesù che viene, e lei è la grande Madre che ha fatto possibile questo miracolo dell’abbassarsi di Dio per camminare come uno di noi, per essere uno di noi”.

Tratto da: ACI Stampa

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Mancanza di carità e di sincerità negli accusatori

Posté par atempodiblog le 13 mars 2016

La donna adultera nella visione di Marthe Robin

“Di fronte alle accuse degli scribi e dei farisei contro questa donna Gesù stava in silenzio.
Sembrava ignorarli e teneva lo sguardo fisso a terra. Non guardava neppure la donna, messa ben in vista per sua vergogna. Poi si è messo a scrivere per terra con il dito. Innervositi dal silenzio di Gesù e incuriositi nel vederlo tracciare segni, alcuni si sono fatti coraggio e si sono avvicinati a Lui. Che cosa stava scrivendo? Il primo dei farisei, arrivato vicino a lui, ha scoperto con stupore che Gesù conosceva i suoi peccati più segreti che erano scritti a grandi lettere per terra! Confuso e spaventato ha guardato Gesù che poteva con una sola parola distruggerlo davanti agli altri.

Ma al contrario, con grande bontà e umile maestà, il Salvatore ha cancellato con la mano il peccato dell’uomo. Finito! Sparito! L’uomo ha letto il perdono negli occhi di Gesù ed è ripartito in silenzio. Poi si è avvicinato un altro, che non poteva evidentemente conoscere i torti del primo. Gesù ha scritto allora il peccato del secondo che, dopo aver letto, se ne è andato anche lui sconvolto.

Tutti si sono avvicendati in questo modo presso Gesù. Così gli accusatori della donna confusi fino in fondo all’anima, ma rispettati nella loro intimità, hanno abbandonato la scena uno dopo l’altro. La maldicenza e le intenzioni perverse, sono state lasciate sul posto, insieme alle pietre destinate alla peccatrice”.

Marthe Robin
Fonte: Cristo, Pietre Vive

L'adultera

La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori.
Vari insegnamenti.
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

[...]

Dice Gesù: «Quello che mi feriva era la mancanza di carità e di sincerità negli accusatori. Non che mentissero nell’accusa. La donna era realmente colpevole. Ma erano insinceri facendosi scandalo di cosa da loro commessa le mille volte e che unicamente una maggior astuzia e una maggior fortuna avevano permesso rimanesse occulta. La donna, al suo primo peccato, era stata meno astuta e meno fortunata. Ma nessuno dei suoi accusatori ed accusatrici – perché anche le donne, se non alzavano la loro parola, la accusavano in fondo al cuore – erano scevri di colpa. Adultero è chi trascende all’atto e chi appetisce all’atto e lo desidera con tutte le sue forze. La lussuria è tanto in chi pecca che in chi desidera peccare.

Ricordati, Maria, la prima parola del tuo Maestro, quando ti ho chiamata dall’orlo del precipizio dove eri: “Il male non basta non farlo. Bisogna anche non desiderare di farlo”.

Chi accarezza pensieri di senso, e suscita con letture e spettacoli cercati appositamente e con abitudini malsane sensazioni di senso, è ugualmente impuro come chi commette la colpa materialmente. Oso dire: è maggiormente colpevole. Perché va col pensiero contro natura, oltre che contro morale. Non parlo poi di chi trascende a veri atti contro natura. L’unica attenuante di costui è in una malattia organica o psichica. Chi non ha tale scusante è di dieci gradi inferiore alla bestia più lurida. Per condannare con giustizia occorrerebbe essere immuni da colpa. Vi rimando a dettati passati, quando parlo delle condizioni essenziali per esser giudice.

A Me non erano ignoti i cuori di quei farisei e di quegli scribi, non quelli di coloro che si erano uniti ad essi nell’inveire contro la colpevole. Peccatori contro Dio e contro il prossimo, erano in loro colpe contro il culto, colpe contro i genitori, colpe contro il prossimo, colpe, soprattutto numerose, contro le mogli loro. Se per un miracolo avessi ordinato al loro sangue di scrivere sulla loro fronte il loro peccato, fra le molte accuse avrebbe imperato quella di “adulteri” di fatto o di desiderio. Io ho detto: “È quello che viene dal cuore che contamina l’uomo”. E, tolto il mio cuore, non vi era alcuno fra i giudici che avesse il cuore incontaminato. Senza sincerità e senza carità.

Neppure l’esser simili a lei nella fame concupiscente li induceva a carità. Io ero che avevo carità per l’avvilita. Io, l’Unico che ne avrei dovuto aver schifo. Ma ricordatevi però questo: che quanto più uno è buono e più è pietoso verso i colpevoli. Non indulge alla colpa per se stessa. Questo no. Ma compatisce i deboli che alla colpa non hanno saputo resistere.

L’uomo! Oh! più che canna fragile e vilucchio sottile è facile ad esser piegato dalla tentazione e portato ad avvinghiarsi là dove spera trovare un conforto. Perché molte volte la colpa avviene, specie nel sesso più debole, per questa ricerca di conforto. Perciò Io dico che chi manca di affetto per la sua donna, ed anche per la figlia sua propria, è per novanta parti su cento responsabile della colpa della sua donna o della sua creatura e ne risponderà per esse.

 Tanto l’affetto stolto, che è soltanto stupido schiavismo di un uomo ad una donna o di un genitore ad una figlia, quanto una trascuratezza d’affetti, o peggio una colpa di propria libidine che porta un marito ad altri amori e dei genitori ad altre cure che non siano i figli, sono fornite ad adulterio e prostituzione e, come tali, sono da Me condannati.
Siete esseri dotati di ragione e guidati da una legge divina e da una legge morale. Avvilirsi perciò ad una condotta da selvaggi o da bruti dovrebbe fare orrore alla vostra grande superbia. Ma la superbia, che in questo caso sarebbe anche utile, voi l’avete per ben altre cose.

 Ho guardato Pietro e Giovanni in diversa maniera, perché al primo, uomo, ho voluto dire: “Pietro, non mancare tu pure di carità e di sincerità”, e dirgli pure, come a futuro mio Pontefice: “Ricorda quest’ora e giudica come il tuo Maestro, in avvenire”; mentre al secondo, giovane dall’anima di bambino, ho voluto dire: “Tu puoi giudicare e non giudichi perché hai il mio stesso cuore. Grazie, amato, d’esser tanto mio da essere un secondo Me”.

Ho allontanato i due prima di chiamare la donna per non aumentare la sua mortificazione con la presenza di due testimoni. Imparate, o uomini senza pietà. Per quanto uno sia colpevole, va sempre trattato con rispetto e carità. Non gioire del suo annichilimento, non accanircisi contro neppure con sguardi curiosi. Pietà, pietà per chi cade!

Alla colpevole indico la via da seguirsi per redimersi. Tornare alla sua casa, umilmente chiedere perdono e ottenerlo con una vita retta. Non cedere più alla carne. Non abusare della bontà divina e della bontà umana per non scontare più duramente di ora la duplice o molteplice colpa.

Dio perdona, e perdona perché è la Bontà. Ma l’uomo, per quanto Io abbia detto: “Perdona al fratello tuo settanta volte sette”, non sa perdonare due volte. Non le do pace e benedizione perché non era in lei quella completa recisione dal suo peccato che è richiesta per esser perdonati. Nella sua carne, e purtroppo nel suo cuore, non era la nausea per il peccato. Maria di Magdala, sentito il sapore del mio Verbo, aveva avuto disgusto per il peccato ed era venuta a Me con la volontà totale di essere un’altra. In costei era ancora un ondeggiamento fra le voci della carne e dello spirito. Né ella, nel turbamento dell’ora, aveva ancora potuto mettere la scure contro il ceppo della carne e reciderla per andare mutilata del suo peso bramoso al Regno di Dio. Mutilata di ciò che era rovina, ma accresciuta di ciò che è salvezza.Vuoi sapere se si è poi salvata? Non a tutti fui Salvatore. Per tutti lo volli essere, ma non lo fui perché non tutti ebbero la volontà d’esser salvati. E questo è stato uno dei più penetranti strali della mia agonia del Getsemani.

Va’ in pace tu, Maria di Maria, e non voler più peccare neppure nelle inezie. Sotto il manto di Maria non stanno che cose pure. Ricordalo.

Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori

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Ricordati: anche tu sei ‘dispensatore’ di benedizioni!

Posté par atempodiblog le 10 mars 2016

Ricordati: anche tu sei ‘dispensatore’ di benedizioni!
Tratto da: Papaboys

benedizione

“Quando un Sacerdote benedice, è il Signore che benedice!” – Un sacerdote anziano disse un giorno: “Per me è una grande consolazione pensare che ho benedetto molto nella mia vita, non solo i miei cari, ma tutti gli uomini, specialmente i malati, i sofferenti, i morenti, gli atei, tutti i peccatori e carcerati, tutte le persone consacrate a Dio, le anime vittime e anche i defunti in purgatorio. Ho benedetto giorno e notte, alle vol­te anche da infermo a letto, stremato di forze, e in­debolito del tutto. Quando benedicevo, sentivo la forza della benedizione anche in me stesso, e ne ero veramente grato a Dio. Chi ha visto Papa Pio XII benedire i pellegrini, non lo potrà mai più dimentica­re: quelle braccia stese, quelle mani alzate verso il cielo come se avesse voluto far scendere tutte le gra­zie sulla terra: quelle benedizioni fatte in tutte le di­rezioni, erano attimi che commuovevano i cuori! Pa­pa Paolo VI benediceva con la stessa interiorità e commozione.

Fratelli, sorelle! La benedizione di un Papa, di un Vescovo o quella di ogni Sacerdote, è qualcosa di grande e di santo.

Le mani di tutti i Sacerdoti sono mani benedicenti, quelle di un semplice Sacerdote non sono meno di quelle del S. Padre. Esse sono sta­te consacrate dalle mani del Vescovo ed unte dallo Spirito Santo: ma esse danno anche la forza dello Spirito Santo e comunicano le grazie e l’aiuto di Dio alle anime. La benedizione libera uomini e cose dal potere di Satana. “Tutta la creazione geme ancora sotto la maledizione del peccato originale”. (Lettera ai Romani). Le mani dei Sacerdoti irradiano benedi­zione sugli uomini, sugli animali e su tutto il creato, in nome di Nostro Signore Gesù Cristo.

“Lo stato sacerdotale è l’amore del Cuore di Gesù”Questa è la frase meravigliosa che disse il S. Cu­rato d’Ars. Il Sacerdozio è nato dal Cuore amorosis­simo di Gesù, e continuerà sempre a nascere dal suo Cuore Amorosissimo. Gesù vive, agisce, prega, prov­vede, benedice ed ama nel Sacerdote. Il Sacerdote è un secondo Cristo.

Un’anima ebbe la fortuna di sentire queste parole stupende:

“Quando un Sacerdote benedice, sono IO che benedico. In questo momento scorrono su di te gra­zie in grande abbondanza dal mio Divin Cuore. IO ho dato un grande potere alla mia benedizione….

“Pensa che succede qualcosa di grande quando tu ricevi la benedizione di un Sacerdote. La benedi­zione è un’irradiazione della mia Santità divina… Con la mia benedizione tu ricevi amore per amare, forza per soffrire, aiuto per l’anima e il corpo. La mia benedizione contiene tutto ciò che serve ai biso­gni degli uomini. E questo deriva dall’amore infinito del mio Cuore. Se essa viene impartita e se viene ri­cevuta con grande devozione, potente è il suo effet­to! La benedizione è più grande, è infinitamente più grande di mille mondi… essa è maggiore di ogni tua aspettativa. Ogni volta che vieni benedetto, vieni di nuovo in contatto con Me, vieni santificato di nuovo, e vieni avvolto nella grazia del mio Cuore, nell’amo­re, della protezione… Cerca di essere un figlio della benedizione, e così anche tu potrai essere ovunque una benedizione per gli altri!”.

“A questo siete chiamati, affinchè abbiate in ere­dità la benedizione! ” (Pietro 3,9).

II Signore ha donato la sua benedizione come un ultimo atto del Suo Amore.

Cristo vuole essere sempre operante nei suoi apo­stoli benedicenti. Certo: vogliamo distinguere bene i Sacramenti dai Sacramentali. I Sacramentali non sono stati istituiti da Cristo e non comunicano la grazia santificante, ma predispongono a riceverla, in virtù della nostra fede, nei meriti infiniti di Gesù Cristo. La benedizione del Sacerdote attinge dalle ricchezze infinite del Cuore di Gesù, e perciò ha una forza sal­vifica e santificante, una potenza esorcizzante e protettiva. Il Sacerdote celebra la S. Messa ogni giorno, amministra i Sacramenti, quando è necessario, ma può benedire continuamente e ovunque. Così pure lo può un Sacerdote malato, perseguitato o incarcerato.

Un Sacerdote incarcerato in un campo di concen­tramento ha fatto questo racconto commovente. Egli ha lavorato tanto tempo a Dachau in una fabbrica delle SS. Un giorno fu pregato da un conta­bile di andare subito in un’abitazione, costruita in una soffitta, e di benedire la sua famiglia: “Io ero vestito come un povero detenuto di un campo di concentramento. Non mi era forse mai capitato di stendere le mie braccia benedicenti con una commozione tale come in quel momento. Malgrado fossi stato marchiato da vari anni come elemento indeside­rato, reietto, di rifiuto, ero tuttavia ancora un Sacer­dote. Mi avevano pregato di dar loro la benedizione, l’unica ed ultima cosa che potevo dare ancora”.

Una contadina molto credente racconta: “In casa mia si ha una grande fede. Quando un Sa­cerdote entra da noi, è come se entrasse il Signore: la sua visita ci rende felici. Non lasciamo mai che un Sacerdote esca dalla no­stra casa, senza chiedergli la benedizione. Nella no­stra famiglia di 12 figli la benedizione è qualcosa di tangibile”.

Un Sacerdote: “È vero: nelle mie mani è stato messo un preziosissimo tesoro immenso. Cristo stesso vuole operare con grande forza mediante la benedizione fatta da me uomo debole. Come un tempo, Egli an­dava benedicendo attraverso la Palestina, così vuole che il Sacerdote continui a benedire. Sì, noi Sacerdo­ti siamo dei milionari non in denaro, ma nella grazia che comunichiamo agli altri.

Noi possiamo e dobbia­mo essere delle trasmittenti di benedizioni. In tutto il mondo ci sono antenne che captano onde di benedi­zioni: malati, carcerati, emarginati, ecc… Inoltre con ogni benedizione che diamo, aumenta la nostra forza benedicente, e cresce il nostro zelo nel benedire. Tutto ciò riempie i Sacerdoti di ottimismo e di gioia! E questi sentimenti crescono con ogni benedizione che diamo con fede”. Anche nei nostri tempi difficili.

Caterina Emmerich parla molto seriamente su que­sto argomento: “È molto triste vedere come ai nostri giorni i Sacerdoti siano trascurati quando si tratta di benedire. Pare che essi non conoscano più il valore della benedizione sacerdotale. Molti non credono più si vergognano della benedizione, come se essa fosse una cerimonia antiquata e superstiziosa.

Molti infine si servono di questa forza e grazia che Gesù Cristo diede loro, senza pensarci e superficialmente. Così perdo spesso benedizioni, ma le ricevo di quando in quando da Dio. Però, dal momento che il Signore ha istituito il Sacerdozio e gli ha conferito la potenza di benedire, spesso mi pare di morire dal desiderio di riceverla! Tutti siam un solo corpo con la Chiesa, e se ne risente la mancanza”.

Un’anima amante di Dio scrive: “Ogni benedizio­ne sacerdotale che io posso ricevere è come una nuo­va forza vitale che mi viene donata. Noi non possia­mo misurare l’effetto di una benedizione sacerdotale. Con la benedizione di Cristo cresce l’amore Suo nei nostri cuori, specialmente l’amore per la purezza… Io me ne sono convinto già da giovane. La benedi­zione di un Sacerdote risplende di luce come i raggi cocenti del sole di mezzogiorno. La benedizione sacerdotale è una grande grazia”. (Maria T. Meyer – Bernhold – fi 29.3.1952).

La benedizione sacerdotale frequente è una neces­sità dei tempi in cui viviamo. La benedizione sacerdo­tale non è mai stata così preziosa come oggi. Un famoso predicatore ha definito il nostro tempo “un’era di demoniocrazia”: effettivamente quanti demoni stanno lavorando ai nostri giorni!

Pensiamo solo a quante disgrazie capitano oggi: essi hanno origine nella potenza di Satana. Il peccato gli dà forza; e così pure le bestemmie e le imprecazioni. Quindi, prima di tutto, è necessario allontanar­si dal Maligno, e, in secondo luogo; proteggersi con la benedizione! – Come le onde della radio incrocia­no l’atmosfera, così le benedizioni devono attraversa­re il mondo. Esse avranno un influsso benefico, ed allontaneranno l’azione malefica dei demoni. I Sacer­doti che benedicono molto, scacciano moltissimi spi­riti maligni.

Un Sacerdote dei nostri giorni scrive in questo modo convincente: “La benedizione è l’arma del mio cuore. Io bene­dico tutti coloro che mi evitano e scansano, tutti co­loro che mi calunniano e che mi odiano. Benedico tutti gli agitatori della mia Parrocchia.
– “Insultati, benediciamo” (1 Corinti 4,12). – Ogni giorno recito l’esorcismo, ed ogni sera bene­dico la mia Parrocchia. Il segno della Croce spazia lontano e raggiunge ogni lembo della terra. Le sue braccia danno amplesso al mondo intero in tutta la sua ampiezza”.

Ci sono Sacerdoti che benedicono ad ogni ora: è un continuo atto d’amore, dell’amore infinito di Cri­sto. È sempre una nuova vittoria sul Maligno. In questo modo i Sacerdoti benedicenti possono essere continuamente delle stazioni spirituali trasmittenti. Al mondo ci sono ovunque delle antenne, cioè dei cuori che hanno bisogno di benedizioni, che deside­rano ricevere delle benedizioni, e che sono fortificati dalla forza della benedizione.

La benedizione ha bisogno di anime ricettive. Il Signore ha detto ai suoi apostoli: “In qualunque casa entrerete, dite prima: Pace a questa casa. E se lì c’è un figlio di pace, la vostra pace poserà sopra di lui: altrimenti ritornerà a voi”. (Luca 10,5). Questo significa: Pace e bene alla casa e alle per­sone che l’abitano, a condizione che queste siano ri­cettive. Gli uomini devono chiedere la benedizione con fede. La ricettività di queste persone dipende so­prattutto dalla loro fede e dalla loro fiducia.

L’imposizione delle mani di un Sacerdote fa mira­coli. La parola di S. Marco: “Imporranno le mani ai malati e guariranno” (Marco 16,18) si è avverata mille volte, e sarà sempre così.

Un’anima vittima dei nostri giorni scrisse: “Mi è accaduto spesso di ricevere la benedizione sacerdota­le quando ero molto ammalata, e fui guarita. Alle volte avevo la febbre alta: improvvisamente essa di­minuiva. Mi sentivo più leggera, sentivo la mano be­nedicente del Sacerdote sulla mia testa, e la febbre era scomparsa” (Mamma M.T. Meyer – Bemhold).
Naturalmente non si esclude il medico, infatti nel­la S. Scrittura si legge: Onora il medico perchè è necessario” (Ecclesiastico 38, I).

II Vescovo Waitz scrive nel suo “Messaggio di Konnersreuth”: “Nella mia vita non ho mai osserva­to la forza della benedizione sacerdotale come in Te­resa Neumann, nei momenti di grandi sofferenze”. – Quanta forza potrebbero dare i Sacerdoti all’umanità sofferente se continuassero a benedire, ad una condizione, però: che, sia colui che dà la benedizione, co­me colui che la riceve abbiano una fede che sposta le montagne!

Un’anima molto provata dal dolore e malata già da molti anni disse: “Durante la mia malattia ricevo spesso la benedizione di un Sacerdote. Ogni volta sento (non posso esprimerlo in altro modo) come una forza che mi viene data per accettare la mia sof­ferenza, per abbandonarmi sempre più alla volontà del Signore, che domanda molto sacrificio. La consa­pevolezza di essere benedetta molte volte da lontano da un Sacerdote, mi dà improvvisamente forza e co­raggio per affrontare le grandi tentazioni, e le ore di profondo abbattimento. Quante volte la benedizione di un Sacerdote mi ha dato pace e tranquillità nelle lotte interiori e nelle grandi burrasche spirituali”.

Ogni segno di croce è come una consacrazione per uomini e cose. Il Sacerdote benedice sempre con la mano che forma il segno di croce. Questo ci ricorda che l’efficacia della benedizione proviene dalla morte in croce di Cristo, cioè dalla Redenzione. Essa si rin­nova sempre durante la S. Messa. Ogni segno di cro­ce irradia la Redenzione. E’ il segno del Suo Sangue, il segno della vittoria. “Consecratio mundi”, la con­sacrazione del mondo, la santificazione del mondo, stava molto a cuore a Sua Santità Papa Pio XII. Il dono della salvezza è sempre dato dalla Croce di Cristo.

Per mezzo del segno della croce, impartito da un Sacerdote, vengono benedetti non solo gli uomini, ma anche le cose, i luoghi e il lavoro. Come sono meravigliose le preghiere usate dalla Chiesa per le bendizioni alle mamme, ai bambini, ai malati, ma anche all’acqua che si benedice, alle case, alle stalle, alle officine, agli attrezzi di lavoro, ai prodotti del la­voro, ai mezzi di trasporto di ogni specie, ai trattori, alle automobili ed agli aeroplani. Noi dobbiamo be­nedire ogni mezzo che ci serve per il nostro lavoro giornaliero, dobbiamo, per così dire, consacrarlo al servizio di Dio. Ogni segno di croce ha efficacia sal­vifica, tanto più se proviene dalla mano consacrata del Sacerdote, in nome della Chiesa.

È una cosa stupenda che un Sacerdote, di giorno e di notte, alzi molto spesso le sue mani consacrate per benedire. Da questa benedizione scorre una for­za esorcizzante contro il Maligno, una forza salutare per i corpi e santificante per le anime! Le mani di un Sacerdote non dovrebbero mai stancarsi di benedire: esse possono sempre benedire in nome della Chiesa. È sempre lo stesso Signore che benedice in loro, be­nedice con le sue Mani trafitte, da cui scorre il San­gue del suo Amore.

L’autore di questo libretto benedice molte volte al giorno i lettori dei suoi scritti.

Anche la Madonna apprezzava la benedizione del Sacerdote. Nel libro: “La mistica città di Dio” di Maria D’Agreda si legge: “La Madonna chiedeva ogni gior­no la benedizione degli Apostoli. All’inizio essi si schermivano dal compiere questo atto verso Maria, che veneravano come la loro Regina e Madre del loro Maestro. Ma la Vergine piena di saggezza face­va loro capire che, come Sacerdoti e servitori del­l’Altissimo, erano in dovere di impartirLe la benedi­zione. Ella spiegava loro la grande dignità e i compiti che spettavano loro. Ora, in questa gara, si trattava di sapere chi fosse il più umile: e si sapeva in parten­za che nessuno poteva essere più umile di Maria. Co­si gli Apostoli si rendevano conto di doverlo fare ed erano ammaestrati dall’esempio della Vergine”.

Tutte le mani dei Cristiani sono mani atte a benedire. Il potere di benedire che hanno i Sacerdoti fa parte del loro ufficio, in nome e per incarico della Chiesa; ma anche i laici possono benedire in nome della loro fede nella Croce ed in nome di Gesù Cri­sto. Essi possono benedire come membri attivi dei Corpo mistico di Cristo (Battesimo), e come tempio dello Spirito Santo (Cresima). Ogni cristiano si segna con il segno di croce. Ogni volta che fanno un segno di croce sopra di sè, benedicono i loro propri pensie­ri, le loro parole e la loro volontà.

I cristiani possono benedire anche gli altri con un segno di croce. S. Francesco d’Assisi dava la sua be­nedizione, che divenne famosa, e fu scritta come un testamento autografo per i secoli futuri:

“Il Signore ti benedica e ti custodisca: ti mostri la sua faccia e abbia misericordia di te;
rivolga a te il suo volto e ti dia pace. Il Signore ti dia la sua santa benedizione”.

I genitori sono chiamati per primi a benedire. Nella S. Scrittura si legge: “La benedizione del pa­dre consolida la case dei figli”. (Ecclesiastico 3,11).
Ciò che è benedetto dai genitori è benedetto da Dio. Inoltre la forza della benedizione dei genitori è parte integrante del mistero della loro missione crea­trice. Essi collaborano con Dio alla creazione, ed hanno non solo la grande responsabilità della crescita fisica dei loro figli, ma anche di quella morale e spi­rituale. La benedizione dei genitori ha origine lonta­ne nel mistero della missione sacerdotale. Infatti S. Paolo, nelle “Lettere agli Efesini” (5,31 – 32) dice: “L’uomo abbandonerà il padre e la madre sua, e sa­rà unito a sua moglie”… “Questo sacramento è grande”. Uomo e donna vengono consacrati come padre e madre nel sacramento del matrimonio.

S. Agostino dice che essi ricevono una forza sa­cerdotale che non verrà loro più tolta. Il potere e la forza di benedire fanno anche parte della dignità del posto che i genitori occupano come rappresentanti di Dio. Dio stesso sta dietro a loro. Egli conferma ed esaudisce i loro desideri, quando benedicono. La be­nedizione dei genitori è come il “sacramentale del focolare domestico”. Dal momento che la benedizio­ne dei genitori è tanto importante, padre e madre devono benedire fin dal primo giorno, già quando la madre sente la nuova vita sotto il suo cuore. Pieni di fede e fiducia, essi devono benedire con l’acqua san­ta i loro figli, facendo un segno di croce e dicendo: “Per l’intercessione di Maria, ti benedico, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

Nelle nostre famiglie cattoliche dovrebbe esserci questa regola: Genitori, benedite ogni giorno!

Una mamma disse: “Se il mio bambino si abitua già da piccolo a ricevere la benedizione dei genitori, ar­rivato a 14 anni gli sembrerà una cosa naturale farsi benedire dal papà e dalla mamma prima di andare a letto”.
Perciò cari genitori, ogni giorno, sia alla mattina che alla sera, benedite i vostri figli. Benediteli in modo speciale il giorno della loro prima Comunione. Quando un vostro figlio parte, beneditelo e non di­menticatevi mai di benedire i vostri figli anche quan­do saranno lontani.
“La benedizione dei genitori ol­trepassa i monti e le valli, raggiunge i vostri figli ovunque si trovino”. Benediteli con l’acqua santa e con un segno di croce anche nel giorno del loro ma­trimonio, e specialmente nell’ora della loro morte. Questa ultima benedizione contiene tutte le altre be­nedizioni impartite durante tutta la vita, ed accompagna i vostri figli nel loro cammino qui sulla terra. Per questo motivo S. Cipriano disse: “Non abbandonate la vostra corona! Non mettete da parte la stola, voi che siete i Re ed i Sacerdoti della famiglia”.

Anche i nonni ed i bisnonni hanno la stessa facol­tà di benedire i loro nipoti, così pure gli educatori e le educatrici, e anche i fidanzati ed i coniugi. I coniugi, per esempio, dovrebbero segnarsi a vicenda sulla fronte. Con questo atto si fortificano, sciolgono delle tensioni burrascose, padroneggiano le loro passioni focose, santificano il corpo e l’anima.

Un’eletta mamma anziana, fa questa commovente testimonianza: “Reverendo, io ho sempre cercato e chiesto di cuore la benedizione del Sacerdote, ma anch’io benedicevo giorno e notte, quando stavo lavo­rando o riposando, se avevo delle preoccupazioni o delle gioie, quando ridevo o piangevo. E lo facevo sempre in nome di Gesù! Alle volte la mia mano de­stra si muoveva, nelle situazioni difficili della vita, senza che io me ne accorgessi, e come di nascosto, unita alla “Sua mano”.
Il segno di croce è sempre stata la mia arma e il mio aiuto. Anni fa rimasi vedo­va improvvisamente. Persi un ottimo marito, con cui avevo vissuto anni veramente felici. Rimasi con un figlio minore di 4 anni, una proprietà di 150 ettari di terreno, 20 operai e le mie mani deboli. Per fortuna, grazie a Dio, avevo una grande fiducia in Dio. Allo­ra, disperata, gridai: “Signore, adesso accompagna­mi, dammi la Tua Mano, e camminiamo insieme. Nessuno può nè deve sapere come noi andiamo in­sieme, e perché ci teniamo per mano. Io non ho altro che la Tua Mano e la Tua volontà; io non cerco di far altro che il mio dovere verso tutti gli altri”.
Così, pregando e benedicendo, amministrai i miei beni. In casa, in cortile, nei campi, nei prati e nei boschi, io continuavo a fare dei segni di croce. Benedicevo il tempo secco, quello umido, la grandine (al­le volte era il 900!) e le deformità. Benedicevo gli operai e le loro abitazioni, benedicevo le stalle nella buona e nell’avversa fortuna, benedicevo i miei cari, i ragazzi, e lo facevo giorno e notte. Più tardi, quan­do andavano a scuola ed arrivavano a casa. 
Quando erano piccoli, di notte facevo loro un segno di croce sulla fronte, anche quando dovettero andare al fronte!

Quanto ho benedetto da quel giorno! Ogni sera andavo nella loro camera e li benedicevo da lontano. E se davo loro la mano, come saluto o come segno di commiato, allora facevo un piccolo segno di croce sulla loro fronte e una nella mano vuota. La sera an­davo davanti ad una cappella della Madonna, pregavo e benedicevo nella direzione dove sapevo che era­no. (Essi erano in un paese nemico).
Bombe e guerra, necessità e saccheggi passarono come un miracolo vicino alla vecchia proprietà pater­na. Io riuscivo ad andare avanti a sopportare tutto, a superare tutto, e a saldare i miei conti. Riuscii a co­struire delle belle abitazioni per gli operai: cercavo pure di far piacere a Dio, facevo varie offerte alla Chiesa. Riuscii a dare un’istruzione ad ogni figlio, e a dar loro lavoro per decenni alle brave famiglie de­gli operai, che erano numerose. Io penso che tutto sia dovuto solo alle benedizioni di Dio che imparti­vo. Dovevo tutto a quella mano nascosta che mi gui­dava notte e giorno, e che benediceva con me. Malgrado tutte le difficoltà che dovetti affrontare in quelli anni, fu una bella vita benedetta, che condivisi con Gesù”.

E alla fine questa signora ha scritto questa frase meravigliosa: “Siccome noi cattolici dobbiamo pensare ed ama­re in senso universale, così da lontano io facevo pure dei segni di croce sul Papa, i Vescovi e Sacerdoti, sui nostri teologi e anche sulle regioni di diaspora. Que­sto è il segreto che conservai nel mio cuore, e che, alla fine della vita, volli confidare ad un Sacerdote”.
Nel frattempo la mano amorosa di Dio ha dato a quest’anima eletta una grave malattia. Ma lei conti­nuava a benedire. Sì, la sua benedizione sarà resa dieci volte maggiore, sarà moltiplicata per cento!

Il segno di croce significa ritornare a Cristo. Con la sua morte in croce per amore dei peccato­ri Cristo ha levato dal mondo la maledizione del peccatore. L’uomo però continua sempre a peccare e la Chiesa deve sempre aiutare ad effettuare la Reden­zione in nome del Signore. E ciò avviene in modo particolare per mezzo della S. Messa e dei Sacramen­ti, ma anche per mezzo dei Sacramentali: benedizioni dei Sacerdoti, acqua santa, ceri benedetti, olio bene­detto, ecc…

Ogni segno di croce fatto con fede è già un segno di benedizione. La croce irradia una corrente di be­nedizione per tutto il mondo, per ogni anima che crede in Dio e nella forza della croce. Ogni uomo unito a Dio può compiere la Redenzione ogni volta che fa un segno di croce.
Il segno di croce è il segno del Sangue di Cristo. La croce è il segno che irradia sempre amore, ri­porta Cristo: si, il segno di croce significa andare a Cristo, e per mezzo suo al Padre. Chi ha la fede di un bambino, lo potrà capire.

Già dall’inizio i cristiani benedicevano se stessi e gli altri con il segno della croce. Anche Tertulliano ne parla. Così pure noi dovremmo fare il segno di croce molto più spesso su di noi e sugli altri, e con molto rispetto, con fede profonda. Esso è il segno dell’amore più sublime, è il segno della vittoria continua: “In questo segno vincerai”.

La benedizione appartiene assolutamente ai cristiani. Il Signore ha detto: “In verità, in verità vi dico: Qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà” (Giov. 16,23). Dunque: là dove c’è il nome del Signore c’è la benedizione; là dove c’è il segno della sua S. Croce, là si trova aiuto.

“Tu ti lamenti della cattiveria del mondo, o della mancanza di riguardo e dell’incomprensione della gente che ti circonda. La tua pazienza ed i tuoi nervi vengono messi a dura prova e spesso ti scappano, malgrado le migliori intenzioni. Trova una buona volta il mezzo e la ricetta della benedizione giornaliera” (Padre Kieffer O. Cap.)

Prendi ogni mattino un po’ d’acqua santa, fà un segno di croce e dì: “In nome di Gesù benedico tut­ta la mia famiglia, benedico tutti coloro che incontre­rò. Benedico tutti coloro che si raccomandano alle mie preghiere, benedico la nostra casa e tutti coloro che vi entrano ed escono. Ci sono moltissime persone, uomini e donne che lo fanno ogni giorno. Anche se questo atto non si sente sempre, esso ha sempre un effetto positivo. La cosa principale è questa: fare il segno di croce adagio e dire la formula di benedizione con il cuore! Oh, quante, quante persone ho benedetto!”.

Così disse la moglie di un tenente colonello, Maria Teresa Meyer­Bernhold: Io ero la prima che si alzava in casa mia: benedicevo con l’acqua santa mio marito, che stava ancora dormendo, pregavo spesso china su di lui. Poi entravo nella camera dei bambini, svegliavo i piccoli, ed essi recitavano le preghiere del mattino a mani giunte e ad alta voce. Poi facevo loro un segno di croce sulla fronte, li benedivo e dicevo qualcosa sugli Angeli Custodi.
Quando tutti erano usciti di casa, padre e figli, al­lora ricominciavo a benedire. Andavo per lo più in ogni camera, implorando protezione e benedizioni. Dicevo anche: “Mio Dio, proteggi tutti coloro che mi hai affidato: tienili sotto la tua protezione pater­na, con tutto ciò che posseggo e che devo amministrare, poiché tutto appartiene a Te. Tu ci hai dato tante cose: conservale, e fà che esse ci servano, ma che non siano mai occasione di peccato”.

Quando in casa mia ci sono ospiti, io prego pa­recchie volte per loro, prima che entrino in casa mia e mando loro la benedizione. Spesso mi fu detto che da me c’era un qualcosa di speciale, si sentiva una gran pace. Spesso succedeva che delle signore dice­vano: “Maria, ho potuto rimettermi spiritualmente in casa sua, la ringrazio di cuore. Com’è bello poter credere come lei. Noi non ce la facciamo, siamo po­veri. Lei è più felice di noi; noi lo sentiamo quando siamo da Lei. Preghi per noi! Ci benedica!”.

Queste parole le sentii dire da credenti e da non credenti. Tutti lo sentivano e l’esprimevano. Benedi­zione e preghiera: questo è il grande oceano con l’ac­qua salutare, per cui le anime trovano la pace. Che impressione faceva alla mia anima vedere queste po­vere persone davanti a me, che dimenticavano per un istante chi erano, capivano che la ricchezza non diceva loro più nulla. E mi guardavano con un’e­spressione implorante aiuto.
Quanto amavo queste anime che sapevano poco o nulla della vicinanza di Dio! Io avrei voluto abbrac­ciarle nel mio cuore, e promisi di pregare per loro. Ma feci di più: feci dei sacrifici per loro, le benedissi con il cuore che apparteneva tutto a Dio.

Sulla strada, quando uscivo per fare degli acquisti o altro, io benedicevo molte persone che passavano vicino a me. Benedicevo specialmente le donne e gli operai. Se ero fuori città, allora il mio amore anda­va alla natura, a tutto ciò che stava per maturare, ai fiori. Oh, quanto ne ho benedetto! – Anche le Chiese benedicevo volentieri. Quante volte dissi: “Padre, be­nedici la Tua Casa! Proteggila! Fa’ che i cuori raffred­dati delle anime che abitano le metropoli siano irra­diati dalla Tua Luce! Chiama gli uomini a Te!”.

Di notte mi alzo volentieri e benedico dalla fine­stra. Benedico le preoccupazioni degli uomini, i loro dolori. Benedico verso Roma, da cui viene tanta be­nedizione. Io benedico Lei, con i suoi parrocchiani, i seminari. Benedico le anime che mi sono state racco­mandate, le carceri, i morenti, tutti coloro che sono in pericolo. Guardo il firmamento e benedico le stel­le della volta celeste. Così, nel silenzio della notte, io benedico spesso e a lungo. Non è molto quello che le ho detto, ma io ho sentito in me e negli altri che le benedizioni hanno una gran forza viva e, che è sem­pre valido un detto: “Tutto dipende dalla benedi­zione…”. Voglia Dio che la mano di un Sacerdote mi benedica nell’ora della mia morte, poichè io ho amato tanto le benedizioni e nella mia vita ho conti­nuato a benedire”.

Il Signore ha esaudito questo suo desiderio: il 25 marzo 1952 lo stesso S. Padre le mandò una benedi­zione personale. Lo stesso giorno ricevette la visita del Vescovo ausiliare di R.; due Sacerdoti novelli le diedero varie volte la benedizione, e anche il 29 mar­zo, giorno della sua morte, un Sacerdote era al suo capezzale.

La forza della benedizione era tangibile nella baronessa Ancilla von Gebsattel, anima eletta, che morì in Germania, ad Altótting, in odore di santità il 3 novembre 1958, entrò all’età di 60 anni come Suo­ra nella Congregazione di S. Ludovico Maria Gri­gnion. Essa guidò le Suore del suo convento durante gli ultimi cinque anni della sua vita. Una sua conso­rella scrisse commossa: “È ancora come ce fosse og­gi, e non lo dimenticherò mai, quando fui benedetta per la prima volta da Madre Ancilla. Questa benedi­zione penetrò a poco a poco in me. Le poche parole sull’abbandono e l’accettazione della volontà di Dio, che essa mi rivolse, mi diedero molto coraggio e for­za, e mi accompagnarono durante la mia malattia. Fu all’inizio della malattia, ed io non pensavo di dover trascorrere due anni in un sanatorio”. Un’altra Suora scrive: “La sua mano benedicente fu una caratteristica della sua vita. Benediceva con ri­spetto, come sanno fare solo le anime sante. Quando non poteva più parlare e non aveva quasi la forza di ricevere visite, noi potevamo sempre andare giornal­mente da lei per ricevere la sua benedizione”. Quando io le parlai dell’efficacia della sua benedizio­ne, cercò di diminuirne l’importanza, dicendo: “Non ero io: era la Madonna”.

Il nostro tempo ha bisogno di molte, molte benedizioni! Benedizioni di Sacerdoti e di laici. Noi viviamo in un tempo pieno di dolori, oppresso, congestionato e pieno di pericoli? Anche il S. Padre ne ha fatto spesso allusione. Sì oggi gli uomini hanno bisogno di es­sere benedetti spesso, in nome e con il segno di Ge­sù Cristo.
Ci sono diversi Sacerdoti e anche laici che implorano ogni giorno la benedizione di Dio su tuoi gli uomini, sugli affamati ed oppressi, sui persecutori ed i perseguitati, sui deboli ed i peccatori, su tutti i Sacerdoti e religiosi, sulla diaspora, sui missionari e le loro missioni, sulla Chiesa di Dio e su tutti i popo­li della terra. In ultimo poi, essi benedicono tutte le anime del Purgatorio.
Ogni mattina ed ogni sera, essi prendono l’acqua santa e gettano l’acqua verso le quattro parti del mondo, e benedicono con il pollice o con una crocetta, dicendo: “Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, benedite tutti gli affamati e gli oppressi, ecc…, per mezzo di Maria, la Mediatrice di tutte le grazie!”. Con il Battesimo e la Cresima Cri­sto ci ha uniti intimamente a sé ed alla Sua missione. Perciò ognuno può benedire, perciò ognuno dovreb­be benedire continuamente!

“L’Unione Mariana di Benedizione”, che fu ap­provato dalle autorità di Paderborn, riunisce Sacer­doti e laici di tutti i distretti della Germania e di altri stati che sotto l’intercessione di Maria, hanno deciso di benedirsi a vicenda da lontano, specialmente ogni sera alle 21. Queste anime benedicono anche tutti i Sacerdoti ed i religiosi di tutto il mondo. Questo è l’apostolato meraviglioso delle benedizioni, da cui scorrono molte grazie e molta forza. Anche tu ne puoi far parte:

In Germania: Segretariato MSK e V. Sede Centrale Untere Bergstrase, 7

D – 5419 LEUTEROD 1 Westerwald

In Austria: Elisabeth Wimmer – Segretario MSK C. Post. 210 – A – 5020 SALZBURG

In Italia: Segretariato U. M. B. C. Post. 1 – I-39012 – MERANO (BZ)

Ci sono quasi 400.000 Sacerdoti su tutto il globo terrestre e ci sono più di 600.000.000 di cattolici. Che forza benedicente c’è in tutte queste anime! Esse po­trebbero diventare un’armata vincente, ma ogni gior­no questa grazia benedicente dovrebbe essere adope­rata da un cuore pieno di amore e di fede. Ti prego: di­venta anche tu un dispensatore di benedizioni!

Signore, dammi delle mani che sappiano benedire, senza macchia e pure, che possano impartire la Tua Benedizione su tutto il mondo!

Formula di benedizione che può essere usata anche dai laici
La direzione della “Unione Mariana di Benedizio­ne” consiglia di prendere una piccola croce, per esem­pio quella del Rosario, e di fare un segno di croce ver­so le quattro parti dei mondo, dicendo: “Per intercessione della Beatissima Vergine Maria e Madre di Dio vi benedica Dio Onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen”.

Altra formula che la Chiesa usa quando benedice
La benedizione del Padre e l’amore del Figlio e la forza dello Spirito Santo, la protezione materna della Regina del cielo, la paternità di S. Giuseppe, l’assistenza di tutti gli Angeli, l’intercessione di tutti i Santi, il desiderio ardente di vedere Dio, che provano le anime dei defunti in Purgatorio, sia con te e con i tuoi, e ti accompagni ovunque ed in ogni tempo! Amen.

Una formula di esorcismo e benedizione: “Ecco la croce del Signore: fuggite schiere nemi­che, ha vinto il leone della tribù di Giuda, la stirpe di Davide. Alleluja!”.

Oppure: “Per mezzo delle mani di 400.000 Sacerdoti del­l’orbe cattolico giunga la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo su di voi e su tutti gli uomini della terra”.

Pensiero del mattino
In nome e con la benedizione del Padre e del Fi­glio e dello Spirito Santo comincio la mia giornata di lavoro.
In nome di Gesù benedico ogni persona con cui parlerò oggi, ogni persona che incontrerò.
In nome di Gesù benedico anche tutte le persone che pensano a me. A loro vada la benedizione del Signore.

Alla sera
Gesù, benedici con la Tua potenza divina tutti co­loro a cui ho pensato. Gesù, degnati pure di benedi­re tutti coloro che hanno pensato a me. Sia gloria ed adorazione a Dio Padre, al Figlio ed allo Spirito San­to nei secoli dei secoli. Amen.

Dio ti benedica!
Quando esci di casa, porta con te una mano be­nedicente!
Dì, nel silenzio della tua anima, a coloro che so­no con te e che incontri: Dio ti benedica!
Essi saranno benedetti e porteranno la loro croce con più facilità. (Padre Roche S J)

Giorno e notte benedico tutti i cari lettori di questo libretto e gli eletti propagatori che lo fanno conoscere in questo tempo calamitoso:

l’autore riconoscente don Alfonso maria Weill 8303 Oberroning (Germania)

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Storia della conversione di Rudolf Höss

Posté par atempodiblog le 8 mars 2016

Rudolf Hoess auschwitz

L’amore e il perdono di Dio può arrivare fino a un livello scandaloso, fino all’assoluzione di un gerarca nazista, comandante del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La storia, riportata da Aleteia, è stata raccontata durante un incontro in occasione dell’Anno della misericordia negli Stati Uniti da suor Gaudia e suor Emmanuela, della congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia.

L’ANIMALE. Nel lager di Auschwitz in Polonia morirono circa tre milioni di persone, un sesto degli ebrei uccisi durante l’Olocausto, insieme a diversi cristiani e santi come san Massimiliano Kolbe e santa Benedetta dalla Croce (Edith Stein). Rudolf Höss, soprannominato “animale” dai sopravvissuti allo sterminio, nei tre anni di mandato come comandante diresse l’esecuzione di oltre 2 milioni e mezzo di detenuti e assistette alla morte per fame o malattia di un altro mezzo milione. Finito il suo mandato, supervisionò anche l’esecuzione di 400 mila ebrei ungheresi.

ATTO DI UMANITÀ. Höss compì un unico atto di umanità. Un giorno portarono ad Auschwitz «un’intera comunità di gesuiti» tranne il superiore e questo, disperato, volle raggiungere i suoi confratelli intrufolandosi nel campo di concentramento. Le guardie lo scoprirono e lo portarono da Höss, certi che il comandante avrebbe ordinato la sua esecuzione. Invece il sacerdote fu liberato, lasciando le guardie sconcertate.

«L’AMORE CHE NON MERITIAMO». Quando la guerra finì Höss fu arrestato e condannato a morte per crimini contro l’umanità. Ma l’ex comandante non era terrorizzato tanto dalla morte quanto dalla detenzione, convinto che le guardie polacche si sarebbero vendicate «torturandolo per tutto il tempo della prigionia e provocandogli una pena inimmaginabile». La sua sorpresa fu quindi enorme quando vide che «uomini le cui mogli, figlie e figli, uccisi ad Aushwitz, lo trattavano bene. Non riusciva a capacitarsene». Secondo le suore fu quello il momento della conversione: quello della misericordia, che è «l’amore che non meritiamo». Sì, «non meritava il loro perdono, bontà, gentilezza. Eppure li ricevette tutti».

SOLO UN PRETE. Höss, cresciuto in quella fede cattolica che poi abbandonò in gioventù, chiese di potersi confessare. Le guardie provarono a cercare un sacerdote disponibile, ma «le ferite ancora molto vive» non resero facile trovare chi «volesse ascoltare la sua confessione». E infatti «non trovarono nessuno». L’ex comandante si ricordò improvvisamente di quel gesuita, padre Wladyslaw Lohn, che aveva risparmiato anni prima. Supplicò le guardie di cercarlo. Il gesuita, rintracciato proprio nel santuario della Divina misericordia di Cracovia, dove era diventato cappellano delle suore della Beata Vergine Maria della Misericordia, accettò di confessare Höss.

LA CONFESSIONE. La confessione «durò e durò e durò, finché non gli diede l’assoluzione: “Ti sono perdonati i tuoi peccati. Rudolf Hoss, tu “l’animale”, i tuoi peccati ti sono perdonati. Vai in pace». Il giorno successivo, prima dell’esecuzione, il gesuita tornò per dare la Comunione al condannato. La guardia che era presente confessò poi che quello fu uno dei momenti più belli della sua vita: «Vedere quell’animale in ginocchio, con le lacrime agli occhi, come un bambino che sta per ricevere la Prima Comunione, Gesù, con il cuore».

di Benedetta Frigerio – Tempi

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Come la luna, come il sole, come un esercito

Posté par atempodiblog le 8 mars 2016

Come la luna, come il sole, come un esercito
di Papa Pio XII
Tratto da: Pio XII. Sito Ufficiale della Causa di Canonizzazione

Madonna

[...]

1° - Anzitutto, diletti figli e figlie, guardate Maria, «bella come la luna, pulchra ut luna». È un Modo questo per esprimere la eccelsa bellezza di Lei. Come deve essere bella la Vergine! Quante volte siamo stati colpiti dalla bellezza di un volto angelico, dall’incanto di un sorriso di bambino, dal fascino di uno sguardo puro! E certamente nel volto della propria Madre Iddio ha raccolto tutti gli splendori della sua arte divina. Lo sguardo di Maria! il sorriso di Maria! la dolcezza di Maria! la maestà di Maria, Regina del cielo e della terra! Come splende la luna nel cielo oscuro, così la bellezza di Maria si distingue da tutte le bellezze, che paiono ombre accanto a Lei. Maria è la più bella di tutte le creature. Voi sapete, diletti figli e figlie, quanto facilmente una bellezza umana, che è come l’ombra d’un fiore, rapisce ed esalta un cuore gentile: che cosa dunque esso non farebbe dinanzi alla bellezza di Maria, se potesse contemplarla svelata, faccia a faccia, Così l’Alighieri vide nel Paradiso (cant. 31, v. 130-135), in mezzo a «più di mille Angeli festanti», «ridere una bellezza, che letizia – era negli occhi a tutti gli altri santi»: Maria!

Intanto su quel volto non si rivela soltanto la bellezza naturale. Nell’anima di Lei Iddio ha riversato la pienezza delle sue ricchezze con un miracolo della sua onnipotenza, e allora Egli ha fatto passare nello sguardo di Maria qualche cosa della sua dignità sovrumana e divina. Un raggio della bellezza di Dio splende negli occhi della sua Madre. Non pensate voi che il volto di Gesù, quel volto che gli angeli adorano, dovesse riprodurre in qualche modo i lineamenti del volto di Maria? Così il volto di ogni figlio rispecchia gli occhi della madre. Pulchra luna. Felice chi potesse vederti, Madre del Signore, chi potesse bearsi dinanzi a te; potessimo, o Maria, rimanere con te, nella tua casa, per servirti sempre!

2° - Ma la Chiesa non paragona Maria soltanto alla luna; servendosi ancora della Sacra Scrittura (Cant. 6, 10), passa ad un’immagine più forte ed esclama: Tu sei, o Maria, « electa ut sol », eletta come il sole.

La luce del sole ha una differenza grande da quella della luna : è luce che scalda e che vivifica. Splende la luna sui grandi ghiacciai del polo, ma il ghiaccio rimane compatto e infecondo, così come rimangono le tenebre e perdura il gelo nelle notti lunari dell’inverno. La luce della luna non porta il calore, non porta la vita. Fonte di luce, di calore e di vita è il sole. Ora Maria, che ha la bellezza della luna, splende anche come un sole e irraggia un calore vivificante. Parlando di Lei, parlando a Lei, non dimentichiamo che è vera Madre nostra. perché attraverso di Lei abbiamo ricevuto la vita divina. Ella ci ha dato Gesù e con Gesù la sorgente stessa della grazia. Maria è mediatrice e distributrice di grazie.

Electa ut sol. Sotto la luce e il calore del sole fioriscono sulla terra e danno frutto le piante; sotto l’influsso dell’aiuto di questo sole che è Maria fruttificano i buoni pensieri nelle anime. Forse, già in questo momento voi siete ripieni dell’incanto che promana dalla Vergine Immacolata, Madre della divina grazia, Mediatrice di grazie, perchè Regina del mondo. Oh! potessimo avere la voce di S. Bernardo, che non si stancava di lodare, di cantare, di ammirare, di esultare dinanzi al trono della Vergine! Oh! potessimo avere la lingua degli angeli per poter dire la bellezza, la grandezza della loro Regina!

Riandate, diletti figli e figlie, la storia della vostra vita: non vedete un tessuto di grazie di Dio? Voi potete pensare allora: in quelle grazie è entrata Maria. I fiori sono spuntati, i frutti sono maturati nella mia vita, grazie al calore di questa Donna eletta come il sole.

Avete voi pregato questa mattina? La grazia che vi ha invitato a un atto di così squisita pietà è stata forse una grazia speciale di Maria, è venuta attraverso Maria.

State ora ascoltando questo Nostro Messaggio di onore alla Vergine: qualche parola di esso vi penetra forse più profondamente nel cuore, destando sentimenti buoni e aneliti di fervore? È una grazia che giunge alle vostre anime attraverso la intercessione di Maria, con la luce di quel sole del cielo che è Maria.

Sperate voi un giorno di giungere in Paradiso mediante la grazia della perseveranza fino all’ultimo istante della vita? Avete fiducia di morire in grazia di Dio? Anche questa grazia verrà a voi devoti di Maria attraverso un sorriso di Lei, con un raggio di quel sole.

3° - Ma un’altra immagine prende la Chiesa dalla S. Scrittura e l’applica alla Vergine. Maria è bella in sè stessa come la luna, è fulgida intorno a sè come il sole; ma contro il «nemico» è forte, è terribile, come un’esercito schierato in battaglia. «Acies ordinata».

In questo giorno di gioia e di esultanza, Dio sa come vorremmo poter dimenticare l’asprezza dei tempi che attraversiamo!  » Ma i pericoli, che gravano sul genere umano, sono tali che Noi non dobbiamo cessare mai — si può dire — di gettare il nostro grido di risveglio. Vi è il « nemico », che preme alle porte della Chiesa, che minaccia le anime. Ed ecco un altro aspetto — presentissimo — di Maria: la sua forza nel combattimento.

Già, dopo il misero caso di Adamo, il primo annunzio su Maria, secondo la interpretazione di non pochi Santi Padri e Dottori, ci parla di inimicizie fra Lei e il serpente nemico di Dio e dell’uomo. Come è per Lei essenziale di esser fedele a Dio, così di esser vincitrice del demonio. Senza nessuna macchia Maria ha calpestato la testa del serpente tentatore e corruttore. Quando si avvicina Maria, il demonio fugge; così come scompaiono le tenebre, quando spunta il sole. Dove è Maria, non è Satana; dove è il sole, non è il potere delle tenebre.

Diletti figli e figlie dell’Azione Cattolica Italiana! Oh se questi tre fulgori di Maria diventassero vostre luci! Se le tre immagini della S. Scrittura si applicassero, in realtà, a ciascuno di voi e a tutta l’Associazione!

Vorremmo anzitutto che voi, come figli e figlie di Maria, cercaste di riprodurre nell’anima vostra la sua bellezza sovrumana. Abbiate dunque, a immagine di Lei, l’unione perfetta con Gesù. Sia Gesù in voi, siate voi in Lui, fino alla fusione della vostra vita con la vita di Lui. Siano nella vostra mente gli splendori della fede e, come Lei, vedete, giudicate, ragionate secondo Dio. Il vostro cuore, quando è possibile, aspiri all’integrità del cuore di Lei, che nulla ha diviso con altri ed ha conservato per Iddio tutto il suo calore, i suoi palpiti, la sua vita. Con le visuali dello spirito, con gli ardori del cuore, coltivate la dedizione assoluta a Dio. Figli e figlie di Maria, portate nei lineamenti dell’anima vostra le sembianze della Madre del cielo. Fate passare attraverso un mondo avvolto nelle tenebre e coperto di fango fasci di luce e il profumo di una purezza incontaminata.

In secondo luogo vorremmo che foste come il sole, il quale riscalda e vivifica. Il calore del vostro amore riscaldi le persone e le cose che vi circondano. Fate distinguere in ogni luogo la vostra presenza col fervore della vostra carità. Il demonio ha invaso la terra con l’odio : fate rivivere, prepotente, l’amore. Tanti sono ancora cattivi, perchè non sono stati finora abbastanza amati. Vivificate tutto quanto cadrà sotto l’influsso dei vostri raggi. Siate, cioè, come Maria e con Maria, strumenti di vita nelle anime, che oggi muoiono di freddo e di fame, ma potrebbero tornare alla casa del Padre, se fossero mosse dalle vostre parole, trascinate dal vostro esempio.

Finalmente applicate anche a voi la terza immagine di Maria : siate forti contro il « nemico ». Qui non si tratta più soltanto del vantaggio spirituale di ciascuno di voi, ma della vostra collaborazione per il bene delle anime. Tutta l’Azione Cattolica, che nei singoli membri deve essere bella come la luna e vivificante come il sole, sappia essere, di fronte al « nemico », forte come un esercito schierato in battaglia. Ed ecco che la nostra familiare riunione prende quasi l’aspetto di una « chiamata a rapporto » del principale fra i reparti laici del grande esercito cattolico d’Italia.

Nella Nostra recente Enciclica « Fulgens corona » abbiamo ancora una volta denunciato l’attuarsi di un piano spaventoso per « svellere radicalmente dagli animi la fede di Cristo », per l’invasione del mondo da parte del nemico degli uomini e di Dio. E sono uomini — miseri uomini — coloro che servono da strumenti per quest’opera distruggitrice. Vi è in atto una lotta che ingrandisce quasi ogni giorno di proporzione e di violenza, ed è quindi necessario che tutti i cristiani, ma specialmente tutti i militanti cattolici, « stiano in piedi e combattano sino alla morte, se è necessario, per la Chiesa madre loro, con le armi che sono consentite » (cfr. S. Bern. Ep. 221, n. 3 – Migne PL, V. 182, col. 387). Non si tratta qui evidentemente di scontro fra i popoli con distruzione di case e strage di uomini. Noi abbiamo più e più volte esecrato la guerra, e siccome riappaiono qua e là tristi segni di pericolo per la pace, torniamo a scongiurare Iddio, affinchè impedisca, con la Sua onnipotenza, che nuovi lutti e nuove lacrime vengano provocati sulla terra dall’incoscienza e dalla malvagità di alcuni. Noi parliamo invece della lotta che il male, nelle sue mille forme, combatte contro il bene; lotta dell’odio contro l’amore, del malcostume contro la purezza, dell’egoismo contro la giustizia sociale, della violenza contro il pacifico vivere, della tirannia contro la libertà.

Di questa lotta è già assicurato l’esito finale, essendone garante l’infallibile parola di Dio. Verrà il giorno del trionfo del bene sul male, perchè verrà il dì, in cui — lo diciamo con immensa tristezza — andranno «maledetti al fuoco eterno» (Matth. 25, 41) quanti hanno voluto fare a meno di Dio e sono rimasti sino alla fine ostinati nella impenitenza. Ma vi sono battaglie, il cui esito non è certo, perchè è affidato anche alla buona volontà degli uomini. In alcuni settori il « nemico » ha prevalso: occorre riconquistare il terreno perduto — cioè le anime traviate — perchè Gesù regni nuovamente nei cuori e nel mondo.

Diletti figli e figlie! Noi vi chiamiamo nuovamente a raccolta, certi che tutti — senza evasione di sorta — risponderete alla Nostra voce. Sotto lo sguardo di Maria, Regina delle Vittorie, disponetevi a vivere, per così dire, in un clima di generale mobilitazione, pronti a qualsiasi sacrificio, presti a qualunque eroismo.

Noi abbiamo invitato i fedeli di tutto il mondo ad approfittare dell’Anno mariano, che oggi comincia, per promuovere manifestazioni di omaggio a Maria nei suoi santuari. Ma quel che preme specialmente, è che si compia uno sforzo comune per avviare l’Italia verso una rinascita religiosa integrale. Perchè ciò avvenga, dovrà essere naturalmente preparato un piano razionale che vi impegni tutti in modo organico, e voi provvederete a muovervi secondo una esatta e ben studiata strategia, schierandovi ordinatamente e fissando bene gli scopi da conseguire. È necessario, per questo, rafforzare la vostra unione interna, accentuando sempre più il carattere unitario della vostra organizzazione, e poi accogliendo tutti fraternamente, come compagni d’arme, a combattere fianco a fianco la stessa battaglia. L’esercito cattolico è composto anche di altre forze che sarebbe insano ignorare o contrariare. Vi è posto per tutti, e di tutti vi è bisogno in questo immenso fronte da coprire per respingere gli assalti del «nemico».

Ricordate però tutti che non vi è ordinato schieramento se, nel rispetto della varietà e delle capacità, non viene assicurata l’unità del comando; per questo vivamente esortiamo voi e tutte le forze cattoliche a farvi guidare nel lavoro apostolico da chi lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio.

Nello scegliere gli « obiettivi » va inoltre osservato l’ordine dei valori : dovete quindi preferire lo spirituale al materiale, il definitivo al provvisorio, l’universale al particolare, ciò che urge a quel che può essere rimandato ad altro tempo.

Quanto alla tattica da seguire, ricordate che l’accostamento individuale è quello che dà migliori risultati. Mediante la «Base Missionaria» l’Azione Cattolica ha già iniziato un lavoro unitario, col quale esce dalle sue sedi per andare a portare la verità ai lontani. Ma questo metodo produrrà buoni effetti, soltanto se tutta l’Azione Cattolica cercherà di attuarlo e se opererà in collaborazione con altre forze cattoliche. Ciò raccomandammo lo scorso anno agli Uomini di Azione Cattolica; oggi lo diciamo specialmente a voi, carissimi Giovani, che foste i primi a nascere e siete ancora così pieni di vigore e di freschezza. Siate, oggi e sempre, le avanguardie ardimentose di questo pacifico esercito, in spirito di perfetta unione con tutti e di completa dedizione ai Pastori che guidano la Chiesa.

Ed ecco l’ultima Nostra parola, che vogliamo rivolgere ai fanciulli e alle fanciulle in ascolto, per esprimere loro un Nostro desiderio. Ricordate quanto vi amava Gesù e con quanta tenerezza vi accoglieva? Parlando alle turbe, Egli vi proponeva come modelli per entrare nel regno dei cieli. Anche il Papa vi ama, come vi amava Gesù. Voi siete i prediletti del Papa, come eravate la pupilla degli occhi di Gesù.

Ebbene, cari fanciulli, il Papa ha bisogno del vostro aiuto. Il Papa ha tante ansie, tanti timori per le sorti di questo mondo minacciato di rovina. Volete voi aiutare il Papa? Volete aiutare la Chiesa a salvare il mondo, a salvare l’umanità in pericolo? Allora alzate al cielo i vostri occhi limpidi e puri; giungete le vostre piccole mani e offrite a Gesù la vostra innocenza. Dite a Gesù che salvi la Chiesa, che salvi le anime. Siate con la vostra preghiera, coi vostri piccoli sacrifici, gli angeli protettori di tutta l’Azione Cattolica, che ripone in voi tutte le sue speranze.

Ecco : Noi ci inginocchiamo e recitiamo con voi una preghiera. Unitevi a Noi per fare dolce violenza alla Madre vostra celeste.

O Vergine bella come la luna, delizia del cielo, nel cui volto guardano i beati e si specchiano gli angeli, fa che noi tuoi figliuoli ti assomigliamo e che le nostre anime ricevano un raggio della tua bellezza, che non tramonta con gli anni, ma rifulge nella eternità.

O Maria, sole del cielo, risveglia la vita dovunque è la morte e rischiara gli spiriti dove sono le tenebre. Rispecchiandoti nel volto dei tuoi figli, concedi a noi un riflesso del tuo lume e del tuo fervore.

O Maria, forte come un esercito, dona alle nostre schiere la vittoria. Siamo tanto deboli, e il nostro nemico infierisce con tanta superbia. Ma con la tua bandiera ci sentiamo sicuri di vincerlo; egli conosce il vigore del tuo piede, egli teme la maestà del tuo sguardo. Salvaci, o Maria, bella come la luna, eletta come il sole, forte come un esercito schierato, sorretto non dall’odio, ma dalla fiamma dell’amore. Così sia.

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Le risposte del Papa ai più piccoli

Posté par atempodiblog le 24 février 2016

Le risposte del Papa ai più piccoli
Fonte: Corriere della Sera
Tratto da: Radio Maria

Dal libro «L’amore prima del mondo» (Rizzoli), pubblichiamo alcune delle domande rivolte a Papa Francesco da bambini di varie istituzioni rette dai gesuiti in tutto il modo, con le relative risposte del Pontefice raccolte da padre Antonio Spadaro, direttore della rivista «La Civiltà Cattolica».

Papa e lettere bambini

Caro Papa Francesco, 
vorrei sapere di più su Gesù. Come ha camminato sull’acqua? 
Con affetto, Natasha (Kenya, 8 anni) 

Cara Natasha, devi immaginare Gesù che cammina naturalmente, normalmente. Non ha volato sull’acqua o fatto le capriole nuotando. Lui ha camminato come cammini tu, cioè come se l’acqua fosse terra, un piede dopo l’altro, anche vedendo i pesci sotto i suoi piedi far festa o nuotare veloci. Gesù è Dio e lui dunque può fare tutto. Può anche camminare tranquillamente sull’acqua. Dio non affonda, sai?

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Caro Papa Francesco, 
quando eri un bambino, ti piaceva ballare? 
Prajla (Albania, 6 anni) 

Tanto, cara Prajla! Ma proprio tanto tanto! Mi piaceva stare insieme con altri bambini, giocare, fare la ronda, ma anche ballare le nostre danze tipiche dell’Argentina. Mi divertivo molto. Poi da ragazzo mi piaceva ballare il tango. Mi piace tanto il tango. Vedi, ballare è esprimere la gioia, l’allegria. Quando uno è triste non può ballare. Generalmente i ragazzi hanno una grande risorsa: essere contenti. E per questo quando si è giovani si balla e così si esprime l’allegria del cuore. Persino il grande re Davide, quando prese Gerusalemme, facendone la Città Santa, vi fece trasportare solennemente l’Arca dell’Alleanza e si mise a ballare davanti ad essa. Non si preoccupò delle formalità, si dimenticò di doversi comportare come un re e si mise a ballare come un ragazzino! Ma Micol, sua moglie, vedendolo dalla finestra saltellare e ballare, lo derise e lo disprezzò nel suo cuore. Questa donna era malata di serietà, la «sindrome di Micol» io la chiamo. La gente che non può esprimere allegria sta sempre seria. Ballate, voi che siete bambini, così non sarete troppo seri quando sarete grandi!

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Caro Papa Francesco, la mia mamma è nel paradiso. Le cresceranno le ali d’angelo? 
Luca (Australia, 7 anni) 

Caro Luca, no, no, no! Tua mamma sta in cielo bella, splendida, piena di luce. Non le sono cresciute le ali. È proprio la mamma che tu conosci, ma più bella che mai. E lei ti guarda e sorride a te che sei suo figlio. Ogni volta che ti vede tua mamma è contenta, se ti comporti bene. Se non ti comporti bene, lei ti vuol bene lo stesso e chiede a Gesù di farti più buono. Pensa così la tua mamma: bella, sorridente e piena di affetto per te.

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Caro Papa Francesco, 
se tu potessi fare un miracolo, che cosa sarebbe? 
Con affetto, William (Usa, 7 anni) 

Caro William, io guarirei i bambini. Non sono riuscito ancora a capire perché i bambini soffrano. Per me è un mistero. Non so dare una spiegazione. Mi interrogo su questo. Prego su questa domanda: perché i bambini soffrono? È il mio cuore che si pone la domanda. Gesù ha pianto e piangendo ha capito i nostri drammi. Io cerco di capire. Se potessi fare un miracolo, guarirei tutti i bambini. Il tuo disegno mi fa riflettere: c’è una grande croce scura e dietro ci sono un arcobaleno e il sole che splende. Mi piace questo. La mia risposta al dolore dei bambini è il silenzio oppure una parola che nasce dalle mie lacrime. Non ho paura di piangere. Non devi averla neanche tu.

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Caro Papa Francesco, 
perché ti piace giocare a calcio? Ti auguro buona salute! 
Wing (Cina, 8 anni) 

Caro Wing, mi piace molto il calcio. Io non ho mai giocato partite serie perché non ho mai imparato bene la tecnica del gioco. Il mio piede non è agile. Ma mi piace tanto vedere giocare le squadre sul campo. Sai perché? Perché vedo che è un gioco di squadra, di solidarietà. Mi appassiono nel vedere una partita. Se un giocatore vuole giocare da solo perde, e poi non è amato dai suoi compagni di squadra. Si gioca bene al calcio quando si gioca insieme, quando si fa gioco di squadra e si cerca il bene di tutti senza pensare al bene personale o a mettersi in mostra. Così dovrebbe essere anche nella Chiesa.

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Caro Papa Francesco, 
sei mai stato accanto al sacerdote come chierichetto? 
Saluti da Alessio (Italia, 9 anni) 

Caro Alessio, sì che sono stato chierichetto. E tu? Quel chierichetto del disegno sei tu? Ma, senti, adesso è più facile. Devi sapere che quando ero bambino io la messa si celebrava in maniera differente da come si fa adesso. Il prete intanto guardava l’altare, che era accostato al muro, e non le persone. Poi il libro col quale diceva la messa, il messale, era messo sull’altare nella parte destra. Ma prima della lettura del Vangelo si spostava sempre sul lato sinistro. Questo era il mio compito: portarlo da destra a sinistra e da sinistra a destra. Ma che fatica! Era pesante! Io lo prendevo con tutta la mia energia, ma non ero robusto: lo sollevavo e mi cadeva, e così il prete mi doveva aiutare. Era un’impresa! Poi la messa non era in italiano. Il prete parlava ma io non capivo niente. E così anche i miei compagni. Allora poi per gioco imitavamo il prete storpiando un po’ le parole per fare strane frasi in spagnolo. Ci divertivamo. E ci piaceva tanto servire la messa.

© 2016 LOYOLA PRESS
© 2016 LIBRERIA EDITRICE VATICANA, CITTÀ DEL VATICANO
© 2016 RIZZOLI /RCS LIBRI S.p.A., MILANO

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Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli

Posté par atempodiblog le 12 janvier 2016

Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli
La misericordia è “la carta di identità” di Dio: così Papa Francesco nel libro-intervista “Il nome di Dio è misericordia”, da oggi in libreria. Il volume riporta una conversazione del Pontefice con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” e coordinatore del sito web “Vatican Insider” Suddiviso in nove capitoli e 40 domande, il libro – edito da Piemme – ha la copertina autografa di Papa Francesco. La prima copia del volume, in italiano, è stata consegnata ieri pomeriggio al Pontefice, presso Casa Santa Marta.
di Isabella Piro – Radio Vaticana

Il nome di Dio è Misericordia

Intervista registrata lo scorso luglio
Luglio 2015, Casa Santa Marta: Papa Francesco è da poco rientrato dal suo viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay. È un pomeriggio afoso quando riceve il giornalista Andrea Tornielli, munito di tre registratori. Su un tavolino davanti a sé, il Pontefice ha una concordanza della Bibbia e le citazioni dei Padri della Chiesa. La misericordia è il tema della conversazione che nasce tra i due, in vista del Giubileo straordinario che si aprirà cinque mesi dopo. Oggi, i frutti di quel dialogo sono raccolti nel libro “Il nome di Dio è misericordia”.

Capitolo 1: è tempo di misericordia
Preghiera, riflessione sui Pontefici precedenti e un’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che “riscalda i cuori delle persone con la vicinanza e la prossimità”: sono questi i tre fattori, spiega il Papa, che lo hanno spinto ad indire un Giubileo della misericordia. “La nostra epoca è un tempo opportuno” per questo, dice, perché oggi si vive un duplice dramma: si è smarrito il senso del peccato e lo si considera anche incurabile, inguaribile, imperdonabile. Per questo, l’umanità ferita da tante “malattie sociali” – povertà, esclusione, schiavitù del terzo millennio, relativismo – ha bisogno di misericordia, di quella “carta di identità di Dio”, di Colui “rimane sempre fedele” anche se il peccatore Lo rinnega.

La grazia della vergogna rende il peccatore consapevole del peccato
Centrale poi la riflessione del Papa sul tema della vergogna, intesa come “una grazia” perché rende il peccatore consapevole del proprio peccato. E particolare la sottolineatura del così detto “apostolato dell’orecchio”, ossia della capacità dei confessori di “ascoltare con pazienza” perché oggi le persone “cercano soprattutto qualcuno che sia disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà”. Tra l’altro – nota il Papa – è per questo che tanti si rivolgono ai chiromanti. Il Pontefice rimarca inoltre “che se il confessore non può assolvere, dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale”, perché “l’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento”.

Essere confessori è una grande responsabilità
“Abbiate tenerezza con queste persone – dice il Papa ai sacerdoti – non allontanatele”, perché “la gente soffre” e “essere confessori è una grande responsabilità”. Al riguardo, il Pontefice cita il caso di sua nipote: “Io ho una nipote che ha sposato civilmente un uomo prima che lui potesse avere il processo di nullità matrimoniale – racconta – Quest’uomo era tanto religioso che tutte le domeniche, andando a Messa, andava al confessionale e diceva al sacerdote: ‘Io so che lei non mi può assolvere, ma ho peccato in questo e in quest’altro, mi dia una benedizione’. Questo è un uomo religiosamente formato”.

Capitolo 2: confessione non è tintoria, né tortura. Ascoltare, non interrogare
D’altronde, si va al confessionale “non per essere giudicati”, ma per “qualcosa di più grande del giudizio: per l’incontro con la misericordia” di Dio, senza la quale “il mondo non esisterebbe”. Per questo, sottolinea il Pontefice, il confessionale non deve essere né “una tintoria”, in cui lavare via a secco il peccato come una semplice macchia, né “una sala di tortura” in cui scontrarsi con “l’eccesso di curiosità” di alcuni confessori, curiosità a volte “un po’ malata”, morbosa, che trasforma la confessione in un interrogatorio.

Capitolo 3: riconoscersi peccatori. Il cuore a pezzi è offerta gradita a Dio
Invece, “nel dialogo con il confessore bisogna essere ascoltati, non interrogati” e quindi il sacerdote deve “consigliare con delicatezza”. Ma per ottenere la misericordia di Dio, ribadisce nuovamente Francesco, è importante  riconoscersi peccatori, perché “il cuore a pezzi è l’offerta più gradita al Signore, è il segno che siamo coscienti del nostro bisogno di perdono, di misericordia”.  Il Papa ricorda, poi, che la misericordia di Dio è “infinitamente più grande del nostro peccato” , perché il Signore “ci primerea”, “ci anticipa, ci attende” sempre “con il suo perdono, con la sua grazia”. “Il solo fatto che una persona vada al confessionale – spiega Francesco – indica che c’è già un inizio di pentimento”. E a volte vale di più “la presenza impacciata ed umile di un penitente che fa fatica a parlare, piuttosto che le tante parole di qualcuno che descrive il suo pentimento”.

Capitolo 4: anche il Papa ha bisogno della misericordia di Dio
Dal suo canto, il Papa si definisce “un uomo che ha bisogno della misericordia di Dio” e offre alcuni consigli al penitente e al confessore: al primo, suggerisce di non essere superbo, ma di “guardare con sincerità a se stesso ed al proprio peccato”, così da ricevere il dono della misericordia di Dio. Ai confessori, invece, Francesco suggerisce di pensare innanzitutto ai propri peccati, poi di ascoltare “con tenerezza”, senza “scagliare mai la prima pietra”, ma cercando di “assomigliare a Dio nella sua misericordia”. Come modello, il Pontefice cita il padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, prim’ancora che il giovane ammetta i suoi peccati. “Questo è l’amore di Dio – sottolinea il Papa – Questa è la sua sovrabbondante misericordia”.

Capitolo 5: Chiesa condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore
Di fronte a chi, poi, a volte, afferma che nella Chiesa c’è “troppa misericordia”, il Papa risponde sottolineando che “la Chiesa condanna il peccato”, ma “allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, gli parla della misericordia infinita di Dio”. Bisogna perdonare “settanta volte sette, cioè sempre”, dice il Pontefice, perché “Dio è un padre premuroso, attento, pronto ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere un passo” verso di Lui, e “nessun peccato umano, per quanto grave, può prevalere sulla misericordia e limitarla”. La Chiesa, quindi, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”.

Chiesa sia “in uscita”, “ospedale da campo” per i bisognosi di perdono
Per fare questo, però, essa deve essere “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo che va incontro ai tanti ‘feriti’ bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore”. È importante, infatti, “accogliere con delicatezza chi si ha di fronte, non ferire la sua dignità”, afferma il Pontefice, citando un’esperienza personale, risalente ai tempi in cui era parroco in Argentina: una donna che si prostituiva per mantenere i suoi figli, lo ringraziò perché il futuro Papa l’aveva sempre chiamata “Signora”.

Capitolo 6: non leccarsi le ferite del peccato, ma muoversi verso Dio
E ancora, Francesco mette in guardia dall’atteggiamento di chi dispera “della possibilità di essere perdonato” e preferisce leccarsi le ferite del peccato, impedendone di fatto la guarigione. “Questa è una malattia narcisista che porta l’amarezza”, nota il Papa, e in cui si riscontra “un piacere nell’amarezza, un piacere ammalato”. Al contrario, “la medicina c’è”: basta solo muovere un passo verso Dio o avere almeno il desiderio di muoverlo, “prendendo sul serio la propria condizione”, senza credersi “autosufficienti” e senza dimenticare le nostre origini, “il fango da cui siamo stati tratti, il nostro niente”. E questo “vale soprattutto per i consacrati”, sottolinea il Papa. Nella vita, infatti, l’importante non è “non cadere mai”, bensì “rialzarsi sempre”. Questo, allora, è il compito della Chiesa: “Far percepire alle persone che è sempre possibile ricominciare se soltanto permettiamo a Gesù di perdonarci”.

Delicatezza, e non emarginazione, per le persone omosessuali
Rispondendo, poi, ad una domanda sulle persone omosessuali, il Papa spiega quanto detto nel 2013, durante la conferenza stampa di ritorno da Rio de Janeiro, ovvero “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. “Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica – dice Francesco – dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare”. Il Papa apprezza la dicitura “persone omosessuali” perché – spiega – “prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità”, che “non è definita soltanto dalla sua tendenza omosessuale”. “Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare insieme”, aggiunge il Pontefice.

Misericordia è dottrina, è primo attributo di Dio
Quanto al rapporto tra verità, dottrina e misericordia, Francesco spiega: “Io amo piuttosto dire: la misericordia è vera”, “è il primo attributo di Dio”. “Poi si possono fare riflessioni teologiche su dottrina e misericordia – aggiunge – ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina”. A tal proposito, il Papa cita “i dottori della legge, i principali oppositori di Gesù, che lo sfidano in nome della dottrina”: essi seguono una logica di pensiero e di fede che guarda “alla paura di perdere i giusti, i già salvati”. Gesù, invece, segue un’altra logica: quella che redime il peccato, accoglie, abbraccia, trasforma il male in bene, la condanna in salvezza. È la logica di un Dio che è amore, spiega il Papa, un Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini, che non si ferma “a studiare a tavolino la situazione”, valutando i pro e i contro. Per il Signore, ciò che conta davvero è “raggiungere i lontani e salvarli”, sanare e integrare “gli emarginati che stanno fuori” dalla società.

Logica di Dio è logica dell’amore che scandalizza i “dottori della legge”
Certo, sottolinea Francesco: questa logica può scandalizzare, allora come oggi, provocando “il mugugno” di chi è abituato ai propri “schemi mentali ed alla propria purità ritualistica”, invece di “lasciarsi sorprendere” da un amore più grande. Al contrario, è proprio questa logica la strada che il Signore ci indica di fronte alle persone che “soffrono nel fisico e nello spirito”, per vincere così “pregiudizi e rigidezze” ed evitare di giudicare e condannare “dall’alto della propria sicurezza”. Andare verso gli emarginati ed i peccatori – aggiunge il Papa – non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge, bensì cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia, senza mai cadere nella tentazione di sentirci “i giusti o i perfetti”.

Adesione formale alle regole porta a  degradazione dello stupore
Chi si scopre “ammalato nell’anima”, infatti, deve trovare porte aperte, non chiuse; accoglienza, non giudizio o condanna; aiuto, non emarginazione. I cristiani che “spengono ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore”, spiega Francesco, sono come i dottori della legge, “sepolcri imbiancati” che, con ipocrisia, vivevano attaccati alla lettera della legge, sapevano solo chiudere porte, segnare confini, ma trascuravano l’amore. Se prevale l’adesione formale alle regole – mette in guardia il Papa – allora si verifica “la degradazione dello stupore”, ossia il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza donata da Dio, e ciò ci spinge a credere di “poter fare da soli, di essere noi i protagonisti”. Questo atteggiamento “è alla base del clericalismo” e porta i ministri di Dio a credersi “padroni della dottrina, titolari di un potere”.

Legge della Chiesa è inclusiva, non esclusiva
La Chiesa non deve mai essere così, afferma il Papa, non deve avere l’atteggiamento di chi impone “pesanti fardelli” sulle spalle della gente, senza volerli muovere “neppure con un dito”. “Ad alcune persone tanto rigide – dice il Papa – farebbe bene una scivolata perché così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Gesù”. “La grande legge della Chiesa – infatti – è quella dell’et et e non quella dell’aut aut”. A tal proposito Francesco cita esempi negativi, come i cinquemila dollari richiesti ad una donna per un processo di accertamento di nullità matrimoniale o come il funerale in Chiesa rifiutato ad un bambino perché non battezzato.

Capitolo 7: corruzione, peccato elevato a sistema. Peccatori sì, corrotti no!
Ampia, poi, la riflessione di Francesco sulla corruzione, definita come “il peccato elevato a sistema e divenuto abito mentale, modo di vivere”. Il corrotto pecca e non si pente, dice il Papa, finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo, crede di non dover più chiedere perdono, passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità sua e degli altri. Con la sua “faccia da santarellino”, il corrotto evade le tasse, licenzia i dipendenti per non assumerli definitivamente, sfrutta il lavoro nero e poi si vanta delle sue furbizie con gli amici o magari va a Messa la domenica, ma poi pretende una tangente sul lavoro. E “spesso non si accorge del suo stato” come “chi ha l’alito pesante”. “Peccatori sì, corrotti no!”, esorta il Papa, invitando a pregare, durante il Giubileo, perché Dio faccia breccia nel cuore dei corrotti, donando loro “la grazia della vergogna”.

Giustizia non basta da sola, serve misericordia
Poi, il Pontefice ricorda che la misericordia è “un elemento indispensabile” perché vi sia fratellanza tra gli uomini. La giustizia da sola, infatti, non basta: con la misericordia, Dio va oltre la giustizia, “la ingloba e la supera” nell’amore. “Non c’è giustizia senza perdono – dice ancora Francesco, sulla scia di Giovanni Paolo II – e la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura, più giusta e solidale”. Non solo: “la misericordia contagia l’umanità” e ciò si riflette “nella giustizia terrena, nelle norme giudiziarie”. Basti pensare al crescente rifiuto della pena di morte che si registra a livello mondiale.

Famiglia, prima scuola di misericordia
“Con la misericordia la giustizia è più giusta”, sottolinea ancora il Papa, rimarcando che questo non significa “essere di manica larga, spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi”, bensì aiutare chi è caduto a rialzarsi, perché Dio “perdona tutto”, “fa miracoli anche con la nostra miseria” e la sua misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, tanto che nessuno può porvi un limite. Il Pontefice ricorda, poi, che la famiglia “è la prima scuola della misericordia”, perché in essa “si è amati e si impara ad amare, si è perdonati e si impara a perdonare”.

Capitolo 8: compassione vince globalizzazione dell’indifferenza
Quanto alle caratteristiche dell’amore infinito di Dio, Papa Bergoglio ricorda che Dio ci ama con compassione e misericordia; la prima ha un volto più umano, la seconda invece è divina. Infatti, Gesù non guarda alla realtà dall’esterno, “come se scattasse una fotografia”, ma “si lascia coinvolgere”. Di questa compassione c’è bisogno oggi, spiega il Papa, e ce n’è bisogno per vincere “la globalizzazione dell’indifferenza”.

Capitolo 9: praticare opere di misericordia, è in gioco credibilità dei cristiani
A conclusione del libro-intervista, il Papa si sofferma sulle opere di misericordia, corporali e spirituali: “Sono attuali e sempre valide – dice – restano alla base dell’esame di coscienza ed aiutano ad aprirsi alla misericordia di Dio”. Di qui, l’esortazione a servire Gesù “in ogni persona emarginata”, esclusa, affamata, assetata, nuda, carcerata, malata, disoccupata, perseguitata, profuga. Nell’accoglienza dell’emarginato, ferito nel corpo, e del peccatore, ferito nell’anima, si gioca infatti “la credibilità dei cristiani”, conclude il Pontefice. Perché in fondo, come diceva San Giovanni della Croce, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”.

Publié dans Andrea Tornielli, Fede, morale e teologia, Libri, Misericordia, Papa Francesco I, Riflessioni, Sacramento della penitenza e della riconciliazione, Sacramento dell’Ordine, Stile di vita | Pas de Commentaires »

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