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Come prepararsi alla festa del Natale del Signore

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2020

Come prepararsi alla festa del Natale del Signore dans Avvento RWJH1532

La Madonna mi ha insegnato a prepararmi alla festa del Natale del Signore. L’ho vista oggi senza il Bambino Gesù e mi ha detto:

«Figlia Mia, procura di essere mite e umile affinché Gesù che dimora continuamente nel Tuo cuore possa riposare. Adoralo nel tuo cuore. Non uscire dai tuo raccoglimento interiore. Ti otterrò, figlia Mia, la grazia di questo genere di vita interiore, di modo che senza che abbandoni la tua intimità, possa adempiere all’esterno tutti i tuoi doveri con maggior precisione. Rimani continuamente con Lui nel tuo cuore. Egli sarà la tua forza. Con le creature mantieni quei rapporti che la necessità ed i tuoi doveri esigono. Sei un’abitazione gradita del Dio vivente, nella quale Egli dimora continuamente con amore e compiacimento, e la viva presenza di Dio, che senti in maniera più viva ed evidente, ti confermerà, figlia Mia, in ciò che ti ho detto. Cerca di comportarti così fino al giorno di Natale ed in seguito Egli ti farà conoscere come dovrai trattare con Lui e come unirti a Lui».

Santa Faustina Kowalska

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L’augurio del Papa per questo Natale: “Fatevi stupire dal sorriso di Dio”

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2020

L’augurio del Papa per questo Natale: “Fatevi stupire dal sorriso di Dio”
Il Papa ci spiega cosa intende per “farsi stupire”. E aggiunge: “Portate questo augurio ai vostri cari a casa, specialmente ai malati e ai più anziani: che sentano la carezza del vostro sorriso”
di Gelsomino Del Guercio – Aleteia

L’augurio del Papa per questo Natale: “Fatevi stupire dal sorriso di Dio” dans Articoli di Giornali e News papa-francesco-natale

Lasciamoci accarezzare da un sorriso, il sorriso di Dio. Per questo Natale così diverso da tutti gli altri, Papa Francesco ci consegna un augurio speciale. Lo annuncia nel libro ‘Ti auguro il sorriso per tornare alla gioia‘ (edito da Libreria pienogiorno in collaborazione con l’Editrice Vaticana).

«Carissimi – esordisce il Papa – scambiamoci questo augurio, che vale per sempre: a Natale, partecipando alla Liturgia, e anche contemplando il presepio, lasciamoci stupire dal sorriso di Dio, che Gesù è venuto a portare. È Lui stesso, questo sorriso».

Il “regalo” che ci ha consegnato Gesù
Come Maria, come Giuseppe e i pastori di Betlemme, «accogliamolo, lasciamoci purificare, e potremo anche noi portare agli altri un umile e semplice sorriso. Portate questo augurio ai vostri cari a casa – è il pensiero di Natale che rivolge a tutti noi Papa Francesco – specialmente ai malati e ai più anziani: che sentano la carezza del vostro sorriso. È una carezza. Sorridere è accarezzare, accarezzare con il cuore, accarezzare con l’anima. E rimaniamo uniti nella preghiera».

Il sorriso più “potente” del Bambino Gesù
Il sorriso di Dio è un tutt’uno con la Natività. Quando guardiamo un neonato, osserva il Papa, «siamo portati a sorridergli, e se anche sul suo piccolo viso sboccia un sorriso, allora proviamo un’emozione semplice, ingenua. Il bambino risponde al nostro sguardo, ma il suo è un sorriso molto più “potente”, perché è nuovo, è puro, come acqua di sorgente, e in noi adulti risveglia un’intima nostalgia d’infanzia».

Questo è avvenuto «in modo unico» tra Maria e Giuseppe e Gesù. «La Vergine e il suo sposo, con il loro amore, hanno fatto sbocciare il sorriso sulle labbra del loro bambino appena nato. Ma quando ciò è accaduto, i loro cuori sono stati riempiti di una gioia nuova, venuta dal Cielo. E la piccola stalla di Betlemme si è come illuminata».

La difficoltà di sorridere
Gesù, sottolinea Papa Francesco, «è il sorriso di Dio. È venuto a rivelarci l’amore del Padre, la sua bontà, e il primo modo in cui l’ha fatto è stato sorridere ai suoi genitori, come ogni neonato di questo mondo»: è questa l’essenza dell’augurio che il Papa ci consegna per questo Natale. 2020.

«A volte diventa difficile sorridere, per tanti motivi – conclude Francesco -. Allora abbiamo bisogno del sorriso di Dio: Gesù, solo Lui ci può aiutare. Solo Lui è il Salvatore, e a volte ne facciamo esperienza concreta nella nostra vita».

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La Madonna ci invita a lavorare per la nostra conversione

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2020

Messaggio della Regina della Pace alla veggente Marija (25 novembre 2020)

“Cari figli,
questo è il tempo dell’amore, del calore, della preghiera e della gioia.
Pregate, figlioli, affinché Gesù Bambino nasca nei vostri cuori.
Aprite i vostri cuori a Gesù che si dona a ciascuno di voi.
Dio mi ha inviato per essere gioia e speranza in questo tempo ed io vi dico: senza Gesù Bambino non avete né la tenerezza né il sentimento del Cielo, nascosti nel Neonato.
Perciò, figlioli, lavorate su voi stessi.
Leggendo la Sacra Scrittura, scoprirete la nascita di Gesù e la gioia dei primi giorni che Medjugorje ha donato all’umanità.
La storia sarà vera, ciò che anche oggi si ripete in voi ed attorno a voi.
Lavorate e costruite la pace attraverso il Sacramento della Confessione.
Riconciliatevi con Dio, figlioli, e vedrete i miracoli attorno a voi.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

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Commento di padre Livio di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 novembre 2020

Questo è un messaggio tipicamente natalizio.
Il Cuore della Madonna è come se fosse ancora ripieno di quell’emozione, di quei sentimenti di grazia, di gioia, di luce, di amore che aveva quando ha partorito Gesù e quando Lo ha stretto al suo Cuore.
Tutte le mamme provano questi sentimenti, ma pensate alla Madonna che era con quel Bambino concepito per opera dello Spirito Santo, il Figlio di Dio e certamente di una bellezza divina!
La Madonna ci vuole trasmettere i suoi sentimenti, usa parole incredibili e ha concentrato in questo messaggio le parole più belle per rallegrare il nostro cuore: “amorecaloregioiapreghiera, speranzatenerezzasentimento pace”.
È una cosa unica nei suoi messaggi in quarant’anni. Queste parole devono essere come le stelle che guidano il nostro cammino interiore fino a Betlemme.
Mettiamo adesso in evidenza i passaggi fondamentali del messaggio.
Cari figli, questo è il tempo dell’amore, del calore, della preghiera e della gioia.
Pregate, figlioli, affinché Gesù Bambino nasca nei vostri cuori”.
Alla Madonna sta a cuore che quell’evento, quel Natale che ha vissuto, che ha vissuto Giuseppe, che hanno vissuto i pastori, che hanno vissuto i Magi, anche noi lo riviviamo in questo Natale.
Che riviviamo i medesimi sentimenti che quel Bambino dona, sentimenti di profumo di cielo, di tenerezza, che sono nascosti nel neonato.
Lei vuole che in questo Natale quel Bambino sia così vivo che noi possiamo accogliere la sua irradiazione di amore, di gioia, di pace, perché attraverso la divinità, umile e piccola di un neonato, si manifesti l’amore di Dio per noi.
Allora sarà un vero Natale, un Natale indimenticabile.
Ma come è possibile rivivere quel Natale, quando in cielo c’erano gli angeli che annunciavano l’evento atteso da sempre, cantando: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, perché in quel Bambino si manifesta la gloria di Dio, “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”?
Cosa bisogna fare?
Allora prima di tutto la Madonna dice: “aprite i vostri cuori a Gesù che si dona a ciascuno di voi”.
Questa frase “aprire i cuori” è centrale nei messaggi di Medjugorje, la Madonna l’ha ripetuta infinite volte. Il contrario sono i cuori chiusi, induriti nel male del peccato, che erigono come un muro a Dio, un rifiuto a Dio.
Gran parte dell’umanità, proprio di chi era cristiano, ha il cuore così, chiuso, infatti la Madonna ha detto “avete rifiutato la fede e l’amore”, il cuore murato, proprio come un muro infrangibile; c’è proprio un rifiuto che è misto al disprezzo, come se fossero tutte superstizioni, cose da vecchietti, il Cristianesimo sarebbe una sotto-cultura.
E la Madonna ci chiede di fare lo sforzo più grande che si possa fare: la conversione, che è una grande grazia, ma richiede uno sforzo che pochi si sentono di fare e cioè la rinuncia al peccato, la rinuncia al male, al proprio egoismo, alla propria superbia, alla propria avidità, cattiveria, prepotenza, alla voglia di emergere, la rinuncia a tutte le invidie, le cattiverie, le gelosie, gli inganni, i tranelli, le falsità.
C’è tutto un mondo diabolico che ha inquinato i cuori, che li porta a chiudersi come delle ostriche talmente chiuse che non si riesce ad aprire.
E la Madonna dice: “Dio vi dà la grazia, Dio vi chiama, Dio vi aiuta, ma voi fate lo sforzo di aprire il cuore!” Senza questo sforzo uno si perde!
Ritorniamo alla fede, ritorniamo all’umiltà dei bambini, come dei neonati  in ginocchio davanti al Bambino Gesù!
Lasciamoci compenetrare dalla Sua bellezza dalla Sua umiltà, dal Suo sorriso, apriamo i cuori a Gesù.
E poi la Madonna ci ha detto per due volte: “lavorate”.
Perciò figlioli lavorate su voi stessi”. Lavorare con martello e scalpello per spezzare le catene del male che ci legano, con cui satana ci tiene al guinzaglio!
E ha detto anche una frase molto interessante: “Leggendo la Sacra Scrittura, scoprirete la nascita di Gesù”. Leggendo il Vangelo del Natale noi scopriamo il meraviglioso mistero che la Madonna e Giuseppe hanno vissuto, “e la gioia dei primi giorni che Medjugorje ha donato all’umanità”.
La Madonna ha ricordato i primi giorni di Medjugorje, e il primo giorno in cui è apparsa, il 24 Giugno 1981, aveva il Bambino Gesù in braccio.
La Madonna ci dona la gioia portandoci Gesù Bambino.
Ogni Natale è venuta con Gesù Bambino e nel Natale del 2012 il Bambino Gesù neonato si è alzato e con voce solenne ha detto: “io sono la vostra pace, vivete i miei comandamenti”.
Poi più avanti ripete queste parole importanti: ”lavorate e costruite la pace attraverso il Sacramento della Confessione”.
Bisogna rompere il nostro cuore di pietra, far sì che ci sia un cuore dove entra la tenerezza e il profumo di cielo del neonato.
Non è la prima volta che la Madonna crea il legame fra la Confessione e la conversione. Il processo di conversione è lungo e l’apertura del cuore richiede anche tempo, però non rimandatela, perché il diavolo vi dice “domani, dopodomani” e poi non vi convertite più.
È adesso che dovete decidere di aprire il cuore, è adesso che dovete decidere la conversione, non domani! Il processo di conversione deve arrivare al momento in cui, il Bambino Gesù nasce nei nostri cuori!
La conversione inizia con la revisione della propria vita, decidere cosa bisogna tagliare, perché la parola decisione deriva dalla parola latina “tagliare”.
La decisione è un taglio, si tagliano i legami che ci tengono legati al mondo e al demonio, disboscando il bosco ceduo che sono i vizi capitali che proliferano e poi costruiamo il mondo della pace, cioè una vita virtuosa, l’immagine di Dio in noi stessi, questo è il processo.
Il momento in cui il Bambino Gesù nasce nei nostri cuori è il momento in cui andiamo al Sacramento della Confessione.
Negli ultimi anni la Confessione è entrata in crisi e adesso col lockdown e il distanziamento la Confessione rischia di sparire, e questo è una cosa molto seria.
La Chiesa esorti i sacerdoti, in sicurezza, a rendersi disponibili per la Confessione, dando degli orari. La gente deve sapere quando ci si può confessare, facendo anche una preparazione generale di 10, 15 minuti, per il pentimento e la vita nuova.
In un messaggio la Madonna ha detto: “Bisogna esortare la gente a confessarsi ogni mese, soprattutto il primo venerdì o il primo sabato del mese. Fate ciò che vi dico! La Confessione mensile sarà una medicina per la Chiesa d’Occidente. Se i fedeli si confessassero una volta al mese, presto intere regioni potrebbero essere guarite”. (Messaggio del 6 agosto 1982)
La Madonna ci ha descritto il cammino, ci ha detto come va vissuto il Natale, con amore, calore, gioia, sentimento, pace..
Voglio metter in evidenza 2 passaggi di grande speranza in questi tempi in cui l’umanità è allo sbando, con crisi esistenziali che solo Dio sa:
Dio mi ha inviato per essere gioia e speranza in questo tempo”.
Noi non siamo disperati, non siamo angosciati, noi vinciamo la paura, noi abbiamo fiducia, perché siamo di Dio che ha mandato la Madonna che è gioia e speranza. Gioia, perché viene col suo sorriso e le sue parole e speranza, perché sappiamo che Lei sarà la vincitrice, Lei vincerà la potenza del male che sta travolgendo e mettendo in pericolo il mondo e l’opera della creazione.
E per confermare questa prospettiva di speranza e di gioia dice: “Riconciliatevi con Dio, figlioli, e vedrete i miracoli attorno a voi”.
Anche nel messaggio del 25 settembre 2020 la Madonna parla di miracoli che vengono compiuti dal nostro ritorno a Dio, dalla nostra conversione:
la preghiera e il digiuno operano miracoli in voi e attorno a voi”.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata« .
È un messaggio meraviglioso.
Chiediamo la grazia alla Madonna della conversione, della Confessione, del ritorno a Dio che vuol dire aprire il cuore a Gesù Bambino, poi Lui nascerà nel nostro cuore e con Gesù nel cuore abbiamo tutto.
Come è misericordioso Dio che ci manda sua Madre in questo tempo!
La Madonna dice due volte: “lavorate”.
Lavoriamo per la nostra conversione, questa è la cosa più importante, i risultati saranno straordinari, vedremo miracoli.

N.B. Il testo di cui sopra  può essere divulgato a condizione che si citi (con link, nel caso di diffusione via internet) il sito www.medjugorjeliguria.it indicando:  “ Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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Ecco la piccola via di Carlo Acutis alla santità

Posté par atempodiblog le 10 octobre 2020

Ecco la piccola via di Carlo Acutis alla santità
Già chiamato dal popolo il Patrono di Internet, il giovanissimo ragazzo milanese seppe usare persino i nuovi mezzi di comunicazione a vantaggio delle anime, per il Regno di Dio. Ma il segreto che lo portò dritto in Paradiso fu uno solo e fu più reale che mai: l’amore esclusivo per l’Eucaristia, Cuore vivo di Gesù.
di Costanza Signorelli  – La nuova Bussola Quotidiana

Ecco la piccola via di Carlo Acutis alla santità dans Articoli di Giornali e News Beato-Carlo-Acutis

Quando San Pio X pubblicò il decreto Quam Singulari con cui abbassò a sette anni, quasi dimezzandola, l’età per ricevere la Santa Eucaristia, motivò così la sua scelta: “Ci saranno santi tra i bambini”.

Era il 1910 e nessuno poteva immaginare che, a distanza di circa cento anni, il Paradiso avrebbe accolto un santo bambino che fece, esattamente dell’Eucaristia, il centro della sua vita e la sua “autostrada per il Cielo”.

Stiamo parlando di Carlo Acutis (1991-2006) che proprio oggi, sabato 10 ottobre alle ore 16:30, verrà beatificato presso la Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, con rito presieduto dal cardinale Agostino Vallini.

Carlo, a ben vedere, non è che uno tra le schiere di pargoletti che da quella profezia salutarono la terra con il profumo di santità. Primi tra tutti i due Pastorelli di Fatima, Francesco e Giacinta Marto.

Il giovane milanese, dal canto suo, ha speso tutta la sua breve esistenza, fino all’offerta della vita, per amore di Gesù, di Maria Santissima e della Chiesa. È salito al Cielo il 12 ottobre del 2006, a soli 15 anni, per una leucemia fulminante.

Il suo corpo, dall’1 al 17 ottobre, rimarrà esposto alla venerazione dei fedeli presso il Santuario della Spogliazione, ove già riposa dall’aprile del 2019, data della sua traslazione in loco.

Beato-Carlo-Acutis dans Carlo Acutis

IL FUTURO “PATRONO DI INTERNET”
Ebbene, la profezia di Pio X, che già stupiva i teologi del primo Novecento, abituati a separare i bambini dalle cose di Dio, suona ancora più incredibile, se si pensa che uno dei maggiori campi in cui il nuovo Beato ha giocato il suo apostolato è stato quello di Internet, per cui il ragazzino era dotato di doni assolutamente fuori dal comune.

Tantissime sono le testimonianze della sua genialità in materia informatica, tanto che Carlo Acutis rappresenta senz’altro un virtuoso modello di come si possano usare in modo sano e intelligente i nuovi mezzi di comunicazione, che oggi sono in grado di rovinare la vita dei giovanissimi come lui. Carlo, invece, con la grazia del Cielo, sapeva usare persino gli strumenti informatici, a vantaggio delle anime e per la costruzione del Regno di Dio.

Lo stesso Papa Francesco, proprio nell’Esortazione Apostolica dedicata alla santità, “Christus vivit”, ha parlato di Carlo in questi termini: “Ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, per comunicare valori e bellezza”.

A tal proposito è ormai universalmente conosciuta la mostra sui Miracoli Eucaristici da lui ideata e realizzata, che ha fatto il giro dei più grandi santuari del mondo e, attraverso un sito dedicato, è interamente visitabile online.

Carlo-Acutis dans Fede, morale e teologia

UN SOLO CENTRO DI VITA: GESÙ EUCARISTIA
Sulle svariate virtù cristiane di Carlo Acutis si potrebbe parlare a profusione. Basti sapere che il domestico induista di casa Acutis – che accompagnava Carlo un po’ dappertutto: a scuola, in chiesa, dagli amici, al catechismo e che, tutte le sere, faceva con lui il giro del quartiere per distribuire ai poveri gli avanzi della cena – vedendo il suo modo di vivere e di morire, rimase tanto affascinato da convertirsi alla Chiesa Cattolica. Eppure, per quanto fosse chiaro già in vita il suo esercizio eroico delle virtù, su Carlo Acutis non abbiamo ancora detto nulla, se non parliamo del suo rapporto eccezionale con Gesù Eucaristia.

Come raccontò la mamma Antonia Acutis alla Nuova Bussola Quotidiana, la grande devozione di Carlo per l’Eucaristia cominciò sin da piccolissimo. A soli sette anni infatti ebbe il permesso di ricevere la Prima Comunione: da quel momento crebbe in lui il santo desiderio di andare a Messa tutti i giorni e così fece sino al giorno della sua repentina malattia e precoce partenza per il Cielo.

Dopo la Prima Comunione nel 1998, Carlo chiese con insistenza d ottenne che tutta la famiglia potesse fare la Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù. Il motivo per lui era semplicissimo: “L’Eucaristia è veramente il Cuore di Gesù”.

Ogni volta che il bambino riceveva l’Ostia consacrata, recitava questa giaculatoria: “Gesù, accomodati pure! Fa come se fossi a casa tua!”. E per prepararsi all’incontro con Gesù, Carlo faceva tutti i giorni – prima o dopo la Messa – un poco di adorazione eucaristica. Il perché di questa sua devota abitudine, lo spiegava così: “Davanti al sole ci si abbronza, ma davanti all’Eucaristia si diventa santi!”.

Inoltre, Carlo a soli 11 anni iniziò a fare l’aiuto catechista: fu proprio in questa occasione che il fanciullo rimase davvero stupito e molto addolorato nel vedere quanta indifferenza ci fosse di fronte al Santissimo Sacramento. Tanto che spesso si domandava: “Com’è possibile che davanti ad un concerto rock, o a una partita di calcio, ci siano file interminabili di persone e poi davanti al Tabernacolo, dove è presente realmente Dio, si vedano così poche persone?”.

B-Carlo-Acutis dans Papa Francesco I

DESIDERIO DI SANTITÀ
Dal canto suo, Carlo desiderava diventare santo più di ogni altra cosa al mondo ed era profondamente convinto che non solo lui, ma tutti fossero chiamati alla santità. Per spiegare questa chiamata del Cielo che investiva davvero ogni uomo, Carlo ripeteva: “Tutti nascono originali, ma molti muoiono fotocopie”.

Ebbene, se qualcuno ora pensasse che le pie aspirazioni di Carlo venissero orientate da un contesto familiare marcatamente cattolico, rimarrebbe sorpreso nel sapere che in casa Acutis accadde esattamente il contrario. Sarà l’amore totalizzante e il desiderio così bruciante di Carlo per le cose del Cielo che “obbligherà” la fede tiepida e superficiale dei suoi genitori a diventare una fede autentica.

Mamma Antonia confessa che quando Carlo aveva circa cinque anni, imbarazzata dalle sue domande tanto precise e profonde su Gesù, arrivò persino ad iscriversi ad alcuni corsi presso la facoltà di teologia di Milano. E non esagera quando dice che il suo figlioletto è stato per lei come un piccolo salvatore, proprio perché l’ha salvata da una vita lontana da Dio.

Il bruciante desiderio di diventar Santo che accompagnò il piccolo grande Carlo per tutta la vita, lo preparò perfettamente anche alla morte, che per lui non era altro se non il sospirato momento dell’incontro con il suo adorato Gesù.

Così, quando entrò in ospedale per un improvviso malessere, che poi si rivelò una leucemia fulminante, Carlo capì subito cosa gli stesse accadendo. Da quel momento accettò ogni cosa con grande abbandono, comprese le tremende sofferenze di quei giorni: offrì tutto per il Papa e per la Santa Chiesa. E quando arrivò la “sua ora”, la accolse con il sorriso sulle labbra e il volto già trasfigurato da quella Luce eucaristica che aveva adorato per tutta la vita.

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Santa Filomena

Posté par atempodiblog le 11 août 2020

Santa Filomena dans Beata Pauline Marie Jaricot santa-filomena-e-il-santo-curato-d-ars

Filomena martire cristiana?
Il culto di Santa Filomena e anche tutti gli interrogativi sulla sua identità hanno origine a Roma il 25 maggio del 1802 durante gli scavi nella Catacomba di Priscilla sulla via Salaria, quando vengono scoperte le ossa di una giovane di tredici o quattordici anni e un vasetto contenente un liquido ritenuto sangue della Santa. Il loculo era chiuso da tre tegole di terracotta su cui era inciso: “LUMENA PAX TE CUM FI”. Si credette che, per inavvertenza, fosse stato invertito l’ordine dei tre frammenti risalenti tra il III e il IV sec d.C. e che si dovesse leggere: « PAX TE / CUM FI / LUMENA” cioé: « La pace sia con te, Filomena ». I diversi segni decorativi intorno al nome inoltre – soprattutto la palma e le lance – portarono ad attribuire queste ossa ad una martire cristiana dei primi secoli. All’epoca, infatti, si riteneva che la maggior parte dei corpi presenti nelle Catacombe risalissero alle persecuzioni dell’epoca apostolica.

Le reliquie e i prodigi a Mugnano del Cardinale
Furono queste reliquie ad essere in seguito portate, per richiesta del sacerdote nolano Francesco De Lucia, a Mugnano del Cardinale, in provincia di Avellino, nella chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, dove sono tuttora. Qui i primi miracoli raccontati proprio da mons. De Lucia. Attirato da quanto succedeva Papa Leone XII concesse al Santuario la lapide originaria che Pio VII aveva fatto trasferire nel lapidario Vaticano. Nel 1833, in questo contesto, si inserì la “Rivelazione” di suor Maria Luisa di Gesù che contribuì a diffondere il culto di Santa Filomena in Europa e in America. Personaggi noti come Paolina Jaricot, fondatrice dell’Opera della Propagazione della Fede e del Rosario vivente, e il santo Curato d’Ars ricevettero la guarigione completa dei loro mali per intercessione della santa e ne divennero ferventi devoti.

La biografia secondo Suor M. Luisa di Gesù
E’ proprio il racconto di suor Maria Luisa a svelare la storia della Santa. La suora affermò che la vita di Filomena le era stata narrata per “rivelazione” dalla santa stessa. Filomena sarebbe stata figlia di un re della Grecia convertitosi al cristianesimo e per questo divenuto padre. A 13 anni consacrò a Dio con voto la sua castità verginale. Fu allora che l’imperatore Diocleziano dichiarò guerra a suo padre: la famiglia si vide costretta allora a trasferirsi a Roma per trattare la pace. L’imperatore si innamorò della fanciulla, ma al suo rifiuto la sottopose ad una serie di tormenti da cui sempre fu salvata fino alla definitiva decapitazione. Due ancore, tre frecce, una palma e un fiore sono i simboli, raffigurati sulle tegole del cimitero di Priscilla, che furono interpretati come simboli del martirio. Ma uno studio più approfondito dei reperti archeologici attestò l’assenza della scritta martyr e fece decadere la possibilità della morte per martirio; inoltre nell’ampolla trovata accanto ai resti si provò che non vi fosse sangue ma profumi tipici delle sepolture dei primi cristiani. In definitiva il corpo era di una fanciulla morta nel IV secolo sul cui sepolcro erano state utilizzate tegole con iscrizioni di un precedente sepolcro. La Sacra Congregazione dei Riti nella Riforma Liturgica degli anni ’60 tolse allora dal calendario il nome di Filomena. Ma il culto rimase.

La Devozione resta
La “Santina” del Curato D’Ars, come molti chiamano Santa Filomena, fu venerata in particolare da San Pio da Pietrelcina sin da bambino. La chiamava “la principessina del Paradiso” e a chi osava mettere in discussione la sua esistenza, rispondeva che i dubbi erano frutto del demonio e ripeteva: “Può pure darsi che non si chiami Filomena! Ma questa Santa ha fatto dei miracoli e non è stato il nome che li ha fatti!”. Tutt’oggi Filomena intercede per molte anime e numerosi fedeli si recano a pregare davanti alle sue spoglie. E’ considerata la protettrice degli afflitti e dei giovani sposi e molte volte ha donato la gioia della maternità a madri sterili.

Tratto da: Vatican News

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La consacrazione del Montfort, per affrontare questi tempi

Posté par atempodiblog le 28 avril 2020

AD IESUM PER MARIAM
La consacrazione del Montfort, per affrontare questi tempi
San Luigi, nel “Trattato”, propone la consacrazione per le mani di Maria quale via diretta per unirsi a Gesù. Il fedele rende così la Vergine «depositaria» dei propri meriti. È un cammino pensato per tutti, religiosi e laici, e quantomai necessario in quest’epoca di intensa battaglia spirituale: gli «ultimi tempi», li chiama Montfort, in cui la Madonna appare «terribile contro il demonio e i suoi seguaci».
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria

La consacrazione del Montfort, per affrontare questi tempi dans Apparizioni mariane e santuari Maria-Santissima
«Io sono tutto tuo e tutto quanto posseggo te lo offro, amabile mio Gesù, per mezzo di Maria, tua Santissima Madre» (formula breve di consacrazione quotidiana – Trattato della vera devozione, 233).

Ci sono schiavitù scambiate, attraverso la terrena maschera del peccato, per libertà. E c’è invece la così chiamata “schiavitù mariana” che fa godere dell’unica e vera libertà, quella in Gesù Cristo. Come diventare schiavi di Gesù in Maria è il tema al centro del “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine”, l’opera principale di san Luigi Maria Grignion di Montfort (1673-1716), celebrato oggi dalla Chiesa.

È un testo che è rivolto a tutti – laici, religiosi, sacerdoti - poiché propone una consacrazione per le mani di Maria che il Montfort definisce «via facile, breve, perfetta e sicura per giungere all’unione con Gesù Cristo Signore, nella quale consiste la perfezione cristiana» (VD, 152).

Quale creatura, infatti, conosce e ama il Figlio più della Madre? Il fatto che Maria sia stata «finora sconosciuta» è, per il grande santo francese, «uno dei motivi per cui Gesù Cristo non è conosciuto come si dovrebbe. È dunque sicuro che la conoscenza di Gesù Cristo e la venuta del suo regno nel mondo non saranno che la conseguenza necessaria della conoscenza della Santa Vergine e della venuta del regno di Maria, che lo ha messo al mondo la prima volta e che lo farà risplendere la seconda» (VD, 13).

San Luigi Maria scriveva il Trattato in un periodo storico in cui la fede cattolica – e con essa la devozione mariana – era bersagliata da più parti: giansenisti, protestanti, razionalisti, ecc. Il suo manoscritto, composto verso il 1712, rimase nascosto per circa 130 anni (dunque sconosciuto per tutto il tempo dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese e oltre), venendo ritrovato provvidenzialmente nel 1842 e stampato l’anno dopo.

Ricorrente è il pensiero che Maria sarà tanto più conosciuta e amata dalle anime fedeli in quelli che il Montfort chiama «gli ultimi tempi», perché «l’Altissimo e la sua Santa Madre devono formare dei grandi santi, i quali saranno così eccelsi in santità da superare la gran parte degli altri santi, come i cedri del Libano superano i piccoli arbusti» (VD, 47). Maria «deve risultare terribile contro il demonio e i suoi seguaci, terribile come schiere a vessilli spiegati, soprattutto in questi ultimi tempi» (VD, 50).

Consacrarsi a Lei diventa allora quantomai necessario in un’epoca, come la nostra, in cui infuria la battaglia tra la Donna vestita di sole e il drago dell’Apocalisse (Ap 12). Si tratta infatti – riassume il Montfort – di scegliere se essere schiavi di Satana o di Gesù, se seguire l’angelo ribelle nella dannazione eterna o accogliere l’amore del Signore crocifisso e risorto, godendo con Lui della gloria del Paradiso.

Di qui la proposta di quella che il santo chiama perfetta consacrazione a Gesù Cristo: «Ora, essendo Maria, tra tutte le creature, la più conforme a Gesù Cristo, ne segue che, tra tutte le devozioni, quella che consacra e conforma di più un’anima a Gesù Cristo Signore è la devozione alla Santa Vergine, Sua Madre, e che più un’anima sarà consacrata a Maria, più lo sarà a Gesù Cristo» (VD, 120). Maria è quindi il «mezzo perfetto» per unirci a Gesù «nostro ultimo fine»: è la Mediatrice che ci avvicina, in umiltà, all’unico Mediatore presso il Padre.

Con la sua mariologia perfettamente cristocentrica e trinitaria, il Montfort fuga i dubbi e smonta gli argomenti di quanti allora vedevano nella devozione a Maria un possibile ostacolo sulla via verso il Figlio. Un problema che rimane di grande attualità, se si pensa alle remore che ancora oggi non pochi teologi nutrono verso la consacrazione a Maria. Il santo, che individuò sette falsi tipi di devozione, li avrebbe probabilmente chiamati «devoti scrupolosi», cioè le «persone che temono di disonorare il Figlio onorando la Madre, di abbassare l’uno elevando l’altra» (VD, 94).

La vera devozione a Maria ha cinque tratti fondamentali (interiore, tenera, santa, costante, disinteressata). In particolare, deve essere «tenera, cioè piena di fiducia nella Santa Vergine, come quella di un bambino nei confronti della sua buona mamma. […] in ogni momento, in ogni luogo e per tutto, l’anima invoca l’aiuto della sua buona Madre: nei dubbi, per essere illuminata; negli smarrimenti, per ritrovare il cammino; nelle tentazioni, per essere sostenuta; nelle debolezze, per essere rinvigorita; nelle cadute, per essere rialzata; negli scoraggiamenti, per essere rincuorata; negli scrupoli, per esserne liberata; nelle croci, nelle fatiche e nelle contrarietà della vita, per essere consolata» (VD, 107). La vera devozione dovrà anche essere «santa, cioè deve condurre un’anima a evitare il peccato e a imitare le virtù della Vergine…» (VD, 108).

Grande merito del Montfort è di aver considerato questa consacrazione come «una perfetta rinnovazione dei voti e delle promesse del santo Battesimo». L’una e l’altro impegnano il cristiano a rinunciare a Satana e donarsi a Gesù. In più, rispetto al Battesimo, ci si dona al Figlio espressamente «per le mani di Maria» e si rende la Vergine «depositaria universale» di tutto ciò che abbiamo, quindi il nostro corpo e la nostra anima, i beni materiali, «i beni interiori e spirituali, che sono i meriti, le virtù, le buone opere: passate, presenti e future». Questo significa che sarà Lei, Sede della Sapienza, a disporre dei meriti di chi le si consacra, per il maggior bene dell’anima e a maggior gloria di Dio.

Si tratta in breve di fidarsi meno di sé stessi e, nel medesimo tempo, aumentare la propria fiducia in Lei, Madre del buon consiglio. Questa fiducia e obbedienza – a imitazione di Gesù che per 30 anni visse a Lei sottomesso crescendo in sapienza, età e grazia - avrà sublimi conseguenze. Infatti, poiché la Santa Vergine «non si lascia mai vincere in amore e generosità», scrive ancora san Luigi Maria, «si dà ella stessa interamente e in modo inarrivabile a colui che le dona tutto. Lo sommerge nell’abisso delle sue grazie, lo adorna dei suoi meriti, lo sostiene con il suo potere, lo illumina con la sua luce, lo infiamma del suo amore, gli comunica le sue virtù» (VD, 144).

In tempi di intensa lotta spirituale come gli attuali, ci permettiamo allora questo consiglio: fare un cammino che può iniziare leggendo il Trattato e proseguire con l’aiuto di un sacerdote. Così da andare a Gesù, per Maria.

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UN TRATTORE IN PIAZZA DUOMO A MILANO/ C’è ancora una fede che chiede tutto a Dio

Posté par atempodiblog le 15 avril 2020

UN TRATTORE IN PIAZZA DUOMO A MILANO/ C’è ancora una fede che chiede tutto a Dio
Un curioso episodio in Piazza del Duomo a Milano: due contadini sono arrivati in trattore con una statua della Madonna
di Renato Farina – Il Sussidiario
Tratto da: Radio Maria

UN TRATTORE IN PIAZZA DUOMO A MILANO/ C’è ancora una fede che chiede tutto a Dio dans Articoli di Giornali e News Trattore-davanti-al-Duomo

Esiste un’Italia che è un mistero. È quella che ha il cuore di un bambino. Guardandola in azione si resta sorpresi della sua esistenza, che è una promessa di rinascita.

Le immagini mostrano un trattore verde e pulito in piazza Duomo a Milano. Sul cui muso sta posata, come la polena di una nave vichinga, la statua della Madonna di Fatima, sui fianchi sono appesi i poster di Gesù benedicente e del suo Sacro Cuore. Un uomo, nella giacca di fustagno marrone dei contadini e il cappello della festa, scende e tiene in mano un cero da accendere davanti alla chiesa madre dei lombardi, con la Madonnina tutta d’oro puntata in cielo e con le braccia larghe ad accogliere noi che stiamo giù.

Ecco, salta giù dal trattore il guidatore in tuta da lavoro in campagna. Si mette in ginocchio accanto al suo compagno di pellegrinaggio. Venivano dai campi di Pavia. Avevano la mascherina, non facevano ressa o moltitudine. Erano convinti di essere in regola con le leggi.

La polizia municipale li ha avvicinati. Ha spiegato che questa gita era vietata, non si può di questi tempi. Ma neppure in tempi normali sarebbe stato consentito! Un trattore in piazza Duomo, ma quando mai. L’ultimo che aveva fatto questo tipo di scorribande era stato il camilliano Fratel Ettore Boschini. Piazzava la statua della Madonna di Fatima sul tettuccio della sua scassata utilitaria francese e con l’alto parlante invitava a pregare in Duomo il Rosario. I ghisa lo lasciavano passare, Fratel Ettore soccorreva i barboni, spingeva chiunque ad accorgersi dei poveri intorno. Ora per lui è aperta la causa di beatificazione. Così alla Pasqua dell’Angelo.

Quante cose ci dice questa storia fuori dai canoni della Milano ipermoderna. Esiste una fede popolare, senza ira, senza odio per nessuno, la quale sa che il cambiamento, la guarigione dall’epidemia, la salvezza eterna che comincia ora ha per protagonista la preghiera, la mendicanza a Cristo e a sua Madre Maria. Risponderà il buon Dio? Questi due pellegrini pavesi sono già parte di questa risposta. Non so come ma il Divino si rende presente in questa umanità che si offre come il pane e il vino al nostro sguardo desolato.

Ora un po’ meno desolato grazie a quei due contadini. I quali – multati o no, non sappiamo – sono rientrati a casa come se tornassero dal Santo Sepolcro di Gerusalemme. Che la Madonna li esaudisca.

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La catechesi e la bellezza di Dio

Posté par atempodiblog le 16 février 2020

La catechesi e la bellezza di Dio
+ Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

La catechesi e la bellezza di Dio dans Fede, morale e teologia Maria-e-il-Bambin-Ges
Madonna del Latte, XVIII sec., Santa Maria Maggiore, Vasto

Messaggio per la Quaresima e la Pasqua 2020

Dedico questo messaggio per la Quaresima 2020 alla catechesi, attività che impegna tutte le nostre comunità parrocchiali e che raggiunge la quasi totalità dei nostri ragazzi, in un contesto profondamente diverso rispetto anche a pochi anni fa, perché tante sono le sfide nuove (basti pensare all’oceano rappresentato dalla “rete” e alla sua presa sui giovani), mentre non pochi tendono ancora a fare catechesi come se nulla fosse cambiato. Ne consegue spesso una difficoltà comunicativa, dovuta anche alla notevole diversità di linguaggi fra chi fa catechesi e i ragazzi cui essa è rivolta, non senza una certa frustrazione per alcuni catechisti. Essere catechisti, però, è bello e può dare tanta gioia, perché vuol dire generare ed educare alla fede molti ragazzi, che potranno ricordare per la vita quanto sapremo loro trasmettere della bellezza di Dio e dell’amicizia con Gesù. Perciò vale la pena riflettere e verificarci insieme su questo compito, arduo e significativo. Risponderò a poche domande essenziali, confidando nello sviluppo e nell’approfondimento che i catechisti potranno fare dei vari punti con l’aiuto dei loro parroci e dell’Ufficio Catechistico Diocesano. Aiuti tutti noi in questo impegno la Vergine Maria, che come Madre tenerissima diede al Figlio, divino bambino, il latte per la crescita umana e quello prezioso della conoscenza delle Scritture…

1. Che cos’è la catechesi? La catechesi è l’azione con cui la Chiesa attua l’iniziazione alla fede e l’educazione ad essa dei battezzati, introducendoli alla celebrazione dei divini misteri e all’esperienza dell’amore di Dio in Gesù Cristo, per illuminare così e interpretare alla luce della rivelazione la loro vita e la storia. Rivolta a chi ha già ricevuto il primo annuncio della fede, la catechesi promuove e alimenta i cammini di iniziazione, crescita e maturazione nella fede. Come il suo stesso nome indica (il verbo greco “katechéin” vuol dire “risuonare”, “far risuonare”) la catechesi fa risuonare la Parola di Dio in coloro che hanno già accolto la fede, hanno cominciato il loro cammino di continua conversione al Signore e intendono approfondirlo. Scopo della catechesi è, dunque, formare i credenti ad ascoltare e vivere il Vangelo di Gesù, per esprimerlo sempre più nella testimonianza della fede, della speranza e della carità. In quanto educazione alla vita in Cristo e nella Chiesa, la catechesi riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza, dall’adesione personale al Dio vivente all’accoglienza sempre più consapevole e fruttuosa dei contenuti della rivelazione. Essa ha la sua fonte nella Parola di Dio, trasmessa attraverso la vita e la voce della Chiesa e suscitatrice della fede, poiché «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Attraverso la Parola di Dio è lo Spirito Santo a insegnare, rendendo possibile l’incontro con il Signore Gesù.
Ci chiediamo allora: l’idea e la pratica della catechesi che ci sforziamo di vivere corrispondono a ciò che la catechesi è chiamata ad essere secondo l’insegnamento della Chiesa?

2. Quali sono le fonti della catechesi? Se è alla Parola di Dio che la catechesi si alimenta, un ruolo peculiare nella fedele trasmissione e interpretazione di essa lo riveste il magistero della Chiesa, sotto la cui guida, «il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte» (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium 12). La liturgia è parimenti una fonte essenziale della catechesi, non soltanto per i contenuti che offre, ma anche e in modo peculiare per l’esperienza del Mistero che fa vivere: «La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti e, soprattutto, nell’Eucaristia che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini» (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae 23). Far prendere coscienza della ricchezza offerta nelle azioni liturgiche è compito della “mistagogia”, che è il cammino catechetico vissuto a partire dall’esperienza degli eventi sacramentali e dell’azione della Grazia divina in essi, per fare propri i doni ricevuti e trarne pieno frutto per la vita. Con la Parola di Dio e il Magistero ecclesiale, possono essere fonte feconda di catechesi gli esempi, le vite e gli scritti dei santi e dei martiri di ogni lingua e popolo. La teologia porta a sua volta un contributo importante al cammino catechetico mediante l’intelligenza critica dei contenuti della fede, approfonditi e ordinati sistematicamente. Anche la “via della bellezza”, attraverso tutte le possibili espressioni artistiche ispirate dalla fede, costituisce un prezioso accesso al dono del Padre fatto nel suo Figlio, “il bel pastore” (Gv 10,11), sotto l’azione dello Spirito Consolatore: si pensi all’incidenza catechetica dell’arte cristiana, sia figurativa, che letteraria o musicale.
Attingiamo i contenuti della nostra catechesi alla Parola di Dio, trasmessa e interpretata dal magistero della Chiesa, sotto la guida dei pastori e con l’aiuto di esperti biblisti, teologi e catecheti? Facciamo tesoro del nugolo di testimoni e di testimonianze che ci viene dalla storia della fede attraverso i secoli?

3. Quali i contenuti centrali della catechesi? Al centro di ogni itinerario di catechesi ci sono la persona e il messaggio di Gesù Cristo, principi unificatori e totalizzanti della vita dei credenti. Si può dire che «lo scopo definitivo della catechesi è di mettere non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della santa Trinità» (Catechesi tradendae 5). La comunione con Cristo è il centro della vita cristiana e, di conseguenza, il centro dell’azione catechistica. La conoscenza credente del mistero di Cristo conduce alla confessione di fede nella Trinità Santa, unico Dio, che è Amore (1 Gv 4, 8.16), nell’unità del Padre, fonte dell’amore, del Figlio, che riceve e ricambia l’amore, e dello Spirito Santo, amore personale, donato e ricevuto nella reciprocità della relazione fra il Padre e il Figlio nella Trinità divina, unico Dio, eterno Amore. Chi per il primo annuncio accoglie Gesù Cristo e lo riconosce come Signore, inizia un processo, aiutato dalla catechesi, teso a sfociare nella confessione esplicita della Trinità. Sull’esempio di quanto ha fatto Gesù al fine di formare i suoi discepoli, la catechesi intende condurre alla conoscenza e alla pratica della fede rivelata in Cristo, insegnando a pregare e a celebrare i divini misteri, formando all’imitazione del Signore, mite e umile di cuore, e iniziando i discepoli alla vita di comunione con Lui e tra loro e alla missione verso l’intera famiglia umana. L’attenzione ai destinatari della catechesi esige poi che la presentazione del messaggio sia adattata alle diverse fasi della loro crescita.
È la nostra catechesi attenta a trasmettere fedelmente tutti i contenuti fondamentali della fede della Chiesa necessari alla salvezza offertaci in Gesù Cristo? È tale da adattarsi alle diverse fasi della crescita dei ragazzi cui ci rivolgiamo?

4. Per una formazione integrale del cristiano. La catechesi può definirsi, dunque, come «una formazione cristiana integrale, aperta a tutte le componenti della vita cristiana. In virtù della sua stessa dinamica interna, la fede esige di essere conosciuta, celebrata, vissuta e fatta preghiera. La catechesi deve coltivare ciascuna di queste dimensioni. La fede, però, si vive nella comunità cristiana e si annuncia nella missione: è una fede condivisa e annunciata. Pure queste dimensioni devono essere favorite dalla catechesi» (Benedetto XVI, Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007, 17). In questa prospettiva si comprende l’importanza del coinvolgimento della famiglia nella catechesi dei figli, in quanto essa è chiamata ad essere per loro la prima scuola di umanità, di socialità, di vita ecclesiale e di fede: una catechesi rivolta alle famiglie per meglio responsabilizzarle nell’educazione cristiana dei figli appare quanto mai necessaria, anche se tante difficoltà si riscontrano nei tentativi di realizzarla adeguatamente. Non sarà mai abbastanza sottolineato il fatto che «l’approfondimento nella conoscenza della fede illumina cristianamente l’esistenza umana, alimenta la vita di fede e abilita altresì a rendere ragione di essa nel mondo. La consegna del simbolo, compendio della Scrittura e della fede della Chiesa, esprime la realizzazione di questo compito» (Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, 15 agosto 1997, 85). È quanto ci sforziamo di vivere nella nostra Chiesa diocesana attraverso l’opera generosa di tanti catechisti, impegnati nella trasmissione della fede: a significare questo sforzo veramente corale celebriamo la giornata della “traditio Symboli”, in cui il Vescovo a nome di tutta la comunità ecclesiale consegna ai cresimandi dell’anno il Simbolo degli Apostoli, confessione di fede “breve e grande”, come la definiva Sant’Agostino.
Ci chiediamo allora: viene vissuta fra noi la catechesi come formazione integrale alla vita cristiana in tutti gli aspetti che essa comporta, a partire dalla professione di fede accolta e confessata nella tradizione apostolica della Chiesa, testimoniata dalla comunità cristiana nel suo insieme?

5. L’impegno del catechista nella comunità tutta evangelizzante. Condurre alla conoscenza della fede non è un’operazione solo mentale: essa implica la testimonianza e il coinvolgimento personale del catechista, perché è solo credendo e amando che fede e carità possono essere trasmesse agli altri, specie a coloro che sono impegnati nel percorso catechetico. Sant’Agostino nel De catechizandis rudibus (Catechesi dei principianti) afferma: “Non c’è invito più grande ad amare che prevenire nell’amore” (4,7: “Nulla maior est ad amorem invitatio quam praevenire amando”). È amando che si insegna ad amare, è credendo e sperando che si comunicano la fede e la speranza. Per questo chi vive il servizio della catechesi deve essere anzitutto una persona dalla fede viva, nutrita di preghiera e attiva nella carità, che parla prima con l’eloquenza della vita e poi con le parole e si forma con impegno e dedizione al compito da svolgere, preparandosi con lo studio e la preghiera agli incontri di catechesi, vivendo un’intensa vita ecclesiale nella fedeltà a Cristo, alla Chiesa e ai suoi pastori, e camminando insieme con tutto il popolo di Dio, nell’apertura al respiro cattolico della comunione ecclesiale. Risulta, poi, di fondamentale importanza che i catechisti abbiano a cuore la comunione fra loro, superando rivalità, tensioni, gelosie, che possono essere sempre in agguato. La responsabilità di tutta la comunità cristiana in ordine alla catechesi va continuamente richiamata ed educata, per far sì che quanto in essa viene appreso dai ragazzi possa essere sperimentato nell’accoglienza di comunità vive nella fede e operose nella testimonianza del Vangelo e della carità vissuta. Anche le diverse aggregazioni ecclesiali devono sentirsi coinvolte in questo compito, in piena sintonia con l’azione pastorale delle parrocchie e della Chiesa diocesana.
Chiedo perciò ai nostri catechisti: vivete la vostra vita di fede in una intensa partecipazione alla vita ecclesiale, in piena comunione col Vescovo e i pastori da lui inviati nelle comunità parrocchiali?

6. La formazione permanente dei catechisti. La formazione permanente è un aiuto prezioso e necessario per chi vuole attuare al meglio questi compiti e deve essere costantemente promossa dal Vescovo, primo catechista della Chiesa diocesana, e dai suoi collaboratori, richiesta e seguita da chi è chiamato al servizio della catechesi. Essa deve coniugare momenti di preghiera e di spiritualità, aggiornamento teologico e pastorale, esperienze di vita ecclesiale sia nell’ambito catechetico, che in quello caritativo e di evangelizzazione. Il catechista si immedesimerà nella figura dei discepoli di Emmaus, che si lasciano illuminare dalla parola del divino Viandante, lo riconoscono alla mensa condivisa con Lui e vanno ad annunciare con entusiasmo che Lui è risorto e che essi lo hanno incontrato. In particolare, è importante che il catechista trasmetta la fede parlando con il cuore, come ci ha ricordato Papa Francesco al numero 144 della Evangelii Gaudium: “Parlare con il cuore implica mantenerlo non solo ardente, ma illuminato dall’integrità della Rivelazione e dal cammino che la Parola di Dio ha percorso nel cuore della Chiesa e del nostro popolo fedele lungo il corso della storia. L’identità cristiana, che è quell’abbraccio battesimale che ci ha dato da piccoli il Padre, ci fa anelare, come figli prodighi – e prediletti in Maria -, all’altro abbraccio, quello del Padre misericordioso che ci attende nella gloria. Far sì che il nostro popolo si senta come in mezzo tra questi due abbracci, è il compito difficile ma bello di chi predica il Vangelo”.
Ci chiediamo allora: viene promossa e attuata fra noi la formazione permanente dei catechisti? Viene partecipata con impegno dai catechisti, consapevoli di quanto essa sia necessaria sia sul piano dei metodi catechetici, che su quello dei contenuti da conoscere e approfondire sempre più e sempre meglio? Facendo catechesi ci sforziamo di parlare con il cuore, con ardore di fede e conoscenza illuminata, vivendo con sincera partecipazione la comunione ecclesiale?

7. Preghiera del catechista. Chiediamo tutto questo al Signore, con le parole del vescovo don Tonino Bello, catecheta irradiante della gioia cristiana, che ci accompagna dal cielo con la sua intercessione:

“Chiamato ad annunciare la tua Parola, aiutami, Signore, a vivere di Te e ad essere strumento della tua pace. Assistimi con la tua luce, perché i ragazzi che la comunità mi ha affidato trovino in me un testimone credibile del Vangelo. Toccami il cuore e rendimi trasparente la vita, perché le parole, quando veicolano la tua, non suonino false sulle mie labbra. Esercita su di me un fascino così potente che io abbia a pensare come te, ad amare la gente come te, a giudicare la storia come te. Concedimi il gaudio di lavorare in comunione e inondami di tristezza ogni volta che, isolandomi dagli altri, pretendo di fare la mia corsa da solo. Infondi in me una grande passione per la verità, e impediscimi di parlare in tuo nome se prima non ti ho consultato con lo studio e non ho tribolato nella ricerca. Salvami dalla presunzione di sapere tutto. Dal rigore di chi non perdona debolezze… Trasportami, dal Tabor della contemplazione, alla pianura dell’impegno quotidiano. E se l’azione inaridirà la mia vita, riconducimi sulla montagna del silenzio. Dalle alture… il mio sguardo missionario arriverà più facilmente agli estremi confini della terra. Affidami a tua Madre. Dammi la gioia di custodire i miei ragazzi come Lei custodì Giovanni. E quando, come Lei, anch’io sarò provato dal martirio, fa’ che ogni tanto possa trovare riposo reclinando il capo sulla sua spalla. Amen!” (Dio scommette su di noi. Pregare con Don Tonino Bello, Paoline, Roma 2019, 162-164).

+ Bruno
Padre Arcivescovo

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«Così la Madonna e mia moglie mi hanno salvato»

Posté par atempodiblog le 16 février 2020

«Così la Madonna e mia moglie mi hanno salvato»
Antonio ha raccontato alla Nuova Bussola Quotidiana di quando «bestemmiavo la Madonna, consigliavo l’aborto, tradivo e spingevo gli amici a tradire». Finché sua moglie, tornata da Medjugorje, cominciò a pregare tutto il giorno, a digiunare due volte alla settimana, a partecipare alla Messa e a confessarsi: «Era cambiata: nonostante fossi stato nel letto di un’altra, mi chiedeva se doveva stirarmi una camicia o se volevo il caffè». La pace che irradiava spinse Antonio in Erzegovina: «Arrivai che volevo bruciare tutto, tornai che amavo Dio e la mia famiglia».
di Benedetta Frigerio – La nuova Bussola Quotidiana

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Antonio e Mariele, originari della provincia di Napoli, si sposarono ventenni a marzo del 1999 dopo 5 anni di fidanzamento. «Il matrimonio fu in Chiesa perché dalle nostre parti è d’usanza, ma né io né lei provenivamo da famiglie praticanti». D’altra parte, spiega Antonio alla Nuova Bussola Quotidiana, «volevo sposare una brava ragazza per poi vivere da “uomo vero” che comanda e va alla conquista di altre donne, motivo per cui l’avevo già tradita durante il fidanzamento: avevo una doppia vita, due schede di cellulare e due maschere, di cui lei non sapeva nulla. Anzi mi aveva sempre dato molta fiducia». I coniugi si trasferirono in provincia di Reggio Emilia, dove Antonio era abilissimo a recitare la parte del «marito affettuoso, mentre fuori ero tutt’altro. Volevo sempre di più: cercavo le donne sposate, fino ai locali per scambisti». Era convinto di dominare la situazione ma «quando ti avvicini al fuoco alla fine ti bruci: il peccato si impossessa di te». Perciò nel 2007 «volevo la mia totale libertà, dissi tutto a mia moglie e me ne andai, sebbene avessimo due figli di 8 e 5 anni per cui a Mariele crollò il mondo addosso».

Antonio viveva solo «nella lussuria, anche se poi andavo a casa a mettere a posto la coscienza: facevo il papà part-time per non sentirmi proprio tremendo. E così me ne stavo tranquillo nel mio male. Nella mia testa mi sentivo felice, libero finalmente». Ma accadde qualcosa di imprevisto, di cui solo più tardi comprese il motivo. «Il quarto mese in cui ero fuori casa, cominciai ad avere dei pensieri suicidi: se guidavo pensavo ad andare fuori strada». Nel frattempo la moglie era venuta a conoscenza di un luogo «in cui la Madonna stava apparendo». Sebbene non fosse una donna di fede «Mariele andò a chiedere la grazia della mia conversione». Non disse a nessuno dove sarebbe andata ma «quando tornò capii che era completamente cambiata: prima mi rispondeva quando litigavamo e se doveva urlare parolacce lo faceva, anche perché io negli ultimi tempi avevo alzato le mani. Dopo quel viaggio però non rispondeva più, taceva, subiva tutto. Ma non passivamente: era piena di una pace inspiegabile, che poi capii essere soprannaturale». La cosa sconvolgente, però, era che «nonostante tornassi a casa dopo essere stato nel letto di un’altra, pur sapendolo lei mi chiedeva se doveva stirarmi una camicia o se volevo il caffè. E lo faceva con una dolcezza pazzesca».

Scoprendo la moglie a pregare e a leggere la Bibbia, «la mia violenza peggiorò: avevo un’avversione tremenda per il sacro (una volta le sputai in faccia mentre recitava il Rosario) ma lei non demordeva. Ne avevo quasi paura, ma nello stesso tempo mi faceva stare così bene che le chiesi dove fosse andata». Anche perché la depressione peggiorava: «Volevo andare là non certo per tornare con lei ma per uscire dal mio malessere e poi continuare a vivere la mia vita libertina». Finalmente Antonio ebbe la risposta: «Sono andata a Medjugorje, dove appare la Madonna dal 1981».

In realtà, grazie alle preghiere della moglie, stava vivendo una lotta interiore: «Ero un bestemmiatore incallito, ogni cinque minuti insultavo la Madonna (non posso ripetere cosa dicevo). Consigliavo l’aborto, spingevo gli amici a tradire le mogli, perciò, anche senza saperlo, ero un servo importante del demonio». Ma il fatto che «mia moglie avesse incominciato a seguire tutto quello che la Madonna chiede a Medjugorje (i cinque sassi: Eucarestia settimanale, Confessione mensile, lettura della Bibbia e Rosario quotidiani, digiuno) fece scendere in campo Dio». Mariele diceva ben 10 Rosari al giorno: «Iniziava la mattina presto finché, stremata, andava a letto. Poi andava a Messa la mattina per me e il pomeriggio per sé stessa, digiunava a pane e acqua mercoledì e venerdì (e continua a farlo), si confessava continuamente». E non c’era impegno che tenesse: «Si svegliava prima, pregava in strada, sotto la doccia, mentre faceva i mestieri. Poi seppi che faceva benedire l’acqua, il pane e il sale che io mangiavo… Mia moglie era in guerra e decise di usare ogni arma del cielo».

Così, nell’ottobre 2007 Antonio partì per Medjugorje chiedendo alla moglie di accompagnarlo, perché «in lei vedevo l’unica persona che mi poteva davvero aiutare. Non ero più il marito da riconquistare, ma un’anima da salvare e questo mi attraeva a lei». Ma la lotta drammatica fra Maria e il diavolo fu confermata dal fatto che «in quei mesi avevo sognato una notte il demonio sul mio letto che mi fissava (mi svegliai in una pozza di sudore) e un’altra Medjugorje (un bambino di nome Raffaele che mi accompagna in chiesa, due colline piene di persone, i sacerdoti che pregavano il Rosario, gente che piangeva davanti alla statua della Madonna)» e «quando arrivai lì ricordai il sogno». Messo piede a Medjugorje, «dopo aver passato il viaggio con le cuffie e la musica a tutto volume, chiedendo a mia moglie di tenermi lontano i sacerdoti, perché altrimenti li avrei picchiati, mi portarono subito in chiesa». Ma le migliaia di preghiere recitate in tante lingue fecero infuriare Antonio: «Dopo cinque minuti cominciai a bestemmiare, uscii dalla chiesa. Volevo scappare perché stavo impazzendo. Ma non c’erano mezzi per andarsene. Fumavo, fumavo, fumavo, finché mia moglie venne fuori consigliandomi di tornare in chiesa a pregare, perché sarei stato meglio». Di fronte al suo “no”, Mariele gli parlò della Confessione, «ma fuori dai confessionali c’era la fila e quindi cominciai ad insultare tutti dicendo: “Stupidi, cosa fate qui? Siete ridicoli”».

A quel punto «mia moglie mi disse che ero libero di andarmene ma che lei sarebbe tornata a pregare. Stavo malissimo, non potendo nemmeno fuggire, allora mi dissi: “Ok, ho chiesto io di venire”. E qui lanciai una sfida alla Madonna: “Se è vero che appari io faccio tutto quello che dici, ma tu devi farmi vedere che è vero. Altrimenti spacco e brucio tutto”». Eppure, «per me le donne erano esseri inferiori, figurati la Madonna, ma a quel punto ci provai e cominciai dalla Confessione». Per Antonio era la prima volta dopo la Prima Comunione: «Non dissi tutto ma fui assolto e in effetti la rabbia diminuì».

Il gruppo partecipò poi ad una Messa celebrata da padre Jozo «che ci fece leggere la preghiera di consacrazione alla Madonna». Antonio si commuove ancora pensando a quando ripetevo il «totus tuus, che fu l’inizio della mia liberazione». In ginocchio, a terra, piangeva senza capire il perché, «però mi sentivo così leggero che cominciai a pregare con gli altri. Anche se avevo ancora vergogna di stare con il rosario in mano». In questo caso però l’orgoglio lo aiutò: «Avevo detto che avrei fatto tutto e così dissi le mie prime “Ave Maria”. Poi vidi le colline del sogno per cui chiesi chi fosse Raffaele: mi risposero che era l’arcangelo, il medico che accompagna i malati da Dio. E qui cominciai a credere…».

Il giorno successivo il gruppo partecipò all’apparizione della Madonna a uno dei veggenti: «Rimasi tutto il tempo in ginocchio con la testa a terra. In quel momento mi entrò un fuoco dentro, caldo, e quella pace che trasmetteva mia moglie avvolse anche me. Piansi così tanto che non riuscivo ad alzarmi da terra». Quando si riprese, però, «decisi di confessare tutto il mio passato e il sacerdote mi diede dieci Rosari di penitenza». Antonio, non capendo ancora cosa fosse un Rosario, disse che avrebbe pregato: «Con l’aiuto degli altri cominciai. E più pregavo più ero felice, perciò domandavo a tutti cos’altro la Madonna chiedesse». Prima di partire la moglie consigliò ad Antonio di partecipare all’Adorazione eucaristica spiegandogli che lì c’è Gesù in persona: «Mi addormentai davanti a Lui in pace. Poi sognai che uscivo dal santuario e mia figlia piccola mi diceva: “Papà basta litigare con mamma, vieni a casa con noi”. Per non farla piangere dissi di sì, ma poi domandai a Maria: “Tu mi hai fatto veder tutto e anche di più, ma spiegami che senso ha questo sogno”». Durante l’ultima Messa, allo scambio della pace, mi sentii tirare la maglia. Comparve una bimba simile alla mia che prese la mano solo a me. Poi se ne andò sotto la statua della Madonna dove il padre soddisfatto le diede una pacca sulla spalla. Infine uscirono dalla chiesa anche se la Messa non era finita». Antonio capì poi che era la risposta della Madonna: «Se volevo la pace dovevo tornare a casa come voleva mia figlia. Così chiesi a Maria di darmi l’amore per la mia famiglia e poi domandai perdono anche a loro. Ero felice perché ero stato il peggiore dei peccatori ma ero stato perdonato. Tanto che dissi a Dio: “Ora che ti ho conosciuto posso anche morire”».

Il ritorno fu un trauma per gli altri, non per lui: «Quando mi chiamavano le donne dicevo loro che avevo incontrato Dio, lo stesso dicevo agli amici e ai parenti che mi vedevano pregare in continuazione». L’effetto fu che, dal trascinare decine di persone nella perdizione, Antonio divenne il tramite per la conversione «della mia famiglia intera (mio papà era un bestemmiatore), genitori, cugini, zii e degli amici. Nessuno credeva ai propri occhi, tutti volevano sapere. Tanti tornarono con me a Medjugorje e cominciarono a credere». A confermare che dove sovrabbondò il peccato ora sovrabbonda la grazia.

Ma il demonio ci riprovò: «Il secondo giorno dal ritorno da Medjugorje una zia mi chiese di andare a raccontarle tutto. In macchina avevo una busta di rosari da regalare, ma venni fermato da due prostitute che mi sbarrarono la strada: aprirono le porte della macchina, una mi salì davanti e una dietro. Cercavano qualcosa. Quella davanti provò a prendere il mio rosario, l’altra voleva la busta dei rosari. Riuscii a sottrarli dalle loro mani. Allora, con una voce tremenda, una mi disse: “Non mi toccare che ti ammazzo”. In quel momento capii che avevo a che fare con il demonio. Guardai il crocifisso appeso alla macchina e le dissi di andarsene. A quel punto se ne andarono. Fu lì che capii che satana era infuriato».

Ci sono state persone che ascoltando questa testimonianza si sono convertite, «anche se molti, quando mia moglie spiega che basta vivere i “cinque sassi”, trovano delle scuse: “Non riesco a digiunare, devo lavorare, eccetera”. Così non farai mai nulla. E non è che devi fare per ottenere, ma per abbandonarti completamente a Dio se vuoi vederlo all’opera». Come dice la Madonna: “Cari figli, dedicate il tempo solo a Gesù, e Lui vi darà tutto ciò che cercate, Lui vi si rivelerà in pienezza ». «Penso sempre a mia moglie che prima ancora di partire per Medjugorje, distrutta e bisognosa economicamente, trovò lavoro a tempo indeterminato. Il datore le disse: “O i cinque giorni via o il contratto”». Sappiamo cosa scelse Mariele… «fu così che io, maltrattarore di donne e bestemmiatore della più grande fra loro, fui salvato da due femmine».

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Commento al Vangelo: La Presentazione del Signore

Posté par atempodiblog le 2 février 2020

Commento al Vangelo: La Presentazione del Signore
Vangelo della Festa della Presentazione del Signore (Ciclo A) e commento al Vangelo.
Tratto da: OPUS DEI

Commento al Vangelo: La Presentazione del Signore dans Commenti al Vangelo Presentazione-di-Ges-al-Tempio

Vangelo (Lc 2, 22-40)

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo, che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

– Ora lascia, o Signore, che il tuo servo

vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti

e gloria del tuo popolo Israele.

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.

Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre:

– Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima.

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.


Commento

Il Vangelo della quarta domenica del tempo ordinario coincide con quello della festa della Presentazione del Signore che viene celebrata il 2 febbraio. San Luca ci racconta che Maria e Giuseppe salirono al Tempio di Gerusalemme “quando venne il tempo della loro purificazione”. Secondo le varie prescrizioni della Legge di Mosè (cfr. Lv 12, 1-8), da quando una donna israelita dava alla luce un maschio, dovevano passare un totale di 40 giorni prima di presentarsi al Tempio per compiere una cerimonia di purificazione rituale. La cerimonia includeva due offerte da sacrificare. Se la famiglia non aveva risorse sufficienti, poteva presentare un paio di tortore o di colombe.

La Sacra Famiglia, inoltre, approfittava della salita al Tempio per presentare il bambino al Signore e riscattarlo. Infatti la Legge di Mosè stabiliva che ogni primogenito di Israele apparteneva a Dio. Egli stesso aveva detto: “nel paese d’Egitto io mi riservai in Israele tutti i primogeniti degli uomini e degli animali; essi saranno miei” (Nm 3, 13). Pertanto era necessario presentarli al Signore e pagare per essi un riscatto (cfr. Es 13, 1-13), che consisteva in un certo numero di monete (cfr. Nm 18, 16).

Benché Gesù fosse il Figlio di Dio incarnato e la sua nascita fosse stata verginale, Maria e Giuseppe adempiono con riverenza e docilità tutte queste prescrizioni della Legge. Con loro stupore (cfr. v. 33), la scena e le vicende che accadono appaiono piene di un profondo significato. Le parole di Simeone riguardanti il bambino e sua madre sono rivestite di mistero. Il bambino che l’anziano prende fra le braccia è la salvezza di Dio incarnata (da qui il nome che gli è stato imposto: “Gesù”, Dio salva). Una salvezza che sarà luce per i pagani e gloria per Israele.

Poi Simeone fa due vaticini su Gesù e su Maria. Del bambino dice che sarà “segno di contraddizione”, perché l’incarnazione del Figlio di Dio è un segno che richiede a ogni persona una risposta impegnativa. In quanto, poi, all’annuncio della spada che trapasserà l’anima di Maria, Beda il Venerabile dice che Simone “si riferiva al dolore della Vergine per la passione del Signore. Benché Gesù Cristo muoia per propria volontà (come Figlio di Dio) e benché Ella non dubiti che avrebbe sconfitto la morte, tuttavia non avrebbe potuto assistere alla crocifissione del Figlio delle proprie viscere senza un sentimento di dolore”[1].

Il Catechismo della Chiesa condensa il mistero di tutta questa scena così: “La Presentazione di Gesù al Tempio (cfr. Lc 2, 22-39) lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore (cfr. Es 13, 2. 12-13). In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’Incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, ‘luce delle genti’ e ‘gloria di Israele’, ma anche ‘segno di contraddizione’, La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza ‘preparata da Dio davanti a tutti i popoli’”[2].

San Josemaría invitava a meditare il passo della Presentazione rivivendolo come un personaggio che si fosse trovato lì ed era molto interessato a tutto ciò che stava succedendo: “E questa volta sarai tu, piccolo amico, a portare la gabbia delle tortore. Vedi? Lei – l’Immacolata – si sottomette alla Legge come se fosse impura. Bambino mio, imparerai anche tu da questo esempio a non essere sciocco e a compiere la Santa Legge di Dio nonostante tutti i sacrifici che richiede? Purificarsi! Noi due sì che abbiamo bisogno di purificazione! – Espiare, per trovare aldilà dell’espiazione, l’Amore. Un amore che cauterizzi, che bruci le scorie della nostra anima, che sia fuoco che accende di fiamma divina la miseria del nostro cuore”[3].

Pablo M. Edo


[1] Catena Aurea, in loc.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 529.

[3] San Josemaría, Santo Rosario, quarto mistero gaudioso, La purificazione della Madonna.

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La fede di Kobe, un fatto che dà speranza (di vera gloria)

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2020

La morte del campione
La fede di Kobe, un fatto che dà speranza (di vera gloria)
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

La fede di Kobe, un fatto che dà speranza (di vera gloria) dans Articoli di Giornali e News Kobe-e-Gianna-Maria

L’ex cestista americano, 41 anni, la figlia tredicenne e altre 7 vittime in un incidente in elicottero. “Non si può morire così”, scrivono alcuni. Tra fiumi d’inchiostro, pressoché ignorato il rapporto di Kobe con la fede cattolica. Che pure è stato decisivo nella sua vita terrena, come rivelò lui stesso, e richiama a ciò che conta davvero: l’eternità

Sono passate meno di 48 ore dalla notizia dell’incidente mortale di Kobe Bryant, 41 anni, e degli altri otto passeggeri del suo elicottero, compresa la tredicenne Gianna Maria, una delle quattro figlie del fuoriclasse della pallacanestro. Meno di 48 ore, ma si è già detto e scritto di tutto. All’incredulità e allo sgomento iniziali si sono aggiunte tante domande sul perché di una tragedia così, sulle sue cause. Si sono ricordati successi, record, aneddoti personali su Kobe, nonché i sogni della giovanissima figlia, un astro nascente del basket femminile.

Il Sikorsky S-76B su cui viaggiavano le nove vittime, decollate pochi minuti dopo le 9 di domenica 26 gennaio, era diretto alla Mamba Academy (l’accademia cestistica fondata da Bryant, detto “the Black Mamba”), proprio per un torneo a cui avrebbe dovuto giocare Gianna Maria. C’è chi, anche sui giornali, ha parlato di morte “assurda”, che non si può morire così, nel pieno della vita. Eppure si muore così e in mille altri modi che sfuggono alle possibilità di controllo di ogni essere umano. Povero o ricco, bambino o anziano, vip o sconosciuto, giusto o ingiusto, perché non sappiamo «né il giorno né l’ora» (Mt 25, 13), come disse Gesù nella parabola delle dieci vergini, invitando a vegliare in vista dell’incontro con lo Sposo. L’importante è allora come ci si è preparati per quell’incontro, che vale il luogo dove passeremo la nostra eternità.

La gloria terrena di Kobe è cosa nota. A livello di squadra, cinque titoli Nba con i Los Angeles Lakers e due ori olimpici con la nazionale statunitense. A livello individuale, una quantità enorme di allori. Per esempio: due volte miglior marcatore della stagione, due volte miglior giocatore delle finali, una volta miglior giocatore della stagione regolare, 11 volte nel miglior team di tutta l’Nba, il più giovane giocatore dell’All-Star Game (19 anni e 175 giorni), più tiri da 3 messi a segno in un tempo (8), l’unico giocatore nella storia della Nba ad aver segnato 60 punti nella sua ultima gara da professionista (a quasi 38 anni), 33.643 punti totali, il quarto di tutti i tempi nella storia dell’Nba: LeBron James gli ha soffiato il terzo posto pochi giorni fa e lui si era congratulato con l’amico via Twitter proprio la domenica dello schianto.

I giornali di casa nostra si sono soffermati anche sullo speciale rapporto che legava il campione all’Italia, dove Kobe ha vissuto dai 6 ai 13 anni, seguendo con la famiglia gli spostamenti del padre Joe, cestista anche lui, che giocò per le squadre di Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Di qui, l’italiano fluente di Kobe e i nomi dati alle sue figlie: Natalia Diamante (2003), Gianna Maria (2006-2020), Bianka Bella (2016) e l’ultimogenita Capri Kobe (2019).

Molto meno conosciuto è invece il suo rapporto con la fede, anche in queste ore ignorato dal grande sistema mediatico, fatta salva qualche eccezione, prevalentemente di area cristiana.

Kobe era cresciuto in una famiglia cattolica e nella stessa fede ha voluto educare le sue figlie, nate dal matrimonio con Vanessa, cattolica anche lei e di quattro anni più giovane, sposata nel 2001 nella chiesa di Sant’Edoardo, a Dana Point (California).

Due anni più tardi, nel 2003, la nascita della primogenita ma anche uno scandalo che rischiava di travolgere per sempre la stella dell’Nba: una dipendente diciannovenne di un hotel del Colorado, dove Kobe aveva soggiornato, accusò il campione di averla stuprata. Seguì l’arresto, e la liberazione su cauzione. Bryant chiese pubblicamente perdono alla moglie, ammise l’adulterio, ma negò l’accusa dello stupro, sostenendo che si fosse trattato di un rapporto consensuale. Alcuni dei suoi maggiori sponsor rescissero il contratto con lui. Nel processo penale le accuse furono a un certo punto archiviate, mentre la causa civile venne risolta con un accordo tra le parti. Kobe aveva intanto fatto una dichiarazione pubblica di scuse alla ragazza e a tutte le persone offese dalla vicenda, sostenendo la linea del fraintendimento. Per lo stress dell’intera vicenda, la moglie Vanessa patì l’aborto spontaneo del loro secondo figlio.

In quella bufera personale e familiare, acuita dalla sovraesposizione mediatica, Kobe trovò la sua àncora di salvezza nella fede cattolica. Come spiegò in un’intervista a GQ nel 2015: «Avevo paura di andare in prigione? Sì. Amico, avevo 25 anni. Ero terrorizzato. L’unica cosa che mi ha davvero aiutato in quel processo – sono cattolico, sono cresciuto cattolico, i miei bambini sono cattolici – è stata parlare con un prete. In realtà è stato in qualche modo divertente. Lui mi guarda e dice: “L’hai fatto?”. E io dico: “Certo che no”. Poi chiede: “Hai un buon avvocato?”. E io: “Oh, sì, è fenomenale”. Allora lui mi disse solo: “Lascia correre, vai avanti. Dio non ti darà nulla che tu non possa affrontare, e ora è nelle Sue mani. Questo non è qualcosa che tu puoi controllare, quindi lascia correre”. E quello fu il punto di svolta».

Se l’affidamento a Dio lo salvò in quella circostanza, tuttavia le difficoltà e presumibilmente i vizi negli anni successivi riemersero, specie nel rapporto con la moglie. Nel 2011 Vanessa chiese il divorzio, parlando di “inconciliabili differenze”, come riferisce sempre GQ, ma il divorzio non si concretizzò e 13 mesi più tardi i due si riconciliarono, grazie anche alla volontà di Kobe di preservare il matrimonio: «Non ho intenzione di dire che il nostro matrimonio è perfetto […]. Noi lottiamo ancora, proprio come ogni coppia sposata. Ma sai, la mia reputazione di atleta è che sono estremamente determinato e che mi faccio un mazzo così. Come potrei farlo nella mia vita professionale se non fossi così nella mia vita personale, quando questa colpisce i miei figli? Non avrebbe alcun senso».

Kobe e sua moglie, come riporta la CNA, frequentavano regolarmente una parrocchia nella contea di Orange (California). E non solo per la Messa domenicale. La cantante Cristina Ballestero ha scritto un lungo post su Instagram sia per ricordare nella preghiera lui e la sua famiglia, sia per raccontare la sorpresa che ebbe nel vedere a Messa e ricevere l’Eucaristia, in un giorno infrasettimanale, Kobe Bryant.

Insieme alla moglie, il cestista ha dato vita a una fondazione per assistere in vari modi giovani senzatetto e dare una possibilità di crescita attraverso lo sport. Parlando di quest’opera nel 2012, spiegava di non voler un giorno guardare indietro e adagiarsi al pensiero: «Bene, ho avuto una carriera di successo perché ho vinto così tanti campionati e segnato così tanti punti», ma di voler lasciare un’eredità diversa, dicendosi: «Devi fare qualcosa che abbia un po’ più di peso, un po’ più di significato, un po’ più di scopo».

Padre David Barnes ha scritto su Twitter di aver saputo che domenica mattina, prima di prendere l’elicottero, Kobe è stato visto a Messa. E il sacerdote ha ricordato che «la Messa è adorazione di Dio. Il Paradiso è adorazione di Dio». Sa Dio dove si trova adesso Kobe. Per il resto, quel che è certo è che ora non serve chiedersi “perché” e rinchiudere lo sguardo dentro la sola prospettiva terrena, bensì offrire preghiere e suffragi per lui, gli altri defunti e per i loro cari rimasti quaggiù. Perché tutto cambia se si entra o no nell’unica ed eterna gloria, quella di Dio. Kobe, lo abbiamo visto, ci pensava. E si può credere che meditasse su questo passo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 19-21).

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Crepaldi e la verità: una normalità che fa notizia

Posté par atempodiblog le 11 janvier 2020

Crepaldi e la verità: una normalità che fa notizia
Ormai basta poco nella Chiesa per attirare l’attenzione del web e della stampa: basta dire qualcosa di normale e persino di ovvio. L’arcivescovo Crepaldi ha stigmatizzato i numerosi attacchi al cristianesimo di questi ultimi giorni. E i giornali si sono scatenati. La domanda da porsi, quindi, non è tanto perché abbia parlato il vescovo Crepaldi, ma perché non abbiano parlato gli altri.
di Stefano Fontana – La nuova Bussola Quotidiana

Crepaldi e la verità: una normalità che fa notizia dans Articoli di Giornali e News Padre-Crepaldi

Ormai basta poco nella Chiesa per attirare l’attenzione del web e della stampa: basta dire qualcosa di normale e persino di ovvio. Una cosa di questo genere è successa a Trieste il giorno dell’Epifania.

Breve antefatto del poema: a Roma un manifesto – poi ritirato – presentava un Cristo pedofilo. Una immagine diffusa da Roberto Saviano faceva vedere San Giuseppe che estraeva dall’utero di Maria a gambe aperte il Bambino Gesù. Dacia Maraini aveva scritto che se Gesù fosse venuto al mondo oggi sarebbe una “Sardina”. Poi c’erano stati gli incendi dei presepi in varie chiese, i danneggiamenti e le profanazioni. Questo il prologo, il poema inizia quando nel tempio triestino di Sant’Antonio Taumaturgo, al Porto Rosso, davanti allo spettacolare canale fatto aprire dalla regina Maria Teresa, il vescovo Giampaolo Crepaldi scende all’ambone e tiene la sua omelia.

Dopo aver ricordato e onorato le verità salvifiche rivelate da Dio all’uomo nell’Epifania con al centro la regalità e signoria del Bambino venerato dai Magi, il vescovo dice che queste verità hanno subito un’“attacco senza precedenti” verificatosi “durante le feste natalizie” che “è andato dispiegandosi in varie forme volgari e blasfeme”: dalla “identificazione della persona [di Cristo] con l’essere gay, pedofilo e “sardina”, fino a più sofisticate interpretazioni dei testi scritturistici che lo hanno privato della natura divina”, da parte di “intellettuali liberal convinti di essere i depositari di non si sa quale arcana verità”, “sempre loro e sempre quelli, ogni anno a spararla più grossa, spacciando patacche cristologiche in nome del progresso”.

D’un colpo queste parole così schiette sono rimbalzate su Facebook, giornali laici come Il Gazzettino, Il Giornale, Libero le hanno riprese e commentare, insieme a tanti blog e agenzie di informazione. Se Il Giornale dice che “Monsignor Crepaldi si è distinto per essere uno dei pochi consacrati a rispondere agli attacchi subiti dai fedeli in queste settimane”, nel suo Blog Aldo Maria Valli parla di lui come “un vescovo che non si nasconde”.

Ricordiamo che il 13 giugno 2019, l’arcivescovo Crepaldi, in un’altra famosa omelia, aveva fortemente criticato il gay pride FVG tenutosi in quei giorni aTriete: “Questo nostro incontro di preghiera vuole riparare le offese che sono state fatte a Dio e al popolo cristiano sabato 8 giugno nella nostra Città di Trieste durante la manifestazione denominata “Pride FVG”. Soprattutto con cartelli allusivi alle preghiere del Padre nostro e della Salve Regina si è colpito al cuore il nucleo più prezioso della nostra fede nel Cristo Signore e la nostra devozione alla Vergine Maria. Al di là dei linguaggi volgari utilizzati, è bene rimarcare un punto: quello che voleva essere un evento di lotta contro le discriminazioni, si è tradotto in un evento discriminatorio contro il popolo cristiano”.

I riflettori si sono puntati sull’ambone dove mons. Crepaldi teneva l’omelia dell’Epifania, e non invece su tutti gli altri vescovi italiani da cui non è venuta una parola sui tragici fatti. Nemmeno se Netflix programma un film con Gesù gay i vescovi si espongono? Fare le cose normali nella Chiesa di oggi diventa una notizia. È talmente strano che un vescovo dica queste cose da essere certamente vero e buono quanto egli dice.

La domanda da porsi, quindi, non è tanto perché abbia parlato il vescovo Crepaldi, ma perché non abbiano parlato gli altri. Una prima risposta è che probabilmente non vogliono fastidi: bandiere tricolori sotto il vescovado, articoli di condanna per intolleranza sui quotidiani locali, accuse di insensibilità pastorale, critiche di medievalismo. Oggi si dice che bisogna di tenere aperte le porte con tutti perché nessuno si senta escluso dall’amore materno della Chiesa. Di fatto, però, a sentirsi esclusi sono proprio i fedeli che non vengono protetti nelle cose in cui credono. Crepaldi ha difeso le verità della fede e della morale e, così facendo, ha difeso il popolo cattolico, dato che la Chiesa non è un raggruppamento qualunquista e indifferente alla verità delle cose.

Evitare fastidi non vuol dire solo evitare noie personali, ma anche evitare impedimenti pastorali all’annuncio. Un fattore oggi immobilizzante un vescovo è che senza una presa di posizione della Conferenza episcopale regionale egli non si avventura a dire nulla di proprio. Un altro impedimento è che non si deve anteporre nulla al dialogo, nemmeno il rispetto per “le cose supreme” in cui la Chiesa crede e che deve custodire e difendere come un deposito prezioso. Nulla può fermare il dialogo dato che qualsiasi verità deve emergere da esso e non precederlo. Un terzo impedimento è che niente deve danneggiare l’idillica conciliazione col mondo. Si tende a stare zitti o semmai a denunciare le cose che anche Repubblica, il TG1 o Fabio Fazio denunciano. Questo però significa la resa senza condizioni. E senza applausi, perché il mondo, quando ti sei inginocchiato, non ti applaude, ma passa oltre sulla sua strada.

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Epifania, il Santo Padre: Adorare è un gesto d’amore che cambia la vita

Posté par atempodiblog le 6 janvier 2020

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE
CAPPELLA PAPALE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Lunedì, 6 gennaio 2020

[Multimedia]

Epifania, il Santo Padre: Adorare è un gesto d’amore che cambia la vita dans Commenti al Vangelo Adorazione



Nel Vangelo (
Mt 2,1-12) abbiamo sentito che i Magi esordiscono manifestando le loro intenzioni: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (v. 2). Adorare è il traguardo del loro percorso, la meta del loro cammino. Infatti, quando, giunti a Betlemme, «videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (v. 11). Se perdiamo il senso dell’adorazione, perdiamo il senso di marcia della vita cristiana, che è un cammino verso il Signore, non verso di noi. È il rischio da cui ci mette in guardia il Vangelo, presentando, accanto ai Magi, dei personaggi che non riescono ad adorare.

C’è anzitutto il re Erode, che utilizza il verbo adorare, ma in modo ingannevole. Chiede infatti ai Magi che lo informino sul luogo dove si trovava il Bambino «perché – dice – anch’io venga ad adorarlo» (v. 8). In realtà, Erode adorava solo sé stesso e perciò voleva liberarsi del Bambino con la menzogna. Che cosa ci insegna questo? Che l’uomo, quando non adora Dio, è portato ad adorare il suo io. E anche la vita cristiana, senza adorare il Signore, può diventare un modo educato per approvare sé stessi e la propria bravura: cristiani che non sanno adorare, che non sanno pregare adorando. È un rischio serio: servirci di Dio anziché servire Dio. Quante volte abbiamo scambiato gli interessi del Vangelo con i nostri, quante volte abbiamo ammantato di religiosità quel che ci faceva comodo, quante volte abbiamo confuso il potere secondo Dio, che è servire gli altri, col potere secondo il mondo, che è servire sé stessi!

Oltre a Erode, ci sono altre persone nel Vangelo che non riescono ad adorare: sono i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo. Essi indicano a Erode con estrema precisione dove sarebbe nato il Messia: a Betlemme di Giudea (cfr v. 5). Conoscono le profezie, le citano esattamente. Sanno dove andare – grandi teologi, grandi! –, ma non vanno. Anche da questo possiamo trarre un insegnamento. Nella vita cristiana non basta sapere: senza uscire da sé stessi, senza incontrare, senza adorare non si conosce Dio. La teologia e l’efficienza pastorale servono a poco o nulla se non si piegano le ginocchia; se non si fa come i Magi, che non furono solo sapienti organizzatori di un viaggio, ma camminarono e adorarono. Quando si adora ci si rende conto che la fede non si riduce a un insieme di belle dottrine, ma è il rapporto con una Persona viva da amare. È stando faccia a faccia con Gesù che ne conosciamo il volto. Adorando, scopriamo che la vita cristiana è una storia d’amore con Dio, dove non bastano le buone idee, ma bisogna mettere Lui al primo posto, come fa un innamorato con la persona che ama. Così dev’essere la Chiesa, un’adoratrice innamorata di Gesù suo sposo.

All’inizio dell’anno riscopriamo l’adorazione come esigenza della fede. Se sapremo inginocchiarci davanti a Gesù, vinceremo la tentazione di tirare dritto ognuno per la sua strada. Adorare, infatti, è compiere un esodo dalla schiavitù più grande, quella di sé stessi. Adorare è mettere il Signore al centro per non essere più centrati su noi stessi. È dare il giusto ordine alle cose, lasciando a Dio il primo posto. Adorare è mettere i piani di Dio prima del mio tempo, dei miei diritti, dei miei spazi. È accogliere l’insegnamento della Scrittura: «Il Signore, Dio tuo, adorerai» (Mt 4,10). Dio tuo: adorare è sentire di appartenersi a vicenda con Dio. È dargli del “tu” nell’intimità, è portargli la vita permettendo a Lui di entrare nelle nostre vite. È far discendere la sua consolazione sul mondo. Adorare è scoprire che per pregare basta dire: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28), e lasciarci pervadere dalla sua tenerezza.

Adorare è incontrare Gesù senza la lista delle richieste, ma con l’unica richiesta di stare con Lui. È scoprire che la gioia e la pace crescono con la lode e il rendimento di grazie. Quando adoriamo permettiamo a Gesù di guarirci e cambiarci. Adorando diamo al Signore la possibilità di trasformarci col suo amore, di illuminare le nostre oscurità, di darci forza nella debolezza e coraggio nelle prove. Adorare è andare all’essenziale: è la via per disintossicarsi da tante cose inutili, da dipendenze che anestetizzano il cuore e intontiscono la mente. Adorando, infatti, si impara a rifiutare quello che non va adorato: il dio denaro, il dio consumo, il dio piacere, il dio successo, il nostro io eretto a dio. Adorare è farsi piccoli al cospetto dell’Altissimo, per scoprire davanti a Lui che la grandezza della vita non consiste nell’avere, ma nell’amare. Adorare è riscoprirci fratelli e sorelle davanti al mistero dell’amore che supera ogni distanza: è attingere il bene alla sorgente, è trovare nel Dio vicino il coraggio di avvicinare gli altri. Adorare è saper tacere davanti al Verbo divino, per imparare a dire parole che non feriscono, ma consolano.

Adorare è un gesto d’amore che cambia la vita. È fare come i Magi: è portare al Signore l’oro, per dirgli che niente è più prezioso di Lui; è offrirgli l’incenso, per dirgli che solo con Lui la nostra vita si eleva verso l’alto; è presentargli la mirra, con cui si ungevano i corpi feriti e straziati, per promettere a Gesù di soccorrere il nostro prossimo emarginato e sofferente, perché lì c’è Lui. Di solito noi sappiamo pregare – chiediamo, ringraziamo il Signore –, ma la Chiesa deve andare ancora più avanti con la preghiera di adorazione, dobbiamo crescere nell’adorazione. È una saggezza che dobbiamo imparare ogni giorno. Pregare adorando: la preghiera di adorazione.

Cari fratelli e sorelle, oggi ciascuno di noi può chiedersi: “Sono un cristiano adoratore?”. Tanti cristiani che pregano non sanno adorare. Facciamoci questa domanda. Troviamo tempi per l’adorazione nelle nostre giornate e creiamo spazi per l’adorazione nelle nostre comunità. Sta a noi, come Chiesa, mettere in pratica le parole che abbiamo pregato oggi al Salmo: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”. Adorando, scopriremo anche noi, come i Magi, il senso del nostro cammino. E, come i Magi, proveremo «una gioia grandissima» (Mt 2,10).

Tratto da: La Santa Sede

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La visione e i segreti della notte santa di Natale

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2019

La visione e i segreti della notte santa di Natale
La fondatrice delle Clarisse del Corpus Domini di Bologna ebbe una vita stracolma di doni celesti, che oggi elargisce generosa ai fedeli. Tra questi, l’eccezionale visione della Madre di Dio con in braccio il Bambinello, che le insegna come vivere santamente la Notte di Natale e le svela un particolarissimo segreto sulla nascita del Salvatore.
di Costanza Signorelli – La nuova Bussola Quotidiana

La visione e i segreti della notte santa di Natale dans Fede, morale e teologia Santa-Caterian-da-Bologna

La vita di Santa Caterina da Bologna (1413 – 1463) fu talmente traboccante di prodigi e di manifestazioni divine che doverne fare una piccola selezione a beneficio del lettore arreca un certo imbarazzo.

Per intuirne la portata, basti sapere che il corpo non sigillato della Santa, presso il monastero del Corpus Domini a Bologna, da oltre 500 anni accoglie i devoti seduto in posizione eretta: si mise così dopo la riesumazione, obbedendo al comando della badessa persino da morta. Inoltre, la profumatissima sostanza che ancor oggi emana dalle sue membra incorrotte ha comprovati effetti taumaturgici, oltre a renderne necessario il periodico cambio d’abiti, come a persona viva.

Ancora. Amatissima da papa Benedetto XVI, specialmente per le sue “Sette armi spirituali” capaci di illuminare chiunque intenda lottare contro il Maligno, Caterina Vigri fu una penna finissima nel tradurre in scritti, le sue innumerevoli visioni celesti e infusioni di scienza.

Ma il vero motivo per cui oggi, a ridosso del Santo Natale, raccontiamo di questa religiosa, fondatrice delle Clarisse del Corpus Domini, è il suo specialissimo legame con Gesù Bambino, che si creò miracolosamente proprio la notte del 25 dicembre 1445.

LA PIA PRATICA
“Era venuta la notte di Natale di Nostro Signore, notte di grandissima divozione appresso tutti i Cristiani, ma singolarmente da Santa Caterina sempre, con istraordinario apparecchio, celebrata”. Inizia così, nella biografia originale del 1652, a cura di padre Giacomo Grassetti, il racconto di quella notte prodigiosa.

La monaca, come era solita fare, decise di trascorrere la vigilia di Natale “tutta in orazione e contemplazione ». Quella notte però, in via del tutto eccezionale, Caterina ottenne dalla badessa il permesso di uscire dal dormitorio, per recarsi a pregare in Chiesa: se ne andò perciò nel coro per stare più raccolta, e lì iniziò a recitare le sue mille Ave Maria, “in onore del parto della gloriosissima Regina degli Angeli, meditando il giubilo della Vergine”. Restò così, dalla sera alla mattina, in adorazione di “tutti gli amorosissimi misteri di quella dolcissima solennità”.

Ebbene, dopo gli straordinari prodigi che si verificheranno quella notte, la personale devozione, nata nel cuore di Caterina, entrerà per sempre nel prezioso patrimonio di tutta la Chiesa orante. E, infatti, le mille Ave Maria di santa Caterina – l’equivalente di 20 Rosari - sono pregate ancora oggi durante la Notte Santa: non solo dalle clarisse del monastero del Corpus Domini, ma anche da centinaia di fedeli sparsi in tutta Italia, che in comunione con le monache e la santa patrona in Cielo, recitano questa devozione nell’intimo delle loro case.

La possibilità di recitare tale preghiera si è inoltre estesa, in forma diurna o notturna, in occasione della vigilia delle più importanti feste mariane ed anche ogniqualvolta i figli di Maria ne intendano implorare specialissimi favori celesti.

LA VISIONE  
Poiché ogni preghiera, che si possa definire tale, nasce dal cuore come espressione dell’amore più profondo, fu così che Caterina, con la sua fede, arrivò a vedere il Volto stesso di tale amore.

All’improvviso, infatti, mentre la Santa era immersa da ore nell’orazione, una grandissima luce irruppe nella stanza e dinnanzi a lei apparve “la Vergine gloriosa col suo dilettissimo Figliolo fra le braccia, fasciato esattamente come si usa per gli altri piccoli quando nascono”. La Madonna, poi, le si avvicinò e le pose il Bambinello sul suo grembo, “con somma cortesia e benignità”.

Caterina, sicura di avere tra le braccia “il vero Figlio dell’eterno Padre, dolcemente lo strinse a sé, viso a viso; e tutto, intorno, pareva dileguarsi come cera al fuoco”. A questo punto, è il racconto stesso della Santa che ci fa gustare con i sensi dello spirito, ciò che l’umano intelletto non può in alcun modo comprendere: “Nessuna mente può essere così gentile da immaginare e nessuna lingua può narrare il soave odore della purissima carne di Gesù benedetto; e del bellissimo e delicato viso del Figliolo di Dio, quando anche ne dicessi tutto ciò che si può dire, sarebbe niente e lo lascio alla immaginazione di ciascuno. Ma ben mi sento di esclamare: - Cuore insensato e più duro di tutte le cose create, come non ti spezzasti o non ti sciogliesti come neve al sole nel vedere, gustare e abbracciare lo splendore della paterna gloria? - perché non fu sogno, né immaginazione, né eccesso mentale; ma realtà aperta, manifesta e senza alcuna fantasia”.

Dopo che Caterina ebbe accostato il proprio viso a quello del Bambinello, subito la visione svanì. A quel punto, la religiosa rimase talmente ricolma di contentezza e beatitudine, che non solo il suo cuore ma tutte le sue membra parevano gioire e per moltissimo tempo ella non provò più alcuna tristezza.

IL SEGRETO
S’è detto che la preghiera è amore. S’è detto anche che, se fatta con il cuore, la preghiera non è mai a beneficio di un solo individuo, ma si inserisce nel cuore stesso della Chiesa. Ebbene, c’è ancora un altro insegnamento che la Santa di Bologna ci regala nella sua straordinaria esperienza di quella Santa Notte di Natale.

Pregando intensamente, Caterina aveva più volte desiderato e chiesto di sapere quale fosse l’ora precisa della nascita del Salvatore. Accadde, sempre quella notte, che la rapì “un intensissimo desiderio e, siccome ella era disposta a star sempre attenta alle interne ispirazioni del Signore, riconobbe facilmente che quello era un invito con il quale il suo Eterno Sposo la stimolava a domandare con grande affetto quella grazia. Perciò moltiplicando l’orazione e i gemiti, ottenne finalmente il suo desiderio”.

Ecco come la Santa ci insegna quale sia il vero atteggiamento dell’anima orante: invocare, accogliere e abbandonarsi allo Spirito Santo che desidera pregare in lei. Non è Caterina ad essere capace di desiderare, ma è lo “Sposo” che ispira in lei un “intensissimo desiderio”; non è Caterina ad essere forte e perseverante, ma è il “Signore” che la infiamma d’amore e “la stimola” continuamente all’orazione.

La Santa seppe così che “alla quarta ora della notte” nacque il Salvatore: infatti fu esattamente durante quell’ora di preghiera, che a Caterina apparve una “splendidissima luce ed, accompagnata da una infinita moltitudine di Angeli, la gloriosissima Vergine Maria, con il suo dilettissimo Figliuolo in braccio, in forma di bambino fasciato, come se poco prima fosse nato”.

Con questa splendida visione del Divin Bambino, ci affidiamo agli insegnamenti di questa grande innamorata di Dio per vivere in pienezza la venuta del Signore, a Natale come in ogni giorno della nostra vita. Ella infatti ce ne svela il segreto: è alla Madre di Dio che, prima di tutto, dobbiamo guardare. È Lei che vuol fa nascere Gesù dentro di noi ed è sempre Lei che ci vuole preparare il cuore ad accogliere le grazie che Suo Figlio ci vuole regalare venendo ad abitare in mezzo a noi.

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Cristo luce per la nostra vita

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2019

Natale è il Dio che viene verso di noi perché noi possiamo vivere di Lui!
Cristo luce per la nostra vita
Omelia del giorno di Natale del 2019. Trasmessa dalla Cappella della Medaglia Miracolosa in Rue du Bac a Parigi
Tradizione di Claudio Forti
Trasmessa da Radio Maria Francia e da France Culture

Cristo luce per la nostra vita dans Commenti al Vangelo Buon-Natale

La Messa, trasmessa da RADIO MARIA FRANCIA – è quella in cui viene letto il famoso prologo al Vangelo di San Giovanni 1, 1-18.

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

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Lorenza era qui qualche giorno fa per celebrare il Signore. Ella era aiutata da una guida. Lorenza ci vede pochissimo. All’uscita dalla celebrazione il suo viso era luminoso. Mi chiese di benedirla assieme alla sua guida. Lei non era credente, per questo la sua domanda mi ha sconvolto. Molti fedeli presenti erano impreparati a questa benedizione inattesa e luminosa.

Fratelli e sorelle, questa recente scena si inscrive nel mistero della nostra umanità. Oggi l’umanità cerca la luce. Chi glie la potrà donare? «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto levarsi una grande luce. Tu hai portato la gioia…», diceva il profeta Isaia. Ma noi, abbiamo riconosciuto il Cristo? Abbiamo accolto il Messia, il Bambino Gesù, l’Emmanuele? (Quali luci ci attraggono – mi verrebbe da chiedere -: quella effimera degli schermi TV o dei cellulari? Ndt).

Il Signore Gesù verrà presto solo se lo aspetteremo molto. Il Signore Gesù non verrà presto se la sua attesa non sarà forte in noi. Era davvero atteso il Dio che è nato stanotte? Era molto atteso? Era desiderato intensamente? Siamo convinti con tutto il nostro essere che attraverso Gesù si è manifestata la grazia di Dio, e che questa venuta era per la salvezza di tutti gli uomini?

Voi avete ascoltato dalla liturgia di questa mattina che “Dio ci ha parlato per mezzo di Suo Figlio”. «Il Verbo è la luce vera. La luce vera che illumina il cammino di ogni uomo che viene nel mondo». Per i credenti Betlemme non è dunque solo il luogo di una nascita, ma la certezza che tutto ciò che esiste è venuto all’esistenza per Gesù.

Fratelli e sorelle, guardiamo alla nostra vita. Molte cose vorrebbero giungere a maturazione; molte dimensioni sono ancora in cammino; molti progetti sono ancora in attesa. Tu non conosci il tempo in cui si adempiranno. Ma tu, per come Dio ti vede, non sembri dare la stessa importanza che Egli dà ad essi. Come potremo allora fare discernimento? Quante volte cercheremo di mettere in atto ciò che sarà in grado di donarci una gioia profonda, una pace duratura, una giustizia per tutti?

È Cristo una luce per la nostra vita? È una luce per la nostra fede? È Lui la via nelle nostre decisioni? Col Natale tutto riceve nuova vita, ma ciò dipende dalla nostra umiltà. Lasciamo perciò perdere i miraggi che trasformano il Natale in una serie di emozioni superficiali, in un consumismo che non nutre i desideri profondi della nostra anima, o gli aspetti meravigliosi (della tecnica e della scienza moderne) Ndt), che non riescono a renderci più fraterni! Il Natale non è quell’immagine che spesso ci viene presentata. Natale è il Dio che viene verso di noi perché noi possiamo vivere di Lui!

Lorenza, di cui vi ho parlato prima, non ha ricevuto tutto ciò attraverso la vista, che è tanto flebile in lei. Il Vangelo ci parla di ciechi che vedono l’ineffabile bellezza dell’Assoluto. (Un grande francese, Antoine de Saint-Exupéry, nel suo “Il piccolo principe”, parla di un’altra “vista” quando dice «Non si vede che con il cuore». E la Bibbia definisce come «sapienza del cuore», la sapienza umana illuminata dalla fede. Ndt). Il Vangelo ci parla di questa comprensione degli umili. Essi comprendono ciò che Dio deve ancora rivelare ai sapienti.

Fratelli e sorelle, fino a quando i nostri occhi (del cuore) rimarranno bendati dalla nostra sufficienza (orgoglio e supponenza), la grazia del Natale non entrerà in noi. La gioia del Natale è come un fuoco nel caminetto. Se voi osservate quel fuoco sentirete i crepitii che sono come il gioioso annuncio del Natale Divino. Ma, a causa degli ostacoli posti dalla nostra rugosità, dal nostro correre e affannarci, la brace non ha ancora preso fuoco e il fumo causato da questa resistenza è ancora troppo denso.

Gesù, da Betlemme, Gesù, fuoco d’amore, vuole renderci ardenti d’amore nel progetto di Suo Padre! È Natale, ed è importante e urgente vivere il vero Natale, di cui l’uomo è davvero degno. «Allontànati dal tumulto», diceva Sant’Anselmo. Tieniti lontano dal tumulto (e dalla confusione). È tempo di fuggire dalle occupazioni superficiali! Scendi nel segreto della tua anima. Conserva in te ciò che può aiutarti a cercare il Salvatore!

Cari ascoltatori di France Culture, a voi rivolgo un pensiero particolare, specialmente per coloro che in questi giorni vivono in una grande solitudine. E a voi tutti qui presenti, a voi e alle vostre famiglie, auguro una Santa e gioiosa Natività. La gioia del Natale vuol risplendere nei nostri cuori!

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