La Cappella grande del Duomo di Verona

Posté par atempodiblog le 15 janvier 2014

La Cappella grande del Duomo di Verona
Nella cappella grande del Duomo di Verona è presente in nuce quello che sarà lo spirito della vera riforma cattolica in risposta alla rivoluzione protestante che andava in quegli anni affermandosi.

di Martino Cisago – Radici Cristiane

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Il cuore della cattedrale di Verona, rifatta all’interno nello stile del Quattrocento, è a oriente nella “Cappella grande”. Ad esso conduce la “direzione sacra” ad altare Dei: lì, entro la cancellata marmorea, sull’altare dell’abside romanica trasfigurata dal Rinascimento si offre Cristo.
L’arte sostanziata di sapienza, fede, pratica liturgica e docilità alle direttive spirituali e culturali del vescovo Giberti (Palermo 1492-Verona 1542) – gigante della riforma cattolica e antesignano del Concilio di Trento – ha conferito allo spazio l’aspetto dello scrigno prezioso. Gli affreschi, l’altar maggiore con lo scomparso tabernacolo, il pavimento che copre le tombe di Papa Lucio III e del vescovo Ludovico di Canossa, la recinzione marmorea, gli stalli per il vescovo e il capitolo, le cantorie e gli arredi mobili, sono capitoli di un programma episcopale che anticipò in Verona la riforma della Chiesa.

Il programma iconografico
Il cantiere della cappella si aprì tra il 1527 e il 1528. Le pitture del presbiterio di Francesco Torbido (1482 ca-1561) furono ultimate nel 1534 e fanno parte di un piano generale che potrebbe attribuirsi a Giulio Romano (1494-1546).
Giulio, infatti, aveva conosciuto e lavorato per Giberti a Roma e nel 1528 aveva presentato i cartoni per la decorazione pittorica della cappella. Il ciclo è una novità nel contesto veronese della prima metà del XVI secolo; le conseguenze della maniera romanista di Giulio, frutto del classicismo raffaellesco e dell’antico, saranno per Verona assai significative.
Sul fronte dell’arco vediamo l’Annunciazione e negli incavi della base del fondale architettonico, Isaia, additante il cartigio “Ecce Virgo concipiet”, ed Ezechiele, il profeta della nuova Civitas Dei che l’esegesi medievale aveva eletto simbolo di Maria.
Nella volta del presbiterio e nel catino osserviamo «in quattro gran quadri, la natività della Madonna, la presentazione al tempio, et in quello di mezzo, che pare che sfondi, son tre angeli in aria che scortano all’insù e tengono una corona di stelle per coronar la Madonna, la quale è poi nella nicchia accompagnata da molti angeli, mentre è assunta in cielo, e gli apostoli in diverse maniere et attitudini guardano in su» (Vasari).
Il vescovo Giberti, attento all’anima popolare della devozione, non disprezzava queste storie tradizionali e le volle dipinte nel luogo più santo della cattedrale. I riquadri della natività e della presentazione al tempio evocano quelli della “Bibbia di Raffaello” nella II loggia del Palazzo Apostolico vaticano.
L’intelaiatura architettonica dei grandi affreschi si estende anche alla parte inferiore dell’abside dove sono riconoscibili, nella nicchia, un colossale san Zeno, nel fregio e nelle cantorie suppellettili liturgiche.
I due corali con le antifone Veni sponsa Christi e Salve Regina – preziosità decorative alludenti alla riforma liturgico-musicale di Giberti -, anticipano i monocromi con alcune scene dell’Antico Testamento, che la liturgia applica in modo accomodatizio alla maternità verginale di Maria e al suo ruolo di Madre di Dio: il roveto ardente, il sacrificio d’Isacco, il vello di Gedeone, la radice di Jesse, l’arca di Noè, la legge antica del Sinai, Giuditta e Oloferne, l’acqua dalla roccia, il santuario dalle porte chiuse, la vittoria di Davide su Golia.
Anche qui il programma iconografico accosta dogma e pietas: i dogmi della maternità divina di Maria e della sua verginità perpetua stanno accanto alla dottrina, a quel tempo non ancora definita, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione.

Presbiterio e altare
La cancellata marmorea, idea presente in nuce negli affreschi, modificò l’assetto del presbiterio. La sistemazione, comprendente l’altare con il tabernacolo, la cancellata e il pavimento è da ricondursi all’architetto veronese Michele Sanmicheli (1484-1559).
L’inizio si ebbe nel 1533, allorquando Giberti volle sepolto in cattedrale Ludovico di Canossa suo amico e alleato anche nel proporre al papa l’idea di una riforma generale della Chiesa. Al centro del presbiterio, alto su un podio di tre gradini, si erge l’altare: un policromo cofano marmoreo aperto sul fronte ovest da una fenestrella confessionis che permette la discesa al suo interno.
La confessione incorporata nell’altare unisce al significato teologico quello apologetico: il protestantesimo disprezzava l’uso di porre le reliquie dei martiri, sacrificio degli uomini che si unisce a quello di Cristo, nell’altare.
Giberti, nel desiderio di emulare Roma, optò per un altare che rammentasse le basiliche romane, ma trascurò la tradizionale posizione di questi altari a oriente. Tuttavia, la cancellata che lo circonda ha la funzione di ridestare, velando, il desiderio del Mistero e indica che non vi è necessità visiva fra il popolo e l’azione sacra all’altare.

Tabernacolo a pianta centrale
Il sistema geometrico della cappella aveva il suo cardine nel tabernacolo a pianta centrale. Giberti fu il pioniere della custodia dell’Eucaristia sugli altari maggiori rendendola obbligatoria in diocesi. Per lui l’altare del Sacramento doveva essere solenne e davvero al centro.
Pier Francesco Zini, un ecclesiastico formatosi alla sua scuola, scrive che il vescovo «rese il coro [della cattedrale] più ampio e più bello con grande arte (…) in modo tale che contenesse il (…) tabernacolo per il Corpo del Signore Gesù Cristo come il cuore nel mezzo del petto e la mente al centro dell’anima (…). Tale è la maestà con la quale è innalzato da quattro angeli di bronzo sull’altare maggiore posto in mezzo al coro, che le menti dei religiosi e dei laici, come è giusto, sono ispirate alla devozione».
Nel 1534 si fusero gli angeli di bronzo che sostenevano la custodia preziosa di cristalli e pietre. Una novità nella forma e nell’iconografia che san Carlo Borromeo pensò bene di proporre per gli altari maggiori delle sue chiese; e pure Papa Sisto V nella cappella sistina a Santa Maria Maggiore volle un tabernacolo così.
Circonda l’altare una cancellata che, sviluppandosi dalle parti estreme dell’abside, ne ripete a rovescio la curvatura. La recinzione evoca altre sistemazioni chiesastiche come quella dell’antica San Pietro descritta nella Donazione di Roma della Sala di Costantino in Vaticano di Giulio Romano e Francesco Penni (1524). Da ultimo la forma sepolcrale dell’altare e il tappeto lapideo, che copre la tomba del papa e dei vescovi Canossa e Giberti, conferiscono al luogo anche un significato funerario.
Così la cappella di Giberti appare grande, bella e spaziosa e adatta alla devozione dei fedeli verso l’altar maggiore dove si celebrava Messa e si conservavano le Sacre Specie. La pianta centrale enfatizza l’altare e il tabernacolo e il tradizionale legame di Maria con gli edifici circolari.

Nello spirito della Riforma cattolica
Tutto è concepito in funzione della Presenza e del dogma mariano. L’altare sotto l’arco, circondato dall’abside e dalla solennità del tornacoro, rende evidente il primato del culto e perciò del Sacrificio Augusto sugli altri interessi della comunità.
L’Eucaristia è la sintesi della storia della salvezza, «il Sacramento più grande e il coronamento di tutti gli altri» (san Tommaso d’Aquino). L’Eucaristia è intimamente legata alla vita della Chiesa e dei fedeli e questa vita si appoggia a essa e in essa continuamente si esprime.
La discesa del Verbo in carne e sangue, annunciata dagli affreschi, si compie definitivamente nel sacrificio del Calvario rinnovato sull’altare. La divina potenza che suscitò il Corpo di Cristo nel grembo di Maria, suscita sull’altare la “mirabile conversione” del pane e del vino che il Concilio di Trento chiama “Transustanziazione”.
Nella Comunione la stessa potenza attua l’intima unione dei fedeli con Cristo immolato per essi e la trasformazione della loro vita nella sua. L’Eucaristia diviene così pegno di quella gloria futura anticipata a Colei che portò Dio nel proprio corpo.
L’Eucaristia renderà vuote le tombe per la gloria. La “tomba nuova… scavata nella roccia”, l’altare, in cui il Verbo incarnato discende fino agli inferi è anche la tomba vuota dell’umanità divinizzata, l’Assunta. La tomba vuota ora è per noi luogo di confessione della fede, di martyria, di venerazione delle reliquie e appello alla santità.

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Una città… da favola: Bergamo, gioiello dell’Alta Italia

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2013

Bergamo, gioiello dell’Alta Italia
Tra i tesori d’Italia, incanto irripetibile e forse non conosciuto bene come meriterebbe, è la città di Bergamo. Scopriamone la storia ultramillenaria, la radicata cultura e le meravigliose bellezze di cui è depositaria la Città Alta.
di Riccardo Bevilacqua ed Enzo De Canio – Radici Cristiane

Bergamo.
Veduta notturna della città di Bergamo

Nel sito dell’attuale Bergamo Alta (originariamente sette colline, poi appianate fra loro) sorgeva già nel VI–VII a.C un centro abitato (oppidum) dei celti orobi, popolazione che rientrava nella cosiddetta cultura di Golasecca, che per molti secoli fece da tramite fra il mondo mediterraneo (etruschi e greci) e quello dei celti transalpini.
La presenza romana, che pure rispettò a lungo autonomie e costumi locali, risale agli inizi del II a.C: la celtica Bérghem divenne il municipio romano di Bergomum, una città ordinata secondo il classico schema dei cardini e dei decumani, con tanto di foro (probabilmente nell’area di Santa Maria Maggiore e della Cappella Colleoni), terme, arena, un capitolium e naturalmente mura.
I Bergomates si latinizzarono gradualmente, ottennero la cittadinanza romana ai tempi di Cesare, fornirono all’Urbe valorosi legionari e, qualche secolo dopo, cominciarono a ricevere la Buona Novella.

Bergamo.
Urna contenente le spoglie del patrono di Bergamo, Sant’Alessandro

Bergomum diviene cristiana
San Narno fu il primo vescovo, ma maggior fama ebbe il martire Sant’Alessandro, futuro patrono, un soldato di origine egiziana che fu decapitato alla fine del III d.C. in Città Bassa, poi sepolto con il debito onore nella Basilica paleocristiana in Città Alta che da lui prese il nome.

Vennero poi i tempi delle invasioni barbariche, Bergamo fu capitale di un potente ducato longobardo e la presenza di questa gente germanica influì in maniera non secondaria sui costumi, le leggi, la lingua, la composizione etnica (una larga parte, ad esempio, dell’originaria nobiltà è di origine longobarda, a partire dai Suardi, articolatisi poi in varie casate tuttora esistenti).
Nel 774 Bergamo con la sua provincia divenne centro di una contea franca, ma verso la fine del IX-inizi del X secolo i vescovi, a partire da Adalberto, assunsero il controllo anche politico della città, coadiuvati nel governo dalle famiglie di nobili, feudatari e maggiorenti, quelle che poi, nel 1098, crearono un nuovo regime, il libero Comune, originariamente gestito da aristocratici sovente in dissidio fra loro, come i Suardi (Ghibellini), i Rivola e i Colleoni (Guelfi).

Bergamo.
Il percorso della funicolare che collega la città Bassa a quella Alta

Nel cuore delle lotte fra Chiesa e Impero
Bergamo partecipò alle lotte dell’epoca del Barbarossa: nel famoso Monastero Cluniacense di San Giacomo di Pontida si sarebbe svolto il famoso Giuramento. Conobbe poi ulteriori scontri politico-sociali anche per l’emergere del cosiddetto Popolo (in realtà la borghesia più ricca). Col tempo i dissidi indussero i vari capi partito bergamaschi ad appoggiarsi a più potenti referenti milanesi, così la città, in larga misura su impulso dei ghibellini Suardi, entrò nel 1332 nella Signoria del ghibellino Azzone Visconti. Il dominio di questa famiglia durò fino al 1428 e fu decisamente poco tranquillo, sia per l’opposizione dei Guelfi, soprattutto delle Valli, sia per l’eccessiva oppressione fiscale ai danni della popolazione.

Bergamo.
Mura Venete

Venezia signora di Bergamo
Il dominio veneto, che sapeva rispettare con intelligenza le autonomie locali, fu turbato agli inizi del ‘500 dall’invasione francese, ma abbastanza presto il Leone tornò a dominare in Città Alta e in tutta la Bergamasca, cioè nell’area di Terraferma geograficamente più lontana dalla Dominante.

A Bergamo in questi anni operarono artisti “foresti” quali Lorenzo Lotto, ma anche quelli locali furono sovente di notevole valore, ad esempio Palma il Vecchio o il Moroni. Tra i personaggi di altro genere dell’epoca ricordiamo Gabriele Tadino, detto il Martinengo, Cavaliere di Malta e grande architetto militare, capace di dare moltissimo filo da torcere ai turchi: fu ritratto da Tiziano.
Via via Bergamo, sostanzialmente soddisfatta della dominazione veneta, mostrò di saper dare in più occasioni un proprio contributo significativo alla lotta per la Fede: così non pochi bergamaschi si batterono egregiamente a Lepanto. A turbare la serenità della città furono solo le distruzioni inevitabilmente provocate dalla costruzione delle Mura Venete (1561), pur necessarie per proteggere la città da eventuali brutte tentazioni degli spagnoli insediati a Milano.
Nel ‘600, tutto sommato tranquillo, la città fu purtroppo pesantemente toccata dalla famosa peste manzoniana, mentre nel secolo successivo il dato più notevole fu l’espansione della Città Bassa, con attività commerciali e artigianali che a fine agosto, specie nel campo tessile (la seta) trovavano occasione di valorizzazione nella Fiera di Sant’Alessandro, in locali in muratura nell’attuale Piazza Dante.

Bergamo.
Veduta del centro di Bergamo bassa, Piazza Vittorio Veneto

Nel vortice delle guerre napoleoniche
Purtroppo verso la fine del secolo la diffusione delle idee illuministiche attecchì in città fra non pochi nobili e borghesi, “convertiti” al credo massonico; furono costoro, nel 1797, a supportare il colpo di Stato con il quale le truppe napoleoniche abbatterono il dominio veneto, grazie anche ad una vergognosa provocazione (l’incendio del teatro cittadino), attribuita falsamente all’ultimo capitano della Serenissima.
Il popolo della città non mostrò eccessivo entusiasmo per le novità e le esibizioni dei giacobini locali, che tra l’altro si affrettarono a mettere le mani sui beni della Chiesa e delle istituzioni benefiche, spesso a loro personale pro.
Un esempio per tutti è la soppressione del Monastero di Pontida, la cui magnifica biblioteca venne venduta a peso (!) dai suddetti “intellettuali”, ad eccezione dei tomi più preziosi che qualcuno ritenne opportuno far propri… Le autonomie dei vari quartieri e dei centri vicini vennero eliminate in nome del centralismo democratico.
I Valligiani insorsero, parroci in testa, in nome di Maria e di San Marco, ma vennero purtroppo massacrati alle porte del capoluogo. Giunsero i tempi della Repubblica Cisalpina, con un breve intermezzo austro-russo, poi di quella cosiddetta Italiana, infine del napoleonico Regno d’Italia (dal 1805 al 1814), con tante tasse, i giovani mandati a morire di qua e di là per l’Europa nelle guerre del Buonaparte, con il cosiddetto brigantaggio che si diffondeva sempre più, trovando capi popolari quali Pacì Paciana, “il terrore della Val Brembana”.

Bergamo.
Gaetano Donizetti, uno dei maggiori autori melodrammatici italiani

L’anima cattolica rimane salda
Con l’unificazione, a fronte del predominio politico liberale, come del resto in tutta Italia, andò crescendo il peso dell’opposizione dei cattolici che – non dimentichiamolo – non votavano alle elezioni politiche, ma lo facevano alle amministrative, condizionando così le varie giunte locali.

Nello sviluppo del movimento cattolico, che si estese a società di mutuo soccorso, mense popolari, sindacati, banche e quotidiani (L’Eco di Bergamo, tuttora dominante per diffusione), spiccano i nomi di Nicolò Rezzara e, soprattutto, del conte Stanislao Medolago Albani: grazie a loro, tra l’altro, fu possibile mitigare la povertà allora molto diffusa e contrastare la propaganda socialista.
Nella Prima Guerra Mondiale si distinsero gli alpini e in generale i combattenti orobici, primo tra tutti il grande aviatore, poi podestà, Antonio Locatelli, compagno di D’Annunzio nel volo su Vienna e triplice Medaglia d’Oro al Valor Militare.
In epoca fascista la città fu profondamente rinnovata in senso architettonico, specie nel centro piacentiniano di Città Bassa; gerarchi di spicco a livello nazionale furono i bergamaschi conte Giacomo Suardo e il sindacalista Nino Capoferri.
Dopo il ’43 la guerra civile segnò dolorosamente la vita dei bergamaschi, già colpiti da tragedie come il micidiale bombardamento di Dalmine, sede di un’importante industria siderurgica a pochi chilometri dal capoluogo, né mancarono, all’indomani del 25 aprile, eccidi come quello di Rovetta (in alta Val Seriana).
Nonostante le violenze contrarie, la Bergamasca, il 2 giugno del’46, si dichiarò a maggioranza per la monarchia, poi iniziò un più che quarantennale dominio politico democristiano. Fra le eredità della tradizionale e sincera fede cattolica nella Bergamasca ricordiamo anche il risultato, nei pur tristi anni ’70, delle votazioni per il referendum volto ad abolire l’omicidio di massa dell’aborto. La provincia di Bergamo si espresse, contrariamente a troppe parti d’Italia, per il sì all’abrogazione.
Tornati gli austriaci nel 1814, Bergamo rimase tranquilla fino al 1848, ebbe un capo liberale di rilievo in Gabriele Camozzi; dodici anni dopo fu l’industriale tessile Francesco Nullo a spiccare fra i garibaldini bergamaschi. Proprio nel ’48 muore il bergamasco Gaetano Donizetti, uno dei maggiori rappresentanti del melodramma italiano. Tra i suoi capolavori rammentiamo Elisir d’amore, Lucia di Lammermoor e La Figlia del Reggimento. Molto interessante è il museo a lui dedicato all’interno del Conservatorio di Musica, in via Arena, in Città Alta. Proprio le genti delle Valli furono le prime ad accogliere volentieri, già nel 1426, due anni prima della città, il nuovo dominio veneziano, e bergamasco era, non dimentichiamolo, il grande condottiero Bartolomeo Colleoni, capitano generale delle milizie della Serenissima, innovatore in campo militare, raffinato mecenate nel suo stupendo castello di Malpaga; è sepolto alle spalle di Piazza Vecchia nella celebre Cappella Colleoni, opera dell’Amadeo e tuttora proprietà dei suoi discendenti.

Una città... da favola: Bergamo, gioiello dell'Alta Italia dans Viaggi & Vacanze Divisore

Una città… da favola

Del fascino della città di Bergamo, del suo prestigioso patrimonio artistico, uomini famosi hanno detto e scritto. L’architetto Frank Lloyd Wright l’ha definita «… meravigliosa… sorprendente sino a stordire…», Stendhal addirittura «Il più bel luogo della terra e il più affascinante mai visto». Torquato Tasso, che era nato a Salerno ma la considerava sua patria, ne parla con grande nostalgia nelle sue lettere e le ha dedicato un sonetto che l’Ateneo bergamasco ha fatto incidere su una tavola di marmo. Per coglierne l’atmosfera, la vera anima bisogna, come sempre, andarci.
di Annamaria Scavo – Radici Cristiane

Bergamo.
Città Alta, gruppo monumentale

Cresciuta ai piedi delle prealpi Orobie, allo sbocco di verdi vallate alpine, davanti ad un’ampia pianura, Bergamo, per l’importanza strategica della sua posizione, ha iniziato ben presto la sua storia. Dal V secolo a.C. in poi i popoli più vari l’hanno percorsa ed abitata (liguri, etruschi, galli, romani, franchi, longobardi, prima di passare ai Visconti e alla Serenissima Repubblica di Venezia le cui tracce sono ovunque evidenti), e una vivace vita storica ha lasciato visibili tracce nel patrimonio culturale ed artistico.

Bergamo.
Portale meridionale della Basilica di Santa Maria Maggiore

Bergamo di sopra
Quando emerge dalla fitta nebbia padana, con il suo inconfondibile profilo animato da cupole, campanili e torri (si dice che un tempo fossero circa trecento), sembra illustrare una vecchia favola. Sarà forse anche per le robuste mura rinforzate da bastioni che la cingono, poderosa opera di architettura militare con cui i veneziani a partire dal 1561 hanno fortificato preesistenti mura romane. Non mancano un castello, quello di San Vigilio con quattro torrioni e una rocca con il mastio.
Dentro, un mondo antico, fatto di monumenti importanti ma anche di una particolare atmosfera, di viuzze acciottolate, piazzette, fontane, scalinate, vicoli, angoli suggestivi che riportano indietro nel tempo di secoli, dove ci si potrebbe attendere da un momento all’altro di veder passeggiare i personaggi delle opere buffe di Donizetti, il noto compositore lirico dell’Ottocento che in Bergamo ha avuto i suoi natali.
Quattro importanti porte danno accesso alla parte alta. Tutte costruite fra la seconda metà del 1500 e il 1627, ospitavano i corpi di guardia permanenti e l’esattoria. Solo in occasione della catastrofica pestilenza del 1630 (quella di cui racconta il Manzoni) le porte urbane per ben due volte rimasero aperte e incustodite, pare per tre mesi circa, non essendoci sopravvissuti.
La più cara ai bergamaschi, quella considerata principale, è la porta di Sant’Agostino. Progettata nel 1575 da Paolo Berlendis assieme alla fontana monumentale interna, introduce subito ad un “gioiello” della città, il Monastero con la chiesa di Sant’Agostino.
L’importante complesso conventuale gotico-rinascimentale dai chiostri armoniosi, pare sia stato imprevedibilmente salvato dalla pesante distruzione di opere che accompagnava la fabbrica delle mura venete, grazie ad una borsa piena di zecchini d’oro allungata alla persona giusta nel momento giusto.
La chiesa, ha una bella facciata tardo-gotica in pietra arenaria, con due quadrifore a sesto acuto, un portale a tutto sesto e il tradizionale rosone gotico sovrastato dalla statua del Santo protetta da una nicchia.
La copertura interna dell’unica navata è ritmata da grandi archi ogivali molto suggestivi dall’intradosso dipinto che lasciano a nudo le falde del tetto.
Altri complessi conventuali, tutti antichi, tutti da conoscere costellano la vecchia città, come quello soppresso delle carmelitane. Resta infatti, accanto alla Chiesa del Carmine, un mirabile chiostro quattrocentesco a due ordini sovrapposti che merita andare a cercare in via Colleoni.
Nel 1355 Bernabò Visconti aveva voluto un complesso fortificato, “La Cittadella”. La individuano due caratteristiche torri, quella elegante della Campanella e la torre di Adalberto, senza quasi aperture, tristemente nota come “torre della fame” perché qui Venezia rinchiudeva gli evasori fiscali.
L’insieme si presta attualmente ad ospitare spettacoli e feste popolari e accoglie due importanti musei di Bergamo, quello di Scienze naturali “Enrico Caffi” e il Museo Archeologico.

Bergamo.
Piazza Vecchia, Fontana Contarini

Piazza Vecchia
L’edificio in muratura arenaria ha un caratteristico finestrone centrale di gusto veneziano, cui è stato aggiunto successivamente il balcone, sormontato dal leone di S. Marco. Al primo piano sette capriate in legno per sostenere la copertura. L’orologio solare visibile nel pavimento del portico è del 1798.
Posata sul pavimento regolare in mattoni rossi e lastre di pietra, la elegante fontana detta “del Contarini”, il podestà veneto che la donò alla città.
Di fronte al Palazzo della Ragione, la Biblioteca civica Angelo Mai, una delle più ricche biblioteche italiane (oltre seicentomila volumi e preziosi incunaboli), un tempo sede municipale. Poco rimane dell’originale Palazzo del Podestà, oggi occupato dell’Ateneo.
Non può mancare la Torre civica (il Campanone) centro vitale e istituzionale, luogo rappresentativo di Città Alta e quindi di Bergamo, che da quasi un millennio proietta la sua ombra sui momenti importanti della vita cittadina, protagonista in tempo di festa, quando le tre campane chiamavano la cittadinanza ad onorare il santo patrono, nei momenti di pericolo, per i ripetuti incendi che hanno coinvolto il Campanone stesso e gli edifici adiacenti, e sempre, ogni giorno ancora oggi, quando battono gli oltre cento rintocchi delle 22.00 che un tempo ricordavano la chiusura delle porte d’ingresso alla città.
Attorno al Campanone nei secoli sono state costruite le sedi del potere politico (Palazzo del Podestà, Palazzo della Ragione e Palazzo dell’Istituto Tecnico) e del potere spirituale (complesso della Curia vescovile), ma anche botteghe, carceri, istituti culturali (Palazzo dell’Ateneo) e luoghi di culto e di memoria che ospitano tesori artistici di rilievo come il Duomo, Santa Maria Maggiore e la Cappella Colleoni.
Oggi, la Torre, che all’epoca della costruzione era 37,7 metri, a seguito di successivi sopralzi, tocca i 52,76 metri di altezza. La base ha muri spessi quattro metri e un tempo era luogo di tortura e di carcere duro. Ora funge da osservatorio della Città Alta e dell’abitato in piano ed è destinata a divenire sede del Museo storico cittadino.

Bergamo.
Veduta del Battistero, del Duomo, della Cappella Colleoni, di Santa Maria Maggiore

Piazza del Duomo e la Cappella Colleoni
Anche il Duomo, con la sua facciata ottocentesca, è addossato al palazzo della Ragione. Sorge sull’antica cattedrale di San Vincenzo ed è ora dedicato a Sant’Alessandro, patrono della città. Contiene notevoli dipinti fa cui uno di Giovan Battista Tiepolo.
La piazza è però visivamente dominata da uno degli edifici più emblematici di Bergamo, la Cappella Colleoni, capolavoro in assoluto del primo Rinascimento lombardo anche se, per molti dettagli, la facciata ricorda il gusto gotico fiorentino. A volerla, un grande condottiero che desiderava sepoltura nel luogo più prestigioso della città (tanto da far sacrificare la sagrestia della basilica accanto) ed il suo giovane ma già noto architetto e scultore che si era messo in luce nella fabbrica del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia.

Bergamo.
Monumento funebre di Bartolomeo Colleoni, all’interno della Cappella

Architettura medioevale e veneziana ispirano quest’opera, con una cupola genialmente leggera che poggia su tamburo ottagonale rivestito da balaustra e sormontata da una lanterna. Il corpo della Cappella sopravanza il protiro della basilica accanto quel tanto che basta a porla in una gerarchia spaziale vincente. Preziosamente decorata anche all’interno, ospita il corpo del condottiero e della diletta figlia Medea.
Alla destra della Cappella un gioiellino, il Battistero, che dopo essere migrato da Santa Maria Maggiore ad un cortile del Duomo, si è conquistato il suo onorevole posto sulla piazza.
Piazza del Duomo, di Piazza Vecchia è in un certo senso la continuazione. Lì, quasi a voler significare quanto storia e arte si compenetrino, i palazzi, sembrano contendersi lo spazio.
La basilica di Santa Maria Maggiore, opera assai importante, costruita su una precedente chiesa per sciogliere un voto alla Vergine Maria, conserva all’esterno l’originaria struttura romana a croce greca, mentre l’interno è stato modificato nel XVI e XVII secolo.
Contiene un importante presbiterio, preziosi affreschi trecenteschi nel transetto, un grande crocifisso in legno del 1300 e la tomba di Gaetano Donizetti. Due protiri di particolare bellezza e la grande abside sono tutto ciò che compare all’esterno, poiché la basilica curiosamente non ha facciata essendo corpo unico con la Cappella Colleoni. La città Alta continua in un labirinto di stradine, absidi, torri, guglie. L’atmosfera irreale di un ambiente rimasto fermo nel tempo, si apre ogni tanto in una visione deliziosa.
È quanto capita uscendo nella meravigliosa Piazza Vecchia, cui fa da quinta il Palazzo della Ragione, simbolo della libertà comunale medievale.
Eretto nella seconda metà del XII secolo, il palazzo aveva un orientamento opposto all’attuale, finché nel 1453, dopo un incendio, non fu deciso di invertirlo, aprendo i fornici e le trifore, costruendo una scala coperta che conduce al primo piano e sistemando il piano terra con quattro colonne tuscaniche e una loggia a volte che mette in comunicazione la Piazza Vecchia con quella del Duomo, un’opera completata dopo il 1520 dall’architetto Pietro Isabello.Bergamo si presenta divisa in due parti ben distinte, la Città Alta e la Città Bassa, collegate da strade e scalinate e da una pittoresca funicolare che dal 1886 supera un dislivello di circa ottanta metri in poco più di duecento di lunghezza.
La Città Alta, è la parte più antica, da sempre la sede delle istituzioni e del potere.

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Sulle tracce di Maria: Saragozza

Posté par atempodiblog le 6 octobre 2013

Sulle tracce di Maria: Saragozza dans Apparizioni mariane e santuari 1bbq

Il Santuario della Virgen del Pilar, una delle più grandi chiese al mondo, è costruita intorno alla colonna (pilar, in spagnolo) da dove nel 40 d.C. Maria, lì trasportata dagli angeli, ha parlato all’apostolo Giacomo. La Virgen del Pilar è anche legata al “miracolo dei miracoli”, avvenuto nel 1640, quando a Miguel Juan Pellicer «fu restituita la gamba che da molto tempo gli era stata amputata».

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La nuova Bussola Quotidiana: Ogni primo sabato del mese, su Radio Maria, va in onda alle 22.45 un programma condotto da Diego Manetti e titolato “Sulle tracce di Maria”. Si tratta di un cammino che, puntata dopo puntata, porta gli ascoltatori nei tanti santuari dedicati alla Madonna. Per gentile concessione dell’autore, seguiamo anche noi questo cammino, pubblicando la trascrizione di ogni puntata del programma, non appena terminata. Dopo quelle dedicate a Notre Dame du Laus e alla Regina della Famiglia delle Ghiaie di Bonate (Bg), oggi è la volta della Virgen del Pilar di Saragozza.

Sulle tracce di Maria 2e2mot5 dans Diego Manetti Saragozza

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La chiesa di San Sulpizio, a Parigi, dove il Montfort celebrò la sua prima Messa

Posté par atempodiblog le 13 août 2013

Saint Sulpice, monumento di architettura e di fede

- L’interno, capolavoro dello stile classico francese, porta soprattutto il marchio dell’architetto Gittard risalente al 1660.

- La facciata, a cui è collegato il nome di Servandoni, é fatta di elementi aggiunti dopo il 1750.

Fonte: Église Saint Sulpice Paris

La chiesa di San Sulpizio, a Parigi, dove il Montfort celebrò la sua prima Messa dans Apparizioni mariane e santuari igfc

San Luigi Maria Grignion de Montfort [...] nel fiore dei suoi vent’anni, nel seminario di San Sulpizio a Parigi (non lontano da Rue du Bac) dove, nel 1700, venne ordinato sacerdote. Ha celebrato la prima Messa proprio nella chiesa di San Sulpizio, nella cappella dedicata alla Beata Vergine Maria: “Vidi un uomo come un angelo all’altare”, dirà un testimone.

Tratto da: Pellegrino a quattro ruote — Padre Livio Fanzaga

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Nostra Signora delle Vittorie, Parigi

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

Nostra Signora delle Vittorie, Parigi

Nostra Signora delle Vittorie, Parigi dans Apparizioni mariane e santuari NS-delle-Vottorie-Parigi

Un po’ di storia…

Il 3 dicembre 1836, il Padre Desgenettes, curato di Nostra Signora delle Vittorie celebrava la Messa a l’Altare della Vergine. La Chiesa era deserta. Aveva deciso di andare a chiedere al Vescovo l’autorizzazione di lasciare la Parrocchia, quando sentì ben distintamente queste parole: “Consacra la Parrocchia al Santissimo Cuore Immacolato di Maria”.

Rientrato a casa sua, si mise a comporre gli statuti di una confraternita mariana di preghiera, avente come scopo la conversione dei peccatori.

La domenica seguente, 11 dicembre, dopo la Messa, annunciò ai 10 fedeli presenti la sua intenzione di consacrare la Parrocchia al Cuore di Maria all’ora dei Vespri. La sorpresa fu grande di vedere in quel momento la Chiesa piena e da allora restò sempre così!

Conversioni e numerose grazie furono da allora attribuite a profusione in questo luogo, Rifugio dei peccatori, come testimoniano i circa 37.000 ex-voto che ricoprono le pareti.

L’arciconfraternita fu riconosciuta da Papa Gregorio XVI il 24 aprile 1838. Ha accolto dall’origine più di 1.680.000 membri individuali, e ha affiliato più di 21.000 comunità, distribuite in tutto il mondo.

Luogo di grande spiritualità, Nostra Signora delle Vittorie ha ricevuto da Papa Pio XI il titolo di Basilica nel 1927.

Il Curato d’Ars e tante altre persone, famose e non, sono iscritte all’Arciconfraternita.

Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze La Basilica di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi

Prossime feste nella Basilica

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L’Assunzione della Vergine Maria

14 agosto

18:00 primi Vespri dell’Assunzione (non c’è Messa alle 19:00)

21:00 Veglia con processione e a seguire Messa solenne

15 agosto

11:00 Santa Messa solenne

14:45 Santa Messa per glia ammalati (in diretta su Radio Notre-Damehttp://radionotredame.net/)

15:30 Rosario

17:00 Vespri dell’Assunzione

18:00 Messa della sera e a seguire santo Rosario

Coronazione della Beata Vergine Maria

22 agosto

12:15 Messa solenne

14:45 Messa per gli ammalati (su Radio Notre-Damehttp://radionotredame.net/)

15:30 Celebrazioni mariane, Rosario, Adorazione del Santissimo

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I festeggiamenti del 3 e 4 agosto a Rue du Bac

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

Il 3 e 4 agosto 2013 a Rue du Bac, dove vi ho ricordato in preghiera, ci sono stati i festeggiamenti per l’anniversario della dedicazione della Cappella consacrata al Sacro Cuore e, successivamente, a Nostra Signora della Medaglia Miracolosa. La Cappella fu solennemente benedetta il 6 Agosto del 1815 e dedicata al Sacro Cuore di Gesù.

I festeggiamenti del 3 e 4 agosto a Rue du Bac dans Apparizioni mariane e santuari 2yulylz

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Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti Rue du Bac – Medaglia Miracolosa

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Sainte-Chapelle, un gioiello dello stile gotico fiorito

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

Sainte-Chapelle, un gioiello dello stile gotico fiorito

Sainte-Chapelle, un gioiello dello stile gotico fiorito dans Apparizioni mariane e santuari 2mq9gya

Nel cuore de l’Île de la Cité

Il Palazzo della Cité, sede e residenza potere reale dal X al XIV secolo, comprende la Conciergerie e la Sainte-Chapelle, racchiuse nel Palazzo di giustizia, la sua nuova assegnazione.
La Sainte-Chapelle venne edificata fra il 1242 e il 1248 per conservare al suo interno, secondo la volontà di Luigi IX (re dal 1226 al 1270 e futuro San Luigi), le reliquie della Passione di Gesù. La più celebre tra queste, la Corona di Spine, venne acquistata nel 1239 per una somma che superava di gran lunga le spese di costruzione dell’edificio stesso.

Un’importanza religiosa e politica

Le Sante Reliquie appartenevano agli imperatori di Costantinopoli fin dal IV secolo.
Acquistando queste reliquie, Luigi IX aumentò il prestigio della Francia e di Parigi che diventò, agli occhi dell’Europa medievale, una nuova “Nuova Gerusalemme” e, allo stesso tempo, la seconda capitale della cristianità. Durante il periodo della Rivoluzione, la Sainte-Chapelle, simbolo della regalità di diritto divino, subì molti danni. Ciononostante, le vetrate sono ancora oggi quelle originali. Dal 1846, l’edificio fu oggetto di importanti lavori di restauro, che conferirono al momento il suo aspetto attuale.

Due santuari sovrapposti

In origine, le reliquie erano esposte e venerate nella cappella superiore. Solo il re, le personalità della sua cerchia e il collegio dei canonici incaricati degli uffici liturgici potevano accedervi tramite la terrazza esterna, in quel tempo collegata al Palazzo. La cappella inferiore era il luogo di culto riservato al personale del Palazzo.
La pianta, di tipo basilicale con abside semicircolare, è molto semplice e verrà usata come modello per le altre Sainte-Chapelle, tra cui di Vincennes e Châteaudun.

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La cappella inferiore

La statua della Vergine, patrona del santuario, accoglie il visitatore al portale. All’interno, il ripristino delle decorazioni policrome risale, come le decorazioni scolpite nel portico, ai lavori di restauro del XIX secolo. Alla sinistra dell’abside, al di sopra dell’antica sacrestia, un affresco del XIII secolo rappresenta l’Annunciazione. Si tratta della più antica pittura murale di Parigi.
La volta ribassata è sostenuta da puntelli traforati che collegano le colonne delle navate laterali ai muri laterali. Questi ultimi sono animati da fughe di archi ciechi tribolati e da 12 medaglioni raffiguranti gli apostoli. I gigli sul fondo azzurro delle volte si ritrovarono sulle colonne alternati a torri su fondo porpora, insigne della regina Bianca di Castiglia, madre di Luigi IX.

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La cappella superiore

Vero e proprio reliquiario monumentale, questa cappella è stata sontuosamente decorata. Sculture e vetrate in tripudio rendono gloria alla Passione di Cristo e danno l’impressione di raggiungere la Gerusalemme celeste, inondata di luce e di colore. Le vetrate hanno contribuito moltissimo alla fame della Sainte-Chapelle.
Le 1113 scene rappresentante nelle 15 vetrate raccontano la storia dell’Umanità, dalla Genesi alla resurrezione di Gesù. Quattordici vetrate, che rappresentano altrettanti episodi tratti dalla Bibbia, vanno lette da sinistra a destra e dal basso verso l’alto.

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1 La vetrata sulla storia delle reliquie della Passione è l’unica da leggersi secondo l’ordine della scrittura bustrofedica. Nella parte inferiore delle lancette, la vetrata illustra la scoperta delle reliquie da parte di Sant’Elena a Gerusalemme, fino al loro arrivo nel regno di Francia.

2 La statua di San Pietro è quella dell’origine, come altre 5 statue di apostoli. Il santo tiene le chiavi del Paradiso. Le statue dei 12 apostoli, “pilastri della Chiesa”, sono simbolicamente disposte lungo la navata in corrispondenza delle imposte delle volte sulle crociere a ogiva. Queste statue ben rappresentano la scultura parigina tra il 1240 e il 1260, impregnata d’armonia e caratterizzata da volti idealizzati.

3 La grande teca contenente 22 reliquie della Passione di Cristo, tra le quali il frammento della Croce e la Corona di Spine, era un tempo esposta sulla tribuna e venne fusa durante la Rivoluzione. Le restanti reliquie sono oggi conservate nel tesoro della cattedrale di Notre-Dame de Paris.

4 Il rosone occidentale illustra il libro profetico di San Giovanni: l’Apocalisse è rappresentata simbolicamente di fronte alla Passione di Cristo, nella vetrata assiale del coro. Al centro del rosone, il Cristo ritorna in gloria alla fine dei Tempi per giudicare i vivi e i morti.

I 100 capitelli con decorazione a foglie dei muri laterali sono tutti diversi. In corrispondenza delle pietre angolari delle fughe di archi, gli angeli ricordano le 42 scene di martirio raffigurate nei quadrilobi.

L’Île de la Cité

La sede del potere reale

Nel I secolo a.C., la tribù gallica dei Parisi si insediò su un’isola in mezzo alla Senna (la futura Île de la Cité) e vi fondò la città di Luteria. Nel V secolo, questa città prese il nome di Parigi. Nel VI secolo, Clodoveo, primo re dei Franchi, scelse il palazzo della Cité come dimora reale. suo figlio Childerberto, in seguito, fece costruire la prima cattedrale di Parigi. Alla fine del X secolo, Ugo Capeto, primo re capetingio, insediò il suo consiglio e la sua amministrazione nel palazzo che divenne così la sede del potere reale.

Il palazzo abbandonato dai re

Nel 1248, quando Luigi IX firmò l’atto relativo alla fonazione della Sainte-Chapelle, la vicinissima cattedrale di Notre-Dame presentava già la sua attuale facciata. Nel 1358, i consiglieri di re Giovanni II, detto il Buono, furono assassinati sotto gli occhi del Delfino, il futuro Carlo V, il quale, diventato re, scelse di abitare in luoghi più protetti: la residenza di Saint-Pol, edificio andato poi distrutto, il Louvre e Vincennes,. L’amministrazione reale, il Parlamento, la Cancelleria e la Camera dei Conti rimasero a lungo nel palazzo capetingio, ma nel corso dei secoli venne mantenuta solo la parte giudiziaria con l’annessa prigione.
Oggi, la Sainte-Chapelle e la Conciergerie sono le uniche parti ancora visibili del più antico palazzo dei re di Francia.

Fonte: Centre des monuments nationaux

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Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti La Sainte-Chapelle di Parigi, scrigno di luce

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La Napoli di Dostoevskij

Posté par atempodiblog le 20 juillet 2013

La Napoli di Dostoevskij
Lo scrittore russo rese omaggio ne “L’idiota” alla città partenopea, in cui soggiornò un paio di volte e che paragonò alla Nuova Gerusalemme. Lo ricorda la studiosa Tat’jana Kasatkina
di Nicola Sellitti – Russia Oggi

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Dostoevskij e Napoli. Un legame intenso, con pochi riferimenti nella storiografia del grande scrittore russo. Un amore per la capitale del Mezzogiorno descritto ne “L’idiota”, realizzato a Firenze nel 1868, in uno dei suoi due viaggi in Italia.

Tatiana Kasatkina, direttrice del Dipartimento di Teoria della Letteratura all’Università pedagogica di Mosca e della commissione di studio su Dostoevskij all’Accademia russa delle Scienze, racconta dell’esperienza napoletana e italiana dell’autore di numerosi capolavori della letteratura ottocentesca, a margine della conferenza “Lo sguardo di Dostoevskij sul mondo e sull’uomo”. Un evento organizzato a Napoli dal Centro Culturale Neapolis su alcuni temi tratti dal libro scritto nel 2012 dalla studiosa “Dal Paradiso all’Inferno. I confini dell’umano in Dostoevskij” (edizioni Itaca, a cura di Elena Mazzola). Il rapporto tra Cristo e verità, la religione, la libertà. L’uomo che determina l’ambiente che lo circonda, non l’opposto. E il mondo che sarà salvato dalla bellezza.

Professoressa Kasatkina, la storiografia ha lasciato poche tracce sulla presenza del grande scrittore a Napoli.
Dostoevskij arrivò a Napoli con la giovane moglie, Anna Gregorievna Snitkina, sua stenografa e compagna fedele di peregrinazioni. È vero, non ci sono molte notizie sul suo soggiorno napoletano. Ma parla della città ne “L’idiota”. E delineava Napoli come l’immagine della nuova città, della nuova Gerusalemme. Un posto dove l’eroe vuole andare oltre l’orizzonte. Per lui, Napoli era un luogo “dove la Terra respirava il mistero”. Non un luogo legato agli aspetti della quotidianità. Napoli, soprattutto, predisponeva naturalmente alla bellezza.

Crede che il carattere di Dostoevskij fosse compatibile con Napoli, con la visione della vita che hanno i partenopei?
Lo scrittore arrivò in Italia (ci è stato in due occasioni) in un momento particolare della sua vita, non stava bene di salute, la figlia era morta qualche tempo prima, ripensava alle difficoltà dovute alla censura in Russia sulla rivista fondata con il fratello, Vremya – Il Tempo -, e in più, aveva perso molti soldi alla roulette russa a Givevra, in Svizzera. Di sicuro l’approccio alla vita dei napoletani, ottimista e gioioso, gli venne parecchio in aiuto. Senza contare che a Napoli incontrò Herzen, filosofo e intellettuale russo, un mito dell’Ottocento, nobile schierato contro l’autoritarismo e a favore della causa contadina. Non ci sono però notizie sull’esito del loro rapporto napoletano.

In generale, vede punti di contatto tra il carattere, il modo di vivere dei suoi connazionali e dei napoletani?
Certo, vedo molti elementi in comune tra russi e napoletani. Soprattutto, la profondità, la passionalità e un pizzico di follia.

L’Italia è solo una delle tappe europee nel percorso di Dostoevskij. Che considerazione aveva della realtà politica e culturale del Vecchio Continente?
Dostoevskij aveva un’ottima considerazione dell’Europa e soprattutto della cultura europea, elemento determinante nella formazione culturale dei russi. “Per diventare russo si deve possedere la ricchezza europea”, era solito dire più volte. Dell’Europa odiava il fango della quotidianità, così come in Russia. Dostoevskij era anche fortemente convinto dell’amore che i suoi connazionali nutrivano per l’Europa.

Dostoevskij ha scritto L’idiota” a Firenze. Quanto fu influenzato dalla realtà religiosa, politica e sociale italiana?
Più che dalla situazione politica, Dostoevskij fu fortemente ispirato dai messaggi che lanciava la pittura italiana. A Firenze si stava compiendo un passaggio epocale: gli artisti raffiguravano nelle loro opere il messaggio di Gesù Cristo, invitando gli spettatori a cogliere quel messaggio e a metterlo in pratica nella vita quotidiana. E Dostoevskij ne fu affascinato e fece lo stesso nel suo capolavoro.

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Buone vacanze!!

Posté par atempodiblog le 15 juillet 2013

 Il tempo della libertà dans Don Luigi Giussani buonevacanze

Atempodiblog prende una pausa estiva.

Gli aggiornamenti saranno meno frequenti, ma potrebbe anche esserci qualche novità nelle prossime settimane… quindi occhio al blog. f4.png

Buone vacanze con Gesù e Maria sempre nel vostro cuore!

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Vacanze cristiane

Posté par atempodiblog le 15 juillet 2013

Il cattolico si distingue anche dal modo in cui si riposa e si diverte. Il Timone propone ai suoi lettori un vademecum di consigli utili per una vacanza da cristiani. Per non dimenticarci che, anche sotto l’ombrellone o in cima a una montagna, la meta della vita non è un pacchetto turistico, ma il Paradiso
Tratto da: Il Timone

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Arriva l’estate e l’uomo moderno si misura con un appuntamento obbligato quasi per tutti: le vacanze. Faccenda profana, ma che ha a che fare con i temi della fede e dell’apologetica. Perché il cattolico si riconosce anche dalle vacanze che fa.
Ovviamente, c’è una grande libertà di scelta tra le molte opzioni che abbiamo a disposizione, in una forbice che va da Borghetto Santo Spirito alle Antille. Ma dentro questa libertà ci sono alcuni punti fermi che ci dovrebbero guidare anche durante le nostre ferie. Proviamo a stilare un piccolo vademecum per “la vacanza cattolica”.

1. Continua a essere cristiano anche in vacanza.
Questo dovrebbe essere il punto di partenza di ogni cattolico che progetta il suo tempo di riposo e di divertimento. Andare tre settimane in Patagonia non è un delitto per un cristiano. Ma lo diventa se uno nemmeno si pone la domanda: e la Messa? In tempi di turismo globale, e di pacchetti turistici che ci portano agevolmente ovunque, bisogna stare attenti a non dimenticarsi l’essenziale: che non è il passaporto, ma Gesù Cristo. Che si incontra innanzitutto a Messa, almeno la domenica e nelle feste comandate.

2. Riposa ma non oziare.
Vacanza è, semplicemente, cambiare attività. Questo è vero anche solo dal punto di vista umano. C’è qualcosa di patologico nell’idea di “bruciare” il tempo delle ferie nel nulla assoluto, in un’abulia senza costrutto che è, notoriamente, l’anticamera del vizio e del peccato. Per questo motivo anche una giornata di vacanza richiede una certa disciplina, cioè un programma di vita nel quale ci siano tanto riposo e divertimento, il fermo proposito di lasciare da parte il lavoro di ogni giorno, ma anche il tempo per gli altri, a cominciare dai nostri familiari.

3. Stai allegro, divertiti ma non peccare.
Era uno dei consigli fondamentali di don Bosco. La vacanza è un grande privilegio, che i nostri antenati non hanno praticamente conosciuto. Chi dice che è un diritto, esagera. È piuttosto un grande dono, un talento, a patto di saperlo trafficare bene. È innanzitutto un tempo di rigenerazione, e quindi di meritato riposo. È legittimo anche divertirsi, purché questo obiettivo non travolga il primo: infatti, quale riposo è possibile se cerchiamo solo la confusione, la folla assordante, il rumore; se, in altre parole, ricreiamo a centinaia di chilometri di distanza lo stesso scenario confuso e dissipato in cui siamo costretti a vivere ogni giorno? Ci sono ambienti e divertimenti che in sé non sono illeciti, ma che costituiscono l’humus ideale per il peccato. Sono le famose occasioni, e già ricercarle e non fuggirle diventa una colpa grave.

4. Datti delle norme di vita.
Sappiamo benissimo che in vacanza è molto più difficile rispettare un certo ordine nella giornata. Paradossalmente, il lavoro, la scuola e la famiglia impongono un ritmo, degli orari, e dentro questa cornice il cattolico può inserire le sue pratiche di pietà, la Messa, il rosario. Con le vacanze, questi schemi inevitabilmente saltano, e c’è il rischio – spesso la certezza – che vada a farsi benedire anche la vita di fede. Invece che avere più tempo per il Signore, ci dimentichiamo di lui. Anzi: potremmo addirittura aver vergogna di mostrare a parenti e amici che, anche a Cortina o a Ischia, vorremmo andare a Messa in settimana, o prenderci un quarto d’ora per l’orazione. Tenendo sotto controllo l’eccesso opposto – l’ostentazione – dobbiamo invece difendere questi spazi sacri, senza essere d’ostacolo ai legittimi progetti di svago della nostra compagnia.

5. Fai la vacanza proporzionata al tuo tenore di vita.
Non è una questione di dottrina ma di buon senso. Quanti soldi è giusto investire nelle nostre vacanze? Ovviamente non esiste una tabella o una soglia dell’esagerazione. C’è però un criterio sempre buono: evitare gli eccessi, mantenendo una proporzione fra il nostro tenore di vita ordinario e l’investimento per il viaggio di piacere o la settimana al mare o ai monti. Inseguire una vacanza al di sopra delle proprie normali possibilità può essere il sintomo di un’esistenza triste, nella quale si passa l’anno aspettando quei quindici giorni come se fossero l’unica ragione per cui vale la pena vivere. Gli eccessi sono sempre ingiustificati, per ragioni morali e di stile. Inoltre, chi esagera si priva della possibilità di fare, con quel denaro, qualche opera di bene per la Chiesa e per i poveri.

6. Non lasciare che i tuoi figli vadano dove vogliono e con chi vogliono. Vacanze autonome per i figli?

Anche qui, mode e abitudini contemporanee talvolta fanno a pugni con le esigenze della morale. Ad esempio, è assolutamente da riprovare la leggerezza con cui i genitori tollerano o incoraggiano le vacanze congiunte di ragazzi e ragazze; prassi che diviene addirittura “istituzionale” quando due giovani sono più o meno fidanzati. Mandare in vacanza un gruppo di ragazzi e ragazze significa incoraggiarli alla promiscuità; mandarci due fidanzati è “istigazione al peccato”. Significa costruire una generazione di persone senza forza di volontà, appassita prima di fiorire nella freschezza degli anni più belli della vita. Pianificare vacanze cristiane significa anche far ragionare i nostri figli sulla opportunità di certe comitive, e sul primato che comunque la famiglia merita – almeno fino a una certa età – anche in materia di vacanze. Si dice: durante l’anno non c’è nemmeno il tempo per guardarsi un po’ in faccia. Ma se poi arrivano le vacanze e i figli vanno da una parte, e i genitori dall’altra, quando la famiglia sta insieme? E chi l’ha detto che ognuno deve andare in vacanza solo dove ci sono i divertimenti adatti alla sua età, sennò “che vacanza è?” Non conformarsi alla mentalità del tempo, come ammonisce San Paolo, significa anche spezzare questi luoghi comuni e re-imparare a stare insieme nel tempo delle ferie.

7. Fate letture utili ed edificanti.
In vacanza si cerca un po’ di evasione, anche nei libri. Naturale. Tuttavia è consigliabile portarsi al mare o ai monti almeno una lettura edificante che ci faccia conoscere meglio la nostra fede: la vita di un santo, un romanzo apologetico, il saggio di un autore cattolico affidabile, un testo sulla preghiera o sulla dottrina, il Vangelo, il Timone. Insomma: c’è molta scelta, basta volerlo.

8. Visita i luoghi della fede.
Alcuni trascorrono le loro vacanze in un monastero o in un’oasi di preghiera. Bello, ma praticamente impossibile per molti, e certamente per una famiglia. Si può però inserire sapientemente in ogni vacanza la visita ai luoghi della fede più vicini al nostro soggiorno estivo: un santuario, una cattedrale, la città di un grande santo, una comunità di religiosi, un sacerdote amico o il parroco del paesino di villeggiatura. Un modo semplice per insegnare anche ai propri figli che il nostro cuore è con Cristo anche quando ci stiamo rilassando e divertendo.

9. Ricordati degli altri.

La vacanza ci fa pensare che stiamo “incassando” una ricompensa meritata con un anno di lavoro stressante, o di studi faticosi, e guai a chi ce la tocca. C’è il rischio di guardare solo a sé stessi e di abbandonarsi all’egoismo; il mondo ci sussurra suadente che ci meritiamo un po’ di attenzione tutta per noi, e gli altri si arrangino. Ma il cristiano non può dimettersi durante le vacanze: San Josemaria Escrivà scriveva che «la santità e l’autentico desiderio di raggiungerla non si concede né soste né vacanze » (Cammino, n. 129). Allora, teniamo lo sguardo vigile e attento sugli altri, chiediamoci che cosa possiamo fare per aiutarli e se possibile mettiamo loro davanti alle nostre aspirazioni. Gesù ci ripagherà con vacanze bellissime, dove la gioia degli altri diventa la nostra gioia.

10. Non tralasciare i sacramenti.
Durante l’anno diciamo sempre: non ho tempo. Di pregare, di fare direzione spirituale, di confessarmi, di fare una visita in chiesa. In vacanza non abbiamo alibi, e allora approfittiamone. Non c’è fede cattolica senza sacerdote e senza sacramenti. Parafrasando una vecchia, celebre pubblicità di un’agenzia di viaggi, potremmo concludere dicendo: «Cristiano fai da te? No Chiesa? Ahiahahiahi!».

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Il pellegrinaggio

Posté par atempodiblog le 15 juillet 2013

A piedi, in treno o in auto, il pellegrinaggio è una metafora della vita umana, che è un cammino dal tempo all’eternità, dalla terra al cielo, dall’effimero all’assoluto. Per pregare, purificarsi, nutrire l’anima e prepararsi alla meta finale del Cielo.
di Padre Livio Fanzaga – Il Timone

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Il pellegrinaggio è una pratica presente in molte esperienze religiose, in particolare nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’Islam, le tre religioni che fanno riferimento ad Abramo, il pellegrino di Dio per eccellenza. Il Signore disse ad Abramo: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Gn 12,1). In questo comando vi sono già compresi quegli elementi che distinguono il pellegrinaggio in senso stretto dal semplice turismo, sia pure quello che non disdegna le mete religiose. Infatti, nella dinamica del pellegrinaggio vi è innanzi tutto una rottura con la vita di ogni giorno: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre». All’origine vi è una spinta ad uscire fuori dagli ingranaggi di un’esistenza soffocata dagli affanni del vivere, dalle paure e dalle preoccupazioni del futuro e dai limiti angusti della finitezza. Non si tratta però di una fuga da se stessi e dalle proprie responsabilità. Infatti, l’abbandono del quotidiano è per cercare qualcosa di più grande e di eterno: «Verso il paese che io ti indicherò», dice il Signore.

In questa prospettiva il pellegrinaggio è una metafora della vita umana, che è un cammino dal tempo all’eternità, dalla terra al cielo, dall’effimero all’assoluto. Alla radice della decisione del pellegrino di mettersi in viaggio non vi è tanto un bisogno di evasione, quanto invece il desiderio di infinito. Potremmo dire che il pellegrinaggio religioso è una testimonianza sull’uomo e sul suo destino.

L’uomo non è un animale più evoluto di altri, che si esaurisce nel ciclo finito della materia. In lui vi è una dimensione eterna, che invano si cercherebbe di sopprimere. Nella sua decisione di mettersi in viaggio verso una meta santa, il pellegrino attesta che il cuore dell’uomo è affamato di eternità e che il cielo è la meta a cui siamo stati predestinati.

Il cristianesimo ha ereditato il pellegrinaggio dalla ricca tradizione di Israele. Per ogni buon Israelita era necessario recarsi tre volte all’anno davanti al Signore nel suo santuario (Es 23, 14-19). Infatti là si trova «la casa di Dio» e «la porta del cielo», dove vi è il punto di contatto e di incontro fra Dio e l’uomo. Nel santuario ci si reca innanzi tutto per cercare «il volto di Dio». Alla partenza il cuore si ricolma di gioia: «Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore» (Sal 122,1). Anche il viaggio, per quanto faticoso e non di rado esposto a pericoli, viene percorso festosamente: «verso la casa di Dio camminavamo in festa» (Sal 55,15). Giunti al santuario ci si riposa non solo e non tanto il corpo quanto l’anima, finalmente giunta alla meta dei suoi desideri: «Questo è il mio riposo per sempre, qui abiterò perché l’ho desiderato» (Sal 132, 13-14). Gesù stesso si è fatto pellegrino, salendo a Gerusalemme con i genitori all’età di dodici anni, per obbedire alla legge (Lc 2,41ss) e, nel corso della sua missione, vi sale ancora in occasione di diverse festività.

La tradizione biblica è rimasta viva nel cristianesimo e ha avuto un impulso notevole a partire dal IV secolo, quando la religione cristiana diviene lecita. In questo periodo incomincia la costruzione di grandiosi edifici nei luoghi santi della redenzione, che inaugurano quel pellegrinaggio in Palestina che fino ai nostri giorni è rimasto il «pellegrinaggio» per eccellenza, nonostante le difficoltà dovute all’invasione mussulmana.
Nel medioevo il pellegrinaggio cristiano raggiunge il suo apogeo. Esso è l’espressione di quello straordinario fervore religioso che ha innalzato in tutta Europa della mirabili cattedrali, capolavori di arte, ma soprattutto espressione di fede granitica e di carità operosa.

Accanto a Gerusalemme sono Roma e Santiago de Compostela le mete dei pellegrini nell’ambito della «Respublica christiana», come allora veniva chiamata l’Europa, unita da un’unica fede e un’unica lingua, il latino, mentre fioriscono ovunque pellegrinaggi regionali e locali, in modo particolare laddove sono conservate le reliquie e i corpi dei santi. A partire dall’VIII fino al XVI secolo il pellegrinaggio è stata una pratica altamente espressiva della concezione cristiana dell’esistenza umana. Molti pellegrini lo vivevano come una preparazione al momento estremo della vita, quando l’anima abbandona la scena di questo mondo e compare davanti al Giudice divino. Prima di partire vi erano quelli che vendevano tutti i loro averi per darli ai poveri e iniziare in povertà il cammino purificatore verso l’eternità. Altri facevano il testamento, ben consapevoli dei pericoli che li attendevano lungo vie infestate da briganti e attraverso territori devastati dalla guerra. Nel cuore di tutti vi era un desiderio di purificazione attraverso la preghiera e la dura penitenza del viaggio, oltre al lavacro rigeneratore del luogo santo da raggiungere, con i sacramenti, l’intercessione dei santi e le loro reliquie, ritenute onnipotenti.

Lungo il corso dei secoli il pellegrinaggio era fatto a piedi, o in barca o sul dorso di animali. La fatica del viaggio era una componente penitenziale essenziale. Il pellegrinaggio a piedi ha conservato il suo fascino anche al giorno d’oggi, ma si tratta sopratutto di imprese solitarie e non di una prassi comune come nei secoli andati. Nei tempi moderni ha preso un certo vigore il pellegrinaggio in bicicletta, che ha il vantaggio di comportare anch’esso una certa dose di penitenza corporale, pure essendo assai più rapido di quello a piedi. Si è invece affermato a livello di massa il pellegrinaggio in treno o in corriera. Se ben preparato e guidato produce indubbiamente gli effetti spirituali desiderati, anche se i disagi del viaggio sono minimi.

Personalmente ho scoperto il fascino segreto e la straordinaria efficacia del pellegrinaggio in macchina. Con una quattroruote ho percorso l’Europa da un capo all’altro, visitando i santuari mariani, i luoghi delle apparizioni del Signore e della Madonna, le grandi cattedrali e le innumerevoli sorgenti di santità di cui il nostro continente è punteggiato. Mi è bastato ritagliarmi ogni anno una decina di giorni di ferie per poter tracciare itinerari ricchi di spiritualità, di arte, di cultura e di bellezze naturali. I vantaggi del pellegrinaggio su una quattroruote sono innumerevoli, sia che si compiano da soli che in compagnia. In macchina infatti si può viaggiare pregando e meditando, ottenendo così uno degli obbiettivi primari del pellegrinaggio stesso. Inoltre in macchina si può riposare, mangiare e persino dormire, coniugando le esigenze delle penitenza con quelle del risparmio. Sopratutto in macchina si può andare dove e quando si vuole, senza la schiavitù dei gruppi e degli orari e senza i limiti di distanza e di tempo imposti dal pellegrinaggio a piedi e in bicicletta.

Le componenti di un pellegrinaggio vero in ultima istanza sono: il pellegrino, la strada e la meta. Queste tre componenti sono presenti anche nel pellegrinaggio sulla quattroruote. I giovani e le famiglie in particolare possono inaugurare una stagione nuova e originale del pellegrinaggio cristiano. Le radici dell’Europa non possono restare sulla carta. Vanno riscoperte e rinverdite per una nuova stagione della fede.

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DA NON PERDERE
Padre Livio Fanzaga,
Pellegrino a quattroruote – sulle strade d’Europa, Sugarco Edizioni

Nostra Signora de La Salette dans Apparizioni mariane e santuari pellegrinoaquattroruote

Questo libro è la testimonianza di un vissuto personale. Racconta i pellegrinaggi effettuati in automobile durante le vacanze estive in alcuni dei luoghi di grazia dell’Europa (esclusa l’Italia), santificati dalle apparizioni di Gesù Cristo e della Santa Vergine, oppure dalla presenza dei santi. Si tratta di un’esperienza accumulata nel corso di decenni e che alla fine ha preso la forma di un reportage in prima persona. Tuttavia il protagonista non è tanto il pellegrino, quanto quei luoghi dell’Infinito che egli ha incontrato e che ritiene utile fare conoscere agli altri, affinché possano attingere una nuova forza spirituale da sorgenti d’acqua viva che non cessano di zampillare. Numerosi sono i luoghi descritti per le loro bellezze artistiche, per la memoria storica e soprattutto per le straordinarie ricchezze spirituali: Medjugorje, Cracovia, Wadovice, Auschwitz, Czestochowa, Lourdes, Avignone, Taizé, Paray le Monial, Nevers, Parigi, Ars, Domremy, Reims, Rouen, Chartres, Lisieux, Alencon, Dozulé, Mont-Saint-Michel, Montligeon, Pontmain, Monfort-sur-Meu, Saint-Laurent-sur-Sèvres, Pellevoisin, Issoudun, La Salette, Laus, Banneuux, Beauring, Amsteerdam, Montserrat, Barcelleona, Saragozza, Torreciudad, Peralta del la Sal, Avila, Alba de Tormes, Santiago de Compostela, Fatima.

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La Sainte-Chapelle di Parigi, scrigno di luce

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2013

La Sainte-Chapelle, scrigno di luce
Situata nel cuore di Parigi, l’Île de la Cité, è un capolavoro voluto da san Luigi Re per ospitare le reliquie della vera Croce e della Corona di Spine.
di Annamaria Scavo – Radici Cristiane

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Una radicale abolizione delle pareti, non più mura con funzione portante, un assottigliamento di tutte le strutture, vetrate leggere e diafane dai colori caleidoscopici delineate da fasci di pilastri che non lasciano trasparire la robusta ingabbiatura esterna dei contrafforti e degli archi rampanti, ecco il gotico radiante, ecco la Sainte-Chapelle.
La volle nel 1241 san Luigi IX perché contenesse le sacre reliquie che egli aveva acquistato in Oriente: la corona di spine della Passione, cedutagli dall’imperatore latino Baldovino II di Costantinopoli in cambio di una cifra esorbitante dopo due anni di contrattazione, e un pezzo della Vera Croce.
Desiderando dare una sede degna a queste e altre reliquie, fece progettare un edificio che doveva essere molto bello, una cappella palatina, collegata direttamente al palazzo reale che in seguito sarebbe andato distrutto.
Ora è circondata dal Palazzo di Giustizia, funzione peraltro che un tempo era esercitata dallo stesso re con l’istituto del “letto di giustizia” che serviva ad importanti aristocratici per perorare le proprie cause.
Nel 1246 fu pronta, nel 1248 consacrata.

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Capolavoro verticale verso il Cielo
La facciata è compresa tra due torrette a guglia ed è preceduta da un ampio portico sormontato da una loggia, al di sopra della quale è situato un grande rosone.
Si accede da un portale che conduce alla Cappella inferiore, Cappella bassa, dedicata alla Vergine. Le decorazioni all’interno e la statua della Vergine sono dell’800.
Attraverso una stretta scaletta si perviene alla parte alta dove furono esposte le Reliquie e dove l’arte delle vetrate si esprime nel modo più sublime.
Le proporzioni danno un’immediata sensazione dello slancio verticale dell’opera. Essa infatti è lunga 36 metri, larga 17 e alta 42,50. L’innovazione tecnica di inserire rinforzi in metallo nella muratura delle volte, oltre ai già detti contrafforti esterni, consente il sostegno di questa fragile struttura.
L’interno consiste di due basiliche ad aula unica, sovrapposte, quella inferiore ad uso della corte e del governo ospitato nella reggia, quella superiore, contenente le preziose reliquie, appannaggio esclusivo del Re, della sua famiglia e dei grandi ufficiali. A consacrare quest’ultima venne addirittura il Papa, mentre quella inferiore fu benedetta dall’Arcivescovo di Bourges.

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Meravigliose vetrate
Impressionante è l’impatto visivo con le immense vetrate sfolgoranti di colori mentre la parte muraria dell’interno è ridotta alle nervature essenziali, uno spettacolo unico del quale non è noto il progettista, che non viene mai nominato negli archivi; potrebbe essere quel Pierre de Montreuil che le viene a volte associato, l’architetto cui si deve anche una parte di St. Denis e della facciata di Nôtre-Dame. Oggi si fa anche con insistenza il nome di T. de Cormont.
Seicento metri quadrati di vetrate riproducono scene dell’Antico Testamento; su 1134, 720 sono originali del 1200. Si leggono da sinistra verso destra e dal basso verso l’alto. Nel ‘400 fu aggiunto il rosone con la rappresentazione dell’Apocalisse.
Durante la Rivoluzione, purtroppo, le sacre reliquie andarono disperse (ora in parte sono conservate nel tesoro di Nôtre-Dame), i banchi del coro distrutti insieme allo schermo protettivo del Crocifisso e così anche la guglia. Questa sarà ricostruita nel 1857.
Le splendide vetrate si salvarono miracolosamente da questi vandalismi perché provvidenzialmente oscurate da schedari, dato che la Chapelle era diventato un ufficio amministrativo.
La volta era arricchita di innumerevoli pietre preziose. Naturalmente, neanche queste furono risparmiate dai rivoluzionari.

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ESTATE/ Quell’esperienza della Bellezza così vicina a noi

Posté par atempodiblog le 18 juin 2013

ESTATE/ Quell’esperienza della Bellezza così vicina a noi
di Francesco Baccanelli – ilsussidiario.net

ESTATE/ Quell'esperienza della Bellezza così vicina a noi dans Articoli di Giornali e News y1

L’estate è la stagione che più di ogni altra avvicina l’uomo alla natura. Le condizioni atmosferiche incoraggianti, i periodi di ferie e le giornate lunghe ci offrono un’ottima occasione per riprendere confidenza con il mondo intorno a noi. Tanto i viaggi più bizzarri quanto il vivere quotidiano possono aprirci uno spiraglio sulla bellezza della natura, ma prima dobbiamo rieducare i nostri sensi alla meraviglia. Dobbiamo guarirli da quella forma di “daltonismo” che nasce dalla nostra indifferenza per tutto ciò che riteniamo di conoscere a fondo e che ci porta a percepire gli innumerevoli splendori della natura come un’unica massa uniforme. È difficile forse, ma per risvegliare le nostre curiosità, per ridestare in noi la voglia di lasciarci stupire, possiamo contare anche sull’aiuto dell’arte.

Non serve chiamare in causa il lungo e affascinante dibattito sul suo rapporto con la natura. Ai nostri fini è sufficiente pensare a quegli artisti che, innamorati del creato, si sono impegnati a celebrarlo attraverso le proprie opere, avvertendo talvolta anche un senso di inadeguatezza, come dichiara, con un’umiltà davvero commovente, il poeta americano Joyce Kilmer: «Penso che non vedrò mai / una poesia bella come un albero (…) Le poesie sono fatte dagli sciocchi come me, / ma solo Dio può fare un albero». Questi artisti infatti possono indirizzare i nostri occhi sia sui frammenti di natura più umili e apparentemente marginali, che sulle bellezze più sorprendenti e ineffabili.

Con la sua Grande zolla, ad esempio, Albrecht Dürer sottopone alla nostra attenzione un ciuffo d’erba del tutto ordinario, come ne abbiamo visti a migliaia. Eppure, separato da quanto gli sta intorno, impreziosito dall’ingrandimento, il ciuffo ci appare come qualcosa di straordinario, un piccolo grande capolavoro nascosto nella vita di ogni giorno. Dürer porta i nostri occhi su una normalissima porzione di prato, che dal vivo probabilmente non catturerebbe la nostra attenzione neppure se, inciampando, finissimo col trovarcela a pochi centimetri dal naso. Mettendo in risalto i fili d’erba e le foglioline, ci costringe a considerare quanta bellezza sia racchiusa in un brandello di natura così apparentemente banale e, di conseguenza, a quanta ne sia sparsa nel resto dell’universo.

Lo stesso fanno, sul fronte musicale, le composizioni con cui Olivier Messiaen, trascrivendo i canti degli uccelli, ci invita all’ascolto dei suoni della natura o, su quello letterario, alcuni indimenticabili passi de I fratelli Karamazov (il riferimento è alla pagine che Dostoevskij dedica alla vita dello starec Zosima). Alquanto suggestivo in questo senso, benché manchi di un lieto fine, è anche il famoso episodio de La Storia di Elsa Morante in cui un agente delle SS condotto al patibolo s’imbatte in un fiore sbocciato su un muro e, riconoscendo in esso «tutta la bellezza e la felicità dell’universo», per un istante pensa: «Se potessi tornare indietro, e fermare il tempo, sarei pronto a passare l’intera mia vita nell’adorazione di quel fiorelluccio».

Guide preziose per la contemplazione del frammento, gli artisti possono correre in nostro aiuto anche per porzioni di natura ben più vaste. Caspar David Friedrich, giusto per fare un nome, in questo campo è un vero maestro. Da buon romantico conosce le potenzialità del proprio lavoro e nel creato individua non solo un’inesauribile fonte d’ispirazione, ma anche una delle vie più brevi per conoscere Dio. Osservando le sue opere vengono in mente le parole di Wilhelm Heinrich Wackenroder, uno dei padri del Romanticismo tedesco: «Conosco due lingue meravigliose, che il Creatore diede agli uomini affinché i mortali, per quanto ciò sia loro possibile, possano raggiungere le cose celesti (…). Una di queste lingue è parlata soltanto da Dio, la seconda soltanto da pochi eletti (…). Queste lingue sono la natura e l’arte». Con la natura Friedrich dialoga senza sosta e alle aperture paesaggistiche che dipinge affida la traduzione figurativa delle sue più intime domande, che nei contenuti spesso ricordano Novalis e Kierkegaard. I suoi alberi, le sue rocce, i suoi tramonti, i suoi tratti di mare ci invitano a riflettere sul creato. Siamo parte della natura – sembra suggerirci – e in essa possiamo trovare un alleato per capire più a fondo noi stessi, un alleato che non ci abbandona in nessuna occasione e che può assisterci nell’incontro con l’infinito.

Quando si accosta alla natura, l’arte può prendere in considerazione anche quanto di essa normalmente ci angoscia. Il Cantico di frate Sole, che oltre a essere una delle più intense preghiere della storia cristiana, è una vera e propria poesia (e quindi un’opera d’arte a tutti gli effetti), ad esempio non contempla soltanto le cose che facilitano la nostra vita. Francesco accetta con letizia e umiltà tutto ciò che viene da Dio, dalla bellezza del creato all’utilità delle sue componenti, dalle più diverse situazioni atmosferiche ai momenti di dolore. E proprio le parole di accoglienza per l’«infirmitate», per la «tribulatione» e per la «morte corporale» fanno del suo Cantico uno dei più decisi, pieni e sinceri atti d’amore nei confronti del Creatore e del creato.

L’arte è dunque un ottimo strumento per la riscoperta di quanto è intorno a noi. Destreggiandosi con le parole o con le immagini, con i suoni o con i gesti, riesce a forzare il muro della nostra indifferenza e a scuotere le emozioni. Le opere che si rivolgono alla natura con spirito risoluto, cioè senza cadere in inutili patetismi o in ingenue tentazioni panteistiche, possono davvero riavvicinare ad essa i nostri sensi. Che poi li portino alla scoperta di un frammento minuscolo o all’incontro con uno scenario sconfinato non è particolarmente importante. Ciò che conta è che sappiano insegnarci a considerare ogni cosa con interesse, stupore e umiltà, perché spesso l’esperienza della bellezza è molto più vicina a noi di quanto siamo abituati a pensare.

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La Basilica di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi

Posté par atempodiblog le 8 juin 2013

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Studiando l’apparizione della Madonna a Pellevoisin, ho scoperto che a Parigi esiste un altro luogo (oltre a Rue du Bac, ndr) dove la Madre di Dio ha riversato dal Suo cuore di madre un torrente di grazie. Infatti avendo la veggente Stella Faguette chiesto alla Madonna perché fosse apparsa in un paesino sperduto e difficilmente raggiungibile come Pellevoisin, e non nella Basilica di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, la Santa Vergine risponde che lì aveva già dato molti segni della sua potenza, mentre a Pellevoisin non c’era nulla ed era necessario un nuovo impulso.

Padre Livio Fanzaga

La Basilica di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi

Originariamente costruita nel 1629 in segno di ringraziamento per i favori ricevuti da Luigi XIII e dedicata alla Beata Vergine, nel terzo decennio dell’Ottocento versava ormai in profondo declino. La Chiesa aveva subito un degrado all’epoca della Rivoluzione Francese e negli anni successivi era stata trasformata in Borsa dei Valori prima di ritornare alla sua antica destinazione nel 1809, ma con pochissimi parrocchiani.

Dopo il suo arrivo nel 1832 il parroco Charles Desgenettes dovette lottare contro la generale indifferenza religiosa e persino alcune manifestazioni di ostilità. Convinto che la causa di ciò fosse la sua incapacità personale, arrivò al punto di chiedere all’Arcivescovo di rimuoverlo dall’incarico, ma la sua richiesta fu rifiutata. Egli continuò comunque a pregare per i suoi parrocchiani e alla fine le sue preghiere furono ascoltate.

Nel celebrare la Messa del 3 dicembre 1836 fu assalito da pensieri insolitamente persistenti che lo turbarono e che lo indussero a pregare per chiedere sollievo. Quasi subito nel centro del suo essere udì una voce che gli diceva di consacrare la sua chiesa al Sacro Cuore Immacolato di Maria. In quello stesso istante il senso di malessere e turbamento che lo aveva colto svanì ed egli provò una grande calma. Tornato in sacrestia sentì nuovamente riaffiorare il turbamento, ma udì subito la voce che gli ripeteva la richiesta di consacrazione. Don Desgenettes riconobbe l’aspetto verosimilmente soprannaturale dell’accaduto.

Un impulso interiore lo spinse ad agire di conseguenza, giunto a casa stilò gli statuti di un’associazione in onore al Cuore Immacolato di Maria per la conversione dei peccatori. Nel giro di una settimana questi statuti furono accolti dall’Arcivescovo di Parigi ed ebbe così inizio l’opera della celebre confraternita di Nostra Signora delle Vittorie. Un’associazione che avrebbe esercitato la sua influenza in tutto il mondo, divenendo su istanza del Papa un’Arciconfraternita mondiale. Con tale impeto l’associazione crebbe rapidamente e riuscì a promuovere il concetto di intercessione attraverso il Cuore Immacolato di Maria. Essa inoltre rese popolare la nozione di consacrazione mariana.

L’importanza di questo movimento e di quello della Medaglia Miracolosa sta nel fatto che costituiscono lo sfondo delle varie apparizioni mariane, di carattere pubblico, verificatesi nella Francia di fine Ottocento. Ciò significa che apparizioni come quelle di La Salette, Lourdes e Pontmain andrebbero inquadrate nel contesto di una generale ripresa del cattolicesimo con particolare enfasi sulla devozione a Maria.

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La Cattedrale di Reims

Posté par atempodiblog le 29 mai 2013

La Francia Medievale
La Cattedrale di Reims
Luogo privilegiato di incontro fra arte e storia, la cattedrale di Reims è uno dei preziosi scrigni in cui l’Europa custodisce tuttora le sue radici cristiane.
di Michela Gianfranceschi – Radici Cristiane

La Cattedrale di Reims dans Apparizioni mariane e santuari reimscattedrale

La città di Reims, nella regione della Champagne-Ardenne, nella Francia settentrionale, custodisce alcuni tesori dell’arte, musei e monumenti, simboli ancora oggi delle importanti vicende storiche cui la città fece da sfondo. Particolarmente la Cattedrale di Notre Dame rappresenta un simbolo della cultura storica e artistica della Cristianità tutta.

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Storia e architettura intrecciate
La Cattedrale di Reims, gioiello dell’arte e della cultura gotica, fu innalzata all’inizio del XIII secolo su un sito consacrato che aveva fino a quel momento ospitato numerosi altri edifici sacri. L’area è identificabile con l’antica Durocortorum gallo-romana in cui sorse il primitivo tempio cristiano, in seguito sostituito nel IV secolo dalla costruzione della prima cattedrale, consacrata nel 401 dal vescovo Nicasio.
Costui, quando nel 407 Reims subì il terribile assedio dei vandali, si rifiutò di abbandonare la cattedrale e anzi spronò la popolazione a restare nella città e a pregare per il nemico, accettando con serenità anche il sacrificio della vita.
Il racconto agiografico giunto fino a noi principalmente tramite le parole dello storico Flodoardo nella sua Historia Remensis ecclesiae (X sec.) descrive il giovane e coraggioso Nicasio immobile davanti all’entrata della cattedrale insieme alla sorella, la vergine Eutropia, pronto a fronteggiare l’orda di barbari pregando ad alta voce.
La testa di Nicasio fu mozzata senza pietà e ruzzolando sul sagrato continuò a scandire la preghiera rivolta al Signore «Vivifica me, Domine, secundum verbum tuum» (Salmo 118) che aveva iniziata, gettando nel terrore gli invasori sanguinari che abbandonarono a causa di ciò la città. San Nicasio divenne perciò patrono di Reims.
Alla fine del V secolo, durante la notte di Natale del 496, all’interno di quella stessa prima cattedrale di Reims il vescovo san Remigio incoronava il re merovingio Clodoveo, convertitosi alla fede cattolica. Da allora la cattedrale, consacrata secondo la leggenda dalla presenza dello Spirito Santo giunto in occasione di quell’originario rito, divenne il luogo eletto per le successive incoronazioni dei Re di Francia.
Alla metà del IX secolo l’edificio venne ampiamente restaurato e nuovamente consacrato alla Vergine Maria, titolo che secondo alcune fonti trova origine fin dal tempo di Nicasio. Nel 987, alla morte dell’ultimo rappresentante regale della dinastia di Carlo Magno, l’incoronazione di Ugo Capeto, membro della famiglia dei conti di Parigi, segna un altro fondamentale passaggio storico, dando inizio alla dinastia reale dei Capetingi, principale ramo dei Re di Francia.
Le cronache medievali segnalano alla metà del X secolo un imponente rinnovamento edilizio nei territori del regno francese e i lavori promossi a Reims dall’arcivescovo Adalberone (969-989) ne sono un fulgido esempio, stando al racconto del monaco Richerio nella sua Storia di Francia.
Ovviamente le nuove acquisizioni tecniche, relative soprattutto ai sistemi di copertura, non mutarono eccessivamente l’elemento stilistico, ma anzi favorirono una continuità ideologica tra gli stili, dal carolingio, maestoso e rappresentativo (un esempio per tutti il ricchissimo complesso palaziale di Aquisgrana), passando per il preromanico, fino a giungere al primo stile romanico, saldo e concreto, che affondava fortemente nella terra i muri delle proprie chiese e, con essi, i pilastri della Fede. Sempre più frequentemente si usava la pietra come principale materiale costruttivo; la distribuzione delle imponenti masse dava a questo iniziale stile romanico un aspetto monumentale e volutamente concentrato sui volumi.
Il rinnovamento edilizio, che coincise proprio con il regno di Ugo Capeto, fu principalmente sostenuto dalle più importanti gerarchie ecclesiastiche che si sobbarcarono le immani spese della riedificazione e del restauro di numerose chiese abbaziali e cattedrali, oltre alla promozione di una fioritura decorativa, in particolare scultorea, che determinò una nuova sensibilità artistica.
Accanto ai potenti prelati si distinguono tuttavia anche molte figure di mecenati laici, principi e ricchi signori del tempo, desiderosi di partecipare, in accordo con la Chiesa di Roma, a tale ondata di ripristino dei luoghi della Fede.
Una architettura innovativa e una imponente produzione di apparati e arredi liturgici costituiscono il principale benvenuto dell’Europa al nuovo millennio, latore di rafforzata speranza, che, invece, precedentemente era mancata a causa del timore per l’imminente fine di un’era, rendendo anche l’operato artistico decadente e poco convinto. Tale lettura vuole ovviamente indicare una tendenza e non un sistema definito, ma va tenuta presente nell’analisi dell’architettura religiosa di quel periodo.

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Il messaggio cristiano nelle forme del gotico francese
Nel 1210 un incendio sviluppatosi nel centro cittadino di Reims rase al suolo la cattedrale antica fino a quel momento luogo santo e teatro di vicende storiche. Fu subito chiaro che la chiesa doveva risorgere ancora una volta in quello stesso punto per un senso di continuità con il passato, e dunque i lavori, promossi dall’arcivescovo Aubry de Humbert, cominciarono poco tempo dopo nel 1211.
Prese allora forma la cattedrale così come oggi la conosciamo, anche se i secoli trascorsi hanno lasciato spietati segni nella sua struttura: il cantiere che si protrasse durante tutto il XIII secolo portò alla luce uno dei più spettacolari emblemi dell’architettura gotica francese.
La cattedrale, a croce latina, si articola su tre navate che, giunte all’altezza del coro, vengono affiancate da una doppia fila di navatelle che accompagnano le tre principali, movimentando e allargando ulteriormente lo spazio del transetto e culminando nella zona dell’abside in cinque cappelle radiali. L’effetto scenografico è ulteriormente ribadito dalla navata principale che supera in lunghezza le altre due, rimarcando il senso longitudinale della pianta.
La cattedrale rimase tuttavia incompiuta: delle sette torri che secondo l’originario progetto si sarebbero dovute innalzare, due in corrispondenza di ogni facciata e una a coronamento dell’incrocio fra la navata principale e il transetto, ne furono costruite solo due, collocate ai lati della facciata occidentale. L’opera fu portata a termine solo nel 1475.
Alle tre navate della chiesa corrispondono, all’esterno, tre portali sulla facciata occidentale profondamente strombati, secondo la tradizione del gotico francese, con al centro un rosone. Più in alto ancora un enorme rosone, originariamente ricolmo di vetri colorati, e finestre dalla forma molto allungata, quasi dei tagli nella parete, garantiscono superbi effetti di luce all’interno.
Le ricche decorazioni scultoree che rivestono l’edificio internamente ed esternamente raccontano le storie sacre, insieme alle vicende che resero nel tempo la cattedrale di Reims un luogo di culto così speciale.
La porta centrale narra le storie della Vergine Maria cui la chiesa è dedicata, mentre i portali laterali presentano brani del Giudizio finale e della Passione di Cristo. Allo stesso modo sono decorati anche i portali dei bracci del transetto con le raffigurazioni dei vescovi della città e di Gesù (portali a nord) e con figure di santi e profeti (portali a sud). Al di sopra del rosone principale, nella facciata occidentale, si sviluppa tra le due torri campanarie una lunga galleria con le rappresentazioni dei re, culminante nella figura al centro di Clodoveo nell’atto di ricevere il battesimo.

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Un racconto appassionato della Cristianità
La chiesa così riccamente realizzata sui più noti modelli dell’architettura gotica d’oltralpe, fu luogo privilegiato per le cerimonie di incoronazione dei Re di Francia, da san Luigi IX nel 1226 all’ultimo re Borbone Carlo X nel 1825.
Nel frattempo, i nefasti effetti della Rivoluzione Francese, che avevano trasformato per un breve lasso di tempo l’edificio in “Tempio della Ragione”, si mostravano nella dispersione e distruzione di molte sculture e arredi sacri, tra cui la venerata Santa Ampolla, parte del tesoro della cattedrale, che costituiva la memoria dell’antica fiala con il crisma utilizzato durante le incoronazioni.
Anche in seguito la chiesa andò incontro a un destino di rovina, quando l’artiglieria tedesca nel corso della Prima Guerra Mondiale distrusse intere parti dell’edificio, fra cui la copertura e le vetrate, ma sempre si risollevò e, grazie all’interessamento di molti, come era accaduto fin dall’epoca medievale, venne restaurata e ricostruita.
Questo perché la cattedrale di Reims, con le sue numerose statue e raffigurazioni scultoree che ancora oggi si affacciano tra gli elementi architettonici delle facciate e delle pareti interne, accendendo di vita la fredda pietra, e con le vicende storiche che nei secoli l’hanno attraversata, rappresenta ancora oggi un racconto appassionato della cristianità.

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