L’Assunzione di Maria in Cielo
Posté par atempodiblog le 31 août 2016
L’Assunzione di Maria in Cielo
di suor Gloria Riva – CulturaCattolica.it
Tiziano Vercellio, L’Assunta, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari
Maria è assunta in cielo anima e corpo, questo proclama la Chiesa, questo essa celebra il 15 agosto di ogni anno. Ma cosa si cela dietro a questo mistero, la cui popolarità è più legata al folclore e al periodo estivo in cui si celebra che non alla sua comprensione?
L’assunzione di Maria è la conseguenza dell’unione perfetta di Maria col Figlio. Dio, inoltre, non poteva permettere la corruzione del corpo di Colei che fu l’arca vivente del Figlio Suo. Questo felice esito della vita terrena di Maria non riguarda, tuttavia, lei sola: in lei ha avuto principio quell’opera di redenzione che deve, nel disegno misericordioso e buono di Dio, raggiungere ogni uomo.
“In te misericordia, in te pietate in te magnificenza in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”, canta Dante. Tutto ciò che di buono Dio ha pensato per le sue creature, in Maria si è realizzato con pienezza e perfezione grazie alla sua fedeltà a Cristo, perciò il suo destino si lega indissolubilmente a quello del Figlio, “come in terra, così in cielo”. E come l’ascensione del Signore rivela che “un corpo abita nella Trinità” (Varillon) così l’assunzione di Maria realizza quello che sarà il destino di ogni credente.
Un cantore di questo singolare evento della Vergine Maria fu Tiziano Vecellio.
Nel vasto interno della chiesa gotica dei Frari dedicata, appunto, a Santa Maria Gloriosa, Tiziano dipinse in tempo brevissimo, dal 1516 al 1518, la tela monumentale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.
Uno spazio tripartito narra l’evento: la terra gremita di apostoli e discepoli del Signore, il cielo che s’apre al passaggio della Vergine e i cieli dei cieli dai quali Dio Padre, solenne e compiacente, discende per accogliere Maria.
L’osservatore pur indugiando brevemente nella selva di forme e colori armoniosamente composti si trova spontaneamente portato a dirigere lo sguardo verso il volto della Giovane Donna che liberata da ogni legame terreno s’innalza verso l’alto fra stupore e commozione.
Una corona di angeli delimita il confine tra la terra e il cielo; la profondità non è narrata, ma intuita dentro la solare luminosità del giallo oro.
In basso il cielo è di tutt’altro segno, incombe sul gruppo dei discepoli rendendo ancora più esiguo lo spazio angusto entro il quale essi si muovono concitati.
E qui ci riconosciamo noi tutti, così lontani dalla chiarità del mistero che ha avvolto Maria, così lontani eppure così partecipi. Ci riconosciamo nello sgomento che pervade certi volti per aver perso dall’orizzonte quotidiano una tanto eloquente trasparenza del Cristo; ci riconosciamo nel desiderio profondo di affidamento a lei, discepola perfetta e fedele, al fine di giungere anche noi alla mèta; ci riconosciamo, ancora, nel volto orante dell’anziano apostolo in primo piano, così vuoto di sé e così pieno del mistero che sotto i suoi occhi si consuma. Siamo qui in questo spazio angusto quale è la vita, prezioso, ma sempre inadeguato alla sete di eternità che alberga nel nostro cuore.
Tiziano si fa vigoroso interprete di questi sentimenti, e lui, che tanto si è espresso in temi mitologici riesce a descrivere il destino eterno di Maria con le tinte dell’amore e della passione. La tensione dei corpi, il movimento dello stesso corpo di Maria, la gamma di rossi che, richiamandosi caricano di drammaticità la scena, descrivono una tensione alla santità che non è ricerca di una perfetta impassibilità, non è raggiungimento di un « nirvana”, ma la pienezza dell’esperienza umana divinizzata dalla sequela a Cristo, pienamente uomo e pienamente Dio.
La sacralità dell’evento è interamente affidata alla composizione classica e solenne e al profilo, in controluce, dell’Eterno Padre. La sua ombra dilata la luminosità dello sfondo e la calda luce dorata colpisce lo sguardo dell’osservatore spalancandogli il cuore al divino.
Uomini e angeli sembrano accomunati dallo stupore, gli uni pieni di sgomento gli altri al colmo del tripudio. Ma nel turbine dei gesti e dei colori un dialogo fatto di sguardi fissa l’attimo eterno: la Vergine solleva lo sguardo al suo Dio e un angelo, alla destra del Padre, come sorpreso indugia con la corona in mano. È proprio lei? È questa? È una creatura che dobbiamo accogliere nella vasta santità del Cielo? Ma Dio Padre guarda la Vergine: “È proprio lei”.
“Umile ed alta, più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio”.
Tiziano Vecellio
Tiziano Vecellio, pittore nato a Pieve di Cadore nel 1488/90 e morto a Venezia nel 1576.
Nel periodo giovanile compie la propria formazione nella bottega di Giovanni Bellini; qui Tiziano viene a contatto con l’artista più innovativo del Cinquecento, Giorgione. Nell’epoca della piena maturità Tiziano manifesta maggiore sicurezza nella composizione della figura umana, raggiungendo effetti realistici e vitali. Al potenziamento dell’energia delle scene contribuisce in maniera determinante il colore, che secondo la nuova concezione tonale costruisce la stesura stessa della raffigurazione.
La sua produzione è vastissima e le sue opere più importanti sono: tra le prime, gli affreschi della Scuola del Santo a Padova con la “Storia di S. Antonio” del 1511; l’“Amor sacro e amor profano” della Galleria Borghese a Roma; la “Pala dell’Assunta” della chiesa dei Frari a Venezia del 1516-1518; “Flora” conservata agli Uffizi a Firenze; la “Pala Pesaro” ai Frari a Venezia; “Paolo III Farnese con i nipoti di Alessandro e Ottaviano” del 1546 delle Gallerie Nazionali di Capodimonte a Napoli; il “Carlo V a cavallo” del 1548 conservato a Madrid nel Prado; il “Martirio di S. Lorenzo” della Chiesa dei Gesuiti a Venezia; la “Pietà” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
La Pala dell’Assunta Chiesa S. Maria Gloriosa dei Frari
L’imponente pala, commissionata a Tiziano nel 1516 da frate Germano, priore del Convento dei Frari, suscitò alla consegna, due anni più tardi, forti imbarazzi alla committenza ed un’accoglienza piuttosto fredda; la tradizionale iconografia dell’Assunzione in cielo della Vergine veniva infatti completamente rinnovata e stravolta dal Maestro – probabilmente debitore di coevi motivi raffaelleschi – al punto da apparire artisticamente blasfema: la concitazione delle gigantesche figure, il tono fiammeggiante delle vesti e delle carni, l’agitata scenografia, fanno tuttavia di quest’opera una pietra miliare della produzione giovanile dell’artista e, anzi, quella della sua consacrazione definitiva, al punto, grazie all’eccezionale fortuna critica, di divenire in seguito l’immagine più nota del Maestro cadorino.
Dopo un periodo di esposizione alle Gallerie dell’Accademia, dove divenne uno dei dipinti preferiti e osannati dell’ Ottocento, il capolavoro tizianesco è tornato alla sua collocazione originaria nell’altar maggiore della Basilica nel 1919, dove oggi si può ammirare nelle esatte condizioni per le quali l’artista l’aveva pensata.
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