L’Assunzione di Maria in Cielo

Posté par atempodiblog le 31 août 2016

L’Assunzione di Maria in Cielo
di suor Gloria Riva – CulturaCattolica.it

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Tiziano Vercellio, L’Assunta, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari

Maria è assunta in cielo anima e corpo, questo proclama la Chiesa, questo essa celebra il 15 agosto di ogni anno. Ma cosa si cela dietro a questo mistero, la cui popolarità è più legata al folclore e al periodo estivo in cui si celebra che non alla sua comprensione?

L’assunzione di Maria è la conseguenza dell’unione perfetta di Maria col Figlio. Dio, inoltre, non poteva permettere la corruzione del corpo di Colei che fu l’arca vivente del Figlio Suo. Questo felice esito della vita terrena di Maria non riguarda, tuttavia, lei sola: in lei ha avuto principio quell’opera di redenzione che deve, nel disegno misericordioso e buono di Dio, raggiungere ogni uomo.

“In te misericordia, in te pietate in te magnificenza in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”, canta Dante. Tutto ciò che di buono Dio ha pensato per le sue creature, in Maria si è realizzato con pienezza e perfezione grazie alla sua fedeltà a Cristo, perciò il suo destino si lega indissolubilmente a quello del Figlio, “come in terra, così in cielo”. E come l’ascensione del Signore rivela che “un corpo abita nella Trinità” (Varillon) così l’assunzione di Maria realizza quello che sarà il destino di ogni credente.

Un cantore di questo singolare evento della Vergine Maria fu Tiziano Vecellio.
Nel vasto interno della chiesa gotica dei Frari dedicata, appunto, a Santa Maria Gloriosa, Tiziano dipinse in tempo brevissimo, dal 1516 al 1518, la tela monumentale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.

Uno spazio tripartito narra l’evento: la terra gremita di apostoli e discepoli del Signore, il cielo che s’apre al passaggio della Vergine e i cieli dei cieli dai quali Dio Padre, solenne e compiacente, discende per accogliere Maria.
L’osservatore pur indugiando brevemente nella selva di forme e colori armoniosamente composti si trova spontaneamente portato a dirigere lo sguardo verso il volto della Giovane Donna che liberata da ogni legame terreno s’innalza verso l’alto fra stupore e commozione.

Una corona di angeli delimita il confine tra la terra e il cielo; la profondità non è narrata, ma intuita dentro la solare luminosità del giallo oro.

In basso il cielo è di tutt’altro segno, incombe sul gruppo dei discepoli rendendo ancora più esiguo lo spazio angusto entro il quale essi si muovono concitati.
E qui ci riconosciamo noi tutti, così lontani dalla chiarità del mistero che ha avvolto Maria, così lontani eppure così partecipi. Ci riconosciamo nello sgomento che pervade certi volti per aver perso dall’orizzonte quotidiano una tanto eloquente trasparenza del Cristo; ci riconosciamo nel desiderio profondo di affidamento a lei, discepola perfetta e fedele, al fine di giungere anche noi alla mèta; ci riconosciamo, ancora, nel volto orante dell’anziano apostolo in primo piano, così vuoto di sé e così pieno del mistero che sotto i suoi occhi si consuma. Siamo qui in questo spazio angusto quale è la vita, prezioso, ma sempre inadeguato alla sete di eternità che alberga nel nostro cuore.

Tiziano si fa vigoroso interprete di questi sentimenti, e lui, che tanto si è espresso in temi mitologici riesce a descrivere il destino eterno di Maria con le tinte dell’amore e della passione. La tensione dei corpi, il movimento dello stesso corpo di Maria, la gamma di rossi che, richiamandosi caricano di drammaticità la scena, descrivono una tensione alla santità che non è ricerca di una perfetta impassibilità, non è raggiungimento di un « nirvana”, ma la pienezza dell’esperienza umana divinizzata dalla sequela a Cristo, pienamente uomo e pienamente Dio.

La sacralità dell’evento è interamente affidata alla composizione classica e solenne e al profilo, in controluce, dell’Eterno Padre. La sua ombra dilata la luminosità dello sfondo e la calda luce dorata colpisce lo sguardo dell’osservatore spalancandogli il cuore al divino.
Uomini e angeli sembrano accomunati dallo stupore, gli uni pieni di sgomento gli altri al colmo del tripudio. Ma nel turbine dei gesti e dei colori un dialogo fatto di sguardi fissa l’attimo eterno: la Vergine solleva lo sguardo al suo Dio e un angelo, alla destra del Padre, come sorpreso indugia con la corona in mano. È proprio lei? È questa? È una creatura che dobbiamo accogliere nella vasta santità del Cielo? Ma Dio Padre guarda la Vergine: “È proprio lei”.
“Umile ed alta, più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio”.

Tiziano Vecellio
Tiziano Vecellio, pittore nato a Pieve di Cadore nel 1488/90 e morto a Venezia nel 1576.
Nel periodo giovanile compie la propria formazione nella bottega di Giovanni Bellini; qui Tiziano viene a contatto con l’artista più innovativo del Cinquecento, Giorgione. Nell’epoca della piena maturità Tiziano manifesta maggiore sicurezza nella composizione della figura umana, raggiungendo effetti realistici e vitali. Al potenziamento dell’energia delle scene contribuisce in maniera determinante il colore, che secondo la nuova concezione tonale costruisce la stesura stessa della raffigurazione.
La sua produzione è vastissima e le sue opere più importanti sono: tra le prime, gli affreschi della Scuola del Santo a Padova con la “Storia di S. Antonio” del 1511; l’“Amor sacro e amor profano” della Galleria Borghese a Roma; la “Pala dell’Assunta” della chiesa dei Frari a Venezia del 1516-1518; “Flora” conservata agli Uffizi a Firenze; la “Pala Pesaro” ai Frari a Venezia; “Paolo III Farnese con i nipoti di Alessandro e Ottaviano” del 1546 delle Gallerie Nazionali di Capodimonte a Napoli; il “Carlo V a cavallo” del 1548 conservato a Madrid nel Prado; il “Martirio di S. Lorenzo” della Chiesa dei Gesuiti a Venezia; la “Pietà” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. 

La Pala dell’Assunta Chiesa S. Maria Gloriosa dei Frari
L’imponente pala, commissionata a Tiziano nel 1516 da frate Germano, priore del Convento dei Frari, suscitò alla consegna, due anni più tardi, forti imbarazzi alla committenza ed un’accoglienza piuttosto fredda; la tradizionale iconografia dell’Assunzione in cielo della Vergine veniva infatti completamente rinnovata e stravolta dal Maestro – probabilmente debitore di coevi motivi raffaelleschi – al punto da apparire artisticamente blasfema: la concitazione delle gigantesche figure, il tono fiammeggiante delle vesti e delle carni, l’agitata scenografia, fanno tuttavia di quest’opera una pietra miliare della produzione giovanile dell’artista e, anzi, quella della sua consacrazione definitiva, al punto, grazie all’eccezionale fortuna critica, di divenire in seguito l’immagine più nota del Maestro cadorino.
Dopo un periodo di esposizione alle Gallerie dell’Accademia, dove divenne uno dei dipinti preferiti e osannati dell’ Ottocento, il capolavoro tizianesco è tornato alla sua collocazione originaria nell’altar maggiore della Basilica nel 1919, dove oggi si può ammirare nelle esatte condizioni per le quali l’artista l’aveva pensata.

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La più straordinaria meditazione visiva sul Mistero di Cristo

Posté par atempodiblog le 22 août 2016

Una lettura del ciclo pittorico di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova
La più straordinaria meditazione visiva sul Mistero di Cristo
di suor Maria Gloria Riva – Radici Cristiane

La più straordinaria meditazione visiva sul Mistero di Cristo dans Articoli di Giornali e News Cappella_Scrovegni

Enrico Scrovegni, ricco signore padovano, acquista nel 1300, al fine di costruirvi un palazzo, l’area del Arena Romana. A suffragio del padre Reginaldo decide di edificare una cappella dedicata alla Beata Vergine Maria. Dante collocava Reginaldo nel XVII canto dell’Inferno, tra gli usurai, per questo si è supposto, ma senza sufficiente fondatezza, che tra gli scopi di Enrico ci fosse il risarcimento dei danni paterni.
Rimasto affascinato dall’opera di Giotto nella Basilica di sant’Antonio, lo Scrovegni chiese all’artista di affrescare le pareti della Cappella. Giotto, in tre anni, realizzò una straordinaria meditazione visiva sul Mistero ricoprendo interamente le pareti dell’edificio con gli episodi della vita di Maria e di Cristo.
Attingendo agli apocrifi, alla Legenda Aurea e godendo dell’assistenza di un dotto religioso, forse altegrado de’ Cattanei, arciprete della Cattedrale, l’artista mise a fuoco la verità certa dell’Incarnazione. Cristo non è un mito, ma è l’Eterno che entra nel tempo, l’Immortale che sposa la mortalità della carne dentro il grembo silenzioso di una Donna.

Dio entra nella storia
Giotto comincia a raccontare il suo Vangelo in una data precisa, il 25 marzo 1303, giorno della prima dedicazione della Cappella degli Scrovegni.
Dalla trifora entra il sole che batte sulla parete alta dell’arco trionfale e illumina Dio Padre che istruisce l’angelo Gabriele circa l’annuncio che deve portare. Gabriele sta in attesa, con le braccia conserte, poi, alla destra, lo si vede proteso al volere divino. Sotto, l’angelo irrompe nella casa della Vergine entrando nella storia degli uomini.
Al trono di Dio, avvolto di luce dorata, fuori dal tempo e dallo spazio si accede attraverso una predella ottagonale cioè attraverso quell’ottavo giorno che compie la storia settenaria dell’Uomo.
Sotto, nel regno degli uomini, lo spazio architettonico è ben segnalato. Il luogo dove avviene l’annuncio è costituito da due straordinarie edicole in prospettiva rovesciata-discendente. Più sotto, ai piedi dell’arco trionfale, due coretti resi con uno scorcio prospettico perfetto 150 anni prima degli “inventori” della prospettiva (Mantegna, Masaccio, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti).
I due coretti attestano la dimensione terrena e nel contempo orientano lo sguardo verso il Cielo, verso il Mistero che sta all’origine della Buona Novella.
Dio entra nella storia, trasformando il cuore dell’uomo.

L’equinozio della storia
Il viaggio del Verbo inizia nel grembo della Vergine e, fin dal suo concepimento, compie il primo pellegrinaggio verso Gerusalemme, fermandosi però a Karin, città della Giudea dove vive Elisabetta.
L’anziana madre del Battista riconosce la Madre del Suo Signore. Giovanni nel grembo esulta: è il saluto dell’uomo all’irrompere di Dio nella storia.
Sul lato opposto, sopra l’altro coretto, il tradimento di Giuda. Le due scene si richiamano: entrambe narrano, con gli stessi colori, un incontro.
Sotto la Vergine Annunciata, Elisabetta veste l’oro della grazia e si china riconoscendo il suo Signore. Maria veste il rosso della carità e le damigelle il verde della speranza e il viola della sapienza.
Sotto l’arcangelo Gabriele, invece, Satana, interamente nero, colore poco usato da Giotto, porta un annuncio nefasto a Giuda che è giallo di invidia.
Il sacerdote Anna veste il rosso dell’omicidio; l’abito di Caifa è verde come la che lo invade e l’abito violetto dell’altro membro del Sinedrio indica il livore.
Se nella prima scene le mani sono tutte nascoste dentro l’abbraccio e dentro le fasce del Neonato, nell’altra le mani sono in continua agitazione ed esprimono la logica di chi trama nell’ombra.
Con l’Annunciazione inizia la corsa del Verbo, il 25 marzo: equinozio di primavera: 12 ore di luce e 12 di oscurità.
Sotto l’equinozio della storia: la lotta tra il regno della luce (Elisabetta e Maria) e il regno delle tenebre (Satana e il traditore).

Preparazione ed Attesa
La parete accanto alla Vergine Annunciata e alla Visitazione presenta una rosa di sei scene che rivelano la preparazione del disegno divino: Dio non fa nulla senza avvertire i suoi amici: gli anawim, i puri di cuore.
Nel registro superiore: Gioacchino, cacciato dal tempio per la sua sterilità rivela fin dall’inizio come le prospettive degli uomini siano rovesciate rispetto a quelle divine. Alla rigidità dei capi, si oppone l’accoglienza della gente semplice, come i pastori. Anna, moglie di Gioacchino, sterile riceve l’annuncio della sua prossima maternità dall’angelo.
Nel registro intermedio, il Verbo si fa carne. La nascita di Gesù prepara la sua missione tra quanti lo accolgono con fede e purità di cuore, gli stessi pastori e i magi, ricchi nelle vesti, ma poveri nello spirito.
Sotto, nel registro inferiore, l’istituzione dell’Eucaristia nel cenacolo e la lavanda dei piedi preparano il compimento della missione del Verbo: rimanere con gli uomini fino alla fine del mondo servendo il disegno buono del Padre.

Anche qui analogie tra le scene: nella nascita, Maria è tutta protesa verso il Bimbo divino, sotto, nell’ultima Cena Giovanni è proteso verso Cristo, poggiandogli il capo sul petto.
Nell’Epifania il re terreno è inginocchiato verso il Re divino, sotto, quello stesso Re divino si inginocchia davanti a Pietro, capo della sua Chiesa.
Questi riquadri mentre disegnano la vita di Gesù, rivelano anche la vita della Chiesa nella sua dimensione di adorazione e di ministero di misericordia in mezzo agli uomini: come Dio ha preparato Maria, attraverso i genitori, così Gesù prepara la sua Chiesa.

Luce e tenebra
Sulla stessa parete, in fondo, un’altra rosa di sei affreschi.
Qui di scena è la notte: nel registro inferiore Gioacchino avvolto dall’oscurità della notte e del sonno (simbolo del dolore in cui si trova) viene visitato da una luce: la sterile Anna avrà una figlia.
Nell’affresco seguente Gioacchino incontra Anna alla porta Aurea del tempio (che ricorda l’arco Augusto di Rimini). Tra le damigella che assistono una, velata, è in nero e una luminosissima in bianco avorio. Ancora lo scontro tra luce e tenebre. La donna in abito nero, per alcuni, è simbolo della sinagoga che sta di fronte alla Chiesa, l’una nel lutto per il mancato riconoscimento dello Sposo, l’altra nel giubilo. Non conosciamo le reali intenzioni di Giotto, certo egli vuole sottolineare un contrasto tra luce e tenebre.
Nel registro intermedio il contrasto permane: la sacra famiglia fugge in Egitto, nell’oscurità del cielo la montagna bianchissima sembra fuggire con il Divino Infante. Accanto la strage degli innocenti. La luce è tutta nei bimbi trucidati e nel tempio dietro alle Madri affrante: il dolore innocente è la luce del mondo.
Sotto Cristo, la vera luce, davanti alle autorità: Anna e Caifa, nel Sinedrio e Pilato nel Pretorio. Attorno a lui il caos della violenza: lo schiaffo di un romano, lo scandalo di Caifa che si straccia le vesti, il tradimento di Pietro, la derisione delle guardie, l’opportunismo di Pilato.

Lo zenit della storia: indicare la volontà di Dio
Di fronte a queste ultime, sulla parete opposta troviamo altre sei scene che disegnano lo zenit della storia in cui il Cristo si rivela, appunto, come il vero sole che distrugge le tenebre. Qui si compie l’incontro tra la debolezza umana e la grandezza di Dio e le tenebre mentre si manifestano, rivelano la loro realtà transitoria. Qui di scena sono i gesti che indicano, in-segnano la verità.
La casa di Anna è invasa dalla gioia. La tristezza delle prime scene si è trasformata in giubilo per la nascita di Maria. E’ la stessa casa dei primi riquadri: là una finestra aperta da dove Anna, sola, riceve la visita dell’angelo. Qui la finestra è chiusa ma la casa è inondata dalla luce di Maria e Anna è attorniata da donne che l’aiutano.

Nel primo riquadro Gioacchino veniva allontanato dal tempio, nel riquadro della Presentazione di Maria, il medesimo tempio si trova in posizione rovesciata e ad accogliere la Vergine c’è lo stesso sommo sacerdote che assistette allora alla scacciata di Gioacchino. Le sorti si sono ribaltate.
Così negli affreschi dei riquadri sottostanti: Maria tende le braccia verso Gesù dodicenne ritrovato tra i dottori del tempio, additandolo, come Anna, sopra, tendeva le braccia verso di lei ancora infante. Sotto il Battista, compie un gesto speculare a quello di Maria, additando Gesù  quale Salvatore.
Anche i gesti di Gesù indicano la volontà di Dio: da fanciullo addita alla Madre il tempio e i dottori, nel Battesimo indica il Battista. Il Padre, allo zenit, squarcia di luce il cielo e indica il Figlio prediletto.
Più sotto ancora, nel registro inferiore, la passione. Nella salita al calvario un centurione romano con il bastone in pugno indica suo malgrado Gesù, che gli risponde indicando la croce.
Nell’ultimo riquadro la croce domina la scena. Gli angeli la che circondano gli stessi della scena del Natale, ora si strappano le vesti come il sommo sacerdote Caifa e spalancano le braccia come l’apostolo Giovanni davanti al corpo del Cristo morto. Sotto, additano la croce, la Maddalena e il centurione.
Ognuno sta sotto la sua in-segna: discepoli quella di Gesù, la sua croce, i soldati sotto la bandiera Romana: SPQR Senatus Populusque Romanus. Cristo sta sotto il segno del Padre, che, nella scena del battesimo, si trova esattamente sopra di lui.
La croce è allo zenit della storia, la leva che rovescia le sorti.

Il compimento
Negli ultimi sei riquadri si celebra il tempo del compimento della rivelazione.
Nel registro superiore, Maria ritorna a Nazareth fra damigelle e gente festante: si compie il tempo della preparazione, tra poco ella riceverà l’annuncio della divina maternità.
Nel registro centrale un altro ingresso festoso: Gesù entra in Gerusalemme, cavalcando un umile asino e accolto dai bambini. Lamano benedicente di Gesù nella stessa posizione dei due affreschi precedenti: nelle nozze di Cana e nella risurrezione di Lazzaro. Egli è via, verità e vita. A Cana si compie la verità: Cristo è il Messia promesso. Nella risurrezione di Lazzaro egli si rivela come vita. Nell’ingresso a Gerusalemme egli mostra la via della croce come compimento del disegno del Padre.
Nel registro inferiore, Gesù è ancora benedicente; le mani bucano il “cielo” dell’affresco a significare che il compimento pieno sta oltre la sfera di questo mondo. Tutta la chiesa è presente: 12 profeti dell’Antico testamento, 12 angeli e 12 personaggi del Nuovo Testamento.
L’ultimo riquadro compie le scene dell’ultima cena. Nel cenacolo dove gli Undici, a cui si è aggiunto Mattia, ricevono il dono dall’Alto. Gli Archi sono trilobati e celebrano il trionfo della Trinità. Non si scorge niente dello Spirito se non l’irrompere del fuoco della charis di Dio. La Cappella degli Scrovegni era dedicata alla Vergine della carità.

Conclusione
In questo percorso il fedele è accompagnato dalla meditazione sull’Antico Testamento, rappresentato da medaglioni che ritraggono i patriarchi e i profeti e sui Vizi e le Virtù distribuiti secondo il gioco dell’abbinamento dei contrari (anche qui luce e tenebre in dialogo).
Il compimento pieno è descritto nella grande parete del Giudizio Universale, dalla cui finestra entra la luce che, proprio nell’equinozio di primavere, il 25 marzo, va a battere contro l’annunciazione. Da quell’inizio si giunge al compimento, passando, come il Verbo, per Maria.
Ai piedi del Redentore, avvolto in una mandorla di luce ben visibile la croce: Per aspera ad astra paiono indicare i due angeli che la sorreggono. Sotto la croce la Vergine riceve benedicente da Enrico Scrovegni la Cappella a lei dedicata, mentre ai piedi della croce un curioso personaggio di cui si intravedono solo i riccioli del capo e le gambe. Chi è? Forse il Cireneo? Il Buon Ladrone?
Per Giotto forse siamo ciascuno di noi che, visitando la Cappella, siamo educati a passare per le asperità della vita fino a giungere a quelle stelle di cui il cielo della Cappella è trapuntato.

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Austria: Viaggio nel Salisburghese

Posté par atempodiblog le 1 août 2016

Austria: Viaggio nel Salisburghese
di Marco Polo Tv

Austria: Viaggio nel Salisburghese dans Viaggi & Vacanze salisburghese_01

Quando si è in cerca di una vacanza rilassante, a contatto con le meraviglie della natura si pensa subito all’Austria. Un viaggio nel Salisburghese, una delle più note regioni austriache, è la scelta giusta per andare sul sicuro. Cosa ha da offrire il Salisburghese? Molte più attività di quante si possa immaginare.

Oltre al suo illustre capoluogo, la città di Salisburgo, questa magnifica regione è in grado di soddisfare appieno il desiderio di benessere e divertimento con passeggiate di trekking, spa all’avanguardia e scenari naturali che incantano a prima vista.

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Il Salisburghese vanta ben 76 laghi, che permettono gite in battello su molti di essi, come il Wolfgangsee, che sorge ai piedi del monte Schafberg, località in cui è possibile prenotare un tour su un antico trenino panoramico (per prenotazioni consultate il sito schafbergbahn.at).

Da non tralasciare neanche il Museo dei Celti di Hallein, una vera chicca per gli appassionati di storia antica, che ospita importanti reperti storici, alcuni dei quali rinvenuti nel vicino villaggio celtico sul Dürrnberg, oppure Mauterndorf, caratterizzata da una imponente torre fortificata all’interno della quale è possibile scoprire una bellissima esposizione dedicata alla storia medievale.

Per ristorare il vostro viaggio con ospitalità e scenari alpini mozzafiato dirigetevi a Grossarl e nella zona intorno al picco del Hochkönig, dove non potete lasciarvi sfuggire villaggi come Maria Alm e Dienten.

Chi è in cerca di totale relax, non può lasciarsi sfuggire una passeggiata sulle rive dello Zeller See, costeggiato da numerosi stabilimenti balneari, su cui ristorarsi in estate quando si raggiungono la perfetta temperatura di 24 gradi.

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Se, invece, volete vivere momenti di pura adrenalina in totale sicurezza, dirigetevi a Saalbach-Hinterglemm, e attraversate il Baumzipfelweg, il ponte sospeso di ben 200 metri chiamato il “Golden Gate delle Alpi”, per un’indimenticabile passeggiata “sulle cime degli alberi”.

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Il Benfica e il grande Eusebio, meglio che una scuola

Posté par atempodiblog le 27 juillet 2016

Il Benfica e il grande Eusebio, meglio che una scuola
di Mauro Berruto – Avvenire

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Questa sera, nel modernissimo impianto che si chiama Estádio da Luz di Lisbona, si celebra una delle tante amichevoli estive che, in questo caso, ha un valore più profondo. Spesso, questi match sono occasioni di marketing o frutto di accordi commerciali, ma Benfica-Torino ha un gusto storico che non è mai banale.

C’è un trofeo in palio: la Eusebio’s Cup, in memoria dello straordinario calciatore nato in Mozambico e diventato bandiera del Benfica al punto da meritare una statua proprio all’ingresso dello Stadio. Questa partita, tuttavia, è soprattutto un omaggio alla memoria di quel maledetto precedente del 3 maggio del 1949, quando il Grande Torino di Valentino Mazzola si era recato a Lisbona per celebrare, in un match amichevole, il capitano biancorosso, Francisco Ferreira. L’ultima partita del Grande Torino: fu, infatti, durante il volo di ritorno che l’aereo su cui i granata viaggiavano si schiantò contro il terrapieno della Basilica di Superga, uccidendo tutti i suoi passeggeri.

Il Benfica, da quel giorno, ha con il Torino una specie di patto (ahimè, di sangue). Se due anni fa, in occasione della finale di Europa League a Torino, moltissimi tifosi del Benfica si recarono in processione a Superga, quel maledetto 4 maggio 1949 migliaia di persone si riunirono spontaneamente di fronte all’Ambasciata d’Italia di Lisbona per manifestare il loro dolore di fronte a quella tragedia. Un’immagine fotografica, testimonianza visiva di quella folla immensa, è custodita nel meraviglioso museo Cosme Damião, all’interno dello Stadio benfiquista.

Nel dicembre 2014 il Cosme Damião è stato premiato quale miglior museo dell’intero Portogallo. Entrarci, in effetti, è un’esperienza inaspettata. Dedicato al fondatore, calciatore e anche primo allenatore del club, ci si potrebbe immaginare la “solita” esposizione di trofei, della polisportiva biancorossa (oltre al calcio, ciclismo, atletica, pallacanestro, pallavolo e tanti altri sport).

In effetti, pochi secondi dopo l’ingresso, uno stormo di coppe quasi stordisce il visitatore, ma poi arrivano le sorprese. Per salire al secondo piano dei 4mila metri quadrati del museo si cammina lungo un “corridoio storico” che conduce il visitatore attraverso le due Guerre Mondiali, il primo uomo sulla Luna, l’assassinio di JFK, la Rivoluzione dei Garofani, la caduta del muro di Berlino, la decodificazione del genoma umano, il premio Nobel a José Saramago, l’addio a Giovanni Paolo II e tantissimi altri grandi eventi di portata planetaria. Il museo intreccia continuamente, in modo colto e raffinato, la storia del Benfica e la storia sociale non solo del Portogallo, ma del resto del mondo.

Una sezione è dedicata alle contaminazioni letterarie, televisive, cinematografiche e teatrali di chi, affrontando questi versanti della narrazione, ha voluto rendere omaggio al club di Lisbona, ai suoi eroi, ai suoi tifosi. Superati alcuni totem multimediali che narrano la storia di tutti gli atleti che hanno indossato la maglia biancorossa (con sezione speciale dedicata ai capitani), arriva l’esperienza più forte: un ologramma di Eusebio esce da una profonda oscurità, interrotta solo dal brillare delle due scarpe e del pallone d’oro vinti in carriera.

Elegante, vestito di bianco, Eusebio si siede e ti racconta, con la sua voce e guardandoti negli occhi, un pezzo della sua storia personale e di quella del Benfica. Pochi metri dopo si trova il tributo a lui dedicato, attraverso una narrazione per immagini, dei tre giorni di lutto nazionale proclamati dopo la sua scomparsa nel gennaio 2014. Vengono i brividi. Insomma, vedere una partita di calcio nell’Estádio da Luz, arrivandoci un paio di ore prima per visitare il museo, è una bella opportunità per riconciliarsi con il valore educativo dello sport, un esempio di come attraverso la passione per il calcio si possano insegnare storia, letteratura, educazione civica. Persino meglio che a scuola: basta volerlo.

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La basilica sul Monte dove c’è la porta del Cielo

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2015

San Miniato, la festa liturgica ricorre il 25 ottobre
La basilica sul Monte dove c’è la porta del Cielo
di Margherita Del Castillo – La nuova Bussola Quotidiana

san miniato 01

Haec est porta coeli. Queste parole, già pronunciate da Giacobbe dopo aver sognato una scala dalla quale e per la quale angeli scendevano e salivano, sono incise sul cartiglio marmoreo del portale di San Miniato al Monte. Varcando l’ingresso della basilica fiorentina noi uomini moderni possiamo, allora, capire cosa intendesse per cielo la tradizione medievale. La chiesa ha origini antiche, legate alla figura di Miniato che la tradizione agiografica vuole essere un principe armeno di passaggio a Firenze durante un pellegrinaggio a Roma.

san minaito tomba

Qui, all’epoca delle persecuzioni dell’imperatore Decio, fu ucciso. Una volta decapitato avrebbe raccolto la sua testa e si sarebbe diretto presso il Mons Fiorentinus, oltre Arno, per trovarvi riposo. Su questo luogo fu costruita dapprima una cappella e, a partire dal 1013, l’attuale chiesa, monastero abitato dai benedettini, poi dai cluniacensi, infine, e ancora oggi, dagli Olivetani. Che sia un capolavoro di architettura romanica si evince già dalla facciata, caratterizzata da una bicroma e precisa geometria.  Divisa in due ordini è scandita nella zona inferiore da cinque arcate a tutto sesto, motivo che ricorre anche nel frontone. Nel registro superiore, al centro del quale si apre un pronao tetrastile, il disegno geometrico del serpentino verde e del marmo bianco riproduce l’opus reticulatum romano.

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La policromia dell’esterno continua nello spazio sacro interno a tre navate. Il presbiterio è fortemente rialzato dalla cripta sottostante divisa in sette navate da colonne recuperate da edifici romani. Sotto le volte affrescate da Taddeo Gaddi riposa, in un altare romanico, il santo titolare della basilica. Nel 1447 Piero de’ Medici commissionò a Michelozzo l’edicola d’altare a marmi intarsiati impreziosita dalla volta a maioliche di Luca della Robbia e dalla tavola dipinta nel XV secolo da Agnolo Gaddi, con episodi evangelici. Un vero e proprio gioiello del rinascimento fiorentino è la cappella del Cardinale del Portogallo che si apre sulla navata sinistra. Fatta erigere tra il 1461 e il 1466 da re Alfonso del Portogallo per dare sepoltura al nipote morto in giovanissima età, fu disegnata da Antonio Rosellino, artefice anche della monumentale tomba del cardinale. Il ciclo decorativo di Alesso Baldovinetti che affrescò Profeti, Santi e Padri della chiesa, si completa con la tavola dell’Annunciazione. La volta a vela è incastonata da medaglioni di terracotta invetriata raffiguranti le Virtù cardinali e la colomba dello Spirito Santo, opera di Luca della Robbia.

san miniato al monte

In fondo alla navata destra si apre la sacrestia, con gli splendidi affreschi di Spinello Aretino che, sul finire del XIV secolo, raccontò sulle pareti la storia di San Benedetto. Nel pavimento marmoreo della chiesa, decorato a motivi geometrici e zoomorfi, si inserisce uno zodiaco risalente al 1207. Su di esso il giorno del solstizio d’estate il raggio del sole illumina il segno del Cancro, facendone, così, la meridiana più antica funzionante in tutta Europa.

cristo re absidale san miniato

Il protomartire fiorentino, la cui festa liturgica ricorre il 25 ottobre, oltre che sul prospetto principale della basilica compare nel mosaico tardo bizantino absidale in veste di re, in posizione simmetrica rispetto alla Vergine Maria, nell’atto di consegnare al Cristo Pantocratore la corona terrena per ricevere quella della gloria celeste.

san miniato 2015

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La Seo, la cattedrale di Saragozza

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2015

[...] Se sei un amante dell’arte, e vuoi renderti conto di quali meraviglie sia capace il sentimento religioso, non tralasciare di visitare l’altra cattedrale di Saragozza, la Seo, eretta a fianco della basilica del Pilar. Si tratta di una delle chiese più affascinanti di tutta la cristianità, entrando nella quale uno si dimentica di essere sulla terra e quando esce all’aperto si chiede in quale mondo sia capitato. Gli stili più diversi (romanico, mudèjar, gotico, neoclassico e barocco) si intrecciano armoniosamente, gareggiando fra loro nel creare bellezza. L’interno a cinque navate è un vero scrigno che contiene mirabili capolavori, in particolare le numerose cappelle e il coro centrale che non nascondono l’intento di riprodurre qui sulla terra lo splendore e la gloria della Gerusalemme celeste.

da «Pellegrino a quattro ruote» di P. Livio Fanzaga

seo saragozza

La Seo, la cattedrale di Saragozza
di Andrea Lessona – Il Reporter SPAGNA

coro seo
Il coro de La Seo, la cattedrale di Saragozza © Andrea Lessona

L’ombra del campanile cade sulla piazza de La Seo disegnando il barocco sul sagrato della cattedrale di Saragozza. Il neoclassico, invece, è nei miei occhi, fissi sulla facciata bianca della chiesa di San Salvador: insieme di tanti insiemi che la rendono unica.

La storia racconta che fu edificata sull’antico foro romano di Augusto e sui resti della moschea maggiore della Taifa: nel XII secolo, una volta allontanati i mussulmani dall’area, si iniziò a costruire l’edificio ecclesiastico in stile romanico.

Le tracce dell’arte mudèjar sono ancora visibili sulle mura esterne dell’abside e nella torre attuale, eredità del vecchio minareto che venne in parte cancellato dai progetti realizzati dall’architetto Giovan Battista Contini di Roma: sovrascrivere di barocco il passato arabo.

Lascio il sole accecante che brilla sulla capitale dell’Aragona, ed entro nel fresco secolare e spirituale de La Seo. È così che la chiamano qui, con questo diminutivo che è lo stesso dato alla piazza su cui sorge.

Lungo le due navate esterne si distendono una serie interminabile di cappelle: la maggior parte è chiusa da pesanti cancelli in ferro che precludono l’entrata e tutelano i tesori di statue e affreschi che qui hanno trovato dimora.

Cammino in senso antiorario lungo il perimetro della Cattedrale di Saragozza, e ammiro uno ad uno questi capolavori, trionfo d’arte dedicata alla religione. Stile diversi si alternano, si sovrappongono, si elevano solitari. E formano un capolavoro d’insieme.

Terminato il mio viaggio circolare, mi fermo davanti al coro: in questa parte del La Seo ci sono 117 sedie in quercia fabbricate da tre monaci. Appena dietro l’inferriata in bronzo, ecco risaltare le sculture in legno dorato di Juan Ramírez. L’arcivescovo Dalmau Mir è sepolto qui, in una teca a latere.

Lì vicino, si trova l’organo che conserva alcuni resti di quello gotico del 1469 e le canne preservate dal XV al XVIII secolo: è un insieme di vecchi pezzi assemblati tra il 1857 e il 1859 da Pedro Roqués.

Sul retro del coro c’è la cappella di Gesù Cristo in cui sono rappresentati la Crocefissione, Maria Dolorante e San Giovanni. Il tutto si trova sotto un baldacchino sostenuto da colonne Salomoniche di marmo nero.

Negli absidi della chiesa di San Salvador si trova la cappella della Bianca Vergine: il suo altare barocco ha decorazioni in legno dipinto da Jusepe Martínez (1647), un pittore di Saragozza. La scultura in alabastro della Madonna col bambino del XV secolo è dello scultore francese Fortaner de Uesques.

L’altare maggiore, dedicata al Salvatore, fu realizzata in alabastro e dipinta da vari artisti dal 1434 al 1480, tra cui Pere Johan, Francisco Gomar, è Hans Piet D’anso. È considerata uno dei più grandi lavori della scultura gotica europea.

L’altra cappella è dedicata a Pietro e Paolo: al suo interno spiccano in rilievo sull’altare scene dell’intensa vita dei Santi. Prima di uscire, guardo la porta di Pabostría: se non mi trovassi in una chiesa cristiana, potrei pensare di essere in un edificio mussulmano data la sua foggia intarsiata e finemente lavorata.

Segno evidente che l’interno come l’esterno della cattedrale di Saragozza sono proprio un insieme di tanti insiemi che la rendono unica.

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Le sfide da affrontare dopo la vacanza estiva: Fiducia nel domani e poesia della fede

Posté par atempodiblog le 31 août 2015

Le sfide da affrontare dopo la vacanza estiva
Fiducia nel domani e poesia della fede
dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte – Il Sole 24 Ore
Tratto da: Arcidiocesi Chieti-Vasto

Le sfide da affrontare dopo la vacanza estiva: Fiducia nel domani e poesia della fede dans Fede, morale e teologia bruno_forte

Nell’avvicinarsi della ripresa dopo la vacanza estiva (lunga, breve o inesistente…), vorrei riflettere su quello che ci aspetta, senza soffermarmi sul “carnet de doléances” così facilmente compilabile a partire dai problemi dell’oggi e dalle soluzioni sempre inadeguate dei potenti di turno (si pensi solo alla sfida delle migrazioni!), per servirmi invece della forza evocatrice della poesia. Parto dal poeta toscano Renzo Barsacchi, nei cui versi fede e poesia s’incontrano in modo alto, struggente.

In una lirica dal titolo Tu puoi soltanto attendere, Barsacchi descrive il tempo dell’attesa, di cui è impastata la vita, muovendo dalla sola certezza che il domani ci raggiungerà sempre come sorpresa:

“Il tempo è incerto. In bilico il sereno / e la pioggia. Ma né l’uno né l’altro / dipendono da te. / Tu puoi soltanto attendere, scrutando / segni poco leggibili nell’aria. / Ti affidi al desiderio / ascoltando il timore. Le tue mani / sono pronte a difendersi e ad accogliere. / Così non sai quando Dio ti prepari / una gioia o un dolore e tu stai quasi / origliando alla porta del suo cuore, / senza capire come sia deciso / da quell’unico amore, / lo splendore del riso o delle lacrime” (Marinaio di Dio, Nardini, Firenze 1985, 74). Fra desiderio e timore, il nostro andare incontro al domani resta passione e lotta, anche quando si tinge dei colori della speranza e delle sue possibili aurore. La sola certezza che può darci forza è quella dell’amore, precisamente nella sua misteriosità e nell’indeducibilità delle sue ragioni.

Una poetessa, Elena Bono, esprime in maniera intensissima quest’idea della forza generatrice di vita che ha ogni vera relazione d’amore, in particolare quella con Dio. Bellissimi questi suoi versi: “Quando tu mi hai ferita? / Forse ero ancora nel seno di mia madre / o forse solo nei tuoi pensieri. / Tu mi amasti da sempre. / Io non ho che un piccolo tempo da darti / ed un piccolo amore. / Ma mi perdo nel tuo, / questo mare che brucia / e di sé si alimenta. / Allorché mi feristi / io non sapevo / quanto il tuo amore facesse male. / Ed è questo che vuoi, / soltanto questo in cambio dell’infinito amore: / che io soffra l’amor tuo, / che me lo porti come piaga profonda / e non la curi” (I galli notturni, Garzanti, Milano 1952, 77). È l’amore che apre al domani, nel suo essere inseparabilmente lotta e resa, ferita incancellabile e dono prezioso…

Consiste in questo agone anche la fede, un lottare con Dio con passione d’amore, un lasciarsi rapire dall’Invisibile, riconoscendo l’assente Presenza, che ci raggiunge nella notte del cuore e parla per le vie della Sua rivelazione storica, chiedendo ascolto e fiducia. Se dura è la resa, resta vero che l’affidarsi all’intangibile Altro riempie il futuro di speranza affidabile e ne fa il luogo dell’incontro, che vivifica e trasforma.

È ancora una citazione poetica a rendere il senso di questa lotta, che rende bella la vita, testimoniando la possibilità di una relazione d’amore con Dio, vissuta nel profondo e feconda nelle nostre relazioni con gli altri. Si tratta dei versi di Ada Negri intitolati Atto d’amore: “Non seppi dirti quant’io t’amo, Dio / nel quale credo, Dio che sei la vita / vivente, e quella già vissuta e quella / ch’è da viver più oltre: oltre i confini / dei mondi, e dove non esiste il tempo. / Non seppi; – ma a Te nulla occulto resta / di ciò che tace nel profondo. Ogni atto / di vita, in me, fu amore. Ed io credetti / fosse per l’uomo, o l’opera, o la patria / terrena, o i nati dal mio saldo ceppo, / o i fior, le piante, i frutti che dal sole / hanno sostanza, nutrimento e luce; / ma fu amore di Te, che in ogni cosa / e creatura sei presente. Ed ora / che ad uno ad uno caddero al mio fianco / i compagni di strada, e più sommesse / si fan le voci della terra, il tuo / volto rifulge di splendor più forte, / e la tua voce è cantico di gloria. / Or – Dio che sempre amai – t’amo sapendo / d’amarti; e l’ineffabile certezza / che tutto fu giustizia, anche il dolore, / tutto fu bene, anche il mio male, tutto / per me Tu fosti e sei, mi fa tremante / d’una gioia più grande della morte. / Resta con me, poi che la sera scende / sulla mia casa con misericordia / d’ombre e di stelle. Ch’io ti porga, al desco / umile, il poco pane e l’acqua pura / della mia povertà. Resta Tu solo / accanto a me tua serva; e, nel silenzio / degli esseri, il mio cuore oda Te solo” (Il dono, in Poesie, Mondadori, Milano 19663 , 847s).

Sono parole che fanno eco alle alterne vicende del “secolo breve”, il Novecento, e a quelle d’una vita intensamente vissuta nel profondo del cuore: e tuttavia, in quanto parole d’amore, questi versi sanno essere voce di un’esperienza che ci riguarda tutti, che ci intriga nel profondo dell’anima e che – quando non c’è – è avvertita come ferita e dolorosa assenza. Esse testimoniano una sfida, alla quale verrebbe facilmente la tentazione di sottrarsi per consumare senza problemi l’immediato fruibile. Eppure, senza un senso più alto, privi di un ultimo orizzonte e di una meta verso cui andare, saremmo tutti più poveri. La ripresa vuol dire rinnovare ragioni di vita e di speranza. Proprio così, aprirsi con fiducia al domani è una via necessaria per tutti, una soglia con cui misurarci senza fuggire, perché la fuga è già perdita e vuoto.

Questa lotta, analoga a quella di Giacobbe con l’Angelo al guado dello Yabbok, è resa con parole forti dal cuore pensante di Søren Kierkegaard: “Non permettere che dimentichiamo: Tu parli anche quando taci. Donaci questa fiducia: quando siamo in attesa della Tua venuta Tu taci per amore e per amore parli. Così è nel silenzio, così è nella parola: Tu sei sempre lo stesso Padre, lo stesso cuore paterno e ci guidi con la Tua voce e ci elevi con il Tuo silenzio…” (Diario III,1229).

Ascoltare, riconoscere, lodare: è questa l’attesa di cui, consapevoli o meno, abbiamo tutti bisogno per affrontare i sempre nuovi inizi della vita e dare senso alle opere e ai giorni. Forse perciò i mistici e i poeti sono capaci di dirci tanto nel tempo che prepara questi inizi: “Dire è meditare, comporre, amare: un inchinarsi quietamente esultante, un giubilante venerare, un glorificare, un lodare: laudare… Il poeta deve corrispondere a questo mistero della parola a fatica intravisto e solo nella meditazione intravedibile” (Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano 1984, 180). E il mistico è chi di questo domani ha già fatto e fa esperienza nell’incontro col Dio vivente, sommamente amato.

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Le vie di Santa Caterina a Siena: itinerario tra arte e fede

Posté par atempodiblog le 25 août 2015

Percorso nei luoghi simbolo della santa
Le vie di Santa Caterina a Siena: itinerario tra arte e fede

Tratto da: Turismo in Toscana

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Siena, un percorso guida il visitatore alla scoperta dei luoghi simbolo della vita di Caterina attraverso un tragitto interamente pedonale e percorribile sia singolarmente che in gruppo. Grazie ad elementi grafici identificativi dei singoli luoghi, l’utilizzo di una cartellonistica coordinata e l’utilizzo di strumenti multimediali, è possibile seguire con facilità l’itinerario proposto.

I touch screen multimediali che sono stati allestiti in ciascuna sede del percorso, forniranno informazioni relative al luogo in cui ci si trova collegandosi in rete al sito www.viaesiena.it, al quale si potrà accedere anche attraverso il QR-code che sarà inserito in tutta la cartellonistica coordinata.

Un percorso che permetterà di conoscere la straordinaria figura di santa Caterina, immergendosi nella Siena trecentesca e scoprendo i luoghi segnati dal suo passaggio:

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1- Basilica di San Domenico: Un’imponente basilica gotica, strettamente legata alla figura di Caterina: al suo interno ella visse momenti salienti della sua eccezionale esperienza mistica. Nella Cappella dedicata alla santa si può osservare la più importante delle sue reliquie, la sacra testa.

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2- Santuario Casa di Santa Caterina: Un complesso che permetterà di entrare nell’intimità di Caterina, nella sua casa natale, arricchita nel corso dei secoli di opere d’arte e trasformata in un vero e proprio Santuario: la visita attraverso i vari ambienti consentirà di comprendere le origini e la formazione della santa.

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3- Fontebranda: Collocata nel quartiere dove nacque Caterina, è la più antica delle fonti della città e un luogo di enorme importanza per la vita del popolo senese dell’epoca: oltre a fornire acqua ai cittadini, garantiva l’esistenza di numerose attività, tra le quali la tintoria del padre della santa.

4- Salita del Costone: Il luogo che fu teatro della prima visione di Caterina, avvenuta all’età di soli sette anni: un episodio che segnerà profondamente la sua vita futura. La memoria di quella visione è tramandata dall’affresco collocato lungo la via.

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5- Battistero e scalinata di San Giovanni: Un edificio sacro di grande interesse, annesso alla Cattedrale. Qui Caterina venne battezzata, come tutti i senesi per secoli. Lungo la scalinata che porta alla soprastante piazza del Duomo, una piccola croce su uno dei gradini segna il punto in cui la santa cadde durante una tentazione del demonio.

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6- Oratorio di Santa Caterina della Notte: Un luogo suggestivo, in cui Caterina pregava e faceva penitenza insieme ai confratelli dell’antica compagnia di San Michele Arcangelo. Sul lato sinistro dell’oratorio si trova l’angusta celletta in cui ella riposava dopo aver vegliato sui malati dello Spedale.

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La grandezza e la fama di santa Caterina hanno travalicato i secoli, tanto che è stata proclamata Patrona d’Italia, Dottore della Chiesa e Patrona d’Europa.

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I tetti di Firenze

Posté par atempodiblog le 25 août 2015

I tetti di Firenze

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Quale è il mistero dei tetti di Firenze? … 
Provatevi a guardarli, meditando, da Piazzale Michelangelo e da S. Miniato: è vero o non che essi formano, attorno al duplice centro della Cupola di S. Maria del Fiore e della Torre di Palazzo Vecchio, un «tutto» armoniosamente unito, quasi un sistema di proporzioni geometriche ed architettoniche che esprimono, come il «sistema stellare», ordine, bellezza, preghiera, riposo e pace? 
Tutti coloro che si fermano a contemplare, anche per un attimo, questo spettacolo di ordine e di bellezza, non possono sottrarsi a questa impressione «incantatrice»: sono come «fermati» da questo autentico «mistero architettonico» -grandioso e piccolo insieme- che appare al loro sguardo ed attraverso il quale, in certo senso, si specchia e traspare la città del Cielo. 
A questo «mistero architettonico» di Firenze, pensava forse Dante quando diceva di Firenze:

A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,
Maria mi die’, chiamata in alte grida,
e nell’antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
(Dante, Paradiso, XV, 130-135).

Questo «mistero architettonico dei tetti di Firenze» si richiama ad un modello architettonico altrettanto misterioso portatore, come quello fiorentino, di un grande carico di contemplazione, di bellezza, di preghiera, di riposo e di pace? 
La risposta ci è fornita dalla contemplazione dei «tetti di Gerusalemme»: essi formavano, come quelli di Firenze -attorno al duplice centro del Tempio e del Palazzo di Salomone- un tutto armoniosamente unito, «sistema di proporzioni geometriche ed architettoniche» esprimente, come quello stellare, ordine, bellezza, preghiera, riposo e pace! 
Civitas perfecti decoris gaudium universae terrae civitas requiei meae. 
«Città di perfetta bellezza; gioia di tutta la terra» «Città del mio riposo» .
Così vedevano Gerusalemme i Profeti! 
E così la vedevano gli Apostoli «maestro, guarda che pietre e che costruzioni!» (S. Marco XIII, l).

Questa «unità architettonica» di Gerusalemme e di Firenze è davvero l’espressione visibile di un mistero di origine, in certo senso divino: lo svela Cristo stesso quando, contemplando Gerusalemme e piangendo sul suo doloroso destino, Egli mostra «l’archetipo divino» secondo il quale Gerusalemme era nata -in spe!- e concepita. 
«Gerusalemme, Gerusalemme,… quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali, e non hai voluto» (S. Matteo XXIII, 37). 
La cupola di Brunelleschi e i tetti che, come sotto le ali ad essa si coordinano, ed in essa di uniscono! 
Gerusalemme non era forse la trascrizione architettonica «urbanistica» di questa unità divina? 
E Firenze non è; appunto -ancora più perfezionata e più armoniosamente costruita- lo specchio, in certo senso, di questo «archetipo divino»?

Ecco il perché profondo, misterioso, dell’incantamento che, guardata dal Piazzale Michelangelo e da S. Miniato, Firenze inevitabilmente produce: c’è una bellezza che attrae, che «ferma»: c’è una «unità architettonica» dalla quale traluce la bellezza architettonica «dell’architetto divino».
La città celeste che ha -specialmente in queste due città terrestri Gerusalemme e Firenze- i suoi misteriosi riflessi architettonici che irradiano bellezza, preghiera, purità, riposo e pace! 
Il «mistero dei tetti» di Firenze è tutto qui: essi sono, con la Cupola, quasi un «sacramento» che si fa specchio e diffusore della bellezza, della purità e della pace celeste!

di Giorgio La Pira
Tratto da: Fondazione La Pira

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A Rennes, mix perfetto di antico e moderno

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2015

A Rennes, mix perfetto di antico e moderno
Nella capitale della Bretagna una fervida vita culturale e tante occasioni di svago
Tratto da: In viaggio con Ansa.it

A Rennes, mix perfetto di antico e moderno dans Viaggi & Vacanze 2d817ht
La cattedrale di Saint Pierre, con la facciata e le due torri in granito alte 48 metri, domina il centro storico di Rennes

Di origine romana come il gallo, il dialetto locale, Rennes è la capitale della Bretagna ed esempio di sintesi perfetta tra antico e moderno. Città giovane e vivace nel dipartimento dell’Ille-et-Vilaine, offre ai turisti esempi architettura storica, arte contemporanea, una fervida vita culturale e tante occasioni per divertirsi in compagnia.

Il modo migliore per scoprire i suoi tesori è noleggiare una bicicletta in una delle 81 stazioni che costellano la città nei punti più strategici. Molto attenta all’ambiente, Rennes ha infatti un vero culto per il vélo, che qui è il mezzo di trasporto privilegiato dai cittadini. I più avventurosi potranno anche noleggiare una barca e muoversi lungo i numerosi canali che attraversano la città, godendo di scorci pittoreschi tra gli alberi maestosi e i coloratissimi palazzi che si specchiano nell’azzurro dell’acqua.

Il centro storico di Rennes è appollaiato su una collina. Tra vicoli e piazzette lastricate si respirano atmosfere medievali che portano indietro nel tempo. Qui è d’obbligo una visita alla cattedrale di Saint Pierre, con la facciata e le due torri in granito alte 48 metri che risalgono al XVI e XVII secolo. All’interno 40 colonne ioniche delineano la navata, mentre preziose decorazioni dorate creano una luce calda e suggestiva. L’edificio più importante è il palazzo del parlamento bretone, ora sede della corte d’appello cittadina. Imponente costruzione all’esterno, dentro custodisce numerosi dipinti che raccontano la storia della Bretagna. Gli appassionati di pittura non potranno poi rinunciare al Museo delle Belle Arti, che ospita circa 320 tele e sale dedicate a Picasso e alla scuola di Pont-Aven, diretta da Gauguin, che proprio nella suggestiva cittadina di Pont-Aven, nel Finistère, trovò l’ispirazione per molti suoi dipinti.

Circondata da una ricca vegetazione, Rennes regala anche verdi oasi di meravigliosa bellezza. Incantevole è il parco di Thabor, che si estende su una superficie di 10 ettari e dà linfa a un orto botanico con specie provenienti da tutto il mondo. Passeggiando tra i suoi viali sterrati si incontrano il giardino alla francese, ornato da statue e fontane, lo splendido roseto e una grande voliera con uccelli esotici dalle piume dei più svariati colori.

La vita cittadina è animata dai 60 mila studenti del centro universitario, che hanno portato Rennes a dotarsi di spazi ed eventi dedicati ai giovani. Teatri e caffè letterari sono disseminati per tutta la città e danno la conferma di quanto l’arte e la cultura siano importanti per le nuove generazioni. Anche il divertimento è assicurato: durante tutto l’anno, nei fine settimana, vanno in scena i Fest-Noz, i festival della notte, l’occasione per i ragazzi di incontrarsi, ballare e ascoltare musica.

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Rivive il miracolo di luce della Sainte-Chapelle di Parigi. E Benedetto XVI ci guida a contemplarlo

Posté par atempodiblog le 27 mai 2015

Rivive il miracolo di luce della Sainte-Chapelle di Parigi. E Benedetto XVI ci guida a contemplarlo dans Viaggi & Vacanze 25yxf14

«Una delle meraviglie del mondo medievale – scrive il britannico Guardian – la vetrata istoriata della Sainte-Chapelle di Parigi, è stata restaurata dopo sette anni di scrupoloso lavoro. Il restauro è stato completato in occasione dell’800esimo anniversario della nascita del re Luigi IX, che commissionò la Cappella alla metà del XIII secolo perché ospitasse la sua collezione di reliquie, inclusa quella che era ritenuta la corona di spine di Gesù e una parte della sua croce».

Qui è possibile vedere un’immagine ingrandita del miracolo di luce che è la Sainte-Chapelle. Di seguito un estratto dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella Cattedrale di Saint Patrick a New York, il 19 aprile 2008, e che è forse la più bella introduzione al significato delle vetrate medievali:

«[…] L’Arcivescovo John Hughes che – come ci ha ricordato il Cardinale Egan – è stato il promotore della costruzione di questo venerabile edificio, volle erigerlo in puro stile gotico. Voleva che questa cattedrale ricordasse alla giovane Chiesa in America la grande tradizione spirituale di cui era erede, e che la ispirasse a portare il meglio di tale patrimonio nella edificazione del Corpo di Cristo in questo Paese. Vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni aspetti di questa bellissima struttura, che mi sembra possa servire come punto di partenza per una riflessione sulle nostre vocazioni particolari all’interno dell’unità del Corpo mistico.

Il primo aspetto riguarda le finestre con vetrate istoriate che inondano l’ambiente interno di una luce mistica. Viste da fuori, tali finestre appaiono scure, pesanti, addirittura tetre. Ma quando si entra nella chiesa, esse all’improvviso prendono vita; riflettendo la luce che le attraversa rivelano tutto il loro splendore. Molti scrittori – qui in America possiamo pensare a Nathaniel Hawthorne – hanno usato l’immagine dei vetri istoriati per illustrare il mistero della Chiesa stessa. È solo dal di dentro, dall’esperienza di fede e di vita ecclesiale che vediamo la Chiesa così come è veramente: inondata di grazia, splendente di bellezza, adorna dei molteplici doni dello Spirito. Ne consegue che noi, che viviamo la vita di grazia nella comunione della Chiesa, siamo chiamati ad attrarre dentro questo mistero di luce tutta la gente. […]».

da «The Guardian» (in inglese)
Fonte: Il Timone
Tratto da: Una casa sulla Roccia

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Per approfondire:

2e2mot5 dans Diego Manetti Sainte-Chapelle, un gioiello dello stile gotico fiorito

2e2mot5 dans Diego Manetti La Sainte-Chapelle di Parigi, scrigno di luce

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San Pietroburgo, una finestra sull’Occidente

Posté par atempodiblog le 12 mars 2015

San Pietroburgo, una finestra sull’Occidente
La conformazione urbanistica della città è palesemente europea, anzi italiana: molti furono gli architetti, nostri connazionali, che vi lavoravano. La prima costruzione ad essere realizzata fu la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, che custodisce le tombe degli Zar. Compresi i santi martiri, trucidati dalla rivoluzione comunista. E poi la chiesa di S. Isacco, con la quarta cupola più grande al mondo. E la chiesa di santa Caterina, unica costruzione cattolica sopravvissuta al totalitarismo bolscevico.
di Luigi Vinciguerra – Radici Cristiane

San Pietroburgo, una finestra sull’Occidente dans Apparizioni mariane e santuari 344sard
La Piazza del Palazzo venne progettata in stile impero dall’architetto napoletano Carlo Rossi per celebrare la vittoria di Alessandro I sugli invasori francesi (lo Zar è immortalato da un enorme colonna di 25 m al centro della piazza – uno dei più grandi monoliti esistenti al mondo – alla cui sommità si trova nuovamente il simbolo cittadino dell’angelo con la Croce).

Per quasi settant’anni, dal 1924 al 1991 la città più occidentale dell’Impero russo è stata conosciuta come Leningrado: vent’anni prima aveva già subito un cambiamento toponomastico, diventando Pietrogrado, in quanto il suffisso –burgo era percepito come “troppo tedesco” e quindi Nicola II preferì modificarlo con il suffisso slavo. Ciò non evitò che proprio tale città fosse al centro della rivoluzione d’ottobre, chiamata così l’azione di forza che dal 7 all’8 novembre 1917 (ma 25 e 26 ottobre secondo il calendario giuliano ancora in uso nell’Impero russo) avvenne a Pietrogrado, culminando nella presa del Palazzo d’Inverno, dove si era asserragliato il governo provvisorio, guidato dall’imbelle Kerenskji. Tale azione fu sollecitata da Lenin, giunto da due settimane nella città russa, la più vicina al confine con la Finlandia.
La città non è la più occidentale – anzi, addirittura “la finestra della Russia sull’Occidente” – solo in virtù della propria posizione geografica, dal suo affacciarsi sul Baltico, dell’essere il punto privilegiato degli scambi culturali e commerciali con il resto dell’Europa: la sua stessa conformazione urbanistica è palesemente europea; anzi, ad essere più precisi, è italiana, poiché lo Zar Pietro il Grande, dopo aver strappato i territori della Neva agli svedesi nel 1703 nel corso della cosiddetta Grande Guerra del Nord (1700 – 1721), affidò all’architetto ticinese Domenico Trezzini il compito di supervisionare il progetto (che coinvolse anche vari architetti italiani) di realizzare la nuova capitale dell’Impero russo. Pietro era un ammiratore della cultura occidentale e per favorire lo sviluppo della nuova capitale emanò un decreto che impediva la costruzione di edifici di pietra al di fuori della nuova città, che volle dedicare al Santo di cui portava il nome.
Così, in pochi anni, San Pietroburgo divenne il principale centro russo: la prima costruzione ad essere realizzata fu la fortezza di Pietro e Paolo, attualmente al centro della città, sul fiume Neva. All’interno di questo imponente complesso c’è la Cattedrale dei SS. Pietro e Paolo, caratterizzata dall’altissimo campanile, sul cui pinnacolo dorato, all’altezza di oltre 120 metri, svetta un angelo a grandezza quasi naturale che sorregge una Croce, uno dei simboli della città.
La chiesa – in uno stile denominato “barocco petrino” – fu Cattedrale (nel senso di sede vescovile: la Chiesa ortodossa utilizza il termine di cattedrale anche per indicare una chiesa importante, come una basilica) fino al 1859, quando cedette tale titolo alla chiesa di Sant’Isacco (in stile neoclassico). Nel 1919 i bolscevichi chiusero la cattedrale al culto, trasformandola cinque anni più tardi in un museo. All’inizio del nuovo millennio – nonostante in gran parte sia rimasta un’area museale – la chiesa è stata riaperta al culto.

La tomba degli Zar
Ma la chiesa dei SS. Pietro e Paolo non è importante solo in quanto prima costruzione di San Pietroburgo, per l’imponenza del campanile o per il particolare stile “barocco petrino”: il motivo il motivo che rende unica e meta di pellegrinaggi è costituito dalla presenza della tombe degli Zar. Da Pietro il Grande a Nicola II (con le sole eccezioni di Pietro II e Ivan VI) tutti i sovrani russi riposano sotto le volte di questa chiesa. A fianco dell’ultimo Zar hanno trovato sepoltura anche tutti i membri della Famiglia Reale martirizzati ad Ekaterinburg il 18 luglio 1918 a Casa Ipatiev.
Va notato che la Chiesa ortodossa russa – a differenza, aggiunge qualcuno polemicamente, di ciò che è avvenuto da parte della Chiesa cattolica nei confronti di Luigi XVI e Maria Antonietta – ha elevato Nicola II all’onore degli altari fin dal 1981 assieme agli altri martiri di Ekaterinburg: infatti risultano santi anche la Zarina Alessandra, i loro cinque figli Olga, Tatiana, Maria, Anastasia e Alexei, nonché ilmedico di corte Eugenio Botkin, il garzone Alexei Trupp (che era cattolico), il cuoco Ivan Kharitonov, la domestica della Zarina Anna Demidova ed anche due servi uccisi nel settembre 1918, la dama di compagnia Anastasia Hendrikova e l’insegnante privata Catherin Adolphovna Schneider (protestante).
La data della canonizzazione non è un errore di chi scrive: si tratta proprio del 1981, cioè quando l’Unione Sovietica sembrava ancora imbattibile: la canonizzazione, per di più con il titolo di “vittime dell’oppressione dall’Unione Sovietica” avvenne infatti all’interno della Chiesa ortodossa fuori dalla Russia, quella cioè in esilio. Nel 2000 la Chiesa ortodossa russa “ufficiale”, finalmente libera dal giogo comunista, riconobbe la canonizzazione ed aggiunse ai martiri della Famiglia Imperiale, il titolo di “portatori di passione della Chiesa Ortodossa Russa”. La canonizzazione si estese anche ad altri martiri dell’oppressione dell’Unione Sovietica, uccisi il giorno successivo ad Alapaevsk, a 180 km da Eketerinburg: la Granduchessa Elizaveta Fëdorovna, sorella di Alessandra; i Principi Ivan, Igor Konstantinovič e Kostantin Konstantinovič, il Granduca Sergej Michajlovič e il principe Vladimir Pavlovič Paley; il segretario personale del Granduca Sergio, Fyodor Remez, e ruor Varvara Jakovleva.
Tornando alle tombe imperiali, va aggiunto che ai santi martiri – traslati a San Pietroburgo nel 1998 – si aggiunsero nel 2006 anche i resti della Zarina madre, Maria Feodorovna, nata Dagmar di Danimarca e consorte di Alessandro III, la cui parentela con Giorgio V d’Inghilterra non fu forse estranea alla sua salvezza (di fatto fu l’unica rappresentante della Corona russa a salvarsi dalla rivoluzione bolscevica). Morta in Danimarca nel 1928 ed ivi sepolta, venne fatta traslare, anche grazie all’intervento di Vladimir Putin, affinché riposasse accanto al marito, come da ella auspicato.
Le tombe imperiali, protette da una cancellata, sono oggetto di continui omaggi da parte dei visitatori. Qualcosa di simile accade anche ai confini opposti della Russia “occidentale”, all’inizio della Siberia: infatti è meta di continui pellegrinaggi pure la chiesa sul Sangue ad Ekaterinburg, eretta dieci anni fa sul luogo della strage (Casa Ipatiev, dove fu consumato l’eccidio, venne fatta abbattere dall’allora presidente del locale Partito Comunista Boris Elstin, per evitare gli omaggi dei visitatori).

Altri monumenti
Tra gli altri monumenti di San Pietroburgo spicca la chiesa di S. Isacco, che vanta la quarta cupola più grande del mondo (dopo S. Pietro a Roma, S. Maria del Fiore a Firenze e S. Paolo a Londra) ed il Palazzo d’Inverno, sede del museo Hermitage (il più grande del mondo), che reca ancora vestigia degli appartamenti imperiali (i “bolari” del Partito imponevano agli altri la povertà, ma a se stessi riservavano comodità regali, per cui molti mobili degli Zar sono giunti fino a noi).

La notevolissima collezione di quadri venne regolarmente acquistata dagli Zar, che usavano comprare, anziché depredare come facevano altri eserciti rivoluzionari, portatori di “libertà, fraternità ed uguaglianza” e razziatori di opere d’arte… E, a proposito di Napoleone, un’altra notevole costruzione – ed attuale cattedrale cittadina – è la chiesa di Nostra Signora di Kazan, costruita in omaggio alla vittoria del1812 e al cui interno si trova la tomba del pietroburghese Michail Illarionovič Kutuzov, il generale che costrinse l’imperatore “dei Francesi” a capitolare. Durante il comunismo era stata trasformata in “museo dell’ateismo”.
La Piazza del Palazzo, progettata in stile impero dall’architetto napoletano Carlo Rossi per celebrare la vittoria di Alessandro I sugli invasori francesi (lo Zar è immortalato da un’enorme colonna di venticinque metri al centro della piazza – uno dei più grandi monoliti esistenti al mondo – alla cui sommità si trova nuovamente il simbolo cittadino dell’angelo con la Croce), presenta da un lato il Palazzo d’Inverno, dall’altro il Palazzo dell’Ammiragliato, al cui centro si trova l’Arco della Vittoria, anch’esso celebrativo del successo bellico contro Napoleone.
Va infine ricordata la chiesa di Santa Caterina, l’unica costruzione cattolica sopravvissuta al comunismo (sotto la cui oppressione fu adibita a deposito di motociclette). Prima della rivoluzione bolscevica a S. Pietroburgo si contavano almeno dieci parrocchie cattoliche: un numero perfettamente comprensibile, se si pensa anche solo a quanti artisti italiani vi venissero a lavorare e vi stabilissero assieme alle loro botteghe, come il fiorentino Bartolomeo Rastrelli (cui si deve il Palazzo d’Inverno) ed il veneziano Alberto Cavos (che progettò gli interni del Teatro Bolscioj di Mosca prima e del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, ultimati i quali venne commissionata a Giuseppe Verdi l’opera lirica La forza del destino). Tutti questi artisti, come quelli citati in precedenza, morirono a San Pietroburgo: segno tra l’altro dell’affezione, che avevano sviluppato verso questa meravigliosa città.

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Maria a Pontmain: “Mio Figlio si lascia intenerire”

Posté par atempodiblog le 17 janvier 2015

Maria a Pontmain: “Mio Figlio si lascia intenerire” dans Apparizioni mariane e santuari Maria-a-Pontmain

Mentre la gente canta il Magnificat e la Madonna accompagna il canto con un luminoso sorriso, alla base dell’ovale appare uno striscione bianco, sul quale, una lettera dopo l’altra, appare la scritta: “Ma pregate, figli miei. Dio vi esaudirà fra poco tempo”. La gente si apre alla speranza. Intuisce che la guerra sta per finire, che i soldati di Pontmain finalmente ritorneranno alle loro case e che le tribolazioni cesseranno. Tutti sono lieti e anche la Signora del Cielo partecipa alla gioia comune.

Tuttavia il messaggio non è ancora terminato. Dopo il canto dell’Inviolata, in onore della Concezione Immacolata di Maria, la scritta si completa con una nuova frase che si staglia lettera dopo lettera: “Mio Figlio si lascia intenerire”. Queste parole formano una seconda linea, ben centrata sotto la prima, ed emanano un luce più intensa. La gente non ha ormai più dubbi su chi sia la celeste Signora ed esclama: “E’ la Santa Vergine, è la Santa Vergine”, ed esplode nel canto del Salve Regina. Al successivo canto, Madre della Speranza, la Madonna alza le mani fino alle spalle e muove le dita sorridendo al ritmo della musica, mentre la scritta lentamente scompare.

Tratto da: Pellegrino a quattro ruote — Padre Livio Fanzaga

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Bilbao e le sue radici cristiane

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2014

Bilbao e le sue radici cristiane
Tratto da: Bilbao.it

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Ogni città spagnola, Bilbao compresa, manifesta un forte attaccamento alle radici cristiane reso esplicito dalla presenza di chiese antiche dall’alto valore storico-artistico.

Bilbao è stata al centro del cammino di pellegrinaggio che conduceva a Santiago di Compostela. Non deve sorprendere, quindi, se il luogo di culto più rappresentativo è la Cattedrale di Santiago.

La particolarità di alcuni edifici religiosi a Bilbao è la loro architettura, a metà strada tra la costruzione adibita al culto di Dio e la fortezza militare. Bilbao, del resto, si trovava in un punto geografico particolarmente esposto agli attacchi dei nemici. Una simile conformazione architettonica la riscontriamo nella Basilica de Nuestra Señora de Begoña.

Gli altri luoghi di culto di Bilbao costituiscono un itinerario imperdibile nella città basca.

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La Cattedrale di Santiago a Bilbao è una bellissima chiesa e porta il nome della località spagnola, meta di pellegrinaggio cristiano da molti secoli.

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Decisamente originale nell’aspetto è la Basilica de Nuestra Señora de Begoña, costruzione religiosa realizzata nel Cinquecento. Nel corso della storia di Bilbao è stata trasformata in una fortezza difensiva.

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La Chiesa di San Antón è un edificio religioso assolutamente da includere nel tour alla scoperta di Bilbao. La costruzione risale al periodo tardo medievale e fu più volte danneggiata nel corso della sua storia.

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La Chiesa di San Francisco de Asis rientra a pieno titolo negli itinerari turistici alla scoperta di Bilbao. Il nome ricorda il santo proveniente da Assisi che rivoluzionò la storia della cristianità nel Medioevo.

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La Chiesa di San Nicolás si trova in posizione centrale a Bilbao ed è dedicata a San Nicola di Bari. E’ un ottimo esempio di architettura barocca, essendo stata realizzata nel diciottesimo secolo, e conserva preziose opere artistiche.

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La Chiesa di Santos Juanes si trova nel centro storico di Bilbao, ed è una bellissima costruzione risalente al ’600 di stile barocco classicista.

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Impegno costante nella prevenzione degli incidenti stradali

Posté par atempodiblog le 17 novembre 2014

Oggi ricorre la “Giornata mondiale delle vittime della strada”. Ricordiamo nella preghiera quanti hanno perso la vita, auspicando l’impegno costante nella prevenzione degli incidenti stradali, come pure un comportamento prudente e rispettoso delle norme da parte degli automobilisti.

Papa Francesco  (16 novembre 2014)

Impegno costante nella prevenzione degli incidenti stradali dans Papa Francesco I 24goriv

La vita umana è sacra sin dal suo concepimento e fino alla morte; è sacra e pertanto deve essere rispettata nella propria e nella altrui esistenza. Attentare alla vita, con una guida spericolata o incauta, minacciare di andare o mandare fuori strada, costituisce non solo un reato civile e penale, ma anche un vero e proprio peccato, di cui bisogna pentirsi e confessarsi.

Forse nessuno, anche di quelli che si confessano abitualmente, nel suo esame di coscienza, si interroga sul modo come guida l’automobile o il motorino, invece dobbiamo cominciare a farlo, per radicare nella nostra coscienza il dovere di rispettare la nostra vita e la vita degli altri.

Si tratta, in parole semplici, di «un peccato sociale» pari, se non più grave di quello di non pagare lo tasse, perché non attiene a un dovere civile, ma un dovere morale fondamentale per l’umana esistenza.

Molto può fare la famiglia per rafforzare la coscienza di «guidare con prudenza» se i genitori e gli adulti insegnano ai bambini a conoscere e rispettare le leggi della strada e della guida: molto può fare la scuola e sappiano che lo fa, con l’aiuto dei vigili e della polizia, che volentieri si prestano a svolgere lezioni sul Codice della strada; molto possono fare i pastori delle anime, richiamando i fedeli su un dovere essenziale della vita e del vivere sociale.

Nessuno però può influire seriamente come se stesso. È dentro di noi, che dobbiamo radicare il dovere del rispetto scrupoloso della legge della strada. Tutti dobbiamo aver più rispetto della nostra vita e della vita degli altri.

di S.E. Mons. Cosmo Francesco Ruppi
Tratto da: Guidare bene

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