I coniugi Martin

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2011

Luigi e Zelia Martin sono stati beatificati nella domenica della giornata missionaria mondiale il 19 ottobre 2008. Attraverso di loro giunge anche alle famiglie cristiane di oggi l’appello ad essere santi e missionari, ad evangelizzare con la parola, con l’azione, con tutta la vita.

I coniugi Martin dans Coniugi Beltrame Quattrocchi Famiglia-Martin

Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guérin (1831-1877)

Lui orologiaio, lei merlettaia: borghesi di estrazione, santi di elezione. Sono Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guérin (1831-1877) – i genitori di Teresa del Bambino Gesù – che domenica 19 ottobre vengono proclamati beati nel corso di una celebrazione presieduta nella basilica di Lisieux dal cardinale José Saraiva Martins. È la seconda coppia di sposi – dopo i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi beatificati nel 2001 da Giovanni Paolo II- a essere elevata agli onori degli altari.

Entrambi figli di militari, vengono educati in un ambiente disciplinato, severo, molto rigoroso e segnato da un certo giansenismo ancora strisciante nella Francia dell’epoca. Tutti e due ricevono un’educazione di impronta religiosa: presso i Fratelli delle scuole cristiane, Luigi, dalle suore dell’adorazione perpetua, Zelia. Al termine degli studi, nel momento di scegliere il suo futuro, Luigi si orienta verso l’apprendimento del mestiere di orologiaio, nonostante l’esempio del padre, noto ufficiale dell’esercito napoleonico. Zelia, invece, inizialmente aiuta la madre nella gestione del locale di famiglia. Poi si specializza nel « punto d’Alençon » presso la scuola di merletto. Nel giro di qualche anno, i suoi sforzi sono premiati: apre una modesta azienda per la produzione del merletto e ottiene un discreto successo.

Ambedue nutrono fin dall’adolescenza il desiderio di entrare in una comunità religiosa. Ci prova lui chiedendo di essere ammesso tra i canonici regolari di sant’Agostino dell’ospizio del Gran San Bernardo sulle Alpi svizzere, ma non viene accolto perché non conosce il latino. Tenta anche lei di entrare tra le Figlie della carità di san Vincenzo de’ Paoli, ma comprende che non è la sua strada.

Per tre anni Luigi soggiorna a Parigi, ospite di parenti, per perfezionare la sua formazione di orologiaio. In quel periodo è sottoposto a molte sollecitazioni da parte dell’ambiente parigino percorso da spinte rivoluzionarie. Si avvicina perfino a un’associazione segreta, ma se ne allontana immediatamente. Insoddisfatto del clima che si respira nella capitale, si trasferisce ad Alençon, dove intraprende la sua attività, conducendo fino all’età di trentadue anni uno stile di vita quasi ascetico.

Zelia, intanto, con gli introiti della sua azienda, mantiene tutta la famiglia vendendo merletti all’alta società parigina. L’incontro tra i due avviene nel 1858 sul ponte di san Leonardo di Alençon. Alla vista di Luigi, Zelia avverte distintamente che quello sarà l’uomo della sua vita.

Dopo pochi mesi di fidanzamento si sposano. Conducono una vita coniugale all’insegna del Vangelo, scandita dalla messa quotidiana, dalla preghiera personale e comunitaria, dalla confessione frequente, dalla partecipazione alla vita parrocchiale. Dalla loro unione nascono nove figli, quattro dei quali muoiono prematuramente. Tra le cinque figlie che sopravvivono, Teresa, la futura santa, nata nel 1873. I ricordi della carmelitana sui suoi genitori sono una fonte preziosa per comprendere la loro santità. I Martin educano le loro figlie a divenire non solo buone cristiane ma anche oneste cittadine. A 45 anni Zelia riceve la terribile notizia di avere un tumore al seno. Vive la malattia con ferma speranza cristiana fino alla morte avvenuta nell’agosto 1877.

A 54 anni Luigi si trova da solo a portare avanti la famiglia. La primogenita ha 17 anni, l’ultima, Teresa, appena quattro e mezzo. Si trasferisce allora a Lisieux, dove risiede il fratello di Zelia. In questo modo, le figlie ricevono le cure della loro zia Celina. Tra il 1882 e il 1887 Luigi accompagna tre delle sue figlie al Carmelo. Il sacrificio più grande per lui sarà di allontanarsi da Teresa che entra tra le carmelitane a soli 15 anni. Luigi viene colpito da una malattia invalidante che lo conduce alla perdita delle facoltà mentali. Viene internato nel sanatorio di Caen. Muore nel luglio 1894.

Tratto da: vatican.va

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Il nome: la scelta di un patrono

Posté par atempodiblog le 2 octobre 2011

Il nome: la scelta di un patrono dans Citazioni, frasi e pensieri SS-Angelo-Custode

Pochi pensano al fatto che il nome, in effetti, non è solo un nome, ma anche la scelta di un patrono, di un santo, che è già in cielo. Si sceglie il nome di un uomo che è riuscito a realizzare la sua vita in armonia col progetto di Dio e si pone il bambino sotto la sua protezione. [...] Il giorno della nascita di un bambino è anche la festa di una madre, perché ella vive allora una grande giornata, partecipa al mistero della creazione, è strumento della potenza creatrice di Dio! L’onomastico invece è la festa del bambino, che deve ricordarsi del suo patrono e può sempre avvalersi del suo aiuto. Il patrono ha dei doveri nei confronti delle persone poste  sotto la sua protezione.

Wanda Póltawska

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Un riparo sicuro sotto il Suo Amore

Posté par atempodiblog le 26 septembre 2011

Un riparo sicuro sotto il Suo Amore dans Citazioni, frasi e pensieri Ges-Misericordioso

Pensa a una persona che si mettete davanti a un’altra e con il suo corpo la copre completamente, così che nessuno possa scorgere chi si nasconde dietro: allo stesso modo Gesù Cristo nasconde il tuo peccato con il suo corpo santo. [...] Li nasconde letteralmente.

Pensa a una chioccia che, preoccupata, nel momento del pericolo raccoglie i pulcini sotto le proprie ali, li copre, ed è pronta a dare la sua vita piuttosto che privarli di quel riparo che ne rende impossibile la vista all’occhio del nemico: allo stesso modo egli nasconde il tuo peccato.

Allo stesso modo: perché anch’egli è preoccupato, infinitamente preoccupato nell’amore; darà la sua stessa vita prima di privarti di questo riparo sicuro sotto il suo amore. Prima darà la sua vita, anzi no, proprio per questo ha dato la sua vita, per assicurarti un riparo sicuro sotto il suo amore.

Sören Kierkegaard

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Santi Paolo, Tatta e figli Sposi e martiri

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2011

Santi Paolo, Tatta e figli Sposi e martiri
Santi Paolo, Tatta e figli Sposi e martiri  dans Stile di vita santid
25 settembre

+ Damasco, Siria, in epoca incerta

Martirologio Romano: A Damasco in Siria, santi martiri Paolo e Tatta, coniugi, Sabiniano, Massimo, Rufo ed Eugenio, loro figli, che, accusati di essere cristiani, percossi e torturati con altri supplizi, resero infine l’anima a Dio.

Quasi tutte le storie di santità relative ad intere famiglie, consistenti ormai in parecchi casi dopo duemila anni di cristianesimo, sono purtroppo cadute tristemente in oblio.
Uno di questi casi è costituito dai santi coniugi Paolo e Tatta, che con i loro figli Sabiniano, Massimo, Rufo ed Eugenio furono chiamati a testimoniare la loro fede cristiana sino allo spargimento del loro sangue. Gli sposi e l’intera loro prole furono accusati di essere cristiani, cosa oggi ritenuta banale ma non così scontata in un mondo allora ancora permeato di paganesimo.
Furono allora oggetto di durissime torture ed infine, ormai stremati, resero l’anima a Dio presso Damasco in Siria. E’ invece storicamente impossibile datare con certezza il periodo in cui avvenne il loro glorioso martirio, che è comunque collocabile senza ombra di dubbio nei primissimi secoli dell’era cristiana.
Ciò non toglie che l’intrepida testimonianza di questi martiri possa ancora essere valida nel mondo odierno, in cui il valore della famiglia è talvolta messo seriamente in discussione. Il nuovo Martyrologium Romanum ha dunque ritenuto opportuno continuare a riportarne la commemorazione in data 25 settembre.

Autore: Fabio Arduino
Fonte:   Santiebeati.it

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Salvo D’Acquisto, luce dell’eroismo cristiano

Posté par atempodiblog le 23 septembre 2011

salvo d'acquisto

Il sacrificio della propria giovane vita per salvare altri innocenti: questa la risposta di un cristiano che ha saputo vivere in grado eroico la virtù della carità. Non a parole: né a parole vuote e ipocrite, né a parole di ribellione sociale, né a parole di odio o retorica politica.
Di fronte alla barbara violenza del totalitarismo, Salvo D’Acquisto seppe opporre un gesto di suprema carità cristiana, che gli ha regalato il privilegio di rimanere un esempio imperituro per ogni uomo di buona volontà.
Il 4 novembre 1983 è stato insediato il Tribunale Ecclesiastico chiamato a decidere sulla causa di beatificazione del vice brigadiere dei Carabinieri Salvo D’Acquisto.
Poche settimane prima, l’allora Ordinario Militare d’Italia, Monsignor Gaetano Bonicelli, nell’omelia pronunciata durante la Santa Messa celebrata in occasione del 40° anniversario della morte del giovane militare, ebbe a dire: «Salvo D’Acquisto ha fatto il suo dovere in grado eroico, ben oltre quello che il regolamento gli chiedeva. Ma perché lo ha fatto? Forse, in quel momento tragico, gli sono risuonate nel cuore le parole di Cristo “non c’è amore più grande che dare la vita per chi si ama”. Ma anche se la memoria del testo evangelico non l’avesse aiutato, la forte educazione cristiana ricevuta in famiglia e nella scuola gli ha fatto cogliere l’essenziale del Vangelo che non è declamazione di parole, pur belle e sublimi, ma testimonianza di vita».
Chi era questo eroico carabiniere, la cui vicenda ha da sempre commosso gli animi e al quale in molte città d’Italia è stata dedicata una via, una piazza o una caserma?

Un sacrificio eroico
Nato a Napoli il 17 ottobre 1920, D’Acquisto si era arruolato volontariamente nell’Arma dei Carabinieri nell’agosto del 1939, e dopo aver trascorso un periodo di servizio a Tripoli, nel settembre del 1942 cominciò a frequentare la Scuola Centrale Carabinieri di Firenze, dalla quale uscì pochi mesi più tardi col grado di vice brigadiere.
Alla fine di dicembre di quello stesso anno, venne destinato alla stazione di Torrimpietra, a una trentina di chilometri da Roma. Poco lontano di lì, nella Torre di Palidoro, in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, si era installato un reparto di SS: la sera del 22 settembre 1943, alcuni soldati tedeschi, rovistando in una cassa, provocarono lo scoppio di un ordigno che causò la morte di uno di loro e il ferimento di altri due.
Convinti della responsabilità dei partigiani, i nazisti decisero di procedere a una rappresaglia, e nonostante D’Acquisto si adoperasse per farli recedere da tale intenzione, vennero rastrellati e avviati verso il luogo dell’esecuzione ventidue cittadini innocenti.
Il giovane vice brigadiere mise in atto un estremo tentativo per dissuadere il comandante tedesco e fermare così l’eccidio ormai imminente; ma tutto fu inutile. Ai condannati venne ordinato di scavarsi la fossa, ma prima che il plotone d’esecuzione entrasse in azione, Salvo D’Acquisto si fece avanti autoaccusandosi dell’attentato e chiedendo la liberazione degli ostaggi: pochi minuti dopo era lui a cadere sotto i colpi dei militari tedeschi.
Il 25 febbraio 1945 gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:
«Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinuncia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d’un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma».

di Maurizio Schoepflin – Radici Cristiane

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Il Card. Comastri ricorda Madre Teresa

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2011

IO LA RICORDO COSÌ…
Angelo Comastri

Il Card. Comastri ricorda Madre Teresa dans Cardinale Angelo Comastri 205sk1k

Mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi mi chiese: «Quante ore preghi ogni giorno?». Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: «Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?». Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò: «Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!».

Non ho più dimenticato questo incontro: il segreto di Madre Teresa sta tutto qui. Ci siamo rivisti tante altre volte (l’ultima il 22 maggio scorso), ma ogni azione e ogni decisione di Madre Teresa li ho trovati meravigliosamente coerenti con questa convinzione di fede: «Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore, e così …».

Nel 1979 ricevette il Premio Nobel per la Pace: lo accolse stupendosi e restando quietamente piccola nelle mani di Dio. Andò a ritirare il premio con la corona del Santo Rosario stretta tra le grosse mani, abituate alla fatica del lavoro e alla dolcezza della carezza: nessuno osò rimproverarla per il suo affetto verso la Madonna, neppure in una terra rigidamente luterana!

Tornando da Oslo Madre Teresa fece tappa a Roma. Vari giornalisti si accalcarono nel cortile esterno della povera dimora delle Missionarie della Carità sul Monte Celio. Madre Teresa non si sottrasse ai giornalisti, ma li accolse come figli, mettendo nella mano di ciascuno una piccola medaglia dell’Immacolata. I giornalisti furono generosi in foto e domande; una domanda fu un po’ birichina: «Madre, lei ha settanta anni! Quando lei morirà, il mondo sarà come prima. Che cosa è cambiato dopo tanta fatica?» Madre Teresa avrebbe potuto reagire con un po’ di santo sdegno ed invece fece un sorriso luminoso, come se le avessero dato un bacio affettuosissimo. E aggiunse: «Vede, io non ho mai pensato di poter cambiare il mondo! Ho cercato soltanto di essere una goccia di acqua pulita, nella quale potesse brillare l’amore di Dio. Le pare poco?».

Il giornalista non riuscì a rispondere, mentre attorno alla Madre si era creato il silenzio dell’ascolto e della emozione. Madre Teresa riprese la parola e chiese al giornalista « sfacciatello »: «Cerchi di essere anche lei una goccia pulita e così saremo in due. È sposato?». «Sì, Madre». «Lo dica anche a sua moglie e così saremo in tre. Ha dei figli?». «Tre figli, Madre». «Lo dica anche ai suoi figli e così saremo in sei …».

Non c’era bisogno di aggiungere altro: Madre Teresa aveva detto chiaramente che ognuno di noi ha in mano un piccolo, ma indispensabile capitale d’amore; è questo personale capitale d’amore che dobbiamo preoccuparci di investire: il resto è divagazione inutile o polemica sterile o maschera di disimpegno.

Nel 1988 venne a Porto Santo Stefano (GR), dove ero parroco: fu un dono immenso, inatteso, meraviglioso. Era il 18 maggio e il cielo, dopo una insolita burrasca, era tornato limpido e azzurro, confondendosi con il mare sorridente. Madre Teresa fissò come una bambina lo scenario unico del Monte Argentario e parlò così: «Come è bello questo luogo! In un luogo così bello, anche voi dovreste preoccuparvi di avere anime belle». Bastarono queste parole per far scattare una attenzione e una vibrazione del cuore di oltre ventimila persone. Madre Teresa, allora, con la coerenza della fede, aggiunse:

«La vita è il più grande dono di Dio. È per questo che è penoso vedere quanto accade oggi: la vita viene volontariamente distrutta dalle guerre, dalla violenza, dall’aborto. E noi siamo creati da Dio per cose più grandi: amare ed essere amati! Il più grande distruttore di pace nel mondo è l’aborto. Se una madre può uccidere il proprio figlio nella culla del suo grembo, chi potrà fermare me e te nell’ucciderci reciprocamente?».

Queste parole sembravano raggi luminosi lanciati nel cielo buio: ciascuno si sentiva scoperto e ogni briciola di egoismo bruciava e diventava salutare rimprovero. Al termine della Veglia di Preghiera accadde un fatto, che ho sempre vivo nella memoria, ricordandolo, ancora mi emoziono profondamente. Un ricco industriale mi aveva manifestato l’intenzione di regalare a Madre Teresa la sua villa per accogliere i malati di Aids ed aveva in mano le chiavi per consegnarle alla Madre. Riferii la proposta a Madre Teresa, che prontamente rispose: «Debbo pregare, debbo pensarci: non so se è cosa buona portare i malati di Aids in un luogo di grande turismo. E se fossero rifiutati? Soffrirebbero due volte!». Quale saggezza! Quale libertà interiore!

Però a tutti noi, uomini di poca fede, sembrava che Madre Teresa stesse per perdere una bella e rara occasione. Un distinto signore, che aveva assistito al dialogo, si sentì in dovere di consigliare: «Madre, intanto prenda la chiave e poi si vedrà…». Madre Teresa, senza alcuna esitazione, forse sentendosi ferita in ciò che aveva di più caro e di più prezioso, chiuse il discorso dicendo risolutamente: «No, signore! Perché ciò che non mi serve, mi pesa!».

Queste parole sono un capolavoro. Mi richiamarono alla memoria ciò che San Bonaventura scrisse riguardo a San Francesco: «Nessuno amò tanto la ricchezza, quanto Francesco amò la povertà!». Madre Teresa era così. Era un limpido fiume di fede che sbocciava in opere di carità: la fede, e soltanto la fede, stava alla sorgente del suo agire.

Nel 1991, sempre nel mese di maggio, venne a Massa Marittima (GR). Con mia grande sorpresa mi comunicò la decisione di aprire a Piombino una casa per le Suore Contemplative delle Missionarie della Carità: «Pregheranno davanti a Gesù nel Tabernacolo – mi disse – e così si diffonderà attorno la luce della bontà. Ci vogliono cuori puri per accogliere l’Amore! Cuori puri!».

Da Massa Marittima, in elicottero, andammo all’Isola d’Elba per un secondo incontro di preghiera. Durante il tragitto indicavo a Madre Teresa i vari luoghi della costa tirrenica, mentre lei inviava a tutti il regalo di un’Ave Maria. A un certo punto un uomo, che ci accompagnava nel volo, cadde in ginocchio accanto a me e, con voce tremante, mi disse: «Padre, io non so che cosa mi stia accadendo! Mi sembra che Dio, Dio stesso mi stia guardando attraverso gli occhi di quella donna».

Riferii subito alla Madre le parole appena ascoltate. Ella, con tranquillità disarmante, commentò: «Gli dica che Dio lo sta guardando da tanto tempo: era lui che non se ne accorgeva…! God is love: Dio è Amore!». E, rivolta all’uomo, gli strinse la mano con affetto e gli consegnò alcune medagliette della Madonna: sembravano baci, che portavano il profumo dell’amore di Dio. Madre Teresa era così: semplice, umile, limpida, evangelicamente trasparente.

Il 22 maggio [1997] mi scrisse un messaggio per la VI Giornata Mondiale del Malato, che verrà celebrata a Loreto l’11 febbraio 1998. Il messaggio dice così: «Cari fratelli e sorelle che soffrite! Voi siete così vicini al cuore di Gesù Crocifisso che, senza staccarsi dalla Croce, egli può baciarvi e parteciparvi il Suo Amore. Siate Santi! Tutti per Gesù attraverso Maria». È il suo testamento: amare… amare! Lasciando però che sia Gesù, Volto e Presenza dell’Amore di Dio, a riempirci di Carità!

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Alessandra di Rudinì. Un’altra stupefacente conversione

Posté par atempodiblog le 11 août 2011

Solo il Cristianesimo dà la possibilità di porre tutte le proprie ansie e i propri limiti tra le tenere braccia di una Madre. La straordinaria esperienza di Alessandra di Rudinì.

Alessandra di Rudinì. Un'altra stupefacente conversione dans Riflessioni alessandradirudin

«L’abisso è davanti a me. L’umano cade. È caduto. E il divino sfugge. L’orrore di questo vuoto atroce non può essere detto da parola umana. Perché viviamo? Beato chi risponde con sicurezza alla domanda eterna!». Queste parole furono scritte da Alessandra di Rudinì (1876-1931), figlia del celebre Antonio Starabba-marchese di Rudinì, che fu anche Primo Ministro dello Stato italiano nel 1891-‘92 e dal 1896 al ‘98.

Una bellissima dama dell’alta società
Alessandra di Rudinì fu una donna bellissima e coltissima. Ammirata da tutti, era l’attrazione dei salotti dell’epoca. Visse inizialmente immersa nella vita mondana e decadente dell’alta aristocrazia italiana ed europea. Fu anche per tre anni l’amante di Gabriele D’Annunzio, che per lei lasciò Eleonora Duse.
Ma Alessandra di Rudinì, malgrado le apparenti gioie, le gratificazioni di sentirsi ammirata e al centro dell’attenzione di tutti, avvertiva in se stessa un profondo vuoto.

La conversione a Lourdes
Fu così che (era ancora bella e corteggiata) fece un’esperienza che le cambiò la vita. A Lourdes incontrò la salvezza di Maria Santissima, ma non una salvezza disincarnata, astratta, bensì vera e concreta. Fu testimone di un miracolo.
Una signora francese, completamente cieca, invocò la Madonna e guarì sotto i suoi occhi. E il celebre dottor Boissaire, il medico presidente dell’Ufficio che constatava i miracoli, le documentò, con prove ineccepibili, la straordinarietà di quello ch’era avvenuto sotto i suoi occhi.
Alessandra di Rudinì (aveva appena trent’anni) capì cosa contasse davvero nella vita. Si donò completamente al Signore. Dapprima iniziò a vivere la spiritualità carmelitana nella sua Villa sul Lago di Garda, poi decise di entrare nel Carmelo di Paray-le-Monial, in Francia. E da suora fondò tre carmeli: Valenciennes, Montmartre e Le Repoisoir in Alta Savoia.
Il Signore non chiede a tutti di colmare il proprio cuore con una scelta di consacrazione totale come lo chiese ad Alessandra di Rudinì. Non tutti ricevono questa vocazione. Ma di certo il Signore chiede che, nel cuore di ognuno, il posto principale sia occupato da Lui… perché solo così l’umano può evitare quella caduta, che è il fallimento del “vuoto atroce” di cui Alessandra faceva continuamente esperienza, pur nella “bellezza” di una vita in cui tutti la guardavano con ammirazione e desiderio.
Solo così l’esistenza dell’uomo può riempirsi del sapore del vero… per aprirsi al gusto della vita.
Alessandra di Rudinì aveva tutto, eppure le mancava la ricchezza più grande: la Risposta. Ecco il senso di quelle sue parole: “Beato chi risponde con sicurezza alla domanda eterna!” Inanellata di diamanti, desiderata da molti, coltissima, plurilingue… le mancava la conoscenza della Verità, una conoscenza che accompagnasse la sua vita per riempirla veramente. Le mancava la Risposta.
Aveva le ricchezze, ma non la Ricchezza. Ella trovò la Risposta e la vera ricchezza in Gesù… e il Signore la volle chiamare: Suor Maria di Gesù.

La specifica ricchezza del Cristianesimo
Ma – come abbiamo detto – il Mezzo attraverso cui avvenne questo miracolo fu Maria Santissima. Alessandra aveva fatto esperienza del fallimento della sua maternità. Aveva avuto due figli, che, rimasta vedova e per convivere con D’Annunzio, aveva affidati ad un Collegio di Gesuiti, ma in realtà li aveva abbandonati a se stessi: morirono giovani.
Solo una madre può aiutare qualsiasi fallimento… a maggior ragione quello di un’altra madre. Alessandra incontrò in Maria l’infinita Misericordia di Dio e la speranza di recuperare la propria vita trasformando gli errori commessi nelle virtù eccelse della dedizione a Dio e ai fratelli.
Una Mamma come speranza per i propri fallimenti, per evitare ogni caduta dell’umano. Convinciamoci: questo non c’è in nessun’altra religione. Solo il Cristianesimo è autorizzato a dirci che non si deve né si può mai perdere la speranza, perché solo il Cristianesimo pone l’amore materno come inizio e senso di tutto: una donna che dice di sì per diventare Mamma e da quel sì (non da altri sì) il dono della Salvezza.
San Bernardo di Chiaravalle sapeva bene che la Speranza è solo in Dio, ma aveva ben capito che la motivazione di questa speranza era tutta in Colei che aveva detto sì. Ed ecco perché egli amava dire: “Maria è l’unica ragione della mia speranza”. Verissimo. La speranza è in Dio, ma Colei che ci ha donato questa “speranza-in-Dio” è Maria. Dunque è Lei tutta la ragione della nostra speranza.
Andate a sfogliare qualsiasi manuale di storia delle religioni e scoprirete che da nessuna parte si presenta e si prospetta questa bellezza: poter riporre i propri errori, i propri limiti, le proprie ansie tra le braccia amorose di una Madre.

San Bernardo scrive magnificamente:«O Maria, tu sei la stella splendente… elevata sul mare maestoso e immenso della vita, dardeggiante di meriti e lucente di esempi. Quando, nell’instabilità continua della vita presente, mi accorgo di essere sballottato tra le tempeste senza punto sicuro dove appoggiarmi, tengo ben fisso lo sguardo al fulgore della tua stella per non essere spazzato via dagli uragani. Se insorgono i venti delle tentazioni e urto tra gli scogli delle tribolazioni, guardo alla stella e invoco te, Maria. Se l’ira, l’avarizia, la concupiscenza della carne squassano la navicella del mio spirito, guardo a te, Maria. Se l’ira, l’avarizia, la concupiscenza della carne squassano la navicella del mio spirito, guardo a te, Maria. Se, turbato per l’enormità dei miei delitti, confuso per il fetore della mia coscienza, atterrito per l’orrore del giudizio di Dio, comincio a precipitare nel baratro della tristezza e nell’abisso della disperazione, penso a te, Maria.
Nei pericoli, nelle angustie, nelle perplessità, a te penso, Maria, te invoco. O Maria, sii sempre nella mia bocca e nel mio cuore; e, per impetrare il soccorso della tua preghiera non dimentico i tuoi insegnamenti. Seguendo i tuoi esempi non mi smarrirò, invocandoti non perderò la speranza; pensando a te non cadrò nell’errore. Appoggiato a te non scivolerò; sotto la tua protezione non avrò paura di niente; con la tua guida, non mi stancherò; per il tuo beneplacito giungerò a destinazione; e così sperimenterò in me stesso ciò che significa il tuo nome, o Maria».

di Dino Focenti – Radici Cristiane

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San Gaetano

Posté par atempodiblog le 7 août 2011

San Gaetano dans Henry Perroy San-Gaetano 

Ti parlo di un piccolo ragazzo che andava a scuola come te. Egli studiava bene le lezioni ed eseguiva i compiti con cura. Era anche un simpatico compagno, anzi, i ragazzi della sua classe lo chiamavano il Santo.
Finite le scuole, si iscrisse all’università di Padova.
Dopo, sentì un grande desiderio di essere sacerdote per tenere nelle sue mani la piccola Ostia consacrata.
Un giorno il Papa, il quale sapeva che Gaetano era molto buono, lo chiamò per nominarlo Cardinale. Ma egli supplicò il Papa di non nominarlo Cardinale ma di lasciarlo vivere in mezzo ai poveri.
“Sì”, disse il Papa, “i poveri hanno bisogno di te”.
Un giorno, leggendo nel S. Vangelo ciò che disse Gesù: “Guardate gli uccelli dell’aria che non seminano, non mietono e non hanno granai, ma il Padre Celeste li nutre”, decise con tre altri compagni di vivere dell’elemosina che il Signore mandava loro. E il Papa approvò questo loro desiderio.
Pensa che uno di loro divenne poi il Papa Paolo IV: e tutti fecero tanto bene. I romani chiamavano Gaetano “il cacciatore di anime”.
Quando sarai più grande ricordati che la Provvidenza di Dio si occupa anche degli uccelletti. E tu, che sei battezzata, non vali più di loro?
Ricorda che il Signore non abbandona mai chi confida in Lui.

PROPOSITO: Dirò a Gesù che credo alla sua Provvidenza.

di Henry Perroy

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Confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2011

Confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia dans Beato Pier Giorgio Frassati Beato-Pier-Giorgio-Frassati

Nelle mie lotte interne mi sono spesso domandato perché dovrei io essere triste? dovrei soffrire, sopportare a malincuore questo sacrifizio? Ho forse io perso la Fede? no, grazie a Dio, la mia Fede è ancora abbastanza salda ed allora rinforziamo, rinsaldiamo questa che è l’unica Gioia, di cui uno possa essere pago in questo mondo.
Ogni sacrificio vale solo per essa; poi, come cattolici, noi abbiamo un Amore che supera ogni altro e che dopo quello dovuto a Dio è immensamente bello, come bella è la nostra religione. Amore che ebbe per avvocato quell’Apostolo, che lo predicò giornalmente in tutte le sue lettere ai vari Fedeli. La Carità, senza di cui, dice S. Paolo, ogni altra virtù non vale. Essa sì che può essere di guida e d’indirizzo per tutta la vita, per tutto un programma. Essa con la Grazia di Dio può essere la meta a cui il mio animo può attendere. Ed allora noi al primo momento siamo sgomenti, perché è un programma bello, ma duro, pieno di spine e di poche rose, ma confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia.

Pier Giorgio Frassati – Lettera a Isidoro Bonini (Torino, 6/3/1925)

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Don Bosco assiste a un conciliabolo di demòni

Posté par atempodiblog le 13 juin 2011

Don Bosco assiste a un conciliabolo di demòni dans Anticristo donbosco

Nella notte del 1° dicembre del 1884 il chierico Viglietti, che faceva da segretario a Don Bosco, fu svegliato di soprassalto da grida strazianti che venivano dalla camera del Santo. Balzò subito da letto e stette ad ascoltare. Don Bosco, con voce soffocata dal singhiozzo, gridava: “Ohimè, ohimè, aiuto, aiuto!”.
Viglietti entrò e disse: “Oh, Don Bosco, si sente male?”.
“Oh, Viglietti – rispose svegliandosi -; no, non sto male, ma non potevo più respirare. Ma basta: ritorna tranquillo a letto e dormi”.
Al mattino, dopo la Messa, “Oh, Viglietti, non ne posso proprio più, ho lo stomaco rotto dalle grida di questa notte. Sono quattro notti consecutive che faccio sogni che mi costringono a gridare e mi stancano all’eccesso”.
E narrò che, tra l’altro, aveva sognato la morte di Salesiani a lui carissimi. Ma il sogno che l’aveva maggiormente impressionato era stato il seguente.

Gli era parso di essere in una grande sala dove diavoli in gran numero tenevano congresso e trattavano del modo di sterminare la Congregazione Salesiana. La loro figura era indeterminata e si avvicinava piuttosto alla figura umana. Parevano ombre che ora si abbassavano e ora si alzavano, si accorciavano, si stendevano, come farebbero molti corpi che dietro avessero un lume trasportato or da una parte or dall’altra, ora abbassato al suolo e ora sollevato. Ma quella fantasmagoria metteva spavento.
Ora ecco uno dei demòni avanzarsi e aprire la seduta. Per distruggere la Congregazione Salesiana propose un mezzo: la gola. Fece vedere le conseguenze di questo vizio: inerzia per il bene, corruzione dei costumi, scandalo, nessuno spirito di sacrificio, nessuna cura dei giovani. Ma un altro diavolo gli obiettò: “Il tuo mezzo non è efficace perché la mensa dei religiosi sarà sempre parca e il vino misurato. La Regola fissa il loro vitto ordinario. I superiori vigilano per impedire che succedano disordini. No, non è questa l’arma per combattere i Salesiani. Procurerò io un altro mezzo che ci faccia ottenere meglio il nostro intento: l’amore alle ricchezze. In una Congregazione religiosa quando entra l’amore alle ricchezze, entra insieme l’amore alle comodità, si cerca ogni via per avere un peculio, si rompe il vincolo della carità perché ognuno pensa a se stesso, si trascurano i poveri per occuparsi solo di quelli che hanno fortuna, si ruba alla Congregazione”.
Costui voleva continuare, ma sorse un terzo demonio: “Ma che gola!”. – esclamò -. “Ma che ricchezze! Tra i Salesiani l’amore alle ricchezze può vincere pochi. Sono tutti poveri i Salesiani. In generale poi sono così immensi i loro bisogni per i tanti giovani e per le tante case, che qualsiasi somma, anche grossa, verrebbe consumata. Non è possibile che tesoreggino. Ma ho io un mezzo infallibile per rovinare la Società Salesiana e questo è la libertà. Indurre quindi i Salesiani a sprezzare le Regole, a rifiutare certi uffici pesanti e poco onorifici, spingerli a fare scismi dai loro superiori con opinioni diverse, ad andare a casa col pretesto d’inviti e simili”.
Mentre i demòni parlamentavano, Don Bosco pensava: “Io sto ben attento, sapete, a quanto andate dicendo. Parlate, parlate pure, che così potrò sventare le vostre trame”.
Intanto saltò su un quarto demonio: “Ma che!”, gridò. “Armi spezzate le vostre. I superiori sapranno frenare questa libertà, scacceranno via dalle case chi osasse dimostrarsi ribelle alle Regole. Qualcuno forse sarà trascinato dall’amore alla libertà, ma la gran maggioranza si manterrà fedele. Io ho un mezzo adatto per guastare tutto fin dalle fondamenta; un mezzo tale che a stento i Salesiani se ne potranno guardare: sarà proprio un guasto in radice.
Ascoltatemi con attenzione: persuaderli che l’essere dotti è quello che deve formare la loro gloria principale. Quindi indurli a studiare molto per sé, per acquistare fama, e non per praticare quello che imparano, non per usufruire della scienza a vantaggio del prossimo. Perciò boria nelle maniere verso gli ignoranti e i poveri, poltroneria nel sacro ministero. Non più oratori festivi, non più catechismi ai fanciulli, non più scuolette basse per istruire i poveri ragazzi abbandonati, non più lunghe ore di confessionale. Terranno solo la predicazione, ma rara e misurata, e questa sterile perché fatta a sfogo di superbia, col fine di ottenere le lodi degli uomini e non di salvare anime”.
La proposta di costui fu accolta da applausi generali. Allora Don Bosco intravide il giorno in cui i Salesiani avrebbero potuto illudersi che il bene della Congregazione dovesse consistere unicamente nel sapere, e
temette che non solo così praticassero, ma anche predicassero doversi così praticare.

Anche questa volta Don Bosco se ne stava in un angolo della sala ad ascoltare e a vedere tutto, quando uno dei demòni lo scoperse e gridando lo indicò agli altri. A quel grido tutti si avventarono contro di lui urlando: “La faremo finita!”.
Era una ridda infernale di spettri, che lo urtavano, lo afferravano per le braccia e per la persona, ed egli a gridare: “Lasciatemi! Aiuto!”.
Finalmente si svegliò con lo stomaco tutto sconquassato dal molto gridare.

Don Bosco raccontando il sogno piangeva. Il chierico Viglietti gli prese la mano e stringendosela al cuore, gli disse: “Ah, Don Bosco, noi con l’aiuto di Dio le saremo sempre fedeli e buoni figliuoli!”.
“Caro Viglietti”, rispose Don Bosco, “sta’ buono e preparati a vedere gli avvenimenti… Vi saranno di quelli che vorranno soprattutto la scienza che gonfia, che procaccia loro le lodi degli uomini e che li rende sprezzanti di chi essi vedono da meno di loro per sapere”.

Tratto da: Sogni Don Bosco
Fonte: Spiritualità Giovanile Salesiana

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Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato

Posté par atempodiblog le 29 avril 2011

Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato dans Fede, morale e teologia santacaterinadasiena

Carissima sorella in Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù, ti scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa che ti alimenti dell’amore di Dio e ti nutri di esso, come al seno di una dolce madre. Nessuno, infatti, può vivere senza questo latte!
Chi possiede l’amore di Dio, vi trova tanta gioia che ogni amarezza gli si trasforma in dolcezza, e ogni gran peso gli si fa leggero. Non c’è da stupirsene, perché, vivendo nella carità, si vive in Dio:
“Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.
Vivendo in Dio, dunque, non si può avere alcuna amarezza, perché Dio è delizia, dolcezza e gioia infinita!
È questa la ragione per cui gli amici di Dio sono sempre felici! Anche se malati, indigenti, afflitti, tribolati, perseguitati, noi siamo nella gioia.
Quand’anche tutte le lingue maldicenti ci mettessero in cattiva luce, non ce ne cureremmo, ma di ogni cosa ci rallegriamo e gioiamo, perché viviamo in Dio, nostro riposo, e gustiamo il latte del suo amore. Come il bambino attira a sé il latte dal seno della madre, così noi, innamorati di Dio, attingiamo l’amore da Gesù crocifisso, seguendo sempre le sue orme e camminando insieme a lui per la via delle umiliazioni, delle pene e delle ingiurie.
Non cerchiamo la gioia se non in Gesù, e fuggiamo ogni gloria che non sia quella della croce.
Abbraccia, dunque, Gesù crocifisso, elevando a lui lo sguardo del tuo desiderio! Considera l’infuocato amore per te, che ha portato Gesù a versare sangue da ogni parte del suo corpo!
Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato, e in lui troverai la vita vera, perché è Dio che si è fatto uomo. Arda il tuo cuore e l’anima tua per il fuoco d’amore attinto a Gesù confitto in croce!
Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore.
Non avrai altro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non farai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante cose, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro!
Corri, Bartolomea, e non star più a dormire, perché il tempo corre e non aspetta un solo attimo!
Rimani nel dolce amore di Dio.
Gesù dolce, Gesù amore.

Dalle “Lettere” di Santa Caterina da Siena - Lettera n. 165 a Bartolomea, moglie di Salviato da Lucca

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Benedetto XVI ricorda l’opera di Papa Wojtyla e l’amicizia che li ha uniti

Posté par atempodiblog le 29 avril 2011

In un’intervista alla tv polacca [del 16 ottobre 2005 realizzata dal P. Andrzej Majewski sj], Benedetto XVI segnala i punti salienti del pontificato di Giovanni Paolo II.
Tratta da: AsiaNews

Benedetto XVI ricorda l'opera di Papa Wojtyla e l'amicizia che li ha uniti dans Amicizia papifp1

[...] Nell’intervista l’attuale Papa sottolinea che Giovanni Paolo II ha « creato una nuova sensibilità per i valori morali, per l’importanza della religione nel mondo » ed in tal modo si è realizzata « una nuova apertura, una nuova sensibilità per i problemi della religione, per la necessità della dimensione religiosa nell’uomo » e « soprattutto è cresciuta – in modo inimmaginabile – l’importanza del Vescovo di Roma ». Nella Chiesa ha creato « un nuovo amore per l’Eucaristia » e « un nuovo senso per la grandezza della Misericordia Divina »; « ha anche approfondito molto l’amore per la Madonna e ci ha così guidato ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza ». Senza dimenticare, « come sappiamo tutti, anche quanto sia stato essenziale il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell’89, per il crollo del cosiddetto socialismo reale ».

Questo il testo integrale dell’intervista:

Il 16 ottobre del 1978, il cardinale Karol Wojtyla diventò Papa e da quel giorno Giovanni Paolo II, per oltre 26 anni, da Successore di San Pietro, come è Lei adesso, ha guidato la Chiesa assieme ai vescovi e ai cardinali. Tra i cardinali vi era anche Vostra Santità, persona singolarmente apprezzata e stimata dal suo predecessore; persona di cui il Pontefice Giovanni Paolo II ebbe a scrivere nel libro « Alzatevi, andiamo » – e qui cito – « Ringrazio Iddio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger. E’ un amico provato », ha scritto Giovanni Paolo II.

Padre Santo come è iniziata questa amicizia e quando Vostra Santità ha conosciuto il cardinale Karol Wojityla?
Personalmente lo ho conosciuto soltanto nei due pre-conclave e conclave del ’78. Avevo naturalmente sentito parlare del cardinale Wojityla, inizialmente soprattutto nel contesto della corrispondenza fra vescovi polacchi e tedeschi nel ’65. I cardinali tedeschi mi hanno raccontato come era grandissimo il merito e il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e che era proprio l’anima di questa corrispondenza realmente storica. Da amici universitari avevo anche sentito della sua filosofia e della grandezza della sua figura di pensatore. Ma come ho detto l’incontro personale la prima volta si è realizzato per il conclave del ’78. Dall’inizio ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il cardinale di quel tempo mi ha donato fin dall’inizio la sua amicizia. Sono grato per questa fiducia che mi ha donato, senza i miei meriti. Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non solo capito, ho visto che era un uomo di Dio. Questa era l’impressione fondamentale: un uomo che vive con Dio, anzi in Dio. Mi ha poi impressionato la cordialità, senza pregiudizi, con la quale si è incontrato con me. In questi incontri del pre-conclave dei cardinali, ha preso diverse volte la parola e qui ho avuto anche la possibilità di sentire la statura del pensatore. Senza grandi parole, era così nata un’amicizia che veniva proprio dal cuore e, subito dopo la sua elezione, il Papa mi ha chiamato diverse volte a Roma per colloqui e alla fine mi ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Dunque non è stata una sorpresa questa nomina e questa convocazione a Roma?
Per me era un po’ difficile, perché dall’inizio del mio episcopato a Monaco, con la solenne consacrazione a vescovo nella cattedrale di Monaco, vi era per me un obbligo, quasi un matrimonio con questa diocesi ed avevano anche sottolineato che dopo decenni ero il primo vescovo originario della diocesi. Mi sentivo quindi molto obbligato e legato a questa diocesi. C’erano poi dei problemi difficili che non erano ancora risolti e non volevo lasciare la diocesi con dei problemi non risolti. Di tutto questo ho discusso con il Santo Padre, con grande apertura e con questa fiducia che aveva il Santo Padre, che era molto paterno con me. Mi ha dato quindi tempo di riflettere, egli stesso voleva riflettere. Alla fine mi ha convinto, perché  questa era la volontà di Dio. Potevo così accettare questa chiamata e questa responsabilità grande, non facile, che di per sé superava le mie capacità. Ma nella fiducia alla paterna benevolenza del Papa e con la guida dello Spirito Santo, potevo dire di sì.

Questa esperienza durò per più di 20 anni…
Sì, sono arrivato nel febbraio dell’82 ed è durata  fino alla morte del Papa nel 2005.

Quali sono, secondo Lei, Santo Padre, i punti più significativi del Pontificato di Giovanni Paolo II?
Possiamo avere, direi, due punti di vista: uno ad extra – al mondo -,  ed uno ad intra  – alla Chiesa -. Riguardo al mondo, mi sembra che il Santo Padre, con i suoi discorsi, la sua persona, la sua presenza, la sua capacità di convincere, ha creato una nuova sensibilità per i valori morali, per l’importanza della religione nel mondo. Questo ha fatto sì che si creasse una nuova apertura, una nuova sensibilità per i problemi della religione, per la necessità della dimensione religiosa nell’uomo e soprattutto è cresciuta – in modo inimmaginabile – l’importanza del Vescovo di Roma. Tutti i cristiani hanno riconosciuto – nonostante le differenze e nonostante il loro non riconoscimento del Successore di Pietro – che è lui il portavoce della cristianità. Nessun altro al mondo, a livello mondiale può parlare così nel nome della cristianità e dar voce e forza nell’attualità del mondo alla realtà cristiana. Ma anche per la non cristianità e per le altre religioni, era lui il portavoce dei grandi valori dell’umanità. E’ anche da menzionare che è riuscito a creare un clima di dialogo fra le grandi religioni e un senso di comune responsabilità che tutti abbiamo per il mondo, ma anche che le violenze e le religioni sono incompatibili e che insieme dobbiamo cercare la strada per la pace, in una responsabilità comune per l’umanità. Spostiamo l’attenzione ora verso la situazione della Chiesa. Io direi che, anzitutto, ha saputo entusiasmare la gioventù per Cristo. Questa è una cosa nuova, se pensiamo alla gioventù del ’68 e degli anni Settanta. Che la gioventù si sia entusiasmata per Cristo e per la Chiesa ed anche per valori difficili, poteva ottenerlo soltanto una personalità con quel carisma; soltanto Lui poteva in tal modo riuscire a mobilitare la gioventù del mondo per la causa di Dio e per l’amore di Cristo. Nella Chiesa ha creato – penso – un nuovo amore per l’Eucaristia. Siamo ancora nell’Anno dell’Eucaristia, voluto da lui, con tanto amore; ha creato un nuovo senso per la grandezza della Misericordia Divina; e ha anche approfondito molto l’amore per la Madonna e ci ha così guidato ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza. Naturalmente bisogna menzionare – come sappiamo tutti – anche quanto sia stato essenziale il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell’89, per il crollo del cosiddetto socialismo reale.

Nel corso dei suoi incontri personali e dei colloqui con Giovanni Paolo II, che cosa faceva maggior impressione a Vostra Santità? Potrebbe raccontarci i suoi ultimi incontri, forse di quest’anno, con Giovanni Paolo II?
Sì. Gli ultimi due incontri li ho avuti, un primo, al Policlinico « Gemelli », intorno al 5-6 febbraio; e, un secondo, il giorno prima della sua morte, nella sua stanza. Nel primo incontro il Papa soffriva visibilmente, ma era pienamente lucido e molto presente. Io era andato semplicemente per un incontro di lavoro, perché avevo bisogno di alcune sue decisioni. Il Santo Padre – benché soffrendo – seguiva con grande attenzione quanto dicevo. Mi comunicò in poche parole le sue decisioni, mi diede la sua benedizione, mi salutò in tedesco, accordandomi tutta la sua fiducia e la sua amicizia. Per me è stato molto commovente vedere, da una parte, come la sua sofferenza fosse in unione col Signore sofferente, come portasse la sua sofferenza con il Signore e per il Signore; e, dall’altra, vedere come risplendesse di una serenità interiore e di una lucidità completa. Il secondo incontro è stato il giorno prima della morte: era ovviamente più sofferente, visibilmente, circondato da medici ed amici. Era ancora molto lucido, mi ha dato la sua benedizione. Non poteva più parlare molto. Per me questa sua pazienza nel soffrire è stato un grande insegnamento, soprattutto riuscire a vedere e a sentire come fosse nella mani di Dio e come si abbandonasse alla volontà di Dio. Nonostante i dolori visibili, era sereno, perché era nelle mani dell’Amore Divino.

Lei, Santo Padre, spesso nei suoi discorsi evoca la figura di Giovanni Paolo II, e di Giovanni Paolo II dice che era un Papa grande, un predecessore compianto e venerato. Ricordiamo sempre le parole di Vostra Santità espresse alla Messa del 20 aprile scorso, parole dedicate proprio a Giovanni Paolo II. E’ stato Lei, Santo Padre, a dire – e qui cito – « sembra che egli mi tenga forte per mano, vedo i suoi occhi ridenti e sento le sue parole, che in quel momento rivolge a me in particolare: ‘non aver paura!’ ». Santo Padre, una domanda alla fine molto personale: Lei continua ad avvertire la presenza di Giovanni Paolo II, e se è così, in che modo?
Certo. Comincio a rispondere alla prima parte della sua domanda. Avevo inizialmente, parlando dell’eredità del Papa, dimenticato di parlare dei tanti documenti che ci ha lasciato – 14 Encicliche, tante Lettere Pastorali e tanti altri – e tutto questo rappresenta un patrimonio ricchissimo che non è ancora sufficientemente assimilato nella Chiesa. Io considero proprio una mia missione essenziale e personale di non emanare tanti nuovi documenti, ma di fare in modo che questi documenti siano assimilati, perché sono un tesoro ricchissimo, sono l’autentica interpretazione del Vaticano II. Sappiamo che il Papa era l’uomo del Concilio, che aveva assimilato interiormente lo spirito e la lettera del Concilio e con questi testi ci fa capire veramente cosa voleva e cosa non voleva il Concilio. Ci aiuta ad essere veramente Chiesa del nostro tempo e del tempo futuro. Adesso vengo alla seconda parte della sua domanda. Il Papa mi è sempre vicino attraverso i suoi testi: io lo sento e lo vedo parlare, e posso stare in dialogo continuo col Santo Padre, perché con queste parole parla sempre con me, conosco anche l’origine di molti testi, ricordo i dialoghi che abbiamo avuto su uno o sull’altro testo. Posso continuare il dialogo con il Santo Padre. Naturalmente questa vicinanza attraverso le parole è una vicinanza non solo con i testi, ma con la persona, dietro i testi sento il Papa stesso. Un uomo che va dal Signore, non si allontana: sempre più sento che un uomo che va dal Signore si avvicina ancora di più e sento che dal Signore è vicino a me in quanto io sono vicino al Signore, sono vicino al Papa e lui ora mi aiuta ad essere vicino al Signore e cerco di entrare nella sua atmosfera di preghiera, di amore del Signore, di amore della Madonna e mi affido alla sue preghiere. C’è così un dialogo permanente ed anche un essere vicini, in un nuovo modo, ma in modo molto profondo. [...]

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Bernadette, capolavoro di Maria

Posté par atempodiblog le 16 avril 2011

Bernadette, capolavoro di Maria dans Libri ehi32d

La santità di Maria è lo splendore della sua persona pura, umile, silenziosa, forte, coraggiosa, fervente di zelo e ardente carità, semplice, discreta, nascosta. Maria è una perla di incommensurabile valore in cui si riflettono le divine perfezioni. La trasparenza divina è la caratteristica della sua santità.

Bernadette, piccola perla di Maria, ne riflette a sua volta lo splendore di grazia. In lei è possibile veder crescere, a mano a mano che avanza nel suo cammino spirituale, le virtù tipiche della Madre di Dio. La sua anima è un giardino dove Maria coltiva quei fiori di santità che più sono cari al suo cuore.

Bernadette è semplice e umile. Posta al centro dell’attenzione ecclesiale, è rimasta con gli occhi fissi sulla sua pochezza, senza mai perderla di vista. Neppure per un istante ha pensato si essere più di quello che era. Sì è considerata una scopa, che si pone dietro la porta dopo averla usata. Ha emesso l’ultimo respiro chiedendo alla Madre di Dio di pregare per lei, povera peccatrice. Non ha mai accettato di essere un personaggio. Non ha mai “recitato” la parte della veggente. Ha sempre voluto essere come tutte le altre.

Bernadette è povera. Il suo amore per la povertà sconcerta. La povertà era per lei la più grande ricchezza di cui disponeva. Nessun fanatismo esasperato, ma ferma decisione nell’impedire che la grazia di aver visto la Madonna potesse significare un vantaggio materiale per lei e per la sua famiglia. La sua costante preoccupazione era che i suoi fratelli potessero arricchirsi facendo del commercio religioso.

Bernadette è limpida. Affronta la tempesta minacciosa della persecuzione con la pace e la calma che viene dalla purezza della coscienza. Dice sempre la verità. Il suo linguaggio è evangelico: sì, sì; no, no! Ogni parola e ogni suo gesto sono rivestiti di schiettezza e di chiarezza.

Bernadette è forte e coraggiosa. Nell’adempiere i compiti che la Madonna le affida è precisa, scrupolosa, determinata. Li compie alla perfezione, fino in fondo, senza badare a se stessa e alle possibili incresciose conseguenze. Vuole fare contenta la Madonna e desidera che la Madonna possa contare su di lei. Nella sua fragilità non ha alcun timore delle autorità civili e religiose, ma le affronta con calma, garbo e autorevolezza. Alla fine sarà lei a imporsi con la forza della verità.

Bernadette è una pura di cuore. Nella sua umiltà, spinta fino a rasentare i complessi di colpa, non si rende conto dei tesori di purezza di cui è ricolma la sua anima. In lei il male non ha mai affondato le radici, ma al contrario la grazia battesimale non ha fatto che svilupparsi fino ad avvolgerla completamente nel suo splendore. In tutta umiltà, verso il termine della sua vita, poté dire di non aver mai voluto commettere consapevolmente un solo peccato.

Bernadette è un’anima ardente. Nel suo cuore la fiamma del puro amore è cresciuta di giorno in giorno fino a diventare un incendio che l’ha consumata. Lo zelo per il Regno di Dio, l’amore per Gesù e per sua Madre, la dedizione per la causa della salvezza eterna delle anime sono la radice profonda di tutta la sua spiritualità. La sua vita è un’offerta incondizionata a Dio per la conversione dei peccatori.

Bernadette ha vissuto un’esistenza crocifissa. E’spirata stringendo la croce sulla quale aveva accettato di essere posta insieme al suo Sposo. E’ stata crocifissa nel corpo, nel cuore e nell’anima. La grandezza della croce che portato dà la misura straordinaria del suo amore e della sua santità.

Bernadette è un capolavoro di Maria. In lei troviamo riflessi i tratti di santità della Madre di Dio. La sua vita testimonia quali miracoli di perfezione possa compiere la nostra Madre celeste quando, come la piccola fanciulla dei Pirenei, ci affidiamo con piena fiducia alla sua guida, piena di sapienza, di sollecitudine e di bontà.

Tratto da: Sui passi di Bernadette – Padre Livio Fanzaga

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La volontà di Dio

Posté par atempodiblog le 15 mars 2011

La volontà di Dio dans Chiara Lubich chiaralubich

Certamente la sua volontà non ci è sempre chiara. Come Maria anche noi dovremo domandare luce per capire quello che Dio vuole. Occorre ascoltare bene la sua voce dentro di noi, in piena sincerità, consigliandoci se occorre con chi può aiutarci. Ma una volta compresa la sua volontà subito vogliamo dirgli di sì. Se, infatti, abbiamo capito che la sua volontà è quanto di più grande e di più bello possa esserci nella nostra vita, non ci rassegneremo a « dover » fare la volontà di Dio, ma saremo contenti di « poter » fare la volontà di Dio, di poter seguire il suo progetto, così che avvenga quello che Lui ha pensato per noi. E’ il meglio che possiamo fare, la cosa più intelligente.

Chiara Lubich 

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Testimonianza su san Giuseppe di una famiglia

Posté par atempodiblog le 4 mars 2011

Testimonianza su san Giuseppe di una famiglia dans San Giuseppe San-Giuseppe

« Caro San Giuseppe, in questo momento tu sei più che mai l’uomo di cui abbiamo bisogno! » La solennità di San Giuseppe si avvicina – 19 marzo – con la scia di grazie. Se non l’avete ancora preso come protettore e « amico di famiglia », non è mai troppo tardi. Il pregarlo procura delle grazie sorprendenti, la sua bontà sorpassa ogni immaginazione! Un fatto straordinario ispirerà coloro che temono per la loro abitazione.

Deni Nardo, 46 anni, marito di Cinzia, ha tre figli. E’ una famiglia di Venezia che prega e aiuta volentieri in parrocchia. Per vivere hanno una piccola pizzeria. Dall’84 sono pellegrini a Medjugorje, e cercano di vivere i messaggi della Madonna. Appena sposati abitavano in un piccolo appartamento, ma crescendo i bambini, hanno avuto bisogno di più spazio.
L’ultimo figlio dormiva nella minicamera dei genitori e questo non poteva continuare. Ma le loro finanze non permettevano di trovare una soluzione migliore. Deni racconta: « Un giorno, mi cadde l’occhio su una testimonianza di Suor Emmanuel circa San Giuseppe, e dico a Cinzia: ‘guarda, questa famiglia sembra proprio la nostra! Sono stati benedetti dopo aver fatto la novena a San Giuseppe’. La famiglia di Deni decise allora di pregare tutti insieme questa novena. E siccome era suggerito di mettere un foglietto scritto sotto la statua di San Giuseppe, scrissero: « Caro San Giuseppe, siamo una famiglia di cinque persone ed abbiamo bisogno di una casa più grande. Il contratto di affitto della nostra casa attuale scade l’anno prossimo! ». Tutti firmarono la lettera, composta anche dal disegno della casa desiderata, con tutti i dettagli, numero delle stanze necessarie, giardinetto ecc. Una copia della lettera fu mandata a Medjugorje per essere messa sotto la statua di San Giuseppe nella nostra casa. Poiché non succedeva nulla dopo la prima novena, Deni disse a Cinzia: « Forse la lettera ci mette un po’ di tempo ad arrivare a Medjugorje! Farò un’altra novena! ». Finita questa seconda novena, Deni (che va a Messa ogni sera) incontra una
parrocchiana che gli dice:  » Deni, ho una vicina di casa che vuole vendere la sua piccola casa, è composta di . » Deni riconobbe che corrispondeva alla casa richiesta. Decise subito di andarla a vedere e soprattutto di saperne il prezzo. La proprietaria aveva perso il marito e voleva trasferirsi dai figli in Austria. Disse a Deni: « Un uomo è venuta a vederla e voleva comprarla. Ero molto soddisfatta, ma stamattina mi ha detto che non la voleva più, ed allora mi sono sentita male! Voglio venderla presto. Allora se la volete vi faccio un bello sconto, soprattutto perché voi andate spesso in chiesa come mi ha detto la mia vicina. Il giorno dopo Deni versò la caparra e firmò il compromesso. La Signora gli disse: « Ieri sera, dopo che siete andato via, son venute delle persone ed hanno proposto di comprarla ad
un prezzo ben più alto, ma io ho detto loro di no perché ve l’avevo promessa! » Tutti questi fatti messi assieme, hanno fatto capire a Deni che San Giuseppe aveva guidato ogni dettaglio dell’operazione! La casa era né troppo grande né troppo piccola per loro. Era tutta su un piano, proprio come avevano domandato, perché con l’età le scale diventavano difficili da salire. Intorno alla casa un piccolo giardino come sul loro disegno! Hanno dato alla casa il nome di « Villa San Giuseppe ». A chi fa loro notare che nessuno di loro si chiama Giuseppe, raccontano la storia e mostrano la lettera che avevano scritto a San Giuseppe, con il disegno (plastificato perché non si sciupi). Questi documenti rimangono sempre vicino alla statua di San Giuseppe con Gesù Bambino in braccio. E Cinzia aggiunge: « Quando abbiamo trovato la casa, ci siamo abbracciati dicendo: ‘E’ vero che San Giuseppe è reale, ed ha esaudito il nostro desiderio!’

Da una newsletter di Suor Emmanuel del 2009
Fonte:
Les Enfants de Medjugorje

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