Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto. Dall’esordio a Milanello ai trionfi più importanti

Posté par atempodiblog le 20 février 2016

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto. Dall’esordio a Milanello ai trionfi più importanti
di Simone Radaelli – Sport Mediaset

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

 

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

L’inizio: il 20 febbraio 1986 Silvio Berlusconi acquista il Milan con l’idea di costruire la squadra più forte del mondo. Trova in panchina Nils Liedholm e porta subito con sé un giovanissimo Adriano Galliani.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Fin da subito si respira un’aria nuova a Milanello e tra i tifosi rossoneri torna l’entusiasmo. Berlusconi vuole fare le cose in grande e nel luglio 1986 presenta la squadra all’Arena atterrando con il suo elicottero sulle note de La Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner.

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Il 15 maggio 1988 il Milan pareggia a Como e si laurea Campione d’Italia per l’11.esima volta nella storia. E’ il primo trofeo dell’era Berlusconi. Grande protagonista Ruud Gullit che conquista anche il Pallone d’Oro. Da qui inizia il ciclo di vittorie del presidente.

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Un anno dopo (il 24 maggio 1989) la vittoria più bella. Milan sul tetto d’Europa a Barcellona grazie al magnifico 4-0 contro la Steaua Bucarest. La Coppa dei Campioni torna nella Milano rossonera dopo 20 anni. Berlusconi scende in campo a festeggiare: un trionfo che non dimenticherà mai.

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La storia si ripete nel 1990: è il 23 maggio quando il presidente Berlusconi alza al cielo la seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Successo per 1-0 sul Benfica nella finale di Vienna con gol di Rijkaard. E’ il secondo capolavoro di Arrigo Sacchi.

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Al termine della stagione 1991 Arrigo Sacchi lascia il Milan dopo il secondo posto in campionato e Silvio Berlusconi ingaggia Fabio Capello. Un’altra mossa vincente del presidente rossonero: inizia un altro ciclo vincente in grado di ripetere le imprese del Milan dell’allenatore di Fusignano.

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Il celebre taglio della torta per festeggiare il secondo scudetto di Berlusconi, il dodicesimo del Milan. Una cavalcata trionfale con Capello in panchina e Van Basten sugli scudi in campo. L’olandese è capocannoniere con 25 gol in 31 partite. E’ il Milan degli invincibili: nessuna sconfitta in campionato.

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“Una partita stregata”, così l’ha definita Silvio Berlusconi. A Monaco il Milan perde 1-0 la finale di Champions League contro il Marsiglia. E’ la prima sconfitta significativa dell’era Berlusconi. I rossoneri si consolano vincendo il campionato.

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Massaro, Massaro, Savicevic e Desailly: il Milan batte 4-0 il Barcellona di Cruijff e torna sul tetto d’Europa. Il 18 maggo 1994 è una data speciale per Silvio Berlusconi perché nello stesso giorno ottiene la fiducia dal Senato per il suo governo e conquista la terza Champions personale.

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Jeans, camicia rosa e giubbottino di renna: Marco Van Basten che cammina sul prato di San Siro nell’agosto del 1995. E’ il suo addio al calcio per problemi fisici, l’immagine più triste stampata nella mente di tutti i rossoneri. Un dolore immenso anche per Silvio Berlusconi.

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Senza Van Basten il Milan si conferma Campione d’Italia grazie a Weah e Baggio. E’ l’ultimo successo di Fabio Capello che passa al Real Madrid. Berlusconi punta su Oscar Tabarez che si rivelerà essere un fallimento. Dopo pochi mesi l’uruguaiano viene esonerato e inizia il Sacchi bis che si conclude con l’undicesimo posto in Serie A.

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Nell’estate 1997 Silvio Berlusconi richiama Fabio Capello dopo l’anno vittorioso in Spagna alla guida del Real Madrid. Niente fasti del passato: l’avventura finisce male con il decimo posto in campionato.

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Dopo due anni, il Milan torna al successo del campionato nel 1999 con Zaccheroni in panchina. Memorabile la rimonta sulla Lazio nelle ultime giornate di campionato e la partita di Perugia con la grandissima parata scudetto del giovane Abbiati su Bucchi.

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Il regalo per lo scudetto si chiama Andriy Shevchenko. Nell’estate l’attaccante arriva dalla Dinamo Kiev e inizia la sua scalata al mondo rossonero. Una storia vincente fatta di tanti gol.

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E’ l’11 maggio 2001 e a San Siro va di scena il derby. Una partita che entra di diritto nella storia rossonera: il Milan batte 6-0 l’Inter. In panchina Cesare Maldini, doppiette di Comandini e Shevchenko e gol di Giunti e Serginho. Tre giorni dopo Silvio Berlusconi vince le elezioni e torna Presidente del Consiglio.

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Il 5 novembre 2001 Carlo Ancelotti sostituisce Fatih Terim sulla panchina del Milan. La terza intuizione geniale per la panchina di Silvio Berlusconi. Inizierà il terzo ciclo importante di vittorie.

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Il 28 maggio 2003 il Milan torna a vincere la Champions League. Lo fa a Manchester nelle finale contro la Juve grazie al rigore decisivo di Shevchenko. Paolo Maldini solleva la quarta Coppa dei Campioni del presidente Silvio Berlusconi. Pochi giorni dopo anche la vittoria dell’unica Coppa Italia in finale contro la Roma e grande festa all’Ippodromo con due trofei in più in bacheca.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Nel maggio 2004 il Milan torna ad appicicarsi lo scudetto sul petto. Il giorno della festa rossonera coincide anche con l’addio al calcio di Baggio che con la maglia del Diavolo ha scritto una pagina importante di storia.

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In estate il Milan accoglie un nuovo fenomeno: si chiama Kakàe arriva dal San Paolo tra lo scetticismo di molti che poi dovranno ricredersi. Un nuovo campione entra nella scuderia di Silvio Berlusconi.

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“Cancellerei Istanbul”, così il presidente Silvio Berlusconi ricorda la fatale finale di Champions League di Atene contro il Liverpool. Tutti sanno come è finita. Il punto più basso dei 30 anni alla guida dei rossoneri.

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Il 2007 è l’anno della vendetta al Liverpool, lo scenario è quello di Atene. Doppietta di Inzaghi e quinta Champions League alzata al cielo dal presidente Berlusconi. Il Milan è tornato a spaventare l’Europa.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

E’ dicembre 2007 e il Milan torna sul tetto del mondo. A Yokohama il Milan batte il Boca Juniors (altra vendetta) e conquista la prima edizione del Mondiale per Club. Un anno trionfale con anche la conquista della Supercoppa Europea contro il Siviglia.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Il Milan dei brasiliani. Nell’estate 2008 Silvio Berlusconi si regala Ronaldinho. Il Gaucho, ancora oggi, ha un posto speciale nel cuore del presidente rossonero.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Nell’estate 2009 si chiude il ciclo Ancelotti e Berlusconi, convinto da Galliani, mette in panchina Leonardo. Scelta non felice e un anno dopo la separazione: “E’ un testardo e fa giocare male la squadra”.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Il 2010 segna l’arrivo di Massimiliano Allegri sulla panchina rossonera e Berlusconi compra Ibrahimovic dal Barcellona e Robinho dal Manchester City.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Il primo anno di Allegri si conclude con la vittoria dello scudetto: il 18.esimo e ultimo fin ora dell’era Berlusconi.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

L’era di Allegri finisce dopo quattro anni con solo uno scudetto e una Supercoppa Italiana. Nel gennaio 2014 Berlusconi vuole sulla panchina Clarence Seedorf. L’olandese, però, dura solo sei mesi sulla panchina rossonera.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Nuovo cambio in panchina: in estate arriva Pippo Inzaghi, promosso dalla Primavera. Un anno di alti e bassi e nessun trofeo. Finisce anche la sua avventura.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Berlusconi festeggia negli spogliatoi l’ultima vittoria nel derby contro l’Inter: secco 3-0 ai cugini. Il presidente è raggiante e si congratula con Mihajlovic.

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Una lezione di tennis (e molto più)

Posté par atempodiblog le 14 septembre 2015

Una lezione di tennis (e molto più)
L’impresa di Flavia Pennetta e Roberta Vinci agli Us Open, ovvero la rivincita della classe e della ragione sulle urla e sui muscoli
de Il Foglio

pennetta vinci

Flavia Pennetta ha conquistato il trofeo degli US Open di tennis, battendo in finale la connazionale Roberta Vinci 7-6, 6-2. Per Pennetta è la prima vittoria in un torneo dello Slam. Prima di ricevere il premio, la tennista italiana ha annunciato di volere lasciare il tennis dopo questo trionfo storico per lei e per lo sport italiano.

Non era mai successo che due tennisti italiani arrivassero a giocarsi una finale dello Slam. Ci sono riuscite Flavia Pennetta e Roberta Vinci, scese in campo sabato sera a New York per giocarsi gli Us Open.

Per farcela, le due pugliesi, «due atlete senza muscoli e centimetri impressionanti, hanno giocato un tennis delizioso, intelligente, vario, frastornando in semifinale la numero 1 e la numero 2 del mondo. Così riportando il tennis alla normalità, cioè a servizio, risposta, dritto, rovescio, volée» (Vincenzo Martucci) [1].

Stefano Semeraro: «È la rivincita di un tennis ragionato, molto made in Italy, che si è fatto strada nella tonnara di picchiatrici-urlatrici che è diventato il tennis moderno. Forse la più grande sorpresa dello sport di tutti i tempi (pensateci), probabilmente una delle imprese più esaltanti dello sport italiano, da conservare nello stesso scaffale dei trionfi del calcio, di Federica Pellegrini, di Valentino Rossi» [2].

Non è la prima volta che un’italiana conquista uno Slam (al momento in cui questo giornale va in stampa il match di New York non si è concluso). Nel 2010 Francesca Schiavone iscrisse il proprio nome nell’albo del Roland Garros. Martucci: «Ma la terra rossa è la nostra madre terra, dove crescono i tennisti, e dove la Schiavone ha giocato anche la finale del Roland Garros 2011 e la Errani quella del 2012, oltre che quella dei due trionfi Slam di Nicola Pietrangeli e di quello di Adriano Panatta. Ma il cemento, dove si disputano gli Us Open, è un campo più duro, sotto tutti i punti di vista, è un campo moderno, se vogliamo più globale» [1].

Flavia Pennetta, prima italiana nella storia a entrare nella «top ten», numero 10 nell’agosto 2009. Era stata già in semifinale a New York nel 2013 e quattro volte nei quarti (2008, 2009, 2011 e 2014) [3].

Prima d’ora Roberta Vinci non era mai arrivata nemmeno a una semifinale di un torneo dello Slam [3].

Andrea Tundo: «Tutto inizia sulle sponde di due mari, l’Adriatico e lo Ionio, che in Puglia distano appena 70 chilometri. È lo spazio che corre tra Brindisi e Taranto, dove Flavia e Roberta nascono a un anno di distanza. Quanto basta per potersi sfidare in singolare nei tornei giovanili e combattere fianco a fianco in doppio. Amiche per la pelle e per la racchetta, queste Sorelle d’Italia capaci di prendersi New York al crepuscolo della loro carriera, 33 e 32 anni. Iniziate al tennis dai papà, Oronzo e Angelo, nei circoli tennis delle due città» [4].

Riccardo Crivelli: «Sono fortissime, imbattibili e perdono soltanto quando si sfidano una contro l’altra: 11, 12, 13 anni, non esiste categoria d’età in cui non passino con il piglio delle dominatrici. E proprio le tante partite tra di loro, invece di rinfocolare la rivalità, accendono l’amicizia. Lontane da casa, insieme nelle nazionali juniores, perfino nelle stesse camere d’albergo, inseparabili. La consacrazione internazionale arriva con il successo al Roland Garros Under 18 nel 1998» [5].

Poi il salto nel professionismo. Semeraro: «Una faglia che le ha separate, complice l’anno di stop di Flavia per colpa del tifo. Roberta cambiò allora compagna di doppio, incrociando prima la francese Testud poi per anni formidabili Sara Errani, ma è sempre rimasta ad allenarsi in Italia, fra Roma e Palermo dove ha trovato il suo attuale coach, Francesco Cinà. Flavia per diventare grande è emigrata in Spagna. Si sono perse e ritrovate su questa rotta molto produttiva, dalla Puglia alla East Coast, incrociandosi nei tornei, aiutandosi in Fed Cup. Scambiando e mescolando sogni» [6].

«A 19 anni ho preso il tifo mangiando una forchettata di bianchetti crudi, olio e limone. Due settimane d’incubazione, 41˚ di febbre, 21 giorni d’ospedale. In quel periodo, avendo molto tempo per pensare, feci una scommessa con me stessa: dedicarmi al tennis anima e corpo per una stagione. Se non avessi fatto il salto di qualità, avrei smesso. Alla fine del 2002 ero la numero 93» (Flavia Pennetta) [7].

Crivelli: «Sarà così per qualche anno, con la Pennetta che scala subito le classifiche approdando a 22 anni tra le prime 50 del mondo, mentre la storia d’amore con lo spagnolo Carlos Moya, già numero uno del mondo, fa il giro planetario delle copertine, mentre Roberta brilla per talento ma non per risultati, o almeno quelli attesi, fermata spesso da un’innata timidezza» [5].

«Mi entusiasmai la prima volta che vidi su un campo, a Bari, un’adolescente bella come un’attrice tipicamente mediterranea, diciamo Antonella Lualdi, che tirava diritti e rovesci quasi fosse la Evert. “Mi pare incantevole, oltre che promettente”, dissi ad un mio ignoto coetaneo che seguiva sorridendo lo spettacolo. “Tanto carina che, avessi quarant’anni meno, mi proporrei non solo come suo coach, ma come suo sposo”. Il signore si presentò “Oronzo Pennetta, papà di Flavia”. Sono passati, da allora, una quindicina d’anni» (Gianni Clerici) [8].

Nel 2011 Roberta Vinci diventa la prima e unica giocatrice italiana a vincere in singolare un torneo Atp su ogni superficie, anche se il doppio continua ad essere la sua specialità [5].

Tre anni fa, mentre i suoi colleghi giocavano gli Us Open, Flavia Pennetta postava una foto col polso fasciato. Si era appena operata a Barcellona, era il 31 agosto del 2012. Era scesa fino al 166 posto nel ranking mondiale. «Se non torno subito tra le prime cento, smetto», prometteva [5].

Francesco Paolo Giordano: «Dietro quell’accenno di resa da parte di Flavia, c’era molto di più del semplice timore di non competere più ad alti livelli. A un certo punto, le delusioni le piombarono addosso una dietro l’altra. Come se a lanciarle fosse una macchina spara-palline, il “drago”, come lo chiama Agassi. Nel 2007, la brindisina si reca a Bastad, per fare una sorpresa al suo fidanzato Carlos Moya. Lo scopre con un’altra, e tanto basta per farla precipitare in uno stato catalettico. “Il pensiero mi consumava come un’erbaccia. La gente provava pietà per me e io non riuscivo a difendermi neanche da questo. Era come se avessi perso il gusto delle cose. Cercavo di anestetizzarmi nei confronti della vita, per non avvertire dolore. Non sentivo neanche quello fisico. Un esempio stupido: persino quando facevo la ceretta, non sentivo niente”» [9].

A inizio 2015, scoppia la coppia di doppio Errani-Vinci, e la discesa per quest’ultima sembra non finire più. Ad aprile, mentre la nazionale italiana di tennis rimane in serie A di Fed Cup battendo gli Stati Uniti di Serena Williams con la Pennetta eroina del punto decisivo, la Vinci, ufficialmente infortunata a un ginocchio, non è neppure in tribuna a fare il tifo [5].

Prima di questi Us Open Flavia Pennetta era la numero 26 del mondo, Roberta Vinci la numero 43 [2].

Vinci, un metro e 63 d’altezza per 60 chili. Pennetta, un metro e 72 per 58 chili [10].

Ci sono solo due giocatrici tra le prime 50 che giocano il rovescio a una mano, Roberta Vinci e Carla Suárez Navarro [11].

Clerici: «Flavia e Roberta giocano l’una il rovescio bimane, l’altra conserva un back-hand addizionale, un colpo insolito quanto elegante e efficace. Flavia è più attaccante dal fondo, Roberta pare addirittura attratta dalla rete, dove le volée non sono certo inferiori allo smash. È proprio la capacità di volleare ad aver fatto di Robertina una spalla ideale alla solidità nei rimbalzi di Sara Errani, consentendo alle due i grandi risultati nel doppio, addirittura 4 titoli di tornei Slam» [12].Una lezione di tennis (e molto più) dans Sport dans Stile di vita

Lea Pericoli: «Tecnicamente sono due atlete diverse. Roberta gioca il tennis di un tempo: fantasia, tocco, la perfezione della volée. Sembra uscita da un manuale classico. Flavia ha uno stile più moderno, ma quello che le accomuna è la grinta, l’impegno, la passione che mettono in quello che fanno. È straordinario poi vederle sempre protagoniste a 32 e 33 anni. La verità è che loro due sanno “ragionare” di tennis in campo, mentre le tante bambine prodigio di oggi spesso sanno solo picchiare tanto che finiscono per picchiarsi da sole» [13].

a cura di Luca D’Ammando

Note: [1] Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport 12/9; [2] Stefano Semeraro, La Stampa 12/9; [3] Gaia Piccardi, Corriere della Sera 12/9; [4] Andrea Tundo, il Fatto Quotidiano 12/9; [5] Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport 12/9; [6] Stefano Semeraro, La Stampa 10/9; [7] Gaia Piccardi, Corriere della Sera 1/12/2008; [8] Gianni Clerici, la Repubblica 12/9; [9] Francesco Paolo Giordano, Unidici 10/9; [10] Gianni Valenti, La Gazzetta dello Sport 12/9; [11] Fabio Severo, Unidici giugno 2014; [12] Gianni Clerici, la Repubblica 17/3; [13] Lea Pericoli, La Stampa 10/9.

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L’azzurro della nazionale italiana e il manto della Vergine

Posté par atempodiblog le 5 août 2015

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L’azzurro delle maglie della nazionale italiana è indirettamente legato al culto mariano dei principi e re piemontesi, i Savoia che erano accesi devoti di Maria.Il Blu Savoia, un azzurro intenso, colore ufficiale della monarchia (usato anche per le onorificenze maggiori del regno) deriva infatti dal colore del manto della Vergine che nell’iconografia tradizionale è di colore azzurro.

Tratto da: Parrocchia di Filetta

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Andrea: il calcio, la malattia e Medjugorje

Posté par atempodiblog le 3 juillet 2015

Andrea: il calcio, la malattia e Medjugorje
di Roberto Lauri – La Croce – Quotidiano

Tratto da: Radio Maria

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Andrea De Luca è un ragazzo di 24 anni, abita a Castellammare di Stabia, un ragazzo come tanti, ama la vita, lo sport, ha una ragazza con la quale progetta un futuro. Andrea ha una storia che ha dell’incredibile è guarito miracolosamente da una malattia rara a Medjugorje; in questa intervista ci racconta la sua storia.

Andrea poi descriverti, con poche parole?
Sono sempre stato un amante del tempo libero, dello stare all’aria aperta. Ho avuto un’educazione cristiana, la mia famiglia mi ha insegnato a pregare, spesso si pregava insieme. Quello che mi raccontavano i miei genitori di Gesù e della Madonna, erano per me cose molto importanti. Non le ho mai ritenute una filastrocca o delle fiabe, ci credevo fin da bambino. Ero curioso, mi stupivo per qualsiasi cosa.

Avevi una grande passione, il calcio, vero?
Amavo molto fare sport, giocavo a calcio che era la mia grande passione. Ero iscritto nella sezione giovanile della Juve Stabia.

Il tuo calvario è iniziato proprio su un campo di calcio…
Avevo 13 anni quando un giorno, durante una partita di allenamento sentii un dolore atroce che partiva dalla parte superiore della gamba. Un dolore che mi impediva qualsiasi movimento. Ero impietrito dal dolore, vennero subito ad aiutarmi mio padre e mio fratello, che mi riportarono a casa. Il giorno dopo mi portarono dal medico di famiglia che dopo una visita veloce, mi consigliò subito di fare degli accertamenti, delle radiografie. Si era accorto che la normale rotazione della gamba era quasi del tutto scomparsa.

Da questi primi accertamenti si riuscì a capire di cosa si trattava. Si riuscì a fare una prima diagnosi?
Dalle prime radiografie si intuì subito che la situazione era molto grave. Il medico ci consigliò di fare una visita specialistica da un ortopedico. La testa del femore iniziava il suo lento decorso. I miei genitori erano molto preoccupati e affranti, vollero sentire il parere di più specialisti. Infatti la malattia ingannava i dottori, che credevano che fosse un epifisiolisi.

Cosa è l’epifisiolisi, puoi spiegarlo in maniera semplice?
È una malattia porta al distacco fra le due parti del femore, testa e collo, per via di un’anomala crescita del piatto osseo. Ma non si trattava di questa malattia. Dopo un po’ di tempo gli specialisti fecero la diagnosi definitiva: era il Morbo di Perthes. Una malattia che solitamente colpisce bambini dagli 8 ai 10 anni. Io avevo 13 anni quando ne fui colpito, ha avuto quindi un percorso particolare, difficile e doloroso. Dall’ interno della testa del femore iniziano una serie di necrosi fino a rovinare quasi del tutto l’osso. Soffrivo di dolori fortissimi, direi, simili ad un’ amputazione di un arto senza anestesia. Dopo poco tempo la malattia avanzo interessando anche la schiena.

Una grande sofferenza per un bambino di 13 anni. Un futuro segnato, tu come cercavi di reagire?
Cercai di essere forte fin dal primo momento. Cercai di nascondere i momenti più difficili e dolorosi della malattia. Per esempio quando c’erano le paralizzazioni, mi chiudevo nel bagno e ci rimanevo a lungo, facendo finta di nulla. Cercavo di nascondermi perché non volevo che le persone che mi amavano mi vedessero in quello stato. Soprattutto per non far soffrire i miei genitori. La malattia è durata 3 anni. Negli ultimi periodi non riuscivo a più nascondermi perché la sofferenza era troppo visibile e nonostante i dolori atroci, non facevo altro che pensare come velare il mio volto stanco. La notte non dormivo perché nel momento del rilassamento dei muscoli i dolori erano ancora più forti. La scuola non la frequentavo più, ma studiavo a casa. Iniziai a suonare la chitarra, prendevo lezioni private. In quel periodo la musica mi ha aiutato tanto era per me un oasi di pace.

Ad un certo punto, nel mezzo del tuo calvario subentra Medjugorje, raccontaci del tuo pellegrinaggio.
Si, ad un certo punto tutto mi parla di Medjugorje e tutti ne parlano, la nonna, le zie, gli amici, tutto parlava di Medjugorje. Decidemmo di andare tutti insieme, io, mia mamma, mio padre,le zie e la nonna. Si partì il 17 Settembre 2009, nel pieno della malattia. La mia famiglia, i miei amici non hanno mai smesso di pregare per me. Però come mia mamma e mio padre nessuno ha pregato così tanto. Mia mamma voleva che pregassi per la mia guarigione e io le dicevo: “Mamma ma sto bene! Ci sono dei bambini che soffrono più di me, prega per loro”. A Medjugorje la mia unica preghiera fu implorare a Dio di darmi la forza. Chiesi a Maria di darmi tanta forza, sì, chiesi tanta forza. Forza perché iniziavo a cedere alla malattia, ero diventato schiavo del mio corpo. Non potevo più nascondermi dagli occhi di coloro che mi volevano bene. Chiesi la forza di riuscire a nascondere la mia sofferenza. Chiesi la forza di riuscire a sorridere anche falsamente.

Raccontaci cosa successe a Medjugorje.
L’impatto con Medjugorje fu incredibile. Sentii che li c’era una Mamma piena di amore per me,la Madonna, simile alla mia terrena, con un amore che avvolge tutto. Tutto era stupendo, avevo scoperto il valore della Preghiera. Ero esaudito oramai, avevo chiesto forza ed avevo conosciuto la grandezza della preghiera. Il Dialogo con Dio, un arma potentissima se usata con fiducia. In un momento come quello che stavo vivendo, non c’era niente di più bello. Avevo chiesto forza e l’avevo ottenuta e avevo conosciuto il valore della preghiera. Salii il Podbrdo, la collina delle apparizioni, con non poche difficoltà, avevo le stampelle e molto dolore. La sera della salita, nell’ attesa della cena, volevo ringraziare la Mamma, la Madonna, perché mi aveva fatto conoscere, il valore della preghiera. Inizia un Ave Maria davanti alla statua della Vergine che era nel giardino dell’ albergo. Dopo il segno di croce il volto della statua si illuminò, con una luce che non era normale. Scappai via spaventato e andai dai miei genitori. Invitai anche loro a guardare, per capire se ero solo io a vedere quella luce. No tutti vedevano quello che vedevo io.

Ci avviciniamo alla statua della Madonna per continuare a pregare, quando due raggi di luce partono dalla statua e mi folgorano in petto e nella gamba, proprio sulla parte malata, e da quel momento fuoco! Sentii un gran fuoco. Una sensazione di calore forte nelle zone colpite da quei raggi, era proprio come stare nel fuoco, senza avvertire il dolore ma una forte sensazione di calore. Decisi di mantenere tutto nel silenzio, avevo la paura di impressionare le persone. Il giorno seguente facemmo il Krizevac, il monte della Croce. Pregavo senza fermarmi se non alle stazioni della Via Crucis. A metà percorso si ruppe una stampella, poi anche l’altra. In quel momento pensavo solo di essere sfortunato e feci aggiustare le stampelle. Non mi rendevo conto della difficoltà che avrei dovuto incontrare, a salire quella montagna nelle mie condizioni.

È a Medjugorje che ha inizio la tua nuova vita, vero?
Sì, lì a Medjugorje mi innamorai della Madonna e così iniziai a chiamarla Mamma. Io e mia madre andammo alla testimonianza di madre Rosaria della Carità. Dopo la testimonianza andammo a salutarla. Madre Rosaria mi disse: “Tu devi guarire perché dovrai essere apostolo di Gesù. Devi portare luce a tanti giovani. Parla con l’Eucaristia e di a Gesù che si prenda subito la tua malattia”. Io fui stupito da queste parole e iniziai a piangere forte, fu incredibile. Il giorno seguente dopo aver preso l’Eucaristia, parlai a Gesù. Gli dissi: “Io so che se Tu vuoi, io domani potrò camminare. Ma la mia preghiera già è stata esaudita, perché la forza, che chiedevo me l’hai data. Fai Tu. Gesù ti voglio bene!”. Iniziai a sentire un fuoco che cresceva, dalle gambe fino alla nuca. Il pellegrinaggio finì e tornai a casa. All’arrivo nello scendere dal bus, sentii chiaramente una voce dolcissima, femminile, da Mamma, che mi disse: “Adesso sei mio apostolo, cammina e porta Luce”. Lo disse per tre volte, lo sentii tre volte. Dopo l’ultima volta sentii che i dolori sparivano e cominciai a camminare. Iniziai a muovere la gamba, ero felice perché potevo muovermi liberamente. Il dolore era scomparso! Sentivo un fuoco dentro di me. Gli occhi di mia madre si riempiono di gioia, aveva uno sguardo che non dimenticherò mai più. Era il 24 settembre 2009, il mio ritorno alla vita, alla vita nuova. Dal giorno che ho ricominciato a camminare ho capito quanto fosse importante poterlo fare e quanto mi era mancato. Ho capito l’importanza di stare vicino a chi soffre. Avevo sentito quella voce che mi diceva “Cammina e porta luce”. Non una semplice frase, ma un modello di vita da seguire. Ora ogni mio passo ha un senso.

I medici cosa dicevano del fatto che tu riuscivi nuovamente a camminare?
I dottori non si spiegano quello che mi è successo. Ho fatto molti accertamenti, dopo che ho iniziato nuovamente a camminare. I medici hanno detto che è avvenuta una rigenerazione della testa del femore istantanea. Rigenerazione della materia dal nulla. Oggi cerco di dare testimonianza di cosa mi è successo, cerco di dare un po’ di speranza a chi non ne ha. Ora “Frequento” Dio come si frequenta un buon amico. Il miracolo più bello, non è solo la mia guarigione, ma aver preso consapevolezza dell’esistenza di una Mamma, la Madonna. Di avere un vero amico, il Signore, che mi ama, che mi ha ascoltato e che mi ascolta ancora. La mia vita ora è diversa, ci saranno sempre giorni di sole e giorni di pioggia. Ma dopo quello che è avvenuto, riesco a godermi di più i giorni di sole. Quando piove, Lui è ancora ad ascoltarmi, perché ho sperimentato che l’Amore che ha per noi è unico e infinito. Non solo per la mia gamba guarita, e la mia vita che è cambiata, ora sento la Sua presenza costante, Lui rimane sempre con me.

Grazie Andrea per la tua testimonianza.

Dopo anni di malattia, Andrea torna nuovamente a camminare in maniera autonoma. Andrea non ha dubbi, la sua guarigione è stata per volontà della sua Mamma, la Madonna, perché Lei ha voluto che per mezzo della guarigione potesse essere testimone dell’Amore di Dio.

Messaggio a Mirjana del 2 Luglio 2015:
“Cari figli, vi invito a diffondere la fede in mio Figlio, la vostra fede. Voi, miei figli, illuminati dallo Spirito Santo, miei apostoli, trasmettetela agli altri, a coloro che non credono, non sanno e non vogliono sapere. Perciò voi dovete pregare molto per il dono dell’amore, perché l’amore è un tratto distintivo della vera fede e voi sarete apostoli del mio amore. L’amore ravviva sempre nuovamente il dolore e la gioia dell’Eucaristia, ravviva il dolore della Passione di mio Figlio, che vi ha mostrato cosa vuol dire amare senza misura; ravviva la gioia del fatto che vi ha lasciato il suo Corpo ed il suo Sangue per nutrirvi di sé ed essere così una cosa sola con voi. Guardandovi con tenerezza provo un amore senza misura, che mi rafforza nel mio desiderio di condurvi ad una fede salda. Una fede salda vi darà gioia e allegrezza sulla terra e, alla fine, l’incontro con mio Figlio. Questo è il suo desiderio. Perciò vivete lui, vivete l’amore, vivete la luce che sempre vi illumina nell’Eucaristia. Vi prego di pregare molto per i vostri pastori, di pregare per avere quanto più amore possibile per loro, perché mio Figlio ve li ha dati affinché vi nutrano col suo Corpo e vi insegnino l’amore. Perciò amateli anche voi! Ma, figli miei, ricordate: l’amore significa sopportare e dare e mai, mai giudicare. Vi ringrazio”.

Solo alcuni spunti di riflessione:
Guerre, odi religiosi, genocidi, distruzione della famiglia naturale, utero in affitto, aborti, povertà, egoismi, uno scenario tremendo è sotto i nostri occhi, viviamo in un mondo privo d’Amore, perché privo di Fede. Maria ci invita a diffondere la Fede in suo Figlio; ancora una volta ci vuole suoi apostoli, apostoli dell’Amore di Gesù. Un messaggio intenso, nel quale la Vergine ci invita con forza alla conversione, alla preghiera, ad amare gli altri, ad avere una Fede forte. Un messaggio non privo di speranza, perché Maria dice: “La forte fede vi darà la gioia e la felicità in terra e alla fine l’incontro con mio Figlio”. L’incontro con Gesù, speranza ultima di ogni cristiano. Non un semplice messaggio, ma una proposta di vita.

Nota:
Pubblicando i messaggi non si vuole dare nessuna forma di autenticazione agli stessi o agli eventi di Medjugorje in generale. Ogni decisione in merito, spetta solo alla Chiesa a cui ci si rimette in piena obbedienza.

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Basket: Lo scudetto va a Sassari, impresa per la storia

Posté par atempodiblog le 27 juin 2015

Basket: Lo scudetto va a Sassari, impresa per la storia
Impresa in Gara7, vince il Banco Sardegna in trasferta, risalendo dal -17. MVP Rakim Sanders
de La redazione di Tuttosport Basket

Basket: Lo scudetto va a Sassari, impresa per la storia dans Sport 153o7du

Scudetto a Sassari. La storia del basket sorride alla Sardegna. Immenso Banco di Sardegna, il tricolore è della pazza squadra di Sacchetti. Triplete con Supercoppa e Coppa Italia, un’impresa immensa, contro un’avversaria degnissima.

Gara7 è un’altra battaglia senza quartiere, degno epilogo di una serie-scudetto bellissima, che entra di diritto nell’empireo delle più belle della storia del nostro basket. Lo scudetto passa di mano più e più volte, Reggio Emilia lo assapora a lungo ma alla fine non ce la fa.

Il massimo vantaggio reggiano a fine primo quarto (21-4) con Sassari che tarda molto a entrare in partita, ma nel secondo si accende e risale fino al -3. Al riposo lungo è 36-26, Reggio sembra tenere il pallino in mano ed è aiutata da un tecnico a Sosa, che scava in piccolo break sul finire del terzo (55-48).

Sassari comunque non molla, sta in partita orgogliosamente e con Logan (13) che trova la parità a quota 59 al 33′. Proprio lì la GrissinBon trova ancora la forza per un 8-0 con cui respirare, ma il subito il Banco risponde con uno 0-10 che fa 67-69, primo vantaggio esterno del match a 3′ dalla fine. Poi è battaglia durissima.

Dyson (17) con una prodezza fa +4, Diener trova il pari a quota 73-73, ancora Dyson dalla lunetta mette i due liberi del 73-75 lasciando 10 secondi sul cronometro, ma Reggio non riesce a organizzare un tiro pulito. Sfuma il suo sogno, ma grande onore anche a una GrissinBon coraggiosa ma sfortunata, e al suo pubblico.

Premio di MVP a Rakim Sanders (18), festa grande in tutta la Sardegna.

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Il Torino torna campione d’Italia Primavera

Posté par atempodiblog le 16 juin 2015

Il Torino torna campione d'Italia Primavera dans Sport idrrbk

Il Torino torna campione d’Italia Primavera dopo 23 anni: servono i calci di rigore a oltranza per piegare la Lazio, grande favorita della finale. E’ un capolavoro di Moreno Longo, il tecnico granata: decidono prima la parata di Zaccagno su Pollace, poi l’ultimo penalty calciato da Edera. I giovani granata trionfano a Chiavari sotto gli occhi del presidente Urbano Cairo: l’anno scorso i rigori erano stati fatali, stavolta il Torino ha vinto il tricolore. Questo permetterà alla squadra di Longo di accedere alla Youth League, la Champions dei giovani.

Fonte: Tuttosport

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Papa Francesco: gli allenatori educhino i giovani ai valori autentici dello sport

Posté par atempodiblog le 15 mai 2015

Papa Francesco: gli allenatori educhino i giovani ai valori autentici dello sport
Educate i giovani ai valori autentici dello sport, no alla rivalità troppo accesa e all’aggressività: è questa l’esortazione di Papa Francesco nel Messaggio rivolto ai partecipanti al Seminario Internazionale di studio sul tema “Allenatori: Educatori di persone”, organizzato a Roma dalla sezione Chiesa e Sport del Pontificio Consiglio per i Laici.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa Francesco: gli allenatori educhino i giovani ai valori autentici dello sport dans Fede, morale e teologia 34dpx91

Buon allenatore è provvidenziale per educazione giovani
“La presenza di un buon allenatore-educatore – afferma Papa Francesco – si rivela provvidenziale soprattutto negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, quando la personalità è in pieno sviluppo e alla ricerca di modelli di riferimento e di identificazione”, quando “è più reale il pericolo di smarrirsi dietro cattivi esempi e nella ricerca di false felicità”. “In questa delicata fase della vita – sottolinea – è grande la responsabilità di un allenatore, che spesso ha il privilegio di passare molte ore alla settimana con i giovani e di avere grande influenza su di loro con il suo comportamento e la sua personalità. L’influenza di un educatore, soprattutto per i giovani, dipende più da ciò che egli è come persona e da come vive che da quello che dice”.

Saggezza di relativizzare sia le sconfitte che i successi
Dunque, osserva il Papa – è molto importante “che un allenatore sia esempio di integrità, di coerenza, di giusto giudizio, di imparzialità, ma anche di gioia di vivere, di pazienza, di capacità di stima e di benevolenza verso tutti e specialmente i più svantaggiati”. Ed è “importante che sia esempio di fede” perché la fede “ci aiuta ad alzare lo sguardo verso Dio, per non assolutizzare alcuna delle nostre attività, compresa quella sportiva, sia essa amatoriale o agonistica, ed avere così il giusto distacco e la saggezza per relativizzare sia le sconfitte che i successi”. La fede, inoltre, “ci dà quello sguardo di bontà sugli altri che ci fa superare la tentazione della rivalità troppo accesa e dell’aggressività, ci fa comprendere la dignità di ogni persona, anche di quella meno dotata e svantaggiata”.

Sport non si snaturi sotto la spinta di tanti interessi
L’allenatore – rileva Papa Francesco – può dare un contributo assai prezioso per creare un clima di solidarietà e di inclusione nei confronti dei giovani emarginati e a rischio di deriva sociale” e “se ha equilibrio umano e spirituale saprà anche preservare i valori autentici dello sport e la sua natura fondamentale di gioco e di attività socializzante, impedendo che esso si snaturi sotto la spinta di tanti interessi, soprattutto economici, oggi sempre più invadenti”.

Allenatori siano autentici testimoni di vita e di fede vissuta
L’allenatore – si legge ancora nel messaggio – come “ogni buon formatore deve ricevere una sua solida formazione. È necessario formare i formatori”. Occorre perciò “investire le necessarie risorse per la formazione professionale, umana e spirituale degli allenatori”. “Come sarebbe bello – conclude il Messaggio del Papa – se in tutti gli sport, e a tutti i livelli, dalle grandi competizioni internazionali fino ai tornei degli oratori parrocchiali, i giovani incontrassero nei loro allenatori autentici testimoni di vita e di fede vissuta!”.

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Anniversario Superga. Padre Lombardi: amavo Grande Torino, tragedia per Italia

Posté par atempodiblog le 4 mai 2015

Anniversario Superga. Padre Lombardi: amavo Grande Torino, tragedia per Italia
di Radio Vaticana

Il 4 maggio del 1949, l’intera squadra di calcio del “Grande Torino” periva nella tragedia di Superga. L’aereo, che trasportava la compagine granata di ritorno da una partita amichevole in Portogallo, si schiantò ai piedi della Basilica della collina di Superga, vicino Torino. Il disastro causò clamore e dolore, non solo nel mondo sportivo, per la scomparsa di una squadra di “invincibili”, emblema di un’Italia che usciva faticosamente dalla Seconda Guerra Mondiale. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, sostenitore granata sin da bambino:

Anniversario Superga. Padre Lombardi: amavo Grande Torino, tragedia per Italia dans Articoli di Giornali e News 1fi8u9
Immagine tratta da: Il napolista

R. - Io ero troppo piccolo per fare dei grandi ragionamenti su quell’evento. In realtà mi ricordo benissimo quel giorno e la notizia che arrivò. Io avevo sei o sette anni, ma tenevo già per il “Grande Torino” e, come gran parte dei ragazzini che abitavano a Torino in quegli anni, eravamo pieni di entusiasmo e orgogliosi di questa squadra che effettivamente rappresentava il vigore, l’impegno sportivo e anche la capacità di ottenere dei buoni risultati che gli sportivi sanno indicare quando sono dei grandi campioni anche ai giovani della loro epoca.

Quindi ricordo che questa notizia quel giorno piombò su di noi e su tutta la città come una nuvola nera, un momento di grandissima emozione e di grandissimo turbamento; la città rimase attonita e sconvolta. Noi guardavamo verso la collina di Superga esterrefatti, senza riuscire a renderci conto che poteva essere accaduta una cosa di questo genere.

Certamente fu una scossa molto grande e, come sempre, il dolore fu profondissimo per tutta la città, ma anche per l’Italia, che fu colpita da questa tragedia. Ma ricordo anche che, in tempi molto brevi, si manifestò una grande volontà di riprendere e di continuare a raccogliere un’eredità di natura sportiva, ma certamente dal valore anche umano, che avevamo ricevuto da questa squadra così ammirata giustamente da tutti.

Quindi una tragedia che, però, fu anche occasione di impegno morale, non solo sportivo, per continuare a raggiungere i risultati, a riprendere la vita del Paese, che si stava rialzando e ricostruendo dopo le gravi tragedie della guerra. Quindi una notizia terribile, una grande tragedia, un dolore profondissimo e sconvolgente, ma anche un’occasione per riaffermare la continuità di un impegno.

D. – Il grande Torino di Valentino Mazzola, forse caso unico di una squadra apprezzata non solo dai suoi sostenitori, ma da tutta Italia e forse da tutta Europa, anche se all’epoca non c’erano le coppe internazionali. Una squadra che, nonostante all’epoca si giocasse molto in difesa, invece aveva fatto dell’attacco la sua tattica di gioco …

R. – Percepivo questo valore di una squadra con cui ci si identificava molto profondamente, sia da parte dei ragazzi, dei giovani, ma anche della città e in un certo senso della stessa società italiana. Il tempo della ricostruzione, dopo la guerra, è stato un periodo in cui abbiamo potuto apprezzare moltissimo l’impegno puro, non ancora contaminato da esperienze negative di corruzione o di altro e quindi un impegno estremamente positivo, che poteva indicare orizzonti e ideali alla società che si rialzava dopo la tragedia della guerra.

D. – Un periodo quello in cui forse anche l’antagonismo con gli juventini era molto affievolito vista la grandezza di questa squadra; una Juventus che poi continua a vincere anche oggi e quindi il nome della città di Torino viene comunque tenuto alto …

R. – Sì, effettivamente c’è una grande tradizione sportiva dovuta a tutte e due le squadre con una sana rivalità, ma diciamo che a volte si manifesta in termini piuttosto intensi, ma mi auguro sempre rispettosi ed onesti.

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Fabio Quagliarella: La Sindone fa ripensare al fatto che il Signore ha dato la vita per noi

Posté par atempodiblog le 30 avril 2015

Quagliarella visita la Sindone: «Emozione che fa riflettere»
Il calciatore del Torino ha contemplato questa mattina il Sacro Telo, accompagnato dai genitori, Susanna e Vittorio, e dal cappellano del club granata, don Aldo Rabino
Tratto da: Tuttosport

Fabio Quagliarella: La Sindone fa ripensare al fatto che il Signore ha dato la vita per noi dans Sport 10hkl6a

La prima volta l’ho vista a 13 anni, quando ero nelle giovanili del Toro, ed è sempre una grande emozione. Ripensi al fatto che il Signore ha dato la vita per noi: questo ti fa riflettere, perché a volte le cose di tutti i giorni te lo fanno dimenticare, e viene da chiedersi se ce lo meritiamo, ti viene da chiedere scusa”.

È un Fabio Quagliarella inedito quello che parla da pellegrino della Sindone. Il calciatore del Torino ha contemplato questa mattina il Sacro Telo, accompagnato dai genitori, Susanna e Vittorio, e dal cappellano del club granata, don Aldo Rabino.

Ci tenevo in modo particolare a venire con i miei genitori - dice - e il fatto che siano qui è un grande regalo per me”. L’attaccante granata si è detto dispiaciuto che non sia potuto venire anche il fratello Gennaro, laureato in teologia. “Magari - ha aggiunto - torneremo insieme a fine campionato”.

Don Aldo ha poi sottolineato che “momenti come questo sono importanti, si esce un po’ dal contesto di questo mondo strano che è il calcio per tornare a fare una cosa normale, un altro regalo che ci fa il Padreterno”. Prima di arrivare in Duomo, dove non ha mancato di suscitare l’entusiasmo di un gruppo di giovani, il calciatore ha visitato l’appartamento del Re a Palazzo Reale.

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«Chi sei?». Nessuna botta, per quanto forte, può cancellare il nostro io

Posté par atempodiblog le 17 mars 2015

«Chi sei?». Nessuna botta, per quanto forte, può cancellare il nostro io dans Articoli di Giornali e News smszd4

Chi sei? Se te lo chiede l’insegnante il primo giorno di scuola, basta dire nome e cognome. Se te lo chiede chi ti fa un colloquio di lavoro, devi sfoderare il meglio del tuo curriculum. Se te lo chiede la/il ragazza/o che ti piace, è probabile che mettere insieme anche solo due parole si faccia assai difficile. Chi sei? Quando se lo chiede un genitore di fronte al figlio appena nato, perfino l’universo intero sembra troppo piccolo per contenere una risposta adeguata.

Poi capita che lo chieda un dottore a un paziente che ha preso una bella botta, e magari si senta rispondere: «Sono Fernando, corro sui kart e vorrei diventare un pilota di Formula 1». Dopo l’incidente capitato ad Alonso lo scorso 22 febbraio sul circuito di Montmeló molte notizie e leggende sulla sua perdita di memoria sono lievitate sugli organi di stampa. Le dichiarazioni ufficiali di casa McLaren confermano che il pilota ha avuto una commozione cerebrale con perdita di memoria temporanea; lo stesso pilota ora ci scherza su Twitter e, pur rispettando i tempi di recupero previsti, ha una gran voglia di tornare a correre in pista.

La domanda «chi sei?» è di quelle che restano aperte fino all’ultimo secondo di vita, proprio perché il tempo ci è dato per rispondere compiutamente a questo interrogativo; eppure capitano incidenti che azzerano il tempo e magari cancellano anche vent’anni di ricordi. E, dunque, il nostro io scompare? Non proprio. In Cina, ad esempio, è capitato che un’anziana di 94 anni, in seguito a un ictus, sia rimasta in coma per due settimane e al suo risveglio non parlava più cinese, bensì inglese. Lei era stata insegnante di inglese per 30 anni. Insomma, quando si tocca quel meraviglioso mistero che è il cervello, accadono cose tremendamente imprevedibili.

Capita che un uomo torni indietro di molti anni a quando era un giovane che sognava di diventare un famoso pilota di Formula 1; o capita che una donna si risvegli sapendosi esprimere solo attraverso quella lingua a cui ha dedicato il lavoro di una vita. Accade che – temporaneamente o meno – le botte della vita riducano il tutto di te a una memoria singola, magari neppure così memorabile. Si dice: «Ho avuto una giornata da dimenticare». E se domattina ci svegliassimo ricordando solo quel brutto giorno da dimenticare? Saremmo, forse, meno noi stessi? Mi viene in mente quel meraviglioso film intitolato Ricomincio da capo in cui il grande Bill Murray si trova a vivere e rivivere il medesimo giorno della marmotta; una di quelle classiche giornate insulse e storte che avrebbe voluto solo dimenticare. Eppure vivendo e rivivendo quel giorno, alla fine diventa più se stesso e impara a scoprire le qualità nascoste dietro un’apparente insignificanza.

Sì, è vero, ci si mette una vita intera a rispondere alla domanda: «chi sei?». Eppure Montale scrisse in un verso mirabile: «Solo il divino è totale nel sorso e nella briciola». Ed è innegabile che la realtà sia quella sostanza non semplicemente realistica, bensì attinente al divino, cioè capace di far baluginare anche solo in un sorso di vita, la totalità di una persona. Basta una briciola di tempo per intuire che tutto il bisogno contenuto nella domanda «chi sei?» si riverbera nel miracolo di accorgersi che «ci sei».

di Annalisa Teggi – Tempi

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Vivai: pallone giovane, eclissi italiana

Posté par atempodiblog le 15 mars 2015

Vivai: pallone giovane, eclissi italiana
di Andrea Saronni – Avvenire

Vivai: pallone giovane, eclissi italiana dans Sport 333biuv

Un seme qua e là, pochi ma buoni, sparsi per i vari campi. Però sparsi, appunto. E nonostante i virgulti che specie in questo girone di ritorno della Serie A si stanno affacciando al campo restituendo un filo di sorriso ad Antonio Conte, il rapporto tra calcio italiano e giovani rimane in modalità “relazione complicata” per quanto riguarda i vivai, intesi come settori giovanili dei club nella loro complessità, le “cantere”, insomma, giusto per usare il termine spagnoleggiante sdoganato anche in Italia dopo il trionfo della scuola tutta possesso, tecnica e “guardiolismi” assortiti del Barcellona.

Barcellona che è stato (ed è) il massimo esempio della coniugazione del potere economico e politico del calcio che conta e di investimento continuo sulle fondamenta tecniche, vale a dire il settore giovanile. E alla faccia di campagne acquisti all’estero che corrispondono a punti di Pil di Paesi poveri – Neymar due anni addietro, Suarez la scorsa estate, qualcuno parla di Pogba alla fine dell’embargo stabilito dalla Fifa –, i blaugrana sono sempre e comunque tra le fabbriche di giovani giocatori più concrete e produttive d’Europa.

A testimoniarlo, i numeri diffusi recentemente dal Cies, un centro di studi specializzato in tematiche calcistiche insediato a Neuchatel in Svizzera. Gli esperti elvetici si sono presi la briga di analizzare gli organici di ben 31 campionati di massima divisione del continente, e di fare la conta dei calciatori a seconda del vivaio di provenienza, inteso come club in cui il giocatore abbia militato per almeno tre stagioni negli anni della crescita. Ne è scaturito che la Champions League delle accademie se la sia aggiudicata un’altra garanzia assoluta, cioè l’altro grande top club europeo capace di sfornare campioni a cavallo delle generazioni: l’Ajax, che vanta qualcosa come 77 elementi usciti da Amsterdam per pedatare in ogni angolo del continente. Il suddetto Barcellona invece ha conquistato il gradino basso del podio con 57 calciatori, e in mezzo si è collocato il Partizan di Belgrado, gettonato soprattutto nei Paesi balcanici (74 giocatori).

Spontaneo scorrere la classifica, strutturata su una “top 100” e attendere che il dito si fermi su nomi più famigliari: si scende fino alla casella 77 per trovare l’Inter; e quindi alla posizione 89, a cui è assegnata non casualmente l’Atalanta, unica società italiana in cui ancora trovino discreto spazio nella formazione della domenica elementi cresciuti nel club. Due squadre su cento, mica male come percentuale: e i riscontri diventano ancora peggiori quando dai numeri si passa alle cifre, intese come danari. Perché oltre a non riuscire a costruire calciatori da Serie A con continuità, evidentemente le nostre non riescono nemmeno a monetizzare bene i pochi prospetti venuti su ammodo: nella classifica, dei redditi da cessione del cartellino goduti negli ultimi cinque anni – stilata sempre dall’osservatorio di Neuchatel – solo il Genoa (15°) può vantare entrate importanti, pari per l’esattezza a 24,5 milioni incassati per le cessioni di Cofie, Sturaro, El Shaarawy, Boakye e Lazarevic. Poi, due posizioni più sotto, ancora la sempiterna Atalanta, che curiosamente mai come quest’anno è risultata una delle squadre dall’età media più avanzata, quasi a scusarsi, a non volere discostarsi dalla logica “usato sicuro” che è quella adottata dalle consorelle più grandi.

La politica dei giovani in Italia, nel suo complesso, continua dunque a essere nelle parole e non nei fatti: se il Cies svizzero si spingesse oltre, vale a dire andasse a indagare dove davvero vanno a finire i 18-20 giovanotti che ogni anno compongono le rose delle squadre Primavera dello Stivale, scoprirebbero un sottobosco fatto di Lega Pro, di Dilettanti, di fughe (o ritorni) all’estero, in chissà quali campionati: non è solo questione di procuratori o di esterofilia spinta – pur presentissima – delle nostre società di punta, ma semmai, e questo è il grave, di valori tecnici che non sono spendibili in Serie A, anche al netto dell’inevitabile scotto del debutto.

Uno ogni tanto, quando capita, se è bravo: questa è l’autoproduzione del pallone all’italiana. E va detto che, forse, questo si sta dimostrando un momento buono per i campioncini “spot”, dal sampdoriano Romagnoli (vivaio e proprietà Roma) all’empolese Rugani, made in Juve così come lo sfortunatissimo Mattiello, che aveva benissimo impressionato alle sue prime uscite da titolare col Chievo.

Accontentiamoci, per ora, di questi semi isolati, sperando che prima o poi vengano gettati in terreni fertili, preparati per coltivazione e produzione. Perché quella della Serie A vecchia negli anni, povera nelle tasche e di seconda mano sul terreno di gioco, diventi presto solo una antipatica e superata fase storica.

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Calcio, la dimensione della festa

Posté par atempodiblog le 1 mars 2015

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La sera di Torino-Napoli comincia con un abbraccio. In attesa della sfida dell’Olimpico, infatti, tifosi granata e azzurri fanno foto insieme. (Tuttosport)

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“Da ragazzo sono andato parecchie volte allo stadio, e ho dei bei ricordi. Sono andato solo e con la mia famiglia. Momenti gioiosi, di domenica, insieme con i miei familiari. Vorrei augurare che il calcio e ogni altro sport molto popolare recuperi la dimensione della festa. [...] Lo sport contiene in sé una forte valenza educativa, per la crescita della persona: crescita personale, nell’armonia di corpo e di spirito, e crescita sociale, nella solidarietà, nella lealtà, nel rispetto. Che il calcio possa sempre sviluppare questa potenzialità!”.

Papa Francesco
Tratto da: Bollettino (Sala stampa della Santa Sede)

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Tennis, Australian Open: trionfo Fognini-Bolelli! E’ fatta la storia

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2015

Tennis, Australian Open: trionfo Fognini-Bolelli! E’ fatta la storia
Finisce 6-4 6-4 per gli azzurri, che dominano i francesi Nicolas Mahut e Pierre-Hugues Herbert. Ultimo doppio tutto azzurro a vincere lo Slam Pietrangeli-Sirola a Parigi nel 1959
Tratto da: La Gazzetta dello Sport

Tennis, Australian Open: trionfo Fognini-Bolelli! E' fatta la storia dans Sport nvw0mw

Lo sport italiano marca il 31 gennaio 2015: una data che sarà ricordata nell’albo delle cose belle, bellissime, da ricordare. Simone Bolelli e Fabio Fognini riportano l’Italia in trionfo in un torneo del Grande Slam conquistando il torneo di doppio a Melbourne, aggiudicandosi, primi italiani nella storia, il doppio degli Australian Open.

Il bolognese e il ligure hanno superato alla grande l’ultimo ostacolo con un 6-4 6-4 sui francesi Nicolas Mahut e Pierre-Hugues Herbert in un match senza storia, con gli azzurri che hanno strappato il break decisivo nei due set al momento giusto. Uno doppio tutto azzurro in uno Slam non si vedeva dal 1959, quando a vincere furono Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola, che 56 anni fa vinsero il Roland Garros battendo in finale gli australiani Roy Emerson e Neale Fraser (6-3 6-2 14-12). L’ultimo italiano a trionfare in un Slam fu 38 anni e mezzo fa Adriano Panatta, che nel giugno del 1976 vinse il Roland Garros battendo in finale l’americano Harold Solomon.

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Kamil Glik e la forza della fede

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2015

Kamil Glik e la forza della fede

Kamil Glik e la forza della fede dans Sport 2nl8snq

Mai il Toro aveva avuto un capitano straniero, ma Glik sta stupendo tutti dopo le infelici parentesi di Palermo e Bari.
La forza gli arriva anche dalla sua fede, espressa direttamente sulla fascia con una citazione di Papa Giovanni Paolo II: «Come al tempo delle lance e delle spade, così anche oggi, nell’era dei missili, a uccidere, prima delle armi, è il cuore dell’uomo». Ogni riferimento ai fatti di Parigi non sembra casuale e questo rende Glik ancora più speciale.

di Gianluca Oddenino – La Stampa

Documentario realizzato dalla Federazione polacca sul capitano del Toro:

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L’oratorio è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2015

“Sono molto credente e la domenica vado a Messa”. (Matteo Darmian a Tuttosport)

L’oratorio è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia  dans Sport 3584d8k

Darmian è il “Don Matteo” del calcio italiano
Fonte: Carlo Nesti a Radio Vaticana

Tratto da: Tmw

«Per chi conosce Darmian, – dice Carlo Nesti al Direttore della Radio Vaticana Italia, Luca Collodi –– e il suo nome Matteo, è stato facile trasformarlo nel ‘Don Matteo’ del calcio. Ma, al di là delle etichette, è proprio nelle sue parole, che emerge la cultura dell’oratorio:

Frequentare l’oratorio era come stare in cortile. Ce l’avevo proprio dietro casa, e c’era tutto quello che può servire per crescere bene: divertimento, sport, amicizie, valori. E parlo anche dell’onestà, della lealtà, del saper stare con gli altri, mica solo quelli della religione cristiana, che pure sento. In due parole: all’oratorio ti insegnano a vivere, anzi, ti educano a vivere. Io credo di essere il Matteo, che sono, anche perché ho passato la mia adolescenza all’oratorio di Rescaldina”.

Ricordo che Papa Francesco, nell’incontro con i ragazzi del CSI, disse: Non c’è vero oratorio, senza attività sportiva”. E ricordo che già prima, sia Papa Giovanni Paolo II, sia Papa Benedetto XVI avevano molto a cuore lo sport, come sistema per avvicinare i giovani all’etica e al Vangelo».

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