Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore

Posté par atempodiblog le 6 février 2022

Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore
Tratto dal commento di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, al libroEsercizio di perfezione e di virtù cristiane” di padre Alfonso Rodriguez S.J.

Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore dans Fede, morale e teologia sant-Alfonso-Rodriguez-sj

Per quanto riguarda il giudizio: questo può riguardare o l’azione che uno compie oppure la sua intenzione. Come sappiamo, quando Cristo ci ha proibito di giudicare l’intenzione delle persone è perché il cuore è noto soltanto a Dio. Per quanto riguarda l’azione in sé per sé considerata, per es. vediamo una persona che uccide un’altra persona, anche per quanto riguarda l’azione bisogna agire con molta prudenza. Bisogna effettivamente non precipitarsi nel giudizio, ma avere tutti gli elementi necessari. La temerarietà può riguardare sia l’azione in se stessa in quanto noi non sappiamo giudicare con oggettività, per cui molte volte esprimiamo giudizi a partire da dati assolutamente insufficienti, per cui se vediamo una persona in giro a mezzanotte pensiamo “chissà dove va… invece, può darsi, sia andata a trovare un povero, non bisogna essere precipitosi ed imprudenti e di valutare bene la materia in se stessa, sia l’intenzione nota soltanto a Dio, perché soltanto Lui vede nel fondo dei cuori.

Mi ricordo sempre la morte del povero cardinale Daniélou, grande uomo di Chiesa, che era andato a trovare una povera ex prostituta abbandonata (lui era solito fare questi gesti di grandissima carità) e quando arrivò al sesto piano, dopo aver salito tutte le scale a piedi, morì d’infarto. Ebbe un infarto arrivato in cima. Ecco il giudizio temerario, subito c’era chi diceva: “perché era là?”, “cosa faceva là?, “quella era una prostituta!… E giù giudizi a più non posso. Si trattava, invece, di uno squisitissimo atto di carità.

Si chiamano giudizi temerari in quanto c’è una temerarietà, quindi un’imprudenza e una leggerezza nel giudicare un’azione e c’è anche una temerarietà di voler giudicare il cuore e a noi l’intenzione sfugge. [...]

I giudizi temerari già son tali quando si consumano nel nostro cuore, se poi vengono manifestati ad altri assumono una gravità maggiore, cioè la gravità della diffamazione, della calunnia e perciò, diceva il nostro autore, i teologi ci ammoniscono che bisogna guardarsi dal manifestare ad altri tali giudizi o sospetti quando si presentano alla mente per non essere causa agli altri dello stesso sospetto o confermarveli nel caso li avessero già avuti. Tale è infatti la nostra perversa inclinazione che degli altri crediamo più facilmente il male che il bene. Poi abbiamo visto che questo atteggiamento del giudicare temerariamente oltre che offendere il prossimo, offende anche Dio che si è riservato il diritto di giudicare. La persona santa non giudica mai: scusa, compatisce e prega.

S-Alfonso-Rodriguez-gesuita dans Libri

Dei giudizi temerari
Tratto da: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane di padre Alfonso Rodriguez S.J.
Proprietà riservata alla Società Editrice Internazionale di Torino
Torino, 1931
Scuola Tipografica Salesiana Via Cottolengo, 32

CAPO XV
Dei giudizi temerari; e si dichiara in che consista la malizia e gravezza di essi (da pag. 147 a p. 149)

1) I giudizi temerari sono contrari alla carità;
2) Perché si infama il prossimo nel nostro cuore;
3) Altro averli, altro ammetterli;
4) E un usurpare la giurisdizione di Dio;
5) Specie se si giudica l’interno altrui.

1) «E tu, dice l’Apostolo S. Paolo, perché giudichi il tuo fratello, o perché disprezzi il tuo fratello?» (Rom. 14, 10). Fra le altre tentazioni colle quali il demonio, nemico del nostro bene, ci suole far guerra, una, e molto principale, è il metterci nella mente giudizi o sospetti contro i nostri fratelli, acciocché, levando da noi la buona opinione che di essi abbiamo, ne levi insieme l’amore e la carità, o almeno ci faccia raffreddare in essa. Per la medesima ragione abbiamo noi altri da procurare di resistere con molta diligenza a questa tentazione, tenendola per molto grave; poiché tocca un tasto tanto principale e delicato, quanto è la carità. Così ce ne avverte S. Agostino (S. Aug. De amicit. l. 2, c. 24): Se ti vuoi conservare in amore e carità coi tuoi fratelli, egli dice, prima d’ogni altra cosa bisogna che ti guardi molto dai sinistri giudizi e sospetti; perché questi sono il veleno della carità. E S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 8) dice: Una peste sono questi giudizi, occulta e segreta, ma gravissima, la quale scaccia lontano da sé Dio e distrugge la carità dei fratelli.

2) La malizia e gravezza di questo vizio consiste nell’infamare una persona il suo prossimo entro se stessa, disprezzandolo e stimandolo meno, e dandogli un basso e disonorevole luogo entro il suo cuore, per indizi leggieri e a ciò fare non bastevoli. Nel che fa torto ed ingiuria al suo fratello; e tanto sarà maggiore la colpa in questo, quanto la cosa della quale uno giudica il suo fratello sarà più grave e gl’indizi meno sufficienti.

Si potrà ben comprendere la gravezza di questa colpa da un’altra simile. Se tu lacerassi la fama del tuo fratello presso d’un altro, facendo che quel tale perdesse il buon concetto e la buona opinione che prima aveva di lui, e così presso d’un tale venissi ad infamarlo, ben si vede che sarebbe questo un grave peccato. Or questo medesimo torto ed ingiuria gli fai col torgli presso di te, senza cagione e senza bastanti indizi, quel buon concetto e quella buona opinione che avevi tu di lui; perché tanto stima il tuo fratello l’essere in buona riputazione presso di te, quanto l’essere nella medesima presso qualunque altro. E in causa propria potrà ben ciascuno conoscere qual grave torto ed ingiuria fa egli in questo al suo prossimo. Non t’aggraveresti tu, che uno ti tenesse per tale, senza che n’avessi dato motivo bastante? Or così viene aggravato da te quell’altro col giudicarlo tu per tale. Misuralo da te stesso; ché questa è la misura della carità col nostro prossimo e della giustizia ancora.

3) È però qui da avvertirsi che l’esser tentato di giudizi temerari è una cosa, e l’esser vinto dalla tentazione di essi è un’altra. Come siamo soliti di dire nelle altre tentazioni, che l’aver tentazioni è una cosa, e un’altra è l’esser vinto e il consentir in esse; e diciamo che non sta il male nella prima, ma nella seconda cosa; così qui non sta il male nell’esser uno molestato da pensieri di sinistri giudizi e sospetti; sebbene sarebbe meglio che avessimo tanta carità e amore verso i nostri fratelli, tal concetto di essi e tanta cognizione dei nostri propri difetti, che non si risvegliasse in noi il pensiero dei difetti altrui: ma finalmente, come dice S. Bernardo (S. BERN. De inter. domo, c. 8, n. 15), «non sta la colpa nel senso, ma nel consenso» e nell’esser vinto dalla tentazione; ed allora dice uno esser vinto dalla tentazione dei giudizi temerari, quando deliberatamente consente in essi, e per mezzo di quelli perde la buona opinione e il buon concetto che aveva del suo fratello, e non lo stima più come faceva prima; anzi entro se stesso lo disprezza, secondo le parole sopra citate dell’Apostolo S. Paolo.

E in tal caso, quando si confessa, non ha da dire che gli sono venuti nella mente giudizi temerari contro il suo fratello; ma che ha consentito in essi e che è stato vinto dalla tentazione. E avvertono qui i teologi, che la persona si deve grandemente guardare di comunicar ad un altro il giudizio, o sospetto cattivo, che gli è venuto in mente del suo prossimo; acciocché non sia cagione che l’altro venga ad ammettere il medesimo giudizio e sospetto, o a confermarsi in quello, che forse gli era già venuto prima nella mente; perché è tanto cattiva la nostra inclinazione, che più facilmente crediamo il male dell’altro che il bene. Ed anche avvertono che nel confessarsi non deve uno manifestar la persona contro la quale ha avuto in mente il giudizio, come né anche la persona della quale si sia offeso per la tale o tal cosa che fece; acciocché non venga con questo a ingenerare a di lei pregiudizio nel confessore qualche cattivo sospetto, o qualche mal concetto. La circospezione e la cura che i dottori e i Santi vogliono che abbiamo dell’onore e della buona opinione del nostro prossimo è tanto grande; e tu vuoi per certi leggieri indizi levargli il buon concetto e la riputazione in cui era presso di te, e in cui ha naturale ragione e diritto di essere presso di tutti, mentre le sue azioni non fanno sufficiente testimonianza del contrario?

4) Oltre l’ingiuria e il torto che in questo si fa al prossimo, contiene in sé questo vizio un’altra malizia e ingiuria grave contro, Dio; che è usurpare la giurisdizione e il giudizio che unicamente è proprio del medesimo Dio, contravvenendo a quello che dice Cristo nostro Redentore, come si legge nel Vangelo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati» (Lc 6, 37). S. Agostino (S. AUG. De serm. Dom. in monte, l. 2, c, 18) dice che il Signore proibisce qui i giudizi temerari, quali sono giudicar l’intenzione del cuore, od altre cose incerte ed occulte: perché Dio riservò a sé la cognizione di queste cause; e così comanda che noi non c’ingeriamo in esse. L’Apostolo S. Paolo dichiara questa cosa più in particolare scrivendo ai Romani: «Chi sei tu che condanni il servo altrui? Egli sta ritto o cade per il suo padrone» (Rom. 14, 4). Il giudicare è atto di superiore: quest’uomo non è tuo suddito: ha padrone lascialo giudicare a lui; non usurpar tu la giurisdizione di Dio. «Per la qual cosa non vogliate giudicare prima del tempo, fintantoché venga il Signore, il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre e manifesterà i consigli del cuore; e allora ciascheduno avrà lode da Dio» (1Cor 4, 5). Questa è la ragione che adduce l’Apostolo S. Paolo del non dover noi giudicare in simili cose; perché queste sono cose incerte ed occulte, che appartengono al giudizio di Dio; e così colui che s’intromette in giudicar queste cose usurpa la giurisdizione e il giudizio che unicamente appartengono a Dio.

5) Nelle Vite dei Padri (De vit. patr. 1. 5, lib. 9, n. 11) si racconta di uno di quei monaci, che con alcuni indizi che vide, o udì, giudicò malamente di un altro monaco, e subito sentì una voce dal cielo che gli disse: Gli uomini si sono ribellati, e hanno usurpato il mio giudizio, e si sono ingeriti nella giurisdizione altrui. E se diciamo questo, e lo dicono i Santi ancora, delle cose che hanno qualche apparenza di male; che sarà di coloro che ancora le cose per se stesse buone le interpretano sinistramente, giudicando che si facciano con mala intenzione e per fini umani? Questo è più propriamente usurpare la giurisdizione e il giudizio di Dio; poiché ancora dentro i cuori degli uomini si vuole entrare e giudicar le intenzioni ed i pensieri occulti; il che è proprio solamente di Dio. «Vi siete fatti giudici di pensamenti ingiusti», dice l’Apostolo S. Giacomo (Gc 2, 4); e il Savio aggiunge che questi tali si vogliono far indovini, giudicando quel che non sanno e non possono sapere (Prov 23, 7).

Publié dans Fede, morale e teologia, Libri, Mormorazione, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Sant’Alfonso Rodriguez, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Una devozione buona in ogni stato e condizione

Posté par atempodiblog le 25 février 2014

La devozione di San Luigi da Montfort: tutto “in Maria, con Maria, per Maria”, una devozione buona in ogni stato e condizione.

In ogni stato della vita spirituale, che è sempre stato di viaggio, battaglia, formazione, elevazione e conquista. In ogni stato di vita abbiamo la Santa Vergine accanto in una perpetua visitazione, soddisfacendo al suo ruolo di Madre.

Crediamo nella perpetua visitazione di Maria ad ogni anima, specialmente a coloro che lavorano alla loro santificazione.

Beato Giustino Maria Russolillo da Pianura
Fonte: Vocationist.org

Una devozione buona in ogni stato e condizione dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Russolillo-e-Maria

[…] ecco delle pratiche interiori molto santificanti per quelli che lo Spirito Santo chiama a un’alta perfezione.

Si tratta, in breve, di fare tutte le proprie azioni per mezzo di Maria, con Maria, in Maria e per Maria, per farle più perfettamente per mezzo di Gesù Cristo, con Gesù Cristo, in Gesù e per Gesù.

Per mezzo di Maria

258. Bisogna fare le proprie azioni per mezzo di Maria, cioè bisogna che obbediscano in ogni cosa alla santissima Vergine, e che siano guidati in ogni cosa dal suo spirito, che è lo Spirito Santo di Dio. «Quelli che sono guidati dallo spirito di Dio sono figli di Dio» (Rm 8,14). Quelli che sono guidati dallo spirito di Maria sono figli di Maria, e, di conseguenza, figli di Dio, come abbiamo mostrato, e tra tanti devoti della santa Vergine, sono veri e fedeli devoti solo quelli che sono guidati dal suo spirito. Ho detto che lo spirito di Maria è lo spirito di Dio, perché ella non è mai stata guidata dal suo proprio spirito, ma sempre dallo spirito di Dio, che se ne è talmente impadronito da divenire il suo proprio spirito. Per questo sant’Ambrogio dice: «L’anima di Maria sia in ciascuno per magnificare il Signore; lo spirito di Maria sia in ciascuno per esultare in Dio». Quanto è felice un’anima quando, sull’esempio del buon fratello gesuita Rodriguez, morto in odore di santità, è tutta posseduta e governata dallo spirito di Maria, che è uno spirito dolce e forte, zelante e prudente, umile e coraggioso, puro e fecondo!

259. Affinché l’anima si lasci guidare da questo spirito di Maria, bisogna: 1) Rinunciare al proprio spirito, alle proprie vedute e volontà prima di fare qualcosa: per esempio, prima di pregare, di dire o ascoltare la santa Messa, di comunicarsi, ecc.; perché le tenebre del nostro spirito e la malizia della nostra volontà e del nostro agire, se le seguiamo, anche se ci sembrano buone, ostacolano lo spirito di Maria. 2) Bisogna abbandonarsi allo spirito di Maria per esserne mossi e guidati nel modo che lei vorrà. Bisogna mettersi e abbandonarsi nelle sue mani verginali, come uno strumento nelle mani dell’artista, come un liuto nelle mani di un buon suonatore. Bisogna perdersi e abbandonarsi in lei, come una pietra che si getta nel mare: si fa semplicemente e in un istante, con una sola occhiata dello spirito, con un piccolo movimento della volontà, o verbalmente, dicendo, per esempio: «Rinuncio a me stesso, mi dono a te, mia cara Madre». E anche se non si sente alcuna dolcezza sensibile in questo atto di unione, è comunque reale; proprio come se si dicesse, Dio non voglia: «Mi dono al diavolo», con altrettanta sincerità, benché lo si dicesse senza alcun mutamento sensibile, si sarebbe comunque realmente del diavolo. 3) Bisogna di quando in quando, durante e dopo le proprie azioni, rinnovare lo stesso atto di offerta e di unione; più lo si farà, più presto ci si santificherà e più presto si giungerà all’unione con Gesù Cristo, che segue sempre necessariamente l’unione con Maria, poiché lo spirito di Maria è lo spirito di Gesù.

Con Maria

260. Bisogna fare le proprie azioni con Maria: cioè bisogna, nelle proprie azioni, considerare Maria come un modello perfetto di ogni virtù e perfezione che lo Spirito Santo ha formato in una semplice creatura, per imitarla secondo la nostra piccola capacità. Bisogna quindi che in ogni azione consideriamo come Maria l’ha fatta o la farebbe, se fosse al nostro posto. Dobbiamo per questo esaminare e meditare le grandi virtù che ha praticato durante la sua vita, particolarmente: 1) la sua fede viva, con la quale ha creduto senza esitare alla parola dell’angelo; ha creduto fedelmente e costantemente fino ai piedi della croce sul Calvario; 2) la sua umiltà profonda, che l’ha fatta nascondersi, tacere, sottomettersi a tutto e mettersi all’ultimo posto; 3) la sua purezza tutta divina, che non ha mai avuto né avrà mai l’uguale sotto il cielo, e infine tutte le sue altre virtù.
Si ricordi, lo ripeto una seconda volta, che Maria è il grande e l’unico stampo di Dio, adatto a fare immagini viventi di Dio, con poca spesa e in poco tempo; e che un’anima che ha trovato questo stampo e vi si perde, è presto cambiata in Gesù Cristo, che questo stampo riproduce al naturale.

In Maria

261. Bisogna fare le proprie azioni in Maria. Per ben comprendere questa pratica bisogna sapere: 1) che la santissima Vergine è il vero paradiso terrestre del nuovo Adamo, e che l’antico paradiso terrestre non ne era che la figura. Vi sono dunque, in questo paradiso terrestre, ricchezze, bellezze, rarità e dolcezze inesplicabili, che il nuovo Adamo, Gesù Cristo, vi ha lasciato. È in questo paradiso che si è compiaciuto per nove mesi, che ha operato le sue meraviglie e che ha mostrato le sue ricchezze con la magnificenza di un Dio. Questo santissimo luogo è composto unicamente da una terra vergine e immacolata, dalla quale è stato formato e nutrito il nuovo Adamo, senza alcuna macchia, per opera dello Spirito Santo, che vi abita. È in questo paradiso terrestre che si trova veramente l’albero della vita che ha portato Gesù Cristo, il frutto di vita; l’albero della scienza del bene e del male che ha dato la luce al mondo. Vi sono, in questo luogo divino, alberi piantati dalla mano di Dio e irrigati dalla sua unzione divina, che hanno portato e portano ogni giorno frutti di un sapore divino; vi sono aiuole smaltate di belli e differenti fiori di virtù, che emanano un profumo che delizia anche gli angeli. Vi sono in questo luogo prati verdi di speranza, torri inespugnabili di fortezza, case incantevoli di fiducia, ecc. Solo lo Spirito Santo può far conoscere la verità nascosta sotto queste figure di cose materiali. C’è in questo luogo un’aria pura, non infetta, di purezza; un bel giorno, senza notte, dell’umanità santa; un bel sole, senza ombra, della Divinità; una fornace ardente e perenne di carità, dove tutto il ferro che vi è messo è infocato e cambiato in oro; c’è un fiume di umiltà che sgorga dalla terra e, dividendosi in quattro rami, irriga tutto questo luogo incantato: sono le quattro virtù cardinali.

262. Lo Spirito Santo, per bocca dei santi Padri, chiama anche la santa Vergine: 1) la porta orientale, per la quale il sommo sacerdote Gesù Cristo entra ed esce nel mondo; vi è entrato la prima volta per mezzo di lei e vi verrà la seconda; 2) il santuario della Divinità, il riposo della Santissima Trinità, il trono di Dio, la città di Dio, l’altare di Dio, il tempio di Dio, il mondo di Dio. Tutti questi differenti titoli e lodi sono verissimi, rispetto alle differenti meraviglie e grazie che l’Altissimo ha operato in Maria. Oh! che ricchezze! Oh! che gloria! Oh! che gioia! Oh! che felicità poter entrare e dimorare in Maria, dove l’Altissimo ha posto il trono della sua gloria suprema!

263. Ma quanto è difficile a dei peccatori come siamo noi avere il permesso e la capacità e la luce per entrare in un luogo così alto e così santo, che è custodito non da un cherubino, come l’antico paradiso terrestre, ma dallo Spirito Santo stesso che ne è divenuto il padrone assoluto, della quale dice: «Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fonte sigillata» (Ct 4,12). Maria è chiusa; Maria è sigillata; i miseri figli di Adamo ed Eva, cacciati dal paradiso terrestre, possono entrarvi solo per una grazia particolare dello Spirito Santo, che devono meritare.

264. Dopo che, con la propria fedeltà, si è ottenuta questa grazia insigne, bisogna dimorare nel bell’interno di Maria con compiacenza, riposarsi in pace, appoggiarsi con fiducia, nascondersi con sicurezza e perdersi senza riserve, affinché in questo seno verginale: 1) l’anima sia nutrita del latte della sua grazia e della sua misericordia materna; 2) sia liberata dai suoi turbamenti, timori e scrupoli; 3) sia al sicuro da tutti i suoi nemici, il demonio, il mondo e il peccato, che non vi hanno mai avuto accesso: per questo ella dice che quelli che operano in lei non peccheranno: «Chi opera in me non peccherà» (Sir 24,21), cioè quelli che dimorano nella santa Vergine in spirito non faranno peccati rilevanti; 4) affinché sia formata in Gesù Cristo e Gesù Cristo sia formato in lei: perché il suo seno è, come dicono i Padri, la sala dei segreti divini, dove sono stati formati Gesù Cristo e tutti gli eletti: «L’uno e l’altro è nato in essa» (Sal 87,5).

Per Maria

265. Infine bisogna fare tutte le proprie azioni per Maria. Perché, siccome ci si è consacrati interamente al suo servizio, è giusto che si faccia tutto per lei come un domestico, un servo e uno schiavo; non che la si consideri il fine ultimo dei propri servizi, che è solo Gesù Cristo, ma il proprio fine prossimo, il proprio intermediario misterioso e il proprio mezzo facile per andare a lui. Come un buon servo e schiavo, non bisogna rimanere oziosi; ma bisogna, sostenuti dalla sua protezione, intraprendere e fare grandi cose per questa augusta Sovrana. Bisogna difendere i suoi privilegi quando sono messi in discussione; bisogna difendere la sua gloria quando è attaccata; bisogna attirare tutti, potendolo, al suo servizio e a questa vera e solida devozione; bisogna parlare e gridare contro quelli che abusano della sua devozione per oltraggiare suo Figlio, e nello stesso tempo stabilire questa vera devozione; non bisogna pretendere da lei, come ricompensa dei propri piccoli servizi, che l’onore di appartenere a una così amabile Principessa e la felicità di essere per mezzo di lei uniti a Gesù, suo Figlio, con un legame indissolubile nel tempo e nell’eternità.

Dal ‘Trattato della vera devozione alla santa Vergine’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Don Giustino Maria Russolillo, Fede, morale e teologia, Riflessioni, San Luigi Maria Grignion de Montfort, Sant’Alfonso Rodriguez, Stile di vita | Pas de Commentaire »