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Il cristiano non è mai un solitario

Posté par atempodiblog le 26 mars 2015

Il cristiano non è mai un solitario dans Citazioni, frasi e pensieri 29lmg6a

“La vita cristiana deve essere vita di preghiera incessante, sforzandoci di stare alla presenza di Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Il cristiano non è mai un solitario, perché vive in una continua intimità con Dio, che è vicino a noi e nei Cieli”.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Proteggere l’intimità della persona

Posté par atempodiblog le 11 mars 2015

Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità.
Codice di Diritto Canonico n. 220 (Libro II – Il popolo di Dio. Parte I – I fedeli cristiani)

“Nulla disgusta maggiormente un’anima del fatto che si dica ad altri ciò che essa ha detto in fiducia, cioè in segreto”.
Santa Faustina Kowalska

“Compito del parroco, e di ogni sacerdote è quello di tutelare e difendere l’intimità di ogni persona, intesa come spazio vitale in cui proteggere la propria personalità oltre agli affetti più cari e più personali. Scopo del segreto, sia sacramentale, sia extra sacramentale, è proteggere l’intimità della persona, cioè custodire la presenza di Dio nell’intimo di ogni uomo. Chi viola questa sfera personalissima e ‘sacra’, compie non solo un atto di ingiustizia, un delitto canonico, ma un vero e proprio atto di irreligiosità”.
Card. Mauro Piacenza (Penitenziere Maggiore di Santa Romana Chiesa)

Proteggere l’intimità della persona dans Apparizioni mariane e santuari Santuario-di-Torreciudad

Il santuario di Torreciudad, dove nei confessionali la privacy è completamente assicurata

[…] E’ qui, in questa cornice spettacolare, al centro di un paesaggio di incredibile maestà e bellezza, circondato da pareti rocciose lambite dalle acque, che si eleva, come una fortezza celeste, il santuario mariano di Torreciudad, grazie all’amore per la Madre di Dio e allo zelo per le anime di San Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei.

[…] Scendo nella cripta del santuario dove incrocio tre cappelle dedicate rispettivamente alla Madonna di Loreto, alla Vergine del Pilar e alla Madonna di Guadalupe. Qui è il luogo che San Josemaría ha previsto per le confessioni. Ai lati di ogni cappella vi è una fila di confessionali dove, contrariamente a quello che succede un po’ ovunque, la privacy è completamente assicurata, mentre nel vestibolo di ingresso si trovano dei libretti che aiutano a preparare la confessione. Noto un po’ ovunque nel santuario una particolare attenzione per predisporre i servizi per gli invalidi e nella cappella del Pilar vi è un confessionale per i sordi e per i portatori di handicap.

Tratto da: Pellegrino a quattro ruote — Padre Livio Fanzaga

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La Croce di Cristo è tacere

Posté par atempodiblog le 7 mars 2015

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“Bisogna unire, bisogna comprendere, bisogna scusare. Non alzare mai una croce soltanto per ricordare che qualcuno ha ammazzato qualcun altro. Sarebbe lo stendardo del diavolo. La Croce di Cristo è tacere, perdonare e pregare gli uni per gli altri, perché tutti trovino la pace”.  (Via Crucis, 8.3)

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Il cristianesimo non è un cammino comodo

Posté par atempodiblog le 6 février 2015

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Il cristianesimo non è un cammino comodo: non basta “stare” nella Chiesa e far passare gli anni. Nella nostra vita, vita di cristiani, la prima conversione — quel momento irripetibile, indimenticabile, in cui si vede con tanta chiarezza tutto ciò che il Signore ci chiede — è importante; però ancora più importanti e difficili sono le conversioni successive. Per agevolare l’opera della grazia divina che si manifesta in esse, occorre conservare un animo giovane, invocare il Signore, ascoltarlo, scoprire ciò che in noi non va, chiedere perdono.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Nostra Signora della Medaglia Miracolosa

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2014

Nostra Signora della Medaglia Miracolosa
Tratto da: josemariaescriva.info

1830. Il panorama politico della Francia e soprattutto l’atteggiamento della gente erano molto cambiati a seguito della Rivoluzione del 1789. La stessa atmosfera del paese si faceva sempre più tesa. Fra tutti gli sconvolgimenti del periodo, Nostra Signora fece udire la sua voce che diceva “Venite ai piedi di questo altare. Qui saranno riversate grazie su tutti”.

Didascalia dell’immagine in francese:
Didascalia dell’immagine in francese: “Ama di essere ignorata!”. Tutta la vita, tutta l’anima di Cathetine Labouré è espressa in queste parole.

Da allora l’invito pressante fatto da nostra Madre durante la sua prima apparizione in Rue du Bac è stato accolto da milioni di persone di ogni estrazione sociale e culturale che sono venute ad inginocchiarsi ai piedi di Nostra Signora della Medaglia Miracolosa in una cappella nel cuore di Parigi.
Ma chi era la ragazza a cui nostra Signora apparve quel lontano 19 luglio 1830? E perché? Santa Caterina Labouré era allora una giovane di 24 anni che aveva appena cominciato il noviziato presso le Sorelle della Carità, un ordine religioso fondato da San Vincenzo de’ Paoli che si prendeva cura dei malati e dei vecchi.
Nel 1876, poco prima di morire, Santa Caterina mise per iscritto ciò che nostra Signora le aveva detto. “Figlia mia, Dio, nella sua benevolenza, vuole assegnarti una missione. Sarà per te causa di molte tribolazioni, ma le vincerai pensando che tutto quello che fai lo fai per dare gloria a Dio. Sarai perseguitata, ma la mia grazia non ti abbandonerà, perciò non avere paura. Vedrai le cose che è necessario tu dica alla gente, ma nella preghiera ti ispirerò io il modo per dirle. Corrono brutti tempi. Sventure di ogni tipo si abbatteranno sul mondo”.
Il messaggio di Nostra Signora indicava il rimedio: “Venite ai piedi di questo altare. Qui grazie saranno riversate su tutti quelli che le chiederanno con fede e devozione. Saranno riversate in ugual misura sui grandi e sui piccoli”.

José Escrivá, padre di San Josemaría, gli trasmise la sua profonda devozione a nostra Signora della Medaglia Miracolosa
José Escrivá, padre di San Josemaría, gli trasmise la sua profonda devozione a nostra Signora della Medaglia Miracolosa

Durante la seconda apparizione, avvenuta sabato 27 novembre 1830, la vigilia della Prima domenica di Avvento, Santa Caterina vide nostra Signora circondata da un’aureola sulla quale era scritto in lettere dorate “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”. Il comando di nostra Signora era: “Fai coniare una medaglia su questo modello. Quelli che la porteranno al collo riceveranno grandi grazie; le mie grazie saranno molto abbondanti per tutti quelli che confideranno in me”.
Le prime medaglie furono coniate nel Maggio del 1832 e i risultati non si fecero attendere. Da quel momento, alla Medaglia Miracolosa, come venne presto identificata dalla pietà popolare, furono attribuite molte conversioni e guarigioni. Dopo le apparizioni della Madonna, Santa Caterina visse tutta la sua vita nell’umiltà e nel nascondimento. Per i successivi quarantasei anni lavorò in un ospedale per i poveri alla periferia di Parigi, dedicandosi ai doveri più umili. Morì all’età di 70 anni, il 31 dicembre 1876. Fu canonizzata da Papa Pio XII il 27 luglio 1947. La sua festa si celebra il 28 novembre.

San Josemarίa e la Medaglia Miracolosa

Durante la sua vita San Josemarίa si recò a Parigi in molte occasioni per pregare Nostra Signora della Medaglia Miracolosa a Rue du Bac
Durante la sua vita San Josemarίa si recò a Parigi in molte occasioni per pregare Nostra Signora della Medaglia Miracolosa a Rue du Bac

Dio ispirò l’Opus Dei nel cuore di San Josemarίa durante un ritiro spirituale presso la casa dei Fratelli di San Vincenzo de’ Paoli, vicino alla chiesa dedicata a Nostra Signora della Medaglia Miracolosa, all’angolo fra Via Fernandez de la Hoz e Via Garcia de Paredes a Madrid.
Durante la sua vita San Josemarίa si recò a Parigi in molte occasioni per pregare Nostra Signora della Medaglia Miracolosa a Rue du Bac.
Nostra Signora della Medaglia Miracolosa è collegata con due avvenimenti della storia dell’Opus Dei.
Nel giorno della sua ricorrenza, il 27 novembre 1924, José Escrivá, padre di San Josemaría, morì dopo aver pregato davanti ad una statuetta della Madonna della Medaglia Miracolosa che era presente nella casa. José Escrivá nutriva una grande devozione per nostra Signora, specialmente sotto il suo titolo di Nostra Signora della Medaglia Miracolosa. Trasmise questa devozione a San Josemaría. Il 27 novembre 1982 all’Opus Dei venne definitivamente riconosciuto l’assetto giuridico di Prelatura Personale.
L’attuale prelato dell’Opus Dei, il Vescovo Javier Echevarria, si riferisce alla coincidenza di queste due date in una lettera datata 1 novembre 1995. “Fu come se nostro Signore volesse ricordarci che in tutte le nostre necessità noi dobbiamo ricorrere alla Benedetta Vergine Maria, che è onnipotente nelle sue suppliche. Perciò, trovandoci di fronte all’obiettivo apparentemente impossibile della nostra personale santificazione (non siamo niente, tu ed io: solo miseria e fango), ci rivolgiamo con tutta la nostra confidenza a nostra Madre del cielo”.

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La santità personale

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2014

La santità personale dans Citazioni, frasi e pensieri 200znh3

“Ci sentiamo scossi, e il cuore batte più forte, quando ascoltiamo con attenzione il grido di san Paolo: Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione. Oggi, ancora una volta, lo ripropongo a me stesso, lo ricordo a voi e a tutti gli uomini: questa è la volontà di Dio, che siamo santi. Per dare la pace alle anime, ma un pace vera, per trasformare la terra, per cercare il Signore Dio nostro nel mondo e attraverso le cose del mondo, è indispensabile la santità personale”.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Il violento perde sempre

Posté par atempodiblog le 21 novembre 2014

“Con la polemica aggressiva, che umilia, raramente si risolve un problema. E, d’altro canto, non si giunge mai a un chiarimento quando fra chi discute c’è un fanatico”.

“Il violento perde sempre, anche se vince la prima battaglia…, perché finisce accerchiato dalla solitudine della sua incomprensione”.

San Josemaria Escriva’ de Balaguer

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«Gesù Cristo è al centro di tutto, assume tutto, soffre tutto. E’ impossibile colpire una creatura senza colpirLo, umiliare qualcuno senza umiliare, o uccidere qualunque uomo senza maledire o uccidere Lui stesso. Il più vile di tutti i manovali è costretto a servirsi del Volto di Cristo per ricevere un ceffone da non importa quale mano. Altrimenti lo schiaffo non potrebbe mai rag­giungerlo e resterebbe sospeso, nell’intervallo dei pianeti, per secoli e secoli, fino a che non incontrasse il Volto che perdona».

Léon Bloy

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Vacanze

Posté par atempodiblog le 12 juillet 2014

Vacanze
di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: josemariaescriva.info

Vacanze dans Fede, morale e teologia 2psnk28

Mi sembra, per questo, opportuno ricordare la convenienza del riposo. Se arrivasse la malattia la riceveremmo con gioia, come venuta dalla mano di Dio; ma non possiamo provocarla con la nostra imprudenza: siamo esseri umani, e abbiamo bisogno di recuperare le forze del nostro corpo.
Lettera, 15 – X – 1948, n. 14

Riposate, figli, nella filiazione divina. Dio è un Padre pieno di tenerezza, di infinito amore. Chiamatelo Padre molte volte e ditegli – a tu per tu – che lo amate, che lo amate moltissimo; che sentite l’orgoglio e la forza di essere suoi figli.
A tu per tu con Dio, n. 221

Nell’Opera tutto è mezzo di santità. Il lavoro e il riposo; la vita di pietà e i rapporti affettuosi con tutti; la gioia e il dolore. In una parola, c’è una possibilità di santificazione in ogni minuto della nostra vita: dobbiamo amare e compiere la volontà di Dio in tutto.
A tu per tu con Dio, n. 29

Urge ricristianizzare le feste e i costumi popolari. —Urge evitare che gli spettacoli pubblici si trovino in questa alternativa: o insulsi o pagani. Chiedi al Signore che vi sia chi s’impegni in questo lavoro urgente che possiamo chiamare “apostolato del divertimento”.
Cammino, 975
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Un “Amico” che non annoia
Quell’amico ci confidava sinceramente di non essersi mai annoiato, perché non si era mai trovato solo, senza il nostro Amico. — Cadeva la sera, in un fitto silenzio… Notasti molto viva la presenza di Dio… E, con questa realtà, che pace!

Solco, 857

E Gesù (…) ci viene incontro e ci dice: Chi ha sete, venga a me e beva. Ci offre il suo Cuore, perché sia il nostro riposo e la nostra fortezza. Quando ci decideremo ad accettare la sua chiamata, sperimenteremo che le sue parole sono vere: la nostra fame e la nostra sete aumenteranno fino a desiderare che Dio stabilisca nel nostro cuore il luogo del suo riposo, e che non allontani mai più da noi il suo calore e la sua luce.
E’ Gesù che passa, 170

Cristo, nostra pace, è anche Via. Se vogliamo la pace, dobbiamo seguire i suoi passi. La pace è la conseguenza della guerra, della lotta. Lotta ascetica, intima, che ogni cristiano è tenuto a sostenere contro tutto ciò che nella sua vita non viene da Dio: la superbia, la sensualità, l’egoismo, la superficialità, la meschinità del cuore. È inutile reclamare la serenità esteriore quando manca la tranquillità nella coscienza, nell’intimo dell’anima, perché dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.
E’ Gesù che passa, 73

Il Signore, dopo aver inviato i suoi discepoli a predicare, quando tornano li riunisce e li invita ad andare con Lui in un luogo solitario per riposare… Che cosa avrà loro domandato e raccontato Gesù! Ebbene… il Vangelo continua a essere attuale.
Solco, 470
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In viaggio…
Mi hai scritto: si è unito al nostro gruppo un ragazzo, che andava al nord. Era minatore. Cantava molto bene, e si unì al nostro coro. Pregai per lui finché scese alla sua stazione. Nel congedarsi, commentò: «Quanto mi piacerebbe prolungare il viaggio con voi!». — Mi sono subito ricordato del «mane nobiscum!» — resta con noi, Signore!, e Gli chiesi di nuovo, con fede, che gli altri «lo vedano» in ciascuno di noi, compagni del «loro cammino».

Solco, 227

Il saluto vibrante di un fratello ti ha ricordato, in quell’andirivieni di partenze, che i cammini onesti del mondo sono aperti per Cristo: manca soltanto che ci lanciamo a percorrerli, con spirito di conquista. Sì, Dio ha creato il mondo per i suoi figli, perché lo abitino e lo santifichino: che cosa aspetti?
Solco, 858

La grazia del Signore non può mancare: Dio sarà sempre accanto a noi e manderà i suoi angeli perché siano i nostri compagni di viaggio, i nostri prudenti consiglieri lungo la via, i collaboratori in tutte le nostre imprese. In manibus suis portabunt te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; gli angeli ti terranno per mano, affinché il tuo piede non inciampi nei sassi.
E’ Gesù che passa, 63
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Senza pause
La santità, l’autentico desiderio di raggiungerla, non si concede soste né vacanze.

Solco, 129

Sembra che tutti i peccati della tua vita si siano alzati in piedi. —Non perderti d’animo. —Al contrario, invoca tua Madre Santa Maria, con fede e abbandono di bimbo. Ella porterà la serenità alla tua anima.
Cammino, 498

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Il cuore di Gesù, pace dei cristiani

Posté par atempodiblog le 27 juin 2014

Il cuore di Gesù, pace dei cristiani
di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: josemariaescriva.info

Il cuore di Gesù, pace dei cristiani dans Fede, morale e teologia 21jw129

Omelia pronunciata il 17 giugno 1966, festa del Sacro Cuore

La vera devozione al Sacro Cuore
Prestiamo attenzione al significato profondo racchiuso in queste parole: Sacro Cuore di Gesù. Quando parliamo del cuore umano non ci riferiamo solo ai sentimenti, ma alludiamo a tutta la persona che vuol bene, che ama e frequenta gli altri. Nel modo umano di esprimerci, il modo raccolto dalle Sacre Scritture perché potessimo intendere le cose divine, il cuore è considerato come il compendio e la fonte, l’espressione e la radice ultima dei pensieri, delle parole e delle azioni. Un uomo, per dirla nel nostro linguaggio, vale ciò che vale il suo cuore.

Al cuore appartengono: la gioia — “gioisca il mio cuore nella tua salvezza” (Sal 12, 6); il pentimento — “il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere” (Sal 21, 15), la lode a Dio — “effonde il mio cuore liete parole” (Sal 44, 2); la decisione di ascoltare il Signore — “saldo è il mio cuore” (Sal 56, 8); la veglia amorosa — “io dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct 5, 2); e anche il dubbio e il timore — “non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in me” (Gv 14, 1).

Il cuore non si limita a sentire: sa e capisce. La legge di Dio si riceve nel cuore e in esso rimane scritta. La Scrittura aggiunge ancora: “La bocca parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12, 34). Il Signore apostrofa gli scribi: “Perché mai pensate cose malvagie nei vostri cuori?” (Mt 9, 4). E, come sintesi dei peccati che l’uomo può commettere, Gesù dice: “Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie” (Mt 15, 19).

Quando la Sacra Scrittura parla del cuore, non intende un sentimento passeggero che porta all’emozione o alle lacrime. Parla del cuore — come testimonia lo stesso Gesù — per riferirsi alla persona che si rivolge tutta, anima e corpo, a ciò che considera il suo bene: “Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Mt 6, 21).

Ecco pertanto che, considerando il Cuore di Gesù, scopriamo la certezza dell’amore di Dio e la verità del suo donarsi a noi. Nel raccomandare la devozione al Sacro Cuore, non facciamo che raccomandare di orientare integralmente noi stessi, con tutto il nostro essere — la nostra anima, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, le nostre fatiche e le nostre gioie — a Gesù tutto intero.

La vera devozione al Cuore di Gesù consiste in questo: conoscere Dio e conoscere noi stessi, guardare a Gesù e ricorrere a Lui che ci esorta, ci istruisce, ci guida. In questa devozione non si dà altra superficialità che quella dell’uomo che, non essendo interamente umano, non riesce a cogliere la realtà del Dio incarnato.

Per leggere l’intera omelia,  clicca qui

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12 consigli per ottenere la pace

Posté par atempodiblog le 27 juin 2014

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1 La Madonna — così l’invoca la Chiesa — è la Regina della pace. Per questo quando la tua anima, l’ambiente famigliare o professionale, la convivenza La Madonna nella società o tra i popoli sono agitati, non cessare di acclamarla con questo titolo: «Regina pacis, ora pro nobis!» — Regina della pace, prega per noi! Hai provato, almeno, quando perdi la serenità?… — La sua immediata efficacia ti sorprenderà.
Solco, 874

2 Coltiva, nella tua anima e nel tuo cuore — nella tua intelligenza e nel tuo volere —, lo spirito di fiducia e di abbandono nell’amorosa Volontà del Padre celeste… — Da qui nasce la pace interiore a cui aneli.
Solco, 850

3 Un rimedio contro queste tue inquietudini: avere pazienza, rettitudine d’intenzione, e guardare le cose con prospettiva soprannaturale.
Solco, 853

4 Allontana subito — Dio è con te! — il timore e il turbamento dello spirito…: evita radicalmente queste reazioni, che servono solo a moltiplicare le tentazioni e ad accrescere il pericolo.
Solco, 854

5 Anche se tutto sprofonda e finisce, anche se gli avvenimenti evolvono in senso contrario a quanto previsto, con tremende avversità, non si guadagna nulla a turbarsi. Inoltre, ricorda la fiduciosa preghiera del profeta: «Il Signore è nostro Giudice, il Signore è nostro Legislatore, il Signore è nostro Re; Egli ci salverà». — Recitala devotamente, ogni giorno, per adeguare la tua condotta ai disegni della Provvidenza, che ci governa per il nostro bene.
Solco, 855

6 Se — avendo fissato lo sguardo in Dio — sai mantenerti sereno davanti alle preoccupazioni, se impari a dimenticare le piccolezze, i rancori e le invidie, ti risparmierai la perdita di molte energie, di cui hai bisogno per lavorare con efficacia, al servizio degli uomini.
Solco, 856

7 Quando ti abbandonerai sul serio nel Signore, imparerai a contentarti di ciò che avviene, e a non perdere la serenità se le faccende — malgrado tu abbia messo tutto l’impegno e i mezzi opportuni — non riescono secondo i tuoi gusti… Perché saranno «riuscite» come sarà parso conveniente al Signore.
Solco, 860

8 Quando ci si ritrova al buio, con l’anima accecata e inquieta, dobbiamo ricorrere, come Bartimeo, alla Luce. Ripeti, grida, insisti con più forza: «Domine, ut videam!» — Signore, che io veda!… E si farà giorno per i tuoi occhi, e potrai godere la luce che Egli ti concederà.
Solco, 862

9 Lotta contro le asprezze del tuo carattere, contro il tuo egoismo, contro la tua comodità, contro le tue antipatie… Oltre al fatto che dobbiamo essere corredentori, il premio che riceverai — pensaci bene — sarà in strettissima relazione con la semina che avrai fatto.
Solco, 863

10 Compito del cristiano: annegare il male nella sovrabbondanza del bene. Non si tratta di far campagne negative, né di essere antiqualcosa. Al contrario: si tratta di vivere di affermazioni, pieni di ottimismo, con gioventù, allegria e pace; di guardare tutti con comprensione: quelli che seguono Cristo e quelli che lo abbandonano o non lo conoscono. — Ma comprensione non significa astensionismo, né indifferenza, bensì azione.
Solco, 864

11 Per carità cristiana e per eleganza umana, devi sforzarti di non creare un abisso con nessuno…, di lasciar sempre una via d’uscita al prossimo affinché non si allontani ancora di più dalla Verità.
Solco, 865

12 Paradosso: da quando mi sono deciso a seguire il consiglio del Salmo: «Getta sul Signore il tuo affanno, ed Egli ti darà sostegno», di giorno in giorno ho meno preoccupazioni per la testa… E al tempo stesso, con il lavoro opportuno, si risolve ogni cosa con più chiarezza!
Solco, 873

San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: josemariaescriva.info

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Come si comporta un figlio con sua madre?

Posté par atempodiblog le 4 mai 2014

Come si comporta un figlio con sua madre?
Tratto da: San Josemaría Escrivá

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Come si comporta un figlio con sua madre? In tanti modi diversi, ma sempre con affetto e fiducia. Con un affetto che si manifesterà di volta in volta secondo le occasioni tracciate dalla vita stessa. Lungi da ogni freddezza, si creano così tenere e intime consuetudini domestiche fatte di piccole attenzioni quotidiane che il figlio sente il bisogno di rivolgere alla madre e di cui la madre sente la mancanza se il figlio le dimentica: un bacio, una carezza uscendo o entrando in casa, un piccolo regalo, qualche parola intensa ed espressiva.

Anche i nostri rapporti con la Madre del Cielo richiedono norme di pietà filiale che guidino il nostro comportamento verso di Lei. Molti cristiani adottano l’antica consuetudine dello scapolare, o usano salutare — non c’è bisogno di parole, basta un pensiero — le immagini di Maria che si trovano in ogni casa cristiana o che adornano le strade in tante città. Altri vivono quella preghiera meravigliosa che è il santo Rosario, nel quale l’anima non si stanca di ripetere le stesse cose, come non se ne stancano gli innamorati che si amano veramente, e in cui si impara a rivivere i momenti centrali della vita del Signore. Altri ancora si sono abituati a dedicare alla Madonna un giorno della settimana — proprio il giorno in cui siamo oggi riuniti, il sabato — come un’occasione per offrirle qualche piccola attenzione e per meditare più intensamente sulla sua maternità.

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Omelia per la Domenica delle Palme di San Josemaría: la lotta interiore

Posté par atempodiblog le 12 avril 2014

La lotta interiore di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: San Josemaría Escrivá 

Omelia per la Domenica delle Palme di San Josemaría: la lotta interiore dans Commenti al Vangelo ingresso_ges_a_gerusalemme

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73 pixtrans dans San Josemaria Escriva' de Balaguer Al pari di ogni festa cristiana, quella che oggi celebriamo è soprattutto una festa di pace. I rami d’ulivo, nel loro antico simbolismo, evocano un episodio narrato nel libro della Genesi: Noè attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca, e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra                 (Gn 8, 10-11). Ora ricordiamo che l’alleanza tra Dio e il suo popolo è riconfermata e stabilita in Cristo, perché Egli è la nostra pace (Ef 2, 14). Nella meravigliosa unità della Liturgia della Santa Chiesa Cattolica, che ricapitola il vecchio e il nuovo, noi leggiamo oggi parole di profonda gioia: Le folle degli Ebrei, portando rami d’ulivo, andavano incontro al Signore e acclamavano a gran voce: « Osanna all’Altissimo Dio » (antifona alla distribuzione delle palme).
L’acclamazione a Gesù rievoca nel nostro spirito quella che ne salutò la nascita a Betlemme. Via via che egli avanzava — narra san Luca — stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: « Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli! » (Lc 19, 36-38).
Pax in coelo! Ma gettiamo uno sguardo anche sul mondo. C’è forse pace sulla terra? No, non c’è. Vi è una pace apparente, l’equilibrio della paura, dei compromessi precari. Non c’è pace nemmeno nella Chiesa, così scossa da tensioni che lacerano la bianca tunica della Sposa di Cristo. Non c’è pace in tanti cuori che tentano invano di compensare l’inquietudine dell’anima con un’attività incessante, con la minuscola soddisfazione di beni che non saziano, perché lasciano dietro di sé il sapore amaro della tristezza.
Le palme — scrive Sant’Agostino — sono segno di trionfo, perché indicano la vittoria. Il Signore avrebbe vinto morendo sulla Croce. Nel segno della Croce avrebbe trionfato sul diavolo, principe della morte (SANT’AGOSTINO, In Ioannis Evangelium tractatus, 51, 2 [PL 35, 1764]). Gesù è la nostra pace perché Egli ha vinto. Ha vinto perché ha combattuto la dura battaglia contro tutto il cumulo di malizia dei cuori umani.
Cristo, nostra pace, è anche Via (cfr Gv 14, 6). Se vogliamo la pace, dobbiamo seguire i suoi passi. La pace è la conseguenza della guerra, della lotta. Lotta ascetica, intima, che ogni cristiano è tenuto a sostenere contro tutto ciò che nella sua vita non viene da Dio: la superbia, la sensualità, l’egoismo, la superficialità, la meschinità del cuore. È inutile reclamare la serenità esteriore quando manca la tranquillità nella coscienza, nell’intimo dell’anima, perché dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie (Mt 15, 19). 
74 pixtrans Ma questo linguaggio non suonerà antiquato? Non è stato forse sostituito da parole d’occasione, da cedimenti personali rivestiti di orpelli falsamente scientifici? Non vige ormai un tacito accordo secondo cui i veri beni sono il denaro che compra tutto, il potere temporale, la furbizia di rimanere sempre sulla cresta dell’onda, la sapienza umana che si autodefinisce adulta e ritiene di aver superato il sacro?
Non sono mai stato né sono pessimista, perché la fede mi dice che la vittoria di Cristo è definitiva e che Egli ci ha dato, a garanzia della sua conquista, un comando che per noi è un impegno: lottare. Noi cristiani siamo vincolati da un impegno d’amore liberamente accettato quando abbiamo accolto la chiamata della grazia divina; siamo vincolati da un obbligo che ci spinge a lottare tenacemente, perché sappiamo bene di essere fragili, al pari degli altri uomini. Ma sappiamo anche che, adoperando i mezzi, saremo il sale, la luce, il lievito del mondo: saremo la consolazione di Dio.
La nostra volontà di perseverare con fermezza in questo proposito d’amore è inoltre un dovere di giustizia. Il modo pratico di corrispondere a questa esigenza, comune a tutti i fedeli, è una battaglia incessante. La tradizione della Chiesa ha sempre considerato i cristiani come milites Christi, soldati di Cristo. Soldati che portano agli altri la serenità mentre combattono costantemente le proprie cattive inclinazioni. Sovente, per scarso senso soprannaturale, per mancanza di fede pratica, non si vuol capire nulla della vita presente concepita come milizia. Si insinua maliziosamente che, considerandoci milites Christi, corriamo il pericolo di servirci della fede per fini temporali di sopraffazione e di parte. Questo modo di pensare è una deprecabile e irragionevole semplificazione che va di pari passo con la comodità e la viltà.
Non c’è niente di più estraneo alla fede cristiana del fanatismo con cui vengono proposti strani connubi tra il profano e lo spirituale, qualunque ne sia il colore. Tale pericolo non esiste se per lotta si intende quello che Cristo ci ha insegnato, e cioè la guerra che ognuno deve combattere contro se stesso, lo sforzo sempre rinnovato di amare di più Dio, di respingere l’egoismo, di servire tutti gli uomini. Rinunciare a questa impresa, sotto qualunque pretesto, significa darsi per vinti anzitempo, restare annientati e senza fede, con l’anima abbattuta e dispersa in compiacenze meschine.
Per il cristiano, combattere la propria battaglia al cospetto di Dio e di tutti i fratelli nella fede, è la necessaria conseguenza della sua condizione. Se pertanto qualcuno non lotta, tradisce Gesù Cristo e il suo Corpo Mistico, che è la Chiesa. 
75 pixtrans La lotta del cristiano non ha soste, perché nella vita interiore si verifica quel continuo cominciare e ricominciare che impedisce che a un dato momento la superbia ci faccia considerare perfetti. È inevitabile che vi siano molte difficoltà nel nostro cammino; se non trovassimo ostacoli, non saremmo creature di carne ed ossa. Vi saranno sempre delle passioni pronte a trascinarci in basso, e dovremo sempre difenderci da tali deliri, più o meno veementi.
Il fatto di sentire nel corpo e nell’anima il pungolo della superbia, della sensualità, dell’invidia, della pigrizia, dello spirito di sopraffazione, non dovrebbe costituire una scoperta. Si tratta di un male antico, sistematicamente verificato nella nostra esperienza personale; esso è il punto di partenza e l’atmosfera abituale per vincere in questo intimo sport, nella nostra corsa verso la casa del Padre. San Paolo insegna infatti: Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù, perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato (1 Cor 9, 26-27).
Per cominciare a sostenere la prova, il cristiano non deve aspettare segnali esterni o stati d’animo favorevoli. Nella vita interiore ciò che conta non sono gli stati d’animo, ma la grazia divina, la volontà, l’amore. Tutti i discepoli furono capaci di seguire Gesù nell’ora del trionfo a Gerusalemme, ma quasi tutti lo abbandonarono nell’ora ignominiosa della Croce.
Per amare sul serio è necessario essere forti, leali, avere il cuore saldamente ancorato alla fede, alla speranza e alla carità. Solo chi è inconsistente e fatuo muta capricciosamente l’oggetto dei suoi affetti, che in realtà non sono affetti, ma soddisfazioni egoistiche. Quando c’è amore c’è lealtà, vale a dire capacità di donazione, di sacrificio, di rinuncia. E nel bel mezzo della donazione, del sacrificio e della rinuncia, pur con il tormento delle contrarietà, si trovano la felicità e la gioia; una gioia che nulla e nessuno potrà toglierci.
In questa giostra d’amore, le cadute non devono avvilirci, ancorché fossero gravi, purché ci rivolgiamo a Dio nel Sacramento della Penitenza con dolore sincero e proposito retto. Il cristiano non è un collezionista fanatico di certificati di servizio senza macchia. Gesù Nostro Signore, che tanto si commuove dinanzi all’innocenza e alla fedeltà di Giovanni, si intenerisce allo stesso modo, dopo la caduta di Pietro, per il suo pentimento. Gesù, che comprende la nostra fragilità, ci attrae a sé guidandoci come per un piano inclinato ove si sale a poco a poco, giorno per giorno, perché desidera che il nostro sforzo sia perseverante. Ci cerca come cercò i discepoli di Emmaus, andando loro incontro; come cercò Tommaso per mostrargli e fargli toccare con le sue stesse mani le piaghe aperte sul suo corpo. Proprio perché conosce la nostra fragilità Gesù attende sempre che torniamo a Lui. 
76 pixtrans Ci dice san Paolo: Prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù (2 Tm 2, 3). La vita del cristiano è milizia, è guerra, bellissima guerra di pace che non assomiglia in nulla alle imprese belliche degli uomini, perché queste si ispirano alla divisione e all’odio, mentre la guerra che i figli di Dio combattono contro il proprio egoismo si fonda sull’unità e sull’amore. Noi — insegna infatti san Paolo — viviamo nella carne, ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio (2 Cor 10, 3-4). È la schermaglia senza tregua contro l’orgoglio, contro la prepotenza che ci dispone ad agire malamente, contro l’arroganza nel giudicare.
In questa domenica delle Palme, nel commemorare il giorno in cui il Signore dà inizio alla settimana decisiva per la nostra salvezza, mettiamo da parte le considerazioni superficiali, andiamo all’essenza, a ciò che è veramente importante. Ebbene, la nostra aspirazione è andare in Cielo. Altrimenti non c’è nulla che valga la pena. Per andare in Cielo è indispensabile la fedeltà alla dottrina di Cristo. Per essere fedeli è indispensabile insistere con costanza nella lotta contro gli ostacoli che si oppongono alla nostra felicità eterna.
So bene che, quando si parla di lotta, si erge dinanzi a noi la consapevolezza della nostra fragilità che ci fa prevedere le cadute e gli errori. Ma Dio mette in conto queste cose: mentre si cammina è inevitabile che si alzi la polvere della strada. Siamo creature, e come tali abbiamo tanti difetti. Direi che conviene che ve ne siano sempre: sono come un’ombra che fa sì che nell’anima, per contrasto, risaltino di più la grazia di Dio e il nostro sforzo di corrispondere al favore divino. Questo chiaroscuro ci fa più umani, più umili, più comprensivi, più generosi.
Cerchiamo di non ingannarci: se nella nostra vita costatiamo momenti di slancio e di vittoria, costatiamo pure momenti di decadimento e di sconfitta. Tale è stato sempre il pellegrinaggio terreno dei cristiani, non esclusi quelli che veneriamo sugli altari. Vi ricordate di Pietro, di Agostino, di Francesco? Non ho mai apprezzato quelle biografie che ci presentano — con ingenuità, ma anche con carenza di dottrina — le imprese dei santi come se essi fossero stati confermati in grazia fin dal seno materno. Non è così. Le vere biografie degli eroi della fede sono come la nostra storia personale: lottavano e vincevano, lottavano e perdevano; in tal caso, contriti, tornavano alla lotta.
Non sorprendiamoci di vederci sconfitti con relativa frequenza: di solito, o anche sempre, in cose di poca importanza ma che ci affliggono come se ne avessero molta. Quando c’è amor di Dio, quando c’è umiltà, quando c’è perseveranza e fermezza nella lotta, queste sconfitte non avranno mai molto peso. Non solo, ma verranno le vittorie, che saranno a nostra gloria agli occhi di Dio. Non esiste l’insuccesso quando si agisce con rettitudine di intenzione, quando si vuole compiere la volontà di Dio e si fa affidamento sulla sua grazia, consapevoli del nostro nulla. 
77 pixtrans Ma è in agguato un nemico potente che si oppone al nostro desiderio di incarnare fino in fondo la dottrina di Cristo: è la superbia, che cresce quando non cerchiamo di scoprire dietro agli insuccessi e alle sconfitte la mano benefica e misericordiosa del Signore. L’anima si vela allora di penombra — di triste oscurità — e si sente perduta. L’immaginazione inventa ostacoli irreali che si dissolverebbero se guardassimo le cose con un briciolo di umiltà. A motivo della superbia e dell’immaginazione l’anima si caccia a volte in tortuosi calvari, nei quali però non v’è Cristo, perché dove è il Signore si gode la pace e la gioia, anche quando l’anima è in carne viva e circondata da tenebre.
C’è un altro nemico ipocrita della nostra santificazione: l’idea che la battaglia interiore vada sferrata contro ostacoli straordinari, contro draghi che buttano fuoco dalle fauci. È un altro tranello dell’orgoglio: vogliamo lottare, ma con grande spettacolo, tra squilli di trombe e svettare di stendardi.
Dobbiamo convincerci che il nemico più grande della roccia non è il piccone o altro strumento di demolizione, per potente che sia: è quell’acqua insignificante che penetra, a goccia a goccia, tra le sue fenditure, fino a disgregarne la struttura. Il pericolo più grande per il cristiano è quello di disprezzare la lotta nelle cose piccole che penetrano a poco a poco nell’anima fino a renderla molle, fragile e indifferente, insensibile ai richiami di Dio.
Ascoltiamo il Signore: Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto (Lc 16, 10). È come se Egli ci ricordasse: lotta ogni istante in quei particolari in apparenza di poco conto, ma grandi al mio cospetto; vivi con precisione il compimento del dovere; sorridi a chi ne ha bisogno, anche se la tua anima è sofferente; dedica all’orazione il tempo necessario, senza ritagliarlo; va’ incontro a chi cerca il tuo aiuto; esercita la giustizia arricchendola con il garbo della carità.
Queste e altre simili sono le mozioni che ogni giorno sentiremo dentro di noi, come richiami silenziosi che ci spingono ad allenarci nello sport soprannaturale del dominio di noi stessi. Ci illumini la luce di Dio, facendoci percepire i suoi ammonimenti; ci aiuti Lui a lottare e sia al nostro fianco nella vittoria; non ci abbandoni al momento della caduta, perché con Lui potremo sempre rialzarci e continuare a combattere.
Non possiamo sostare. Il Signore ci chiede di lottare guadagnando sempre di più in prontezza, in profondità, in estensione. È nostro dovere superarci, perché in questa prova c’è un’unica meta, la gloria del Cielo: se non la raggiungiamo, tutto sarà stato inutile. 
78 pixtrans Colui che vuole lottare fa uso dei mezzi appropriati. E i mezzi, in venti secoli di cristianesimo, non sono cambiati: preghiera, mortificazione e pratica dei Sacramenti. Poiché anche la mortificazione è orazione — preghiera dei sensi — possiamo indicare questi mezzi con due sole parole: preghiera e Sacramenti.
Vorrei ora che considerassimo insieme quella sorgente di grazia divina, quella meravigliosa manifestazione della misericordia di Dio che sono i Sacramenti. Meditiamo lentamente la definizione che di essi dà il Catechismo di san Pio V: Segni sensibili che producono la grazia, e al tempo stesso la manifestano, come ponendola dinanzi agli occhi (Catechismo romano del Concilio di Trento, II, cap. I, 3). Dio Nostro Signore è infinito, il suo amore è inesauribile, la sua clemenza e la sua pietà verso di noi non hanno limiti: e benché ci conceda la sua grazia in tanti altri modi, ha istituito espressamente e liberamente — solo Lui poteva farlo — quei sette segni efficaci per mezzo dei quali, in modo stabile, semplice e accessibile a tutti, gli uomini possono partecipare ai meriti della Redenzione.
Quando si abbandonano i Sacramenti, la vera vita cristiana si estingue. E tuttavia, specialmente ai nostri giorni, è palese che molti dimenticano e persino disprezzano questo flusso redentore di grazia che Cristo ci offre. È doloroso parlare di questa piaga della società che si chiama cristiana, ma è necessario, se vogliamo che nelle nostre anime si consolidi il desiderio di ricorrere con più amore e più gratitudine a queste sorgenti di santificazione.
Non manca oggi chi decide, senza scrupolo alcuno, di rinviare il Battesimo dei neonati e — perpetrando un grave attentato alla giustizia e alla carità — li priva della grazia della fede, del tesoro inestimabile della presenza della Trinità Beatissima nell’anima che viene al mondo macchiata dal peccato originale. Costoro pretendono anche di svilire la natura peculiare del Sacramento della Cresima che la Tradizione, con insegnamento unanime, considera come un irrobustimento della vita spirituale, un’effusione tacita e feconda dello Spirito Santo perché l’uomo, fortificato soprannaturalmente, possa lottare come soldato di Cristo — miles Christi — nella battaglia interiore contro l’egoismo e la concupiscenza.
Quando si perde sensibilità per le cose di Dio, sarà pure difficile comprendere il Sacramento della Penitenza. La confessione sacramentale non è un dialogo umano, ma un colloquio divino; è un tribunale di sicura e divina giustizia, ma soprattutto di misericordia, con un giudice che, nel suo amore, non gode della morte del peccatore, ma desidera che si converta e viva (Ez 33, 11).
È veramente infinita la tenerezza di Nostro Signore. Guardate con quanta delicatezza tratta i suoi figli. Ha fatto del Matrimonio un vincolo santo, l’immagine dell’unione di Cristo con la sua Chiesa (cfr Ef 5, 32), un Sacramento grande, su cui si fonda la famiglia cristiana perché sia, con la grazia di Dio, un ambito di pace e di concordia, una scuola di santità. I genitori sono i cooperatori di Dio: è questo il fondamento dell’amabile dovere di venerazione cui i figli sono tenuti a corrispondere. Ben a ragione il quarto comandamento può essere chiamato — come ho scritto molti anni fa — precetto dolcissimo del decalogo. Quando si vive il matrimonio come Dio vuole, santamente, il focolare sarà un angolo di pace luminoso e allegro. 
79 pixtrans Per mezzo dell’Ordine Sacro, Dio nostro Padre ha reso possibile che alcuni fedeli, in virtù di una nuova e ineffabile infusione dello Spirito Santo, ricevano nell’anima un carattere indelebile che li configura a Cristo Sacerdote perché possano agire in nome di Gesù, Capo del Corpo Mistico (cfr CONCILIO DI TRENTO, Sessione XXIII, c. 4; CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum ordinis, 2). Grazie al loro sacerdozio ministeriale, che differisce dal sacerdozio comune dei fedeli non solo in grado, ma nell’essenza (cfr CONCILIO VATICANO II, Cost. Lumen Gentium, 10), i ministri sacri possono consacrare il Corpo e il Sangue di Cristo, offrire a Dio il Santo Sacrificio, perdonare i peccati nella confessione sacramentale ed esercitare il ministero della dottrina in iis quae sunt ad Deum (Eb 5, 1), in tutto e soltanto ciò che concerne Dio.
Pertanto il sacerdote deve essere esclusivamente un uomo di Dio, deve respingere la tentazione di affermarsi in campi nei quali i fedeli non hanno bisogno di lui. Il sacerdote non è uno psicologo, né un sociologo, né un antropologo: è un altro Cristo, lo stesso Cristo, con il compito di prendersi cura delle anime dei suoi fratelli. Sarebbe triste che il sacerdote, basandosi su una scienza umana che potrà coltivare solo superficialmente se, al tempo stesso, si dedica al suo ministero, si ritenesse senz’altro autorizzato a pontificare in materia di teologia dogmatica e morale. Dimostrerebbe unicamente la sua duplice ignoranza — sia nella scienza umana che in quella teologica — anche se il suo superficiale rivestimento di sapienza riuscisse a trarre in inganno taluni lettori o uditori sprovveduti.
È di pubblico dominio il fatto che taluni ecclesiastici sembrano oggi disposti a fabbricare una nuova Chiesa, tradendo Cristo, barattando i fini spirituali — la salvezza delle anime, una per una — con fini temporali. Se non superano questa tentazione, tralasceranno il compimento del sacro ministero, perderanno la fiducia e il rispetto del popolo e causeranno una tremenda desolazione in seno alla Chiesa; intromettendosi per di più, indebitamente, nella libertà politica dei fedeli e degli altri uomini, arrecheranno confusione nella convivenza civile, rendendosi pericolosi anche in questo ambito. L’Ordine Sacro è il Sacramento del servizio soprannaturale ai fratelli nella fede; sembra che taluni vogliano mutarlo in strumento terreno di un nuovo dispotismo. 
80 pixtrans Ma continuiamo a contemplare la meravigliosa realtà dei Sacramenti. Nell’Unzione degli Infermi — come oggi viene chiamata l’Estrema Unzione — assistiamo a una preparazione piena d’amore al viaggio che avrà termine nella casa del Padre. Infine, nella Sacra Eucaristia, che potremmo chiamare Sacramento della suprema benignità divina, Dio ci concede la sua grazia donando Se stesso: Gesù Cristo, realmente presente, sempre — e non soltanto durante la Santa Messa — con il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità.
Penso sovente alla responsabilità che grava sui sacerdoti di assicurare a tutti i fedeli l’accesso alla sorgente divina dei Sacramenti. La grazia di Dio si fa incontro ad ogni singola anima; ogni creatura richiede un’assistenza concreta e personale. Le anime non si possono trattare in massa! Non è lecito offendere la dignità umana e la dignità dei figli di Dio non soccorrendo personalmente ciascuno con l’umiltà di chi sa di essere strumento per amministrare l’amore di Cristo. Perché ogni singola anima è un tesoro meraviglioso; ogni uomo è unico, insostituibile. Ogni uomo vale tutto il sangue di Cristo.
Stavamo parlando di lotta. Sappiamo che essa richiede allenamento, alimentazione adeguata, medicine urgenti in caso di infermità, di contusioni, di ferite. I Sacramenti, medicina principale della Chiesa, non sono superflui: quando vengono abbandonati volontariamente, non è possibile fare un solo passo nel cammino al seguito di Gesù. Ne abbiamo bisogno come abbiamo bisogno della respirazione, della circolazione del sangue, della luce. Ne abbiamo bisogno per saper cogliere in ogni istante ciò che il Signore vuole da noi.
L’ascetica esige fortezza, e il cristiano trova la fortezza nel Creatore. Siamo oscurità, ed Egli è vivissimo splendore; siamo infermità, ed Egli è vigorosa salute; siamo miseria, ed Egli è infinita ricchezza; siamo debolezza, ed Egli ci sostiene, quia tu es, Deus, fortitudo mea (Sal 42, 2): tu sei sempre, mio Dio, la nostra fortezza. Non c’è nulla quaggiù che possa opporsi allo sgorgare impaziente del Sangue redentore di Cristo. Ma la nostra piccolezza può offuscarci lo sguardo al punto di non avvertire più la grandezza divina. Ecco dunque la responsabilità di tutti i fedeli, specialmente di coloro che hanno il compito di guidare spiritualmente — di servire — il Popolo di Dio, di non soffocare le fonti della grazia, di non vergognarsi della Croce di Cristo. 
81 pixtrans Nella Chiesa di Dio lo sforzo costante di essere sempre più leali alla dottrina di Cristo è un obbligo per tutti. Nessuno ne è esente. Qualora i pastori non lottassero faccia a faccia con se stessi per acquistare sensibilità di coscienza, rispetto e fedeltà al dogma e alla morale — che costituiscono il deposito della fede, il patrimonio comune — acquisterebbero realtà le parole profetiche di Ezechiele: Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: « Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana… Non avete reso le forze alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza » (Ez 34, 2-4).
Il rimprovero è duro, ma più grave è l’offesa che si fa a Dio quando — avendo avuto la missione di vegliare sul bene spirituale di tutti — si maltrattano le creature privandole dell’acqua pura del Battesimo che rigenera l’anima, del balsamo della Confermazione che la fortifica, del tribunale che perdona, dell’alimento che dà la vita eterna.
Quando accadono queste cose? Quando si abbandona la guerra di pace, la lotta interiore. Chi non combatte si espone a ogni forma di schiavitù capace di incatenare i nostri cuori di carne: la schiavitù della visione puramente umana, la schiavitù del desiderio affannoso di potenza e di prestigio temporale, la schiavitù della vanità, la schiavitù del denaro, la servitù della sensualità…
Qualora vi imbattiate in pastori indegni di questo nome — e Dio può permettere questa prova — non scandalizzatevi. Cristo ha promesso alla sua Chiesa un’assistenza infallibile, ma non ha garantito la fedeltà degli uomini che la compongono. Ad essi non mancherà la grazia — abbondante, generosa — se mettono, da parte loro, quel poco che Dio chiede: vigilanza attenta e sforzo per togliere di mezzo, sempre con la grazia di Dio, gli ostacoli alla santità. Quando manca lotta, anche chi sembra collocato in alto può trovarsi molto in basso agli occhi di Dio. Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti  (Ap 3, 1-3).
Sono esortazioni che l’Apostolo Giovanni rivolge nel primo secolo a chi era a capo della Chiesa nella città di Sardi. L’eventuale decadimento del senso di responsabilità in alcuni pastori non è quindi un fenomeno legato ai nostri giorni; si manifesta già al tempo degli Apostoli, nello stesso secolo in cui Gesù Cristo Nostro Signore era vissuto sulla terra. Nessuno può ritenersi sicuro se tralascia di combattere contro se stesso. Nessuno può salvarsi da solo. Nella Chiesa tutti abbiamo bisogno dei mezzi concreti che ci fortificano: l’umiltà, che ci dispone ad accettare l’aiuto e il consiglio; la mortificazione, che prepara il cuore perché vi regni Cristo; lo studio della dottrina sicura di sempre, che ci aiuta a conservare la fede e a propagarla. 
82 pixtrans La liturgia della domenica delle Palme pone sulle labbra dei fedeli questa acclamazione: O porte, alzate i vostri architravi; alzatevi, o porte antiche, perché deve entrare il Re della gloria! (antifona alla distribuzione delle palme). Chi resta chiuso nella cittadella del proprio egoismo non scenderà sul campo di battaglia. Se invece alza le porte del proprio castello e lascia entrare il Re della pace, scenderà poi con Lui a combattere contro tutta la miseria che offusca gli occhi e rende insensibile la coscienza.
Alzatevi, o porte antiche! La necessità della lotta non è una novità nel cristianesimo. È la verità perenne: senza lotta non si conquista la vittoria, senza vittoria non si raggiunge la pace. Senza pace la gioia umana sarà soltanto apparente, falsa, sterile; sarà gioia che non si trasforma in aiuto agli uomini, né in opere di carità e di giustizia, né di perdono e di misericordia, né di servizio a Dio.
Si ha l’impressione che oggi, dentro la Chiesa e fuori, in alto come in basso, molti abbiano rinunciato alla lotta — alla guerra contro se stessi, contro le proprie inclinazioni — per consegnarsi, armi e bagagli, in potere di servitù che avviliscono l’anima. È un pericolo che minaccia da sempre tutti i fedeli.
È necessario pertanto ricorrere insistentemente alla Trinità Beatissima perché abbia compassione di noi tutti. Parlando di queste cose, mi sento turbato nel riferirmi alla giustizia di Dio. Ricorro piuttosto alla sua misericordia, alla sua compassione, perché non guardi i nostri peccati, ma i meriti di Cristo e quelli della sua Santissima Madre — che è anche Madre nostra — del santo Patriarca Giuseppe che gli fece da padre, e di tutti i santi.
Il cristiano può essere ben sicuro che se desidera lottare, il Signore — come leggiamo nella Messa della festa odierna — lo terrà per la mano destra. Gesù, che entra in Gerusalemme cavalcando, Re di pace, un povero asinello, è colui che disse: Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (Mt 11, 12). Questa forza non è una violenza contro gli altri: ma fortezza per combattere le proprie debolezze e le proprie miserie, coraggio di non mascherare le proprie infedeltà, audacia per confessare la fede anche quando l’ambiente è ostile.
Oggi, come ieri, dal cristiano ci si attende eroismo. Eroismo in grandi conflitti, se è necessario; ed eroismo — più consueto — nelle piccole avvisaglie di ogni giorno. Quando si lotta assiduamente, con Amore, fin nelle cose piccole, in modo tale che la lotta sembri impercettibile, il Signore è sempre accanto ai suoi figli come pastore pieno d’amore: Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata… Abiteranno in piena sicurezza nella loro terra. Sapranno che io sono il Signore, quando avrò spezzato le spranghe del loro giogo e li avrò liberati dalle mani di coloro che li tiranneggiano (Ez 34, 15-16 e 27).

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Contrizione e confessione

Posté par atempodiblog le 9 avril 2014

Contrizione e confessione dans Fede, morale e teologia Confessare

«Ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno». Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale. Inoltre, la chiesa raccomanda vivamente la confessione regolare dei peccati veniali, perché ci aiuta a formare la coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito.

L’appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella vita dei cristiani. Questa seconda conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori e che, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento (cfr. Lumen Gentium 8). Questo è il dinamismo del «cuore contrito» (Sal 51,19), attirato e mosso dalla grazia (cfr. Gv 6,44; 12,32) a rispondere all’amore misericordioso di Dio che ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,10).

Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta «del figlio prodigo» il cui centro è «il padre misericordioso»: il fascino di una libertà illusoria, l’abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l’umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno; l’accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L’abito bello, l’anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di gioia che è la vita dell’uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza.
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1428; 1439; 1458.

Tratto da: San Josemaría Escrivá 

Confidare nel potere di Dio
In questa giostra d’amore, le cadute non devono avvilirci, ancorché fossero gravi, purché ci rivolgiamo a Dio nel Sacramento della Penitenza con dolore sincero e proposito retto. Il cristiano non è un collezionista fanatico di certificati di servizio senza macchia. Gesù Nostro Signore, che tanto si commuove dinanzi all’innocenza e alla fedeltà di Giovanni, si intenerisce allo stesso modo, dopo la caduta di Pietro, per il suo pentimento. Gesù, che comprende la nostra fragilità, ci attrae a sé guidandoci come per un piano inclinato ove si sale a poco a poco, giorno per giorno, perché desidera che il nostro sforzo sia perseverante.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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San Giuseppe, maestro di vita interiore

Posté par atempodiblog le 2 mars 2014

San Giuseppe, maestro di vita interiore dans Citazioni, frasi e pensieri 25iodjb

San Giuseppe è realmente un padre e signore che protegge e accompagna nel cammino terreno coloro che lo venerano, come protesse e accompagnò Gesù che cresceva e diveniva adulto. Dall’intimità con lui si scopre inoltre che il santo Patriarca è maestro di vita interiore: ci insegna infatti a conoscere Gesù, a convivere con Lui, a sentirci parte della famiglia di Dio. San Giuseppe ci insegna tutto ciò apparendoci così come fu: un uomo comune, un padre di famiglia, un lavoratore che si guadagna la vita con lo sforzo delle sue mani. E anche questo fatto ha per noi un significato che è motivo di riflessione e di gioia.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Rendere amabile e facile il cammino agli altri

Posté par atempodiblog le 18 février 2014

“Proposito sincero: rendere amabile e facile il cammino agli altri, dal momento che la vita reca già abbastanza amarezze”.

Rendere amabile e facile il cammino agli altri dans Citazioni, frasi e pensieri r269hu

La nostra carità deve essere anche affetto, calore umano. Ce lo insegna Gesù.  Se il cristiano non ama con le opere, è fallito come cristiano; ed è come dire che è fallito anche come uomo. Non puoi pensare agli altri come fossero dei numeri o degli scalini per arrampicarsi; oppure come fossero massa da esaltare o da umiliare, da adulare o disprezzare, a seconda dei casi. Prima di ogni altra cosa, devi pensare agli altri, a coloro che ti sono vicini, stimandoli per quello che sono: figli di Dio, con tutta la dignità di questo titolo meraviglioso.

Con i figli di Dio dobbiamo comportarci come figli di Dio: il nostro amore deve essere abnegato, quotidiano, ricco di mille sfumature di comprensione, di sacrificio silenzioso, di donazione nascosta. È questo il bonus odor Christi che faceva dire a quelli che vivevano tra i primi fratelli nella fede: Guardate come si amano!

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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