Giuseppe, sposo di Maria, era uomo giusto

Posté par atempodiblog le 3 mars 2012

Giuseppe, sposo di Maria, era uomo giusto dans Angeli

Se, per gli uomini grandi, fu sempre un nobilissimo vanto l’avere un eccellente oratore, che con squisita eloquenza ne lodasse il merito e la virtù, quale onore è per S. Giuseppe l’avere avuto come oratore lo stesso Dio, cioè Colui che, solo fra tutti, né può esagerare, né può mentire, né può errare.

Ascoltiamo, dunque, dall’eterna Verità il nobilissimo elogio di S. Giuseppe: egli viene chiamato dallo Spirito Santo, quasi per antonomasia, « il giusto »: Joseph autem cum esset justus. Ma che significa questo nome: giusto? Parli S. Girolamo che nello spiegare le scritture fu il massimo dottore, perciò degno di essere ascoltato con piena fiducia: Josephum vocari justum attendite , e per qual merito? Non per una sola virtù, non per molte, ma per tutte, e per di più tutte ottenute in perfetto grado: propter omnium virtutum perfectam possessionem . Che può dirsi di più di un uomo, che egli possiede ogni perfezione, e perfettamente? Non vi pare questo un elogio sublime?

Non per dubitare di ciò che è certo, cioè che Giuseppe fu giusto, ma per vedere a quale altezza di perfezione Giuseppe venne elevato da Dio, con la sua cooperazione alla grazia, faremo insieme alcune considerazioni. E poiché poco ci è noto della sua vita, niente della sua morte, cercheremo di intrattenerci soltanto su quello che sappiamo. Egli fu sposo della Vergine Maria, vir ejus; per tale lo si venera; e per essere tale noi potremo presupporre in lui qualsiasi perfezione e dimostrare che egli fu quello sposo fortunatissimo di cui scrisse l’Ecclesiastico: mulieris bonae beatus vir .

Giuseppe fu dunque sposo di Maria Vergine: Mulieris bonae, o meglio, Mulieris optimae; sposo datole singolarmente da Dio. Conviene dunque che egli non solo per stirpe, che fu reale, ma per stile di vita, per inclinazioni e per indole rassomigliasse più d’ogni altro uomo alla Vergine SS., poiché è noto che, in primo luogo, fra sposo e sposa si cerca la somiglianza, quindi si deduce, con alcuni segnalati Dottori, che Giuseppe è stato santificato fin dal seno materno.

Quantunque non si abbia di ciò infallibile certezza, mi pare giusto che ciò si possa pensare di colui che doveva essere dato alla Vergine per consorte, ed in conseguenza, dichiarato anche l’uomo a Lei più conforme. Altrimenti sarebbero stati a Lei più simili sia un Geremia profeta, sia un Giovanni Battista i quali furono santificati prima che nascessero. Per quale motivo a questi due doveva essere concesso un tal privilegio, mentre fosse poi negato a colui che doveva essere non profeta o precursore di Gesù Cristo, ma custode e padre putativo? E’ insegnamento di S. Tommaso che ogni cosa quanto più si avvicina al suo principio, tanto più perfettamente partecipa delle prerogative e delle proprietà singolari dello stesso suo principio. Così quel pianeta che è più prossimo al sole, è più folgoreggiante; quel calore che è più prossimo al fuoco, è più intenso, e così l’acqua è più cristallina e più limpida, quanto più la prendete vicino alla fonte. Ma se è così, come si può dubitare che quel Giuseppe, il quale è stato, per affinità e per ufficio, così unito a Cristo, sorgente di ogni santità, ne abbia poi partecipato in minor pienezza o con minor perfezione di quelli che furono più lontani dalla stessa sorgente? Chi, se togliamo la Vergine, trattò con Cristo più intimamente di Giuseppe? chi più di lui lo strinse al suo seno? chi più di lui poté baciarlo, accarezzarlo, goderne la compagnia e l’aiuto? Da questo principio bellissimo si deduce chiaramente che non solamente egli fosse santificato, come volevamo provare, nel seno materno, ma che fosse poi anche stabilito in grazia, in modo che nessun uomo sulla terra sia stato più santo di lui. Né vogliate, per questo, tacciarmi di temerario e di esagerato, poiché tale asserzione non è mia, ma di un Giovanni Gersone, di un Bernardino da Busto, di un S. Giovanni da Cartagena, di un S. Isidoro Isolano, e finalmente di un Suarez, il cui pensiero equivale a quello di un’intera università; i quali tutti concordemente asseriscono che Giuseppe fu più santo di qualunque altro uomo, eccettuata però sempre la sua sposa Maria. Che se voi mi opponete che non vi è stato mai nel mondo, come disse Cristo stesso, uomo maggiore di S. Giovanni Battista, io vi rispondo col Suarez, che nelle universali asserzioni, non vengono mai compresi, a rigor di legge, quei che, a causa di dignità sublimissima, s’intendono sempre eccettuati. Nessuno può negare che, nel caso nostro, si debba stimare tale Giuseppe, cioè colui, quem constituit Dominus super familiam suam . Ma su quale famiglia? Su quella che appartiene immediatamente al servizio dell’unione ipostatica. Si può, dunque, con ragione ripetere di Giuseppe, che nessuno probabilmente lo superò nella santità; anzi che egli superò in santità qualunque altra persona; e ciò non solo per le ragioni addotte fin qui, ma più ancora per quelle, ancora più splendide che sto per dire.

Come sapete, l’unione sponsale, richiede che la consorte non ami alcuno più caramente del marito. A nessuno ella dovrebbe pensare con maggior assiduità, per nessuno ella dovrebbe pregare con maggior ardore e desiderare per lui non minor vantaggi che a se stessa. Or chi c’è tra voi che possa dubitare che Maria non adempisse questo suo debito interamente? Non si comportò forse Giuseppe verso di Lei con una singolarissima tenerezza? Non faticò per Lei? Non si espose a mille disagi per salvarla? Io, dunque, affermo con convinzione, che Maria a nessun altro uomo portasse amore più grande, più intimo, più cordiale che a S. Giuseppe. Perciò quanto Ella doveva pregare per lui! Quanto ottenergli di grazia; quanto impetrargli di gloria, che è il bene sopra ogni altro desiderabile! Poiché la santità della donna, non so come, ha una forza tale, che per se stessa viene spesso a trasfondersi nel marito, anche se cattivo, secondo l’insegnamento di S. Paolo: vir infidelis santificatur per mulierem , possiamo noi credere con ragione che la santità di Maria, che fu così eccelsa, si trasfondesse abbondantemente anche nel cuore di Giuseppe, già disposto per sua natura alla santità. E come infatti non trasfondersi? E’ evidente che la semplice vista, anche casuale, di una persona da noi tenuta in conto di grande virtù, ci stimola fortemente ad imitarla; infatti di S. Luciano, nei suoi fasti sacri, si legge che col solo suo volto convertiva i gentili alla fede di Cristo, come altri li convertivano coi prodigi.

Non solo l’affetto personale verso i giusti, ma anche quello verso la loro effigie, possiede spessissimo una tale forza. Specialmente le immagini della Vergine noi sappiamo che operano nel cuore degli uomini effetti ammirabili: convertendo gli ostinati, infiammando i tiepidi, incoraggiando i tentati, e sempre suscitando nei cuori santi, sentimenti ardentissimi di carità, di pietà, di onestà, di mortificazione, di fede, di verecondia, come attesta di aver sperimentato in sé S. Bernardino da Siena. Che fervore, dunque, anzi che vampe di carità si suscitavano nell’animo di Giuseppe, il quale aveva notte e giorno dinanzi agli occhi, non l’immagine ma la persona vivissima di Maria, e parlava con Lei, e l’udiva, e l’accompagnava dovunque andasse, e con Lei abitava in una medesima casa, e con Lei mangiava ad un’unica mensa!

Vogliamo noi credere che egli non approfittasse di una opportunità così straordinaria per divenire santo?

Ma più ancora. E’ legge universale, da tutti riconosciuta, che chiunque si sposa con una regina, fosse pure un semplice pastorello, diventa re, e viene in possesso di tutti quei tesori, di tutti quei titoli, che porta con sé la dignità reale. Chi può mettere in dubbio che Maria è la regina di tutti i santi, come la chiama la santa Chiesa: Regina Sanctorum Omnium? Ma se Maria è regina di tutti i santi, conviene dunque che il suo Giuseppe sia il re di tutti i santi; e se egli è il re dei savi, dei forti, dei belli, non conviene che superi tutti gli altri in sapere, in fortezza, in beltà? E’ sufficiente, dunque, dire che il grande Giuseppe fu sposato alla Vergine, per affermare che in lui vi è ogni genere di virtù: che egli ha raggiunto un’altissima santità; che in lui risplende una dignità sovrumana, un decoro angelico.

Ma più ancora. Quel Dio dal quale dipendono tutte le creature, quel Dio che signoreggia i cieli, Quegli a cui si sottomettono riverenti tutti i principi, questo Dio stesso, per apparire quale figlio di Giuseppe, volle ubbidirgli, volle stare sotto la sua autorità domestica, sotto la sua direzione paterna e, come se non fosse capace di autogovernarsi, si volle a lui assoggettare: et erat subditus illis . Deducete voi qual candore, quale prudenza, quale abilità dovette avere chi venne eletto non solo per essere custode fedele dell’integrità verginale della sua sposa Maria, ma anche alla tutela del Dio fatto uomo! Sì, a Giuseppe fu consegnato dal cielo il Bambino Gesù perché lo scampasse dalle insidie dei persecutori, perché lo accompagnasse per vie difficili, per solitudini ignote, perché lo provvedesse di vitto, lo fornisse di vestito, gli procurasse una casa. Vi pare perciò che a tanto ufficio, per il quale sarebbe stata inadatta la carità degli stessi serafini, non dovesse il cielo ritenere molto adatto un sì grande uomo?

Senza dubbio Giuseppe adempì così bene l’ufficio che gli fu dato, non solo nel governare il suo Dio bambino, ma nel custodirlo, che poté giungere a dirgli con verità: « Voi mi dovete la vita »; perché quantunque non gliela avesse data, gliela aveva però conservata. Un uomo, al quale Dio doveva la sua vita, non doveva essere un uomo da Dio privilegiato, a Dio vicino e, in un modo straordinario, a Lui caro? Perciò, se per questa pura ragione, Mardocheo, come voi sapete, venne esaltato da Assuero con onori regali nel suo grande regno, non posso io credere che sia stato esaltato Giuseppe, da Gesù, nel suo regno celeste? Mardocheo non fece altro che un atto di fedeltà nel rivelare le insidie tramate contro la vita del monarca; Giuseppe invece fece molto di più, perché, non solamente rivelò le insidie, appena le seppe dall’Angelo, ma con la sua rara accortezza le deluse, le vanificò. Sempre più ritengo per probabile che in cielo egli goda i primi onori; sia pure inferiori alla Vergine sua Sposa, ma possegga anche lui il suo trono, porti il suo scettro e cinga anch’egli la sua corona come re, suddito solamente al Re dei re.

Né vi stupite di ciò, poiché Giuseppe è fra tutti gli altri uomini in così alto grado che non si può parlare di lui come degli altri. Tutti gli altri uomini, dopo che avranno fatto per Iddio quanto possono o quanto sanno, conviene che alla fine umilmente dicano: servi inutiles sumus : poiché nessuno vi è che possa recare a Dio alcun giovamento.

Ma, prodigi inauditi! Queste regole così universali, non valgono per Giuseppe. Egli solo può dire a Dio di non essergli stato servo inutile, ma importante e necessario poiché egli con i suoi sudori fece sì che non si vedesse un Dio mendico. Egli fece sì che Dio non morisse di fame, che Dio non gelasse dal freddo, che Dio non arrossisse per nudità. In tutte le necessità fu lui che diede al Dio-Uomo pronto soccorso.

Ora, se otterranno da Cristo, secondo la divina promessa, grande premio coloro che avranno soccorso Lui nei suoi poveri, quanto più abbondantemente sarà ricompensato colui che l’avrà soccorso nella sua persona? Chi accoglie in casa sua il profeta, in nome del profeta, avrà la mercede del profeta; chi riceve il giusto, in nome del giusto, ugualmente avrà la ricompensa del giusto; e perché dunque colui che ricevette Dio in nome di Dio, non riceverà la mercede di Dio, cioè una mercede proporzionata alla grandezza dell’Ospite che egli accolse?

Che se Giuseppe è quel santo così nobile, così sublime e, come molti vogliono, superiore ad ogni altro santo, chi tra voi, mie figlie, che fra tutti i suoi cari santi avvocati particolari, non voglia in primo luogo avere Giuseppe? Gli altri santi hanno, è verissimo, grande autorità presso Gesù Cristo, ma domandano, non comandano. S. Giuseppe, invece, è in tale stato che, come animosamente parlò il Gersone, non impetra ma comanda: non impetrat, sed imperat . Non è inverosimile che Cristo anche in cielo conservi verso Giuseppe quell’amore filiale, se così è lecito dire, che Egli ebbe in terra. E perciò chi può dubitare che Gesù non accolga ogni supplica di S. Giuseppe, qual paterno comando, e come tale la esaudisca più prontamente che quella di qualunque altro? Ubbidiente come era in terra, così ora nel cielo? Tutte, dunque, mie figlie, tutte prendetelo per vostro protettore, con grande fiducia, poiché egli ha in sé sufficientissimi motivi per salvare tutte.

Prendetelo come vostro avvocato singolarissimo, per custodire più illibato il candore della vostra verginale purezza; per sopportare in pace i pesi della povertà evangelica e tutti i travagli e le tribolazioni di questa misera vita; per vivere tra voi con vicendevole carità; per condurre, insomma, una vita santa e irreprensibile, onde ottenere morendo un’agonia soave e consolante.

S. Giuseppe morì avendo da un lato Gesù e dall’altro Maria. Gesù e Maria gli chiusero gli occhi con le loro mani; e anche lui, come è molto credibile, morì di puro amore. Quali altri accenti dovette egli avere sulle labbra in quel momento se non questi così dolci: Gesù e Maria? Noi felici se egli impetrerà anche a noi un tale privilegio! Sì, chiediamoglielo istantemente e non dubitiamo; poiché, se egli vuole, ben può alla fine della nostra vita condurre nella nostra camera Gesù e Maria, e far sì che noi, vedendo loro, spiriamo quasi in un’estasi di amore; spiriamo tra le loro braccia; spiriamo, come io desidero a quante voi siete, con soavità celestiale, nel bacio del Signore, in osculo Domini. Amen.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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Una catechesi di Giovanni Paolo II su San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 1 mars 2012

GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 21 agosto 1996

Una catechesi di Giovanni Paolo II su San Giuseppe dans Angeli

1. Presentando Maria come “vergine”, il Vangelo di Luca aggiunge che era “promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe” (Lc 1, 27). Queste informazioni appaiono, a prima vista, contraddittorie.
Occorre notare che il termine greco usato in questo passo non indica la situazione di una donna che ha contratto il matrimonio e vive pertanto nello stato matrimoniale, ma quella del fidanzamento. A differenza di quanto avviene nelle culture moderne, però, nel costume giudaico antico l’istituto del fidanzamento prevedeva un contratto e aveva normalmente valore definitivo: introduceva, infatti, i fidanzati nello stato matrimoniale, anche se il matrimonio si compiva in pienezza allorché il giovane conduceva la ragazza nella sua casa.
Al momento dell’Annunciazione, Maria si trova dunque nella situazione di promessa sposa. Ci si può domandare perché mai abbia accettato il fidanzamento, dal momento che aveva fatto il proposito di rimanere vergine per sempre. Luca è consapevole di tale difficoltà, ma si limita a registrare la situazione senza apportare spiegazioni. Il fatto che l’Evangelista, pur evidenziando il proposito di verginità di Maria, la presenti ugualmente come sposa di Giuseppe costituisce un segno della attendibilità storica di ambedue le notizie.

2. Si può supporre che tra Giuseppe e Maria, al momento del fidanzamento, vi fosse un’intesa sul progetto di vita verginale. Del resto, lo Spirito Santo, che aveva ispirato a Maria la scelta della verginità in vista del mistero dell’Incarnazione e voleva che questa avvenisse in un contesto familiare idoneo alla crescita del Bambino, poté ben suscitare anche in Giuseppe l’ideale della verginità.
L’angelo del Signore, apparendogli in sogno, gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 20). Egli riceve così la conferma di essere chiamato a vivere in modo del tutto speciale la via del matrimonio. Attraverso la comunione verginale con la donna prescelta per dare alla luce Gesù, Dio lo chiama a cooperare alla realizzazione del suo disegno di salvezza.
Il tipo di matrimonio verso cui lo Spirito Santo orienta Maria e Giuseppe è comprensibile solo nel contesto del piano salvifico e nell’ambito di un’alta spiritualità. La realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione esigeva una nascita verginale che mettesse in risalto la filiazione divina e, al tempo stesso, una famiglia che potesse assicurare il normale sviluppo della personalità del Bambino.
Proprio in vista del loro contributo al mistero dell’Incarnazione del Verbo, Giuseppe e Maria hanno ricevuto la grazia di vivere insieme il carisma della verginità e il dono del matrimonio. La comunione d’amore verginale di Maria e Giuseppe, pur costituendo un caso specialissimo, legato alla realizzazione concreta del mistero dell’Incarnazione, è stata tuttavia un vero matrimonio (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris custos, 7).
La difficoltà di accostarsi al mistero sublime della loro comunione sponsale ha indotto alcuni, sin dal II secolo, ad attribuire a Giuseppe un’età avanzata e a considerarlo il custode, più che lo sposo di Maria. È il caso di supporre, invece, che egli non fosse allora un uomo anziano, ma che la sua perfezione interiore, frutto della grazia, lo portasse a vivere con affetto verginale la relazione sponsale con Maria.

3. La cooperazione di Giuseppe al mistero dell’Incarnazione comprende anche l’esercizio del ruolo paterno nei confronti di Gesù.
Tale funzione gli è riconosciuta dall’angelo che, apparendogli in sogno, lo invita a dare il nome al Bambino: “Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 21).
Pur escludendo la generazione fisica, la paternità di Giuseppe fu una paternità reale, non apparente. Distinguendo tra padre e genitore, un’antica monografia sulla verginità di Maria –  il De Margarita (IV sec.) – afferma che “gli impegni assunti dalla Vergine e da Giuseppe come sposi fecero sì che egli potesse essere chiamato con questo nome (di padre); un padre tuttavia che non ha generato”. Giuseppe dunque esercitò nei confronti di Gesù il ruolo di padre, disponendo di un’autorità a cui il Redentore si è liberamente “sottomesso” (Lc 2, 51), contribuendo alla sua educazione e trasmettendogli il mestiere di carpentiere.
Sempre i cristiani hanno riconosciuto in Giuseppe colui che ha vissuto un’intima comunione con Maria e Gesù, deducendo che anche in morte ha goduto della loro presenza consolante ed affettuosa. Da tale costante tradizione cristiana si è sviluppata in molti luoghi una speciale devozione alla Santa Famiglia ed in essa a san Giuseppe, Custode del Redentore. Il Papa Leone XIII gli affidò, com’è noto, il patrocinio su tutta la Chiesa.

© Copyright 1996 – Libreria Editrice Vaticana

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Marzo, mese dedicato a San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 1 mars 2012

Marzo, mese dedicato a San Giuseppe dans San Giuseppe

Questo mese si ricorda la festività di San Giuseppe (19 marzo). Questo bel dipinto (nella foto), davanti al quale nel 1873 san Leonardo Murialdo fondò la Congregazione di San Giuseppe, ci ricorda il sacrificio, l’amore e la generosità di Giuseppe nell’accudire Maria e il Suo Figliolo, il Salvatore fattosi Uomo. Prendiamo S.Giuseppe come esempio di fedeltà a Maria, la Vergine Santa, e uniamoci con la preghiera nel ricordo gioioso dell’umile falegname che si affidò alla Volontà di Dio.

Fonte: Radio Maria

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Adorazione dei Magi. E’ “vangelo della fede”.

Posté par atempodiblog le 6 janvier 2012

Adorazione dei Magi. E' “vangelo della fede”.  dans Epifania adorazionedeimagi

[26 agosto 1944]
[...]
Dice Gesù: «Ed ora? Che dirvi ora, o anime che sentite morire la fede? Quei Savi d’oriente non avevano nulla che li assicurasse della verità. Nulla di soprannaturale. Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita integra faceva perfetta. Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede nella bontà divina.

Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che esser « quella », attesa da secoli dall’umanità: il Messia. Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo « voci » celesti, diceva loro: « È quella stella che segna l’avvento del Messia ». Per la bontà hanno avuto fede che Dio non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere allo scopo. E sono riusciti.
Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano nell’anima l’ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto, che aveva a principale pensiero quello di dare subito a Dio lode ed onore.
Non cercavano un utile proprio. Anzi vanno incontro a fatiche e spese, e nulla chiedono di compenso che sia umano. Chiedono soltanto che Dio di loro si ricordi e li salvi per l’eternità. Come non hanno nessun pensiero di futuro compenso umano, così non hanno, quando decidono il viaggio, nessuna umana preoccupazione.
Voi vi sareste messi mille cavilli: « Come farò a fare tanto viaggio in paesi e fra popoli di lingua diver­sa? Mi crederanno o mi imprigioneranno come spia? Che aiuto mi daranno nel passare deserti e fiumi e monti? E il caldo? E il vento degli altipiani? E le febbri stagnanti lungo le zone paludose? E le fiumane gonfiate dalle piogge? E il cibo diverso? E il diverso linguaggio? E… e… e ». Così ragionate voi.
Essi non ragionano così. Dicono con sincera e santa audacia: « Tu, o Dio, ci leggi nel cuore e vedi che fine perseguiamo. Nelle tue mani ci affidiamo. Concedici la gioia sovrumana di adorare la tua Seconda Persona fatta Carne per la salute del mondo ». Basta.
E si mettono in cammino dalle Indie lontane. (Gesù mi dice poi che per Indie vuol dire l’Asia meridionale, dove ora è Turchestan, Afganistan e Persia). Dalle catene mongoliche sulle quali spaziano unicamente le aquile e gli avvoltoi e Dio parla col rombo dei venti e dei torrenti e scrive parole di mistero sulle pagine sterminate dei nevai.
Dalle terre in cui nasce il Nilo e procede, vena verde azzurra, incontro all’azzurro cuore del Mediterraneo, né picchi, né selve, né arene, oceani asciutti e più pericolosi di quelli marini, fermano il loro andare. E la stella brilla sulle loro notti, negando loro di dormire.
Quando si cerca Dio, le abitudini animali devono cedere alle impazienze e alle necessità sopraumane. La stella li prende da settentrione, da oriente e da meridione, e per un miracolo di Dio procede per tutti e tre verso un punto, come, per un altro miracolo, li riunisce dopo tante miglia in quel punto, e per un altro dà loro, anticipando la sapienza pentecostale, il dono di intendersi e di farsi intendere così come è nel Paradiso, dove si parla un’unica lingua, quella di Dio. Un unico momento di sgomento li assale quando la stella scompare e, umili perché sono realmente grandi, non pensano che sia per la malvagità altrui che ciò avviene, non meritando i corrotti di Gerusalemme di vedere la stella di Dio. Ma pensano di avere demeritato di Dio loro stessi, e si esaminano con tremore e contrizione già pronta a chiedere perdono. Ma la loro coscienza li rassicura. Anime use alla meditazione, hanno una coscienza sensibilissima, affinata da una attenzione costante, da una introspezione acuta, che ha fatto del loro interno uno specchio su cui si riflettono le più piccole larve degli avvenimenti giornalieri. Ne hanno fatto una maestra, una voce che avverte e grida al più piccolo, non dico errore, ma sguardo all’errore, a ciò che è umano, al compiacimento di ciò che è io. Perciò, quando essi si pongono di fronte a questa maestra, a questo specchio severo e nitido, sanno che esso non mentirà. Ora li rassicura ed essi riprendono lena. Oh! dolce cosa sentire che nulla è in noi di contrario a Dio! Sentire che Egli guarda con compiacenza l’animo del figlio fedele e lo benedice. Da questo sentire viene aumento di fede e fiducia, e speranza, e fortezza, e pazienza. Ora è tempesta. Ma passerà, poiché Dio mi ama e sa che lo amo, e non mancherà di aiutarmi ancora ». Così parlano coloro che hanno la pace che viene da una coscienza retta, che è regina di ogni loro azione.
Ho detto che erano « umili perché erano realmente grandi ». Nella vostra vita, invece, che avviene? Che uno, non perché è grande, ma perché è più prepotente, e si fa potente per la sua prepotenza e per la vostra idolatria sciocca, non è mai umile.
Ci sono dei disgraziati che, solo per essere maggiordomi di un prepotente, uscieri di un ufficio, funzionari in una frazione, servi insomma di chi li ha fatti tali, si dànno delle pose da semidei. E fanno pietà!…
Essi, i tre Savi, erano realmente grandi. Per virtù soprannaturali per prima cosa, per scienza per seconda cosa, per ricchezza per ultima cosa. Ma si sentono un nulla, polvere sulla polvere della terra, rispetto al Dio altissimo, che crea i mondi con un suo sorriso e li sparge come chicchi di grano per sazia­re gli occhi degli angeli coi monili delle stelle.
Ma si sentono nulla rispetto al Dio altissimo, che ha creato il pianeta su cui vivono e lo ha fatto variato mettendo, Scultore infinito d’opere sconfinate, qua, con una ditata del suo pollice, una corona di dolci colline, e là un’ossatura di gioghi e di picchi, simili a vertebre della terra, di questo corpo smisurato a cui sono vene i fiumi, bacini i laghi, cuori gli oceani, veste le foreste, veli le nubi, decorazioni i ghiacciai di cristallo, gemme le turchesi e gli smeraldi, gli opali e i berilli di tutte le acque che cantano, con le selve e i venti, il grande coro di laude al loro Signore.
Ma si sentono nulla nella loro sapienza rispetto al Dio altissimo, da cui la loro sapienza viene e che ha dato loro occhi più potenti di quelle due pupille per cui vedono le cose: occhi dell’anima, che sanno leggere nelle cose la parola non scritta da mano umana, ma incisa dal pensiero di Dio.
Ma si sentono nulla nella loro ricchezza: atomo rispetto alla ricchezza del Possessore dell’universo, che sparge metalli e gemme negli astri e pianeti e soprannaturali dovizie, inesauste dovizie, nel cuore di chi l’ama.
E, giunti davanti ad una povera casa, nella più meschina delle città di Giuda, essi non crollano il capo dicendo: « Impossibile », ma curvano la schiena, le ginocchia, e specie il cuore, e adorano. Là, dietro quel povero muro, è Dio. Quel Dio che essi hanno sempre invocato, non osando mai, neppur lontanamente, sperare di averlo a vedere. Ma invocato per il bene di tutta l’umanità, per il “loro” bene eterno. Oh! questo solo si auguravano. Di poterlo vedere, conoscere, possedere nella vita che non conosce più albe e tramonti!
Egli è là, dietro quel povero muro. Chissà se il suo cuore di Bambino, che è pur sempre il cuore di un Dio, non sente questi tre cuori che, proni nella polvere della via, squillano: « Santo, Santo, Santo. Benedetto il Signore Iddio nostro. Gloria a Lui nei Cieli altissimi e pace ai suoi servi. Gloria, gloria, gloria e benedizione »?
Essi se lo chiedono con tremore di amore. E per tutta la notte e la seguente mattina preparano con la preghiera più viva lo spirito alla comunione con il Dio-Bambino. Non vanno a questo altare, che è un grembo verginale portante l’Ostia divina, come voi vi andate con l’anima piena di sollecitudini umane. Essi dimenticano sonno e cibo e, se prendono le vesti più belle, non è per sfoggio umano ma per fare onore al Re dei re. Nelle regge dei sovrani i dignitari entrano con le vesti più belle. E non dovrebbero essi andare da questo Re con le loro vesti di festa? E quale festa più grande di questa per loro?
Oh! nelle loro terre lontane, più e più volte si sono dovuti ornare per degli uomini pari a loro. Per far loro festa e onore. Giusto dunque umiliare ai piedi del Re supremo porpore e gioielli, sete e preziose piume. Mettergli ai piedi, ai dolci piccoli piedi, le fibre della terra, le gemme della terra, le piume della terra, i metalli della terra – sono ancora opera sua – perché esse pure, queste cose della terra, adorino il loro Crea­tore. E sarebbero felici sela Creaturinaordinasse loro di stendersi al suolo e fare un vivo tappeto ai suoi passetti di Bambino, e li calpestasse, Egli che ha lasciato le stelle per loro, polvere, polvere, polvere.
Umili e generosi. E ubbidienti alle « voci » dell’Alto. Esse comandano di portare doni al Re neonato. Ed essi portano doni. Non dicono: « Egli è ricco e non ne ha bisogno. E’ Dio e non conoscerà la morte ». Ubbidiscono. E sono coloro che per primi sovvengono la povertà del Salvatore. Come provvido quell’oro per chi domani sarà fuggiasco! Come significativa quella resina a chi presto sarà ucciso! Come pio quell’incenso a chi dovrà sentire il lezzo delle lussurie umane ribollenti intorno alla sua purezza infinita!
Umili, generosi, ubbidienti e rispettosi l’uno dell’altro. Le virtù generano sempre altre virtù. Dalle virtù volte a Dio, ecco le virtù volte al prossimo. Rispetto, che è poi carità. Al più vecchio è deferito di parlare per tutti, di ricevere per primo il bacio del Salvatore, di sorreggerlo per la manina. Gli altri potranno vederlo ancora. Ma egli no. E’ vecchio, e prossimo è il suo giorno di ritorno a Dio. Lo vedrà, questo Cristo, dopo la sua straziante morte e lo seguirà, nella scia dei salvati, nel ritorno al Cielo. Ma non lo vedrà più su questa terra. E allora per suo viatico gli rimanga il tepore della piccola mano, che si affida alla sua già rugosa.
Nessuna invidia negli altri. Ma anzi un aumento di venerazione per il vecchio sapiente. Ha meritato certo più di loro e per più lungo tempo. Il Dio-Infante lo sa. Ancora non parla,la Paroladel Padre, ma il suo atto è parola. E sia benedetta la sua innocente parola, che designa costui come il suo prediletto.
Ma, o figli, vi sono altri due insegnamenti da questa visione. Il contegno di Giuseppe che sa stare al « suo » posto. Presente come custode e tutore della Purezza e della Santità. Ma non usurpatore dei diritti di queste. E’ Maria col suo Gesù che riceve omaggi e parole. Giuseppe ne giubila per Lei e non si accora d’esser figura secondaria. Giuseppe è un giusto, è il Giusto. Ed è giusto sempre. Anche in quest’ora. I fumi della festa non gli salgono al capo. Resta umile e giusto. E’ felice di quei doni. Non per sé. Ma perché pensa che con essi potrà fare più comoda la vita alla Sposa e al dolce Bambino. Non vi è avidità in Giuseppe. Egli è un lavoratore e continuerà a lavorare. Ma che « Loro » i suoi due amori, abbiano agio e conforto.
Né lui né i Magi sanno che quei doni serviranno ad una fuga e ad una vita d’esilio, nelle quali le sostanze dileguano come nube percossa dai venti, e ad un ritorno in patria dopo aver tutto perduto, clienti e suppellettili, e salvate solo le mura della casa, protetta da Dio perché là Egli si è congiunto alla Vergine e si è fatto Carne.
Giuseppe è umile, egli, custode di Dio e della Madre di Dio e Sposa dell’Altissimo, sino a reggere la staffa a questi vassalli di Dio. E’ un povero legnaiuolo, perché la prepotenza umana ha spogliato gli eredi di Davide dei loro averi regali. Ma è sempre stirpe di re ed ha tratti di re.
Anche per lui va detto: Era umile perché era realmente grande. Ultimo, soave, indicatore insegnamento. È Maria che prende la mano di Gesù, che non sa ancora benedire, e la guida nel gesto santo. È sempre Maria che prende la mano di Gesù e la guida. Anche ora. Ora Gesù sa benedire. Ma delle volte la sua mano trafitta cade stanca e sfiduciata, perché sa che è inutile benedire. Voi distruggete la mia benedizione. Cade anche sdegnata, perché voi mi maledite. E allora è Maria che leva lo sdegno a questa mano col baciarla. Oh! il bacio di mia Madre! Chi resiste a quel bacio? E poi prende con le sue dita sottili, ma così amorosamente imperiose, il mio polso e mi forza a benedire. Non posso respingere mia Madre. Ma bisogna andare da Lei per farla Avvocata vostra. Essa è la mia Regina prima d’esser la vostra, ed il suo amore per voi ha indulgenze che neppure il mio conosce. Ed Essa, anche senza parole ma con le perle del suo pianto e col ricordo della mia Croce, il cui segno mi fa tracciare nell’aria, perora la vostra causa e mi ammonisce: Sei il Salvatore. “Salva”. Ecco, figli, il « vangelo della fede » nell’apparizione della scena dei Magi. Meditate e imitate. Per il vostro bene».

Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

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Giuseppe prescelto come sposo della Vergine

Posté par atempodiblog le 19 mars 2011

Giuseppe prescelto come sposo della Vergine.
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

San Giuseppe: custode fedele di Gesù e Maria dans Fede, morale e teologia 2i8g11y 

[4 settembre 1944]
Vedo una ricca sala dal bel pavimento e tende e tappeti e mobili d’intarsio. Deve ancora far parte del Tempio, perché in essa vi sono sacerdoti, fra cui Zaccaria, e molti uomini di ogni età, ossia dai venti ai cinquant’anni, su per giù. Parlano fra loro piano ma animatamente. Paiono in ansia per qualche cosa che non so. Sono tutti vestiti a festa con vesti nuove o almeno molto fresche di lavatura, come si fossero parati ad una festa. Molti si sono levati il telo che fa da copricapo, altri lo hanno ancora, specie gli anziani, mentre i giovani mostrano le loro teste nude, quali biondo scure, quali morate, alcune nerissime, una sola rosso-rame. Le capigliature sono per la maggior parte corte, ma ve ne sono di quelle lunghe sino alle spalle. Non devono conoscersi tutti fra di loro, perché si osservano curiosamente. Ma però sembrano affini, perché si capisce li prema un unico pensiero.
In un angolo vedo Giuseppe. Parla con un vecchiotto rubizzo. Giuseppe è sui trent’anni. Un bell’uomo dai capelli corti e piuttosto ricci, di un castagno morato come è la barba e i baffi che ombreggiano un bel mento e salgono verso le gote brune rosse, non olivastre come in altri bruni. Ha occhi scuri, buoni e profondi, seri molto, direi quasi un poco tristi. Ma però quando sorride, come fa ora, divengono lieti e giovanili. E’ tutto vestito di marrone chiaro, molto semplice ma molto ordinato. Entra un gruppo di giovani leviti e si dispone fra la porta e un tavolo lungo e stretto, che è presso la parete dove al centro è la porta, che resta spalancata. Solo una tenda, che pende sino a un venti centimetri da terra, resta tesa a coprire il vano. La curiosità si acuisce. E più ancora quando una mano scosta la tenda per dare il passo ad un levita, che porta fra le braccia un fascio di rami secchi, sul quale è posato delicatamente un ramo fiorito. Una leggera spuma di petali bianchi, che appena si ricordano di una sfumatura di roseo che dal centro si irradia sempre più tenue sino al sommo dei petali leggeri. Il levita posa il fascio di rami sul tavolo con delicata cura, per non ledere il miracolo di quel ramo in fiore fra tanto seccume. Un brusio va per la sala. I colli si allungano, gli sguardi si fanno più acuti come per vedere. Anche Zaccaria, coi sacerdoti, essendo più vicino al tavolo, cerca vedere. Ma non vede nulla. Giuseppe, nel suo angolo, dà appena una occhiata al fascio di rami e, quando il suo interlocutore gli dice qualcosa, fa un cenno di diniego come chi dice: «Impossibile!», e sorride. Uno squillo di tromba oltre la tenda.
Tutti si zittiscono e si dispongono in bell’ordine colla faccia verso l’uscio, che ora appare spalancato, perché anche la tenda è fatta scorrere sui suoi anelli. Contornato da altri anziani, entra il Sommo Pontefice. Tutti si inchinano profondamente. Il Pontefice va al tavolo e parla restando in piedi. «Uomini della stirpe di Davide, qui convenuti per mio bando, udite. Il Signore ha parlato, sia lode a Lui! Dalla sua Gloria un raggio è sceso e, come sole di primavera, ha dato vita ad un ramo secco, e questo ha fiorito miracolosamente mentre nessun ramo della terra è in fiore oggi, ultimo giorno dell’Encenie, mentre ancor non è sciolta la neve caduta sulle alture di Giuda ed è l’unico candore che sia fra Sion e Betania.
Dio ha parlato facendosi padre e tutore della Vergine di Davide, che non ha altro che Lui a sua tutela. Santa fanciulla, gloria del Tempio e della stirpe, ha meritato la parola di Dio per conoscere il nome dello sposo gradito all’Eterno. Ben giusto deve essere costui per esser l’eletto del Signore a tutela della Vergine a Lui cara! Per questo il nostro dolore di perderla si placa, e cessa ogni preoccupazione sul suo destino di sposa. E all’indicato da Dio affidiamo con ogni sicurezza la Vergine, sulla quale è la benedizione di Dio e la nostra. Il nome dello sposo è Giuseppe di Giacobbe betlemita, della tribù di Davide, legnaiolo a Nazareth di Galilea. Giuseppe, vieni avanti.
Il Sommo Sacerdote te lo ordina».
Molto brusio. Teste che si volgono, occhi e mani che accennano, espressioni deluse ed espressioni sollevate. Qualcuno, specie fra i vecchi, deve esser stato lieto di non avere questa sorte. Giuseppe, molto rosso e impacciato, si fa avanti. E’ ora davanti al tavolo, di fronte al Pontefice che ha salutato reverente. «Venite tutti e guardate il nome inciso sul ramo. Prenda ognuno la propria verga, per essere sicuro che non vi è frode». Gli uomini ubbidiscono. Guardano il ramo tenuto delicatamente dal Sommo Sacerdote, prendono ognuno il proprio, e chi lo spezza e chi lo conserva. Tutti guardano Giuseppe. Vi è chi guarda e tace, e chi si felicita. Il vecchiotto, col quale egli parlava prima, dice: «Te lo avevo detto, Giuseppe? Chi meno si sente sicuro è colui che vince la partita!».
Ora tutti sono passati. Il Sommo Sacerdote dà a Giuseppe il ramo in fiore, e poi gli pone la mano sulla spalla e dice: «Non è ricca, e tu lo sai, la sposa che Dio ti dona. Ma ogni virtù è in Lei. Siine sempre più degno. Non vi è fiore in Israele vago e puro al par di Lei. Uscite tutti, ora. Resti Giuseppe. E tu, Zaccaria, parente, conduci la sposa». Escono tutti, meno il Sommo Sacerdote e Giuseppe. La tenda viene ricalata sull’uscio. Giuseppe sta tutto umile presso il maestoso Sacerdote. Un silenzio, e poi questo gli dice: «Maria ha da dirti un suo voto. Tu aiuta la sua timidezza. Sii buono con la buona». «Metterò la mia virilità al suo servizio e nessun sacrificio mi peserà per Lei. Siine certo». Entra Maria con Zaccaria e Anna di Fanuel. «Vieni, Maria» dice il Pontefice. «Ecco lo sposo che Dio ti destina. E’ Giuseppe di Nazareth. Tornerai perciò alla tua città. Ora vi lascio. Dio vi dia la sua benedizione. Il Signore vi guardi e benedica, mostri a voi la sua faccia e abbia pietà di voi sempre. Rivolga a voi il suo volto e vi dia pace».
Zaccaria esce, scortando il Pontefice. Anna si felicita con lo sposo e poi esce essa pure. I due promessi sono uno di fronte all’altra. Maria, tutta rossa, sta a capo chino. Giuseppe, pure colorito, l’osserva e cerca le parole da dire per prime. Le trova finalmente e un sorriso lo illumina. Dice: «Ti saluto, Maria. Ti ho vista bambina di pochi giorni… Ero amico del padre tuo ed ho un nipote di mio fratello Alfeo che era tanto amico di tua madre. Il suo piccolo amico, perché ora non ha che diciott’anni, e quando tu non eri ancor nata egli era un affatto piccolo uomo, e pure rallegrava le tristezze della madre tua che l’amava tanto. Tu non ci conosci, perché sei venuta qui piccina. Ma a Nazareth tutti ti vogliono bene, e pensano e parlano della piccola Maria di Gioacchino, la cui nascita fu un miracolo del Signore che fece rifiorire la sterile… Ed io ricordo la sera in cui sei nata… Tutti la ricordiamo per il prodigio di una grande pioggia che salvò la campagna, e di un violento temporale nel quale i fulmini non schiantarono neppure uno stelo d’erica selvaggia, finito con un arcobaleno che più grande e vago mai più si vide. E poi… chi non ricorda la gioia di Gioacchino?
Ti palleggiava mostrandoti ai vicini… Come tu fossi un fiore venuto dal Cielo, ti ammirava e voleva tutti ti ammirassero, felice e vecchio padre che mori parlando della sua Maria così bella e buona e dalle parole piene di grazia e sapere… Aveva ragione di ammirarti e di dire che non vi è una di te più bella! E tua madre? Empiva del suo canto l’angolo in cui era la tua casa, e pareva un’allodola a primavera mentre ti portava e dopo, quando ti aveva al seno. Io ti ho fatto la culla. Una cullina tutta a intagli di rose, perché così la volle tua madre. Forse vi è ancora nella chiusa dimora… Sono vecchio io, Maria. Quando sei nata facevo i primi lavori. Lavoravo già… Chi me lo avesse detto che io ti avrei avuta a sposa! Forse sarebbero morti più lieti i tuoi, perché mi erano amici. Ho seppellito il padre tuo piangendolo con cuor sincero, perché mi era maestro buono nella vita».
Maria alza piano piano il viso, rinfrancandosi sempre più, sentendo che Giuseppe le parla così, e quando accenna alla culla sorride lievemente, e quando Giuseppe dice del padre gli tende una mano e dice: « Grazie, Giuseppe». Un « grazie timido e soave. Giuseppe prende fra le sue corte e forti mani di legnaiolo la manina di gelsomino, e la carezza con un affetto che vuole sempre più rassicurare. Forse attende altre parole. Ma Maria tace di nuovo. Allora riprende lui: «La casa, tu lo sai, è intatta, meno che nella parte che fu abbattuta per ordine consolare, per fare del viottolo via ai carriaggi di Roma. Ma la campagna, quella che t’è rimasta, perché tu sai… la malattia del padre ha consumato molto tuo avere, è un poco trascurata. Sono oltre tre primavere che gli alberi e le viti non conoscono cesoia di ortolano, e la terra è incolta e dura. Ma gli alberi che ti hanno visto piccina vi sono ancora e, se me lo permetti, io subito mi occuperò di loro». Grazie, Giuseppe. Ma tu già lavori…
«Lavorerò al tuo orto nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Ora il tempo di luce si allunga sempre più. Per la primavera voglio sia tutto in ordine per la tua gioia. Guarda, questo è un ramo del mandorlo che sta contro casa. Ho voluto cogliere questo… – si entra per ogni dove dalla siepe rovinata, ma ora la rifarò solida e forte – ho voluto cogliere questo pensando che, se io fossi stato il prescelto – non lo speravo perché sono nazareo e ho ubbidito perché ordine di Sacerdote, non per desiderio di nozze – pensando, dicevo, che tu avresti avuto gioia ad avere un fiore del tuo giardino. Eccotelo, Maria. Con esso ti dono il mio cuore, che come esso è fiorito sino ad ora solo per il Signore, ed ora fiorisce per te, sposa mia ». Maria prende il ramo. E’ commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso. Si sente sicura di lui. Quando poi egli dice: «Sono nazareo», il suo volto si fa tutto luminoso, ed ella si fa coraggio. «Io pure sono tutta di Dio, Giuseppe. Non so se il Sommo Sacerdote te l’ha detto…». «Mi ha detto solo che tu sei buona e pura, e che hai da dirmi un tuo voto, e d’esser buono con te. Parla, Maria. Il tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio. Non t’amo con la carne. Ti amo con lo spirito mio, santa fanciulla che Dio mi dona! Vedi in me un padre e un fratello, oltre che uno sposo. E come a padre confidati, come a fratello affidati».
«Fin dall’infanzia mi son consacrata al Signore. So che questo non si fa in Israele. Ma io sentivo una Voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d’amore per l’avvento del Messia. Da tanto l’attende Israele!… Non è troppo rinunciare per questo alla gioia d’esser madre!». Giuseppe la guarda fissamente come volesse leggerle nel cuore, e poi prende le due manine, che ancora hanno fra le dita il ramoscello fiorito, e dice: «Ed io unirò il mio sacrificio al tuo, e ameremo tanto con la nostra castità l’Eterno che Egli darà più presto alla terra il Salvatore, permettendoci di vedere la sua Luce splendere nel mondo. Vieni, Maria. Andiamo davanti alla sua Casa e giuriamo di amarci come gli angeli fra loro. Poi io andrò a Nazareth a preparare tutto per te, nella tua casa se ami andare in quella, altrove se vuoi altrove».
«Nella mia casa… Vi era una grotta là in fondo… Vi è ancora?». «Vi è, ma non è più tua… Ma te ne farò una ove starai fresca e quieta nelle ore più calde. La farò quanto possibile uguale. E, dimmi, chi vuoi con te?». «Nessuno. Non ho paura. La madre d’Alfeo, che sempre viene a trovarmi, mi farà compagnia un poco nel giorno, e la notte preferisco esser sola. Nulla mi può accadere di male». «E poi ora ci sono io… Quando devo venire a prenderti?». «Quando tu vuoi, Giuseppe». «Allora verrò non appena la casa è ordinata. Non toccherò nulla. Voglio tu trovi come tua madre ha lasciato. Ma voglio sia piena di sole e ben monda, per accoglierti senza tristezza. Vieni, Maria. Andiamo a dire all’Altissimo che lo benediciamo». Non vedo altro. Ma mi resta in cuore il senso di sicurezza che prova Maria…

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Devozione continua a San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 19 mars 2011

Devozione continua a San Giuseppe dans San Giuseppe San-Giuseppe

San Giuseppe mi ha chiesto di avere per lui una devozione continua.

Santa Faustina Kowalska

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Il primato della vita interiore di San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 19 mars 2011

Il primato della vita interiore di San Giuseppe dans Fede, morale e teologia San-Giuseppe

25. Anche sul lavoro di carpentiere nella casa di Nazaret si stende lo stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla figura di Giuseppe. E’ un silenzio, però che svela in modo speciale il profilo interiore di questa figura. I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»; tuttavia, consentono di scoprire nelle sue «azioni», avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione. Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero «nascosto da secoli», che «prese dimora» sotto il tetto di casa sua. Questo spiega, ad esempio, perché santa Teresa di Gesù, la grande riformatrice del Carmelo contemplativo, si fece promotrice del rinnovamento del culto di san Giuseppe nella cristianità occidentale.

26. Il sacrificio totale, che Giuseppe fece di tutta la sua esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria casa, trova la ragione adeguata nella «sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi, e derivano a lui la logica e la forza, propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta» («Insegnamenti di Paolo VI», VII [1969] 1268).

Questa sottomissione a Dio, che è prontezza di volontà nel dedicarsi alle cose che riguardano il suo servizio, non è altro che l’esercizio della devozione, la quale costituisce una delle espressioni della virtù della religione (cfr. S. Thomae, «Summa Theologiae», II-II, q. 82, a. 3, ad 2).

27. La comunione di vita tra Giuseppe e Gesù ci porta a considerare ancora il mistero dell’Incarnazione proprio sotto l’aspetto dell’umanità di Cristo, strumento efficace della divinità in ordine alla santificazione degli uomini: «In forza della divinità le azioni umane di Cristo furono per noi salutari, causando in noi la grazia sia in ragione del merito, sia per una certa efficacia» (cfr. S. Thomae, «Summa Theologiae», II-II, q. 8, a. 1, ad 1).

Tra queste azioni gli evangelisti privilegiano quelle riguardanti il mistero pasquale, ma non omettono di sottolineare l’importanza del contatto fisico con Gesù in ordine alle guarigioni (cfr., ex. gr., Mc 1,41) e l’influsso da lui esercitato su Giovanni il Battista, quando entrambi erano ancora nel grembo materno (cfr. Lc 1,41-44).

La testimonianza apostolica non ha trascurato – come si è visto – la narrazione della nascita di Gesù, della circoncisione, della presentazione al tempio, della fuga in Egitto e della vita nascosta a Nazaret a motivo del «mistero» di grazia contenuto in tali «gesti», tutti salvifici, perché partecipi della stessa sorgente di amore: la divinità di Cristo. Se questo amore attraverso la sua umanità si irradiava su tutti gli uomini, ne erano certamente beneficiari in primo luogo coloro che la volontà divina aveva collocato nella sua più stretta intimità: Maria sua madre e il padre putativo Giuseppe (cfr. Pii XII, «Haurietis Aquas», III, die 15 maii 1956: AAS 48 [1956] 329s).

Poiché l’amore «paterno» di Giuseppe non poteva non influire sull’amore «filiale» di Gesù e, viceversa, l’amore «filiale» di Gesù non poteva non influire sull’amore «paterno» di Giuseppe, come inoltrarsi nelle profondità di questa singolarissima relazione? Le anime più sensibili agli impulsi dell’amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore.

Inoltre, l’apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in lui un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della carità. Seguendo la nota distinzione tra l’amore della verità («caritas veritatis») e l’esigenza dell’amore («necessitas caritatis») (cfr. S. Thomae, «Summa Theologiae», II-II, q. 182, a. 1, ad 3), possiamo dire che Giuseppe ha sperimentato sia l’amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione della verità divina che irradiava dall’umanità di Cristo, sia l’esigenza dell’amore, cioè l’amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di quella stessa umanità.

Giovanni Paolo II

Per approfondire la figura e la missione di San Giuseppe iconarrowti7 dans San Giuseppe 
REDEMPTORIS CUSTOS

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Testimonianza su san Giuseppe di una famiglia

Posté par atempodiblog le 4 mars 2011

Testimonianza su san Giuseppe di una famiglia dans San Giuseppe San-Giuseppe

« Caro San Giuseppe, in questo momento tu sei più che mai l’uomo di cui abbiamo bisogno! » La solennità di San Giuseppe si avvicina – 19 marzo – con la scia di grazie. Se non l’avete ancora preso come protettore e « amico di famiglia », non è mai troppo tardi. Il pregarlo procura delle grazie sorprendenti, la sua bontà sorpassa ogni immaginazione! Un fatto straordinario ispirerà coloro che temono per la loro abitazione.

Deni Nardo, 46 anni, marito di Cinzia, ha tre figli. E’ una famiglia di Venezia che prega e aiuta volentieri in parrocchia. Per vivere hanno una piccola pizzeria. Dall’84 sono pellegrini a Medjugorje, e cercano di vivere i messaggi della Madonna. Appena sposati abitavano in un piccolo appartamento, ma crescendo i bambini, hanno avuto bisogno di più spazio.
L’ultimo figlio dormiva nella minicamera dei genitori e questo non poteva continuare. Ma le loro finanze non permettevano di trovare una soluzione migliore. Deni racconta: « Un giorno, mi cadde l’occhio su una testimonianza di Suor Emmanuel circa San Giuseppe, e dico a Cinzia: ‘guarda, questa famiglia sembra proprio la nostra! Sono stati benedetti dopo aver fatto la novena a San Giuseppe’. La famiglia di Deni decise allora di pregare tutti insieme questa novena. E siccome era suggerito di mettere un foglietto scritto sotto la statua di San Giuseppe, scrissero: « Caro San Giuseppe, siamo una famiglia di cinque persone ed abbiamo bisogno di una casa più grande. Il contratto di affitto della nostra casa attuale scade l’anno prossimo! ». Tutti firmarono la lettera, composta anche dal disegno della casa desiderata, con tutti i dettagli, numero delle stanze necessarie, giardinetto ecc. Una copia della lettera fu mandata a Medjugorje per essere messa sotto la statua di San Giuseppe nella nostra casa. Poiché non succedeva nulla dopo la prima novena, Deni disse a Cinzia: « Forse la lettera ci mette un po’ di tempo ad arrivare a Medjugorje! Farò un’altra novena! ». Finita questa seconda novena, Deni (che va a Messa ogni sera) incontra una
parrocchiana che gli dice:  » Deni, ho una vicina di casa che vuole vendere la sua piccola casa, è composta di . » Deni riconobbe che corrispondeva alla casa richiesta. Decise subito di andarla a vedere e soprattutto di saperne il prezzo. La proprietaria aveva perso il marito e voleva trasferirsi dai figli in Austria. Disse a Deni: « Un uomo è venuta a vederla e voleva comprarla. Ero molto soddisfatta, ma stamattina mi ha detto che non la voleva più, ed allora mi sono sentita male! Voglio venderla presto. Allora se la volete vi faccio un bello sconto, soprattutto perché voi andate spesso in chiesa come mi ha detto la mia vicina. Il giorno dopo Deni versò la caparra e firmò il compromesso. La Signora gli disse: « Ieri sera, dopo che siete andato via, son venute delle persone ed hanno proposto di comprarla ad
un prezzo ben più alto, ma io ho detto loro di no perché ve l’avevo promessa! » Tutti questi fatti messi assieme, hanno fatto capire a Deni che San Giuseppe aveva guidato ogni dettaglio dell’operazione! La casa era né troppo grande né troppo piccola per loro. Era tutta su un piano, proprio come avevano domandato, perché con l’età le scale diventavano difficili da salire. Intorno alla casa un piccolo giardino come sul loro disegno! Hanno dato alla casa il nome di « Villa San Giuseppe ». A chi fa loro notare che nessuno di loro si chiama Giuseppe, raccontano la storia e mostrano la lettera che avevano scritto a San Giuseppe, con il disegno (plastificato perché non si sciupi). Questi documenti rimangono sempre vicino alla statua di San Giuseppe con Gesù Bambino in braccio. E Cinzia aggiunge: « Quando abbiamo trovato la casa, ci siamo abbracciati dicendo: ‘E’ vero che San Giuseppe è reale, ed ha esaudito il nostro desiderio!’

Da una newsletter di Suor Emmanuel del 2009
Fonte:
Les Enfants de Medjugorje

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Marzo, mese consacrato a san Giuseppe

Posté par atempodiblog le 1 mars 2011

Marzo, mese consacrato a san Giuseppe dans Fede, morale e teologia Maria-e-Giuseppe

Siamo nel mese di marzo, consacrato a san Giuseppe, il custode di Gesù e di Maria, il patrono della Chiesa universale, il protettore della nostra buona morte; colui che il Vangelo definisce “uomo giusto” (Mt 1, 19). Egli, di fronte agli avvenimenti straordinari che succedevano in Maria, sua sposa, e poi nella vita di Gesù, si mantenne sempre in umile silenzio e in attesa fiduciosa: il silenzio di fronte al mistero!
San Giuseppe ispiri anche voi a rimanere sempre in un abbandono umile, devoto, confidente davanti alla realtà della sofferenza e al mistero della croce! Pregatelo sempre con grande fervore, insieme a Maria santissima, la Vergine di Lourdes! Imitate i suoi esempi!

Giovanni Paolo II

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