La venerazione di San Josemaría per Santa Caterina
Tratto da: San Josemaría Escrivá
Riportiamo parte dell’articolo di Johannes Grohe “Santa Caterina da Siena, san Josemaría Escrivá e l’apostolato dell’opinione pubblica”, pubblicato nel n. 8 (2014) della rivista Studia et Documenta, dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá.
San Josemaría aveva una venerazione molto ben radicata nel suo cuore per Caterina e, proprio per questo, usava chiamare Catalinas i suoi Appunti intimi − annotazioni personali, in cui metteva per iscritto delle considerazioni per poi meditarle nella sua orazione, o come frutto della meditazione stessa: «Sono note ingenue − le chiamavo caterine per devozione alla Santa di Siena − che scrissi per molto tempo stando in ginocchio e che mi servivano come ricordo e sollecitazione. Credo che, in genere, mentre scrivevo con semplicità puerile, stavo facendo orazione». Forse, nell’usare questo termine, egli aveva presente il collegamento tra le ispirazioni della santa di Siena e le sue manifestazioni posteriori nelle lettere e nel Dialogo.
San Josemaría scriveva in una lettera indirizzata ai membri dell’Opus Dei, datata nel 1932: «I santi sono sempre delle persone scomode, uomini o donne – la mia santa Caterina da Siena! −, perché con il loro esempio e la loro parola sono un continuo motivo di disagio per le coscienze che sono immerse nel peccato».
San Josemaría ammirava la franchezza con cui Caterina difendeva la verità, per sua indole e perché considerava questa sincerità una virtù fondamentale: «Sono sicuro − scriveva in un’altra lettera − che ci saranno alcuni che non mi perdoneranno facilmente il mio parlar chiaro, ma devo farlo in coscienza e davanti a Dio, per amore verso la Chiesa, per lealtà verso la Chiesa Santa e per l’affetto che ho per voi. Nutro una particolare devozione per Santa Caterina − quella ‘grande brontolona’! − che diceva grandi verità per amore di Gesù Cristo, della Chiesa di Dio e del Romano Pontefice».
In una lettera datata 15 agosto 1964, egli ritorna a trattare il tema della verità che bisogna affermare senza timore, quando c’è un turbamento nella mente che può annebbiare il retto discernimento della coscienza: «le controversie, gli errori, gli eccessi o gli atteggiamenti esaltati sono sempre esistiti in tutte le epoche: e la voce che ha superato queste barriere è sempre stata la voce della verità unta dalla carità. La voce dei sapienti, la voce del Magistero; la voce, figli miei, dei santi, che hanno saputo parlare in tutti i modi per chiarire, per esortare, per richiamare ad un autentico rinnovamento […]. Figli miei, voi ben conoscete la storia della Chiesa e sapete che il Signore è solito servirsi di anime semplici e forti per tradurre in pratica la sua volontà in momenti di confusione o di torpore della vita cristiana. Io mi sono innamorato della fortezza di Santa Caterina che dice la verità alle più alte personalità con ardente amore e chiarezza diafana; mi riempiono di entusiasmo gli insegnamenti di un San Bernardo […]. Tante e tante voci profetiche, unite al Magistero illuminato della Chiesa, inondano di luce il popolo di Dio».
Inoltre, san Josemaría fu colpito dall’amore incondizionato della santa per la Chiesa, il quale, a sua volta, era il motore che lo spingeva a parlare con tanta franchezza. Troviamo riscontro di ciò nell’omelia Lealtà verso la Chiesa, pronunciata il 4 giugno 1972: «Questa Chiesa Cattolica è romana. Io gusto il sapore di questa parola: romana. Mi sento romano perché romano vuol dire universale, cattolico, perché così mi sento spinto ad amare teneramente il Papa, “il dolce Cristo in terra”, come piaceva ripetere a santa Caterina da Siena, che considero come un’amica carissima». L’espressione «il (dolce) Cristo in terra» è presente in molte varianti nell’Epistolario di Caterina e nel Dialogo.
Pur criticando aspramente e di frequente nei suoi incontri personali, nelle sue lettere, nel Dialogo ed in altri scritti, il malcostume dei sacerdoti che non vivevano in sintonia con la loro vocazione, santa Caterina aveva nel contempo una grande stima e considerazione per il sacerdozio in quanto tale. Nell’omelia Sacerdote per l’eternità del 13 aprile 1973, il fondatore dell’Opus Dei cita un testo chiave: «Il sacerdozio porta a servire Dio in uno stato che non è, in se stesso, migliore o peggiore di altri: è diverso. Tuttavia la vocazione sacerdotale si presenta rivestita di una dignità e di una grandezza tali che null’altro sulla terra può superare. Santa Caterina da Siena pone sulle labbra di Gesù queste parole: “Io non volevo che la riverenzia verso di loro diminuisse… perché ogni riverenzia che si fa a loro, non si fa a loro, ma a me, per la virtù del Sangue che io l’ho dato a ministrare. Unde, se non fusse questo, tanta riverenzia avraste a loro quanta agli altri uomini del mondo, e non più… E così non debbono essere offesi, però che, offendendo loro, offendono me e non loro. E già l’ho vetato, e detto che i miei Cristi non voglio che sieno toccati per le loro mani”».
La considerazione della santa, che a sua volta fa riferimento al salmo 105,15, aveva lasciato traccia, già anni addietro, nel pensiero di san Josemaría. «Non voglio tralasciare di ricordarti ancora una volta − benché ti sia noto − che il Sacerdote è “un altro Cristo”. − E che lo Spirito Santo ha detto: Nolite tangere Christos meos − non toccate “i miei Cristi”» (Cammino, 67). Ma anche in altri punti di Cammino si possono notare certi parallelismi con espressioni o modi di pensare della santa nel Dialogo, come ci fa notare Pedro Rodríguez.
«Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,32), quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me. Cristo, mediante la sua Incarnazione, la sua vita di lavoro a Nazaret, la sua predicazione e i suoi miracoli nelle contrade della Giudea e della Galilea, la sua morte in croce, la sua Resurrezione, è il centro della creazione, è il Primogenito e il Signore di ogni creatura» (È Gesù che passa, 105). Un altro testo della predicazione di san Josemaría, l’omelia (Cristo Re, del 22 novembre 1970, fa nuovamente riferimento al passo neotestamentario: «Gesù stesso ricorda a tutti: Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv XII,32), quando mi collocherete al vertice di tutte le attività della terra, compiendo il dovere di ogni momento, ed essendo miei testimoni nelle cose grandi e piccole, allora omnia traham ad meipsum, attrarrò tutto a me, e il mio regno in mezzo a voi sarà una realtà».
Il passo di Giovanni ebbe una grande importanza per san Josemaría, dal 7 agosto 1931, allora festa della Trasfigurazione del Signore nella Diocesi di Madrid-Alcalá, giorno in cui avvertì nel suo cuore un intervento divino durante la celebrazione della Santa Messa, che egli stesso annotò nei suoi Appunti intimi: «Giunse il momento della consacrazione: nell’alzare la Sacra Ostia […] – avevo appena fatto mentalmente l’offerta all’Amore misericordioso – si presentò al mio pensiero, con forza e chiarezza straordinarie, quel passo della Scrittura: et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12,32) […]. E compresi che saranno gli uomini e le donne di Dio ad innalzare la Croce con la dottrina di Cristo sul pinnacolo di tutte le attività umane… E vidi il Signore trionfare ed attrarre a sé tutte le cose».
Anche per santa Caterina questo testo di san Giovanni aveva grande importanza. Nel Dialogo lo commenta abbastanza ampiamente, quando parla della Dottrina del Ponte, ai capitoli dal 25 al 30 della seconda parte del libro. Nel capitolo 26 spiega come questo ponte sia posto tra cielo e terra. Esso, levato in alto ma non separato dalla terra, è costruito con i meriti di Cristo nella Santa Croce, e senza il sacrificio della Croce nessuno può attraversare il ponte. Cristo in Croce attrae a sé per il suo amore infinito; il cuore dell’uomo si lascia sempre attrarre dall’amore. Se diciamo che Cristo attrae a sé ogni cosa, ciò significa che da una parte l’uomo è attratto con tutte le potenze dell’anima: memoria, intelletto, volontà, e dall’altra, che con l’uomo sono attratte tutte le realtà terrene, create per l’uomo.
Santa Caterina, intercessore dell’apostolato dell’opinione pubblica
Mentre gli altri intercessori dell’Opera, quali san Pio X, san Nicola di Bari, san Giovanni Maria Vianney e san Tommaso Moro, erano già stati scelti negli anni precedenti, sembra che l’idea d’invocare santa Caterina per l’apostolato dell’opinione pubblica venne al fondatore nel 1964, come risulta da una lettera indirizzata a don Florencio Sanchez Bella, allora consigliere dell’Opus Dei in Spagna, il 10 maggio dello stesso anno: «Ora ti racconterò che mi si è ravvivata la devozione, che in me è di vecchia data, per Santa Caterina da Siena: perché seppe amare filialmente il Papa, perché seppe servire con tanto sacrificio la Santa Chiesa di Dio e… perché seppe parlare eroicamente. Sto pensando di nominarla Patrona (intercessore) celeste dei nostri apostolati dell’opinione pubblica. Vedremo!».
Già alcuni giorni prima di questa lettera, nel corso di una conversazione familiare con alcuni membri dell’Opus Dei avvenuta il 30 aprile − che, prima della riforma liturgica, promossa dal Concilio Vaticano II, era la ricorrenza della festa di santa Caterina− san Josemaría faceva notare: «Desidero che si celebri la festa di questa santa nella vita spirituale di ciascuno di noi e nella vita delle nostre case o centri. Ho sempre avuto una grande devozione per santa Caterina: per il suo amore alla Chiesa e al papa e per il coraggio dimostrato nel parlare con chiarezza quando era necessario, mossa precisamente da quello stesso amore […]. Prima era considerato eroico tacere, e così fecero i vostri fratelli. Ma adesso è eroico parlare, per evitare che si offenda Dio Nostro Signore. Parlare, cercando di non ferire, con carità, ma anche con chiarezza».
Alcuni giorni prima, anche il romano pontefice Paolo VI aveva parlato durante un’udienza di questa festa speciale: «Sì, la forza del Papa è l’amore dei suoi figli, è l’unione della comunità ecclesiastica, è la carità dei fedeli che sotto la sua guida formano un cuor solo e un’anima sola. Questo contributo di energie spirituali, che viene dal popolo cattolico alla gerarchia della Chiesa, dal singolo cristiano fino al Papa, ci fa pensare alla Santa, che domani la Chiesa onorerà con festa speciale, S. Caterina da Siena, l’umile, sapiente, impavida vergine domenicana, che, voi tutti sapete, amò il Papa e la Chiesa, come non si sa che altri facesse con pari altezza e pari vigore di spirito».
Il 13 maggio 1964, san Josemaría decise di mettere in pratica ciò che aveva espresso a don Florencio Sanchez Bella: nel corso di una tertulia (conversazione familiare) ritornò a toccare il tema e poi disse sorridendo: «“Perché aspettare ancora? A me, in qualità di fondatore, spetta il compito di nominarla, e, dato che in casa facciamo le cose in maniera semplice, senza formalità, la nomino patrona (intercessore) proprio in questo momento”. Quindi, chiese a qualcuno di portargli carta e penna e dettò una comunicazione da inviare a tutte le regioni: “Il giorno 13 maggio, considerando con quanta chiarezza di parola e con quanta rettitudine di cuore santa Caterina da Siena rivelò con coraggio e senza eccezione alcuna per nessuno le vie della verità agli uomini del suo tempo, ho decretato che l’apostolato che i membri dell’Opus Dei svolgono in tutto il mondo con verità e carità al fine d’informare rettamente l’opinione pubblica, sia raccomandato alla speciale intercessione di questa santa”.
Anni prima della decisione di san Josemaría, si erano tenute a Roma le celebrazioni del quinto centenario della canonizzazione di santa Caterina, avvenuta nell’anno 1461, al tempo di papa Pio II. In quell’occasione, Giovanni XXIII inviò al maestro generale dei domenicani una lettera piena di grandi elogi per la santa. La posta italiana emise un francobollo in onore di Caterina da Siena e, alla fine del centenario, venne collocato un monumento in piazza Pia, tra Castel Sant’Angelo e via della Conciliazione, opera dello scultore Francesco Messina.
Tuttavia bisogna interpretare tale decisione di san Josemaría anche nel contesto di certe crescenti incomprensioni nei confronti dell’Opus Dei in Spagna ed in altri luoghi, e nel contesto del dibattito, durante il Concilio Vaticano II, non solo in aula conciliare, ma soprattutto fuori dall’aula, dove il santo temeva che prevalesse una visione negativa della grande tradizione della Chiesa, che gli sembrava venisse descritta con modalità inappropriate.
Già alla fine degli anni cinquanta, il fondatore dell’Opera aveva creato un ufficio di informazione per sopperire al bisogno di diffondere in maniera incisiva notizie sull’Opus Dei e sui suoi apostolati, e più genericamente, per studiare i temi di attualità nella vita della Chiesa contribuendo in tal modo a divulgare informazioni precise sulla Chiesa e a diffondere la buona dottrina.
Per quanto riguarda il Concilio Vaticano II, san Josemaría vedeva con preoccupazione che durante i lavori di preparazione del concilio circolavano voci nei mass media di comportamenti ed impostazioni contrari allo spirito cristiano ed alla dottrina della Chiesa. Con i suoi collaboratori dell’ufficio di informazione, egli faceva dei commenti su tali episodi, ricorrendo talvolta all’esempio di santa Caterina, che chiamava affettuosamente la “grande brontolona”, “dalla grande facilità e scioltezza di parola”, perché la santa sapeva parlare con chiarezza e senza timore alcuno. A volte commentava delle frasi che aveva letto da una copia dell’epistolario della senese.