Papa Francesco: “Il perdono è un seme, è una carezza di Dio”

Posté par atempodiblog le 9 février 2016

 Si è o “grandi perdonatori” o “grandi condannatori”
Papa Francesco: “Il perdono è un seme, è una carezza di Dio”

Papa Francesco

[...] Papa Fracensco: “Vi parlo come fratello, e in voi vorrei parlare a tutti i confessori, in quest’Anno della Misericordia specialmente: il confessionale è per perdonare. E se tu non puoi dare l’assoluzione – faccio questa ipotesi – per favore, non bastonare. Quello che viene, viene a cercare conforto, perdono, pace nella sua anima; che trovi un padre che lo abbracci e gli dica: “Ma, Dio ti vuole bene”.

“Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace”, ha detto. Francesco per poi ricordare quante volte i sacerdoti hanno sentito dire “non vado mai a confessarmi, perché una volta mi hanno fatto queste domande”. Poi ha raccontato l’incontro con un grande confessore e distinto tra “parole” e “gesti” che chiedono il perdono, come quando una persona si avvicina al confessionale: “è perché sente qualcosa che gli pesa, che vuole togliersi”, forse non sa come dirlo – ha spiegato -  ma “lo dice con il gesto di avvicinarsi”. “Non è necessario fare delle domande”:

“Il perdono è un seme, è una carezza di Dio. Abbiate fiducia nel perdono di Dio. Non cadete nel pelagianismo, eh? Tu devi fare questo, questo, questo, questo…”.

Il Papa ha poi lanciato un monito spiegando che si è o “grandi perdonatori” o “grandi condannatori”:

“O fai l’ufficio di Gesù, che perdona dando la vita, la preghiera, tante ore lì, seduto, come quei due, lì; o fai l’ufficio del diavolo che condanna, accusa…”.

di Massimiliano Menichetti
Tratto: Radio Vaticana

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Vocazione: Rischio ‘inseminazione artificiale’ nelle Congregazioni religiose. Evitare chiacchiere

Posté par atempodiblog le 1 février 2016

Vocazione: Rischio ‘inseminazione artificiale’ nelle Congregazioni religiose. Evitare chiacchiere

Papa e vocazioni come inseminazione artificiale

L’obbedienza forte non è quella “militare”, non è “disciplina”, ma è “donazione del cuore”, come quella del Figlio di Dio “che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza fino alla morte di Croce”. Papa Francesco ancora una volta ha scelto di consegnare il discorso preparato, affidandolo al cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata, e incontrando 5 mila consacrati – in chiusura dell’Anno ad essi dedicato, iniziato il 30 novembre 2014 – ha parlato a braccio di ciò che gli è venuto “dal cuore”.

Siate uomini e donne profeti
Ha riflettuto sui concetti di profezia, prossimità e speranza che costituiscono per loro il mandato del Pontefice. Ha ricordato che Cristo “non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici”, ha scelto “l’obbedienza” al Padre. Questa è la “profezia” di fronte all’anarchia che, ha spiegato, è “figlia del diavolo”:

“La profezia è dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma la profezia e lo si deve chiedere allo Spirito Santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia. Uomini e donne profeti”.

Avvicinarsi alla gente, cristiani e non cristiani
Soffermandosi poi sulla parola “prossimità”, il Papa ha invitato a essere uomini e donne consacrate non per allontanarsi “dalla gente e avere tutte le comodità”:

“No, per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità”.

Essere consacrati non è uno status
Ha invitato a guardare a Santa Teresa del Bambin Gesù, Patrona delle missioni, che “con il suo cuore ardente” e le lettere che riceveva dai missionari era “più prossima alla gente”. Diventare consacrati, ha sottolineato, “non significa salire uno, due, tre scalini nella società”:

“Per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così, con distacco. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente”.

Evitare terrorismo delle chiacchiere, sono una ‘bomba’
E l’altro, il “vero prossimo”, può essere colui che si incontra nei “quartieri poveri”, ma anche “il fratello o la sorella della comunità”, anelando alla virtù “forse più difficile” – come diceva l’Apostolo Giacomo – “del dominare la lingua”:

“Un modo di allontanarsi dai fratelli e dalle sorelle della comunità è proprio questo: il terrorismo delle chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba”.

Impegno per l’Anno della Misericordia
Perché “la bomba di una chiacchiera” nella comunità non è prossimità, “è fare la guerra”, allontanarsi, “provocare distanze” e anarchia:

“E se, in questo Anno della Misericordia, ognuno di voi riuscisse a non fare mai il terrorista chiacchierone o chiacchierona, sarebbe un successo per la Chiesa, un successo di santità grande! Fatevi coraggio! ».

Il calo delle vocazioni
Passando al concetto di speranza e riallacciandosi alle parole di saluto del cardinale Joao Braz de Aviz, che aveva presentato al Santo Padre i partecipanti all’incontro internazionale dedicato in questi giorni a Roma al tema “Vita Consacrata in comunione”, il Papa si è soffermato sul calo delle vocazioni, sulle comunità che invecchiano, sui monasteri “portati avanti da 4-5 suore vecchiette”…

No all’esperimento della ‘inseminazione artificiale’
“Alcune Congregazioni fanno l’esperimento della ‘inseminazione artificiale’. Che cosa fanno? Accolgono… ‘Ma sì, vieni, vieni, vieni…’. E poi, i problemi che ci sono lì dentro… No. Si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci”.

Vera speranza solo nel Signore non nei soldi
Il Signore “non mancherà la sua promessa”, ma – ha esortato ancora Francesco – l’invito è a pregare con l’“intensità” con cui lo faceva Anna, madre di Samuele, invocando il dono di un figlio. “Perché c’è un pericolo”:

“Quando una Congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti e incomincia a essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo. Quando non possono avere la grazia di avere vocazioni e figli, pensano che i soldi salveranno la vita e pensano alla vecchiaia: che non manchi questo, che non manchi quest’altro… E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore! I soldi non te la daranno mai. Al contrario: ti butteranno giù”.

Il ruolo delle consacrate nella Chiesa
Quindi, un pensiero speciale alle consacrate, a “cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore”, che si trovano negli ospedali, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, ma anche nei cimiteri. Si tratta di donne che assieme a tanti uomini hanno dato la loro vita per il Signore, magari lontani dalle loro terre d’origine:

“Hanno preso le malattie, queste febbri di quei Paesi, hanno bruciato la vita… Tu dici: questi sono santi! Questi sono semi! Dobbiamo dire al Signore che scenda un po’ su questi cimiteri e veda cosa hanno fatto i nostri antenati e ci dia più vocazioni, perché ne abbiamo bisogno”.

di Giada Aquilino – Radio Vaticana

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Papa Francesco: chi entra in un Santuario si senta a casa sua

Posté par atempodiblog le 21 janvier 2016

“A volte, basta semplicemente una parola, un sorriso, per far sentire una persona accolta e benvoluta”
Papa Francesco: chi entra in un Santuario si senta a casa sua
Soprattutto in questo Giubileo della Misericordia, ogni pellegrino abbia la gioia di sentirsi accolto e amato dalla Chiesa. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti al Giubileo degli operatori di pellegrinaggi e rettori di Santuari, ricevuti in Vaticano. Il Pontefice ha sottolineato che sull’accoglienza “ci giochiamo tutto”, l’accoglienza infatti è “davvero determinante per l’evangelizzazione”. Dal Papa anche un nuovo invito ai sacerdoti ad essere misericordiosi con quanti si accostano al confessionale.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

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“Andare pellegrini ai santuari è una delle espressioni più eloquenti della fede del popolo di Dio”. Francesco esordisce sottolineando il suo apprezzamento per la “religiosità popolare”. Un amore per la pietà popolare che viene da lontano, dai suoi anni in Argentina e che ha trovato una significativa espressione nel Documento di Aparecida. Il Papa la definisce “una genuina forma di evangelizzazione, che ha bisogno di essere sempre promossa e valorizzata, senza minimizzare la sua importanza”.

Nei Santuari si vive la profondità spirituale della pietà popolare
Nei santuari, constata, “la nostra gente vive la sua profonda spiritualità, quella pietà che da secoli ha plasmato la fede con devozioni semplici, ma molto significativa”:

“Sarebbe un errore ritenere che chi va in pellegrinaggio viva una spiritualità non personale ma di massa. In realtà, il pellegrino porta con sé la propria storia, la propria fede, luci e ombre della propria vita. Ognuno porta nel cuore un desiderio speciale e una preghiera particolare”.

Chi entra nei santuari si senta come a casa sua
“Chi entra nel santuario – prosegue – sente subito di trovarsi a casa sua, accolto, compreso, e sostenuto”.

Il santuario, riprende, “è realmente uno spazio privilegiato per incontrare il Signore e toccare con mano la sua misericordia”. “Confessare in un santuario – aggiunge a braccio – è un’esperienza di toccare con mano la misericordia di Dio”. E si sofferma dunque sul valore dell’accoglienza, che definisce “parola-chiave”:

“Con l’accoglienza, per così dire, ‘ci giochiamo tutto’. Un’accoglienza affettuosa, festosa, cordiale, e paziente! Ci vuole pazienza eh!

I Vangeli ci presentano Gesù sempre accogliente verso coloro che si accostano a Lui, specialmente i malati, i peccatori, gli emarginati. E ricordiamo quella sua espressione: ‘Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato’.

L’accoglienza è determinante per l’evangelizzazione
Gesù, rileva Francesco, “ha parlato dell’accoglienza, ma soprattutto l’ha praticata”. E annota che quando i peccatori come Matteo o Zaccheo accolgono Gesù nella loro casa, cambia la loro vita. E’ interessante, soggiunge, che il Libro degli Atti degli Apostoli si concluda con la scena di san Paolo che, prigioniero a Roma, “accoglieva tutti quelli che venivano da lui”. La sua casa, dunque, “era il luogo dove annunciava il Vangelo”:

“L’accoglienza è davvero determinante per l’evangelizzazione. A volte, basta semplicemente una parola, un sorriso, per far sentire una persona accolta e benvoluta.

Il pellegrino che arriva al santuario è spesso stanco, affamato, assetato… E tante volte questa condizione fisica rispecchia anche quella interiore. Perciò, questa persona ha bisogno di essere accolta bene sia sul piano materiale sia su quello spirituale”.

Il pellegrino abbia la gioia di sentirsi compreso ed amato
È importante, afferma ancora, “che il pellegrino che varca la soglia del santuario si senta trattato più che come un ospite, come un familiare”, “deve sentirsi a casa sua, atteso, amato e guardato con occhi di misericordia”.

E evidenzia che questo deve valere per tutti anche per un “turista curioso”, “perché in ognuno c’è un cuore che cerca Dio, a volte senza rendersene pienamente conto”:

“Facciamo in modo che ogni pellegrino abbia la gioia di sentirsi finalmente compreso e amato. In questo modo, tornando a casa proverà nostalgia per quanto ha sperimentato e avrà il desiderio di ritornare, ma soprattutto vorrà continuare il cammino di fede nella sua vita ordinaria”.

I sacerdoti che confessano abbiano cuore impregnato di misericordia
Un’accoglienza del tutto particolare, sottolinea poi, “è quella che offrono i ministri del perdono di Dio”.

Il santuario, infatti, “è la casa del perdono, dove ognuno si incontra con la tenerezza del Padre che ha misericordia di tutti, nessuno escluso”:

“Chi si accosta al confessionale lo fa perché è pentito del proprio peccato: è pentito del proprio peccato. Sente il bisogno di accostarsi lì… Percepisce chiaramente che Dio non lo condanna, ma lo accoglie e lo abbraccia, come il Padre del figlio prodigo, per restituirgli la dignità filiale (cfr Lc 15,20-24).

I sacerdoti che svolgono un ministero nei santuari devono avere il cuore impregnato di misericordia; il loro atteggiamento dev’essere quello di un padre”.

“Viviamo con fede e con gioia questo Giubileo – ha concluso Francesco – viviamolo come un unico grande pellegrinaggio”.

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Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli

Posté par atempodiblog le 12 janvier 2016

Papa: misericordia, carta di identità di Dio. Libro-intervista con Tornielli
La misericordia è “la carta di identità” di Dio: così Papa Francesco nel libro-intervista “Il nome di Dio è misericordia”, da oggi in libreria. Il volume riporta una conversazione del Pontefice con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” e coordinatore del sito web “Vatican Insider” Suddiviso in nove capitoli e 40 domande, il libro – edito da Piemme – ha la copertina autografa di Papa Francesco. La prima copia del volume, in italiano, è stata consegnata ieri pomeriggio al Pontefice, presso Casa Santa Marta.
di Isabella Piro – Radio Vaticana

Il nome di Dio è Misericordia

Intervista registrata lo scorso luglio
Luglio 2015, Casa Santa Marta: Papa Francesco è da poco rientrato dal suo viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay. È un pomeriggio afoso quando riceve il giornalista Andrea Tornielli, munito di tre registratori. Su un tavolino davanti a sé, il Pontefice ha una concordanza della Bibbia e le citazioni dei Padri della Chiesa. La misericordia è il tema della conversazione che nasce tra i due, in vista del Giubileo straordinario che si aprirà cinque mesi dopo. Oggi, i frutti di quel dialogo sono raccolti nel libro “Il nome di Dio è misericordia”.

Capitolo 1: è tempo di misericordia
Preghiera, riflessione sui Pontefici precedenti e un’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che “riscalda i cuori delle persone con la vicinanza e la prossimità”: sono questi i tre fattori, spiega il Papa, che lo hanno spinto ad indire un Giubileo della misericordia. “La nostra epoca è un tempo opportuno” per questo, dice, perché oggi si vive un duplice dramma: si è smarrito il senso del peccato e lo si considera anche incurabile, inguaribile, imperdonabile. Per questo, l’umanità ferita da tante “malattie sociali” – povertà, esclusione, schiavitù del terzo millennio, relativismo – ha bisogno di misericordia, di quella “carta di identità di Dio”, di Colui “rimane sempre fedele” anche se il peccatore Lo rinnega.

La grazia della vergogna rende il peccatore consapevole del peccato
Centrale poi la riflessione del Papa sul tema della vergogna, intesa come “una grazia” perché rende il peccatore consapevole del proprio peccato. E particolare la sottolineatura del così detto “apostolato dell’orecchio”, ossia della capacità dei confessori di “ascoltare con pazienza” perché oggi le persone “cercano soprattutto qualcuno che sia disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà”. Tra l’altro – nota il Papa – è per questo che tanti si rivolgono ai chiromanti. Il Pontefice rimarca inoltre “che se il confessore non può assolvere, dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale”, perché “l’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento”.

Essere confessori è una grande responsabilità
“Abbiate tenerezza con queste persone – dice il Papa ai sacerdoti – non allontanatele”, perché “la gente soffre” e “essere confessori è una grande responsabilità”. Al riguardo, il Pontefice cita il caso di sua nipote: “Io ho una nipote che ha sposato civilmente un uomo prima che lui potesse avere il processo di nullità matrimoniale – racconta – Quest’uomo era tanto religioso che tutte le domeniche, andando a Messa, andava al confessionale e diceva al sacerdote: ‘Io so che lei non mi può assolvere, ma ho peccato in questo e in quest’altro, mi dia una benedizione’. Questo è un uomo religiosamente formato”.

Capitolo 2: confessione non è tintoria, né tortura. Ascoltare, non interrogare
D’altronde, si va al confessionale “non per essere giudicati”, ma per “qualcosa di più grande del giudizio: per l’incontro con la misericordia” di Dio, senza la quale “il mondo non esisterebbe”. Per questo, sottolinea il Pontefice, il confessionale non deve essere né “una tintoria”, in cui lavare via a secco il peccato come una semplice macchia, né “una sala di tortura” in cui scontrarsi con “l’eccesso di curiosità” di alcuni confessori, curiosità a volte “un po’ malata”, morbosa, che trasforma la confessione in un interrogatorio.

Capitolo 3: riconoscersi peccatori. Il cuore a pezzi è offerta gradita a Dio
Invece, “nel dialogo con il confessore bisogna essere ascoltati, non interrogati” e quindi il sacerdote deve “consigliare con delicatezza”. Ma per ottenere la misericordia di Dio, ribadisce nuovamente Francesco, è importante  riconoscersi peccatori, perché “il cuore a pezzi è l’offerta più gradita al Signore, è il segno che siamo coscienti del nostro bisogno di perdono, di misericordia”.  Il Papa ricorda, poi, che la misericordia di Dio è “infinitamente più grande del nostro peccato” , perché il Signore “ci primerea”, “ci anticipa, ci attende” sempre “con il suo perdono, con la sua grazia”. “Il solo fatto che una persona vada al confessionale – spiega Francesco – indica che c’è già un inizio di pentimento”. E a volte vale di più “la presenza impacciata ed umile di un penitente che fa fatica a parlare, piuttosto che le tante parole di qualcuno che descrive il suo pentimento”.

Capitolo 4: anche il Papa ha bisogno della misericordia di Dio
Dal suo canto, il Papa si definisce “un uomo che ha bisogno della misericordia di Dio” e offre alcuni consigli al penitente e al confessore: al primo, suggerisce di non essere superbo, ma di “guardare con sincerità a se stesso ed al proprio peccato”, così da ricevere il dono della misericordia di Dio. Ai confessori, invece, Francesco suggerisce di pensare innanzitutto ai propri peccati, poi di ascoltare “con tenerezza”, senza “scagliare mai la prima pietra”, ma cercando di “assomigliare a Dio nella sua misericordia”. Come modello, il Pontefice cita il padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, prim’ancora che il giovane ammetta i suoi peccati. “Questo è l’amore di Dio – sottolinea il Papa – Questa è la sua sovrabbondante misericordia”.

Capitolo 5: Chiesa condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore
Di fronte a chi, poi, a volte, afferma che nella Chiesa c’è “troppa misericordia”, il Papa risponde sottolineando che “la Chiesa condanna il peccato”, ma “allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, gli parla della misericordia infinita di Dio”. Bisogna perdonare “settanta volte sette, cioè sempre”, dice il Pontefice, perché “Dio è un padre premuroso, attento, pronto ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere un passo” verso di Lui, e “nessun peccato umano, per quanto grave, può prevalere sulla misericordia e limitarla”. La Chiesa, quindi, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”.

Chiesa sia “in uscita”, “ospedale da campo” per i bisognosi di perdono
Per fare questo, però, essa deve essere “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo che va incontro ai tanti ‘feriti’ bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore”. È importante, infatti, “accogliere con delicatezza chi si ha di fronte, non ferire la sua dignità”, afferma il Pontefice, citando un’esperienza personale, risalente ai tempi in cui era parroco in Argentina: una donna che si prostituiva per mantenere i suoi figli, lo ringraziò perché il futuro Papa l’aveva sempre chiamata “Signora”.

Capitolo 6: non leccarsi le ferite del peccato, ma muoversi verso Dio
E ancora, Francesco mette in guardia dall’atteggiamento di chi dispera “della possibilità di essere perdonato” e preferisce leccarsi le ferite del peccato, impedendone di fatto la guarigione. “Questa è una malattia narcisista che porta l’amarezza”, nota il Papa, e in cui si riscontra “un piacere nell’amarezza, un piacere ammalato”. Al contrario, “la medicina c’è”: basta solo muovere un passo verso Dio o avere almeno il desiderio di muoverlo, “prendendo sul serio la propria condizione”, senza credersi “autosufficienti” e senza dimenticare le nostre origini, “il fango da cui siamo stati tratti, il nostro niente”. E questo “vale soprattutto per i consacrati”, sottolinea il Papa. Nella vita, infatti, l’importante non è “non cadere mai”, bensì “rialzarsi sempre”. Questo, allora, è il compito della Chiesa: “Far percepire alle persone che è sempre possibile ricominciare se soltanto permettiamo a Gesù di perdonarci”.

Delicatezza, e non emarginazione, per le persone omosessuali
Rispondendo, poi, ad una domanda sulle persone omosessuali, il Papa spiega quanto detto nel 2013, durante la conferenza stampa di ritorno da Rio de Janeiro, ovvero “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. “Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica – dice Francesco – dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare”. Il Papa apprezza la dicitura “persone omosessuali” perché – spiega – “prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità”, che “non è definita soltanto dalla sua tendenza omosessuale”. “Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare insieme”, aggiunge il Pontefice.

Misericordia è dottrina, è primo attributo di Dio
Quanto al rapporto tra verità, dottrina e misericordia, Francesco spiega: “Io amo piuttosto dire: la misericordia è vera”, “è il primo attributo di Dio”. “Poi si possono fare riflessioni teologiche su dottrina e misericordia – aggiunge – ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina”. A tal proposito, il Papa cita “i dottori della legge, i principali oppositori di Gesù, che lo sfidano in nome della dottrina”: essi seguono una logica di pensiero e di fede che guarda “alla paura di perdere i giusti, i già salvati”. Gesù, invece, segue un’altra logica: quella che redime il peccato, accoglie, abbraccia, trasforma il male in bene, la condanna in salvezza. È la logica di un Dio che è amore, spiega il Papa, un Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini, che non si ferma “a studiare a tavolino la situazione”, valutando i pro e i contro. Per il Signore, ciò che conta davvero è “raggiungere i lontani e salvarli”, sanare e integrare “gli emarginati che stanno fuori” dalla società.

Logica di Dio è logica dell’amore che scandalizza i “dottori della legge”
Certo, sottolinea Francesco: questa logica può scandalizzare, allora come oggi, provocando “il mugugno” di chi è abituato ai propri “schemi mentali ed alla propria purità ritualistica”, invece di “lasciarsi sorprendere” da un amore più grande. Al contrario, è proprio questa logica la strada che il Signore ci indica di fronte alle persone che “soffrono nel fisico e nello spirito”, per vincere così “pregiudizi e rigidezze” ed evitare di giudicare e condannare “dall’alto della propria sicurezza”. Andare verso gli emarginati ed i peccatori – aggiunge il Papa – non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge, bensì cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia, senza mai cadere nella tentazione di sentirci “i giusti o i perfetti”.

Adesione formale alle regole porta a  degradazione dello stupore
Chi si scopre “ammalato nell’anima”, infatti, deve trovare porte aperte, non chiuse; accoglienza, non giudizio o condanna; aiuto, non emarginazione. I cristiani che “spengono ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore”, spiega Francesco, sono come i dottori della legge, “sepolcri imbiancati” che, con ipocrisia, vivevano attaccati alla lettera della legge, sapevano solo chiudere porte, segnare confini, ma trascuravano l’amore. Se prevale l’adesione formale alle regole – mette in guardia il Papa – allora si verifica “la degradazione dello stupore”, ossia il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza donata da Dio, e ciò ci spinge a credere di “poter fare da soli, di essere noi i protagonisti”. Questo atteggiamento “è alla base del clericalismo” e porta i ministri di Dio a credersi “padroni della dottrina, titolari di un potere”.

Legge della Chiesa è inclusiva, non esclusiva
La Chiesa non deve mai essere così, afferma il Papa, non deve avere l’atteggiamento di chi impone “pesanti fardelli” sulle spalle della gente, senza volerli muovere “neppure con un dito”. “Ad alcune persone tanto rigide – dice il Papa – farebbe bene una scivolata perché così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Gesù”. “La grande legge della Chiesa – infatti – è quella dell’et et e non quella dell’aut aut”. A tal proposito Francesco cita esempi negativi, come i cinquemila dollari richiesti ad una donna per un processo di accertamento di nullità matrimoniale o come il funerale in Chiesa rifiutato ad un bambino perché non battezzato.

Capitolo 7: corruzione, peccato elevato a sistema. Peccatori sì, corrotti no!
Ampia, poi, la riflessione di Francesco sulla corruzione, definita come “il peccato elevato a sistema e divenuto abito mentale, modo di vivere”. Il corrotto pecca e non si pente, dice il Papa, finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo, crede di non dover più chiedere perdono, passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità sua e degli altri. Con la sua “faccia da santarellino”, il corrotto evade le tasse, licenzia i dipendenti per non assumerli definitivamente, sfrutta il lavoro nero e poi si vanta delle sue furbizie con gli amici o magari va a Messa la domenica, ma poi pretende una tangente sul lavoro. E “spesso non si accorge del suo stato” come “chi ha l’alito pesante”. “Peccatori sì, corrotti no!”, esorta il Papa, invitando a pregare, durante il Giubileo, perché Dio faccia breccia nel cuore dei corrotti, donando loro “la grazia della vergogna”.

Giustizia non basta da sola, serve misericordia
Poi, il Pontefice ricorda che la misericordia è “un elemento indispensabile” perché vi sia fratellanza tra gli uomini. La giustizia da sola, infatti, non basta: con la misericordia, Dio va oltre la giustizia, “la ingloba e la supera” nell’amore. “Non c’è giustizia senza perdono – dice ancora Francesco, sulla scia di Giovanni Paolo II – e la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura, più giusta e solidale”. Non solo: “la misericordia contagia l’umanità” e ciò si riflette “nella giustizia terrena, nelle norme giudiziarie”. Basti pensare al crescente rifiuto della pena di morte che si registra a livello mondiale.

Famiglia, prima scuola di misericordia
“Con la misericordia la giustizia è più giusta”, sottolinea ancora il Papa, rimarcando che questo non significa “essere di manica larga, spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi”, bensì aiutare chi è caduto a rialzarsi, perché Dio “perdona tutto”, “fa miracoli anche con la nostra miseria” e la sua misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, tanto che nessuno può porvi un limite. Il Pontefice ricorda, poi, che la famiglia “è la prima scuola della misericordia”, perché in essa “si è amati e si impara ad amare, si è perdonati e si impara a perdonare”.

Capitolo 8: compassione vince globalizzazione dell’indifferenza
Quanto alle caratteristiche dell’amore infinito di Dio, Papa Bergoglio ricorda che Dio ci ama con compassione e misericordia; la prima ha un volto più umano, la seconda invece è divina. Infatti, Gesù non guarda alla realtà dall’esterno, “come se scattasse una fotografia”, ma “si lascia coinvolgere”. Di questa compassione c’è bisogno oggi, spiega il Papa, e ce n’è bisogno per vincere “la globalizzazione dell’indifferenza”.

Capitolo 9: praticare opere di misericordia, è in gioco credibilità dei cristiani
A conclusione del libro-intervista, il Papa si sofferma sulle opere di misericordia, corporali e spirituali: “Sono attuali e sempre valide – dice – restano alla base dell’esame di coscienza ed aiutano ad aprirsi alla misericordia di Dio”. Di qui, l’esortazione a servire Gesù “in ogni persona emarginata”, esclusa, affamata, assetata, nuda, carcerata, malata, disoccupata, perseguitata, profuga. Nell’accoglienza dell’emarginato, ferito nel corpo, e del peccatore, ferito nell’anima, si gioca infatti “la credibilità dei cristiani”, conclude il Pontefice. Perché in fondo, come diceva San Giovanni della Croce, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”.

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Peccati e perdono: l’indulgenza, cos’è e come si ottiene

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2015

Peccati e perdono: l’indulgenza, cos’è e come si ottiene
Il cardinale Mauro Piacenza, capo della Penitenzieria apostolica, massimo esperto in materia, spiega come vivere il Giubileo. Nel segno del ritorno a Dio e della ritrovata concordia con chi ci vive accanto.
di Saverio Gaeta – Credere
Tratto da: Famiglia Cristiana

card mauro piacenza
Il cardinale Mauro Piacenza è a capo della Penitenzieria apostolica, il più antico dicastero vaticano.

«Vivere la misericordia di Dio significa percepire sulla propria esistenza una promessa di bene e di vita». Il cardinale Mauro Piacenza è a capo della Penitenzieria apostolica, il più antico dicastero vaticano, competente fra l’altro su tutto ciò che riguarda le indulgenze. E in questi mesi di preparazione al Giubileo ha pubblicato diversi contributi sul tema della misericordia che, ci spiega, «ha tre momenti significativi: la richiesta di riceverla, l’esperienza che di essa si fa e la sollecitazione a offrirla a propria volta ai fratelli».

Eminenza, in che consiste la misericordia divina?
«Credo che un’ottima sintesi sia composta da tre frasi di papa Francesco tratte dalla bolla di indizione giubilare Misericordiae vultus: la misericordia è “l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, “la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita”, “la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”».

E in quale modo questa misericordia si intreccia con la giustizia divina?
«Il sacramento della Riconciliazione è il luogo in cui il desiderio umano di misericordia e di verità trova il proprio compimento. Si fonda su una giustizia che non è come quella della legge civile, fatta dall’uomo: come afferma chiaramente il Codice di diritto canonico, “la salvezza delle anime deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema” (canone 1752).

La “pastoralità”, il porre insieme giustizia e misericordia, non ha come epilogo la cancellazione del Vangelo, della dottrina o della tradizione ecclesiale, poiché la Chiesa non intende illudere gli uomini lasciandoli nella loro condizione di peccato, ma vuole scendere nelle ferite della vita di ciascuno, come fa il Signore, portandovi la luce della verità».

La Penitenzieria ha preparato uno schema per aiutare il fedele a prepararsi alla Confessione. Quali sono le principali indicazioni?
«Il primo suggerimento è di interrogarsi se ci si accosta al sacramento della Penitenza per un sincero desiderio di purificazione, di conversione, di rinnovamento di vita e di più intima amicizia con Dio, o lo si considera piuttosto come un peso, che solo raramente si è disposti ad addossarsi.

Quindi vengono proposte tre aree di riflessione personale nell’esame di coscienza, in relazione alla parola del Signore. La prima è focalizzata su “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore”, la seconda si incentra su “amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”, la terza riguarda il “siate perfetti come il Padre”, con la sollecitazione a chiedersi quale sia l’orientamento fondamentale della propria vita».

Si parla spesso anche di «nuovi peccati»…
«Il “progresso” tecnico-scientifico ha reso più “atrofizzata” la coscienza morale di molti uomini.

Di qui questi peccati cosiddetti “nuovi”, in quanto esulano dalla casistica morale in uso fino a soli cinquant’anni fa, anche se poi in realtà il peccato, nella sua radice, non è mai nuovo ma monotonamente ripetitivo».

Qualche esempio?
«Dalle pratiche dell’aborto e della contraccezione, ai tanti mali legati alla fecondazione artificiale (come l’“utero in affitto” e la distruzione degli embrioni), si manifesta il preteso dominio dell’uomo sul mistero della vita, propria e altrui, e la conseguente mercificazione della persona umana, che si vede negata la propria irriducibile dignità.

E, ancora, le piaghe della frode e della corruzione, la criminalità organizzata, tutte le pratiche esoteriche e sataniche, la violenta propagazione di ideologie che pretendono di svuotare di significato le categorie della distinzione sessuale, dell’identità biologica e, quindi, della stessa relazione interpersonale».

Nel Giubileo ha grande importanza l’indulgenza, cioè «la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa». Che cosa significa?
«È certamente importante comprendere bene questo tema della distinzione fra colpa e pena, che, a uno sguardo superficiale, potrebbe apparire di sapore medievale. Concretamente, in aggiunta all’assoluzione dalla colpa che avviene nella Confessione, l’indulgenza è il “condono” del tempo da trascorrere in purgatorio prima di raggiungere la visione di Dio in Paradiso.

È ovvio che l’indulgenza possa risultare incomprensibile all’uomo secolarizzato e persino a quei cristiani che hanno ridotto il cristianesimo a una dottrina etica. Ma, secondo la fede della Chiesa, fra tutti i battezzati si crea un mirabile legame, la comunione dei santi, che non è un’astrazione spirituale: utilizzando una categoria biblica, si tratta di una vera e propria alleanza per la salvezza. In tal senso si parla di “tesoro delle indulgenze”».

In qualche modo, questo ha anche un risvolto sociale?
«Il persistere della pena temporale, anche dopo l’assoluzione sacramentale della colpa, rende ciascun uomo consapevole delle conseguenze dei propri atti, gli indica il dovere responsabile della riparazione e, cosa ancora più importante, lo chiama alla partecipazione all’opera redentiva di Cristo, per sé e per i fratelli».

Quali sono i requisiti per ottenere l’indulgenza che, ricordiamolo, può essere ottenuta anche in favore dei defunti?
«Sono essenzialmente tre: il sacramento della Riconciliazione, la partecipazione all’Eucaristia e la preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre.

La Confessione, vissuta con il cuore sinceramente distaccato da qualsiasi peccato, spinge l’uomo ad avvicinarsi a Dio e a lasciare che Dio si avvicini a lui.

La celebrazione dell’Eucaristia, con la comunione sacramentale, sottolinea la dimensione ecclesiale dell’indulgenza.

La preghiera secondo le intenzioni del Papa ricorda come la comunione non sia genericamente spirituale, ma debba essere concreta comunione con la madre Chiesa».

Nella lettera del 1° settembre Francesco ha fornito ulteriori precisazioni…
«Il Papa chiarisce che, per ottenere l’indulgenza, “i fedeli sono chiamati a compiere un breve pellegrinaggio verso la Porta santa, aperta in ogni cattedrale o nelle chiese stabilite dal vescovo diocesano, e nelle quattro basiliche papali a Roma, come segno del desiderio profondo di vera conversione”.

A quanti ne sono impossibilitati “sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore”, mentre per i carcerati “ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta santa”.

C’è poi un forte appello in favore delle opere di misericordia corporale e spirituale: “Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare”».

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Il Sacramento della Riconciliazione nelle parole di Papa Francesco

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2015

Il Sacramento della Riconciliazione nelle parole di Papa Francesco
“La misericordia di Dio sarà sempre più grande di ogni peccato”: è quanto scrive Papa Francesco in un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue. La frase è tratta da “Misericordiae Vultus”, la Bolla di indizione del Giubileo. Nel documento il Papa invita a porre “di nuovo al centro con convinzione il Sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia”.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

confessionale

“Nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona” scrive Papa Francesco nel testo della Bolla per il Giubileo. Anche il perdono, però, ricordava all’inizio di quest’anno, ha una condizione:

“Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno! Solo ciò che è sottratto alla divina misericordia non può essere perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato” (Discorso ai partecipanti a Corso della Penitenzieria, 12 marzo2015).

Uno dei segni importanti dell’Anno Santo – ha detto il Pontefice durante un’udienza generale – è la Confessione:

“Dio ci comprende anche nei nostri limiti, ci comprende anche nelle nostre contraddizioni. Non solo, Egli con il suo amore ci dice che proprio quando riconosciamo i nostri peccati ci è ancora più vicino e ci sprona a guardare avanti. Dice di più: che quando riconosciamo i nostri peccati e chiediamo perdono, c’è festa nel Cielo. Gesù fa festa: questa è la Sua misericordia” (Udienza generale, 16 dicembre 2015).

Il perdono dei peccati – afferma Papa Francesco – non è “frutto dei nostri sforzi”, ma “dono dello Spirito Santo” che ci guarisce. E “non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù”:

“Uno può dire: io mi confesso soltanto con Dio. Sì, tu puoi dire a Dio ‘perdonami’, e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona del sacerdote” (Udienza generale, 19 febbraio 2014).

Accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, anche la vergogna è salutare:

“Anche la vergogna è buona, è salutare avere un po’ di vergogna … La vergogna fa bene, perché ci fa più umili” (Udienza generale, 19 febbraio 2014).

La Confessione, però, “non deve essere una tortura”. I confessori – è la sua esortazione – devono essere rispettosi della dignità e della storia personale di ciascuno. “Anche il più grande peccatore che viene davanti a Dio a chiedere perdono è ‘terra sacra’ … da “coltivare” con dedizione, cura e attenzione pastorale.

“Tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza”:

“Il Sacramento, con tutti gli atti del penitente, non implica che esso diventi un pesante interrogatorio, fastidioso ed invadente. Al contrario, dev’essere un incontro liberante e ricco di umanità, attraverso il quale poter educare alla misericordia, che non esclude, anzi comprende anche il giusto impegno di riparare, per quanto possibile, il male commesso” (Discorso ai partecipanti a Corso della Penitenzieria, 12 marzo2015).

Il Pontefice afferma che ”né un confessore di manica larga, né un confessore rigido è misericordioso”:

“Il primo, perché dice: “Vai avanti, questo non è peccato, vai, vai!”. L’altro, perché dice: “No, la legge dice…”. Ma nessuno dei due tratta il penitente come fratello, lo prende per mano e lo accompagna nel suo percorso di conversione!  (…) Misericordia significa prendersi carico del fratello o della sorella e aiutarli a camminare” (Discorso ai partecipanti a un Corso della Penitenzieria, 12 marzo 2015).

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Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2015

Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male
La speranza nella misericordia di Dio apre gli orizzonti e ci rende liberi, mentre la rigidità clericale chiude i cuori e fa tanto male: così il Papa nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

La prima Lettura del giorno, tratta dal Libro dei Numeri, parla di Balaam, un profeta ingaggiato da un re per maledire Israele. Balaam – osserva il Papa – “aveva i suoi difetti, ma persino i peccati. Perché tutti abbiamo peccati, tutti. Tutti siamo peccatori. Ma non spaventatevi – esorta il Pontefice – Dio è più grande dei nostri peccati”. “Nel suo cammino Balaam incontra l’angelo del Signore e cambia il cuore”. “Non cambia di partito” ma “cambia dall’errore alla verità e dice quello che vede”: il Popolo di Dio dimora nelle tende in mezzo al deserto e lui “oltre il deserto vede la fecondità, la bellezza, la vittoria”. Ha aperto il cuore, “si converte” e “vede lontano, vede la verità”, perché “con buona volontà sempre si vede la verità”. “E’ una verità che dà speranza”.

“La speranza – afferma Papa Francesco – è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:

“Quando io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava, sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.

Nel Vangelo, ci sono i capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno orizzonti” – dice il Papa – sono “uomini chiusi nei loro calcoli”, “schiavi delle proprie rigidità. E i calcoli umani “chiudono il cuore, chiudono la libertà”, mentre “la speranza ci fa leggeri”:

“Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro scienza non li ha salvati”.

Il Papa conclude l’omelia raccontando un fatto accaduto nel 1992 a Buenos Aires, durante una Messa per i malati. Stava confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto anziana, ottantenne, “con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di speranza”:

“E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando. ‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’. ‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone -  il libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”.

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Il Papa: “Occhio a preti rigidi (mordono!) e ad ammissioni in seminari”. E ai vescovi: “Presenti in diocesi, oppure dimettetevi!”

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2015

Il Papa: “Occhio a preti rigidi (mordono!) e ad ammissioni in seminari”. E ai vescovi: “Presenti in diocesi, oppure dimettetevi!”
Colloquio a tutto campo del Papa con i sacerdoti partecipanti al convegno organizzato della Congregazione per il Clero alla Urbaniana
di Salvatore Cernuzio – Zenit

papa parla ai pretiFiori, frutti, funghi e foglie secche. Poi: preti rigidi che “mordono”; seminaristi quasi sadici perché, in fondo, “psichicamente ammalati”; mamme che danno “schiaffi spirituali” e vescovi giramondo che si preoccupano poco dei problemi in diocesi e che forse farebbero meglio a “dimettersi”. Sono le immagini e le metafore che costellano il ‘compendio’ sulla formazione e il ministero dei sacerdoti che Francesco stila oggi durante la lunga udienza ai partecipanti al Convegno alla Pontificia Università Urbaniana, promosso dalla Congregazione per il Clero in occasione del 50° anniversario dei Decreti Conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis. Due Decreti che – dice il Papa – sono “un seme” gettato dal Concilio “nel campo della vita della Chiesa” e che nel corso di questi cinque decenni “sono cresciuti, sono diventati una pianta rigogliosa, certamente con qualche foglia secca, ma soprattutto con tanti fiori e frutti che abbelliscono la Chiesa di oggi”. Insieme, essi sono “due metà di una realtà unica: la formazione dei sacerdoti, che distinguiamo in iniziale e permanente, ma che costituisce per essi un’unica esperienza di discepolato”.

I preti sono uomini, non formati in laboratorio

“Il cammino di santità di un prete inizia in seminario!”, sottolinea infatti Bergoglio, identificando tre fasi topiche: “Presi fra gli uomini”, “costituiti in favore degli uomini”, presenti “in mezzo agli altri uomini”. “Presi fra gli uomini” nel senso che “il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni”. “Anche i preti hanno una storia”, mica sono “funghi” che “spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione”, dice Francesco.  È importante, perciò, che i formatori e gli stessi preti tengano conto di tale storia personale lungo il cammino della formazione. “Non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio”, aggiunge a braccio, “no, incomincia in famiglia con la tradizione della fede e tutte le esperienze della famiglia”. Occorre, pertanto, che tutta la formazione “sia personalizzata, perché è la persona concreta ad essere chiamata al discepolato e al sacerdozio”.

Famiglia primo centro vocazionale. “Non dimenticate mamme e nonne”

Soprattutto bisogna ricordare il fondamentale “centro di pastorale vocazionale” che è la famiglia: “chiesa domestica e primo e fondamentale luogo di formazione umana”, dove può germinare “il desiderio di una vita concepita come cammino vocazionale”. “Non dimenticatevi delle vostre mamme e delle vostre nonne”, esorta Francesco. Poi, elenca gli altri contesti comunitari: “scuola, parrocchia, associazioni, gruppi di amici”, dove – dice – “impariamo a stare in relazione con persone concrete, ci facciamo modellare dal rapporto con loro, e diventiamo ciò che siamo anche grazie a loro”.

“Un buon prete”, dunque, “è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore”, evidenzia Francesco. Per questo “la formazione umana” è necessaria per i sacerdoti, “perché imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti”.

“I preti nevrotici? Non va… Vadano dal medico a farsi dare una pastiglia”

Inoltre un prete pacificato con sé stesso e con la sua storia “saprà diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore”. Non è normale infatti “che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere”, osserva Papa Francesco: “Non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo. Ma se tu hai una malattia e sei nevrotico, vai dal medico! Dal medico clinico che ti darà una pastiglia che ti fanno bene. Anche due! Ma per favore che i fedeli non parlino delle nevrosi dei preti. E non bastonate i fedeli”.

I sacerdoti sono infatti “apostoli della gioia” e con il loro atteggiamento possono “favorire o ostacolare l’incontro tra il Vangelo e le persone”. “La nostra umanità è il ‘vaso di creta’ in cui custodiamo il tesoro di Dio”; bisogna perciò averne cura “per trasmettere bene il suo prezioso contenuto”. Mai un sacerdote deve “perdere la capacità di gioia, se la perde c’è qualcosa che non va”, raccomanda il Santo Padre.

E ammette “sinceramente” di aver “paura dei rigidi”: “I preti rigidi meglio tenerli lontano, ti mordono”, dice con ironia. “Mi viene in mente quello che disse Sant’Ambrogio nel secolo IV; dove c’è la misericordia c’è lo spirito del Signore. Dove c’è la rigidità, ci sono solo i suoi ministri. E il ministro senza il Signore diviene rigido. E questo è un pericolo per il popolo di Dio”.

“Mai e poi mai perdere le proprie radici!”

Inoltre, un prete – rimarca Francesco – “non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno generato”. “Le nostre radici ci aiutano a ricordare chi siamo e dove Cristo ci ha chiamati. Noi sacerdoti non caliamo dall’alto, ma siamo chiamati da Dio, che ci prende ‘fra gli uomini’, per costituirci ‘in favore degli uomini’”.

A tal riguardo, il Papa racconta un aneddoto: “Nella Compagnia, alcuni anni fa, c’era un prete bravo, bravo, giovane, due anni di sacerdozio… È entrato in confusione, ha parlato col padre spirituale, con i superiori, i medici: ‘Io me ne vado, non ne posso più’. Io conoscevo la mamma, gente umile, non una di queste ‘donnacce’… e gli ho detto: ‘Perché non vai dalla tua mamma e le dici tutto questo?’. E lui è andato, ha passato una giornata con la mamma. È tornato così. La mamma gli ha dato due schiaffi spirituali, gli ha detto 3 o 4 verità, lo ha messo al suo posto, è andato avanti. Perché? Perché è tornato alla radice”.

“Prega come hai imparato a pregare da bambino”

Quindi “in seminario – spiega il Papa – tu devi fare la preghiera mentale. Si, si, questo si deve fare, imparare. Ma prima di tutto prega come ti ha insegnato tua mamma, come hai imparato a pregare da bambino. Anche con le stesse parole. Incomincia a pregare così, poi andrai avanti nella preghiera”.

Pastori, non funzionari

Le radici, quindi. “Questo è un punto fondamentale della vita e del ministero dei presbiteri”, afferma Francesco. L’altro è che “si diventa preti per servire i fratelli e le sorelle”. Perché “non siamo sacerdoti per noi stessi e la nostra santificazione è strettamente legata a quella del nostro popolo, la nostra unzione alla sua unzione”. Sapere e ricordare di essere “costituiti per il popolo”, aiuta inoltre i preti “a non pensare a sé, ad essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali”. Insomma, “pastori, non funzionari”. Tantomeno il sacerdote è “un professionista della pastorale o dell’evangelizzazione, che arriva e fa ciò che deve – magari bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne va a vivere una vita separata”. No, no, “ciò che dal popolo è nato, col popolo deve rimanere”. Il prete è sempre “in mezzo agli altri uomini” e “si diventa preti per stare in mezzo alla gente”, ribadisce Bergoglio.

Vescovi impegnati e viaggiatori: “Se  non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti!” 

Quindi la “vicinanza” è un requisito fondamentale, che è richiesto anche ai “fratelli vescovi”. “Quante volte – esclama il Papa a braccio – sentiamo le lamentele dei preti: ‘Ma ho chiamato al vescovo perché ho un problema, la segretaria mi ha detto che è molto occupato, che è in giro, che non può attendermi entro tre mesi! Un vescovo sempre è occupato, grazie a Dio. Ma se tu, vescovo, ricevi la chiamata di un prete e non puoi incontrarlo perché hai tanto lavoro, almeno prendi il telefono e chiamalo. E chiedigli ‘ma è urgente, non è urgente?’, in modo che ti sente vicino”.

Purtroppo invece “ci sono vescovi che sembrano allontanarsi dai preti”, laddove “vicinanza” può essere anche una telefonata”, un segno semplice “di amore di padre, di fratellanza”, prioritario rispetto alla “conferenza in tale città” o a “un viaggio in America”. “Ma senti, eh!”, bacchetta Francesco, “il decreto di residenza di Trento è ancora vigente e se tu non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti! E gira il mondo facendo un altro apostolato molto buono… Ma se tu sei vescovo di quella diocesi: residenza”.

Il bene che preti e vescovi possono fare “nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero amore per le persone”. Perché non sono “filantropi o funzionari”, appunto, ma “padri e fratelli” che devono garantire “viscere di misericordia, sguardo amorevole”. “La paternità di un sacerdote fa tanto bene”, nel senso di “far sperimentare la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo e l’amore di Dio che si fa concreto attraverso i suoi ministri”.

“Se non si può assolvere, si dia una benedizione”

Perché “Dio non rifiuta mai”. E qui un’altra ‘bastonata’ del Papa, tutta a braccio: “Penso ai confessionali – dice -, Sempre si possono trovare strade per dare l’assoluzione. Alcune volte non si può assolvere. Ma ci sono preti che dicono: ‘No, questo non si può fare, vattene via!’. Questa non è la strada… Se tu non puoi dare l’assoluzione spiegagli: ‘Dio ti ama tanto. Per arrivare a Dio ci sono tante vie. Io non ti posso dare l’assoluzione, ti dò la benedizione. Torni, torni sempre qui che io ogni volta le darò la benedizione come segno che Dio la ama. E quell’uomo, quella donna, se ne andrà pieno di gioia perché ha trovato l’icona del Padre che non rifiuta mai”.

Un prete non ha “spazi privati”

Francesco invita quindi ad un “buon esame di coscienza” utile a orientare la propria vita e il proprio ministero a Dio: “Se il Signore tornasse oggi, dove mi troverebbe? Il mio cuore dov’è? In mezzo alla gente, pregando con e per la gente, coinvolto con le loro gioie e sofferenze, o piuttosto in mezzo alle cose del mondo, agli affari terreni, ai miei ‘spazi’ privati?”. Attenzione - dice - perché “un prete non può avere uno spazio privato o è col Signore. Io penso ai preti che ho conosciuto nella mia città, quando non c’era la segreteria telefonica, dormivano col telefono sotto il comodino e quando chiamava la gente, si alzavano e andavano a dare l’unzione. Non moriva nessuno senza sacramenti… Neppure nel riposo avevano uno spazio privato. Questo è essere apostolico”.

“Occhi aperti alle ammissioni ai seminari. Dietro i rigidi ci sono disturbi psichici”

Un’ultima riflessione, prima di concludere, Francesco la affronta – ancora a braccio – sullo spinoso tema del discernimento vocazionale e della ammissione al seminario. Bisogna “cercare la salute di quel ragazzo”, raccomanda, la “salute spirituale, materiale, fisica, psichica”. Un altro aneddoto: “Una volta appena nominato maestro dei novizi, anno ’72, sono andato a portare per la prima volta dalla psichiatra gli esiti del test di personalità che si faceva come uno degli elementi del discernimento. Lei era una brava donna e una buona cristiana, ma in alcuni casi era inflessibile: “‘Questo non può’. ‘Ma dottoressa, è tanto buono questo ragazzo!’. ‘Ma sappia, padre – spiegava la psichiatra al futuro Papa – ci sono giovani che sanno incoscientemente di essere psichicamente ammalati e cercano dalla sua vita strutture forti che li difendano e così poter andare avanti. E vanno bene fino al momento che si sentono ben stabiliti, poi lì cominciano i problemi…’”.

“Lei non ha pensato perché ci sono tanti poliziotti torturatori?”, domandava la donna, “entrano giovani, sembrano sani, ma quando si sentono sicuri la malattia incomincia a uscire”. Polizia, esercito, clero, sono infatti “le istituzioni forti che cercano questi ammalati incoscienti”, osserva Papa Francesco, “e poi tante malattie che tutti noi conosciamo”. “È curioso – aggiunge -: quando un giovane è troppo rigido, troppo fondamentalista, io non ho fiducia. Dietro di quello c’è qualcosa che lui stesso non sa”.

Quindi un monito chiaro: “Occhio alle ammissioni ai seminari, occhi aperti”.

315fyfr dans Fede, morale e teologia

Per approfondire
2e2mot5 dans Diego Manetti Udienza ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il Clero in occasione del 50.mo anniversario dei Decreti Conciliari “Optatam totius” e “Presbyterorum ordinis”, 20.11.2015 – Bollettino – Sala Stampa della Santa Sede

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Il mestiere del prete è quello di salvare le anime immortali

Posté par atempodiblog le 8 octobre 2015

Sacerdote

Don Camillo: “Il mestiere del prete è quello di accaparrare le anime da spedire in Paradiso, via Vaticano”.

di Giovannino Guareschi

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Papa Francesco: no ai ministri di rigidità, Dio vuole misericordia

Posté par atempodiblog le 8 octobre 2015

Papa Francesco: no ai ministri di rigidità, Dio vuole misericordia
Guardiamoci dall’avere un cuore duro che non lascia entrare la misericordia di Dio. [...] Il Papa ha esortato a non resistere alla misericordia del Signore, credendo più importanti i propri pensieri o un elenco di comandamenti da osservare.
di Alessandro Gisotti  – Radio Vaticana

papa francesco

Il profeta Giona resiste alla volontà di Dio, ma alla fine impara che deve obbedire al Signore. Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla Prima Lettura, tratta proprio dal Libro di Giona, e ha osservato che la grande città di Ninive si converte proprio grazie alla sua predicazione:

“Davvero fa il miracolo, perché in questo caso lui ha lasciato da parte la sua testardaggine e ha obbedito alla volontà di Dio, e ha fatto quello che il Signore gli aveva comandato”.

Ninive, dunque, si converte e davanti a questa conversione, Giona, che è uomo “non docile allo Spirito di Dio, si arrabbia”: “Giona – ha detto il Papa – provò grande dispiacere e fu sdegnato”. E, addirittura, “rimprovera il Signore”.

Se il cuore è duro, la misericordia di Dio non può entrare
La storia di Giona e Ninive, annota Francesco, si articola dunque in tre capitoli:  il primo “è la resistenza alla missione che il Signore gli affida”; il secondo “è l’obbedienza, e quando si obbedisce si fanno miracoli. L’obbedienza alla volontà di Dio e Ninive si converte”. Nel terzo capitolo, “c’è la resistenza alla misericordia di Dio”:

“Quelle parole, ‘Signore, non era forse questo che dicevo quando ero nel mio Paese? Perché Tu sei un Dio misericordioso e pietoso’, e io ho fatto tutto il lavoro di predicare, io ho fatto il mio mestiere ben fatto, e Tu li perdoni? E’ il cuore con quella durezza che non lascia entrare la misericordia di Dio. E’ più importante la mia predica, sono più importanti i miei pensieri, è più importante tutto quell’elenco di comandamenti che devo osservare, tutto, tutto, tutto che la misericordia di Dio”.

Anche Gesù non era capito per la sua misericordia
“E questo dramma – rammenta Francesco – anche Gesù lo ha vissuto con i Dottori della Legge, che non capivano perché Lui non lasciò lapidare quella donna adultera, come Lui andava a cena con i pubblicani e i peccatori: non capivano. Non capivano la misericordia. ‘Tu sei misericordioso e pietoso’”. Il Salmo che oggi abbiamo pregato, prosegue il Papa, ci suggerisce di “attendere il Signore perché con il Signore è la misericordia, e grande è con Lui la redenzione”.

No ai ministri della rigidità, il Signore ci chiede misericordia
“Dove c’è il Signore – riprende Francesco – c’è la misericordia. E Sant’Ambrogio aggiungeva: ‘E dove c’è la rigidità ci sono i suoi ministri’. La testardaggine che sfida la missione, che sfida la misericordia”:

“Vicini all’inizio dell’Anno della Misericordia, preghiamo il Signore che ci faccia capire come è il suo cuore, cosa significa ‘misericordia’, cosa vuol dire quando Lui dice: ‘Misericordia voglio, e non sacrificio!’. E per questo, nella preghiera Colletta della Messa abbiamo pregato tanto con quella frase tanto bella: ‘Effondi su di noi la Tua misericordia’, perché soltanto si capisce la misericordia di Dio quando è stata versata su di noi, sui nostri peccati, sulle nostre miserie …”.

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Un Papa che «spiazza» col Vangelo

Posté par atempodiblog le 28 septembre 2015

Un Papa che «spiazza» col Vangelo
Uno sguardo d’insieme al viaggio di Francesco nel cuore di una società e di una Chiesa polarizzate
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

papa francesco

Nella vignetta sono riprodotti un democratico e un repubblicano che discutono davanti a Papa Francesco. «Sul cambiamento climatico è con me», dice il primo. «Sulla vita è con me». Leggermente più distante c’è Gesù, che chiosa: «Scusatemi, ma io sono ben sicuro che sia con me».

È una sintesi di quanto accaduto in questi giorni, tanto più che ai due esponenti politici si sarebbero potuti sostituire senza problemi altrettanti prelati, uno progressista e uno conservatore.

Gli adepti della polarizzazione, i crociati in servizio permanente effettivo, quanti riducono la fede a ideologia, a sinistra come a destra, e faticano ad «afferrare» Francesco perché non riescono a inserirlo nei propri schemi precostituiti. Invece di partire dalla realtà, la interpretano con le lenti fuorvianti della semplificazione.

Come spesso accade, anche per la trasferta papale a Cuba e negli Stati Uniti ci sono stati due viaggi. Quello che hanno voluto vedere alcuni circoli mediatici e intellettuali, e quello della gente. Tanta gente, che si è riversata commossa nelle strade. Quella gente che sabato sera nel Boulevard Benjamin Franklin di Philadelphia dopo una veglia che assomigliava più a uno spettacolo hollywodiano, si è lasciata entusiasmare guardando al Papa e ascoltando le sue parole.

Francesco sa di vivere in un tempo in cui la lamentazione, il richiamo nostalgico al passato, i proclami e le contrapposizioni tipiche di certi «cultural warriors» servono soltanto a esaltare i propri seguaci. Non raggiungono il cuore dei tanti «feriti» del nostro tempo. Cioè non evangelizzano.

Nel cuore degli americani probabilmente rimarrà il poetico richiamo ai padri fondatori contenuto nel discorso al Congresso. Ma non c’è dubbio che due messaggi importanti Papa Bergoglio li ha dati nei discorsi ai vescovi. Quello ai vescovi degli Stati Uniti e quello ai vescovi e cardinali provenienti da tutto il mondo presenti all’incontro delle famiglie.

La famiglia oggi è attaccata, i giovani non si sposano più, gli Stati introducono legislazioni sulle unioni omosessuali. «Come pastori – ha detto Bergoglio – noi vescovi siamo chiamati a raccogliere le forze e a rilanciare l’entusiasmo per la nascita di famiglie più pienamente rispondenti alla benedizione di Dio, secondo la loro vocazione! Dobbiamo investire le nostre energie non tanto nello spiegare e rispiegare i difetti dell’attuale condizione odierna e i pregi del cristianesimo, quanto piuttosto nell’invitare con franchezza i giovani ad essere audaci nella scelta del matrimonio e della famiglia».

Con le sue parole e i suoi gesti Francesco indica la via per un cambiamento per passare da un «un cristianesimo che “si fa” poco nella realtà e “si spiega” infinitamente nella formazione», a un cristianesimo testimoniato come «buona notizia». Da cristiani che trovano la loro consistenza e talora si esaltano nel fare analisi di dottrina agli altri, a cristiani capaci di «perdere tempo» con le famiglie. Capaci di vicinanza a quelli che sono «perduti, abbandonati, feriti, devastati, avviliti e privati delle loro dignità».

Perché se l’annuncio del Vangelo è l’incontro con lo sguardo misericordioso di Gesù «anche una donna samaritana con cinque “non-mariti” – ha detto Francesco – si scoprirà capace di testimonianza» e magari «un maturo pubblicano si precipiterà giù dall’albero e si farà in quattro per i poveri ai quali – fino a quel momento – non aveva mai pensato».

I più grandi nemici di Gesù duemila anni fa non sono stati i peccatori, le prostitute, i pubblicani o i ladroni. Sono stati gli uomini di religione dell’epoca, i dottori della legge, coloro che si consideravano giusti e perfetti. Non avevano bisogno di salvezza, di misericordia, di aiuto. Sono gli stessi che oggi devono incasellare Papa Francesco nei loro piccoli schemi e pregiudizi, per non lasciarsi mettere in discussione, per non lasciarsi provocare, per non lasciarsi spiazzare.

Nel suo viaggio americano, in tanti hanno imparato a conoscere Francesco e la sua testimonianza che «spiazza». Con il Vangelo.

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La confessione del Papa: «Mi sono sentito usato»

Posté par atempodiblog le 14 septembre 2015

La confessione del Papa: «Mi sono sentito usato»
Francesco parla dell’amicizia, dell’ambiente e dei fondamentalismi durante la prima intervista a una radio indipendente e non confessionale (FM Milenium) dell’Argentina
di Andrès Beltramo Álvarez – Vatican Insider

papa francesco

«Mi sono sentito usato da persone che si sono presentate come amiche e che io forse non avevo visto più di una o due volte in vita mia. Hanno usato questo per il loro vantaggio». Una confessione onesta di Papa Francesco sull’amicizia utilitaria. «A me, questo fa male», ha detto durante la prima intervista a una radio indipendente e non confessionale, FM Milenium dell’Argentina. Il dialogo è stato trasmesso ieri, domenica 13 settembre, a Buenos Aires.

Un’ora circa di conversazione tra Francesco e un suo amico da più di 15 anni: Marcelo Figueroa. Presbiteriano, si erano conosciuti nei tempi quando lui era il direttore delle Società Bibliche Argentine. Da allora hanno alimentato un’amicizia che è riuscita a sopravvivere anche nei momenti più difficili, come la malattia. «Diálogos para el encuentro» (dialoghi per l’incontro) è il nome del programma che si può ascoltare tutte le domeniche pomeriggio, sulla frequenza 106.7 FM.

«Non ho mai avuto tanti ‘amici’ come adesso. Tutti sono amici del Papa. L’amicizia è qualcosa di molto sacro. Lo dice la Bibbia: ‘abbi uno o due amici’. Prima di considerare amico qualcuno, lascia che il tempo lo metta alla prova, per vedere come reagisce davanti a te», ha detto Jorge Mario Bergoglio, prima di chiarire che tutti vivono l’esperienza dell’amicizia utilitaria.

«L’amicizia è accompagnare la vita dell’altro da un presupposto tacito. In genere, le vere amicizie non devono essere esplicitate, succedono, e poi è come se si coltivassero. Al punto di far entrare l’altra persona nella mia vita come sollecitudine, come buon auspicio, come salutare curiosità di sapere com’è lui, la sua famiglia, i suoi figli», ha aggiunto.

Secondo il Pontefice, bisogna saper distinguere l’amicizia da altre forme di relazione come quella che si instaura tra colleghi. Anche se sono passati mesi o anni, ha spiegato, quando uno si ritrova con un amico si sente come se il tempo non fosse trascorso.

«Noi uomini, per il nostro peccato, per la nostra debolezza, fomentiamo la cultura dell’inimicizia. Dalla guerra fino alle chiacchiere di quartiere, o al lavoro. Uno degrada, calunnia o diffama l’altro con molta libertà, come se fosse la cosa più naturale al mondo, anche se non fosse vero, soltanto per avere un posto più potente o qualcos’altro», ha spiegato.

Francesco ha anche detto che, di fronte a questa tendenza all’inimicizia, bisogna spingere «l’amicizia sociale», che per lui si chiama «cultura dell’incontro». Ha anche riconosciuto che agli esseri umani «piace molto» diventare dei giudici per marcare le distanze, ma, ha ricordato, l’unico giudice è Dio.

Poi ha parlato del dialogo interreligioso, riconoscendo che ogni confessione ha il proprio «gruppetto di fondamentalisti», il cui «lavoro» è distruggere per un’idea, non per la realtà. Ha spiegato che questi fondamentalisti «allontanano a Dio dalla compagnia del suo popolo» e lo trasformano in un’ideologia. «Allora, nel nome di quel Dio ideologico, uccidono, attaccano, distruggono, calunniano. Per essere un po’ pratici, trasformano questo Dio in un idolo», ha ribadito.

E poi ha riflettuto sulla stessa idea, osservando che c’è oggi «un’oscurità trasversale», che nasconde l’orizzonte dell’umanità, rinchiude in delle ideologie e costruisce delle mura che impediscono l’incontro. «Metto un muro invece di tendere un ponte e lì l’amicizia dei popoli non può darsi», ha detto.

Ha anche parlato del suo rapporto con i fedeli, rivelando il bisogno che sente di avvicinarsi perché la gente lo rivitalizza, raccontandogli le sue pene, e lui riceve tutti. Ed è questo che devono essere i preti: dei ponti, ha spiegato, e che per quello si chiamano «pontefici». «Quando abbraccio la gente, è Gesù che abbraccia me! Ricevo una vita contenta, allegra, una testimonianza…».

«Quando un prete si isola, nella sua postura ieratica o nella sua postura legalista, o nella sua postura da principe – quando dico prete, dico vescovo, Papa…. – quando si allontana – ha scandito Francesco -, incarna in certa maniera quei personaggi ai quali Gesù dedica tutto il capitolo 23 del Vangelo di Matteo. Quei legalisti, farisei, sadducei, dottori della legge che si sentivano dei puri».

Si è anche detto «pescatore» e ha ammesso che deve lottare costantemente contro i suoi egosimi. E ha rivelato che tutto il buono che ha è stato un regalo; a volte si rivolge a Gesù e dice: «Ma dai, è tanto buona la gente, come pensa, quanto buona che è!».

Più avanti ha anche parlato del rapporto dell’essere umano con l’ambiente; purtroppo, ha detto, non sempre l’uomo è «amico» del creato, perché speso tratta la natura come il suo «nemico peggiore». E si è spiegato meglio ricordando che Dio ha detto: «Crescete, moltiplicatevi, dominate la terra, prendetevi cura della terra! Ma arriva un momento nel quale l’uomo si sente padrone, va oltre quello che vuol dire prendersi cura della terra e la tralascia. E così crea un’incultura, perché abusa della natura».

Figueroa, l’intervistatore, ha fatto una domanda sul capitolo due della «Laudato sì», dove Francesco denuncia un sistema che alimenta il degrado dell’ambiente, un sistema corrotto e perverso.

Al riguardo, il Papa ha spiegato: «È un sistema che, per il guadagno (perché in fondo c’è il guadagno, l’agnello e sempre d’oro, l’idolo è d’oro e si trova nel centro)… L’uomo è stato spostato dal centro e lì c’è il denaro. Non si ha in considerazione il creato, e tra esso l’uomo. La schiavitù, il lavoro schiavo, non prendersi cura del creato, non prendersi cura del re del creato. Cioè, abbiamo un rapporto cattivo con il creato in questo momento».

E ha aggiunto: «Ricordo la frase di un dirigente politico molto importante nel mondo: ‘Non si tratta di prendersi cura del creato per formare un mondo migliore per i nostri figli, perché non ci sarà’. Se continuiamo a questi ritmi, non ci sarà. Si tratta di prendersi cura del creato per questo momento. Siamo di fronte all’irreversibile, ed è tragico. E, d’altra parte, non è invincibile (quest’ingiustizia, ndr), perché, anche se arrivasse la catastrofe, io credo nella terra nuova e nei cieli nuovi. Ho speranza e so che il creato sarà trasformato».

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Il sacerdote deve rispettare i fedeli

Posté par atempodiblog le 13 septembre 2015

Il sacerdote deve rispettare i fedeli
del Servo di Dio don Dolindo Ruotolo

don dolindo

Il sacerdote deve mostrare profonda stima e rispetto dei suoi fedeli, pensando che sono creature di Dio, e che saranno innanzi a Lui la sua gloria, rappresentando essi il frutto delle sue fatiche e il titolo della sua eterna ricompensa. Il trattarli con rispetto profondo e soprannaturale li spinge a rispettarlo e ad amarlo come padre delle anime loro, e li induce più facilmente a mettere in pratica i suoi insegnamenti. Anche le persone più umili del popolo s’ingentiliscono quando sono trattate con rispetto, e persino i fanciulli si sentono costretti ad una maggiore educazione innanzi al ministro di Dio.

Il sacerdote deve perciò trattare con lo stesso garbo e rispetto tanto i nobili che il popolo, tanto gli uomini che le donne, tanto i vecchi che i fanciulli. Deve evitare qualunque parola volgare, deve dare a tutti del voi o del lei, deve invitarli a sedere se gli parlano, deve alzarsi nel licenziarli, quando è possibile, per mostrare loro la propria deferenza.

Per la strada deve sempre prevenirli nel saluto, e il suo saluto deve essere sempre profumato da un gesto di bontà, da un sorriso, da un inchino, da una parola santa. Deve conciliarsi la fiducia dei piccoli col mostrare di interessarsi di loro, col mettere magari loro la mano sul capo in segno di benedizione e, quando può, col dispensare loro un’immaginetta sacra, che li richiami all’amore delle cose sante. Quanto bene può fare un sacerdote che si comporta così, e che riguarda i suoi fedeli come anime, anime redente dal Sangue di Gesù Cristo!

Egli, che tante volte porta Gesù vivo e vero sul cuore portandolo agli infermi, deve pensare con gioia che cammina con Gesù per andare con Lui alla ricerca delle anime. «Andiamo, Gesù – deve dire esultando – andiamo insieme alla salvezza delle anime». Ed anche quando non porta Gesù vivo e vero sul cuore, egli lo ha nel cuore per il suo santissimo carattere sacerdotale, e deve riguardarsi come un soldato suo, che in ogni passo deve marciare alla conquista delle anime.

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Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2015

Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano
Pace e riconciliazione. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia nella Messa mattutina a Casa Santa Marta partendo da questo binomio. Il Pontefice ha condannato quanti producono armi per uccidere nelle guerre, ma ha anche messo in guardia dai conflitti all’interno delle comunità cristiane. Dal Papa, inoltre, una nuova esortazione ai sacerdoti ad essere misericordiosi come lo è il Signore.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

papa misericordioso

Gesù è il principe della pace perché genera pace nei nostri cuori. Papa Francesco ha preso spunto dalle letture del giorno per soffermarsi sul binomio pace-riconciliazione. E subito si è chiesto se “noi ringraziamo tanto” per “questo dono della pace che abbiamo ricevuto in Gesù”. La pace, ha detto, “è stata fatta, ma non è stata accettata”.

Basta produrre armi, la guerra annienta
Anche oggi, tutti i giorni, “sui telegiornali, sui giornali – ha constatato con amarezza – vediamo che ci sono le guerre, le distruzioni, l’odio, l’inimicizia”.

“Anche ci sono uomini e donne che lavorano tanto – ma lavorano tanto! – per fabbricare armi per uccidere, armi che alla fine divengono bagnate nel sangue di tanti innocenti, di tanta gente. Ci sono le guerre! Ci sono le guerre e c’è quella cattiveria di preparare la guerra, di fare le armi contro l’altro, per uccidere! La pace salva, la pace ti fa vivere, ti fa crescere; la guerra ti annienta, ti porta giù”.

Chi non sa perdonare, non è cristiano
Tuttavia, ha soggiunto, la guerra non è solo questa, “è anche nelle nostre comunità cristiane, fra noi”. E questo, ha sottolineato, è il “consiglio” che oggi ci dà la liturgia: “Fate la pace fra voi”. Il perdono, ha aggiunto, è la “parola chiave”: “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.

“Se tu non sai perdonare, tu non sei cristiano. Sarai un buon uomo, una buona donna… Perché non fai quello che ha fatto il Signore. Ma pure: se tu non perdoni, tu non puoi ricevere la pace del Signore, il perdono del Signore. E ogni giorno, quando preghiamo il Padre Nostro: ‘Perdonaci, come noi perdoniamo…’. E’ un ‘condizionale’. Cerchiamo di ‘convincere’ Dio di essere buono, come noi siamo buoni perdonando: al rovescio. Parole, no? Come si cantava quella bella canzone: ‘Parole, parole, parole’, no? Credo che Mina la cantasse… Parole! Perdonatevi! Come il Signore vi ha perdonato, così fate voi”.

La lingua distrugge, fa la guerra
C’è bisogno di “pazienza cristiana”, ha ripreso. “Quante donne eroiche ci sono nel nostro popolo – ha detto – che sopportano per il bene della famiglia, dei figli tante brutalità, tante ingiustizie: sopportano e vanno avanti con la famiglia”. Quanti uomini “eroici ci sono nel nostro popolo cristiano – ha proseguito – che sopportano di alzarsi presto al mattino e andare al lavoro – tante volte un lavoro ingiusto, mal pagato – per tornare in tarda serata, per mantenere la moglie e i figli. Questi sono i giusti”. Ma, ha ammonito, ci sono anche quelli che “fanno lavorare la lingua e fanno la guerra”, perché “la lingua distrugge, fa la guerra!”. C’è un’altra parola chiave, ha poi detto Francesco, “che viene detta da Gesù nel Vangelo”: “misericordia”. E’ importante “capire gli altri, non condannarli”.

Sacerdoti siano misericordiosi, non bastonino la gente in confessionale
“Il Signore, il Padre è tanto misericordioso – ha affermato – sempre ci perdona, sempre vuol fare la pace con noi”. Ma “se tu non sei misericordioso – ha avvertito il Papa – rischi che il Signore non sia misericordioso con te, perché noi saremo giudicati con la stessa misura con la quale noi giudichiamo gli altri”:

“Se tu sei prete e non te la senti di essere misericordioso, dì al tuo vescovo che ti dia un lavoro amministrativo, ma non scendere in confessionale, per favore! Un prete che non è misericordioso fa tanto male nel confessionale! Bastona la gente. ‘No, Padre, io sono misericordioso, ma sono un po’ nervoso…’. ‘E’ vero… Prima di andare in confessionale va dal medico che ti dia una pastiglia contro i nervi! Ma sii misericordioso!’. E anche fra noi misericordiosi. ‘Ma quello ha fatto questo… Io cosa ho fatto?’; ‘Quello è più peccatore di me!’: chi può dire questo, che l’altro sia più peccatore di me? Nessuno di noi può dire questo! Soltanto il Signore sa”.

Come insegna San Paolo, ha dunque evidenziato, bisogna rivestirsi di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”. Questo, ha detto Francesco, “è lo stile cristiano”, “lo stile col quale Gesù ha fatto la pace e la riconciliazione”. “Non è la superbia, non è la condanna, non è sparlare degli altri”. Che il Signore, ha concluso, “ci dia a tutti noi la grazia di sopportarci a vicenda, di perdonare, di essere misericordiosi, come il Signore è misericordioso con noi”.

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Anno Misericordia. Il Papa: confessare come San Leopoldo Mandić

Posté par atempodiblog le 24 août 2015

Anno Misericordia. Il Papa: confessare come San Leopoldo Mandić
Uno dei protettori dell’Anno Santo della Misericordia, che si aprirà il prossimo 8 dicembre, sarà San Leopoldo Mandić, cappuccino, un umile frate confessore, pioniere dell’ecumenismo che pregava per la piena unità fra la Chiesa d’Oriente e Occidente.
di Amedeo Lomonaco – Radio Vaticana

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Un frate umile, piccolo di statura, povero e di salute cagionevole, ma forte nello spirito, capace di aprire le coscienze di molti alla grazia e alla conversione. Nato nel 1866 in Dalmazia, allora Impero austriaco, ha vissuto nel silenzio, nella riservatezza e nell’umiltà 52 anni di vita sacerdotale. Durante l’omelia per la sua canonizzazione, il 16 ottobre 1983, San Giovanni Paolo II aveva ricordato che padre Leopoldo era sempre “pronto e sorridente, prudente e modesto”. Un “confidente discreto”, un “maestro rispettoso” e un “consigliere spirituale comprensivo e paziente”. Le sue erano confessioni brevi. “La misericordia di Dio – diceva – è superiore ad ogni nostra aspettativa”. Confessa fino a poche ore prima della morte, avvenuta il 30 luglio del 1942. Il suo ministero è stato anche sempre animato da un desiderio ardente: l’unità di tutti i cristiani. E’ il Santo della riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale, sottolinea fra Flaviano Giovanni Gusella, rettore del Santuario di San Leopoldo Mandić a Padova:

R. - Padre Leopoldo ha dedicato tutta la sua vita quasi esclusivamente al ministero della Confessione. E’ stato “il confessore”, come ha detto anche Giovanni Paolo II nel discorso di canonizzazione. E poi è stato anche il profeta dell’ecumenismo spirituale: per più di 50 anni lui ha sentito dentro il suo cuore questa chiamata forte che lo spingeva a donarsi, a consacrarsi, a pregare e ad operare per l’unità dei cristiani, in maniera particolare della Chiesa d’Oriente e della Chiesa d’Occidente, la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Tutta la sua vita, quindi, è stata vissuta all’interno dei conventi nella celletta confessionale di Padova, con questo anelito, con questa spinta forte a donarsi completamente per l’unità dei cristiani.

D. – L’Anno Santo della Misericordia sarà anche un’occasione per sperimentare la gioia del perdono e comprendere, ancora più profondamente, il ministero del confessore così caro a San Leopoldo Mandić…
R. - E’ stato ministro del Sacramento della Riconciliazione, icona della Divina Misericordia, ed ha esercitato questo ministero con uno stile profetico – come è stato profetico per l’ecumenismo spirituale – con una misericordia, con una bontà, con una capacità di accoglienza, con uno stile dove si specchia quello che Papa Francesco ha scritto nella “Misericordiae vultus”, indicendo l’Anno Santo della Misericordia. Ha esercitato il Sacramento della Riconciliazione in maniera profetica, facendo gustare a tutti quanto fosse bello riconciliarsi con Dio, con i fratelli, con se stessi, cambiando vita, esercitando quella disponibilità alla grazia che il Signore dona a tutti.

D. – E’ stato Papa Francesco ad annunciarle che San Leopoldo sarà uno dei protettori del prossimo Anno Santo della Misericordia…
R. - In maniera del tutto casuale e fortuita, ma anche provvidenziale posso aggiungere, ho avuto la fortuna di scambiare qualche parola con Papa Francesco nell’udienza pubblica dello scorso mercoledì 22 aprile. E quando gli ho mostrato una cartolina con l’immagine di padre Leopoldo, immediatamente mi ha detto: “Sarà uno dei protettori del prossimo Giubileo della Misericordia”. E poi ha aggiunto: “Ma tu devi confessare come lui!”. Io ho risposto, quasi intimorito, che cerco di farlo, anche se è difficile imitare un santo… E allora mi ha detto: “Devi dire ai confratelli che devono confessare come lui”. Ed è molto bello questo perché mi ha rivelato che Papa Francesco conosce padre Leopoldo e il suo stile, così proponendolo non soltanto a noi Frati cappuccini, ma anche a tutti i confessori del mondo.

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