Il Papa: il teologo sia aperto e preghi, se si compiace del suo pensiero è un narcisista

Posté par atempodiblog le 14 avril 2014

Il Papa: il teologo sia aperto e preghi, se si compiace del suo pensiero è un narcisista dans Fede, morale e teologia 2dsijgh

Il Papa ha ricevuto nell’Aula Paolo VI in Vaticano i professori, gli studenti e il personale non docente della Pontificia Università Gregoriana, del Pontificio Istituto Biblico e del Pontificio Istituto Orientale. Il Papa ha ringraziato per il suo saluto il preposito generale dei Gesuiti, padre Nicolas. “Le Istituzioni a cui appartenete, riunite in Consorzio dal Papa Pio XI nel 1928 – ha detto – sono affidate alla Compagnia di Gesù e condividono lo stesso desiderio di «militare per Iddio sotto il vessillo della Croce e servire soltanto il Signore e la Chiesa Sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra» (Formula, 1). E’ importante che tra di esse si sviluppino la collaborazione e le sinergie, custodendo la memoria storica e al tempo stesso facendosi carico del presente e guardando al futuro … con creatività e immaginazione, cercando di avere una visione globale della situazione e delle sfide attuali e un modo condiviso di affrontarle, trovando vie nuove senza paura”.

“Il primo aspetto che vorrei sottolineare – ha proseguito il Papa – pensando al vostro impegno, sia come docenti che come studenti, e come personale delle istituzioni, è quello di valorizzare il luogo stesso in cui vi trovate a lavorare e studiare, cioè la città e soprattutto la Chiesa di Roma. C’è un passato e c’è un presente. Ci sono le radici di fede: le memorie degli Apostoli e dei Martiri; e c’è l’“oggi” ecclesiale, c’è il cammino attuale di questa Chiesa che presiede alla carità, al servizio dell’unità e della universalità. Tutto questo non va dato per scontato! Va vissuto e valorizzato, con un impegno che in parte è istituzionale e in parte è personale, lasciato all’iniziativa di ciascuno. Ma nello stesso tempo voi portate qui la varietà delle vostre Chiese di provenienza, delle vostre culture. Questa è una delle ricchezze inestimabili delle istituzioni romane. Essa offre una preziosa occasione di crescita nella fede e di apertura della mente e del cuore all’orizzonte della cattolicità. Dentro questo orizzonte la dialettica tra “centro” e “periferie” assume una forma propria, cioè la forma evangelica, secondo la logica di Dio che giunge al centro partendo dalla periferia e per tornare alla periferia”.

“L’altro aspetto che volevo condividere – ha aggiunto – è quello del rapporto tra studio e vita spirituale. Il vostro impegno intellettuale, nell’insegnamento e nella ricerca, nello studio e nella più ampia formazione, sarà tanto più fecondo ed efficace quanto più sarà animato dall’amore a Cristo e alla Chiesa, quanto più sarà solida e armoniosa la relazione tra studio e preghiera. Questa non è una cosa antica, questo è il centro! Questa è una delle sfide del nostro tempo: trasmettere il sapere e offrirne una chiave di comprensione vitale, non un cumulo di nozioni non collegate tra loro. C’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede. La filosofia e la teologia permettono di acquisire le convinzioni che strutturano e fortificano l’intelligenza e illuminano la volontà… ma tutto questo è fecondo solo se lo si fa con la mente aperta e in ginocchio. La mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre”.

Il Papa ha quindi ha proseguito: “Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di Lerins descrive così: «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (Commonitorium primum, 23: PL 50, 668): si consolida con gli anni, si dilata col tempo, si approfondisce con l’età. Questo è il teologo che ha la mente aperta. E il teologo che non prega e che non adora Dio finisce affondato nel più disgustoso narcisismo. E questa è una malattia ecclesiastica. Fa tanto male il narcisismo dei teologi, dei pensatori”.

“Il fine degli studi in ogni Università pontificia – ha sottolineato – è ecclesiale. La ricerca e lo studio vanno integrati con la vita personale e comunitaria, con l’impegno missionario, con la carità fraterna e la condivisione con i poveri, con la cura della vita interiore nel rapporto con il Signore. I vostri Istituti non sono macchine per produrre teologi e filosofi; sono comunità in cui si cresce, e la crescita avviene nella famiglia. Nella famiglia universitaria c’è il carisma di governo, affidato ai superiori, e c’è la diaconia del personale non docente, che è indispensabile per creare l’ambiente familiare nella vita quotidiana, e anche per creare un atteggiamento di umanità e di saggezza concreta, che farà degli studenti di oggi persone capaci di costruire umanità, di trasmettere la verità in dimensione umana, di sapere che se manca la bontà e la bellezza di appartenere a una famiglia di lavoro si finisce per essere un intellettuale senza talento, un eticista senza bontà, un pensatore carente dello splendore della bellezza e solo “truccato” di formalismi. Il contatto rispettoso e quotidiano con la laboriosità e la testimonianza degli uomini e delle donne che lavorano nelle vostre Istituzioni vi darà quella quota di realismo tanto necessaria affinché la vostra scienza sia scienza umana e non di laboratorio”.

Papa Francesco ha così concluso: “Cari fratelli, affido ciascuno di voi, il vostro studio e il vostro lavoro all’intercessione di Maria, Sedes Sapientiae, di sant’Ignazio di Loyola e degli altri vostri santi Patroni. Vi benedico di cuore e prego per voi. Anche voi, per favore, pregate per me! Grazie!”.

Tratto da: Radio Vaticana

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Una virtù che nel caso specifico era da riprovare

Posté par atempodiblog le 7 avril 2014

Una virtù che nel caso specifico era da riprovare dans Citazioni, frasi e pensieri San-Francesco-di-Sales

Agli inizi, S. Bernardo era rigido e rude con coloro che si ponevano sotto la sua direzione: diceva loro, per prima cosa, che era necessario abbandonare il corpo per continuare verso di Lui solo con lo spirito. Quando ascoltava le loro confessioni, aggrediva con tale severità ogni loro difetto, per piccolo che fosse, e faceva pressioni con tanta forza su quei poveri principianti, che volendo spingerli con troppa forza verso la perfezione, finiva per farli rinunciare e tornare indietro. Sotto quelle pressioni ininterrotte si scoraggiavano e si sentivano incapaci di affrontare una salita così ripida e così lunga.

Se rifletti un po’, Filotea, giungi alla conclusione che si trattava di uno zelo molto bruciante di un’anima perfetta che consigliava a quel grande santo quel tipo di metodo. Quello zelo era senz’altro una grande virtù in sé, ma una virtù che pur essendo tale, nel caso specifico era da riprovare. Dio stesso gli apparve e lo corresse e colmò la sua anima di uno spirito dolce, soave, amabile e tenero, che lo resero totalmente un altro. Si accusò di essere troppo rigido e severo e si trasformò in un uomo tanto cordiale e arrendevole con tutti, da potergli applicare il detto: Tutto a tutti, per conquistare tutti”.

Tratto da: Filotea di San Francesco di Sales

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Quaresima: digiuno, confessione, elemosina

Posté par atempodiblog le 31 mars 2014

La Confessione non può essere ridotta a confessare i peccati e all’assoluzione, ma è quel lavorio all’interno del cuore per cui ogni confessione è efficace nella misura in cui c’è il dolore dei peccati, la consapevolezza di aver offeso Dio, il dispiacere di aver offeso Dio, il proposito di non commetterne più, a queste condizioni c’è il perdono dei peccati che è una grazia talmente grande per cui il Papa sabato prossimo ha promosso una giornata di ringraziamento per il dono del perdono dei peccati, per il dono del sacramento della Confessione. Un invito da parte del Papa a ringraziare e confessarci, un invito della Chiesa e della Madonna insieme, “andate a confessarvi”, prepariamo una bella confessione pasquale e noi sacerdoti organizziamo nelle chiese quegli incontri penitenziali.

di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Medjugorje Liguria

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Il tempo di quaresima è segnato da alcuni gesti forti, importanti. In particolare la tradizione cristiana ha sempre insistito sulla necessità di praticare in special modo, in questo tempo liturgico, il digiuno, la confessione e l’elemosina.

Dai microfoni di radio Maria padre Livio invita spesso gli ascoltatori al digiuno in senso lato: non solo rinuncia al cibo, magari per dare ciò che ci si è tolti, ad altri, ma anche “digiuno degli occhi”, “digiuno delle orecchie”, “digiuno della lingua”. Se in passato rinunciare al cibo poteva essere un gesto forte, per esercitare la proprio temperanza, l’autocontrollo, il dominio dello spirito sul corpo, oggi è più urgente disfarsi delle mille sollecitazioni sensoriali, visive, tattili che il mondo ci presenta per distrarci, per intrattenerci, per anestetizzare la nostra sana inquietudine di uomini.

Televisione, radio, internet… sono un pullulare di sollecitazioni che, sommate l’una all’altra, rischiano di seppellire i veri desideri della mente e del cuore. L’indifferentismo rispetto alla fede, alla vita, al prossimo, è agevolato da questa possibilità che abbiamo di entrare in contatto continuo con un mondo lontano, virtuale, finto, per staccare la spina rispetto alla realtà vicina, al prossimo, a Dio. Per questo giustamente padre Livio ci invita a “liberarci” dalle svariate distrazioni, per concentrare il nostro sguardo, il nostro ascolto, i nostri silenzi, da cui siamo spesso così spaventati, verso le cose che contano. Perché la voce di Dio non può parlare all’uomo indaffarato soverchiamente nel chiassoso nulla.

Oltre al digiuno, la confessione. Il cardinal Raymond Burke, nei suoi “Esercizi spirituali ai sacerdoti” (Fede & Cultura), insiste molto su questo sacramento dimenticato, cui anche il pontefice fa spesso riferimento. Confessarsi significa riconoscersi peccatori, non in senso generico, ma verso Qualcuno. Significa sentirsi bisognosi di perdono, di grazia, di misericordia: senza questa disposizione del cuore, superficialità di vita e superbia mettono radici nel cuore dell’uomo, trasformandolo in una creatura orgogliosa e tronfia del suo nulla.

Ma è ai sacerdoti che il cardinal Burke si rivolge, definendoli, prima ancora che “guide morali”, “araldi e strumenti della misericordia di Dio”, e dicendo loro che “soltanto quando i fedeli avranno raggiunto una più profonda conoscenza della Divina Misericordia, ascolteranno la chiamata alla conversione e alla donazione della loro vita a Dio, cosicché Egli potrà perdonare i loro peccati e rafforzarli nel proposito d’emendamento. E’ soltanto nella luce della bontà divina che riusciamo a capire che cos’è il peccato!”.

E qui il cardinale consiglia ai sacerdoti di confessare spesso, di ritirarsi volentieri in questo piccolo ospedale dell’anima in cui si operano guarigioni e riconciliazione che è il confessionale, e di confessarsi spesso. Essendoci, a mio parere, un grave rischio: se il sacerdote sale solo sul pulpito, e non sta mai in confessionale, ad ascoltare le colpe altrui, a denunciare le proprie, le sue omelie saranno improntate o ad un freddo e duro moralismo, o allo sciocco utopismo del tempo e delle mode. Perché è nel confessionale che il sacerdote diventa conoscitore dell’animo umano, della sua fragilità, della sua debolezza, ed anche dei suoi slanci vitali, delle sue aspirazioni. Ed è questo il campo di battaglia in cui si impara a tenere al centro la Verità, accompagnata però dalla Misericordia, senza trasformare la Verità in ideologia né la Misericordia in buonismo.

L’ultimo elemento classico della quaresima cristiana è l’elemosina, che, secondo i Padri della Chiesa, “copre la moltitudine dei peccati”. Il dovere dell’elemosina si ricollega fortemente alla carnalità di Cristo, ed è per questo che viene spesso frainteso: quando diventa, per chi fa del cristianesimo una filosofia morale, solo esigenza di giustizia sociale; oppure quando il riferimento ai poveri, ai bisognosi, al dovere cristiano di soccorrere e di sovvenire, appare alle orecchie degli spiritualisti come qualcosa di troppo umano, di poco elevato, di confondibile con dottrine materialiste moderne.

Date dunque ai poveri: lo prego, lo esorto, lo comando, lo ingiungo”, scriveva sant’Agostino, mentre il Crisostomo insegnava che la ricchezza non è male, ma “il peccato sta nell’usare male di essa, non ripartendola tra i poveri”. Dio, proseguiva, “non ha fatto nulla di malvagio. Tutto è buono, o addirittura molto buono. Anche le ricchezze lo sono, a condizione che non dominino chi le possiede, e che servano a porre rimedio alla povertà”. Povertà nostra e altrui che rimarrà sempre con noi, sino alla fine dei tempi, in varie forme e modi, come segno del nostro limite e come appello al nostro cuore.

Francesco Agnoli - Il Foglio
Tratto da: Una casa sulla Roccia

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“La Confessione non è un tribunale di condanna, ma esperienza di perdono e di misericordia!”

Posté par atempodiblog le 28 mars 2014

“La Confessione non è un tribunale di condanna, ma esperienza di perdono e di misericordia!” dans Fede, morale e teologia Ges-misericordioso

“Tante volte capita che una persona viene e dice: ‘Ma, non mi confesso da tanti anni, ma, ho avuto questo problema, ho lasciato la confessione perché ho trovato un sacerdote e mi ha detto questo’, e si vede l’imprudenza, la mancanza di amore pastorale in quello che racconta la persona. E si allontanano, per una cattiva esperienza nella confessione. Se è questo atteggiamento di padre, che viene dalla bontà di Dio, non succederà mai, questa cosa”.

“La Confessione non è un tribunale di condanna, ma esperienza di perdono e di misericordia!”.

Papa Francesco

Divisore dans San Francesco di Sales

Domanda: Molti cristiani provano un certo malessere davanti al Sacramento della Riconciliazione; quest’iniziativa è un modo di far avvicinare a questo Sacramento con gioia e non con angoscia?

Mons. Rino Fisichella – E’ vero: spesso si hanno esperienze negative che purtroppo allontanano dalla Confessione. Penso che dovremmo essere capaci di dare al meglio il segno dell’incontro, il segno dell’amore e il segno della misericordia, unito anche al segno della gioia. Il Signore accoglie quanti ritornano a lui con il cuore sincero. Noi desideriamo che, come scrive Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”, il sacramento della Riconciliazione possa essere vissuto come un momento in cui si sperimenta la grazia del perdono, la vicinanza di Dio, che comprende, che guarda nel più profondo del cuore e soprattutto – per usare le sue parole – non dare l’esperienza che il confessionale sia una sala di tortura: non è questo, non può essere questo. Deve essere solo ed esclusivamente il momento in cui, pur mettendoci come peccatori davanti a Dio e pronti al suo giudizio, sperimentiamo però la grandezza della sua misericordia.

Tratto da: Radio Vaticana

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Ecco il giudice di cui ha bisogno l’uomo

Posté par atempodiblog le 1 mars 2014

Ecco il giudice di cui ha bisogno l’uomo dans Citazioni, frasi e pensieri 2qd4h7q

È interessantissimo notare il contrasto interiore che esiste tra il carnevale e la Quaresima. Si seguono e si oppongono.
Caratterizzerei volentieri questo contrasto con una parola.
Il carnevale mette la maschera.
La Quaresima toglie la maschera.
Il carnevale veste l’uomo da eroe o da Pierrot.
La Quaresima invita l’uomo a considerare, in un tu a tu, ciò che egli è.
Orbene, non temo di affermarlo, ogni uomo che si toglie la maschera e si considera così com’è, vedrà dentro di sé quattro cose: un bambino, un malato, un ignorante e un colpevole.
Bambino, egli ha bisogno d’un padre; ignorante, ha bisogno di un dottore; ammalato, ha bisogno di un medico; colpevole, ha bisogno di un giudice.
Orbene, ecco il prete nel suo tipo ideale, padre, medico, dottore e giudice. Ma che giudice! Il giudice che perdona. Ecco il giudice di cui ha bisogno l’uomo.

Ernest Hello - Il secolo e i secoli

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Papa: “No a ‘tratta delle novizie’. Accettare peccatori, non i corrotti”

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2014

«La Civiltà Cattolica» pubblica un resoconto del dialogo tra Francesco e i superiori degli ordini religiosi avvenuto a fine novembre: nei seminari «dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo dei piccoli mostri»
Andrea Tornielli – Vatican Insider

Papa: “No a 'tratta delle novizie'. Accettare peccatori, non i corrotti”  dans Andrea Tornielli 11l0uh0

«La Chiesa deve essere attrattiva. Svegliate il mondo. Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere». È quanto ha detto Papa Francesco in una conversazione con l’Unione dei superiori generali degli Istituti religiosi maschili, ricevuti il 29 novembre scorso in Vaticano. Un resoconto ragionato del dialogo tra il primo Pontefice gesuita è riportato nel prossimo numero de «La Civiltà Cattolica». Nell’incontro con i superiori religiosi Francesco ha toccato molti temi, ha invitato a «formare il cuore» nei seminari per non creare dei «piccoli mostri», ha elogiato l’impegno di Benedetto XVI contro la pedofilia, ha chiesto di vigilare sul fenomeno della cosiddetta «tratta delle novizie», cioè il massiccio reclutamento di giovani suore nei Paesi extraeuropei da parte di alcune congregazioni per trapiantarle in Europa.

«È possibile vivere diversamente in questo mondo – ha spiegato Francesco – Stiamo parlando di uno sguardo escatologico, dei valori del Regno incarnati qui, su questa terra. Si tratta di lasciare tutto per seguire il Signore. No non voglio dire ‘radicale’. La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico. Io mi attendo da voi questa testimonianza». Francesco ha sottolineato che i religiosi «devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo» e ha ricordato che «la vita è complessa, è fatta di grazia e di peccato. Se uno non pecca, non è un uomo. Tutti sbagliamo e dobbiamo riconoscere la nostra debolezza. Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la testimonianza che è chiamato a dare, ma anzi la rafforza, e questo fa bene a tutti. Ciò che mi aspetto è dunque la testimonianza», questa «testimonianza speciale».

Nei seminari, ha detto ancora il Papa, «dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo dei piccoli mostri. E questi piccoli mostri» poi «formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca». Sempre a proposito della formazione dei religiosi, Francesco ha detto che nei seminari vanno accettati i peccatori ma non i corrotti: «Non sto parlando di persone che si riconoscono peccatori: tutti siamo peccatori, ma non tutti siamo corrotti. Si accettino i peccatori ma non i corrotti». Parlando degli abusi sui minori, Bergoglio ha citato la grande decisione di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso, che «ci deve servire da esempio per avere il coraggio di assumere la formazione personale come sfida seria avendo in mente sempre il popolo di Dio».

Sempre a proposito di formazione, Francesco ha ricordato come ipocrisia e clericalismo possono minare la vita religiosa già dagli anni del noviziato. «L’ipocrisia, frutto del clericalismo, è uno dei mali più terribili… non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello, serve tanto dialogo, tanto confronto». Per quanto riguarda le vocazioni in crescita nelle Chiese giovani e il rischio di «reclutamento vocazionale», ribattezzato nel 1994 dai vescovi filippini «tratta delle novizie», il Papa ha invitato a «tenere gli occhi aperti su queste situazioni».

Francesco ha poi ricordato, a proposito dei carismi dei fondatori degli ordini religiosi, che «Il carisma è uno, ma, come diceva sant’Ignazio, bisogna viverlo secondo i luoghi, i tempi e le persone. Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente». «Ma così – ha aggiunto il Papa – c’è il rischio di sbagliare, direte, di commettere errori. È rischioso. Certo, certo: faremo sempre degli errori, non ci sono dubbi. Ma questo non deve frenarci, perché c’è il rischio di fare errori maggiori». Infatti, ha sottolineato Francesco, «dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio. Pensiamo, ad esempio, alle intuizioni pionieristiche di Matteo Ricci che ai suoi tempi sono state lasciate cadere». Un riferimento importante, quest’ultimo, alla realtà della Cina, dove il modello di evangelizzazione portato avanti dal missionario gesuita è tutt’oggi ricordato per la sua capacità di adattarsi alla cultura e alla mentalità cinesi.

«Sono convinto di una cosa – ha detto ancora il Papa nell’incontro con i superiori religiosi – I grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia». Francesco ha anche rilanciato quanto affermava il generale dei gesuiti Pedro Arrupe, sul fatto che «è necessario un tempo di contatto reale con i poveri». «Per me – ha detto Bergoglio – questo è davvero importante: bisogna conoscere la realtà per esperienza, dedicare un tempo per andare in periferia per conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente. Se questo non avviene, allora ecco che si corre il rischio di essere astratti ideologi e fondamentalisti, e questo non è sano».

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Per leggere integralmente il colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali cliccare qui 2e2mot5 dans Diego Manetti «Svegliate il mondo!».

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Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con le bastonate

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2014

Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con le bastonate
Tratto da: News.va

Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con le bastonate dans Fede, morale e teologia 20u6cco

Papa Francesco ha presieduto stamani nella Chiesa del Gesù la Messa nel giorno della ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù. La celebrazione ha un carattere di ringraziamento per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 dicembre scorso, di Pietro Favre, primo sacerdote gesuita. Sono presenti il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale vicario Agostino Vallini, il vescovo di Annecy, mons. Yves Boivineau, nella cui diocesi è nato Favre, e circa 350 gesuiti.

Nell’omelia il Papa ha ricordato quanto dice San Paolo: «Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 5-7).  “Noi, gesuiti – ha rilevato – vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo.  Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui.  Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore”.

“Il cuore di Cristo – ha proseguito – è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato».  Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso.  Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati».  Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa.  E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta.  Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta.  E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine!”.

Il Papa ha quindi proseguito: “Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio.  Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre.  Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio.  È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica.  Senza inquietudine siamo sterili”.

“È questa l’inquietudine – ha osservato – che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele.  Favre era un «uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere» (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 aprile 2006).  Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto.  Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni.  Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti.  Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301).  Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo.  Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio?  Siamo anche noi audaci?  Il nostro sogno vola alto?  Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)?  Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio?  Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio.  E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. Quello di Sant’Agostino: ‘Pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore’. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio.  Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore.  Nelle Costituzioni si dice che «si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore» (Costituzioni, 638)”.

“Favre – ha ancora detto il Papa -  aveva il vero e profondo desiderio di «essere dilatato in Dio»: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo” E a braccio ha aggiunto: “.Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore”.  Quindi ha proseguito: “La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme.  Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di «desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore» (Memoriale, 63).  Favre prova il desiderio di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68).  Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo!  E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362).  Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore.  Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci. Quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste pazzie apostoliche …”.

Il Papa così ha concluso la sua omelia: “Noi siamo uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti.  Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù.  Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù.  Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, «non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù» (Memoriale, 205).  E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio”.

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Cari amici preti, non siamo noi, ma è Dio che esagera con i regali…

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2013

“Pregate per i vostri pastori, affinché abbiano sempre amore per voi, come l’ha avuto e l’ha mostrato mio Figlio dando la sua vita per la vostra salvezza”. (Messaggio della Madonna di Medjugorje a Mirjana del 2/11/2013)

Regali-e-doni-natalizi dans Articoli di Giornali e News

Cari amici preti, non siamo noi, ma è Dio che esagera con i regali…
di Antonio Socci – Libero
Tratto da: lo Straniero

“Per molta gente l’oppio non è tanto stupefacente quanto un sermone pomeridiano”. Così Jonathan Swift – autore dei “Viaggi di Gulliver”, ma anche pastore protestante irlandese – iniziava una sua esilarante predica “Sul dormire in chiesa”.
Ma il libro che anni fa l’ha riproposta col titolo “La predica tormento dei fedeli”, più che castigare la distratta indolenza dei cristiani, incenerisce la pochezza dei predicatori.

OVVIO DEI POPOLI
Nel giorno di Natale, quando le chiese si riempiono di persone, i celebranti danno il meglio, o peggio, di sé. Sarebbe quella una grande occasione di annuncio (come ha ricordato di recente papa Francesco nella sua esortazione “Evangelium gaudium”). Ma come viene usata?

Joseph Ratzinger, anni fa, se ne uscì con una battuta che più o meno diceva: una prova della divinità della Chiesa sta nel fatto che la fede dei popoli sopravvive a milioni di omelie domenicali.
Certo, a scorrere i diversi autori che dicono la loro, nel libretto sopra citato, si scopre che la “predica” è da tempo vissuta come anticipo delle penitenze del Purgatorio. Già don Giuseppe De Luca scriveva: “abbiamo annoiato il mondo, noi che dovevamo svegliarlo e salvarlo”.
E lo scrittore cattolico Georges Bernanos: “Un prete che scende dal pulpito della verità con la bocca a culo di gallina, un po’ riscaldato, ma contento, non ha predicato, ma ha fatto tutt’al più le fusa”.
E François Mauriac: “Non c’è nessun posto in cui i volti sono così inespressivi come in chiesa durante le prediche”.
Ricordo che Bernanos nel “Diario di un curato di campagna” scrive: “Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire.”
Tuttavia, se in tanti casi prevale la noia di un disincarnato perbenismo “politically correct”, in altri c’è un eccesso di sale che rende il piatto immangiabile. E finisce per aggiungere ustioni e dolori al povero Giobbe, già assai provato di suo.

REGALI
Accade quando i fedeli vengono investiti da invettive infuocate di improvvisati Savonarola che si sentono impegnati a castigare il mondo infame.
Questo moralismo ha una versione “progressista” e una “tradizionalista”. Nel primo caso l’uditorio sarà messo sul banco degli accusati per le sue (presunte) colpe sociali, nel secondo per le sue (presunte) colpe spirituali. Comunque sono sempre ceffoni.
In genere poi sotto Natale i predicatori moralisti di entrambe le obbedienze si trovano concordi nel martellare il povero, silente uditorio per il suo ripugnante consumismo.
Tanti buoni parroci infatti si rivolgono a noi come se fossimo nababbi spendaccioni, ribaldi che vivono di lussi superflui e viziosi che trascorrono le feste in orge e gozzoviglie.
L’invettiva “contro i regali” (ignara peraltro di quanto ha scritto Benedetto XVI sulla “cultura del dono”) è così abituale che viene ripetuta pigramente anche in anni come questo, che in realtà vede tutti al verde, alle prese con le bollette e le tasse. Altro che regali.
Se questi predicatori – che peraltro non si vestono di peli di cammello e non si nutrono di locuste come il Battista – avessero un minimo di realismo capirebbero.
Del resto, se nemmeno a Natale crescono i consumi, la crisi si aggrava. Allora serve a poco tuonare dal pulpito che tutti hanno diritto a una casa e a un lavoro…
Temi utili però per continuare a recriminare anche dopo Natale. Ma perché inveire sempre verso quei poveri cristiani che vanno a messa e già devono sudare per far quadrare i bilanci familiari? Perché metterli sul banco degli accusati quando ci pensano già lo stato e il fisco a spolparli e vessarli in mille modi?
Perché strapazzarli così anche là dove pensavano di incontrare e ascoltare un Dio che aspetta a braccia aperte i suoi figli, come un Padre pieno d’amore?
Che triste e misera cosa un simile cristianesimo. Predicatori del genere – diceva Charles Péguy – sanno solo “lamentarsi e blaterare”, sono “medici ingiuriosi che se la prendono con il malato, avvocati ingiuriosi che se la prendono con il cliente; pastori ingiuriosi che se la prendono con il gregge”.
E dire che avrebbero da dare al mondo la notizia più grande ed entusiasmante. La più consolante. Ma non se ne accorgono. O se la sono dimenticata: è il regalo che Dio ha fatto agli uomini.
Lui sì che esagera con i regali. Lui sì che sciala e ci vizia, riempiendoci di beni. Infatti il Creatore non si è accontentato di darci l’esistenza, la terra, il cielo, i mari, le montagne, le stelle, i campi di grano, l’acqua, il fuoco, la luna e il sole. Ha fatto la follia di donarci il suo stesso cuore: suo figlio Gesù. Colui che paga per tutti noi.
E’ per questo regalo impareggiabile che la gente semplice anche quest’anno varcherà la soglia della Chiesa. Per vedere il Dio bambino. Il Re che si è spogliato di tutte le sue ricchezze per fare ricchi noi. Cercano “la carezza del Nazareno”. Cercano il Bel Pastore che ha promesso consolazione a tutti gli affaticati e gli oppressi.
E’ quel Gesù che, nel villaggio di Naim, pieno di compassione per la madre che aveva perso il figlio, prima di resuscitarglielo le sussurrò: “donna, non piangere!”. Per questo è venuto sulla terra, per dire a tutti: “amico, fratello, sorella, non piangere più. E non temere. Perché io sono qui con te”.

CONSOLAZIONE
Ecco come lo annunciava papa san Leone Magno:
“Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita”.
Come ha scritto don Julian Carron, se si è verificato l’impossibile – cioè Dio che si è fatto uomo – più “nessuno può dirsi abbandonato, dimenticato o condannato… il Signore vuole farci capire che a Lui tutto è possibile”.

Il cambiamento della nostra vita, il cambiamento del mondo e qualunque altro miracolo.
Un maestro di fede come don Divo Barsotti diceva:
“Noi offendiamo Dio quando non chiediamo i miracoli! Noi non ci crediamo! Per questo non chiediamo. Parlo schiettamente. Guardate i santi: insistevano. Pensate a quello che diceva san Filippo Neri: ‘Noi dobbiamo costringere Dio a venire a compiere questo miracolo’. Aveva una forza che non si lasciava vincere dal fatto del silenzio di Dio, dal fatto che sembrava che Dio non ascoltasse la preghiera; insistevano fintanto che Dio non doveva piegarsi alla volontà dell’uomo”.
Poi don Divo spiegava:

“No, non è che Dio si pieghi alla volontà dell’uomo, ma Dio risponde alla preghiera dell’uomo. Noi manchiamo contro il Signore quando non chiediamo i miracoli. Dobbiamo chiedere a Dio e non dobbiamo vergognarci di chiedergli tanto…Facciamo poche storie: non crediamo, non crediamo. Bene, non devo turbarmi, perché anche se anche avessi ammazzato, perché se anche avessi commesso un adulterio… se veramente io fossi il peggiore dei peccatori, posso io pensare che il mio peccato sia un limite alla Onnipotenza e alla Misericordia Divina?”.
Infine don Barsotti aggiungeva:

“Perché si stanca la pazienza di Dio? Perché non gli si chiede quello che noi possiamo desiderare. Se tu chiedi meno della creazione, tu vai all’Inferno, perché non chiedi quello che Lui ti dona. Lui ti dona Se Stesso. I santi chiedevano e chiedevano, fintanto che non avevano ottenuto”.

Questa sì è una Buona Notizia. L’unica grande Notizia.

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Un cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2013

Atto di carità
“Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa; perché sei bene infinito e nostra eterna felicità;
e per amore tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese ricevute.
Signore, che io ti ami sempre più”.

Un cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono dans Cardinale Angelo Comastri 2ytnoysAndando a fare il prete nel carcere mi sentii nuovamente libero, nuovamente realizzato come prete e, soprattutto, come strumento della misericordia e del perdono di Dio.

[…] Mi dissero che nel settore dove prestavo il mio servizio di sacerdote c’era un detenuto piuttosto pericoloso, aveva sgozzato con le forbici da cucina la sua amante dopo aver avuto con lei diversi figli.

In occasione del Santo Natale dell’anno 1969, chiesi al direttore del carcere di poter entrare nelle singole celle per portare l’augurio di buon Natale ai detenuti, insieme a un pacchetto di sigarette e un pacco di biscotti. Ottenni il permesso.

Quando giunsi alla cella dove c’era il detenuto pericoloso, provai un po’ di paura ed esitai prima di entrare, pur essendo accompagnato da una guardia carceraria. Varcai la soglia e dissi: “Buon Natale a tutti! Vi lascio un piccolo segno di amicizia nel ricordo dei Magi che portarono i loro doni a Gesù nella grotta di Betlemme”.

Non feci in tempo a finire il mio saluto, che un denso sputo mi raggiunse dritto sul volto e mi lasciò quasi paralizzato. Non veniva dal detenuto pericoloso, ma da un giovane, lo seppi dopo, che con un calcio aveva ucciso la sua donna e il bambino che portava in grembo. Feci un passo indietro, pulii il volto con il fazzoletto e poi, un po’ impacciato, balbettai: “Sono venuto nel nome di Gesù e nel Suo nome rinnovo l’augurio di ogni bene. Arrivederci e buon Natale”. In quel momento vidi il detenuto pericoloso alzarsi dal tavolaccio sul quale era coricato e venirmi incontro con passo deciso. Esclamai dentro di me: “Mio Dio! Che ho detto di male?” e mi preparai a ricevere qualche altro insulto, se non peggio. L’uomo invece si fermò davanti a me e mi fissò con uno sguardo non cattivo e poi mi disse: “Perché non hai reagito? In questo mondo se non ti difendi vieni schiacciato, reagisci e non fare il coniglio”.

Io risposi: “Credo nel perdono, credo che la bontà è più forte della cattiveria, questo è l’insegnamento di Gesù e io voglio viverlo fino in fondo”. Il detenuto pericoloso esclamò: “Gesù! Gesù! Ma chi è Gesù?” E aggiunse: “Ma perché non mi chiami a colloquio quando ritorni qui?”. Risposi: “Lo faccio volentieri. Ci vediamo mercoledì prossimo”.

Il mercoledì successivo lo feci chiamare e mi ritrovai davanti a lui, che era quasi un gigante, per riprendere il colloquio aperto in un contesto drammatico. Gli tesi la mano per stringere la sua, ma egli rifiutò, diceva: “Con questa mano ho ucciso, è sporca di sangue e non posso stringere la tua mano che tocca il Corpo del Signore”. Questo gesto mi impressionò e mi commosse profondamente.

A quel primo colloquio ne seguirono altri, nei quali mi raccontò la sua triste storia e mi spiegò come era arrivato al feroce delitto, concluse: “la strada del male è in discesa. Bisogna fermarsi subito, altrimenti accade l’irreparabile, come è accaduto a me”.

Dopo vari incontri, ebbi l’ardire di dirgli: “perché non ti confessi? Gesù è felice di perdonarti”. La sua reazione fu: “Mai! Gesù non può perdonarmi. Io sono peggio di Giuda”.

[...] Dopo vari mercoledì, finalmente decise di inginocchiarsi per fare la Santa Confessione, mi raccontò tutta la storia del delitto e, a un certo punto, i suoi singhiozzi erano così intensi che le sue spalle sussultavano violentemente. A me sembrava in quel momento di rivivere la scena di Gesù che dalla Croce perdona il ladrone pentito. Mi sentivo indegno di quell’ora di luce e di misericordia. Dissi tra me: “Valeva la pena di diventare prete solo per vivere questo momento”. Salutando il detenuto pericoloso gli dissi: “Domenica prossima vieni alla Santa Messa nella rotonda, farai la tua prima nuova Comunione”, “non lo so se verrò. E’ troppo quello che ho ricevuto, perché io…” e mi mostrò ancora una volta le mani, nelle quali vedeva impresso il terribile delitto.

La domenica successiva venne alla Santa Messa e, al momento della Comunione, si avvicinò all’Altare. Quando mi trovai davanti a lui e alzai la mano dicendo: “Corpo di Cristo”, il detenuto pericoloso mi prese improvvisamente la mano e la riempì di lacrime dicendo: “Padre, non posso, non sono degno!”. E io: “Gesù ti ha perdonato. La tua anima è stata lavata dal Sangue di Cristo”. Restammo per alcuni minuti in quell’atteggiamento, tra lo stupore di tutti e poi finalmente Gesù entrò in quel cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono.

Dopo la Santa Mesa lo chiamai, e gli dissi ancora parole di fiducia e di speranza. Egli replicò: “Ora  la vita che mi resta devo spenderla per dire grazie a Gesù per il perdono che mi ha regalato”.

del Cardinale Angelo Comastri – Dio scrive dritto. L’avventura umana e spirituale di un cardinale

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Le giaculatorie più comuni: le chiacchiere

Posté par atempodiblog le 22 décembre 2013

“Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza; e badate che non voglio fare solo un discorso morale! Perché le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, danneggiano la qualità del lavoro e dell’ambiente”.

 Le giaculatorie più comuni: le chiacchiere dans Citazioni, frasi e pensieri divieto_di_chiacchiera

Tante volte ho trovato comunità, seminaristi, religiosi, o comunità diocesane dove le giaculatorie più comuni sono le chiacchiere! E’ terribile! Si “spellano” uno con l’altro… E questo è il nostro mondo clericale, religioso… Scusatemi, ma è comune: gelosie, invidie, parlare male dell’altro. Non solo parlare male dei superiori, questo è un classico! Ma io voglio dirvi che questo è tanto comune, tanto comune. Anche io sono caduto in questo. Tante volte l’ho fatto, tante volte! E mi vergogno! Mi vergogno di questo! Non sta bene farlo: andare a fare chiacchiere. “Hai sentito… Hai sentito…”. Ma è un inferno quella comunità! Questo non fa bene. E perciò è importante la relazione di amicizia e di fraternità. Gli amici sono pochi. La Bibbia dice questo: gli amici, uno, due… Ma la fraternità, fra tutti. Se io ho qualcosa con una sorella o con un fratello, lo dico in faccia, o lo dico a quello o a quella che può aiutare, ma non lo dico agli altri per “sporcarlo”. E le chiacchiere, è terribile! Dietro le chiacchiere, sotto le chiacchiere ci sono le invidie, le gelosie, le ambizioni. Pensate a questo. Una volta ho sentito di una persona che, dopo gli esercizi spirituali – una persona consacrata, una suora… Questo è buono! Questa suora aveva promesso al Signore di non parlare mai male di un’altra. Questa è una bella, una bella strada alla santità! Non parlare male di altri. “Ma, padre, ci sono problemi…”: dillo al superiore, dillo alla superiora, dillo al vescovo, che può rimediare. Non dirlo a quello che non può aiutare. Questo è importante: fraternità!  Ma dimmi, tu parlerai male della tua mamma, del tuo papà, dei tuoi fratelli? Mai. E perché lo fai nella vita consacrata, nel seminario, nella vita presbiterale? Soltanto questo: pensate, pensate… Fraternità! Questo amore fraterno.

Papa Francesco
Tratto da: La Santa Sede

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Confessione

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Confessione dans Citazioni, frasi e pensieri Confessione

Vorrei confessarmi, vado in chiesa. I due confessionali sono vuoti, il prete sta confessando una attempata signora seduto con lei su uno dei banchi. La signora parla concitata, il prete ascolta. Si sente praticamente tutto. I fedeli fanno finta di nulla. Sto a debita distanza. Dopo un quarto d’ora, a gesti faccio capire che vorrei confessarmi anch’io. Il prete annuisce. Dopo mezz’ora la confessione non è ancora finita, così prendo e me ne vado. Alcuni giorni dopo, entro in una chiesa milanese dove, da tal ora a tal altra, confessano. Lucetta rossa accesa, mi siedo e aspetto il mio turno. Il confessionale è una moderna cabina con la porta di vetro smerigliato. Intravedo una signora che parla. Attendo, anche qui, mezz’ora abbondante. Finalmente tocca a me, entro e mi trovo faccia a faccia col prete. Scarico l’elenco e in tre minuti sono fuori. Ora, io sono una persona conosciuta nell’ambiente ecclesiale e non mi va di raccontare le mie miserie a un prete col quale potrei trovarmi, in seguito, a dover polemizzare per motivi professionali. Dunque, avrei necessità della grata interposta tra il mio viso e quello del confessore. Si chiama privacy, l’aveva inventata la Chiesa ma vi ha rinunciato [...] certo clero. E’ quest’ultimo, infatti, a scoraggiare il ricorso alla confessione in quei pochi che, in tempi di cristianizzazione, vorrebbero ritornarvi.

di Rino Cammilleri – Antidoti

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Elogio del confessionale (di Paolo Rodari)

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La scelta della modalità di confessione

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

La scelta della modalità di confessione dans Citazioni, frasi e pensieri Confessionale-con-grata

“Voglio ricordare che non si deve far pesare sul penitente il proprio gusto, ma rispettare la sua sensibilità per quanto concerne la scelta della modalità di confessione, cioè se faccia a faccia o attraverso la grata del confessionale”.

Giovanni Paolo II, Il Sacramento della penitenza – Libreria editrice Vaticana, pag. 47

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Sede per le confessioni e Diritto canonico

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Sede per le confessioni e Diritto canonico dans Fede, morale e teologia Confessionale-con-grata

Il fatto di non usare più i confessionali tradizionali è un abuso attuato da alcuni sacerdoti.
Di fatto la Chiesa vuole che ci siano sempre anche confessionali muniti di grata.
La presenza del confessionale è un segno importante e di sua natura eloquente: è capace di richiamare alla memoria l’esistenza del Sacramento e la necessità di celebrarlo.

Ecco quanto dispone il Codice di diritto canonico:
“Relativamente alla sede per le confessioni, le norme vengano stabilite dalla Conferenza episcopale, garantendo tuttavia che si trovino sempre in luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene” (can. 964,2).
Tuttavia per qualsiasi motivo serio, il sacramento può essere celebrato anche altrove (can. 964,3).

di Padre Angelo Bellon O.P. – Amici Domenicani

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Confessarsi come Dio comanda

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Confessarsi come Dio comanda dans Fede, morale e teologia confessionali

Alla fine del documento Misericordia Dei si chiede alle Conferenze episcopali che emanino disposizioni in cui, tra l’altro, si garantisca che i confessionali siano collocati “in luogo visibile” e siano provvisti anche “di grata fissa”.

BERTONE: È una disposizione saggia. La garanzia di non essere riconosciuti quando ci si va a confessare è una garanzia di libertà di coscienza dei fedeli. E questa garanzia deve essere accordata a tutti coloro che la desiderano. Altra cosa è se si tratti di una direzione spirituale o di un fedele che abbia un confessore stabile.

Tratto da: 30Giorni (Confessarsi come Dio comanda, 2002)

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Se Dio esiste non può che perdonare

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2013

Se Dio esiste non può che perdonare
di Don Fabio Bartoli - La fontana del villaggio

Se Dio esiste non può che perdonare dans Misericordia 25yufs4

Oggi ho aiutato un uomo a morire.

Non è una cosa così straordinaria.

Succede ogni tanto nella vita di un prete.

Non era un uomo buono, anzi. Nella vita ne ha fatte più di Bertoldo, diciamolo. Una volta perfino, tanti anni fa, mi cacciò via da casa con una doppietta in mano.

Ma oggi in punto di morte ha chiesto di me.

E il Signore si è preso cura di lui, ha steso sulla sua paura e sulla sua sofferenza il velo della santa unzione e tutti i suoi peccati sono stati perdonati, ma proprio tutti.

Ed è entrato nella Gloria, e dalla porta principale, come fosse un san Pietro o un san Paolo, come una madonna portata in processione. Portato in processione dagli angeli e dai santi, e da tutti quelli che nella sua vita ha fatto soffrire, e ha umiliato e disprezzato e forse perfino ucciso.

Lo hanno portato loro perché nella comunione dei Santi le cose funzionano così e non c’è tra loro alcun rancore né vendetta, ma solo la gioia del perdono reciproco. E lo stupore di fronte alla manifestazione dell’amore incondizionato di Dio nella vita di uno che li ha fatti morire, eppure era loro fratello.

Oggi ho aiutato un uomo a morire.

Ho recitato su di lui una breve formula, ho steso sulla sua fronte un velo d’olio. Ed è entrato nella Gloria. Con la naturalezza di un “cucchiaio” di Totti, di una “voleé” di Federer, come se fosse nato per quello. Ed era nato per quello in effetti.

Anni ed anni di rancore, di rabbia, di sofferenze subite ed inflitte, di umiliazioni subite ed inflitte, di coltellate date e ricevute. Anni di violenza, di soprusi, di contraffazioni, di meschinità, di bugie colossali, di doppiezza e di inganno cancellati in un giorno, in un’ora, in un minuto.

Tutto così facile? Sì tutto così facile, ed anche di più. Perché la Fatica non l’ha fatta lui, ma un Altro al posto suo e il dolore, la paura, l’angoscia, il male l’ha preso su di sé, tutto su di sé e per lui, e per me, e per te che leggi non è rimasto più.

Non c’è più male, non c’è. Ne resta solo l’eco forse, il ricordo, una cicatrice magari, ma che dopo il perdono non è più memoria di un dolore, ma di una vittoria, non è più il segno di una sconfitta, ma la celebrazione dell’amore.

Tutto così facile? Sì, così. Come per Dizma, quel ladrone che poi non doveva essere tanto buono, visto che in croce andavano i terroristi e gli assassini, eppure con quell’unico e solo gesto di pietà in punto di morte si è guadagnato l’onore di essere l’unico santo canonizzato in diretta. E da Gesù stesso.

Non c’è stato bisogno di complicate penitenze per Dizma, nè per il mio penitente. Nessun percorso di riabilitazione, nessun bisogno di rieducazione, nessuna fatica, nessuna dilazione. Accoglienza piena, perdono totale ed incondizionato.

E pensavo che se Dio esiste non può che agire così.

Se Dio c’è non può che perdonare in questo modo.

Per questo esistono i sacramenti. Questa logica meravigliosa e scioccante di Dio che a un certo punto mette tutto da parte e nella sua fame di salvarti dimentica ogni calcolo che giustamente diciamo umano, ogni ragionamento di convenienza e prudenza, perfino ogni sapienza teologica (e che se ne fa Dio della teologia dopotutto?).

Dio ci ama incondizionatamente e ci perdona sempre, ci perdona prima. Ci ha perdonato ancor prima del nostro peccato. E tutto ciò che dobbiamo fare è accorgercene, e stendere la mano per prenderlo questo perdono e farlo nostro.

Sia pure in punto di morte, sia pure dopo una vita sbagliata dal principio alla fine.

Se non fossi cattolico impazzirei, non potrei vivere senza credere al Dio che ha inventato la confessione. E l’unzione degli infermi.

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