C’è un solo obiettivo da raggiungere: il Cielo.

Posté par atempodiblog le 22 juin 2011

C’è un solo obiettivo da raggiungere: il Cielo. dans Padre Livio Fanzaga bocciato
La meta della vita è una sola: il Paradiso. Ragazzi che siete stati bocciati in quinta elementare, in terza media, all’esame di maturità o che non vi hanno assunto nel lavoro… vi assicuro che voi, se andate in Paradiso, avete raggiunto il fine della vita, mentre tutti gli altri che vi hanno bocciato, se vanno all’Inferno, sono rimasti fregati. C’è un solo obiettivo da raggiungere: il Cielo.
Se gli altri obiettivi che si hanno non si raggiungono state tranquilli che non succede niente. Come dice Gesù: “che giova l’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?”. Potete essere bocciati a tutti gli esami ma non a questo!
La vita serve solo a conquistare l’amore di Dio e una volta che Dio ci ha conquistati con il Suo amore a diventare i suoi conquistatori di anime. La vita serve ad essere cooperatori di Dio.

Padre Livio Fanzaga

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Madre Teresa parla ai bambini

Posté par atempodiblog le 20 juin 2011

Madre Teresa parla ai bambini dans Citazioni, frasi e pensieri madreteresai

Bambini, vorrei rivolgervi qualche parola in modo particolare:

« Conservate la gioia di amare nei vostri cuori.
Amate i vostri papà e le vostre mamme.
Amate i vostri fratelli e sorelle.
Amate tutti i vostri compagni.
Amando loro, amate Dio.

E se amate Dio, i vostri cuori si manterranno sempre puri e Dio potrà stabilirsi nei vostri cuori.

Pregherò per voi perché possiate mantenervi puri e santi come Dio vi ha creati.
Pregherò per voi perché possiate mantenervi belli fino alla fine della vostra vita. E chiederò che Dio vi benedica ».

Beata Madre Teresa di Calcutta

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Corri al Tabernacolo

Posté par atempodiblog le 20 juin 2011

Corri al Tabernacolo dans Citazioni, frasi e pensieri San-Pietro-Giuliano-Eymard

Gesù sa come confortarci. Perciò quando sei triste lascia stare le creature. Corri al Tabernacolo, e troverai sempre forza e consolazione.

San Pietro Giuliano Eymard

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L’eternità

Posté par atempodiblog le 20 juin 2011

L'eternità dans Fede, morale e teologia eternit

È articolo di fede che, come è senza fine la gloria che dà Iddio alle anime giuste, così è senza fine il castigo che dà ai malvagi all’inferno. Il motivo è che, dopo la morte, è finito il tempo e non è più possibile né meritare, né demeritare: come si muore, tali si resta per tutta l’eternità: i giusti sempre giusti, i malvagi sempre malvagi. Ora, Dio, giustissimo rimuneratore, non può non premiare e glorificare le anime dei giusti e non punire e castigare i cattivi. I buoni in cielo saranno sempre buoni per tutta l’eternità, perciò Dio per tutta l’eternità li premia e li glorifica; i cattivi, al contrario, nell’inferno saranno sempre soggiogati, per tutta l’eternità, dai loro vizi, quindi Dio per tutta l’eternità li punisce e li tormenta. A far cessare all’inferno il castigo, bisognerebbe che cessasse il peccato, ma il peccato permane, perché il dannato non potrà mai rivolgersi a Dio con un atto di contrizione e chiedergli perdono.

Anzi egli lo odierà e maledirà eternamente, quindi conviene che anche la pena sia sempiterna, altrimenti Dio non sarebbe giusto.

Posto ciò, considerate che vuol dire eternità di castigo. Essa è una pena terribilissima, perché non ha misura. Amplissimo è il giro della terra e l’altezza dei pianeti, ma tuttavia si possono misurare; profondo è il fondo del mare, ma si può scandagliare dagli esperti; ogni cosa, insomma, benché si chiami smisurata, si può sempre, in qualche modo, misurare. L’eternità sola non può misurarsi; tutte le misure immaginabili, applicate all’eternità, sono di essa infinitamente minori.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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Il suicidio del pensiero

Posté par atempodiblog le 16 juin 2011

Il suicidio del pensiero dans Gilbert Keith Chesterton 2e5vdd2

[...] Mentre sfoglio tutti questi intelligenti, meravigliosi, noiosi ed inutili libri moderni, gli occhi si fermano sul titolo di uno di essi: «Giovanna d’Arco» di Anatole France. Gli ho dato soltanto un’occhiata, ma un’occhiata mi è bastata per richiamarmi alla mente la «Vita di Gesù» di Renan. Ha la stessa strana impostazione di scetticismo riverente, che scredita delle storie soprannaturali che hanno qualche fondamento per raccontare storie naturali che non ne hanno alcuno. Poiché non possiamo credere a quel che un Santo fece, fingiamo di sapere esattamente che cosa sentì.
Ma io non cito questi libri per criticarli, bensì perché l’incontro fortuito di questi nomi suscita in me due immagini di salute mentale che mi colpiscono e che spazzano via davanti a me tutta questa letteratura.
Giovanna d’Arco non si lasciò inchiodare al crocevia, rifiutando tutti i sentieri come Tolstoj, o accettandoli tutti come Nietzsche. Ne scelse uno e vi si lanciò come un fulmine. E tuttavia Giovanna, se ci pensiamo bene, aveva in sè tutto quello che c’era di vero in Tolstoj e in Nietzsche, tutto quello che c’era in loro di accettabile. Io pensavo a quanto c’è di nobile in Tolstoj: il gusto delle cose ordinarie, l’affetto vivo per la terra, il rispetto per il povero, la dignità delle reni piegate dal lavoro. Giovanna d’Arco ebbe tutto ciò, con questo di più: che sopportò duramente la povertà nell’atto stesso di ammirarla, mentre Tolstoj è il tipo dell’aristocratico che cerca di scoprirne il segreto. Pensavo poi a quanto c’è di coraggio, di fierezza, di passione nello sventurato Nietzsche e al suo disperato ammutinamento contro la vuotaggine e la pusillanimità del nostro tempo; pensavo alla sua invocazione all’equilibrio estatico del vivere pericolosamente, al desiderio dei galoppi sfrenati sui grandi cavalli, ai suoi appelli alle armi. Bene: Giovanna d’Arco ebbe tutto questo e, anche qui, con la differenza che essa non solo esaltò il combattimento, ma combattè. Noi sappiamo che essa non ebbe paura di un esercito, mentre Nietzsche come tutti sappiamo, ebbe paura di una mucca. Tolstoj si limitò a fare l’elogio del contadino; essa fu contadina. Nietzsche si limitò a fare l’elogio del guerriero; essa fu guerriera.
Essa li vince tutti e due sul terreno dei rispettivi, antagonistici ideali: è stata più dolce dell’uno e più forte dell’altro. Essa fu inoltre una persona perfettamente pratica, che fece qualcosa, mentre essi sono dei folli speculatori che non hanno concluso nulla. Era impossibile che non mi attraversasse la mente il pensiero che essa e la sua fede dovevano avere qualche misterioso senso di unità e di utilità morale che è andato perduto.
E questo pensiero ne provocò un altro più grande: anche la colossale figura del suo Maestro attraversò il teatro dei miei pensieri. Il soggetto trattato da Anatole France, come quello trattato da Ernesto Renan, furono oscurati dalle medesime difficoltà derivanti dal pensiero moderno. Anche Renan tenne divise, nel suo eroe, la bontà e la combattività. Renan rappresentò la giusta rabbia di Gerusalemme come un semplice esaurimento nervoso dopo le idilliche aspettative della Galilea. Come se l’amore per l’umanità fosse incompatibile con l’odio per l’inumanità. Gli altruisti, con sottile, debole voce, denunziano Cristo come un egoista. Gli egoisti (con voce ancor più debole e sottile) lo denunziano come altruista. Nel presente clima si comprendono certi cavilli. L’amore di un eroe è più terribile dell’odio di un tiranno. L’odio di un eroe è più generoso dell’amore di un filantropo. C’è, in questo, una sanità profonda ed eroica, di cui gli uomini moderni possono solo raccogliere i frammenti. C’è un gigante di cui vediamo solo le braccia abbandonate e le gambe che si allontanano. Essi hanno lacerato l’anima di Cristo in due brandelli grotteschi, catalogati come egoismo e altruismo, e sono egualmente sconcertati dalla Sua folle magnificenza e dalla Sua insana dolcezza. Si sono divisi le Sue vesti e se le sono giocate a dadi; benché la Sua tunica fosse senza cuciture e tessuta tutto d’un pezzo.

di Gilbert Keith Chesterton

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I catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa

Posté par atempodiblog le 16 juin 2011

I catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa  dans Fede, morale e teologia catechismo

E’ necessario che i catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa e non una loro interpretazione. Proprio per questo è stato realizzato il Catechismo della Chiesa Cattolica.

Bendetto XVI

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Don Bosco assiste a un conciliabolo di demòni

Posté par atempodiblog le 13 juin 2011

Don Bosco assiste a un conciliabolo di demòni dans Anticristo donbosco

Nella notte del 1° dicembre del 1884 il chierico Viglietti, che faceva da segretario a Don Bosco, fu svegliato di soprassalto da grida strazianti che venivano dalla camera del Santo. Balzò subito da letto e stette ad ascoltare. Don Bosco, con voce soffocata dal singhiozzo, gridava: “Ohimè, ohimè, aiuto, aiuto!”.
Viglietti entrò e disse: “Oh, Don Bosco, si sente male?”.
“Oh, Viglietti – rispose svegliandosi -; no, non sto male, ma non potevo più respirare. Ma basta: ritorna tranquillo a letto e dormi”.
Al mattino, dopo la Messa, “Oh, Viglietti, non ne posso proprio più, ho lo stomaco rotto dalle grida di questa notte. Sono quattro notti consecutive che faccio sogni che mi costringono a gridare e mi stancano all’eccesso”.
E narrò che, tra l’altro, aveva sognato la morte di Salesiani a lui carissimi. Ma il sogno che l’aveva maggiormente impressionato era stato il seguente.

Gli era parso di essere in una grande sala dove diavoli in gran numero tenevano congresso e trattavano del modo di sterminare la Congregazione Salesiana. La loro figura era indeterminata e si avvicinava piuttosto alla figura umana. Parevano ombre che ora si abbassavano e ora si alzavano, si accorciavano, si stendevano, come farebbero molti corpi che dietro avessero un lume trasportato or da una parte or dall’altra, ora abbassato al suolo e ora sollevato. Ma quella fantasmagoria metteva spavento.
Ora ecco uno dei demòni avanzarsi e aprire la seduta. Per distruggere la Congregazione Salesiana propose un mezzo: la gola. Fece vedere le conseguenze di questo vizio: inerzia per il bene, corruzione dei costumi, scandalo, nessuno spirito di sacrificio, nessuna cura dei giovani. Ma un altro diavolo gli obiettò: “Il tuo mezzo non è efficace perché la mensa dei religiosi sarà sempre parca e il vino misurato. La Regola fissa il loro vitto ordinario. I superiori vigilano per impedire che succedano disordini. No, non è questa l’arma per combattere i Salesiani. Procurerò io un altro mezzo che ci faccia ottenere meglio il nostro intento: l’amore alle ricchezze. In una Congregazione religiosa quando entra l’amore alle ricchezze, entra insieme l’amore alle comodità, si cerca ogni via per avere un peculio, si rompe il vincolo della carità perché ognuno pensa a se stesso, si trascurano i poveri per occuparsi solo di quelli che hanno fortuna, si ruba alla Congregazione”.
Costui voleva continuare, ma sorse un terzo demonio: “Ma che gola!”. – esclamò -. “Ma che ricchezze! Tra i Salesiani l’amore alle ricchezze può vincere pochi. Sono tutti poveri i Salesiani. In generale poi sono così immensi i loro bisogni per i tanti giovani e per le tante case, che qualsiasi somma, anche grossa, verrebbe consumata. Non è possibile che tesoreggino. Ma ho io un mezzo infallibile per rovinare la Società Salesiana e questo è la libertà. Indurre quindi i Salesiani a sprezzare le Regole, a rifiutare certi uffici pesanti e poco onorifici, spingerli a fare scismi dai loro superiori con opinioni diverse, ad andare a casa col pretesto d’inviti e simili”.
Mentre i demòni parlamentavano, Don Bosco pensava: “Io sto ben attento, sapete, a quanto andate dicendo. Parlate, parlate pure, che così potrò sventare le vostre trame”.
Intanto saltò su un quarto demonio: “Ma che!”, gridò. “Armi spezzate le vostre. I superiori sapranno frenare questa libertà, scacceranno via dalle case chi osasse dimostrarsi ribelle alle Regole. Qualcuno forse sarà trascinato dall’amore alla libertà, ma la gran maggioranza si manterrà fedele. Io ho un mezzo adatto per guastare tutto fin dalle fondamenta; un mezzo tale che a stento i Salesiani se ne potranno guardare: sarà proprio un guasto in radice.
Ascoltatemi con attenzione: persuaderli che l’essere dotti è quello che deve formare la loro gloria principale. Quindi indurli a studiare molto per sé, per acquistare fama, e non per praticare quello che imparano, non per usufruire della scienza a vantaggio del prossimo. Perciò boria nelle maniere verso gli ignoranti e i poveri, poltroneria nel sacro ministero. Non più oratori festivi, non più catechismi ai fanciulli, non più scuolette basse per istruire i poveri ragazzi abbandonati, non più lunghe ore di confessionale. Terranno solo la predicazione, ma rara e misurata, e questa sterile perché fatta a sfogo di superbia, col fine di ottenere le lodi degli uomini e non di salvare anime”.
La proposta di costui fu accolta da applausi generali. Allora Don Bosco intravide il giorno in cui i Salesiani avrebbero potuto illudersi che il bene della Congregazione dovesse consistere unicamente nel sapere, e
temette che non solo così praticassero, ma anche predicassero doversi così praticare.

Anche questa volta Don Bosco se ne stava in un angolo della sala ad ascoltare e a vedere tutto, quando uno dei demòni lo scoperse e gridando lo indicò agli altri. A quel grido tutti si avventarono contro di lui urlando: “La faremo finita!”.
Era una ridda infernale di spettri, che lo urtavano, lo afferravano per le braccia e per la persona, ed egli a gridare: “Lasciatemi! Aiuto!”.
Finalmente si svegliò con lo stomaco tutto sconquassato dal molto gridare.

Don Bosco raccontando il sogno piangeva. Il chierico Viglietti gli prese la mano e stringendosela al cuore, gli disse: “Ah, Don Bosco, noi con l’aiuto di Dio le saremo sempre fedeli e buoni figliuoli!”.
“Caro Viglietti”, rispose Don Bosco, “sta’ buono e preparati a vedere gli avvenimenti… Vi saranno di quelli che vorranno soprattutto la scienza che gonfia, che procaccia loro le lodi degli uomini e che li rende sprezzanti di chi essi vedono da meno di loro per sapere”.

Tratto da: Sogni Don Bosco
Fonte: Spiritualità Giovanile Salesiana

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Vigilanti e pronti a prevenire gli attacchi del Maligno

Posté par atempodiblog le 13 juin 2011

Vigilanti e pronti a prevenire gli attacchi del Maligno dans Anticristo Santa-Maria

Dal guardare sorge il mal pensiero; dal pensiero sorge una certa dilettazione nella carne, benché involontaria; a questa dilettazione indeliberata spesso succede poi il consenso della volontà: ed ecco che l’anima è perduta. […] Il demonio ha bisogno solamente che noi cominciamo ad aprirgli la porta, perché esso poi finirà d’aprirsela. Ai primi solletichi sensuali con cui ci assalta il demonio dobbiamo resistere e non permettere che la serpe, cioè la tentazione, da piccola si faccia grande. È facile uccidere il leone quando è picciolo; ma è difficile quando è grande.

Sant’Alfonso Maria De Liguori – Sulla castità del sacerdote
Tratto da: L’ora di Satana (L’attacco del Male al mondo contemporaneo) di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. Piemme

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Ragione e razionalismo

Posté par atempodiblog le 31 mai 2011

Ragione e razionalismo dans Cardinale Giacomo Biffi Cardinale-Biffi

«Si dice spesso: perché la Chiesa proibisce questo, è contraria a quest’altro? Ma a proposito di realtà come il sesso, il matrimonio, la vita umana, la Chiesa c’entra poco. E’ la ragione a non poter ammettere, ad esempio, la soppressione di una vita umana innocente; è la ragione a dire che la famiglia è l’unione stabile tra l’uomo e la donna, dove si prepara e si custodisce l’avvenire dell’umanità. Solo che la Chiesa, a differenza dei “razionalisti”, non può permettersi di sragionare, perché la ragione è un dono divino che va difeso a ogni costo dagli attacchi libertari dell’egoismo. Confondere la ragione col razionalismo è come confondere i polmoni con la polmonite».

Cardinale Giacomo Biffi

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Il giudizio temerario

Posté par atempodiblog le 24 mai 2011

Il giudizio temerario dans Fede, morale e teologia 1zm2szb

In due modi si può recar danno alla fama del prossimo e fargli perdere la sua buona stima e la sua reputazione: 1°) con la calunnia e la mormorazione, come abbiamo veduto nelle precedenti istruzioni; 2°) internamente col giudizio temerario. Quando noi diciamo male di qualcuno, mormorando o calunniandolo, facciamo perdere a questo tale quella buona stima ch’egli godeva presso gli altri; quando invece ne giudichiamo male, gli facciamo perdere la buona opinione ch’egli godeva presso noi stessi, cioè nella nostra mente. Dopo aver parlato della maldicenza con cui si toglie la fama al prossimo, esternamente, è bene che parliamo anche del giudizio temerario con cui si toglie la fama al prossimo, internamente.

Anche il giudizio temerario è un vizio che è divenuto comune, perché ci si mette, con tutta facilità, a giudicare e a sentenziare sulle azioni altrui. Vediamo quanto sia male giudicare temerariamente il prossimo, per evitare in noi questo vizio, per averne l’orrore che esso merita e per schivarlo con diligenza. Uditemi con attenzione.

Per procedere con chiarezza in questa materia e togliere ogni ansietà all’anima timorata e devota, bisogna avvertire che non sono giudizi temerari quei semplici pensieri e quei sospetti involontari che vengono in mente contro il prossimo, senza accorgercene, e che vorremmo che non ci venissero. Altro è sentirsi da essi molestati e combattuti, altro è essere vinti. Sarebbe bene che in noi ardesse tale carità verso il prossimo che ci facesse sempre pensar bene di tutti, e che fossimo così occupati nella indagine dei nostri difetti da non aver tempo di pensare a quelli degli altri; ma poiché in questa vita non viviamo senza tentazioni, basterà che contro di esse si combatta e si resista.

In secondo luogo bisogna avvertire che altro è il sospetto e altro è il giudizio. Il sospetto si ha quando si è più inclinati a credere il male; il giudizio si ha quando si ritiene una cosa per certa e indubitata. Il giudicare male del prossimo, apertamente e fermamente, senza giusto e vero motivo, è sempre peccato grave, perché ritenendo decisamente il nostro prossimo come cattivo, gli si toglie la buona stima e la riputazione. Ho detto: giudicar male decisamente, senza giusto motivo, perché se vi fossero dei gravi motivi, ossia dei gravi e forti indizi, allora il nostro giudizio non sarebbe più temerario, sebbene anche in questo caso sarebbe molto meglio sospendere ogni giudizio e coprire ogni cosa col manto della carità.

Premesse queste nozioni generali, è certo che non è mai lecito, senza un grave e giusto motivo, giudicar male del prossimo; se noi lo facciamo, i nostri giudizi sono sempre temerari e gravemente peccaminosi, a meno che la cosa di cui si giudica sia piccola e di poco conto, nel qual caso il giudizio sarebbe solo colpa veniale, per parvità di materia.

La ragione è quella che adduce l’angelico dottore S. Tommaso. Tre condizioni, dice il santo, si richiedono affinché un giudizio sia retto e lecito: a) autorità in chi giudica; b) cognizione di ciò di cui si giudica; c) che si giudichi con giustizia. Ora, che autorità abbiamo noi sopra il nostro prossimo? L’autorità è di due sorta: ordinaria e delegata. L’ordinaria è quella che compete a qualcuno in ragione del suo ufficio; la delegata è quella che si dà ad alcuno da chi ha l’ordinaria. Per esempio, un principe che abbia un assoluto dominio sopra i sudditi del suo regno, ha una giurisdizione ordinaria sopra di essi, e con autorità ordinaria li può giudicare. Ma perché non può trovarsi in ogni luogo del suo stato, costituisce dei ministri, propone loro che facciano le sue veci e questi si chiamano giudici delegati. Ora, di queste due autorità quale abbiamo noi che ci mettiamo a giudicare così facilmente il nostro prossimo? Nessuna: né l’ordinaria perché non abbiamo un ufficio a cui questa sia annessa; né la delegata, perché non ci fu conferita da nessuno. Non ci fu data nemmeno da Dio, supremo padrone di tutte le cose, a cui solo appartiene il diritto di giudicare tutti gli uomini. Egli, anzi, ci proibisce nel suo Vangelo di giudicare i fratelli, e se lo facciamo, ci minaccia di avere per noi giudizi severi: «Non giudicate e non sarete giudicati; un giudizio senza misericordia sarà fatto per colui che non usò misericordia».

«Chi siete voi – dice S. Paolo – che vi prendete la libertà di giudicare il servo altrui? Sono forse vostri sudditi e dipendenti, quelli che voi giudicate? Certo no: sono servi e dipendenti di Dio. Se fanno bene o male, se cadono o no, non tocca a voi tenerne conto. Perché, dunque, volete censurare il vostro fratello, continua l’Apostolo, se non è suddito né servo vostro? Se sopra di lui non avete alcuna giurisdizione o potere? Lasciatelo completamente al suo giudice naturale, altrimenti fate ingiuria al vostro fratello, sottomettendolo al vostro giudizio, quando dipende solo da Dio».

«Nemmeno il divin Padre – dice S. Bernardo – si prende l’arbitrio di giudicare gli uomini, quantunque ne avrebbe tutto il diritto»: infatti ha rimesso il giudizio al suo divin Figlio G. C, che è giudice dei vivi e dei morti. Crediamo pure alla grande carità promessa da Gesù agli apostoli, e a noi nella loro persona, che se osserviamo scrupolosamente la sua legge e adempiamo con esattezza gli obblighi della nostra vocazione, sederemo un giorno con Gesù Cristo per giudicare. Ma non preveniamo la venuta di questo Giudice supremo, né vogliamo giudicare prima di Lui. Se solamente nel giorno del giudizio universale, Gesù Cristo ci comunicherà il suo divino potere, aspettiamo che ce ne faccia parte, e aspettiamolo con umiltà e pazienza. In una parola, non giudichiamo prima del tempo, come ci dice lo stesso apostolo Paolo, né prima della venuta del Signore; altrimenti i nostri giudizi saranno temerari, perché fatti senza autorità e sufficiente cognizione di causa, ch’è la seconda condizione richiesta da S. Tommaso, per formare un retto e giusto giudizio.

Ditemi un poco, voi che giudicate così facilmente il vostro prossimo: che cognizioni avete delle sue azioni? I giudici e i magistrati, prima di condannare uno, accusato come reo, fanno ricerche sopra ricerche. Dopo aver sentita l’accusa, esaminano con diligenza le prove da una parte e dall’altra, pesano tutte le circostanze del fatto, interrogano i testimoni, concedono la difesa al reo e fanno tutto il possibile per trarre la verità dalla bocca stessa dell’imputato, per non incorrere nel pericolo di proferire sentenze ingiuste. Ma noi, quando giudichiamo il nostro prossimo, non osserviamo alcuna di queste formalità. Solo da ciò che esternamente si vede, si giudica delle condizioni interne del cuore. Si giudica di tutto e si prendono per evidenti, i più leggeri sospetti. E non crediamo che siano falsi i nostri giudizi? Nessuna legge ancora ordina di intromettersi nel santuario dei cuori e di giudicarne i pensieri, le intenzioni, le idee, perché Dio solo può conoscere l’interno dell’uomo. La stessa Chiesa Cattolica, sebbene fondata da Gesù Cristo e illuminata dallo Spirito Santo, affinché non erri, in materia di fede e di costumi, non giudica mai le interne disposizioni e i movimenti del cuore. E noi, che non siamo che tenebre ed ignoranza, saremo così temerari ed audaci da giudicare la condotta del prossimo, la quale proviene dal fondo del cuore, perché l’azione esterna per sé non è né buona né cattiva, se non viene informata dall’interno? Ma se non capiamo neppure noi stessi, come possiamo pretendere di conoscere l’intimo degli altri? Non è forse vero che tante volte, essendo sorpresi da tentazioni di odio, d’invidia, d’impurità, non sappiamo neppure decidere se abbiamo acconsentito o no, e per levarci ogni ansietà, siamo pronte ad accusarcene in confessione come ne fossimo rei davanti a Dio? Se non sappiamo tante volte cosa passa nel nostro cuore, nel nostro intimo, come possiamo giudicare ciò che passa nell’intimo del cuore altrui? Decidiamo delle altrui intenzioni, senza timore di ingannarci; e con facilità definiamo il prossimo reo di questo o di quel difetto. Può darsi temerarietà maggiore di questa? Ma noi, padre, dirà forse qualcuna, non giudichiamo dalle sole apparenze, giudichiamo da ciò che vediamo con i nostri occhi. E il giudicare da quel che si vede, non è giudicare dall’apparenza e perciò temerariamente? Giudicare dalle apparenze, ci si mette a rischio di cadere in inganno.

Le abominazioni di Sodoma e Gomorra erano divenute così pubbliche e pestifere, che avevano contaminato tutto il paese all’intorno e, secondo l’espressione della divina Scrittura, erano salite fino al trono di Dio. Che fa Iddio? Giudica forse quegli sciagurati sull’istante e dà loro il meritato castigo? «No, esaminerò meglio la loro causa», dice Egli. Vuole portarsi sul luogo e constatare di persona l’entità di quell’enorme delitto. Ma perché questo? Iddio non è presente in ogni luogo? Non conosce minutamente ogni cosa, senza aver bisogno di portarsi a vedere? Perché, dunque, venire sul luogo a vedere, se la cosa sia vera? Per ammaestrare noi, dice S. Gregorio, e farci intendere che quando si tratta di giudicare il nostro prossimo non dobbiamo farlo così a precipizio, per quanto i fatti sembrino manifesti e divulgati. Bisogna andare adagio, prendere informazione diretta, non starsene alle relazioni altrui, esaminare se i fatti siano così, o altrimenti, per evitare i giudizi temerari. E la causa di questi giudizi sapete qual è? E’ perché si giudica secondo le proprie passioni. Sì le nostre cattive passioni sono quelle che ci spingono a giudicare il prossimo non solo senza carità, ma anche senza giustizia. L’invidia, l’amor proprio, la superbia non ci lasciano mai pensar bene del prossimo, ci fanno comparire colpevoli quegli stessi che sono innocenti. Davide agli occhi di Giònata sembrava innocente e tanto caro da essere amato da tutti; agli occhi di Saul, invece, lo stesso Davide pareva così malvagio, da giudicarlo degno di morte. Come mai un giudizio così diverso sulla stessa persona? Perché Giònata aveva un cuore ben fatto e questo lo faceva giudicare rettamente del suo amico; Saul invece aveva un cuore, maligno e lacerato dall’invidia che lo portava a fare sinistri giudizi. Gesù conduceva una vita irreprensibile, eppure scribi e farisei lo facevano passare per un peccatore. Sapete perché? Essi erano dominati da interessi e da amor proprio, e temevano che i suoi insegnamenti facessero loro perdere la stima del popolo. Così capita anche a noi, sorelle mie, giudicando il nostro prossimo con cuore accecato dalle passioni: tutto ciò che vediamo in esso ci pare vizioso e malvagio.

Stabiliamo dunque, come frutto di questa istruzione di non alzar mai più tribunali contro i nostri simili, né giudicare mai più alcuno dei nostri fratelli, perché non avendo noi autorità di farlo, mancandoci la sufficiente cognizione di poterlo fare rettamente ed essendo d’ordinario prevenuti dalle passioni, i nostri giu dizi non possono essere che temerari e conseguentemente peccaminosi. Cerchiamo di giudicare noi stessi e non gli altri, perché noi saremo giudicati da Dio non sopra le azioni altrui, ma sopra le nostre. S. Paolo ci avvisa che se giudicheremo e condanneremo noi stessi, non sentiremo più un giorno i rigori del giudizio di Dio.

Forse nel corso di questa istruzione avrò detto qualcosa che non a tutte sarà piaciuta, ma ricordatevi, mie sorelle, che come vi ho detto già un’altra volta, la verità che rimprovera è quella sola che corregge i costumi e risana il cuore dalle proprie miserie. Non dimentichiamo mai che Gesù Cristo N. S. nel S. Vangelo vieta il giudizio temerario nella maniera più rigorosa, dicendo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; altrimenti sarete giudicati con la stessa severità che avrete usata verso gli altri». Amen.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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La purezza viene dal cielo

Posté par atempodiblog le 19 mai 2011

Tre sono le cose che ci permettono di conservare la purezza dell’anima: la presenza di Dio, la preghiera ed i sacramenti.

La purezza viene dal cielo dans Angeli Curato-d-Ars

La purezza viene dal cielo; bisogna chiederla a Dio. Se la chiediamo, l’otterremo. Bisogna stare attenti a non perderla: per questo dobbiamo chiudere il nostro cuore all’orgoglio, alla sensualità e a tutte le altre passioni… così come si chiudono porte e finestre, affinché nessuno entri.
Che gioia deve provare l’angelo custode incaricato di guidare un’anima pura! Figli miei, quando un’anima è pura, tutto il cielo la guarda con amore…
Le anime pure faranno cerchio intorno a Nostro Signore. Più saremo stati puri sulla terra e più saremo vicini a Lui in cielo.

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Benedetto XVI ricorda l’opera di Papa Wojtyla e l’amicizia che li ha uniti

Posté par atempodiblog le 29 avril 2011

In un’intervista alla tv polacca [del 16 ottobre 2005 realizzata dal P. Andrzej Majewski sj], Benedetto XVI segnala i punti salienti del pontificato di Giovanni Paolo II.
Tratta da: AsiaNews

Benedetto XVI ricorda l'opera di Papa Wojtyla e l'amicizia che li ha uniti dans Amicizia papifp1

[...] Nell’intervista l’attuale Papa sottolinea che Giovanni Paolo II ha « creato una nuova sensibilità per i valori morali, per l’importanza della religione nel mondo » ed in tal modo si è realizzata « una nuova apertura, una nuova sensibilità per i problemi della religione, per la necessità della dimensione religiosa nell’uomo » e « soprattutto è cresciuta – in modo inimmaginabile – l’importanza del Vescovo di Roma ». Nella Chiesa ha creato « un nuovo amore per l’Eucaristia » e « un nuovo senso per la grandezza della Misericordia Divina »; « ha anche approfondito molto l’amore per la Madonna e ci ha così guidato ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza ». Senza dimenticare, « come sappiamo tutti, anche quanto sia stato essenziale il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell’89, per il crollo del cosiddetto socialismo reale ».

Questo il testo integrale dell’intervista:

Il 16 ottobre del 1978, il cardinale Karol Wojtyla diventò Papa e da quel giorno Giovanni Paolo II, per oltre 26 anni, da Successore di San Pietro, come è Lei adesso, ha guidato la Chiesa assieme ai vescovi e ai cardinali. Tra i cardinali vi era anche Vostra Santità, persona singolarmente apprezzata e stimata dal suo predecessore; persona di cui il Pontefice Giovanni Paolo II ebbe a scrivere nel libro « Alzatevi, andiamo » – e qui cito – « Ringrazio Iddio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger. E’ un amico provato », ha scritto Giovanni Paolo II.

Padre Santo come è iniziata questa amicizia e quando Vostra Santità ha conosciuto il cardinale Karol Wojityla?
Personalmente lo ho conosciuto soltanto nei due pre-conclave e conclave del ’78. Avevo naturalmente sentito parlare del cardinale Wojityla, inizialmente soprattutto nel contesto della corrispondenza fra vescovi polacchi e tedeschi nel ’65. I cardinali tedeschi mi hanno raccontato come era grandissimo il merito e il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e che era proprio l’anima di questa corrispondenza realmente storica. Da amici universitari avevo anche sentito della sua filosofia e della grandezza della sua figura di pensatore. Ma come ho detto l’incontro personale la prima volta si è realizzato per il conclave del ’78. Dall’inizio ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il cardinale di quel tempo mi ha donato fin dall’inizio la sua amicizia. Sono grato per questa fiducia che mi ha donato, senza i miei meriti. Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non solo capito, ho visto che era un uomo di Dio. Questa era l’impressione fondamentale: un uomo che vive con Dio, anzi in Dio. Mi ha poi impressionato la cordialità, senza pregiudizi, con la quale si è incontrato con me. In questi incontri del pre-conclave dei cardinali, ha preso diverse volte la parola e qui ho avuto anche la possibilità di sentire la statura del pensatore. Senza grandi parole, era così nata un’amicizia che veniva proprio dal cuore e, subito dopo la sua elezione, il Papa mi ha chiamato diverse volte a Roma per colloqui e alla fine mi ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Dunque non è stata una sorpresa questa nomina e questa convocazione a Roma?
Per me era un po’ difficile, perché dall’inizio del mio episcopato a Monaco, con la solenne consacrazione a vescovo nella cattedrale di Monaco, vi era per me un obbligo, quasi un matrimonio con questa diocesi ed avevano anche sottolineato che dopo decenni ero il primo vescovo originario della diocesi. Mi sentivo quindi molto obbligato e legato a questa diocesi. C’erano poi dei problemi difficili che non erano ancora risolti e non volevo lasciare la diocesi con dei problemi non risolti. Di tutto questo ho discusso con il Santo Padre, con grande apertura e con questa fiducia che aveva il Santo Padre, che era molto paterno con me. Mi ha dato quindi tempo di riflettere, egli stesso voleva riflettere. Alla fine mi ha convinto, perché  questa era la volontà di Dio. Potevo così accettare questa chiamata e questa responsabilità grande, non facile, che di per sé superava le mie capacità. Ma nella fiducia alla paterna benevolenza del Papa e con la guida dello Spirito Santo, potevo dire di sì.

Questa esperienza durò per più di 20 anni…
Sì, sono arrivato nel febbraio dell’82 ed è durata  fino alla morte del Papa nel 2005.

Quali sono, secondo Lei, Santo Padre, i punti più significativi del Pontificato di Giovanni Paolo II?
Possiamo avere, direi, due punti di vista: uno ad extra – al mondo -,  ed uno ad intra  – alla Chiesa -. Riguardo al mondo, mi sembra che il Santo Padre, con i suoi discorsi, la sua persona, la sua presenza, la sua capacità di convincere, ha creato una nuova sensibilità per i valori morali, per l’importanza della religione nel mondo. Questo ha fatto sì che si creasse una nuova apertura, una nuova sensibilità per i problemi della religione, per la necessità della dimensione religiosa nell’uomo e soprattutto è cresciuta – in modo inimmaginabile – l’importanza del Vescovo di Roma. Tutti i cristiani hanno riconosciuto – nonostante le differenze e nonostante il loro non riconoscimento del Successore di Pietro – che è lui il portavoce della cristianità. Nessun altro al mondo, a livello mondiale può parlare così nel nome della cristianità e dar voce e forza nell’attualità del mondo alla realtà cristiana. Ma anche per la non cristianità e per le altre religioni, era lui il portavoce dei grandi valori dell’umanità. E’ anche da menzionare che è riuscito a creare un clima di dialogo fra le grandi religioni e un senso di comune responsabilità che tutti abbiamo per il mondo, ma anche che le violenze e le religioni sono incompatibili e che insieme dobbiamo cercare la strada per la pace, in una responsabilità comune per l’umanità. Spostiamo l’attenzione ora verso la situazione della Chiesa. Io direi che, anzitutto, ha saputo entusiasmare la gioventù per Cristo. Questa è una cosa nuova, se pensiamo alla gioventù del ’68 e degli anni Settanta. Che la gioventù si sia entusiasmata per Cristo e per la Chiesa ed anche per valori difficili, poteva ottenerlo soltanto una personalità con quel carisma; soltanto Lui poteva in tal modo riuscire a mobilitare la gioventù del mondo per la causa di Dio e per l’amore di Cristo. Nella Chiesa ha creato – penso – un nuovo amore per l’Eucaristia. Siamo ancora nell’Anno dell’Eucaristia, voluto da lui, con tanto amore; ha creato un nuovo senso per la grandezza della Misericordia Divina; e ha anche approfondito molto l’amore per la Madonna e ci ha così guidato ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza. Naturalmente bisogna menzionare – come sappiamo tutti – anche quanto sia stato essenziale il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell’89, per il crollo del cosiddetto socialismo reale.

Nel corso dei suoi incontri personali e dei colloqui con Giovanni Paolo II, che cosa faceva maggior impressione a Vostra Santità? Potrebbe raccontarci i suoi ultimi incontri, forse di quest’anno, con Giovanni Paolo II?
Sì. Gli ultimi due incontri li ho avuti, un primo, al Policlinico « Gemelli », intorno al 5-6 febbraio; e, un secondo, il giorno prima della sua morte, nella sua stanza. Nel primo incontro il Papa soffriva visibilmente, ma era pienamente lucido e molto presente. Io era andato semplicemente per un incontro di lavoro, perché avevo bisogno di alcune sue decisioni. Il Santo Padre – benché soffrendo – seguiva con grande attenzione quanto dicevo. Mi comunicò in poche parole le sue decisioni, mi diede la sua benedizione, mi salutò in tedesco, accordandomi tutta la sua fiducia e la sua amicizia. Per me è stato molto commovente vedere, da una parte, come la sua sofferenza fosse in unione col Signore sofferente, come portasse la sua sofferenza con il Signore e per il Signore; e, dall’altra, vedere come risplendesse di una serenità interiore e di una lucidità completa. Il secondo incontro è stato il giorno prima della morte: era ovviamente più sofferente, visibilmente, circondato da medici ed amici. Era ancora molto lucido, mi ha dato la sua benedizione. Non poteva più parlare molto. Per me questa sua pazienza nel soffrire è stato un grande insegnamento, soprattutto riuscire a vedere e a sentire come fosse nella mani di Dio e come si abbandonasse alla volontà di Dio. Nonostante i dolori visibili, era sereno, perché era nelle mani dell’Amore Divino.

Lei, Santo Padre, spesso nei suoi discorsi evoca la figura di Giovanni Paolo II, e di Giovanni Paolo II dice che era un Papa grande, un predecessore compianto e venerato. Ricordiamo sempre le parole di Vostra Santità espresse alla Messa del 20 aprile scorso, parole dedicate proprio a Giovanni Paolo II. E’ stato Lei, Santo Padre, a dire – e qui cito – « sembra che egli mi tenga forte per mano, vedo i suoi occhi ridenti e sento le sue parole, che in quel momento rivolge a me in particolare: ‘non aver paura!’ ». Santo Padre, una domanda alla fine molto personale: Lei continua ad avvertire la presenza di Giovanni Paolo II, e se è così, in che modo?
Certo. Comincio a rispondere alla prima parte della sua domanda. Avevo inizialmente, parlando dell’eredità del Papa, dimenticato di parlare dei tanti documenti che ci ha lasciato – 14 Encicliche, tante Lettere Pastorali e tanti altri – e tutto questo rappresenta un patrimonio ricchissimo che non è ancora sufficientemente assimilato nella Chiesa. Io considero proprio una mia missione essenziale e personale di non emanare tanti nuovi documenti, ma di fare in modo che questi documenti siano assimilati, perché sono un tesoro ricchissimo, sono l’autentica interpretazione del Vaticano II. Sappiamo che il Papa era l’uomo del Concilio, che aveva assimilato interiormente lo spirito e la lettera del Concilio e con questi testi ci fa capire veramente cosa voleva e cosa non voleva il Concilio. Ci aiuta ad essere veramente Chiesa del nostro tempo e del tempo futuro. Adesso vengo alla seconda parte della sua domanda. Il Papa mi è sempre vicino attraverso i suoi testi: io lo sento e lo vedo parlare, e posso stare in dialogo continuo col Santo Padre, perché con queste parole parla sempre con me, conosco anche l’origine di molti testi, ricordo i dialoghi che abbiamo avuto su uno o sull’altro testo. Posso continuare il dialogo con il Santo Padre. Naturalmente questa vicinanza attraverso le parole è una vicinanza non solo con i testi, ma con la persona, dietro i testi sento il Papa stesso. Un uomo che va dal Signore, non si allontana: sempre più sento che un uomo che va dal Signore si avvicina ancora di più e sento che dal Signore è vicino a me in quanto io sono vicino al Signore, sono vicino al Papa e lui ora mi aiuta ad essere vicino al Signore e cerco di entrare nella sua atmosfera di preghiera, di amore del Signore, di amore della Madonna e mi affido alla sue preghiere. C’è così un dialogo permanente ed anche un essere vicini, in un nuovo modo, ma in modo molto profondo. [...]

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Un misterioso anagramma

Posté par atempodiblog le 7 avril 2011

 

Un misterioso anagramma dans Antonio Socci pilato

[...] Ponzio Pilato, il prefetto romano che mise a morte Gesù [...], nato fra il reatino e l’Abruzzo, è particolarmente moderno, lo sentiamo come uno di noi a causa di quel drammatico dialogo riportato nel Vangelo. Pilato interroga l’imputato. Gesù lo fissa, calmo, e gli dice: “il mio regno non è di questo mondo”. Pilato è incuriosito da quell’uomo di cui ha sentito dire cose inaudite, è colpito dal suo volto, dalla sua forza interiore. Ma da governatore pragmatico vuol capire innanzitutto se è un sovversivo: “Dunque tu sei re?”. Allora Gesù gli dichiara apertamente che sì, è re, ma della verità, cioè del cosmo e della storia: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

Pilato tace, visibilmente stupito, ma non è tipo da seguire ciò che gli dice il cuore. Sa che solo il potere conta e quell’uomo di Nazaret sembra del tutto inerme e indifeso, uno che non conta nulla. Pilato, come si pensa oggi, ritiene che non esista la Verità: esiste solo il potere di imporre una propria verità. Così risponde scetticamente a Gesù con una battuta che non attende una risposta: “e che cos’è la verità?”. In latino le parole di Pilato, come riporta il Vangelo, suonano così: “Quid est veritas?”.

Quelle stesse parole, anagrammate, contengono la risposta: “est vir qui adest” (è l’uomo che sta di fronte). Lo nota tre secoli più tardi Agostino d’Ippona. Se solo Pilato avesse capito cosa stava dicendo, se solo avesse aspettato la riposta da quell’uomo che era ed è la Verità fatta carne. Ma il prefetto romano aveva un pregiudizio (la Verità non esiste) e così condannò l’innocente, perché non gli conveniva mettersi contro la folla. Che la verità non esista è proprio il dogma dei tempi moderni, che pure dicono di essere contro tutti i dogmi. E’ la “dittatura del relativismo”. [...]

Antonio Socci

 

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I letti ben rifatti

Posté par atempodiblog le 3 avril 2011

I letti ben rifatti dans Alessandro Manzoni letto
L’uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova su un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello; e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s’è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo, in somma, a un di presso, alla storia di prima. Avete, certo, tutti indovinato di chi sia questa considerazione: siamo in pratica all’ultima pagina dei Promessi Sposi (cap. 38) e Manzoni, con l’immagine dell’infermo e dei letti, centra due aspetti fondamentali dell’umanità. Da un lato, c’è la fragilità costitutiva e radicale della creatura umana, un «infermo» che percepisce il suo limite, la sua impotenza, la sua realtà vera. D’altro lato, c’è però la sua altrettanto costitutiva e radicale insoddisfazione e scontentezza. Il desiderio, pur legittimo, di mutare stato si nutre di illusioni e alla fine precipita in delusione. Sboccia, così, la pianta maligna della gelosia e dell’invidia. Un proverbio tedesco dichiara che «la felicità e l’arcobaleno non si vedono mai sulla propria casa, ma solo su quella del tuo vicino». La capacità di accettarsi, il realismo della situazione, la serenità nella semplicità sono merce rara, tant’è vero che la società, anche attraverso la pubblicità, crea continuamente miti, costringendo a rincorrere fantasmi di felicità. Per questo, di fronte alla frustrazione dei sogni, si piomba nel pessimismo, nello scoraggiamento e persino nella ribellione. Riflettiamo su questa frase dello scrittore tedesco Ludwig Börne (1786-1837): «Si è scontenti perché pochi sanno che la distanza tra uno e niente è più grande che tra uno e mille».

di Gianfranco Ravasi

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La Trasfigurazione

Posté par atempodiblog le 20 mars 2011

La Trasfigurazione dans Commenti al Vangelo Trasfigurazione-Ges

“La Trasfigurazione è una rivelazione della persona di Gesù, della sua realtà profonda”, ha detto. “Chi vuole conoscere Dio, deve contemplare il volto di Gesù”; è in Lui, ha proseguito il Papa, che si manifesta la santità, la Misericordia e la volontà di Dio:

“La volontà di Dio si rivela pienamente nella persona di Gesù. Chi vuole vivere secondo la volontà di Dio, deve seguire Gesù, ascoltarlo, accoglierne le parole e, con l’aiuto dello Spirito Santo, approfondirle”.

Quindi il Pontefice si è rivolto esplicitamente ai parrocchiani di San Corbiniano:

“E’ questo il primo invito che desidero farvi, cari amici, con grande affetto: crescete nella conoscenza e nell’amore a Cristo, sia come singoli, sia come comunità parrocchiale, incontrateLo nell’Eucaristia, nell’ascolto della sua parola, nella preghiera, nella carità”.

Fonte: Radio vaticana

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