La virgola

Posté par atempodiblog le 11 mai 2008

La virgola dans Don Bruno Ferrero virgolinadd2

C’era una volta una virgola seccata dalla poca considerazione in cui tutti la tenevano. Perfino i bambini delle elementari si facevano beffe di lei.
Che cos’è una virgola, dopo tutto? Nei giornali nessuno la usa più. La buttano, a casaccio.
Un giorno la virgola si ribellò.
Il Presidente scrisse un breve appunto dopo un lungo colloquio con il Presidente avversario: “Pace, impossibile lanciare i missili” e lo passò frettolosamente al Generale.
In quel momento la piccola, trascurata virgola mise in atto il suo piano e si spostò. Si spostò solo di una parola, appena un saltino.
Quello che lesse il Generale fu: “Pace impossibile, lanciare i missili”.
E scoppiò la Guerra Mondiale.

Fai attenzione alle piccole cose. Sono il seme di quelle grandi.

di Bruno Ferrero – Il segreto dei pesci rossi

Publié dans Don Bruno Ferrero, Racconti e storielle | Pas de Commentaire »

Fiaba, porta del Paradiso

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2007

Genere letterario per bambini o residuo dell’epoca in cui l’umanità non era ancora passata all’età adulta. Ma a trattenerci dal liquidare così i favolosi racconti che hanno allietato la nostra infanzia è il Vangelo, ammonendoci che, senza l’innocenza fanciullesca non si potrà entrare nel Regno dei Cieli.

di Giudo Giorgini
Radici Cristiane,
a. III, n°21, gennaio 2007,pp.90-93

L’autentica fiaba non è in realtà cosa riservata a bambini o a popoli immaturi. Dal punto di vista del contenuto, essa è un’espressione della saggezza popolare; dal punto di vista della forma è un veicolo di memoria sociale che trasmette tradizioni da una generazione all’altra; dal punto di vista pedagogico è un modo per formare la personalità mediante l’esercizio della immaginanzione, l’attenzione all’invisibile, l’apertura al meraviglioso e l’aspirazione al sublime.
Secondo la pregnante analisi inaugurata nel XIX secolo da Andrew Lang e poi sviluppata da Jhon R. Tolkien nel suo saggio Sulle fiabe (1939) e da Cristiana Campo nel suo saggio su Fiaba e mistero (1963), I racconti fiabeschi svolgono una triplice funzione: ristorano, liberano e consolano l’animo di chi le ascolta, sia egli bambino o adulto.

La fiaba “ristora”

La fiaba innanzitutto ristora l’animo, perché racconta vicende immaginarie ma non irrazionali, che inducono ad abbeverarsi alla fonte della saggezza, a ricuperare la memoria delle origini, a tornare alle radici, a restaurare un modello tradizionale di uomo e società.
La letteratura fiabesca riporta alla luce aspetti e significati della vita che ordinariamente non vengono colti, in quanto sono stati coperti dal velo dell’ordinarietà e della prosaicità. Essa rievoca e ricupera significati e valori originari, dunque perenni e decisivi, illuminando le cose da una prospettiva superiore e scandagliandole nella loro profondità: il mondo spirituale e morale diventa qui più visibile e reale di quello fisico.
La fiaba suggerisce la soluzione dei misteri della realtà e degli enigmi della vita. Essa apre l’occhio e l’orecchio interiore dell’uomo usando il linguaggio dei simboli, che permettono di spiegare il mondo visibile con quello invisibile. Essa, quindi, aiuta a discernere la melodia celeste nel caotico rumore terreno, a trovare il filo d’oro nella confusa trama della storia, a cogliere lo straordinario sotto l’ordinario, la realtà sotto l’apparenza, l’ordine sotto il caos, il significato sotto l’incomprensibile, l’eterno sotto il passeggero, l’assoluto sotto il relativo, il sacro sotto il profano, il soprannaturale sotto il naturale.
In questo modo la fiaba introduce il bambino alla contemplazione, lo allena “all’esercizio della trascendenza”, che consiste nel cogliere il senso misterioso delle cose sotto le loro apparenze banali o ingannatrici. La fiaba alimenta il senso del meraviglioso e lo educa ad esso: un senso, come diceva già Platone, che è alle radici del conoscere e dell’agire, del formarsi e del maturare.
Insomma, la fiaba riscopre e ricorda il significato e il progetto originario della creazione, svelandone le vie nascoste e gli aspetti potenziali o dimenticati a causa del degrado sopravvenuto al peccato originale; in questo modo, essa mantiene viva la memoria e la nostalgia per l’Eden perduto e insegna la via per riconquistarlo.

La fiaba “libera”.

Proprio in quanto abitua l’uomo a cogliere una realtà invisibile, sostanziale ed eterna, la fiaba lo libera dal dominio di ciò che è apparente, contingente, effimero; lo libera dalla tirannia del misurabile e del calcolabile, dall’opprimente meccanismo delle circostanze, dall’asfissiante predominio dei pregiudizi e delle convenzioni.
Questa liberazione avviene quando l’uomo accetta il proprio destino e compie la propria missione. Ecco perché la fiaba esorta a lanciarsi nell’avventura della vita, puntando a raggiungere una destinazione lontana e a realizzare imprese difficili.
Essa descrive spesso un viaggio compiuto alla ricerca di un tesoro: è una metafora della vita, che consiste appunto in un pellegrinaggio dalla terra al Cielo, alla ricerca della Patria definitiva da raggiungere. La fiaba ammonisce che l’uomo è un essere decaduto, in quanto è stato punito per aver peccato, violando un comando misterioso e apparentemente incomprensibile (il peccato originale); ma poi essa esorta a ricuperare la nobiltà perduta, riscattandosi con la lotta e il sacrificio.
Difatti l’eroe della fiaba deve vincere tentazioni, superare ostacoli ed evitare pericoli d’ogni sorta; deve affrontare prove ardue, luoghi tenebrosi, nemici spaventosi. Ma li affronta con animo candidamente temerario, evangelicamente “semplice come colomba ma astuto come serpente”: colomba per accogliere gli aiuti celesti ma serpente per sfuggire alle insidie terrene.
Votato a realizzare l’impossibile, l’eroe può farlo solo appoggiandosi ad un punto archimedico posto fuori dal mondo, rovesciando I luoghi comuni, rinunciando alle certezze e sicurezze terrene per puntare a quelle ultraterrene.
Nella fiaba, infatti, si vive di paradossi: partire per restare, rinunciare per ottenere, perdersi per ritrovarsi, dimenticare per ricordare, servire per comandare, impoverirsi, imbruttirsi, impoverirsi per ottenere forza, bellezza e ricchezza. Ma sono proprio questi paradossi che permettono di raggiungere lo scopo: gli ostacoli diventano ponti, le perdite conquiste, le maledizioni benedizioni, le sconfitte vittorie.
L’eroe fiabesco può esercitare poteri perduti che appartenevano alla condizione originaria d’innocenza, ossia nel Paradiso terrestre, o che acquisterà nella sua finale condizione gloriosa, ossia nel Paradiso celeste: i poteri di volare, passare atraverso i corpi, trasmutarli, renderli invisibili, leggere nel pensiero, parlare con gli animali.


La fiaba “consola”

Proprio in quanto lo libera dalla tirannia del contingente per aprirlo all’Assoluto, la fiaba consola l’uomo, ossia gli fornisce quegli aiuti che gli permettono di compiere la propria missione.
Nei racconti fiabeschi, il successo arride a chi, pur essendo apparentemente senza speranza, si affida all’isperabile, come esige San Paolo Apostolo. E l’isperabile accade davvero, sempre! Il viaggio dell’eroe viene orientato da incontri imprevisti e decisivi che segnano le tappe della missione da compiere. Nei momenti più critici gli arrivano aiuti risolutori che rovesciano il fallimento in successo; ma sempre all’ultimo istante, quando tutto sembra perduto, per mettere alla prova la fiducia e per sottolinearte che la vittoria è un dono gratuito . E non accade appunto questo, lungo l’intera storia della Chiesa?
Partito con la missione di cercare o salvare qualcosa di apparentemente insignificante, alla fine l’eroe si accorgerà di aver trovato o salvato un inestimabile tesoro; oppure, partito con l’obbligo di rinunciare a un apparente tesoro, alla fine si accorgerà che questo sacrificio gli ha permesso di trovare un immenso bene: come accade anche nella vita terrena rispetto a quella eterna.
Alla fine l’eroe troverà e riotterrà tutto ciò a cui aveva rinunciato, ed enormemente accresciuto, come premio per la sua costanza. “chi avrà rinunciato alla propria vita, la troverà, mentre chi l’avrà conservata la perderà”.
La fiaba classica con conclude con il lieto fine (“e vissero per sempre felici e contenti): esso indica il premio paradisiaco, il raggiungimento dell’eternità beata, insomma la consolazione definitiva, quella che non verrà mai tolta.

La fiaba “ammonisce”

La fiaba non spinge a fuggire dalla realtà, ma anzi richiama alla serietà della vita, che è missione da compiere a costo di un destino eterno e che esige scelta, lotta, rischio, sacrificio. La fiaba ammonisce che “tutte le nostre azioni ci seguono” (Paul Bourget), per cui i meriti verranno ricompensati, le colpe verranno punite, ma potranno anche essere perdonate se verranno espiate col pentimento e col dolore.
Non disprezziamo, dunque, le fiabe tradizionali: profondo è il loro valore morale e pedagogico. Il fatto che esse oggi stiano suscitando un rinnovato interesse, per quanto si tratti di un fenomeno ambiguo, rivela comunque che il senso del soprannaturale, l’apertura al meraviglioso e l’aspirazione alò sublime sopravvivono nella coscienza delle masse. E questo è un segno di speranza, anzi un sintomo d’imminente guarigione.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Racconti e storielle, Riflessioni | Pas de Commentaire »

L’anfora imperfetta

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2007

L'anfora imperfetta dans Don Bruno Ferrero anforarw2

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione : “Non perdo neanche una stilla d’acqua, io”.
Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone : “Lo sai, sono cosciente dei miei limiti. Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota. Perdona la mia debolezza e le mie ferite”.
Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse : “Guarda il bordo della strada”.
“E’ bellissimo, pieno di fiori”.
“Solo grazie a te” disse il padrone. “Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io ho comperato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno”.

Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se vogliamo, Dio sa fare meraviglie con le nostre imperfezioni.

di Bruno Ferrero

Publié dans Don Bruno Ferrero, Racconti e storielle | 2 Commentaires »

4 candele

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2007

C’erano una volta in una stanza quattro candele. La prima si chiamava FEDE. Un giorno disse: “gli uomini hanno il cuore duro, non credono più in niente e in nessuno, tanto vale che mi lasci spegnere” e così fece…

La seconda, che si chiamava AMORE. Un giorno essa disse: “gli uomini sono egoisti, insensibili, indifferenti, tanto vale che mi lasci spegnere…” e così fece.

La terza si chiamava PACE e anche lei un giorno disse: “gli uomini sono avidi, violenti, sempre in guerra…mi lascerò spegnere” e così fece.

Entrò in quel momento nella stanza un bambino e vedendo quell’oscurità disse: “ho paura!”.

L’ultima candela rimasta gli disse: “non temere! Il mio nome è SPERANZA, io non mi lascerò spegnere e con la mia fiamma riaccenderò le candele che si erano lasciate spegnere”.

 4 candele dans Racconti e storielle quattro-candele

Raccontata da Frà Sergio di San Giovanni Rotondo.

Publié dans Racconti e storielle | 1 Commentaire »

Scatola di biscotti

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2007

Scatola di biscotti dans Mormorazione Scatola-biscotti

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di un grande aeroporto.
Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti e si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla.

Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto anche l’uomo ne prese uno. Lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro. Pensò tra sè « ma tu guarda se solo avessi più coraggio gli avrei già dato un pugno… »

Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò « ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!! »

Vide l’uomo che prese l’ultimo biscotto e lo divise a metà! « AH, questo è troppo » pensò, cominciò a sbuffare ed indignata si prese le sue cose, il libro, la sua borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa.

Quando si sentì un pò meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l’attenzione ed evitare altri dispiaceri.

Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando… Nell’aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.

Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell’uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o superiore al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell’orgoglio.

Autore: sconosciuto.

Publié dans Mormorazione, Racconti e storielle | Pas de Commentaire »

Storiella

Posté par atempodiblog le 3 septembre 2007

Storiella dans Racconti e storielle 1319812685_cafe-au-lait-ice-cream-sundae-recipe

Qualche tempo fa quando un gelato costava molto meno di oggi, un bambino di dieci anni entrò in un bar e si sedette al tavolino. Una cameriera gli portò un bicchiere d’acqua. “Quanto costa un sundae?”, chiese il bambino. “Cinquanta centesimi”, rispose la cameriera. Il bambino prese delle monete dalla tasca e cominciò a contarle. “Bene, quanto costa un gelato semplice?”. In quel momento c’erano altre persone che aspettavano e la ragazza cominciava un po’ a perdere la pazienza. “35 centesimi!”, gli rispose la ragazza in maniera brusca. Il bambino contò le monete ancora una volta e disse: “Allora mi porti un gelato semplice!”. La cameriera gli portò il gelato e il conto. Il bambino finì il suo gelato, pagò il conto alla cassa e uscì. Quando la cameriera tornò al tavolo per pulirlo restò di stucco perché lì, in un angolo del piatto, c’erano 15 centesimi di mancia per lei. Il bambino non chiese il sundae per riservare la mancia alla cameriera.

Autore: sconosciuto

Publié dans Racconti e storielle, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La candela più povera

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2007

La candela più povera
di Don Ezio Del Favero

C’era una volta una grossa candela: «Sono una candela di cera purissima. La mia luce è migliore di quella di tutte le altre candele e dura più a lungo. Il mio posto sarebbe in un candeliere d’argento!».
Una candela più semplice la udì e rispose: «Io invece sono soltanto una povera candela fatta col grasso animale, ma mi consolo pensando che sono più di un lumino. I lumini li fondono una volta sola, io invece sono stata fusa otto volte e sono diventata più spessa. Essere di cera è più aristocratico: le candele di cera le mettono sui lampadari, in salotto; io invece resto in cucina, ma anche lì è un posto rispettabile!».
La candela di cera affermò: «Io sono più importante! Questa sera ci sarà un ballo e sono certa che mi tireranno fuori per la serata di gala e mi faranno risplendere!».
Quel pomeriggio la padrona di casa prese le candele di cera e le portò in salotto. Poi prese la candela di grasso e si recò in cucina dove la stava aspettando un ragazzo povero con un paniere pieno di patate e di mele: «Eccoti anche una candela! La tua mamma lavora fino a tardi e questa le servirà». La figlia della padrona, sentendo dire «fino a tardi», esclamò gioiosamente: «Starò alzata fino a tardi anch’io, stasera; si ballerà e io mi metterò nei capelli dei nastri rossi grandi così!». Il viso della bambina era raggiante di felicità e i suoi occhi risplendevano più intensamente di ogni candela.
Poi il ragazzo se ne andò col cestello pieno. La candela pensò: «Ed ora, dove andrò mai a finire? Certamente a casa di povera gente, dove non avrò neppure un candelabro di ottone, invece la mia compagna di cera se ne starà sicuramente in un candeliere d’argento!».
Il ragazzo giunse in una casa povera dove viveva una vedova con i suoi tre figli. Abitavano tutti in una cameretta situata di fronte alla ricca dimora. La madre esclamò: «Dio benedica la buona signora per i suoi regali! Oh, che bella candela! Potrò lavorare fino a tardi stanotte».
E la candela fu accesa. «Mi hanno accesa con uno zolfanello di scarto!», pensò.
Anche nella casa dei ricchi si accendevano le candele e il loro splendore giungeva fino alle case circostanti. La candela pensò agli occhi della figlia della signora: «Certo non vedrò più degli occhi così brillanti!». In quel momento entrò la bimba più piccola della vedova e, guardando il cestello, disse con gioia: «Stasera mangeremo patate!», La candela notò che il suo visino era radioso ed esprimeva la stessa felicità del volto della bimba nella casa ricca quando aveva esclamato: «Starò alzata fino a tardi, stasera … ».
Quella sera, nella casa della vedova, fu apparecchiata la tavola e le patate furono divorate di gusto: una vera cena di festa. Alla fine tutti ebbero una mela e la bimba recitò la preghiera: «Signore, ti ringrazio perché ci hai dato da mangiare stasera!». Poi i bambini andarono a letto, felici, e la mamma cominciò a cucire al lume di candela.
Dalla dimora dei ricchi, oltre ai suoni dell’orchestra, giungeva la luce delle candele di cera. Le stelle rifulgevano sopra le case dei ricchi come quelle dei poveri.
«Dopo tutto – esclamò la candela di grasso – è stata una serata eccezionale. Chissà se la candela di cera, dentro il candeliere d’argento, è contenta quanto me!».

La candela più povera dans Racconti e storielle Candela

Proviamo gioia quando ci sacrifichiamo per raggiungere la felicità e fare felici gli altri. L’autentica felicità si lascia scoprire nella semplicità, nella genuinità, nella giustezza, nella verità, nella creazione, nella generosità, nelle persone…

Publié dans Racconti e storielle | Pas de Commentaire »

Tutta la Forza

Posté par atempodiblog le 30 août 2007

Il padre guardava il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante.
Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.
“Hai usato proprio tutte le tue forze?”, gli chiese il padre.
“Sì”, rispose il bambino.
“No”, ribattè il padre, “perché non mi hai chiesto di aiutarti”.

Tutta la Forza dans Don Bruno Ferrero Lasciarsi-aiutare


Pregare è usare “tutte” le nostre forze.

di Bruno Ferrero – 40 storie nel deserto

Publié dans Don Bruno Ferrero, Racconti e storielle | Pas de Commentaire »

Il colore del grano

Posté par atempodiblog le 28 août 2007

Il colore del grano dans Libri Il-piccolo-principe

In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo…”.
“Chi sei? ” domandò il piccolo principe, “sei molto carino…”.
“Sono una volpe”, disse la volpe.
“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, “sono così triste…”.
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! scusa”, fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: “Che cosa vuol dire ‘addomesticare’?”.
“Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe, “che cosa cerchi?”.
“Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe. “che cosa vuol dire ‘addomesticare’?”.
“Gli uomini”, disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano. E’ molto noioso! Allevano anche delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?”.
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire ‘addomesticare’?”.
“E una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ‘creare dei legami’…”.
“Creare dei legami?”.
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dall’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“Comincio a capire”, disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”.
“E’ possibile”, disse la volpe. “Capita di tutto sulla Terra…”.
“Oh! non sulla Terra”, disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa: “Su un altro pianeta?”.
“Sì”.
“Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
“No”.
“Questo mi interessa! E delle galline?”.
“No”.
“Non c’è niente di perfetto”, sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea: “La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”.
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: “Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”.
“Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”.
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! lo mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina: “Ah” disse la volpe, “…piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”.
“E’ vero”, disse la ,volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“E’ certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”.
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.
Poi soggiunse: “Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto”.
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente”, disse. “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. “Non si può morire per voi. Certamente un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa”.
E ritornò dalla volpe.
“Addio”, disse.
“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”.
“Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

Tratto da “Il piccolo principe” scritto da Antoine de Saint-Exupéry

Publié dans Libri, Racconti e storielle | 1 Commentaire »

1...56789
 

Neturei Karta - נ... |
eternelle jardin |
SOS: Ecoute, partage.... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Cehl Meeah
| le monde selon Darwicha
| La sainte Vierge Marie Livr...