Danzare nella pioggia

Posté par atempodiblog le 28 avril 2009

Danzare nella pioggia dans Racconti e storielle danzay

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un’ottantina di anni arrivó per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice.
Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9:00.
Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un’ora prima che qualcuno potesse vederlo.
Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita.
Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita.
Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta.
L’anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie.
Mi informai della sua salute e lui mi raccontó che era affetta da tempo dall’Alzheimer.
Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po’ tardi.
Lui mi rispose che lei non lo riconosceva giá da 5 anni.
Ne fui sorpreso, e gli chiesi:
« E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi é lei? ».
L’uomo sorrise e mi batté la mano sulla spalla dicendo:
« Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi é lei ».
Dovetti trattenere le lacrime…Avevo la pelle d’oca e pensai:
« Questo é il genere di amore che voglio nella mia vita ».
Il vero amore non é né fisico né romantico. Il vero amore é l’accettazione di tutto ció che é, é stato, sará e non sará.
Le persone piú felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ció che hanno.
La vita non é una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia.

Sii piú gentile del necessario, perché ciascuna delle persone che incontri sta combattendo qualche sorta di battaglia.

Storiella tratta dal Web

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Le lenzuola sporche

Posté par atempodiblog le 27 avril 2009

Le lenzuola sporche dans Mormorazione finestra

Una giovane coppia di sposi novelli andò ad abitare in una zona molto tranquilla della città.
Una mattina, mentre bevevano il caffè, la moglie si accorse, guardando attraverso la finestra, che una vicina stendeva il bucato sullo stendibiancheria.
“Guarda che sporche le lenzuola di quella vicina!
Forse ha bisogno di un altro tipo di detersivo…
Magari un giorno le farò vedere come si lavano le lenzuola!”.
Il marito guardò e rimase zitto.
La stessa scena e lo stesso commento si ripeterono varie volte, mentre la vicina stendeva il suo bucato al sole e al vento.
Dopo un mese, la donna si meravigliò nel vedere che la vicina stendeva le sue lenzuola pulitissime, e disse al marito:
“Guarda, la nostra vicina ha imparato a fare il bucato!
Chi le avrà fatto insegnato come si fa?”.
Il marito le rispose: “Nessuno le ha fatto vedere; semplicemente questa mattina, io mi sono alzato più presto e, mentre tu ti truccavi, ho pulito i vetri della nostra finestra!”.

Cosi’ è nella vita.

Tutto dipende dalla pulizia della finestra attraverso cui osserviamo i fatti.
Prima di criticare, probabilmente sarà necessario osservare se abbiamo pulito a fondo il nostro cuore per poter vedere meglio.
Allora vedremo più nitidamente la pulizia del cuore del vicino…

Storiella tratta dal Web

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Il Rosario, preghiera monotona?

Posté par atempodiblog le 7 avril 2009

Immagine

Ho sentito dire che il Rosario è una preghiera monotona. Ascolta, a questo proposito, ciò che racconta un parroco. Una ragazza si presentò a lui dopo la predica e gli disse: “Voi non fate che ripetere le stesse parole nel Rosario, e chi ripete sempre le stesse parole è noioso e forse non vero. Non crederei mai ad una simile persona.”
Il parroco le chiese chi fosse il giovane che l’accompagnava. La ragazza rispose che era il suo fidanzato.
“Ti vuol bene?”.
“Certamente!”, rispose lei
“E come lo sai?”
“Me lo ha detto.”
“Che cosa ti ha detto?”
“Io ti amo.”
“Quando te lo ha detto?”, continuò il parroco.
“Me lo ha ripetuto un’ora fa.”
“Te lo aveva detto anche prima?”
“Sì, ieri sera.”
“Che cosa ti disse?”
“Io ti amo.”
“E altre volte?”
“Tutte le sere.”
“Non gli credere. Non è sincero. Non fa che ripetersi.”

Tratto daCocodix

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Prigioniero

Posté par atempodiblog le 29 mars 2009

Prigioniero dans Racconti e storielle prigione

Un ex prigioniero di un campo di concentramento nazista era andato a trovare un amico che aveva vissuto con lui la stessa tragica esperienza.
« Hai perdonato i nazisti? » chiese all’amico.
« Sì ».
« Io invece no. Nutro ancora un fortissimo odio nei loro confronti ».
« In questo caso », gli spiegò con dolcezza l’amico, « sei ancora loro prigioniero »

.…i veri nemici non sono coloro che ci odiano, bensì quelli che noi odiamo…

Tratto da web

 

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La noce di cocco

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2008

La noce di cocco dans Don Bruno Ferrero nocedicoccokj8

Una scimmia da un albero gettò una noce di cocco in testa ad un saggio. L’uomo la raccolse, ne bevve il latte, mangiò la polpa, e con il guscio si fece una ciotola.
La vita non smetterà mai di gettarci addosso palate di terra o noci di cocco, ma noi riuscíremo a uscire dal pozzo, se ogni volta reagiremo. Ogni problema ci offre l’opportunità di compiere un passo avanti. Ogni problema ha una soluzione, se non ci diamo per vinti…

di Bruno Ferrero – Ma noi abbiamo le ali

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Giacomone

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2008

Giacomone
di Giovannino Guareschi
Tratto da: gamblin–ramblin.blogspot.com

Il vecchio Giacomone aveva bottega nella città bassa. Una stanzaccia con un banco da falegname, una stufetta di ghisa e una cassa.
Dentro la cassa, Giacomone teneva un materasso di crine che, la sera, cavava fuori e distendeva sul banco: e lì dormiva. Anche il mangiare non era un problema serio per Giacomone perché, con un pezzetto di pane e una crosta di formaggio, tirava avanti una giornata: il problema era il bere. Giacomone, infatti, aveva uno stomaco di quel tipo che usava tempo addietro: quando, cioè, c’era gente che riusciva a trovare dentro una pinta di vino il nutrimento necessario per vivere sani e svelti come un pesce. Forse perché, allora, non avevano ancora inventato le calorie, le proteine, le vitamine e le altre porcherie che complicano la vita d’oggigiorno.
Giacomone, quindi, finiva sbronzo la sua giornata: d’estate dormiva sulla prima panchina che gli capitava davanti. D’inverno dormiva sul banco. E, siccome il banco era lungo ma stretto e alto, Giacomone, agitandosi, correva il rischio di cascare per terra: allora, prima di chiudere gli occhi, si avvolgeva nel tabarro serrandone i lembi fra le ganasce della morsa. Così poteva rigirarsi senza il pericolo di sbattere la zucca contro i ciottoli del pavimento.
Giacomone accettava soltanto lavori di concetto: riparazioni di sedie, di cornici, di bigonci e roba del genere. La falegnameria pesante non l’interessava. E, per falegnameria pesante, egli intendeva ogni lavoro che implicasse l’uso della pialla, dello scalpello, della sega. Egli ammetteva soltanto l’uso della colla, della carta vetrata, del martello e del cacciavite. Anche perché non possedeva altri strumenti. Giacomone, però, trattava anche il ramo commerciale e, quando qualcuno voleva sbarazzarsi di qualche vecchio mobile, lo mandava a chiamare. Ma si trattava sempre di bagattelle da quattro soldi e c’era poco da stare allegri.
Un affare eccezionale gli capitò fra le mani quando morì la vecchia che abitava al primo piano della casa dirimpetto alla sua bottega. Aveva la casa zeppa di roba tenuta bene e toccò ogni cosa a un nipote che, prima ancora di entrare nella casa, si preoccupò di sapere dove avrebbe potuto vendere tutto e subito.

Giacomone si incaricò della faccenda e, in una settimana, riuscì a collocare la mercanzia. Alla fine, rimase nell’appartamento soltanto un gran Crocifisso di quasi un metro e mezzo con un Cristo di legno scolpito.
«E quello?» domandò l’erede a Giacomone indicandogli il Crocifisso.
«Credevo che lo teneste» rispose Giacomone.
«Non saprei dove metterlo» spiegò l’erede. «Vedete di darlo via. Pare molto antico. C’è il caso che sia una cosa di valore».
Giacomone aveva visto ben pochi Crocifissi in vita sua: comunque era pronto a giurare che quello era il più brutto Crocifisso dell’universo. Si caricò il crocione in spalla ma nessuno lo volea.
Tentò il giorno dopo e fu la stessa cosa. Allora arrivò fino a casa dell’erede e gli disse che se voleva vendere il Crocifisso si arrangiasse lui.
«Tenetevelo» rispose l’erede. «Io non voglio più saperne niente. Se vi va di regalarlo regalatelo. Se riuscirete a smerciarlo, meglio per voi: soldi vostri.»
Giacomone si tenne il Crocifisso in bottega e, il primo giorno che si trovò senza soldi, se lo caricò in spalla e andò in giro a offrirlo.
Girò fino a tardi e, prima di tornare in bottega, entrò nell’osteria del Moro. Appoggiò il Crocifisso al muro e, sedutosi a un tavolo, comandò un mezzo di vino rosso.
«Giacomone» gli rispose l’oste «dovete già pagarmi dodici mezzi. Pagate i dodici e poi vi porto il vino».
«Domani pago tutto» spiegò Giacomone. «Sono in parola con una signora di Borgo delle Colonne. È un Cristo antico, roba artistica, e saranno soldi grossi».
L’oste guardò il Cristo e si grattò perplesso la zucca:
«Io non me ne intendo» borbottò «ma ho l’idea che un Cristo più brutto di quello lì non ci sia in tutto l’universo».
«La roba antica più è brutta e più è bella» rispose Giacomone. «Voi guardate le statue del Battistero e poi ditemi se sono più belle di questo Cristo».
L’oste portò il vino, e poi ne portò ancora perché Giacomone aveva una tale fame che avrebbe bevuto una damigiana di barbera.
L’osteria si riempì di gente e il povero Cristo sentì discorsi da far venire i capelli ricci a un’ brigadiere dei carabinieri pettinato all’umberta.
A mezzanotte Giacomone tornò in bottega, col suo Cristo in spalla e, siccome due o tre volte si trovò a un pelo dal cadere lungo disteso perché quel peso io sbilanciava, tirò fuori di sotto il vino che aveva nello stomaco delle bestemmie lunghe come racconti.

La storia del Cristo si ripeté i giorni seguenti: e ogni sera Giacomone faceva tappa a un’osteria diversa e passò tutte le osterie dove era conosciuto.
Così continuò fino a quando, una notte, la pattuglia agguantò Giacomone che, col Cristo in spalla, navigava verso casa rollando come una nave sbattuta dalla burrasca.
Portarono Giacomone in guardina e il Cristo, appoggiato a un muro della stanza del corpo di guardia, ebbe agio di ascoltare le spiritose storie che rallegrano di solito i questurini di servizio notturno.
La mattina Giacomone fu portato davanti al commissario che gli disse subito che non facesse lo stupido e spiegasse dove aveva rubato quel Crocifisso.
«Me l’hanno dato da vendere» affermò Giacomone e diede il nome e l’indirizzo del nipote della vecchia signora morta.
Lo rimisero in camera di sicurezza e, verso sera, lo tirarono fuori un’altra volta.
«Il Crocifisso è vostro» gli disse il commissario «e va bene. Però questo schifo deve finire. Quando andate all’osteria, lasciate a casa il Cristo. La prima volta che vi pesco ancora vi sbatto dentro».
Fu, quella, una triste sera per il Cristo: perché Giacomone se la prese con lui e gli disse roba da chiodi.
Si ubriacò senza Cristo ma, alle tre del mattino, si alzò, si caricò il Cristo in spalla e, raggiunta per vicoletti oscuri la periferia, si diede alla campagna.
«Vedrai se questa volta non riesco a rifilarti a qualche disgraziato di villano o di parroco!» disse Giacomone al Cristo.
Era autunno e incominciava a far fresco, la mattina: Giacomone s’era buttato addosso il tabarro e così, col grande Crocifisso in spalla e il passo affaticato, aveva l’aria di uno che viene da molto lontano.
All’alba, passò davanti a una casa isolata: una vecchia era nell’orto e, vedendo Giacomone con la croce in spalla, si segnò.
«Pellegrino!» disse la vecchia. «Volete una scodella di latte caldo?»
Giacomone si fermò.
«Andate a Roma?» s’informò la vecchia.
Giacomone fece cenno di sì con la testa.
«Da dove venite?»
«Friuli» disse Giacomone.
La vecchia allargò le braccia in atto di sgomento e gli ripeté che entrasse a bagnarsi le labbra con qualcosa.
Giacomone entrò. Il latte, a guardarlo, gli faceva nausea: poi lo assaggiò ed era buono. Mangiò mezza micca di pane fresco e continuò la sua strada.
Schivò le strade provinciali; prese scorciatoie attraverso i campi e batté le case isolate.
«Passo di qui perché la strada è piena di sassi e di polvere e ho i piedi che mi sanguinano e gli occhi che mi piangono» spiegava Giacomone quando traversava qualche aia. «E poi ho fatto il voto così. Vado a Roma in pellegrinaggio. Vengo dal Friuli».
Una scodella di vino e un pezzo di pane non glieli negava nessuno. Giacomone metteva il pane in saccoccia, beveva il vino e riprendeva la sua strada. Di notte smaltiva la sua sbronza sotto qualche capanna in mezzo ai campi.
In seguito era diventato più furbo: s’era procurato una specie di grossa borraccia da due litri. Non beveva il vino quando glielo davano; lo versava dentro la borraccia:
«Mi servirà stanotte se ho freddo o mi viene la debolezza» spiegava.
Poi, appena arrivato fuori tiro, si attaccava al collo della borraccia e pompava. Però faceva le cose per bene in modo da trovarsi la sera con la borraccia piena. Allora, quando si era procurato il ricovero, scolava la borraccia e perfezionava la sbornia.

Il freddo incominciò a farsi sentire, ma, quando Giacomone aveva fatto il pieno, era come se avesse un termosifone acceso dentro la pancia.
E via col suo povero Cristo in spalla.
«Vado a Roma, vengo dal Friuli» spiegava Giacomone. E quando era sborniato e traballava, la gente diceva:
«Poveretto, com’è stanco!».
E poi gli era cresciuta la barba e pareva un romito davvero.
Giacomone, che aveva la testa sulle spalle, aveva fatto in modo di gironzolare tutt’attorno alla città: ma l’uomo propone e il vino dispone. Così andò a finire che perdette la bussola e si trovò, un bel giorno, a camminare su una strada che non finiva mai di andare in su.
Voleva tornare indietro e rimanere al piano: poi pensò che gli conveniva approfittare di quelle giornate ancora di bel tempo per passare il monte. Di là avrebbe trovato il mare e, al mare, freddo che sia, fa sempre caldo.
Camminò passando da una sbronza all’altra, sempre evitando la strada perché aveva paura di imbattersi nei carabinieri: prendeva i sentieri e questo gli permetteva di battere le case isolate.
L’ultima sbronza fu straordinaria perché capitò in una casa dove si faceva un banchetto di nozze e lo rimpinzarono di mangiare e di vino fino agli occhi.
Oramai era quasi arrivato al passo. La notte dormì in una baita e, la mattina dopo si svegliò tardi, verso il mezzogiorno: affacciato alla porta della baracca si trovò in mezzo a un deserto bianco con mezza gamba di neve. E continuava a nevicare.
“Se mi fermo qui rimango bloccato e crepo di fame o di freddo” pensò Giacomone e, caricatosi il Cristo in spalla, si mise in cammino.
Secondo i suoi conti, dopo un’ora avrebbe dovuto arrivare a un certo paese. Aveva ancora la testa annebbiata per il gran vino bevuto il giorno prima, e poi la neve fa perdere l’orizzonte.
Si trovò, sul tardo pomeriggio, sperduto fra la neve. E continuava a nevicare.
Si fermò al riparo di un grosso sasso. La sbornia gli era passata completamente. Non aveva mai avuto il cervello così pulito.
Si guardò attorno e non c’era che neve, e neve veniva giù dal cielo. Guardò il Cristo appoggiato alla roccia.
«In che pasticcio vi ho messo, Gesù» disse. «E siete tutto nudo…».
Giacomone spazzò via col fazzoletto la neve che si era appiccicata sul Crocifisso. Poi si cavò il tabarro e, con esso, coperse il Cristo.
Il giorno dopo trovarono Giacomone che dormiva il suo eterno sonno, rannicchiato ai piedi del Cristo. E la gente non capiva come mai Giacomone si fosse tolto il tabarro per coprire il Cristo.
Il vecchio prete del paese rimase a lungo a guardare quella strana faccenda. Poi fece seppellire Giacomone nel piccolo cimitero del paesino e fece incidere sulla pietra queste parole:

Qui giace un cristiano
e non sappiamo il suo nome
ma Dio lo sa
perché è scritto nel libro dei Beati.

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Chi ci pensa

Posté par atempodiblog le 28 novembre 2008

Chi ci pensa dans Don Bruno Ferrero pesciwl2

 

Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro. Nuotando pigramente in tondo avevano anche tempo di filosofare.
Un giorno un pesce chiese all’altro:
« Tu credi in Dio? ».
« Certo! ».
« E come fai a saperlo? ».
« Chi credi che ci cambi l’acqua, tutti i giorni? ».


La vita scorre dentro di noi come un fiume tranquillo ed è un miracolo.
Ma facciamo l’abitudine anche ai miracoli. Ogni giorno è un dono tutto nuovo, una pagina bianca da scrivere. Dio ci cambia l’acqua tutti i giorni.


di Bruno Ferrero

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L’avventura dei ricci

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

L'avventura dei ricci dans Don Bruno Ferrero ricciin2

Un’estate, una famiglia di ricci venne ad abitare nella foresta. Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi. Poi correvano nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mosche per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane. Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno. Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po’ più fredde, dormivano sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo. Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie. I ricci tremavano tutto il giorno, e la notte non potevano chiudere occhio, tanto avevano freddo.
Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all’altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe. Timidamente, si avvicinarono ancora, ma di nuovo si punsero il muso. E tutte le volte che uno correva verso l’altro, capitava la stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini: gli uccelli si tenevano caldo uno con l’altro, così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.
Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accostarono l’uno all’altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.

Dovrebbe esistere anche un « Decalogo della tenerezza ».
Potrebbe essere, più o meno, così:
1. Poiché la tenerezza è possibile, non c’è nessuna ragione per starne senza.
2. Parlatevi un po’ ogni giorno.
3. Crescete insieme, continuamente.
4. Stimati. Gli unici che apprezzano uno zerbino sono quelli che hanno le scarpe sporche.
5. Sii compassionevole.
6. Sii gentile. L’amore non ammette le cattive maniere.
7. Scopri il lato buono e bello delle persone, anche quando fanno di tutto per nasconderlo.
8. Non temere i dissapori e i litigi: solo i morti e gli indifferenti non litigano mai.
9. Non farti coinvolgere dalle piccole irritazioni e meschinità quotidiane.
10. Continua a ridere. Tiene in esercizio il cuore e protegge da disturbi cardiaci.

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

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Un po’ d’argento

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2008

Un po' d'argento dans Don Bruno Ferrero specchioik9

« Rabbì, che cosa pensi del denaro? » chiese un giovane al maestro.
« Guarda dalla finestra », disse il maestro, « cosa vedi? ».
« Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato ».
« Bene. Adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi? ».
« Che cosa vuoi che veda rabbì? Me stesso, naturalmente ».
« Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d’argento sul vetro e l’uomo vede solo se stesso ».

Siamo circondati da persone che hanno trasformato in specchi le loro finestre. Credono di guardare fuori e continuano a contemplare se stessi.
Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio.

di Bruno Ferrero - L’importante è la rosa

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Lo scrigno

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2008

Lo scrigno dans Racconti e storielle scrignocq5

Vivevo sul lato in ombra della strada
e osservavo i giardini dei vicini
al di là della strada, festanti
nella luce del sole.
Mi sentivo povero,
e andavo di porta in porta con la mia fame.
Più mi davano della loro incurante abbondanza,
più diventavo consapevole
della mia ciotola da mendicante.
Finché un mattino mi destai dal sonno
all’improvviso aprirsi della mia porta,
e tu entrasti a chiedermi la carità.
Disperato, ruppi il coperchio del mio scrigno,
e scoprii sorpreso la mia ricchezza. 

di Rabindranath Tagore

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L’uovo

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2008

L'uovo dans Don Bruno Ferrero uovobz1

Una donna, che non aveva grandi risorse economiche, trovò un uovo. Tutta felice, chiamò il marito e i figli e disse: « Tutte le nostre preoccupazioni sono finite. Guardate un po’: ho trovato un uovo! Noi non lo mangeremo, ma lo porteremo al nostro vicino perché lo faccia covare dalla sua chioccia. Così presto avremo un pulcino, che diventerà una gallina. Noi naturalmente non mangeremo la gallina, ma le faremo deporre molte uova, e dalle uova avremo molte altre galline, che faranno altre uova. Così avremo tante galline e tante uova. Noi non mangeremo né galline né uova, ma le venderemo e ci compreremo una vitellina. Alleveremo la vitellina e la faremo diventare una mucca. La mucca ci darà altri vitelli, finché avremo una bella mandria. Venderemo la mandria e ci compreremo un campo, poi venderemo e compreremo, compreremo e venderemo ».
Mentre parlava, la donna gesticolava. L’uovo le scivolò di mano e si spiaccicò per terra.

I nostri propositi assomigliano spesso alle chiacchiere di questa donna: « Farò… Dirò… Rimedierò… ». Passano i giorni e gli anni, e non facciamo niente.

di Bruno Ferrero - Quaranta storie nel deserto

 

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I propositi

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2008

I propositi dans Don Bruno Ferrero diddlfioreridfx6

L’adolescente scriveva i suoi propositi chino sul tavolo, mentre la mamma stirava la biancheria.
«Se vedessi qualcuno in procinto di annegare», scriveva l’adolescente «mi butterei subito in acqua per soccorrerlo. Se si incendia la casa salverei i bambini. Durante un terremoto non avrei certo paura a but­tarmi tra le macerie pericolanti per salvare qualcu­no. Poi dedicherei la mia vita per aiutare tutti i po­veri del mondo…».
La mamma: «Per piacere, vammi a prendere un po’ di pane qui sotto».
«Mamma, non vedi che piove?».

Quanti «vorrei» nella vita spirituale…
Una bambina di 12 anni ha scritto: «Siamo noi gli uomini del futuro, tocca a noi migliorare la si­tuazione. La cosa più grave è star lì a far niente, a guardare questo povero mondo che si sbriciola. Noi diciamo viva la pace e facciamo la guerra, abbasso la droga e ne aumentiamo il commercio, basta col terrorismo e uccidiamo i giusti. Però non è detto che a ciò non si possa mettere fine. Io volevo dire que­sto: se sei triste per l’odio nel mondo, non piangere e non perdere la speranza, ma fa’ qualcosa, anche di piccolo».
Fa’ qualcosa, anche di piccolo…

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

 

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La bellezza della donna

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2008

 La bellezza della donna dans Racconti e storielle cuorerj1 

Un bambino chiese a sua madre: “Perché piangi?”
« Perché sono una donna », ella rispose.
« Non riesco a capire », ribatté il bimbo.
Sua madre gli fece un po’ di coccole, dicendogli
“E non riuscirai mai a capire…”
Più tardi il piccolo chiese a suo padre:
“Perché la mamma piange senza una ragione?”
“Tutte le donne piangono senza una ragione”,
fu tutto quello che suo padre riuscì a spiegare.
Il bambino crebbe e divenne uomo,
continuando sempre a chiedersi perché le donne piangono.
Un bel giorno decise di telefonare a Dio;
così quando Dio rispose l’uomo gli chiese immediatamente
“Dio, perché le donne piangono così facilmente?”
Dio gli disse: “Quando ho creato la donna, decisi che sarebbe stata unica.
Così l’ho dotata di spalle forti abbastanza perché potesse portare il peso del mondo;
ma sufficientemente dolci perché riuscisse a portare il conforto…
Le ho dato la forza interiore per sopportare la fatica della procreazione.
Le ho dato l’ostinazione, che le permette di andare avanti quando tutti gli altri decidono di abbandonare
e di occuparsi della propria famiglia, malgrado la malattia e la stanchezza, senza mai lamentarsi…
Le ho dato la forza per sostenere suo marito malgrado i suoi errori e l’ho modellata a
partire da una sua costola perché potesse proteggere il suo cuore…
E per finire, le ho dato una lacrima da fare scendere…
Questa lacrima le appartiene in maniera esclusiva perché possa servirsene tutte le volte  che vuole.
Vedi: la bellezza dei una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo fisico o nel modo di pettinarsi.
La bellezza di una donna deve potersi leggere nei suoi occhi, perché è negli occhi che si trova la porta del cuore…
il luogo in cui risiede l’amore”.


Autore: anonimo

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Il laghetto gelato

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2008

Il laghetto gelato dans Don Bruno Ferrero laghettovi9

Una volta, due  piccoli amici si divertivano a pattinare su un laghetto gelato. Era una sera nuvolosa e fredda, i due bambini giocavano senza timore; improvvisamente il ghiaccio si spacco e si aprì inghiottendo uno dei bambini.
Lo stagno non era profondo, ma il ghiaccio cominciò quasi subito a rinchiudersi.
L’altro bambino corse alla riva, afferrò la più grossa pietra che riuscì a trovare e si precipitò dove il suo piccolo compagno era sparito. Cominciò a colpire il ghiaccio con tutte le sue forze, picchiò e picchiò finché riuscì a rompere il ghiaccio, afferrare la mano del suo piccolo amico e aiutarlo a uscire dall’acqua…
Quando arrivarono i pompieri e videro quanto era accaduto si chiesero sbalorditi:
“Ma come ha fatto? Questo ghiaccio è pesante e solido, come ha potuto spaccarlo con questa pietra e quelle manine minuscole?”.
In quel momento comparve un anziano che disse: “lo so come ha fatto”.
“Come?”, chiesero.
Il vecchietto rispose:
“Non aveva nessuno dietro di lui a dirgli che non poteva farcela…”.


Ci sono forze sbalorditive dentro di noi, ma basta così poco a farcele dimenticare.


di Bruno Ferrero – I fiori semplicemente fioriscono

 

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L’incidente

Posté par atempodiblog le 10 octobre 2008

L'incidente dans Don Bruno Ferrero macchinaut3

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l’auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un’altra macchina.
La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? Il conducente dell’altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone.
Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: « In caso di incidente…, ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina! ».


Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. Le persone contano, non le cose. Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l’organizzazione, l’efficienza materiale! Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incaraggiarsi, ridere, passeggiare…
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio.
Noi e la nostra capacità d’amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo…
Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. « Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori… Che cosa devo ancora prenderti? ».
« Prendimi la mano » rispose il bambino.

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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