Gesù: “Io mi sono ripetuto i vostri nomi”

Posté par atempodiblog le 25 mars 2016

Gesù: “Io mi sono ripetuto i vostri nomi” dans Citazioni, frasi e pensieri Ges-di-Nazareth

15 febbraio 1944
Dice Gesù a Maria Valtorta:

Ecco perché l’angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza di tutti i salvati per il mio sacrificio come medicina al mio morire.

I vostri nomi! Ognuno m’è stato una stilla di farmaco infuso nelle vene per ridare loro tono e funzione, ognuno m’è stato vita che torna, luce che torna, forza che torna. Nelle inumane torture, per non urlare il mio dolore di Uomo, e per non disperare di Dio e dire che Egli era troppo severo e ingiusto verso la sua Vittima, Io mi sono ripetuto i vostri nomi. Io vi ho visti. Io vi ho benedetti da allora. Da allora vi ho portati nel cuore. E quando è per voi venuta la vostra ora di essere sulla Terra, Io mi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra venuta, giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era nato nel mondo e che avrebbe vissuto per Me.

Oh! miei benedetti! Conforto del Cristo morente! La Madre, il Discepolo, le Donne pietose erano intorno al mio morire, ma voi pure c’eravate. I miei occhi morenti vedevano, insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visi amorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perché vi avevano salvati, o voi che meritate il Sacrificio di un Dio.

Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

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Papa: il Triduo pasquale, giorni di misericordia e silenzio

Posté par atempodiblog le 23 mars 2016

Papa: il Triduo pasquale, giorni di misericordia e silenzio
Il Triduo Pasquale “è tutto un grande mistero di amore e di misericordia”. È la definizione che Papa Francesco ha dato, all’udienza generale in Piazza San Pietro, dei “momenti forti” della Passione e morte di Cristo, nei quali da domani si immergerà la Chiesa. Il Papa l’ha invitata a vivere questo periodo liturgico in un atteggiamento di particolare “silenzio” e con fede mariana, che “non dubita” ma “spera”.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

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I tre giorni della misericordia. Queste sono le ore in cui si consumano gli ultimi momenti di Gesù sulla terra. Misericordia, afferma Papa Francesco, che “rende visibile fino a dove può giungere l’amore di Dio”.

Il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore
Francesco parla in una mattina in cui un cielo color metallo riflette i sentimenti di tristezza che sono del Papa stesso e dei 30 mila in Piazza San Pietro, blindata perché anche i fatti di Bruxelles hanno tragicamente ricordato che l’Europa vive sotto minaccia. E allora, la riflessione di Francesco sul Triduo Pasquale – esperienza di morte che prelude a una vita che non finisce – suona come un messaggio di speranza che si riverbera sul mondo oltre i confini della fede:

“Il Mistero che adoriamo in questa Settimana Santa è una grande storia d’amore che non conosce ostacoli. La Passione di Gesù dura fino alla fine del mondo, perché è una storia di condivisione con le sofferenze di tutta l’umanità e una permanente presenza nelle vicende della vita personale di ognuno di noi. Insomma, il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore che ci dona la certezza che non saremo mai abbandonati nelle prove della vita”.

Gesù si dona a noi perché noi possiamo donarci agli altri
I tre giorni della misericordia iniziano il giovedì, il giorno di Dio che si fa cibo nell’Eucaristia e si fa servo ai piedi degli Apostoli. Con un significato ulteriore che il Papa tiene a sottolineare:

“Nel darsi a noi come cibo, Gesù attesta che dobbiamo imparare a spezzare con altri questo nutrimento perché diventi una vera comunione di vita con quanti sono nel bisogno. Lui si dona a noi e ci chiede di rimanere in Lui per fare altrettanto”.

Dio tace per amore
Venerdì Santo è il giorno dell’amore al suo culmine, quello che Sant’Agostino definì, ricorda il Papa, un amore che “va alla fine senza fine” e che, assicura Francesco, “intende abbracciare tutti, nessuno escluso”. Infine, il Sabato Santo, il giorno di Dio nel sepolcro. “Il giorno – sottolinea Francesco – del silenzio di Dio”:

“Dio tace, ma per amore. In questo giorno l’amore – quell’amore silenzioso – diventa attesa della vita nella risurrezione. Pensiamo, il Sabato Santo: ci farà bene pensare al silenzio della Madonna, ‘la credente’, che in silenzio era in attesa della Resurrezione. La Madonna dovrà essere l’icona, per noi, di quel Sabato Santo. Pensare tanto come la Madonna ha vissuto quel Sabato Santo; in attesa. È l’amore che non dubita, ma che spera nella parola del Signore, perché diventi manifesta e splendente il giorno di Pasqua”.

Gesù dice ad ognuno di noi: ‘Se potessi soffrire di più per te, lo farei’
Francesco conclude la catechesi ricordando Giuliana di Norwich, mistica inglese del Medioevo che, pur analfabeta, descrisse le visioni della Passione offrendo di esse, in modo “profondo e intenso”, il senso “dell’amore misericordioso di Cristo. Citando un dialogo in cui la Beata ringrazia Gesù per l’offerta delle sue sofferenze, il Papa ripete la risposta di Cristo alla mistica: “L’aver sofferto la passione per te è per me una gioia, una felicità, un gaudio eterno; e se potessi soffrire di più lo farei”:

“Questo è il nostro Gesù, che a ognuno di noi dice: ‘Se potessi soffrire di più per te, lo farei’. Come sono belle queste parole! Ci permettono di capire davvero l’amore immenso e senza confini che il Signore ha per ognuno di noi”.

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L’incontro tra l’Amore ed il peccato

Posté par atempodiblog le 18 mars 2016

Gesù

Quando m’immergo nella Passione del Signore, spesso durante l’adorazione vedo Gesù sotto questo aspetto: dopo la flagellazione i carnefici presero il Signore e Gli tolsero la veste, che si era già attaccata alle Piaghe. Mentre gliela toglievano le Sue Piaghe si riaprirono. Poi buttarono addosso al Signore un mantello rosso, sporco e stracciato, sulle Piaghe aperte. Quel mantello arrivava alle ginocchia solo in alcuni punti. Poi ordinarono al Signore di sedersi su un pezzo di trave, mentre veniva intrecciata una corona di spine, con la quale cinsero la sacra Testa. Gli venne messa una canna in mano e ridevano di Lui, facendoGli inchini come ad un re. Gli sputavano in faccia ed altri prendevano la canna e Gliela battevano in Testa ed altri ancora Gli procuravano dolore dandoGli pugni, altri Gli coprivano il Volto e lo schiaffeggiavano.

Gesù sopportò in silenzio. Chi può comprenderlo? Chi può comprendere il Suo dolore? Gesù aveva gli occhi rivolti a terra. Sentivo quello che avveniva allora nel Cuore dolcissimo di Gesù.

Ogni anima rifletta su quello che ha sofferto Gesù in quei momenti. Facevano a gara per schernire il Signore. Riflettei per conoscere da che cosa potesse derivare tanta malignità nell’uomo. E purtroppo questa deriva dal peccato. Si erano incontrati l’Amore ed il peccato.

Quando andai alla santa Messa in un certo tempio assieme ad una consorella, sentii la grandezza e la Maestà di Dio; sentii che quel tempio era imbevuto di Dio. La Sua Maestà mi investì completamente e, sebbene mi spaventasse, mi riempì di serenità e di gioia. Conobbi che nulla può opporsi alla Sua Volontà. Oh, se tutte le anime sapessero Chi abita nelle nostre chiese, non ci sarebbero tanti oltraggi e tante mancanze di rispetto in quei luoghi santi.

O Amore eterno ed inesplicabile, Ti chiedo una grazia: rischiara il mio intelletto con la luce dall’alto, fammi conoscere e valutare tutte le cose secondo il loro valore. Quando vengo a conoscere la verità, ho nell’anima la gioia più grande.

Santa Faustina Kowalska

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La ricetta dei crespillos

Posté par atempodiblog le 18 mars 2016

Ogni anno il venerdì prima della Domenica delle Palme, onomastico della signora Dolores, madre di san Josemaría, tutta la famiglia era in attesa del dolce tipico di questo giorno: i crespillos.

La ricetta dei crespillos dans Cucina e dintorni Crespillos

INGREDIENTI
(da 6 a 8 persone sono): 

1, 5 dl Latte (150 g)
200 g Farina 
2 Uova (100 g)
1 Cucchiaino di lievito in polvere
10 g Zucchero (un cucchiaio) 
½ Kg Foglie di spinaci freschi
Zucchero da spargere sopra

MODO DI FARLI:

Lavare molto bene gli spinaci e lasciare le foglie con 2 o 3 cm di lunghezza.
Fare una massa mescolando gli ingredienti in quest’ordine: in un recipiente si mette la farina con lo zucchero e il lievito, si aggiungono il latte e le uova e si unisce bene il tutto.
Asciugare l’acqua delle foglie degli spinaci, passarli per questa massa e friggerle in abbondante olio caldo a 170° C. Scolare bene.
Una volta fritti passarli nello zucchero.
Servire al momento, in un piatto da dolce avvolti in un tovagliolo bianco. 

Tratto da: Cocina Inteligente, di Alicia Bustos
Fonte: josemariaescriva.info

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Biscotti quaresimali: storia e ricetta della variante napoletana

Posté par atempodiblog le 11 mars 2016

Biscotti quaresimali: storia e ricetta della variante napoletana
di Alessia Andreozzi – Voce di Napoli

Biscotti quaresimali: storia e ricetta della variante napoletana dans Cucina e dintorni biscotti-quaresimali

I biscotti quaresimali sono “una santa invenzione”! E non è un modo di dire: non solo questi dolci hanno una storia alle spalle legata alla religione ma sono anche ottimi da mangiare durante il periodo di quaresima quando, teoricamente, non ci si può nutrire di grassi animali per rispettare il digiuno di Gesù nel deserto per 40 giorni. Sembrano i classici cantuccini della tradizione Toscana, quelli che vanno abbinati al delizioso Vin Santo, ma hanno una variante napoletana con ingredienti che rendono ancora più speciale una ricetta già di per sé buona da gustare. Vediamo, allora, come sono fatti questi biscotti quaresimali secondo la tradizione napoletana.

Prima di tutto, è bene ricordare come nascono questi biscotti quaresimali: la paternità che vi si attribuisce è toscana e si dice furono ideati da monache di un convento proprio in onore della quaresima. Perché si possono mangiare? Perché sono privi di grassi animali, quindi senza burro o latte, e rispettano il tradizionale digiuno da rispettare in questi giorni, proprio come fece Gesù durante i 40 giorni nel deserto. Che questo sia stato tutto un escamotage delle monache per rispettare i precetti religiosi non rinunciando ai piaceri del dolce? Stiamo parlando di dolci davvero saporiti che, però, sono fatti di ingredienti poveri e genuini. Sono talmente leggeri che sono ottimi anche per uno sgarro alla linea, qualora foste a dieta. In altri luoghi, questi biscotti hanno la forma di lettere dell’alfabeto, per onorare le parole del Vangelo, ma la variante napoletana somiglia al cantuccino toscano, eccetto per alcuni ingredienti.

LA RICETTA DI BISCOTTI QUARESIMALI NAPOLETANI

Il tempo per cui questi biscotti quaresimali sono in vendita è limitato: sono reperibili da subito dopo il martedì di carnevale sino al giovedì Santo ma, niente paura, qui vi è la ricetta per preparare questi fantastici dolcetti ogni volta che lo si desidera.

Ecco gli ingredienti:

  • 250 g farina
  • 250 g zucchero
  • 250 g mandorle tostate
  • 2 uova (1 grande per l’impasto e 1 piccolo per spennellare)
  • 1 pizzico di sale
  • 1 cucchiaino pieno di lievito secco
  • 1 cucchiaio di cubetti di cedro candito
  • 1/2 cucchiaino scarso di vaniglia
  • 1/2 cucchiaino scarso di cannella
  • 1/2 cucchiaino scarso di garofano
  • 1/2 cucchiaino scarso di noce moscata

La preparazione è semplicissima e ci vogliono pochi minuti: in primo luogo vanno tostate le mandorle in forno mentre si può procedere con l’impasto. Per quest’ultimo, si versa in una ciotola farina, lievito secco, le spezie precedentemente mescolate, l’uovo, un po’ d’acqua se serve e le mandorle che, intanto, sono belle e pronte. Una volta ottenuto un impasto sodo, vi si unisce il cedro candito e si modella tutto fino ad ottenere dei filoncini che vengono poi schiacciati con le mani, spennellati con un tuorlo e tagliati. Una volta messi in forno caldo a 200° li si lascia cuocere per 15-20 minuti in modalità ventilata. Et voilà! I biscotti quaresimali sono pronti. Buon appetito!

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Digiuno, scelta per il corpo e lo spirito

Posté par atempodiblog le 11 mars 2016

Digiuno, scelta per il corpo e lo spirito
Una scelta culinaria ed etica che protegge la salute e tonifica lo spirito
di Vittorio A. Sironi – Avvenire

Digiuno, scelta per il corpo e lo spirito dans Cucina e dintorni Digiuno-Avvenire

Il digiuno leva il medico di torno, si potrebbe dire parafrasando un noto proverbio. È quanto emerge dagli ultimi studi in proposito. Insieme a una dieta corretta ed equilibrata astenersi completamente dall’assunzione di cibo un giorno alla settimana o una volta ogni 10-15 giorni può avere effetti notevolmente positivi sulla salute del corpo e della mente. Se i dati della ricerca scientifica confermano sempre di più gli stretti legami esistenti fra cibo e salute, esistono oggi anche evidenze mediche che mostrano come un regolare saltuario digiuno aiuta il corpo a ‘depurarsi’, proteggendolo dalle malattie, e tonifica lo spirito, agendo come un fattore importante di igiene mentale. Un digiuno salutare dunque, anche se tutto deve passare attraverso uno stile di vita globalmente equilibrato, evitando gli eccessi: fare attività fisica, evitare di fumare, mangiare bene. 

Nella nostra società opulenta il problema della sovralimentazione è spesso sottovalutato o affrontato solo da un punto di vista estetico – perché ‘bello è magro’ –, dimenticando che l’eccesso di cibo e le troppe calorie introdotte nell’organismo sono i principali responsabili del diabete, delle malattie cardiovascolari, dei tumori e possono anche essere causa di una mortalità precoce. Mangiare poco e in modo equilibrato favorisce la salute: un regime alimentare variato, moderando i grassi e i dolci, non trascurando l’assunzione giornaliera di frutta e verdura, optando per l’eliminazione o la restrizione del consumo di carne in favore del pesce, ma anche riducendo progressivamente le porzioni e le calorie quotidiane – sino appunto al digiuno abituale –, rappresenta un elemento importante della nostra esistenza, che non solo ci aiuta a eliminare i chili di troppo e a mantenere un giusto peso-forma, ma determina anche un rapporto intelligente fra benessere corporeo e gratificazione psicologica. 

Oltre che una scelta alimentare in favore della salute, il digiuno può essere anche una scelta etica di rispetto per chi soffre e spesso muore fame. Senza dimenticare che la rinuncia consapevole al cibo come pratica ascetica, per temprare e migliorare l’anima, per facilitare, insieme alla preghiera, il processo di avvicinamento al Dio in cui si crede, è una pratica consigliata (talvolta addirittura resa obbligatoria) da diverse religioni in determinati giorni della settimana o in certi periodi dell’anno.

Non come imposizione vessatoria, ma come esercizio materiale e spirituale di un percorso individuale per aiutare il credente nella propria crescita mistica. Tali sono il digiuno quaresimale (mortificazione del corpo come segno della conversione dello spirito) del Cristianesimo, il digiuno dello Yom Kippur (Giorno dell’Espiazione) e gli altri digiuni obbligatori – oltre a quelli tradizionali facoltativi – della religione ebraica, il digiuno del mese di Ramadan (per purificare il corpo e lo spirito) per i fedeli islamici. 

Oggi però si è persa l’abitudine del digiuno come astensione volontaria dal cibo, sia come prassi rituale in ambito religioso, sia come pratica sociale in ambito laico. Nella nostra ricca ‘società dei consumi’ sembra un controsenso rinunciare al cibo e alle bevande che abbiamo abbondantemente a disposizione. Anzi il digiuno è percepito come una situazione dannosa per l’organismo, retaggio di una condizione obbligata dei secoli scorsi, quando la penuria alimentare era alla base del triste binomio carestia-malattia. La medicina ci dice però esattamente il contrario.

La presa di coscienza del parallelismo nutrizionesalute ha portato a comprendere meglio il concetto dieta-prevenzione attualmente abituale, ma pure con questa nuova consapevolezza alimentare tendiamo a mangiare troppo e male. Sovente attribuiamo al cibo significati che non dovrebbe avere: fonte di piacere assoluto e indiscriminato, sfogo alle nostre frustrazioni, compensazione per la nostra tristezza, la nostra ansia o la nostra rabbia, surrogato del desiderio sessuale. Questo porta a nutrirci in eccesso rispetto alle nostre reali esigenze caloriche, senza controllo, senza freni inibitori, facendo di fatto del cibo una specie di ‘droga’. Senza accorgercene, quasi senza volerlo. Creando così gravi danni alla salute. 

Come la carenza cronica di cibo, la denutrizione, anche l’esagerazione abituale, la sovralimentazione, è fonte di seri guai sanitari. Sul piano epidemiologico dalle malattie della povertà (malaria, tubercolosi, pellagra, scorbuto) dell’antica società tradizionale si è passati in pochi decenni alle malattie del benessere (diabete, obesità, dislipidemie, ipertensione arteriosa, cardiopatie, cerebropatie, neoplasie) della moderna società dei consumi, dovute in gran parte, come s’è detto, alle nuove modalità alimentari. Ecco perché il ritorno alla pratica del digiuno può svolgere un importante ruolo compensatorio. Il corpo non risente negativamente dell’astensione limitata di cibo.

Anzi trae beneficio perché mette in moto tutta una serie di meccanismi di ‘autotrofismo’ (termine difficile per dire che è in grado di generare al suo interno le sostanze chimiche di cui ha bisogno) mobilizzando riserve che si sono accumulate in eccesso, accelerando la generazione di nuove cellule in sostituzione di quelle invecchiate che vengono eliminate, metabolizzando molecole diverse dalle proteine per produrre l’energia necessaria. Si determina in tal modo un salutare riequilibrio di molte funzioni biologiche dell’organismo che porta a un perfetto adattamento fisiologico del corpo. 

Il digiuno è anche benefico sul piano psicologico perché mette la mente in condizione di poter tenere sotto controllo le proprie pulsioni, fortificando la volontà dell’individuo e allenandolo a superare le difficoltà esistenziali della propria vita. Umberto Veronesi, medico di fama internazionale, non ha esitato a dichiarare in proposito come ‘dedicare un giorno ogni settimana alla totale astensione dal cibo non solo non faccia male, ma aiuti a formare il carattere, a manifestare una scelta etica e a proteggere la propria salute’, perché ‘un’alimentazione corretta secondo i dettami della scienza e almeno un giorno di digiuno ogni settimana possono rappresentare un nuovo e stimolante stile di vita’. Affermazioni pienamente condivisibili. Accanto al piacere di una abituale sana e gustosa alimentazione è importante allora imparare ad apprezzare anche il gusto di un altrettanto sano e positivo digiuno. Una scelta culinaria ed etica che protegge la salute e tonifica lo spirito.

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Papa Francesco: “Il perdono del cuore che ci dà Dio sempre è misericordia”

Posté par atempodiblog le 3 mars 2016

Misericordia che “dimentica”

Papa

Misericordia, compassione, perdono, ripete il Papa, ricordando che “il perdono del cuore che ci dà Dio sempre è misericordia:”

“Che la Quaresima ci prepari il cuore per ricevere il perdono di Dio. Ma riceverlo e poi fare lo stesso con gli altri: perdonare di cuore. Forse non mi saluti mai, ma nel mio cuore io ti ho perdonato. E così ci avviciniamo a questa cosa tanto grande, di Dio, che è la misericordia. E perdonando apriamo il nostro cuore perché la misericordia di Dio entri e ci perdoni, a noi. Perché tutti noi ne abbiamo, da chiedere di perdono: tutti. Perdoniamo e saremo perdonati. Abbiamo misericordia con gli altri, e noi sentiremo quella misericordia di Dio che, quando perdona, ‘dimentica’”.

di Radio Vaticana

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Solo la Madonna attendeva la Risurrezione

Posté par atempodiblog le 4 avril 2015

Solo la Madonna attendeva la Risurrezione dans Fede, morale e teologia dzjzbo

“Quando Giuseppe e Nicodemo ebbero degnamente compiuto il servizio della sepoltura lasciarono il sepolcro, tanto loro quanto gli altri che erano con loro. Ma la santa ed immacolata Madre del Signore rimase là, sola; guardava attentamente con gli occhi vigili dell’anima e del corpo; prostrandosi in ginocchio pregava senza posa ed interruzione; lo chiamava attendendo che sorgesse la dolce luce della Risurrezione”.

San Massimo il Confessore

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Il Sabato Santo, giorno di digiuno o di festa?

Posté par atempodiblog le 4 avril 2015

A La Salette si è verificata una sola apparizione e il messaggio, dato parte in francese e parte in dialetto locale, è lo sfogo amaro della Madre per i suoi figli che disprezzano la religione, bestemmiano Dio, profanano il giorno del Signore, irridono la Messa, e in Quaresima “vanno alla macelleria come cani”. Mi chiedo che cosa direbbe se dovesse descrivere ciò che facciamo oggi con la più assoluta superficialità e incoscienza.

da «Pellegrino a quattro ruote» di P. Livio Fanzaga

Il Sabato Santo, giorno di digiuno o di festa? dans Digiuno 2ngx1tk

Il Sabato Santo, giorno di digiuno o di festa?
In Dialogo il Teologo Risponde
a cura della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale
Tratto da: Novena.it

Il sabato santo, giorno che precede la Pasqua, è come il venerdì giorno di astinenza? O la cena del sabato (che precede la veglia pasquale) è  già da considerarsi di festa?
Lettera firmata

Risponde don Roberto Gulino, docente di liturgia

Il digiuno e l’astinenza, insieme alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità, appartengono da sempre alla dimensione penitenziale della Chiesa come modalità concreta e pratica per tornare a Dio con tutto il cuore, motivo per cui viene richiesto un autentico atteggiamento interiore di conversione, di fede e di amore per non fermarsi ad una pratica solo esteriore (cfr Mt 6, 1-18).

Già dal II secolo abbiamo testimonianze di un digiuno che precedeva il giorno cui si celebrava la festa annuale di Pasqua per prepararsi interiormente alla grande solennità della Risurrezione. Si tratta quindi di una mortificazione o di un’astensione mai fine a se stessa, ma per partecipare fisicamente alla morte gloriosa di Cristo ribadendo la sua priorità su tutte le altre realtà della nostra vita, anche le più essenziali: sempre infatti il digiuno è unito ad un maggior ascolto della Parola di Dio, alla preghiera, all’amore generoso verso i bisognosi («Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» San Pietro Crisologo, Discorso 43).

Gradualmente il digiuno dei due giorni che precedevano la Pasqua fu esteso ed ampliato fino a costituire, nel IV secolo, i quaranta giorni del tempo della Quaresima (dal Mercoledì delle Ceneri fino al Sabato Santo, escludendo le domeniche che non sono mai state considerate  giorno penitenziale, sono esattamente quaranta giorni di impegno concreto per la conversione).

Oggi, il digiuno – inteso come unico pasto durante la giornata, oppure come limitazione nella quantità e nella qualità nei due pasti quotidiani – viene richiesto dalla Chiesa il Mercoledì delle Ceneri ed il Venerdì Santo, anche se viene consigliato di prolungarlo, secondo l’opportunità, fino alla celebrazione della Veglia Pasquale (cfr Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, 20). A tale digiuno sono tenuti i maggiorenni fino al compimento del sessantesimo anno di età, salvo necessità dovute alla propria salute.

L’astinenza invece, ossia il privarsi della carne come pure dei cibi particolarmente ricercati e costosi, viene richiesta nei venerdì di Quaresima e in tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che non coincidano con una solennità (come è successo quest’anno, il 19 marzo per san Giuseppe, quando pur essendo venerdì di Quaresima non eravamo tenuti all’astinenza). A questa privazione sono tenuti tutti coloro che hanno compiuto i quattordici anni di età – per maggiori informazioni si può consultare la nota pastorale della CEI “Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza” del 4 ottobre 1994.

Per rispondere alla domanda del nostro amico lettore possiamo concludere che il Sabato Santo non c’è astinenza anche se siamo invitati, secondo le proprie possibilità, a prolungare il digiuno del Venerdì Santo fino alla Veglia Pasquale (la cena del sabato quindi non può essere considerata ancora “di festa”).

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Il mondo con Gesù nel sepolcro

Posté par atempodiblog le 3 avril 2015

Il mondo con Gesù nel sepolcro
di Mario Adinolfi – La Croce – Quotidiano

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Su questo giornale avete letto della lectio magistralis di Paolo Flores d’Arcais, pubblicata integralmente su due pagine da Repubblica, che chiedeva “l’esilio di Dio”. Ecco, Dio si è fatto crocifiggere, oggi è morto, è nella tomba con un grosso masso a far da sigillo e due soldati a far da guardia perché ne temete persino il cadavere. Che mondo è questo con un Dio ucciso e sepolto? Anche meglio che esiliato, giusto Flores?

Secondo Ivan Karamazov è il mondo dove “tutto è permesso”. Se Dio non c’è, si può far tutto perché allora è l’uomo stesso ad essere Dio. Ognuno può proclamare la propria legge, ogni limite può essere forzato. La spiegazione di Ivan Karamazov è suggestiva: “Secondo me, non c’è nulla da distruggere, fuorché l’idea di Dio nell’umanità; ecco di dove occorre cominciare! È di qui, di qui che si deve partire, o ciechi, che non capite nulla! Una volta che l’umanità intera abbia rinnegato Dio (e io credo che tale epoca, a somiglianza delle epoche geologiche, verrà un giorno), tutta la vecchia concezione cadrà da sé, senza bisogno di antropofagia, e soprattutto cadrà la vecchia morale, e tutto si rinnoverà. Gli uomini si uniranno per prendere alla vita tutto ciò che essa può dare, ma unicamente per la gioia e la felicità di questo mondo. L’uomo si esalterà in un orgoglio divino, titanico, e apparirà l’uomo-dio. Trionfando senza posa e senza limiti della natura, mercé la sua volontà e la sua scienza, l’uomo per ciò solo proverà ad ogni istante un godimento cosí alto da tenere per lui il posto di tutte le vecchie speranze di gioie celesti. Ognuno saprà di essere per intero mortale, senza resurrezione possibile, e accoglierà la morte con tranquilla fierezza, come un dio. Per fierezza comprenderà di non dover mormorare perché la vita è solo un attimo, e amerà il fratello suo senza ricompensa”.

Vediamo se la teorizzazione di Karamazov è stata ben applicata. Dove Dio è stato proclamato morto per legge dello Stato, penso ai regimi comunisti, c’è stata solo povertà e morte, in totale assenza di libertà. Dove Dio è stato ucciso da una progressiva secolarizzazione fatta di sorrisini e ironie in odium fidei, cioè persino nel nostro Occidente cristiano, si prendono gli aerei e ci si schianta su una montagna, si varano leggi che trasformano le persone in cose e permettono la compravendita degli esseri umani con contemporaneo sfruttamento delle donne bisognose, si ammazzano milioni di bambini con gli aborti motivati spesso da questioni decisive come la carriera da non pregiudicare e la taglia dei pantaloni da mantenere intatta. Secondo me, vista all’opera questa umanità intera che ha “rinnegato Dio”, Ivan Karamazov troverebbe piuttosto fallace questa sua teoria.

Flores d’Arcais no, lui è tipo che sa applicare la tenacia contro ogni evidenza. Le associazioni Lgbt che hanno difeso il circolo gay del Cassero che del crocifisso faceva solo uso osceno e blasfemo, affermando che la sola esistenza della Chiesa è “velenosa” celebrereranno oggi un pride davanti al Sepolcro? Questo è il loro giorno. Cristo non c’è, Cristo è morto. Morto come gli studenti cristiani uccisi e tenuti in ostaggio in Kenia ieri dai terroristi (rilasciati gli studenti musulmani). Morto come i 129 morti sul lavoro in poco più di novanta giorni in Italia nel 2015. Morto come i centodiecimila bambini abortiti solo in Italia lo scorso anno.

L’umanità si sente sconfinatamente sola e piange e quasi senza farsi sentire prega affinché torni. Sapete quali sono le ultime due parole pronunciate in lingue diverse dai passeggeri del volo Germanwings pochi secondi prima di schiantarsi, da tutti, quasi all’unisono? Sono raccolte in un breve video tra urla e pianti. Dicono tutti: “Mio Dio”. Tutti, istintivamente. Una breve ultima preghiera che si somma, lo so, alla preghiera sommessa e quasi inconsapevole di una umanità sconsolata davanti al Sepolcro. Se Cristo è morto, oggi che Cristo muore in croce ancora, tutto è permesso. Ma che libertà è senza di Lui? Tendiamo le orecchie nell’ascolto della smisurata preghiera, uniamo la nostra. E’ come il mormorio di un vento leggero. Dio, che è in quel vento, avrà voglia ancora di ascoltare?

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Gli spettatori del male che non vedono Dio

Posté par atempodiblog le 2 avril 2015

Gli spettatori del male che non vedono Dio
Uno scritto di Ratzinger sul Venerdì Santo. Cristo, Auschwitz, i demoni della Storia
di Joseph Ratzinger
Tratto da: Il Corriere della Sera

Gli spettatori del male che non vedono Dio dans Fede, morale e teologia sv2gpw

Il Venerdì Santo della storia negli orrori del Novecento, dalla Shoah al grido dei poveri, «gli slums degli affamati e dei disperati». Il testo che pubblichiamo è la prima parte del saggio di apertura del libro «Gesù di Nazaret. Scritti di cristologia», secondo tomo del volume VI della Opera omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, che verrà pubblicato a novembre in traduzione italiana dalla Libreria Editrice Vaticana. Scritto nel 1973, il testo è uscito nel 2014 in Germania presso la casa editrice Herder, che sta pubblicando le Gesammelte Schriften di Ratzinger, a cura del cardinale Gerhard Ludwig Müller. Una riflessione vertiginosa in risposta al grido degli ultimi: «Dove sei, Dio, se hai potuto creare un mondo così?»

Nelle grandi composizioni sulla Passione di Johann Sebastian Bach, che ogni anno ascoltiamo durante la Settimana Santa con emozione sempre nuova, il terribile avvenimento del Venerdì Santo è immerso in una trasfigurata e trasfigurante bellezza. Certo, queste Passioni non parlano della Risurrezione – si concludono con la sepoltura di Gesù -, ma nella loro limpida solennità vivono della certezza del giorno di Pasqua, della certezza della speranza che non svanisce nemmeno nella notte della morte. Oggi, questa fiduciosa serenità della fede – che non ha nemmeno bisogno di parlare di Risurrezione, perché è in essa che la fede vive e pensa – ci è diventata stranamente estranea. Nella Passione del compositore polacco Krzysztof Penderecki è scomparsa la serenità quieta di una comunità di fedeli che quotidianamente vive della Pasqua. Al suo posto risuona il grido straziante dei perseguitati di Auschwitz, il cinismo, il brutale tono di comando dei signori di quell’inferno, le urla zelanti dei gregari che vogliono salvarsi così dall’orrore, il sibilo dei colpi di frusta dell’onnipresente e anonimo potere delle tenebre, il gemito disperato dei moribondi.

È il Venerdì Santo del XX secolo. Il volto dell’uomo è schernito, ricoperto di sputi, percosso dall’uomo stesso. «Il capo coperto di sangue e di ferite, pieno di dolore e di scherno» ci guarda dalle camere a gas di Auschwitz. Ci guarda dai villaggi devastati dalla guerra e dai volti dei bambini stremati nel Vietnam; dalle baraccopoli in India, in Africa e in America Latina; dai campi di concentramento del mondo comunista che Alexandr Solzhenitsyn ci ha messo davanti agli occhi con impressionante vivezza. E ci guarda con un realismo che sbeffeggia qualsiasi trasfigurazione estetica. Se avessero avuto ragione Kant e Hegel, l’illuminismo che avanzava avrebbe dovuto rendere l’uomo sempre più libero, sempre più ragionevole, sempre più giusto. Dalle profondità del suo essere salgono invece sempre più quei demoni che con tanto zelo avevamo giudicato morti, e insegnano all’uomo ad avere paura del suo potere e insieme della sua impotenza: del suo potere di distruzione, della sua impotenza a trovare se stesso e a dominare la sua disumanità.

Il momento più tremendo del racconto della Passione è certo quello in cui, al culmine della sofferenza sulla croce, Gesù grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sono le parole del Salmo con le quali Israele sofferente, maltrattato e deriso a causa della sua fede, grida in faccia a Dio il suo bisogno d’aiuto. Ma questo grido di preghiera di un popolo, la cui elezione e comunione con Dio sembra essere diventata addirittura una maledizione, acquista tutta la sua tremenda grandezza solo sulle labbra di colui che è proprio la vicinanza redentrice di Dio fra gli uomini. Se sa di essere stato abbandonato da Dio lui, allora dove è ancora possibile trovare Dio? Non è forse questa la vera eclissi solare della storia in cui si spegne la luce del mondo? Oggi, tuttavia, l’eco di quel grido risuona nelle nostre orecchie in mille modi: dall’inferno dei campi di concentramento, dai campi di battaglia dei guerriglieri, dagli slums degli affamati e dei disperati: «Dove sei Dio, se hai potuto creare un mondo così, se permetti impassibile che a patire le sofferenze più terribili siano spesso proprio le più innocenti tra le tue creature, come agnelli condotti al macello, muti, senza poter aprire bocca?».

L’antica domanda di Giobbe si è acuita come mai prima d’ora. A volte prende un tono piuttosto arrogante e lascia trasparire una malvagia soddisfazione. Così, ad esempio, quando alcuni giornali studenteschi ripetono con supponenza quel che in precedenza era stato inculcato loro, e cioè che in un mondo che ha dovuto imparare i nomi di Auschwitz e del Vietnam non è più possibile parlare sul serio di un Dio «buono». In ogni caso, il tono falso che troppo spesso l’accompagna, nulla toglie all’autenticità della domanda: nell’attuale momento storico è come se tutti noi fossimo posti letteralmente in quel punto della passione di Gesù in cui essa diviene grido d’aiuto al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Cosa si può dire? Si tratta al fondo di una domanda che non è possibile dominare con parole e argomentazioni, perché arriva a una profondità tale che la pura razionalità e la parola che ne deriva non sono in grado di misurare: il fallimento degli amici di Giobbe è l’ineludibile destino di tutti quelli che pensano di poter risolvere la questione, in modo positivo o negativo che sia, con abili ragionamenti e parole. È una domanda che può solo essere vissuta, patita: con colui e presso colui che sino alla fine l’ha patita per tutti noi e con tutti noi. Un superbo credere di poter risolvere la questione – vuoi nel senso di quei giornali studenteschi, vuoi nel senso dell’apologetica teologica – finisce per non centrare l’essenziale. Al massimo si può offrire qualche spunto.

Va notato innanzitutto che Gesù non constata l’assenza di Dio, ma la trasforma in preghiera. Se vogliamo porre il Venerdì Santo del ventesimo secolo dentro il Venerdì Santo di Gesù, dobbiamo far coincidere il grido d’aiuto di questo secolo con quello rivolto al Padre, trasformarlo in preghiera al Dio comunque vicino. Si potrebbe subito proseguire la riflessione e dire: è veramente possibile pregare con cuore sincero quando nulla si è fatto per lavare il sangue degli oppressi e per asciugarne le lacrime? Il gesto della Veronica non è il minimo che debba accadere perché sia lecito iniziare a parlare di preghiera? Ma soprattutto: si può pregare solo con le labbra o non è sempre necessario invece tutto l’uomo?

Limitiamoci a questo accenno, per considerare un secondo aspetto: Gesù ha veramente preso parte alla sofferenza dei condannati, mentre in genere noi, la maggior parte di noi, siamo solo spettatori più o meno partecipi delle atrocità di questo secolo. A questo si collega un’osservazione di un certo peso. È curioso infatti che l’affermazione che non può esserci più alcun Dio, che Dio dunque è totalmente scomparso, si levi con più insistenza dagli spettatori dell’orrore, da quelli che assistono a tali mostruosità dalle comode poltrone del proprio benessere e credono di pagare il loro tributo e tenerle lontane da sé dicendo: «Se accadono cose così, allora Dio non c’è». Per coloro che invece in quelle atrocità sono immersi, l’effetto non di rado è opposto: proprio lì riconoscono Dio. Ancora oggi, in questo mondo, le preghiere si innalzano dalle fornaci ardenti degli arsi vivi, non dagli spettatori dell’orrore. Non è un caso che proprio quel popolo che nella storia più è stato condannato alla sofferenza, che più è stato colpito e ridotto in miseria – e non solo negli anni 1940-1945, ad «Auschwitz» -, sia divenuto il popolo della Rivelazione, il popolo che ha riconosciuto Dio e lo ha manifestato al mondo. E non è un caso che l’uomo più colpito, che l’uomo che più ha sofferto – Gesù di Nazaret – sia il Rivelatore, anzi: era ed è la Rivelazione. Non è un caso che la fede in Dio parta da un capo ricoperto di sangue e ferite, da un Crocifisso; e che invece l’ateismo abbia per padre Epicuro, il mondo dello spettatore sazio.

D’improvviso balena l’inquietante, minacciosa serietà di quelle parole di Gesù che abbiamo spesso accantonato perché le ritenevamo sconvenienti: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Ricco vuol dire uno che «sta bene», uno cioè che è sazio di benessere materiale e conosce la sofferenza solo dalla televisione. Proprio di Venerdì Santo non vogliamo prendere alla leggera queste parole che ci interpellano ammonitrici. Di sicuro non vogliamo e non dobbiamo procurarci dolore e sofferenza da noi stessi. È Dio che infligge il Venerdì Santo, quando e come vuole. Ma dobbiamo imparare sempre più – e non solo a livello teorico, ma anche nella pratica della nostra vita – che tutto il buono è un prestito che viene da Lui e ne dovremo rispondere davanti a Lui. E dobbiamo imparare – ancora una volta, non solo a livello teorico, ma nel modo di pensare e di agire – che accanto alla presenza reale di Gesù nella Chiesa e nel sacramento, esiste quell’altra presenza reale di Gesù nei più piccoli, nei calpestati di questo mondo, negli ultimi, nei quali egli vuole essere trovato da noi. E, anno dopo anno, il Venerdì Santo ci esorta in modo decisivo ad accogliere questo nuovamente in noi.

(Traduzione di Pierluca Azzaro, ©copyright Libreria Editrice Vaticana 2015)

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Omelia del Santo Padre a Piazza del Plebiscito (Napoli)

Posté par atempodiblog le 22 mars 2015

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Il passo del Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta una scena ambientata nel tempio di Gerusalemme, al culmine della festa ebraica delle capanne, dopo che Gesù ha proclamato una grande profezia rivelandosi come sorgente dell’“acqua viva”, cioè lo Spirito Santo (cfr Gv 7,37-39). Allora la gente, molto impressionata, si mette a discutere su di Lui. Anche oggi la gente discute su di Lui. Alcuni sono entusiasti e dicono che «è davvero il profeta» (v. 40). Qualcuno addirittura afferma: «Costui è il Cristo!» (v. 41). Ma altri si oppongono perché – dicono – il Messia non viene dalla Galilea, ma dalla stirpe di Davide, da Betlemme; e così, senza saperlo, confermano proprio l’identità di Gesù.

I capi dei sacerdoti avevano mandato delle guardie per arrestarlo, come si fa nelle dittature, ma queste ritornano a mani vuote e dicono: «Mai un uomo ha parlato così!» (v. 45). Ecco la voce della verità, che risuona in quegli uomini semplici.

La parola del Signore, ieri come oggi, provoca sempre una divisione: la parola di Dio divide, sempre! Provoca una divisione tra chi la accoglie e chi la rifiuta. A volte un contrasto interiore si accende anche nel nostro cuore; questo accade quando avvertiamo il fascino, la bellezza e la verità delle parole di Gesù, ma nello stesso tempo le respingiamo perché ci mettono in discussione, ci mettono in difficoltà e ci costa troppo osservarle.

Oggi sono venuto a Napoli per proclamare insieme a voi: Gesù è il Signore! Ma non voglio dirlo solo io: voglio sentirlo da voi, da tutti, adesso, tutti insieme “Gesù è il Signore!”, un’altra volta “Gesù è il Signore!” Nessuno parla come Lui! Lui solo ha parole di misericordia che possono guarire le ferite del nostro cuore. Lui solo ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68).

La parola di Cristo è potente: non ha la potenza del mondo, ma quella di Dio, che è forte nell’umiltà, anche nella debolezza. La sua potenza è quella dell’amore: questa è la potenza della parola di Dio! Un amore che non conosce confini, un amore che ci fa amare gli altri prima di noi stessi. La parola di Gesù, il santo Vangelo, insegna che i veri beati sono i poveri in spirito, i non violenti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia. Questa è la forza che cambia il mondo! Questa è la parola che dà forza ed è capace di cambiare il mondo. Non c’è un’altra strada per cambiare il mondo.

La parola di Cristo vuole raggiungere tutti, in particolare quanti vivono nelle periferie dell’esistenza, perché trovino in Lui il centro della loro vita e la sorgente della speranza. E noi, che abbiamo avuto la grazia di ricevere questa Parola di Vita – è una grazia ricevere la parola di Dio! – siamo chiamati ad andare, a uscire dai nostri recinti e, con ardore di cuore, portare a tutti la misericordia, la tenerezza, l’amicizia di Dio: questo è un lavoro che tocca a tutti, ma in modo speciale a voi sacerdoti. Portare misericordia, portare perdono, portare pace, portare gioia nei Sacramenti e nell’ascolto. Che il popolo di Dio possa trovare in voi uomini misericordiosi come Gesù. Nello stesso tempo ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale diventi santuario per chi cerca Dio e casa accogliente per i poveri, gli anziani e quanti si trovano nel bisogno. Andare e accogliere: così pulsa il cuore della madre Chiesa, e di tutti i suoi figli. Vai, accogli! Vai, cerca! Vai, porta amore, misericordia, tenerezza.

Quando i cuori si aprono al Vangelo, il mondo comincia a cambiare e l’umanità risorge! Se accogliamo e viviamo ogni giorno la Parola di Gesù, risorgiamo con Lui.

La Quaresima che stiamo vivendo fa risuonare nella Chiesa questo messaggio, mentre camminiamo verso la Pasqua: in tutto il popolo di Dio si riaccende la speranza di risorgere con Cristo, nostro Salvatore. Che non giunga invano la grazia di questa Pasqua, per il popolo di Dio di questa città! Che la grazia della Risurrezione sia accolta da ognuno di voi, perché Napoli sia piena della speranza di Cristo Signore! La speranza: “Largo alla speranza”, dice il motto di questa mia Visita. Lo dico a tutti, in modo particolare ai giovani: apritevi alla potenza di Gesù Risorto, e porterete frutti di vita nuova in questa città: frutti di condivisione, di riconciliazione, di servizio, di fraternità. Lasciatevi avvolgere, abbracciare dalla sua misericordia, dalla misericordia di Gesù, di quella misericordia che soltanto Gesù ci porta.

Cari napoletani, largo alla speranza e non lasciatevi rubare la speranza! Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Non ti può portare niente! Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente! La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città! E di più: non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano! Ai criminali e a tutti i loro complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: convertitevi all’amore e alla giustizia! Lasciatevi trovare dalla misericordia di Dio! Siate consapevoli che Gesù vi sta cercando per abbracciarvi, per baciarvi, per amarvi di più. Con la grazia di Dio, che perdona tutto e perdona sempre, è possibile ritornare a una vita onesta. Ve lo chiedono anche le lacrime delle madri di Napoli, mescolate con quelle di Maria, la Madre celeste invocata a Piedigrotta e in tante chiese di Napoli. Queste lacrime sciolgano la durezza dei cuori e riconducano tutti sulla via del bene.

Oggi incomincia la primavera e la primavera porta speranza: tempo di speranza. E l’oggi di Napoli è tempo di riscatto per Napoli: questo è il mio augurio e la mia preghiera per una città che ha in sé tante potenzialità spirituali, culturali e umane, e soprattutto tanta capacità di amare. Le autorità, le istituzioni, le varie realtà sociali e i cittadini, tutti insieme e concordi, possono costruire un futuro migliore. E il futuro di Napoli non è ripiegarsi rassegnata su sé stessa: questo non è il vostro futuro! Ma il futuro di Napoli è aprirsi con fiducia al mondo, dare largo alla speranza. Questa città può trovare nella misericordia di Gesù, che fa nuove tutte le cose, la forza per andare avanti con speranza, la forza per tante esistenze, tante famiglie e comunità. Sperare è già resistere al male. Sperare è guardare il mondo con lo sguardo e con il cuore di Dio. Sperare è scommettere sulla misericordia di Dio che è Padre e perdona sempre e perdona tutto.

Dio, fonte della nostra gioia e ragione della nostra speranza, vive nelle nostre città. Dio vive a Napoli! La sua grazia e la sua benedizione sostengano il vostro cammino nella fede, nella carità e nella speranza, i vostri propositi di bene e i vostri progetti di riscatto morale e sociale. Abbiamo tutti insieme proclamato Gesù come il Signore: diciamolo ancora alla fine: “Gesù è il Signore!”, tutti tre volte: “Gesù è il Signore!”. E ca ‘a Maronna v’accumpagne!

Tratto da: La Santa Sede

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Dove comincia Misericordia

Posté par atempodiblog le 3 mars 2015

Lo sguardo del Papa sul limite umano
Dove comincia Misericordia
di Marina Corradi – Avvenire

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«Vado per la strada, passo davanti al carcere: “Eh, questi se lo meritano”, “Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, e anche peggio ancora?”».

Ieri il Papa è tornato su un tema che gli è caro, e che anzi, ha ricordato, è il primo passo per un cammino cristiano: il riconoscersi peccatori, e non solo nelle parole che la domenica, all’inizio della Messa, si possono magari distrattamente ripetere. La saggezza del sapere riconoscere in sé anche il male che non si vede. Come l’invidia, ha esemplificato Francesco; che è in effetti quel male che ci sfiora, almeno, quasi tutti, ma può restare nascosto in fondo al cuore. Non è un reato, certo, l’invidia – anche se può essere all’origine delle peggiore violenza. È un ospite che ci abita, indisturbata, come un virus con cui l’organismo convive.

Le parole del Papa interpellano quelli che mai, dicono, ucciderebbero o ruberebbero; e lavorano onestamente, e pagano rigorosamente le tasse. Quelli che passando, qui a Milano, davanti alle mura grigie di San Vittore, pensano con un sentimento di disprezzo e rivalsa: «A quei delinquenti, ben gli sta». O evocano con nostalgia la pena di morte, o dicono, di un assassino: «Che lo chiudano dentro, e buttino via la chiave». Affermando nella stessa durezza del giudizio la certezza di essere “altri”, del tutto altri uomini, rispetto a “quelli là”.

E anche nella quotidianità di questo Paese, da anni, come è cresciuta l’onda di un’“onestà” innalzata come uno stendardo: che divide “noi”, gli onesti, da loro, sempre “loro”, i ladri. Dove per onestà si intende una fedina penale immacolata. Ma, parlando cristiano, quanto male può avere nel cuore un cittadino modello, che paghi fino all’ultimo le tasse, e non violi una virgola del codice della strada. Quanto male c’è in un uomo che induce una donna a buttare via il bambino che aspetta, in un genitore che non perdona, in un figlio che abbandona i suoi vecchi.
Non sono reati, certo. Niente che ti porti in galera. Ma peccati sì, e quali. E allora passando davanti a San Vittore o a Regina Coeli ognuno, insegna il Papa, dovrebbe farsi cosciente del male che ha in sé. Magari, solo per grazia di Dio nella vita nostra non c’è stato quell’incontro, quell’occasione, quell’attimo che precipitano in una voragine la strada di altri. Per grazia di Dio c’è stata invece una madre, un padre, un amico, a fermarci. A quei segreti scambi che disegnano il nostro destino, per grazia di Dio abbiamo preso il binario giusto. Tutto qui.

Perché il rischio, anche maggiore per i credenti che fin da bambini sono stati rispettosi di ogni precetto morale e continuano a esserlo, è di sentirsi “bravi”. Al modo del fariseo del Vangelo, ringraziano di non essere come quel pubblicano. Ma è un grande male, quello che ci ricorda il Papa in questo inizio di Quaresima: «Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che quei carcerati hanno fatto, e anche peggio ancora?».
Beh, molti di noi no, non lo pensano. Alcuni ne sono addirittura sicuri. E in certi frangenti di cronaca questo sentimento esplode, violento e oscuro: come quando un arresto avviene tra una folla inferocita e festante, tra cui qualcuno grida minacciosamente: «Datelo a noi!», e si respira odore di linciaggio. Oppure quando l’accusata di un omicidio clamoroso, come la madre del bambino Loris, entra in prigione: e dalle celle i detenuti le urlano, come è avvenuto, insulti e auguri di morte. In un coro d’inferno che per un attimo svela la profondità vertiginosa del male degli uomini, che si credono migliori degli altri.

Ma, in quel riconoscersi peccatori (questa parola desueta, e quasi pubblicamente imbarazzante) sta, dice Francesco, una grande speranza: «Quando uno impara ad accusare se stesso, è misericordioso con gli altri». Misteriosamente, nell’uomo che non va fiero di una fasulla probità ed è conscio della sua capacità di male, accade una metamorfosi. Lo sguardo cambia, e si guarda all’altro come guarderemmo a un figlio; e a nessuno si nega una possibilità di conversione. E se una sera al tg dicono che è morto il camorrista detto “’o animale”, 67 omicidi sulla coscienza, può accadere di pensare con sgomento al suo destino. Ma nemmeno della salvezza di Pasquale Barra possiamo disperare – nella certezza del nostro Dio, che è un Dio di misericordia.

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Autocritica

Posté par atempodiblog le 3 mars 2015

“Ciò che inasprisce il mondo non è un eccesso di critica, ma una mancanza di autocritica”.

Gilbert Keith Chesterton

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Papa Francesco ci invita a non giustificarci ma a riconoscere che in ciascuno di noi ci sono radici di peccato da sradicare:

“Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

In questa Quaresima ciascuno può individuare le radici di male cui è più legato.

Quando vedo qualcosa di sbagliato intorno a me, sono pronto ad accusare gli altri, oppure riconosco che anche io ogni giorno devo convertirmi? Penso di combattere il male con la vendetta oppure con il bene, cambiando il mio stile di vita? Attacco i nemici con la calunnia oppure taccio e prego per loro?

Tratto da: Radio Maria Fb

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Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso

Posté par atempodiblog le 2 mars 2015

Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso
E’ facile giudicare gli altri, ma si va avanti nel cammino cristiano solo se si ha la sapienza di accusare se stessi: è quanto ha detto il Papa riprendendo, dopo gli esercizi spirituali, a celebrare la Messa a Santa Marta con i gruppi.
di Sergio Centofanti- Radio Vaticana

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Le letture del giorno sono incentrate sul tema della misericordia. Il Papa, ricordando che “siamo tutti peccatori” – non “in teoria” ma nella realtà – indica “una virtù cristiana, anzi più di una virtù”: “la capacità di accusare se stesso”. E’ il primo passo di chi vuole essere cristiano: “Tutti noi siamo maestri, siamo dottori nel giustificare noi stessi: ‘Ma, io non sono stato, no, non è colpa mia, ma sì, ma non era tanto, eh… Le cose non sono così…’. Tutti abbiamo un alibi spiegativo delle nostre mancanze, dei nostri peccati, e tante volte siamo capaci di fare quella faccia da ‘Ma, io non so’, faccia da ‘Ma io non l’ho fatto, forse sarà un altro’: fare l’innocente. E così non si va avanti nella vita cristiana”.

“E’ più facile accusare gli altri” – osserva il Papa – eppure “accade una cosa un po’ strana” se proviamo a comportarci in modo diverso: “quando noi incominciamo a guardare di quali cose siamo capaci”, all’inizio “ci sentiamo male, sentiamo ribrezzo”, poi questo “ci dà pace e salute”. Per esempio – afferma Papa Francesco – “quando io trovo nel mio cuore un’invidia e so che questa invidia è capace di sparlare dell’altro e ucciderlo moralmente”, questa è la “saggezza di accusare se stesso”. “Se noi non impariamo questo primo passo della vita, mai, mai faremo passi sulla strada della vita cristiana, della vita spirituale”:

“E’ il primo passo, accusare se stesso. Senza dirlo, no? Io e la mia coscienza. Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

Il Papa sottolinea un’altra virtù: vergognarsi davanti a Dio, in una sorta di dialogo in cui noi riconosciamo la vergogna del nostro peccato e la grandezza della misericordia di Dio:

“‘A te, Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono. La vergogna a me e a te la misericordia e il perdono’. Questo dialogo con il Signore ci farà bene di farlo in questa Quaresima: l’accusa di se stessi. Chiediamo misericordia. Nel Vangelo Gesù è chiaro: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso’. Quando uno impara ad accusare se stesso è misericordioso con gli altri: ‘Ma, chi sono io per giudicarlo, se io sono capace di fare cose peggiori?’”.

La frase: “Chi sono io per giudicare l’altro?” – afferma il Papa – obbedisce proprio all’esortazione di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”. Invece, rileva – “come ci piace giudicare gli altri, sparlare di loro!”.

“Che il Signore, in questa Quaresima – conclude il Pontefice – ci dia la grazia di imparare ad accusarci”, nella consapevolezza che siamo  capaci “delle cose più malvagie”, e dire: “Abbi pietà di me, Signore, aiutami a vergognarmi e dammi misericordia, così io potrò essere misericordioso con gli altri”.

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