La Quaresima è l’autunno della vita spirituale

Posté par atempodiblog le 16 février 2021

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La Quaresima è l’autunno della vita spirituale, nel quale si raccolgono i frutti da conservarsi per tutto l’anno: arricchitevi di questi tesori, che nessuna cosa vi può togliere, né guastare. Son solito dire che non faremo mai bene una Quaresima, finché penseremo di farne due; facciamo dunque questa come se fosse l’ultima e la faremo bene: ascoltate le prediche, perché le parole sante sono perle, e di quelle che il vero Oceano d’Oriente (abisso di misericordia infinita) ci provvede. Mettetevene molte al collo, alle orecchie e alle braccia, poiché questi ornamenti non sono proibiti.

San Francesco di Sales. Negli insegnamenti e negli esempi
Diario Sacro estratto dalla sua vita e dalle sue opere per cura delle “Visitandine di Roma”.
Libreria Editrice F. Ferrari

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La fede invitta di Maria

Posté par atempodiblog le 11 avril 2020

La fede invitta di Maria dans Commenti al Vangelo La-piet-di-Michelangelo

Tu hai creduto che era il Figlio di Dio Colui che supplicava Dio di non abbandonarLo. Mentre, spezzata dal dolore, Tu Madre, morta col Figlio, tenevi in grembo il Suo corpo senza vita con lo stesso amore con cui lo tenevi da bambino. Tu sola hai creduto con l’eroismo della fede più grande di quella di Abramo, nella gloria imminente della Resurrezione.

Da dove la sorgente segreta della Tua fede vittoriosa che ha consentito a Dio di diventare uomo, affinché l’uomo fosse partecipe della divina natura?

Come potremo noi, uomini di poca fede, sballottati dalle onde del dubbio e dell’incertezza, in ricerca continua di umane sicurezze, trovare un appoggio sicuro per credere?

La fede invitta di Maria sgorga come acqua trasparente dalle sorgenti inesauribili della sua profondissima umiltà.

Un cuore umile, puro e semplice, crede con la fiducia di un bimbo ad ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Anche la Vergine ha udito il sibilo del serpente infrangere l’altissimo silenzio dell’anima che accoglie e medita la Parola di Verità ma il Suo Cuore neppure per un istante ha distolto lo sguardo dalla divina contemplazione per posarsi sui sinuosi ragionamenti dell’antico e viscido seduttore.

 A noi esseri instabili ma assetati di certezze concedi o Vergine fedele di attingere con le labbra alle sorgenti chiare e fresche della Tua umile fede.

di Padre  Livio Fanzaga – Magnificat. Il poema di Maria, ed. SugarCo

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Novena alla Divina Misericordia (dal 10 al 18 aprile 2020)

Posté par atempodiblog le 10 avril 2020

Novena alla Divina Misericordia (dal 25 marzo al 2 aprile 2016) dans Fede, morale e teologia Ges-confido-in-Te

La Festa della Divina Misericordia, secondo le apparizioni di Gesù a santa Faustina, deve essere preceduta da una novena, che va recitata ogni giorno a partire dal Venerdì Santo per nove giorni consecutivi, fino al sabato precedente la Festa della Misericordia (seconda Domenica di Pasqua, dal 10 al 18 aprile 2020, ndr).

Gesù per due volte espresse il desiderio che la sua confidente, attraverso una preghiera di nove giorni, si preparasse a questa Solennità. La Santa ci ha trasmesso la promessa del Salvatore rivolta a tutti i fedeli e contenuta in queste parole: “Durante questa novena elargirò alle anime grazie di ogni genere”.

Sebbene il tempo tra il Venerdì Santo e la seconda Domenica di Pasqua possegga un particolare privilegio, tuttavia la novena alla Divina Misericordia può essere recitata anche in qualsiasi altro periodo dell’anno. (Radio Maria)

Per recitare la novena cliccare qui Freccia dans Viaggi & Vacanze NOVENA ALLA DIVINA MISERICORDIA

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Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati

Posté par atempodiblog le 9 avril 2020

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati
Nell’Ultima cena Gesù istituisce l’Eucaristia e fonda il sacerdozio. E Papa Francesco nella Messa in Coena Domini ricorda la santità di tanti parroci anonimi e coloro che si sono sacrificati soprattutto in questo periodo di pandemia. A tutti raccomanda: sperimentate il perdono di Dio e perdonate con generosità
di Adriana Masotti – Vatican News

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati dans Commenti al Vangelo Santo-Padre

Un Giovedì Santo davvero particolare quello di quest’anno a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia che ha stravolto in poco tempo la vita di tutti. Anche i giorni del Triduo Pasquale, al centro della calendario liturgico, i più importanti per i cristiani, vedranno le chiese aperte ma le celebrazioni senza la presenza dei fedeli. Sarà così anche per le celebrazioni liturgiche di Papa Francesco. Il Papa non ha presieduto stamattina la Messa del Crisma con i sacerdoti di Roma, ma alle 18, all’altare della Cattedra in San Pietro, celebra la Messa in Coena Domini, che fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia.

La Basilica solo in apparenza vuota
La Basilica vaticana è vuota, con il Papa che indossa i paramenti di colore bianco, solo poche persone: i lettori, i cantori, alcuni sacerdoti e alcune religiose, un vescovo e il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica, tutti a distanza di sicurezza. Omesso il tradizionale rito della lavanda dei piedi che gli anni scorsi vedevano Francesco ripetere il gesto di Gesù a carcerati, poveri e rifugiati. L’ultima volta lo aveva fatto nella Casa Circondariale di Velletri o, nel 2018, in quella romana di Regina Coeli. Eppure, tramite i media sono probabilmente molto più numerosi del solito coloro che oggi partecipano alla Messa.

Gesù amò i suoi fino alla fine
Ad aprire la celebrazione è il canto del Gloria. La prima Lettura è tratta dal Libro dell’Esodo e riferisce le prescrizioni date dal Signore al suo popolo, per mezzo di Mosè e Aronne, per la cena pasquale. La seconda è un brano della seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi che ai fedeli ricorda: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga”. La pagina del Vangelo secondo Giovanni è la descrizione dell’Ultima cena di Gesù con i suoi che, scrive, “amò fino alla fine”.

Eucaristia, servizio, unzione
Il Papa tiene l’omelia a braccio. Sottolinea tre parole che sono tre realtà al centro del Giovedì Santo: l’Eucaristia, il servizio, l’unzione. Il Signore vuole rimanere con noi, nell’Eucaristia, afferma Francesco, e noi diventiamo il suo tabernacolo. Gesù, continua, arriva a dire che “se non mangiamo il suo corpo e non beviamo il suo sangue, non entreremo nel Regno dei Cieli”. Ma per entrare nel Regno dei Cieli è necessaria anche la dimensione del servizio e Francesco prosegue:

Servire, sì, tutti. Ma il Signore, in quello scambio di parole che ha avuto con Pietro, gli fa capire che per entrare nel Regno dei Cieli dobbiamo lasciare che il Signore ci serva, che sia il Servo di Dio servo di noi. E questo è difficile da capire.

La grazia del sacerdozio
E poi il sacerdozio: il Papa dice che oggi desidera essere vicino a tutti i sacerdoti. Tutti dal primo all’ultimo, dice, siamo unti dal Signore, unti per celebrare l’Eucaristia e per servire. E se non è stato possibile oggi celebrare la Messa crismale con i sacerdoti, in questa di stasera il Papa vuole ricordare i sacerdoti, specie quelli che offrono la vita per il Signore, e che si fanno servitori degli altri. Ricorda le molte decine di sacerdoti che sono morti in Italia a causa del Covid-19, prestando servizio agli ammalati, assieme ai medici e al personale sanitario. “sono i Santi della porta accanto”, capaci di dare la vita. E poi ci sono i sacerdoti che prestano servizio nelle carceri o quelli che vanno lontano per portare il Vangelo e muoiono lì, quindi e prosegue:

Diceva un vescovo che la prima cosa che lui faceva, quando arrivava in questi posti di missione, era andare al cimitero e mettere sulla tomba dei sacerdoti che hanno lasciato la vita lì, giovani, per la peste del posto: non erano preparati, non avevano gli anticorpi, loro; nessuno ne conosce il nome.

Porto all’altare con me tutti i sacerdoti
Tanti i sacerdoti anonimi, i parroci di campagna o nei paesini di montagna, sacerdoti che conoscono la gente. “Oggi vi porto nel mio cuore e vi porto all’altare”, afferma Papa Francesco. E poi ci sono i sacerdoti calunniati che per strada vengono insultati:

Tante volte succede oggi, non possono andare in strada perché dicono loro cose brutte in riferimento al dramma che abbiamo vissuto con la scoperta dei sacerdoti che hanno fatto cose brutte.

Chiedere perdono e perdonare
Cita poi i sacerdoti, i vescovi e lui stesso “che non si dimenticano di chiedere perdono” perché “tutti siamo peccatori”.  E poi i sacerdoti in crisi, nell’oscurità. A tutti raccomanda solo una cosa: “non siate testardi come Pietro. Lasciatevi lavare i piedi. Il Signore è il vostro servo, Lui è vicino a voi per darvi la forza, per lavarvi i piedi”. Dall’essere perdonati a perdonare il peccato degli altri. Papa Francesco raccomanda un “cuore grande di generosità nel perdono” sull’esempio di Cristo.

Lì c’è il perdono di tutti. Siate coraggiosi. Anche nel rischiare nel perdonare, per consolare. E se non potete dare un perdono sacramentale in quel momento, almeno date la consolazione di un fratello che accompagna e lascia la porta aperta perché torni.

Il Papa conclude ringraziando il Signore per il sacerdozio e per i sacerdoti e dice infine: “Gesù vi vuole bene. Soltanto chiede che voi vi lasciate lavare i piedi”.

La preghiera al Signore perché vinca il male
Al momento della preghiera dei fedeli un diacono presenta cinque intenzioni. Si prega per la Chiesa perché “annunci a ogni uomo che solo in te c’è salvezza”; la seconda supplica il Signore di sostenere “le sofferenze dei popoli” e perché “i governanti cerchino il vero bene e le persone ritrovino speranza e pace ». La terza è per i sacerdoti perché siano “un riflesso vivo del sacrificio che celebrano e servano i fratelli con generosa dedizione”. Nella quarta si prega per i giovani, perché il Signore tocchi il loro cuore e loro lo seguano “sulla via della croce”, scoprendo “che solo in te c’è libertà, gioia e vita piena”. Infine si chiede a Dio di consolare l’umanità afflitta “con la certezza della tua vittoria sul male: guarisci i malati, consola i poveri e tutti libera da epidemie, violenze ed egoismi”. Una preghiera quanto mai attuale in mezzo alla ‘tempesta’ in cui stiamo vivendo.

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L’ora santa: Le parole di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque

Posté par atempodiblog le 9 avril 2020

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La potenza dei simboli

Posté par atempodiblog le 7 avril 2020

La potenza dei simboli
Non è indispensabile credere per capire perché, di fronte alla forza della natura maligna, a una catastrofe, a un’epidemia, gli esseri umani di tutti i tempi si siano sempre raccolti intorno a un rito religioso
di Antonio Polito – Corriere della Sera

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Ha suscitato scandalo la proposta di Salvini di riaprire le chiese a Pasqua. Non altrettanto scandalo aveva suscitato l’idea di Renzi di riaprire le librerie, né quella della Confindustria di tenere aperte le imprese. Il leader della Lega mescola certo con troppa superficialità il profano della politica con il sacro della preghiera. E le esigenze di distanziamento sociale rendono evidentemente impossibile ciò che chiede. Ma le reazioni che ha ricevuto, quasi sdegnate, fanno riflettere. La paradossale verità è che oggi cultura e industria ci appaiono strumenti di rinascita e riscatto più idonei della religione. Il processo di secolarizzazione, anche nel Paese più cattolico d’Europa, ha ormai espunto la fede dal dibattito pubblico, come se fosse un sentimento privato, rispettato sì, ma in definitiva inutile al corpo sociale.

Invece il sacro è sempre stato un formidabile strumento di tenuta e coesione delle società umane, e forse è addirittura nato per questo scopo. Émile Durkheim, il fondatore della sociologia, definiva la religione «una cosa eminentemente sociale», il modo con cui le comunità degli uomini, attraverso credenze e riti, costruivano la propria rappresentazione collettiva.

Non è dunque neanche indispensabile credere per capire perché, di fronte alla forza della natura maligna, a una catastrofe, a un’epidemia, gli esseri umani di tutti i tempi si siano sempre raccolti intorno a un rito religioso, in preda al timore di Dio e sperando nel suo aiuto. Il caso, o forse la Provvidenza, ci mettono oggi proprio davanti agli occhi la potente forza simbolica del sacro. La settimana santa e i suoi riti accompagnano infatti con una singolare corrispondenza cronologica le vicende della pandemia. La Quaresima era cominciata insieme con la quarantena: il governo chiuse Codogno tre giorni prima del Mercoledì delle Ceneri. Possiamo sperare allora che la fine di questo periodo di penitenza annunci anche l’inizio della fine della nostra Passione, e che si apra la settimana decisiva per la discesa della famigerata curva? E si può immaginare una metafora più calzante della Resurrezione per il nostro disperato bisogno di un nuovo inizio? Prima ancora di Cristo, ci pensavano del resto le feste pagane a celebrare, a questo punto dell’anno, il rito primaverile della rinascita della terra; e la Pasqua ebraica ricorda anch’essa una liberazione: quella del popolo di Dio dalla prigionia in Egitto.

I miti e i riti servono agli uomini. Anche ai contemporanei, di solito così sicuri di sé ma oggi all’improvviso sconvolti dalla scoperta di non essere invincibili, di dover convivere sulla Terra con specie molto più antiche ed efficienti nel combattere la battaglia per la sopravvivenza, come i virus. Dunque teniamo pure le chiese chiuse, se non si può prendere la comunione con la mascherina e scambiarsi il segno della pace durante la messa. Ma ricordiamo anche che questa è forse la prima volta dall’editto di Costantino che in Italia si celebrerà la Pasqua a porte chiuse. Seguiremo la Via Crucis in streaming, invece che nelle mille processioni popolari del Venerdì Santo. Pregheremo magari «in bagno o in cucina», come ci suggerisce Fiorello. Ma ci basta sentire ogni giorno il suono delle campane, di nuovo riconoscibile nel silenzio assordante delle nostre città, per capire che non sarà la stessa cosa, perché «ecclesia» vuol dire comunità.

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Sabato Santo: preghiera in diretta social e tv davanti alla Sindone

Posté par atempodiblog le 4 avril 2020

Sabato Santo: preghiera in diretta social e tv davanti alla Sindone
L’annuncio in diretta streaming dall’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, monsignor Cesare Nosiglia che presiederà la liturgia. Nella nostra intervista il presule spiega: “sarà molto di più di un’ostensione, staremo in silenzio con il Signore
di Gabriella Ceraso – Vatican News

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Laddove il sacro Telo è custodito, nella cappella della Cattedrale di Torino, visitata dal Papa nel giugno del 2015, Sabato Santo alle 17, l’Arcivesco di Torino vescovo di Susa, monsignor Cesare Nosiglia, guiderà una liturgia di preghiera e contemplazione, trasmessa sia in diretta televisiva sia sui canali e le piattaforme social. Al termine della diretta tv, sui social il dialogo e la riflessione continueranno con l’intervento di esperti e voci di “testimoni” del momento che stiamo vivendo.

“Cari amici sparsi in tutto il mondo, vi attendo sabato per elevare a Dio attraverso la contemplazione della Sindone una corale preghiera insieme al suo figlio Gesù nostro fratello e salvatore. Sì, la Sindone lo ripete al nostro cuore sempre: più forte è l’amore”. Così monsignor Nosiglia nell’annuncio fatto oggi in diretta streaming, in cui, ha precisato di aver raccolto le migliaia di richieste a lui giunte da persone di ogni fascia di età, di poter pregare davanti alla Sindone per “impetrare da Cristo morto e risorto – che il Sacro Telo ci presenta in un modo così vero e concreto – la grazia di vincere il male come ha fatto lui, confidando nella bontà e misericordia di Dio”.

La passione e la morte di Gesù, per amore
“Grazie alla televisione e ai social – ha detto il presule – questo tempo di contemplazione renderà disponibile a tutti, nel mondo intero, l’immagine del Sacro Telo, che ci ricorda la passione e morte del Signore, ma che apre anche il nostro cuore alla fede nella sua risurrezione.

L’annuncio pasquale che la Sindone ci porta a vivere è “Più forte è l’amore » e questo – ha sottolineato ancora monsignor Nosiglia – ci riempie il cuore di riconoscenza e di fede. “Sì, l’amore con cui Gesù ci ha donato la sua vita e che celebriamo durante la Settimana Santa è più forte di ogni sofferenza, di ogni malattia, di ogni contagio, di ogni prova e scoraggiamento. Niente e nessuno potrà mai separarci da questo amore, perché esso è fedele per sempre e ci unisce a lui con un vincolo indissolubile.

Avere fiducia e speranza
Il ricordo infine di quanto Papa Francesco ha scritto nel suo messaggio per l’ostensione del 2013 cioè che nella Sindone “è lui che ci guarda per farci comprendere quale grande amore ha avuto per noi, liberandoci dal peccato e dalla morte invitandoci ad avere fiducia, a “non perdere la speranza, la forza dell’amore di Dio e del Risorto vince tutto.

Molto più che un’ostensione, “staremo con Gesù
Nell’intervista rilasciata a Luca Collodi, il presule, subito dopo il suo annuncio, precisa che la Liturgia in programma sarà un ringraziamento a Gesù per il dono della Sua vita e anche una richiesta di aiuto per quanto viviamo tragicamente. Emblematica – spiega – la scelta del Sabato Santo perchè la Sindone rappresenta anche quella speciale giornata di silenzio e meditazione sul mistero della morte e in attesa delle resurrezione. “Vogliamo – dice – introdurci così, già nella veglia pasquale.

Nella seconda parte del collegamento dalla Cappella torinese, sabato, si potrà assistere al dibattito tra esperti: il presule spiega, nella nostra intervista, che sarà lasciato spazio a chi vive in prima persona il dramma attuale e non solo nella difficoltà ma anche nella dimensione della speranza e della fede: voci di medici e operatori pastorali, famiglie, anziani e tanti messaggi di solidarietà.

Sarà dunque una sorta di specile ostensione? In realtà conclude il presule sarà “molto meglio in quanto la Sindone la potremo vedere da vicino e quelle immagini “andranno nel cuore e nelle tristezze di tanta gente che ci seguirà. Sarà uno stare col Signore nel giorno in cui attendiamo la sua Resurrezizone.

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Comastri: Giovanni Paolo II trasformò la sua croce in amore

Posté par atempodiblog le 2 avril 2020

Comastri: Giovanni Paolo II trasformò la sua croce in amore
Intervista con il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, sulla testimonianza di San Giovanni Paolo II, nel 15.mo della morte, il 2 aprile del 2005
di Alessandro Gisotti – Vatican News

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Sono passati 15 anni dalla morte di Karol Wojtyla, come ricordato da Papa Francesco all’udienza generale di oggi. Indimenticabili i giorni che segnarono il passaggio alla Casa del Padre di San Giovanni Paolo II, dopo una lunga malattia vissuta con una testimonianza cristiana che attrasse non solo i credenti ma anche persone lontane dalla Chiesa. Proprio sull’insegnamento che il Papa polacco può darci oggi, in un momento di grande sofferenza globale a causa della pandemia, si sofferma il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano, in questa intervista con i media vaticani.

Cardinale Angelo Comastri, il 2 aprile di 15 anni fa, dopo una lunga malattia vissuta offrendo una straordinaria testimonianza, moriva San Giovanni Paolo II. Cosa ci offre oggi, in un contesto drammatico come quello che stiamo vivendo a causa dell’emergenza Coronavirus, la vita e l’esempio di Karol Wojtyla?
Il dilagare dell’epidemia, la crescita dei contagiati e il bollettino quotidiano del numero dei morti ha trovato impreparata la società e ha messo in luce il vuoto spirituale di molte persone. Il giornalista Indro Montanelli, poco prima di morire, uscì con questa considerazione lucida e onesta: “Se debbo chiudere gli occhi senza sapere da dove vengo e dove vado e che cosa sono venuto a fare su questa terra, valeva la pena che aprissi gli occhi? La mia è una dichiarazione di fallimento! ». Queste parole di Montanelli fotografano la situazione di una parte dell’attuale società. Anche per questo, l’epidemia spaventa: perché in tanta gente si è spenta la fede. Giovanni Paolo II era un credente, un credente convinto, un credente coerente e la fede illuminava il cammino della sua vita.

Nonostante molte sofferenze vissute e la lunga malattia, Karol Wojtyla dava sempre la sensazione a chi lo incontrava di essere un uomo in pace e pieno di gioia…
Giovanni Paolo II sapeva che la vita è una veloce corsa verso la Grande Festa: la Festa dell’abbraccio con Dio, l’Infinitamente Felice. Ma dobbiamo prepararci all’incontro, dobbiamo purificarci per essere pronti all’incontro, dobbiamo togliere le riserve di orgoglio e di egoismo che tutti abbiamo, per poter abbracciare Colui che è Amore senza ombre. Giovanni Paolo II viveva la sofferenza con questo spirito: e, anche nei momenti più duri (come il momento dell’attentato) non ha mai perso la serenità. Perché? Perché aveva sempre davanti la meta della vita. Oggi molti non credono più nella meta della vita. Per questo motivo vivono il dolore con disperazione: perché non vedono al di là del dolore.

Giovanni Paolo II ha sempre trovato nelle esperienze di sofferenza, di dolore, una dimensione di speranza, di speciale occasione di incontro con il Signore. Ricordiamo su tutto la Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”. Una sua riflessione su questo particolare carisma del Papa polacco?
Il dolore indubbiamente fa paura a tutti, ma quando è illuminato dalla fede diventa una potatura dell’egoismo, delle banalità e delle frivolezze. Di più. Noi cristiani viviamo il dolore in comunione con Gesù Crocifisso: aggrappati a Lui, noi riempiamo il dolore con l’Amore e lo trasformiamo in una forza che contesta e vince l’egoismo ancora presente nel mondo. Giovanni Paolo II è stato un vero maestro del dolore redento dall’Amore e trasformato in antidoto dell’egoismo e in redenzione dell’egoismo umano. Ciò è possibile soltanto aprendo il cuore a Gesù: soltanto con Lui si capisce il dolore e si valorizza il dolore.

Quest’anno a causa dell’emergenza attuale, vivremo una Pasqua “inedita” per rispettare le disposizioni di contrasto al contagio. Anche l’ultima Pasqua di Giovanni Paolo II fu segnata dalla malattia, dall’isolamento. Eppure ne abbiamo tutti un ricordo indelebile. Quale insegnamento possiamo trarre da quell’ultima Pasqua di Papa Wojtyla guardando a quello che succede oggi?
Tutti ricordiamo l’ultimo Venerdì Santo di Giovanni Paolo II. Indimenticabile è la scena che abbiamo visto in televisione: il Papa, ormai privo di forze, teneva il Crocifisso con le sue mani e lo guardava con stringente amore e si intuiva che diceva: “Gesù, anch’io sono in croce come te, ma insieme a te aspetto la Risurrezione”. I santi sono vissuti tutti così. Mi limito a ricordare Benedetta Bianchi Porro, divenuta cieca e sorda e paralizzata a motivo di una grave malattia e morta serenamente il 24 gennaio 1964. Poco tempo prima, ebbe la forza di dettare una meravigliosa lettera per un giovane handicappato e disperato di nome Natalino. Ecco cosa uscì dal cuore di Benedetta: “Caro Natalino, ho 26 anni come te. Il letto ormai è la mia dimora. Da alcuni mesi sono anche cieca, ma non sono disperata, perché io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta. Caro Natalino, la vita è una veloce passerella: non costruiamo la casa sulla passerella, ma attraversiamola tenendo stretta la mano di Gesù per arrivare in Patria”. Giovanni Paolo II era su questa lunghezza d’onda.

In questo periodo segnato dalla pandemia, ogni giorno in diretta streaming su Vatican News e sui media che lo ritrasmettono, tantissime persone si uniscono in preghiera alla recita dell’Angelus e del Rosario. Viene naturale pensare a Giovanni Paolo II legato a Maria fin dallo stemma episcopale…
Sì, Giovanni Paolo II aveva voluto sul suo stemma come motto queste parole: Totus Tuus Maria. Perché? La Madonna è stata vicina a Gesù nel momento della Crocifissione e ha creduto che quello era il momento della vittoria di Dio sulla cattiveria umana. Come? Attraverso l’Amore che è la Forza Onnipotente di Dio. E Maria, poco prima che Gesù consumasse il Suo Sacrificio di Amore sulla Croce, ha sentito le parole impegnative che Gesù le ha rivolto: “Donna, ecco tuo figlio!”. Cioè: “Non pensare a me, ma pensa agli altri, aiutali a trasformare il dolore in amore, aiutali a credere che la bontà è la forza che vince la cattiveria”. Maria da quel momento si preoccupa di noi e quando ci lasciamo guidare da lei siamo in mani sicure. Giovanni Paolo II ci credeva, si è fidato di Maria e con Maria ha trasformato il dolore in occasione di amore.

C’è da ultimo un aneddoto, una parola che Giovanni Paolo II le ha rivolto e che a 15 anni di distanza vuole condividere anche come segno di speranza per tante persone nel mondo, che soffrono, che hanno amato e continuano ad amare Karol Wojtyla?
Nel marzo 2003, Giovanni Paolo II m’invitò a predicare gli Esercizi Spirituali alla Curia Romana. Anche lui partecipò a quel corso di Esercizi Spirituali con esemplare raccoglimento. Al termine degli Esercizi, mi ricevette con tanta bontà e mi disse: “Ho pensato di regalarle una croce come la mia”. Io giocai sul doppio senso della parola e dissi a Giovanni Paolo II: “Padre Santo è difficile che mi possa dare una croce come la sua…”. Giovanni Paolo II sorrise e mi disse: “No… la croce è questa”, e mi indicò una croce pettorale che voleva donarmi. E poi aggiunse: “Anche lei avrà la sua croce: la trasformi in amoreQuesta è la saggezza che illumina la vita”. Non ho più dimenticato questo meraviglioso consiglio che mi ha dato un Santo.

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Le tentazioni di Gesù nel deserto

Posté par atempodiblog le 29 février 2020

Le tentazioni di Gesù nel deserto
Tratto da: L’ora di Satana (L’attacco del Male al mondo contemporaneo) di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. Piemme

Le tentazioni di Gesù nel deserto dans Anticristo Cristo

Se Gesù è il nuovo Adamopossiamo dire che nell‘episodio delle tentazioni del deserto è come se la nuova umanità celebrasse in Cristo la prima vittoria sul Demonio, in virtù di quella grazia divina che rende possibile, per ogni uomo che la domandi, il resistere agli assalti satanici. In Gesù tentato vediamo però anche le nostre tentazioni, quasi come se i Vangeli offrissero una sintesi di quelle prove cui l’umanità tutta è sottoposta da Satana quando questi tenta di blandirne il cuore. Vorrei dunque chiederti di esaminarle nello specifico, per metterne in rilievo il valore di esemplarità rispetto alla vita di ogni uomo.

Intanto bisogna tener presente che le tre tentazioni hanno un filo conduttore, poiché Satana le ha ben preparate, le ha elaborate con calma. Non è che Gesù Cristo va nel deserto e lui lo tenta subito: no, aspetta! Per quaranta giorni Gesù prega e ha fame. Il Nemico studia bene l’avversario e i punti deboli e solo dopo parte all’attacco. Il Diavolo sa benissimo che questo è il Messia, e allora cosa fa? Gli confezione su misura tre tentazioni con cui poterlo sviare dal disegno messianico, verso una prospettiva unicamente terrena, svincolata dal messianismo del servo sofferente, sciolta dal disegno del Padre, che vuole che il Figlio, nell’umiltà e nell’obbedienza, porti su di sé i peccati del mondo fino all’annientamento di se stesso. Questa è l’ottica delle tre tentazioni: offrire a Gesù il miraggio di un trionfo politico e umano.

Entrando poi nello specifico delle tre tentazioni, quella del pane è la più importante, a mio parere, perché mette bene in evidenza, nella risposta di Gesù, come non di solo pane viva l’uomo (Lc 4, 4). Mentre tutte le culture passate – di tutti i tempi e di tutte le religioni- hanno sempre ritenuto che l’uomo avesse due dimensioni, essendo dotato di corpo ma anche di anima, e quindi che avesse fame del pane, ma anche di assoluto, di verità, di vita eterna, di immortalità, oggi all’opposto la cultura dominante ci vuole presentare l’uomo in una prospettiva ridotta, monca, come un semplice animale. Destinato dunque a soddisfare solo i desideri della carne e gli istinti più bassi. Certo, vi sono istinti più raffinati –la gloria, il potere, gli onori- ma in ultima analisi sempre di “carne” in senso paolino si tratta (Rm 8, 6-7). La filosofia di vita su cui si fonda questa opzione per la carne è quella secondo cui l’esistenza umana sarebbe limitata all’orizzonte terreno, per cui essendo “tutto qui”, tanto varrebbe godersi la vita. Citando magari a conferma di questa opzione esistenziale proprio una frase della Bibbia: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai” (Gen 3, 19), deformandone il significato – ecco l’opera di Satana l’Ingannatore! – nel senso di ridurre la vita alla sola prospettiva intramondana e dunque al solo desiderio di pane terreno. E così oggi la gente non pensa più alla vita eterna. Ecco perché nei messaggi dati a Medjugorje la Regina della Pace non si stanca di ricordarci che la vita terrena passa e solo l’eternità resta, spronandoci a tendere al Cielo che è l’unica meta della nostra vita! Cioè la Madonna stessa sta lottando contro la tentazione di concepire la vita come un’avventura mondana, dove l’uomo si nutre delle cose di questo mondo e poi sparisce. Ma Gesù ci dice :”Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4), ricordandoci con ciò che l’uomo è stato creato con un’anima immortale, che l’uomo è capace di cibarsi della Verità di Dio, dell’Amore di Dio, e che l’immortalità oltre la morte è il nostro destino. Questa certamente è la più attuale delle tre tentazioni.

La seconda tentazione – quella per cui Satana, condotto Gesù sul pinnacolo del tempio, lo sfida: “Se tu sei il Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi Angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra” (Mt 4,6)- rappresenta un pericolo assai diffuso nel mondo contemporaneo, e apparentemente in contraddizione con la visione intramondana di cui dicevamo prima: è la tentazione di voler sfidare Dio a dare prova di essere veramente Dio, è il desiderio e la pretesa di vedere segni e miracoli. In fondo, mancando oggi la vera fede, non restano che i falsi profeti, i quali faranno prodigi e portenti, dice Gesù, capaci di ingannare molti (Mt 24, 24). Bisogna pensare che dietro a tutto questo c’è Satana, poiché l’Anticristo verrà con potenza diabolica, facendo cose strepitose, e ingannerà molti. La seconda tentazione la vedo dunque come una messa in guardia contro i falsi profeti, anticipando un tema che percorre variamente il Nuovo Testamento, fino all’Apocalisse (Ap 13), laddove si parla della Bestia che sale dal mare, del falso profeta che ha il volto di pecora ma la voce di drago, della falsa religione, dei falsi segni, che sono spettacolari – gèttati giù dal tempio!- ma fini a se stessi. Mentre il miracolo di Gesù esprime la compassione, l’amore, la pietà di Dio, i degni di Satana sono spettacolari, sono quelli che attirano, che incantano e , nella cornice dell’impostura anticristica, si moltiplicano, e la gente crede, si lascia attirare, si fa ingannare,  e questa seconda tentazione ha preso il volto di una delle bestie dell’Apocalisse, che vedremo meglio più avanti. Indubbiamente, per vincere questa tentazione, oggi ci vuole molta attenzione, ci vuole molto discernimento spirituale, bisogna vigilare e pregare, e pregare, e soprattutto non allontanarci mai dal vero profeta, che è il papa, vicario di Cristo.

In merito al discernimento degli spiriti e dei segni, bisogna sempre tener presente un insegnamento che ricaviamo da San Giovanni della Croce, nella Salita al monte Carmelo. Questo dottore conduce un attento esame di tutti i fenomeni mistici e arriva a dire che tutti possono essere imitati da Satana – che, in quanto imitatore è detto anche la “scimmia” di Dio-, tutti tranne uno: l’unico fenomeno mistico che il Diavolo non riesce a imitare sono i tocchi dello Spirito Santo sulla punta dell’anima, sono i tocchi divini, sono i baci d’amore interiori, fenomeno mistico così profondo che il maligno non riesce a riprodurlo. Però ricordiamo che tutti gli altri fenomeni mistici possono essere perfette imitazioni diaboliche. Basta ricordare il proliferare di veggenti che si ebbe a Lourdes dopo le prime: erano almeno cinquanta, e un caso risultò così verosimile che il primo biografo di Lourdes, Jean-Baptiste Estrade, diceva: ma questa qui è ancora migliore di Bernadette! Questo – altri casi che potrei citarvi – solo per dirvi che sono tempi in cui il demonio si dà molto da fare con segni e prodigi che cercano di imitare quelli veri ma che, per lo natura, hanno dentro qualcosa di satanico, che solo con il discernimento si può mascherare.

Parlando di falsi profeti e di falsi segni, ecco che torna ancora la figura di Satana come Ingannatore. A questo punto penso che si possa dunque esaminare la terza tentazione di Gesù nel deserto, quella in cui il Diavolo lo sfida ad adorarlo come Dio, come vertice assoluto di quella menzogna e di quell’inganno che costituiscono le trame più profonde delle tentazioni diaboliche contro il Figlio di Dio e contro l’umanità.

Con la terza tentazione (Lc 4, 5 – 8) si entra decisamente nell’orizzonte dell’inganno anticristico – che la Chiesa Cattolica chiama impostura anticristica – che percorre tutta la storia della Chiesa fino alla cosiddetta “massima impostura anticristica” (CCC 675-677). Quest’ultima consiste nell’abiura della verità, nell’illusione che l’uomo possa salvare se stesso con le sue sole forze, per cui l’uomo indica se stesso come Dio e immagina di salvarsi come Dio, rischio dal quale Benedetto XVI ha messo più volte in guardia fin dall’inizio del suo pontificato. La stessa prospettiva dell’uomo che crede di essere il padrone del mondo è in realtà uno strumento del demonio. Si tratta cioè di un’illusione, con la quale il diavolo inganna l’uomo, lo allontana da Dio, per far sì che adori il “Principe di questo mondo”. Insomma, la terza tentazione denuncia proprio l’illusione anticristica anticipando quella società anticristica in cui l’uomo che vuole fare a meno di Cristo dice: i padroni del mondo siamo noi, Dio non c’è, c’è solo l’uomo; l’uomo capisce, è intelligente, ha la potenza, sa salvare se stesso. Ma così facendo la società che rifiuta Dio si prepara a diventare strumento del Principe delle tenebre e ad adorare il Principe di questo mondo.

Esaminando le tre tentazioni, vorrei ancora precisare come quello delle tentazioni di Gesù nel deserto sia un discorso ‘aperto’ – “dopo aver esaurito ogni tentazione, il Diavolo si allontanò da Lui fino al momento fissato” (Lc 4,13) –, non concluso, poiché Satana avrebbe cercato di tentare Gesù successivamente, in particolare in vista della Passione. Ma intanto Gesù ha conquistato una prima vittoria nel deserto, poiché ha respinto il falso messianismo, confermandosi il servo sofferente di Jahvé, che porta la croce nell’umiltà, nel compimento della volontà del Padre, fino alla Passione che Gesù ha affrontato liberamente e che anzi ha desiderato. E nella Passione Gesù accetta fino in fondo il piano del Padre, che ha voluto che il Figlio fosse il servo sofferente, che porta su di sé tutti i peccati degli uomini, che li espia con il suo amore, che li brucia con il suo amore e con la sua obbedienza. Infondo, tutto il peccato del mondo consiste nel disamore, nel disprezzo, nella disobbedienza e nel rifiuto di Dio. Queste sono le radici di tutti i peccati dell’umanità. Gesù, nel suo cuore, con la sua umiltà, con la sua obbedienza al Padre, con il suo amore per il Padre e per gli uomini, con il suo perdono, ha bruciato tutto il male del mondo, ha bruciato tutti i peccati del mondo.

La redenzione è avvenuta nel cuore di Cristo. Cristo è il braciere in cui tutto il peccato, tutto l’odio, il disamore del mondo sono stati bruciati. Ecco quindi il profondo valore redentivo della vittoria di Cristo sul tentatore nel deserto: vincendo Satana, Gesù ha respinto un messianismo terreno di autoglorificazione, scegliendo e accettando di essere il servo sofferente che dentro di sé, con la sua umiltà e con il suo amore, ha bruciato i peccati del mondo per cui in quel cuore noi tutti troviamo la salvezza.

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Trump: primo discorso delle Ceneri di un presidente Usa

Posté par atempodiblog le 28 février 2020

Trump: primo discorso delle Ceneri di un presidente Usa
Per la prima volta un presidente degli Stati Uniti ha tenuto un discorso il Mercoledì delle Ceneri sulla Quaresima e lo ha fatto, non come atto privato, ma come atto ufficiale. La scelta di Donald J. Trump è di importanza cruciale, non solo perché a capo della prima potenza mondiale, ma perché torna a identificare gli Usa come nazione cristiana
di Marco Respinti – La nuova Bussola Quotidiana

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«E la luce brillò nelle tenebre e/ contro il Verbo il mondo inquieto ancora/ mulinava attorno al centro del Verbo silenzioso». Quando, nel 1930, T.S. Eliot (1888-1965) pubblicò il poema Ash Wednesday, «Mercoledì delle Ceneri», mai più si sarebbe immaginato che una delle rappresentazioni più plastiche e concrete di quei suoi versi lancinanti sarebbe stato il presidente del Paese che il poeta si era lasciato alle spalle, gli Stati Uniti d’America, e tra tutti i presidenti certamente il più improbabile.

Nel mondo cristiano mercoledì 26 è iniziata la Quaresima con il rito dell’imposizione delle ceneri e il capo del Paese più importante del mondo, Donald J. Trump, ha segnato l’evento sul calendario della storia inviando al proprio Paese e al mondo intero un messaggio. Non era mai successo. «Melania e io auguriamo a tutti di vivere il Mercoledì delle Ceneri come un giorno di pace e di preghiera», ha scritto il presidente. «Per i cattolici e per molti altri cristiani, il Mercoledì delle Ceneri segna l’inizio del periodo quaresimale che si conclude con la gioiosa celebrazione della domenica di Pasqua. Oggi milioni di cristiani saranno marcati sulla fronte con il segno della croce. L’imposizione delle ceneri è un invito a vivere il tempo della Quaresima digiunando, pregando e impegnandosi in gesti di carità. Questa tradizione potente e sacra ci ricorda la mortalità che ci accomuna, l’amore di Cristo che salva e la necessità di pentirci accettando più pienamente il Vangelo. Ci uniamo dunque in preghiera a tutti coloro che osservano questo giorno santo e auguriamo loro un cammino quaresimale di preghiera. Durante questo periodo benedetto possiate avvicinarvi di più a Dio nella fede».

Poche parole, essenziali, che parlano dell’essenziale. Dio, la preghiera, la penitenza, la riconciliazione, il trionfo della Risurrezione. Bellissime. Ma non è solo qui la bellezza intrinseca delle parole di Trump. Il supplemento di bellezza nelle parole di Trump è che Trump quelle parole le abbia scritte. Per diversi motivi. Anzitutto perché Trump dà la fede come un dato normale di realtà. Dagli albori del genere umano fino a grosso modo l’Illuminismo l’ateismo non è mai esistito. Al massimo era il passatempo di qualche intellettualoide borghese che per vincere la noia si sforzava di stupire il prossimo. Oggi invece la fede, almeno in Occidente, sembra una cosa da marziani. Trump ribalta dunque tutto, ricominciando daccapo.

Secondo, perché non lo fa da privato, ma da presidente, e del Paese più potente del mondo. Il suo messaggio è stato diramato ufficialmente dalla Casa Bianca come tutti gli atti ufficiali del presidente. Ora, nessuno è tenuto giudicare la fede personale di Trump, ma la sua fede pubblica è un altro dato potente di realtà.

Terzo, la fede pubblica mostrata dal presidente è la fede cristiana. Gli Stati Uniti si sono concepiti come Paese cristiano sin dall’inizio. Possono avere sbagliato, ma questo è quello che hanno sempre pensato di sé. Solo oggi l’identità cristiana del Paese viene messa ideologicamente in dubbio dall’interno. Il gesto di Trump la ribadisce invece con naturalezza, come un dato di fatto.

Quarto, che la fede svolga un ruolo pubblico non viola la laicità e nemmeno la democrazia. Un Paese è serio anzitutto e soprattutto se lo è rispetto alla propria identità culturale e dunque religiosa. L’omogeneità culturale, che si fonda anche sull’identità religiosa, è la condizione per poter rispettare, difendere e accogliere realtà sociali diverse, che non condividano il dono pieno della medesima fede o la fede in quanto tale. Non è infatti il relativismo che garantisce la libertà religiosa, ma l’identità religiosa cosciente, giacché la libertà religiosa non è fare di Dio quel che si vuole bensì avere la libertà necessaria per adorarLo in spirito e verità, confrontandosi da uomini integrali con Lui.

Quinto, non si può non notare l’accento posto con enfasi, dolce, sul cattolicesimo. In un Paese erroneamente percepito come “protestante” pare strano. Ma, a parte il fatto che i cattolici restano la maggioranza relativa del Paese, e che dunque è statistico che il presidente inizi da loro seguitando poi con gli altri cristiani, Trump “subisce” il fascino del cattolicesimo. Certo, diramando il messaggio a nome della moglie e proprio, e anteponendo per giusta cavalleria il nome della consorte al proprio, ed essendo Melania cattolica, si potrebbe scambiare la cosa per mera cortesia. Ma, a parte il fatto che la buona educazione è già metà della santità, come diceva santa Francesca Saverio Cabrini (1850-1917), e che quindi cedere il passo a lady Melania non è cosa piccola, il punto è che il messaggio del Mercoledì delle Ceneri non lo ha mandato Trump da single, ma la famiglia presidenziale, Trump e signora. Il fatto che la signora Trump sia cattolica è importante; non fa di Trump il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, ma neppure riesce a nascondere il flirt che Trump ha, per un verso o per l’altro, con il cattolicesimo. Flirt culturale e pubblico, ma noi che non siamo i suoi confessori a ciò dobbiamo solo attenerci. Il Dio cattolico non è fiscale.

Alla fine di questo mercoledì da leoni, dunque, che resta? Un fatto che nessun potrà mai sbianchettare. La dimensione pubblica della fede torna senza chiedere né permesso né scusa nel mezzo del buio laicista e relativista più nero, ovvero quando «la luce brillò nelle tenebre» perché «il mondo inquieto contro il Verbo» pur sempre ancora «mulinava attorno al centro del Verbo silenzioso» non riuscendo comunque a scrollarselo di dosso. Quando si scriveranno le cronache della nuova Cristianità, diversa, inedita, gli amanuensi del futuro appunteranno certamente alcune date significative della sua protostoria, fra cui Washington, Mercoledì delle Ceneri, A.D. 2019. Trump non ha la minima idea, ma questo fa parte del fascino sublime della cosa.

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La gioia del carnevale spiegata da Joseph Ratzinger

Posté par atempodiblog le 25 février 2020

La gioia del carnevale spiegata da Joseph Ratzinger
In una riflessione pubblicata nel 1974, il Papa emerito spiega perché questa ricorrenza che precede il tempo di Quaresima ha a che fare con l’umanità profonda della fede cristiana. E sottolinea: «Noi cristiani non lottiamo contro, ma a favore dell’allegria»
di Famiglia Cristiana

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«In merito al Carnevale non siamo forse un po’ schizofrenici? Da una parte diciamo molto volentieri che il carnevale ha diritto di cittadinanza proprio in terra cattolica, dall’altra poi evitiamo di considerarlo spiritualmente e teologicamente. Fa dunque parte di quelle cose che cristianamente non si possono accettare, ma che umanamente non si possono impedire? Allora sarebbe lecito chiedersi: in che senso il cristianesimo è veramente umano?». Comincia così la riflessione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger sul Carnevale, il periodo che precede la Quaresima e in qualche modo ha a che fare con il calendario liturgico cattolico. La riflessione è contenuta nel libro Speranza del grano di senape (Queriniana, Brescia 1974).

«L’origine del carnevale», spiega Ratzinger, «è senza dubbio pagana: culto della fecondità ed evocazione di spiriti vanno insieme. La chiesa dovette insorgere contro questa idea e parlare di esorcismo che scaccia i demoni i quali rendono gli uomini violenti e infelici. Ma dopo l’esorcismo emerse qualcosa di nuovo, completamente inaspettato, una serenità sdemonizzata: il carnevale fu messo in relazione con il mercoledì delle ceneri, come tempo di allegria prima del tempo della penitenza, come tempo di una serena autoironia che dice allegramente la verità che può essere molto strettamente congiunta con quella del predicatore della penitenza. In tal modo il carnevale, una volta sdemonizzato, nella linea del predicatore veterotestamentario può insegnarci: “C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere…” (Qo 3,4)».

Per questo, nota il Papa emerito, «anche per il cristiano non è sempre allo stesso modo tempo di penitenza. C’è anche un tempo per ridere. L’esorcismo cristiano ha distrutto le maschere demoniache, facendo scoppiare un riso schietto e aperto. Sappiamo tutti quanto il carnevale sia oggi non raramente lontano da questo clima e in qualche misura sia diventato un affare che sfrutta la tentabilità dell’uomo. Regista è mammona e i suoi alleati. Per questo noi cristiani non lottiamo contro, ma a favore dell’allegria. La lotta contro i demoni e il rallegrarsi con chi è lieto sono strettamente uniti: il cristiano non deve essere schizofrenico, perché la fede cristiana è veramente umana».

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La catechesi e la bellezza di Dio

Posté par atempodiblog le 16 février 2020

La catechesi e la bellezza di Dio
+ Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

La catechesi e la bellezza di Dio dans Fede, morale e teologia Maria-e-il-Bambin-Ges
Madonna del Latte, XVIII sec., Santa Maria Maggiore, Vasto

Messaggio per la Quaresima e la Pasqua 2020

Dedico questo messaggio per la Quaresima 2020 alla catechesi, attività che impegna tutte le nostre comunità parrocchiali e che raggiunge la quasi totalità dei nostri ragazzi, in un contesto profondamente diverso rispetto anche a pochi anni fa, perché tante sono le sfide nuove (basti pensare all’oceano rappresentato dalla “rete” e alla sua presa sui giovani), mentre non pochi tendono ancora a fare catechesi come se nulla fosse cambiato. Ne consegue spesso una difficoltà comunicativa, dovuta anche alla notevole diversità di linguaggi fra chi fa catechesi e i ragazzi cui essa è rivolta, non senza una certa frustrazione per alcuni catechisti. Essere catechisti, però, è bello e può dare tanta gioia, perché vuol dire generare ed educare alla fede molti ragazzi, che potranno ricordare per la vita quanto sapremo loro trasmettere della bellezza di Dio e dell’amicizia con Gesù. Perciò vale la pena riflettere e verificarci insieme su questo compito, arduo e significativo. Risponderò a poche domande essenziali, confidando nello sviluppo e nell’approfondimento che i catechisti potranno fare dei vari punti con l’aiuto dei loro parroci e dell’Ufficio Catechistico Diocesano. Aiuti tutti noi in questo impegno la Vergine Maria, che come Madre tenerissima diede al Figlio, divino bambino, il latte per la crescita umana e quello prezioso della conoscenza delle Scritture…

1. Che cos’è la catechesi? La catechesi è l’azione con cui la Chiesa attua l’iniziazione alla fede e l’educazione ad essa dei battezzati, introducendoli alla celebrazione dei divini misteri e all’esperienza dell’amore di Dio in Gesù Cristo, per illuminare così e interpretare alla luce della rivelazione la loro vita e la storia. Rivolta a chi ha già ricevuto il primo annuncio della fede, la catechesi promuove e alimenta i cammini di iniziazione, crescita e maturazione nella fede. Come il suo stesso nome indica (il verbo greco “katechéin” vuol dire “risuonare”, “far risuonare”) la catechesi fa risuonare la Parola di Dio in coloro che hanno già accolto la fede, hanno cominciato il loro cammino di continua conversione al Signore e intendono approfondirlo. Scopo della catechesi è, dunque, formare i credenti ad ascoltare e vivere il Vangelo di Gesù, per esprimerlo sempre più nella testimonianza della fede, della speranza e della carità. In quanto educazione alla vita in Cristo e nella Chiesa, la catechesi riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza, dall’adesione personale al Dio vivente all’accoglienza sempre più consapevole e fruttuosa dei contenuti della rivelazione. Essa ha la sua fonte nella Parola di Dio, trasmessa attraverso la vita e la voce della Chiesa e suscitatrice della fede, poiché «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Attraverso la Parola di Dio è lo Spirito Santo a insegnare, rendendo possibile l’incontro con il Signore Gesù.
Ci chiediamo allora: l’idea e la pratica della catechesi che ci sforziamo di vivere corrispondono a ciò che la catechesi è chiamata ad essere secondo l’insegnamento della Chiesa?

2. Quali sono le fonti della catechesi? Se è alla Parola di Dio che la catechesi si alimenta, un ruolo peculiare nella fedele trasmissione e interpretazione di essa lo riveste il magistero della Chiesa, sotto la cui guida, «il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte» (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium 12). La liturgia è parimenti una fonte essenziale della catechesi, non soltanto per i contenuti che offre, ma anche e in modo peculiare per l’esperienza del Mistero che fa vivere: «La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti e, soprattutto, nell’Eucaristia che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini» (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae 23). Far prendere coscienza della ricchezza offerta nelle azioni liturgiche è compito della “mistagogia”, che è il cammino catechetico vissuto a partire dall’esperienza degli eventi sacramentali e dell’azione della Grazia divina in essi, per fare propri i doni ricevuti e trarne pieno frutto per la vita. Con la Parola di Dio e il Magistero ecclesiale, possono essere fonte feconda di catechesi gli esempi, le vite e gli scritti dei santi e dei martiri di ogni lingua e popolo. La teologia porta a sua volta un contributo importante al cammino catechetico mediante l’intelligenza critica dei contenuti della fede, approfonditi e ordinati sistematicamente. Anche la “via della bellezza”, attraverso tutte le possibili espressioni artistiche ispirate dalla fede, costituisce un prezioso accesso al dono del Padre fatto nel suo Figlio, “il bel pastore” (Gv 10,11), sotto l’azione dello Spirito Consolatore: si pensi all’incidenza catechetica dell’arte cristiana, sia figurativa, che letteraria o musicale.
Attingiamo i contenuti della nostra catechesi alla Parola di Dio, trasmessa e interpretata dal magistero della Chiesa, sotto la guida dei pastori e con l’aiuto di esperti biblisti, teologi e catecheti? Facciamo tesoro del nugolo di testimoni e di testimonianze che ci viene dalla storia della fede attraverso i secoli?

3. Quali i contenuti centrali della catechesi? Al centro di ogni itinerario di catechesi ci sono la persona e il messaggio di Gesù Cristo, principi unificatori e totalizzanti della vita dei credenti. Si può dire che «lo scopo definitivo della catechesi è di mettere non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della santa Trinità» (Catechesi tradendae 5). La comunione con Cristo è il centro della vita cristiana e, di conseguenza, il centro dell’azione catechistica. La conoscenza credente del mistero di Cristo conduce alla confessione di fede nella Trinità Santa, unico Dio, che è Amore (1 Gv 4, 8.16), nell’unità del Padre, fonte dell’amore, del Figlio, che riceve e ricambia l’amore, e dello Spirito Santo, amore personale, donato e ricevuto nella reciprocità della relazione fra il Padre e il Figlio nella Trinità divina, unico Dio, eterno Amore. Chi per il primo annuncio accoglie Gesù Cristo e lo riconosce come Signore, inizia un processo, aiutato dalla catechesi, teso a sfociare nella confessione esplicita della Trinità. Sull’esempio di quanto ha fatto Gesù al fine di formare i suoi discepoli, la catechesi intende condurre alla conoscenza e alla pratica della fede rivelata in Cristo, insegnando a pregare e a celebrare i divini misteri, formando all’imitazione del Signore, mite e umile di cuore, e iniziando i discepoli alla vita di comunione con Lui e tra loro e alla missione verso l’intera famiglia umana. L’attenzione ai destinatari della catechesi esige poi che la presentazione del messaggio sia adattata alle diverse fasi della loro crescita.
È la nostra catechesi attenta a trasmettere fedelmente tutti i contenuti fondamentali della fede della Chiesa necessari alla salvezza offertaci in Gesù Cristo? È tale da adattarsi alle diverse fasi della crescita dei ragazzi cui ci rivolgiamo?

4. Per una formazione integrale del cristiano. La catechesi può definirsi, dunque, come «una formazione cristiana integrale, aperta a tutte le componenti della vita cristiana. In virtù della sua stessa dinamica interna, la fede esige di essere conosciuta, celebrata, vissuta e fatta preghiera. La catechesi deve coltivare ciascuna di queste dimensioni. La fede, però, si vive nella comunità cristiana e si annuncia nella missione: è una fede condivisa e annunciata. Pure queste dimensioni devono essere favorite dalla catechesi» (Benedetto XVI, Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007, 17). In questa prospettiva si comprende l’importanza del coinvolgimento della famiglia nella catechesi dei figli, in quanto essa è chiamata ad essere per loro la prima scuola di umanità, di socialità, di vita ecclesiale e di fede: una catechesi rivolta alle famiglie per meglio responsabilizzarle nell’educazione cristiana dei figli appare quanto mai necessaria, anche se tante difficoltà si riscontrano nei tentativi di realizzarla adeguatamente. Non sarà mai abbastanza sottolineato il fatto che «l’approfondimento nella conoscenza della fede illumina cristianamente l’esistenza umana, alimenta la vita di fede e abilita altresì a rendere ragione di essa nel mondo. La consegna del simbolo, compendio della Scrittura e della fede della Chiesa, esprime la realizzazione di questo compito» (Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, 15 agosto 1997, 85). È quanto ci sforziamo di vivere nella nostra Chiesa diocesana attraverso l’opera generosa di tanti catechisti, impegnati nella trasmissione della fede: a significare questo sforzo veramente corale celebriamo la giornata della “traditio Symboli”, in cui il Vescovo a nome di tutta la comunità ecclesiale consegna ai cresimandi dell’anno il Simbolo degli Apostoli, confessione di fede “breve e grande”, come la definiva Sant’Agostino.
Ci chiediamo allora: viene vissuta fra noi la catechesi come formazione integrale alla vita cristiana in tutti gli aspetti che essa comporta, a partire dalla professione di fede accolta e confessata nella tradizione apostolica della Chiesa, testimoniata dalla comunità cristiana nel suo insieme?

5. L’impegno del catechista nella comunità tutta evangelizzante. Condurre alla conoscenza della fede non è un’operazione solo mentale: essa implica la testimonianza e il coinvolgimento personale del catechista, perché è solo credendo e amando che fede e carità possono essere trasmesse agli altri, specie a coloro che sono impegnati nel percorso catechetico. Sant’Agostino nel De catechizandis rudibus (Catechesi dei principianti) afferma: “Non c’è invito più grande ad amare che prevenire nell’amore” (4,7: “Nulla maior est ad amorem invitatio quam praevenire amando”). È amando che si insegna ad amare, è credendo e sperando che si comunicano la fede e la speranza. Per questo chi vive il servizio della catechesi deve essere anzitutto una persona dalla fede viva, nutrita di preghiera e attiva nella carità, che parla prima con l’eloquenza della vita e poi con le parole e si forma con impegno e dedizione al compito da svolgere, preparandosi con lo studio e la preghiera agli incontri di catechesi, vivendo un’intensa vita ecclesiale nella fedeltà a Cristo, alla Chiesa e ai suoi pastori, e camminando insieme con tutto il popolo di Dio, nell’apertura al respiro cattolico della comunione ecclesiale. Risulta, poi, di fondamentale importanza che i catechisti abbiano a cuore la comunione fra loro, superando rivalità, tensioni, gelosie, che possono essere sempre in agguato. La responsabilità di tutta la comunità cristiana in ordine alla catechesi va continuamente richiamata ed educata, per far sì che quanto in essa viene appreso dai ragazzi possa essere sperimentato nell’accoglienza di comunità vive nella fede e operose nella testimonianza del Vangelo e della carità vissuta. Anche le diverse aggregazioni ecclesiali devono sentirsi coinvolte in questo compito, in piena sintonia con l’azione pastorale delle parrocchie e della Chiesa diocesana.
Chiedo perciò ai nostri catechisti: vivete la vostra vita di fede in una intensa partecipazione alla vita ecclesiale, in piena comunione col Vescovo e i pastori da lui inviati nelle comunità parrocchiali?

6. La formazione permanente dei catechisti. La formazione permanente è un aiuto prezioso e necessario per chi vuole attuare al meglio questi compiti e deve essere costantemente promossa dal Vescovo, primo catechista della Chiesa diocesana, e dai suoi collaboratori, richiesta e seguita da chi è chiamato al servizio della catechesi. Essa deve coniugare momenti di preghiera e di spiritualità, aggiornamento teologico e pastorale, esperienze di vita ecclesiale sia nell’ambito catechetico, che in quello caritativo e di evangelizzazione. Il catechista si immedesimerà nella figura dei discepoli di Emmaus, che si lasciano illuminare dalla parola del divino Viandante, lo riconoscono alla mensa condivisa con Lui e vanno ad annunciare con entusiasmo che Lui è risorto e che essi lo hanno incontrato. In particolare, è importante che il catechista trasmetta la fede parlando con il cuore, come ci ha ricordato Papa Francesco al numero 144 della Evangelii Gaudium: “Parlare con il cuore implica mantenerlo non solo ardente, ma illuminato dall’integrità della Rivelazione e dal cammino che la Parola di Dio ha percorso nel cuore della Chiesa e del nostro popolo fedele lungo il corso della storia. L’identità cristiana, che è quell’abbraccio battesimale che ci ha dato da piccoli il Padre, ci fa anelare, come figli prodighi – e prediletti in Maria -, all’altro abbraccio, quello del Padre misericordioso che ci attende nella gloria. Far sì che il nostro popolo si senta come in mezzo tra questi due abbracci, è il compito difficile ma bello di chi predica il Vangelo”.
Ci chiediamo allora: viene promossa e attuata fra noi la formazione permanente dei catechisti? Viene partecipata con impegno dai catechisti, consapevoli di quanto essa sia necessaria sia sul piano dei metodi catechetici, che su quello dei contenuti da conoscere e approfondire sempre più e sempre meglio? Facendo catechesi ci sforziamo di parlare con il cuore, con ardore di fede e conoscenza illuminata, vivendo con sincera partecipazione la comunione ecclesiale?

7. Preghiera del catechista. Chiediamo tutto questo al Signore, con le parole del vescovo don Tonino Bello, catecheta irradiante della gioia cristiana, che ci accompagna dal cielo con la sua intercessione:

“Chiamato ad annunciare la tua Parola, aiutami, Signore, a vivere di Te e ad essere strumento della tua pace. Assistimi con la tua luce, perché i ragazzi che la comunità mi ha affidato trovino in me un testimone credibile del Vangelo. Toccami il cuore e rendimi trasparente la vita, perché le parole, quando veicolano la tua, non suonino false sulle mie labbra. Esercita su di me un fascino così potente che io abbia a pensare come te, ad amare la gente come te, a giudicare la storia come te. Concedimi il gaudio di lavorare in comunione e inondami di tristezza ogni volta che, isolandomi dagli altri, pretendo di fare la mia corsa da solo. Infondi in me una grande passione per la verità, e impediscimi di parlare in tuo nome se prima non ti ho consultato con lo studio e non ho tribolato nella ricerca. Salvami dalla presunzione di sapere tutto. Dal rigore di chi non perdona debolezze… Trasportami, dal Tabor della contemplazione, alla pianura dell’impegno quotidiano. E se l’azione inaridirà la mia vita, riconducimi sulla montagna del silenzio. Dalle alture… il mio sguardo missionario arriverà più facilmente agli estremi confini della terra. Affidami a tua Madre. Dammi la gioia di custodire i miei ragazzi come Lei custodì Giovanni. E quando, come Lei, anch’io sarò provato dal martirio, fa’ che ogni tanto possa trovare riposo reclinando il capo sulla sua spalla. Amen!” (Dio scommette su di noi. Pregare con Don Tonino Bello, Paoline, Roma 2019, 162-164).

+ Bruno
Padre Arcivescovo

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Il silenzio del Sabato Santo

Posté par atempodiblog le 31 mars 2018

Il silenzio del Sabato Santo
di Don Corrado Bruno SDB – Rivista Maria Ausiliatrice
Tratto da: Salesiani don Bosco

Il silenzio del Sabato Santo dans Fede, morale e teologia Gerusalemme_Deposizione_Santo_Sepolcro

Il Sabato Santo, incastonato tra il dolore della Croce e la gioia della Pasqua, si colloca al centro della nostra fede. È un giorno denso di sofferenza, di attesa e di speranza; segnato da un profondo silenzio.

I discepoli hanno ancora nel cuore le immagini dolorose della morte di Gesù che segna la fine dei loro sogni messianici. In quel giorno sperimentano il silenzio di Dio, la pesantezza della sua apparente sconfitta, la disperazione dovuta all’assenza del Maestro prigioniero della morte.

C’è stato, a partire dalla cena pasquale, un succedersi vorticoso di fatti imprevedibili, che li ha sorpresi e ammutoliti. Le anticipazioni sulla sua passione più volte fatte da Gesù, i segni rassicuranti e miracolosi che le avevano sostenute, l’amore mostrato nell’Ultima Cena… tutto, in questo giorno, sembra svanito.

I discepoli hanno l’impressione che Dio sia divenuto muto e che non suggerisca più linee interpretative della storia.

A ciò si aggiunge la vergogna d’essere fuggiti e d’aver rinnegato il Signore: si sentono traditori, incapaci di far fronte al presente e senza prospettiva di futuro, non vedono come uscire da una situazione di crollo delle illusioni, mancando ancora quei segni che incominceranno a scuoterli a partire dal mattino della Domenica con il racconto del sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto.

Tuttavia, i discepoli, proprio attraverso la porta del Sabato Santo, ci aiutano a riflettere sul senso del nostro tempo e a leggere il passaggio dei nostri giorni, riconoscendo nel loro disorientamento, le nostalgie e le paure che caratterizzano la nostra vita di credenti nello scenario che s’appresta all’inizio di questo millennio.

La presenza di Maria
Ma questo giorno è anche il Sabato di Maria. Ella lo vive nelle lacrime unite alla forza della fede. Veglia nell’attesa fiduciosa e paziente; sa che le promesse di Dio si avverano per la potenza divina che risuscita i morti. Così Maria con la sua forza d’animo sorregge la fragile speranza dei discepoli amareggiati e delusi.

Con la Madonna del Sabato Santo, anche noi leggeremo la nostra attesa e le nostre speranze, la fede vissuta come continuo e faticoso cammino verso il mistero, per rispondere con verità, speranza ed amore alle domande che ci portiamo dentro: “Chi siamo e dove siamo diretti? Dove va il cristianesimo e la Chiesa che amiamo?”.

Anche nel sabato del tempo in cui ci troviamo è necessario riscoprire l’importanza dell’attesa. L’assenza di speranza è forse la malattia mortale delle coscienze di oggi.

Siamo nel sabato del tempo, è vero, un sabato che indica quasi assenza di direzione, tempo sospeso ma pur sempre un tempo santificato dall’azione di Dio, anche se un Dio silente, che tace e si nasconde.

Verrà quindi per tutti il giorno ottavo, il giorno del ritorno del Signore Gesù, non fuori, ma dentro le contraddizioni della storia. Per questo, dobbiamo lasciarci ispirare dalla Pasqua e riflettere sulla gioia degli apostoli quando incontrano Gesù vivente e risorto: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.

All’indifferenza, alla frustrazione e alla delusione senza attese di futuro, deve opporsi come antidoto soltanto la speranza, non quella fondata su calcoli, ma sull’unico fondamento della promessa di Dio.

La Madonna del Sabato Santo getta luce sul compito che ci aspetta e che ci è reso possibile dal dono dello Spirito del Risorto. Si tratta di irradiare attorno a noi, con gli atti semplici della vita quotidiana, e senza forzature, la gioia interiore e la pace, frutti della consolazione dello Spirito. Perché credere in Cristo, morto e risorto, per noi significa essere testimoni, con la parola e con la vita, della speranza che non muore.

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La benedizione delle famiglie. Se il Signore «bussa» alla porta di casa

Posté par atempodiblog le 27 mars 2018

La benedizione delle famiglie. Se il Signore «bussa» alla porta di casa
La benedizione pasquale delle famiglie resta ancora oggi un “rito” che da Nord a Sud dell’Italia unisce le parrocchie nel tempo di Quaresima
di Giacomo Gambassi – Avvenire

La benedizione delle famiglie. Se il Signore «bussa» alla porta di casa dans Benedizione delle famiglie Benedizione_famiglie

È una tradizione già contemplata dal Concilio di Trento. Ma al tempo stesso può essere considerata un prezioso momento per declinare nel quotidiano l’impegno a essere Chiesa “in uscita”, secondo l’intuizione di papa Francesco. La benedizione pasquale delle famiglie resta ancora oggi un “rito” che da Nord a Sud dell’Italia unisce le parrocchie nel tempo di Quaresima. Come vuole una prassi consolidata dai secoli, i sacerdoti programmano fin da dopo le festività natalizie le “benedizioni”, come vengono popolarmente chiamate, che catalizzeranno gran parte delle loro già fitte agende. Del resto, «uno dei compiti principali della loro azione pastorale» è la «cura di visitare le famiglie per recare l’annuncio di pace di Cristo», spiega il Benedizionale, ossia il libro che contiene le formule di benedizione per le diverse circostanze. E così nelle settimane che portano alla Pasqua il prete passa di casa in casa.

«E tutto ciò va visto come una vera e propria occasione di evangelizzazione delle famiglie accompagnata dalla preghiera», spiega don Gianni Cavagnoli, parroco di Cremona ma anche docente di liturgia all’Istituto “Santa Giustina” di Padova e direttore della Rivista Liturgica. Che subito aggiunge: «Se leggiamo questo capitolo ecclesiale alla luce dell’attuale magistero pontificio, possiamo dire che è espressione di una comunità ecclesiale estroversa che sa andare verso la gente e ha un rinnovato slancio missionario». Guai, però, a parlare di benedizione delle case. «Non è certamente un gesto scaramantico – tiene a precisare il sacerdote –. Ecco perché al centro ci deve essere sempre la persona e l’abitazione va intesa come luogo in cui la famiglia si riunisce. Non per nulla oggi nelle visite il prete raccoglie le confidenze del popolo di Dio che gli è stato affidato e tocca con mano anche le sue povertà: da quelle sociali, come la mancanza di lavoro, a quelle umane, che possono comprendere le crisi dei matrimoni o le incomprensioni nei rapporti con i figli. E, attraverso l’abbraccio che si realizza con questa pratica antica, il pastore se ne fa carico». Altrettanto da evitare è ogni accenno “economico”.

«Se papa Francesco ha ribadito con forza che la Messa non si paga – afferma don Cavagnoli –, è quanto mai necessario cancellare ogni ombra di lucro dalle benedizioni pasquali». Eppure non mancano le difficoltà. «Per due ragioni essenzialmente – sottolinea il liturgista –. La prima è legata al numero di sacerdoti che si sta riducendo. Allora la benedizione pasquale rischia di trasformarsi in una sorta di maratona del parroco, segnata dalla fretta. Inoltre succede che una famiglia possa ricevere la benedizione ogni due o tre anni, come testimoniano i casi di grandi parrocchie di città. In secondo luogo è cambiato il contesto sociale. Si fa fatica a trovare in casa una famiglia al mattino o al pomeriggio. Sicuramente qualcuno non vuole aprire la porta in modo intenzionale, ma in molti casi la porta resta chiusa perché i coniugi o i figli non ci sono a quel determinato orario. Abbiamo famiglie che chiedono un nuovo appuntamento, ma gli intensi ritmi di lavoro che accomunano comunità cittadine e rurali sono una variante ormai imprescindibile».

Il “rito” affonda le sue radici nelle parole di Gesù che si trovano nel Vangelo di Luca: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa”. «La shalombiblica è il complesso di ogni bene. A livello fisico si tratta della salute, del lavoro, del cibo. Dal punto di vista spirituale rimanda all’armonia. Perciò dire pace significa augurare l’unità in una società marcata dalle divisioni e dai contrasti». Poi c’è l’aspersione con l’acqua. «È il richiamo al Battesimo. L’acqua esprime sia il fatto che come famiglia siamo inseriti in Cristo, sia il bisogno di purificazione, cioè di perdono. E il perdono è una dimensione quanto mai importante e da riscoprire anche fra le mura domestiche ». La benedizione delle famiglie avviene per lo più in Quaresima. «Perché viene portato l’annuncio di Pasqua – chiarisce il liturgista –. È come se Cristo Risorto venisse in mezzo a noi, nelle nostre abitazioni, attraverso la persona del sacerdote». Ma può essere un laico a compiere questa prassi? «Certamente, purché lo faccia a nome della comunità. Anzi, è bene che nelle famiglie ci siano anche altre occasioni di benedizione comune come può essere prima di un pasto. E i sussidi per proporle non mancano».

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Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti  “In punta di piedi”, con discrezione e rispetto

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Domenica delle Palme

Posté par atempodiblog le 25 mars 2018

Domenica delle Palme
La Domenica delle Palme segna l’inizio della Settimana Santa, come ben ricorda la monizione che precede la liturgia e introduce la processione: “Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della morte e Resurrezione”.
di Mons. Luigi Negri– La nuova Bussola Quotidiana

Domenica delle Palme dans Commenti al Vangelo maesta-duccio-ingresso-a-gerusalemme

La Domenica delle Palme segna l’inizio della Settimana Santa, come ben ricorda la monizione che precede la liturgia e introduce la processione: “Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della morte e Resurrezione”. Già queste parole ci consentono di entrare nel cuore della celebrazione, che ha come suo punto d’inizio il ricordo dell’ingresso messianico di Cristo a Gerusalemme, il Re di tutti i secoli e Nostro Signore che entra nella Città Santa sul dorso di un’umilissima asina, adempiendo così la profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9, 9).

I rami e i mantelli che la folla stese sulla strada sono il segno di un popolo che acclama il suo re, senza tuttavia immaginare che la regalità di Cristo avrebbe trovato il suo compimento sul Calvario. È la logica di Dio, così sorprendente e scandalosa per il mondo, è il mistero della croce che è già contenuto in quello che per la logica umana ha l’apparenza di un ossimoro: il Re su un asino. Un Re al quale i fanciulli cantano “Osanna al figlio di Davide”, che sconcerta chi detiene una qualche forma di potere terreno (“non senti quello che dicono?”, domandano sdegnati gli increduli scribi e sommi sacerdoti), a cui Gesù ricorda la necessità di farsi piccoli per entrare nel Regno dei Cieli, rievocando il Salmo 8: “Sì, non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?”.

Ecco perché il culmine della liturgia odierna non può che essere la Passione. Tutte le letture mostrano il commovente legame tra l’Antica e la Nuova Alleanza che si realizza in Cristo, il divin Verbo che ama ciascuno di noi e perciò abbassatosi fino a noi per mantenere le promesse di salvezza, ossia la liberazione dal peccato e dalla schiavitù a cui ci assoggetta Satana con i suoi inganni. Solo Cristo è la risposta al male, solo dalla sua croce – che ogni cristiano è chiamato a portare – passano la vittoria sulla morte e la gloria eterna, e non per nulla la liturgia della Parola si apre con un’altra profezia avverata, riprendendo un passo cristologico di Isaia, noto come Terzo canto del Servo: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50, 6). Il Servo cantato da Isaia è la prefigurazione di Gesù sofferente e obbediente in tutto alla volontà del Padre, per espiare i nostri peccati e realizzare il disegno salvifico.

La processione che precede la liturgia è documentata a Gerusalemme fin dal IV secolo, presto estesasi in altri centri della cristianità come la Siria e l’Egitto. Con il tempo la processione accrebbe la sua importanza, arricchendosi di inni sacri e della rituale benedizione delle palme, attestata dal VII secolo. In quest’epoca operò tra gli altri un celebre innografo e teologo come sant’Andrea di Creta (c. 650-740), che sulla Domenica delle Palme scrisse: “Corriamo anche noi insieme a Colui che si affretta verso la Passione e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a Lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti e altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai Suoi piedi le nostre persone. […] Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele”.

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