Dio è il Padre che aspetta i suoi figli
di Don Bruno Ferrero sdb
Tratto da: Don Bosco Torino
Una catechista aveva raccontato ai suoi ragazzi del catechismo la parabola del figliol prodigo, ma si era accorta che dopo un po’ molti si erano distratti. Allora aveva chiesto che gliene scrivessero il riassunto.
Uno di loro scrisse così: « Un uomo aveva due figli, quello più giovane però non ci stava volentieri a casa, e un giorno se ne andò via lontano, portandosi con sé tutti i soldi. Ma ad un certo punto questi soldi finirono e allora il ragazzo decise di tornare a casa perché non aveva neanche da mangiare. Quando stava per arrivare, suo padre lo vide e tutto contento prese un bel bastone e gli corse incontro. Per strada incontrò l’altro figlio, quello buono, che gli chiese dove stava andando così di corsa e con quell’arnese: « È tornato quel disgraziato di tuo fratello; dopo quel che ha fatto si merita un bel po’ di botte! ». « Vuoi che ti aiuti anch’io, papà? ». « Certo », rispose il padre.
E così, in due, lo riempirono di bastonate. Alla fine il padre chiamò un servo e gli disse di uccidere il vitello più grasso e di fare una grande festa, perché s’era finalmente tolto la voglia di suonargliele a quel figlio che gliel’aveva combinata proprio grossa! ».
Il bambino ha dimenticato la conclusione di Gesù e prosegue il racconto con la logica di quello che sente e vede ogni giorno. Perché capire la logica del cuore di Dio è difficile per tutti.
Quando le cose sono difficili da spiegare, Gesù racconta.
Per spiegare il cuore di Dio racconta la parabola che abbiamo ascoltato e che conosciamo così bene: la parabola del padre e dei due figli. Come di solito accade, il problema sono i figli!
Il figlio più giovane parte. Va a stare per conto suo. Se ne va di casa. Ma vuole la sua parte di eredità, che è come dire al padre: « Tu per me sei già morto! »
Il figlio più giovane è un gradasso fanfarone, ma in quanti modi più o meno sottili si preferisce starsene lontani da casa… Quanti « andar via di casa » spirituali!
Andarsene da casa significa ignorare la verità che Dio mi ha « formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra e tessuto nel seno di mia madre ».
Andarsene da casa è lasciare il centro del mio essere dove si può udire la voce che dice: « Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto ».
In qualche modo si diventa sordi alla voce che ci chiama « figlio prediletto ».
Qui la domanda in questione è la seguente: dovendo scegliere tra Dio e questo mondo, chi scelgo?
Quanti sono i figli di Dio che scelgono la via del mondo, lontano da quella casa in cui magari soo cresciuti?
Sotto tutto questo c’è la grande ribellione, il « no » radicale all’amore del Padre, la maledizione non detta: « Ti vorrei morto! » Caro Dio, vorrei tanto che tu non esistessi.
André Comte-Sponville scrive: « Non ho solo ricevuto un’educazione cristiana; ho creduto in Dio, di una fede ardente anche se attraversata dal dubbio, fino a più o meno diciott’anni. Poi l’ho perduta, ed è stato come una liberazione: tutto è divenuto più semplice, più leggero, più aperto, più forte! Come essere uscito dall’infanzia, dai suoi sogni e dalle sue paure, dai suoi sudori freddi e dai suoi languori, come se finalmente facessi il mio ingresso nel mondo reale, quello degli adulti, dell’azione, della verità senza perdono né Provvidenza. E che libertà! Che responsabilità! Che gioia! Sì, ho la sensazione di vivere meglio – più lucidamente, più liberamente, più intensamente – da quando sono ateo ».
Il « no » del figlio prodigo riflette la ribellione originale.
Il figlio maggiore, da buon primogenito, è migliore?
In realtà è più « partito » dell’altro…
Esteriormente fa tutte le cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si è allontanato da suo padre. Fa il proprio dovere, lavora sodo ogni giorno e adempie tutti i suoi obblighi, ma è diventato sempre più infelice e meno libero.
Perduto nel risentimento.
Lo stare con il Padre è come un peso che grava sulle spalle: « Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito ad un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici »
E’ diventato un estraneo in casa sua! Non c’è più autentica comunione.
In questo lamento, l’obbedienza e l’amore sono diventati un peso e il servizio è una schiavitù.
Molti figli e figlie maggiori si sono perduti rimanendo sempre a casa. Questo smarrimento è caratterizzato dalla facilità a giudicare e condannare, dalla rabbia e dal risentimento, dall’amarezza e
dalla gelosia: è dannoso e devastante per il cuore dell’uomo.
Il peccato del figlio minore è facile da capire
Lo smarrimento del figlio maggiore, invece, è molto più difficile da identificare. Dopo tutto fa le cose per bene.
C’è tanto risentimento tra i giusti e i retti. C’è tanta facilità a giudicare, condannare. Esistono tanti pregiudizi tra i « santi ». Senza gioia.
La domanda in questione è « Perché io non sono felice nella casa del Signore? »
Il figlio minore ritorna. Gli amici lo avevano tenuto in considerazione soltanto finché era stato utile ai loro interessi.
Una voce che piange dentro… A casa! Rivendicare la condizione di figlio.
Mentre cammina verso la meta, continua a nutrire dubbi: sarò veramente bene accolto una volta arrivato? La fede nel perdono totale e assoluto non arriva subito.
E’ come dire: « Beh, non ce l’ho fatta da solo devo riconoscere che Dio è l’unica risorsa che mi è rimasta. Andrò chiederò perdono nella speranza di ricevere una punizione minore »
Si accontenta di soluzioni parziali, come quella di diventare un garzone. Come garzone posso ancora mantenere le distanze, ribellarmi, rifiutare, scioperare, scappare via o lamentarmi della paga.
Ma Gesù dice espressamente che la via verso Dio è identica a quella verso una nuova infanzia. « Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli » e a Nicodemo: « Bisogna rinascere! »
Diventare un bambino significa vivere una seconda innocenza: non l’innocenza del neonato, ma l’innocenza a cui si arriva attraverso scelte consapevoli.
Come possono essere descritti coloro che sono giunti a questa seconda infanzia, a questa seconda innocenza? Gesù lo dice molto chiaramente: sulla montagna, raduna i discepoli intorno a sé e dice: beati i poveri. beati i miti, beati gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per causa della giustizia. Le Beatitudini sono la meta del cristiano.
E il figlio maggiore? Entrerà? E’ disposto ad ammettere di non essere migliore del fratello? E’ molto più difficile per il figlio maggiore tornare a casa, capire.
Anche se il Padre va incontro al figlio maggiore proprio come ha fatto con il figlio più giovane:
« Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo »
E’ una dichiarazione di amore incondizionato.
Proprio quello che Dio afferma in Isaia: « Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani ».
Sono le parole di Gesù che riflettono l’amore materno di Dio: « Gerusalemme, Gerusalemme . . . quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli sotto le ali, e voi non avete voluto! »
La domanda non è « come posso conoscere Dio? », ma « come posso farmi conoscere da Dio? ».
E, infine, la domanda non è « come posso amare Dio? » Ma « come posso lasciarmi amare da Dio? »
In tutte e tre le parabole che Gesù racconta per rispondere alla domanda del perché egli mangi con i peccatori pone l’accento sull’iniziativa di Dio.
Dio è il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita.
Dio è la donna che accende la lucerna, spazza la casa cerca ovunque la dramma perduta finché non la ritrova.
Dio è il padre che veglia e aspetta i suoi figli,
Può suonare strano, ma Dio vuole trovare me, se non di più, perlomeno quanto io voglio trovare lui.
Si, Dio ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui.
Un invito alla gioia: vuole che tutti vi partecipino. E’ l’ultima cena. E’ il Paradiso.
Non perdiamo troppo tempo a identificarci con l’uno o con l’altro dei figli: andiamo, facciamo il viaggio!
Diciamo: « Sono qui! Sono tornato! »
Noi vogliamo toccare Dio. Ma Dio ci tocca a sua volta?
Dio fa di più: ci accoglie in un abbraccio eterno!
Tutti sappiamo che cosa significa essere abbracciati e abbracciare.
« Una bambina consegnò alla maestra un foglietto su cui aveva scritto la sua personale « ricetta della vita ». Diceva:
« Ci vogliono quattro abbracci al giorno per sopravvivere;
ci vogliono otto abbracci al giorno per tirare avanti;
ci vogliono dodici abbracci al giorno per crescere ».
Conosciamo tutti quell’abbraccio speciale che dice: « Non è niente! E’ tutto passato! Coraggio… »
Così è l’abbraccio di Dio che possiamo provare concretamente nel Sacramento della Riconciliazione.
Ancora un passo dobbiamo fare: prendere sul serio le parole di Gesù riportate in Luca 6, 36: « Siate anche voi (misericordiosi) pieni di bontà, così come Dio, vostro Padre, è (misericordioso) pieno di bontà ».
Dobbiamo diventare il Padre. Se Dio perdona i peccatori, anche coloro che hanno fede in Dio dovrebbero fare lo stesso.
Diventare come il Padre celeste non è solo un aspetto importante dell’insegnamento di Gesù, ma è il cuore stesso del suo messaggio. Possiamo essere come lui, amare come lui, essere buoni come lui, prenderci cura degli altri come lui. Gesù è categorico su questo punto quando dichiara: « Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso ».
Soltanto i cristiani possiedono la logica del perdono.