Cristo al primo posto nella nostra vita

Posté par atempodiblog le 24 novembre 2012

Cristo al primo posto nella nostra vita dans Fede, morale e teologia padreslavkobarbaric

Mentre pensiamo a Cristo Re, è opportuno farci nuovamente la domanda: “Chi è davvero al primo posto nella nostra vita, chi la orienta?”. Vedete, se ci ricordiamo della preghiera e del digiuno di Cristo, e delle tentazioni con cui satana l’ha provato, nella terza tentazione ha detto a Gesù: “Ti darò tutti i regni della terra, se prostrato mi adorerai”. Gesù ha risposto: “Vattene satana! Adora solo il Signore e servi solo Lui!”. Gesù si è deciso completamente per il Padre, Lui è l’Inviato dal Padre per salvarci. Gesù non dimentica il suo ruolo e il suo compito e dice: “Mio Padre è al primo posto!”.
Nella nostra vita può facilmente accadere che diciamo che siamo battezzati, che siamo di Cristo, ma nella nostra vita regna qualcun altro: può essere l’orgoglio, cioè può capitare che in realtà noi adoriamo noi stessi o che cerchiamo che gli altri ci adorino. Se accade che l’uomo mette se stesso al primo posto nella propria vita, Cristo non ha posto in quel cuore. Se ci guardiamo con umiltà possiamo capire chi per noi è al primo posto. E se vediamo che non riusciamo a perdonare qualcuno, diciamo a Gesù che ci comanda di perdonare settanta volte sette: “Signore, sai che per me è difficile perdonare, ma mi decido per questo: ti presento i miei dolori, ferite, la mia mancanza di pace, mi allontano da ogni sentimento cattivo e metto chiaramente te al primo posto!”. Se invece capita che siamo nervosi nelle parole o nei comportamenti, allora siamo noi al primo posto. Vedete quante volte i nostri dolori vengono dal metterci al primo posto! Certamente l’uomo deve amarsi, rispettarsi, difendersi, ma l’uomo non può adorare se stesso. Tutti
i Cristiani e ciascuno di noi deve mettere chiaramente dei limiti anche a tutto ciò che è bello per deciderci chiaramente per Gesù e non per noi stessi o per quello che noi crediamo bene. Noi Cristiani dobbiamo continuare la nostra lotta perché Cristo sia al primo posto come ci chiede Maria!

Padre Slavko Barbaric

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Un Dio che abbraccia l’umanità

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2012

padre misericordioso

Noi siamo nell’ambito della divina rivelazione… però quanti di noi riescono nel corso della loro vita a fugare la paura di Dio? Quanti riescono a rappresentarsi Dio com’è, cioè Perdono, Misericordia, Bontà. Non riusciamo, infatti, molte volte… ci arrabbiamo con Dio perché noi attribuiamo a Dio le nostre imperfezioni, ma non è Dio, ma ciò che noi ci rappresentiamo. Dio che ci punisce… ma perché le disgrazie? Perché qua e perché là? Ma con chi discutiamo? Con le nostre proiezioni. Per noi è difficile liberarci dalla paura di Dio e aprirci al sole di Dio e liberarci dalle nuvole che oscurano la nostra mente .

La grazia che Dio ci ha fatto è che dopo il peccato delle origini, dopo che noi abbiamo scelto come dio il cornuto… siamo passati dalla parte del serpente e molti oggi sono ancora da quella parte. Dio nella sua infinita misericordia è venuto in nostro soccorso e ci ha rivelato il Suo volto, ma questa rivelazione è avvenuta soltanto nella storia sacra, solo nella Bibbia.

In nessuna altra religione trovate che Dio è Misericordia, ma è vero che l’Islam (io sono stato un anno in mezzo ai musulmani, li conosco) quando recitano il loro rosario dicono che Allah è misericordioso, è buono… ma buono e misericordioso con loro e basta. Come pure l’elemosina… a chi va fatta? Va fatta fra di loro, non al di fuori, non ai cani, non agli infedeli. In nessuna religione c’è traccia di un Dio che abbraccia il mondo con il suo amore, che abbraccia tutti gli uomini con il suo amore. Perché? Perché negli uomini c’è il male c’è l’oscurità, c’è il peccato, c’è l’oscurità della mente, c’è la cattiveria, non riescono a rappresentarsi un Dio-Amore.

Nella Sacra Scrittura, nella rivelazione biblica pian piano si rivela… perché se voi leggete i Salmi… alcuni si spaventano leggendo i salmi, perché Dio dice “Io distruggerò i nemici”, uno che legge nel Vangelo il discorso della montagna di Gesù  può pensare: ma cosa facevano quelli? Come mai i salmi si esprimono in questo modo? Ma è normale! Anzi è un gran passo avanti, perché nei salmi Dio dice io distruggerò i tuoi nemici, cosa vuol dire questo?  Che non li distruggi tu, tu lasci fare a Me, tu deponi le armi. Questo è il grande passaggio che han fatto i salmi: Dio ha disarmato gli uomini. Dio ha detto che la giustizia la fa Lui, non la facciamo noi! Ci pensa Dio a far giustizia, poi come faccia giustizia lo sa Lui come e perché governa il mondo così. Molte volte Dio fa giustizia in un modo molto semplice dopo aver dato la grazia che viene rifiutata, abbandona  quelli che si oppongono a Lui, come dice la Madonna, Regina della Pace, “Dio non manda all’Inferno, siete voi che volete andarci”. Questo solo nella Scrittura… pian piano noi vediamo che Dio si manifesta come Dio misericordioso e già nei Salmi noi vediamo che viene descritta la misericordia di Dio in tutta la creazione, in salmi bellissimi… “benedite voi tutte opere del Signore il Signore” e poi la luna, le stelle,  i mari, i fiumi, gli uccelli, i pesci  su tutta la creazione si effonde la divina misericordia per cui tutta la creazione è un inno alla Divina Misericordia. Cosa emerge dalla Bibbia? Emerge una cosa senza la quale non si può vivere e cioè chi comanda è buono!  Chi ha il potere e il potere assoluto è la Bontà e l’Amore, per fortuna! Questo è il cristianesimo: chi governa è la Giustizia, è la Luce, è la Bontà, è l’Amore, è l’Infinita Misericordia per cui se ti penti ti perdona infinitamente.

[...]

Renderete conto fino all’ultimo spicciolo, nessuno la fa franca con Dio, nessuno nasconde niente tutti devono pagare fino all’ultimo spicciolo. C’è uno che ha pagato per noi:  Gesù ha pagato per noi, per cui se la giustizia di Dio ti chiede fino all’ultimo spicciolo… tu cosa fai? Paghi con i meriti di Gesù Cristo, ti affidi alla Divina Misericordia, tu non nascondi i tuoi peccati, ma li presenti alla Divina Misericordia che li distrugge nelle fiamme del suo amore. Hai i debiti  e che te li tieni a fare? Portali al confessore che te li rimette tutti, chi vuole autoassolversi si auto inganna.

La Croce ti dice chi è l’uomo, il male che ha dentro, la cattiveria, la rabbia, l’odio contro Dio, il veleno satanico e ti dice pure chi è il diavolo, perché gli uomini sono stati suoi strumenti. Ma in quel momento in cui si manifestava l’immensa cattiveria dell’umanità e l’Inferno che la sobillava, lì si è vistala Sua infinita misericordia, perché Lui invece di dire “adesso ve la faccio pagare io”, ha offerto al Padre la Sua vita invocando il perdono. Ha usato la nostra cattiveria come strumento di espiazione e di perdono dei nostri peccati.  Solo guardando alla Croce possiamo capire quanto profonde siano le radici del male in noi e quanto grande sia la Divina Misericordia.

La devozione alla Divina Misericordia è una bella cosa però attenzione deve essere “esistenziale”, vissuta. Cosa vuol dire essere devoti alla Divina Misericordia? Aver fiducia in Gesù misericordioso e dobbiamo anche attingere alla Divina Misericordia, chiedere davanti alla Croce che bruci in noi le radici del male e ci restituisca la grazia del Battesimo. Se tu fai questo ogni giorno, se muori puoi andare direttamente in Paradiso. Però non basta aver fiducia nella divina misericordia, dobbiamo anche praticare ogni giorno la misericordia verso i fratelli.

Dobbiamo chiedere la grazia dello Spirito Santo perché ci faccia capire la Divina Misericordia e ci tolga le false rappresentazioni che abbiamo di Dio. Perché queste apparizioni di Gesù a S. Faustina e che aveva fatto qualche secolo prima a S. Margherita M. Alacoque? Perché il male cresce così tanto nel mondo, la cattiveria umana potrebbe portare alla fine del mondo. Il progetto della Madonna a Medjugorje è che ci siano persone che comprendono la Divina Misericordia, che si affidino alla Divina Misericordia e che diventino buoni e misericordiosi perché con essi vuole salvare il mondo.

ESSERE MISERICORDIOSI

Se non diventiamo misericordiosi, se non diventiamo amici, se non diventiamo fratelli, siamo una massa di serpenti che si morsicano fra di loro.

Siamo tutti peccatori, tutti abbiamo bisogno della Divina Misericordia. I cristiani sono i misericordiosi. Chi sono i misericordiosi? Quelli che hanno un cuore grato a Dio  per la misericordia ricevuta  e poiché son stati perdonati perdonano. Questi salveranno il mondo perché il mondo per essere salvato ha bisogno di gente buona di cuore, che abbiano uno sguardo misericordioso. Non possiamo guardare agli altri come se fossero degli avversari, la bontà rende buoni, la bontà disarma. Come diceva San Francesco di Sales, “attira di più una goccia di miele che un barile di aceto”, è verissimo!

Dobbiamo essere misericordiosi in tutto: nello sguardo, nella parole, nei comportamenti… Prima partecipavo all’agone delle polemiche ora non più, perché il male lo si vince col bene. Potete discutere quanto volete con un ateo e non lo convertite, un giorno lui vi chiede un favore, glielo fate e lui si è già convertito anche se non ve lo dice. Questa è la verità. E’ il bene che scardina i cuori.

Una persona misericordiosa è felice, è in pace con se stessa perché sente che Dio è in lui e in lui è presente Gesù Cristo. Questo guarisce le ferite dell’umanità e cambia i cuori.

Padre Livio Fanzaga (tratto da una catechesi audio)

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Riflessioni sul tema del perdono

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2012

“Riflessioni sul tema del perdono”
intervento di Sua Eminenza il Cardinale Carlo Caffarra all’incontro con padre Aldo Trento “L’ultima parola non è il peccato. È la misericordia!”
Bologna, Aula Magna Santa Lucia, 16 novembre 2010
Tratto da: caffarra.it

Riflessioni sul tema del perdono  dans Alessandro Manzoni

1. Mi è difficile prendere la parola di fronte ad un testimone che ricostruisce quotidianamente con l’abbraccio del perdono umanità devastate. La mia parola, nella sua povertà, servirà solo a mettere in luce la testimonianza seguente.
L’uomo oggi – intendo l’uomo occidentale – sta male, anche se cerca di vivere gaiamente il suo malessere, perché si è interdetto l’esperienza del perdono da parte di Dio, e quindi l’esperienza della sua misericordia. L’uomo non può vivere una buona vita senza questa esperienza.
Egli è capace di agire male, ma è incapace di liberarsi dal male compiuto. Non dico di porre rimedio alle conseguenze che la sua azione ha causato in sé e su gli altri. C’è un testo manzoniano che ci aiuta a capire questo paradosso dell’uomo che può agire male e non può liberarsi dal male compiuto.
È la famosa notte dell’Innominato, nel momento in cui egli passa in rassegna tutte le sue scelleratezze. Erano tutte sue; erano lui: l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quelle immagini, attaccato a tutte, crebbe fino alla disperazione [Promessi Sposi, cap. XXI]. Ed anche nelle Osservazioni sulla morale cattolica: il reo sente nella sua coscienza quella voce terribile: non sei più innocente; e quell’altra più terribile ancora, non potrai esserlo più [VIII, 3].
Colle proprie scelte ciascuno di noi genera se stesso, e diventa genitore di se stesso: sei quello che decidi di essere. Gli atti di ingiustizia non erano solo atti di cui l’Innominato era responsabile: erano lui. Esiste una misteriosa ma reale progressiva identificazione del nostro io colle scelte della nostra libertà. Se penso ad un triangolo, non divento un triangolo. Se compio un furto, divento un ladro.
Posso certo e devo restituire ciò di cui mi sono indebitamente impossessato, ma ciò non toglie il mio essere stato ciò che sono stato. Esiste come un’identificazione della persona coi suoi atti: attaccata a tutti, come dice Manzoni.

2. La soluzione, la via di uscita sarebbe quella di un ricominciare da capo, come una sorta di rinascita e di rigenerazione. Ma come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere? [Gv 3,4].
Ma poiché l’uomo non può compiere questo miracolo, ha elaborato ed inventato altre vie palliative di liberazione dal male. Sono stati inventati vari surrogati dell’unico atto che potrebbe rigenerare l’uomo: il perdono di Dio. Non li enumero tutti. Mi limito a qualche riflessione sul tentativo più tragico, più disperato che l’uomo abbia mai compiuto di vivere senza il perdono di Dio: la negazione del male morale.
È un tentativo che è andato di pari passo con la negazione [dell’esistenza] di Dio. Intendo dire di un Dio coinvolto nel destino della persona umana.
Ciò non è avvenuto per caso. La negazione di Dio non ha coinciso casualmente con la negazione del male morale. I due, esistenza del male morale nell’uomo ed esistenza di Dio, stanno o cadono insieme.
Nessuno come Dostoevskij ci ha fatto riflettere su questo, soprattutto in due grandiosi romanzi, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov. Se Dio non esiste tutto è permesso: il frutto della negazione di Dio per il vero ateo è la liberazione da ogni legge morale. Ma cosa accade in uomini come Raskolnikov o come Ivan Karamazov? Vengono distrutti, alla fine, dal delitto che hanno compiuto. Elimina Dio dalla vita e la voce della coscienza si farà sempre meno imperiosa. Non sono certo la società e lo Stato ad impegnare la coscienza dell’uomo, a legare la sua libertà. È il cuore del dramma dell’uomo di oggi.
Ma c’è qualcosa nell’uomo che ha peccato che gli impedisce alla fine di accontentarsi dei vari surrogati al perdono di Dio. È il trovarsi con se stesso, con un se stesso divorato dalla potenza distruttiva del rimorso. Il castigo che segue al peccato – come hanno ben visto Manzoni e Dostoevskij – precede la condanna di ogni tribunale ed è più terribile di ogni condanna. È questo castigo la prova di Dio. Il peccatore può non riconoscere Dio nel suo castigo, ma se l’uomo non può impunemente offendere la legge, senza che il delitto ricada su di lui, la distruzione psicologica che segue al delitto afferma ugualmente la divinità della legge [D. Barsotti, Dostoevskij. La passione per Cristo, Edizioni Messaggero, Padova 1996, 182].
Ma forse oggi si è già imboccata un’altra strada. Si cerca di spiegare l’emergere del nostro essere coscienti di noi stessi, in prima persona, e quindi l’emergere della nostra libertà da una realtà di tipo neurobiologico, come si spiega un effetto con la sua causa.
Il mistero della coscienza verrà progressivamente rimosso quando risolveremo il problema biologico della coscienza [J. Searle, Il mistero della coscienza, Cortina, Milano 1998, 166].

3. L’evento cristiano è la possibilità offerta all’uomo di essere rigenerato mediante il perdono di Dio: di nascere di nuovo e di cominciare di nuovo. Il cristianesimo è la possibilità di dire in qualunque circostanza: ora ricomincio da capo, perché è il perdono di Dio sempre offerto all’uomo, ad ogni uomo.
Dire Dio perdona non significa: Dio decide di non tenere in conto le scelte della tua libertà, con una sorta di dissimulazione. Egli prende tremendamente sul serio le nostre scelte sbagliate, e ne assume il peso fino in fondo. L’assunzione di tutte le scelte sbagliate di ogni uomo è la Croce di Cristo.
Ma nello stesso tempo il perdono di Dio consiste nell’azione di Dio che trasforma la nostra libertà e rinnova alla radice il nostro io. Questo atto è più divino, è più grande dello stesso atto della creazione. All’accusa degli uomini, al loro peccato, Dio risponde col suo perdono. Esiste un limite contro
il quale si infrange la potenza del male: il perdono e la misericordia di Dio.
Ancora Dostoevskij ha espresso mirabilmente la forza rigeneratrice del perdono di Dio, nel discorso di un ubriaco, incapace di liberarsi dal vizio del
bere che ha portato la sua famiglia nella miseria più nera: nel discorso di Marmeladov, il padre di Sonia, in Delitto e castigo. Marmeladov chiede
pietà.
«Colui che ebbe pietà di tutti gli uomini, colui che tutto e tutti comprese, avrà pietà di noi, egli è il solo giudice, egli verrà nell’ultimo giorno … Tutti
saranno giudicati da lui ed egli perdonerà a tutti: ai buoni e ai tristi, ai santi e ai mansueti … E quando avrà pensato agli altri, allora verrà il nostro
turno: Avvicinatevi anche voi, ci dirà, avvicinateci, voi beoni, avvicinatevi, voi disperati. E ci avvicineremo tutti senza timore…
E i saggi e i benpensanti diranno: Signore, perché accogli costoro?. Io li accolgo … Perché nessuno di loro si è creduto degno di questo favore. E ci
tenderà le braccia e noi ci precipiteremo e scoppieremo in singhiozzi e comprenderemo tutto … E capiremo tutto … Signore venga il tuo Regno”».
La pagina, a mio giudizio fra le più alte della letteratura cristiana di ogni tempo, sembra la filigrana della pagina evangelica che narra il pianto della
prostituta perdonata che ha solo il coraggio di baciare i piedi del Signore. E chi vide quell’incontro non poté non accusare Cristo di comportarsi come fosse Dio. È nella sua misericordia che Egli rivela la sua divinità.

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Nelle cadute

Posté par atempodiblog le 24 août 2012

Nelle cadute dans Citazioni, frasi e pensieri venerabile-Josefa-Menendez

Farò conoscere alle anime fino a qual punto il Mio Cuore le ama e le perdona, e come si compiaccia delle loro stesse cadute…! Sì, scrivilo, Me ne compiaccio!

Leggo nel fondo delle anime e vedo il loro desiderio di piacerMi, di consolarMi, di glorificar­Mi, e l’atto d’umiltà che sono costrette a fare vedendosi così deboli, è proprio quello che consola e glorifica il Mio Cuore: supplisco Io a ciò che loro manca!”.

Gesù alla Ven. Josefa Menendez

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Schwarzer da eroe a criminale

Posté par atempodiblog le 9 août 2012

Schwarzer da eroe a criminale
di Isacco Tacconi
Fonte: CampariedeMaistre

Schwarzer da eroe a criminale dans Articoli di Giornali e News

Stiamo assistendo a una vera e propria esecuzione pubblica vecchio stile. Il patibolo è stato approntato, i boia, i media e i giornali hanno già inferto il primo colpo di scure. “Fango sull’Italia; disonore e vergogna; capitolo buio dello sport”, così le televisioni hanno apostrofato questo deplorevole evento, che io definirei nient’altro che un classico esempio di“debolezza umana”, dalla quale non sono esenti nemmeno i campioni olimpici né le stelle dello sport. Stiamo parlando di Alex Schwazer, il giovane altoatesino di 27 anni campione olimpico nei giochi di Pechino nella 50 km di marcia, diventato in poche ore l’emblema della disonestà sportiva a livello internazionale per aver fatto uso di Epo.

Tra lo scuotimento generale di teste, si sprecano i giudizi e le condanne che sanno molto di giustizia sommaria, quella che a noi italiani piace molto elargire a piene mani. Dalle cattedre dei nostri baretti dello sport, i soliti “indignados” non aspettano altro che trovare un capro espiatorio per alienare da sé stessi la debolezza umana che inevitabilmente ci sta attaccata alle calcagna, e che piuttosto farci meditare sui nostri limiti, e magari (la dico grossa) farci provare un briciolo di misericordia, diviene l’ennesima occasione per sentirci migliori del disgraziato di turno. Ora deve pagare! Deve morire! E una tempesta mediatica si sta ora abbattendo con tutta la sua furia su questo poveretto, abbandonato dal CONI, subito allontanato dall’Arma dei Carabinieri, isolato da ogni istituzione, che non si è affatto curata di lui nel momento di bisogno. Dichiara Josef Schwazer, padre di Alex, che «psicologicamente non reggeva più. Si era chiuso in se stesso. Si allenava da solo. Spero di poter rimediare agli errori che ho fatto con lui». «Per Alex – ha aggiunto – oggi non è il giorno più brutto, il peggiore è quello che verrà». Pare proprio che il giovane campione stesse attraversando un momento difficile, provenisse da un anno di depressione, caricato di una fortissima ansia da prestazione, causata dalle immense aspettative che gli erano state gettate sulle spalle. Lo stesso Petrucci nella sua dichiarazione ha detto «era una delle poche speranze della nostra atletica […] Era una delle poche medaglie che potevamo vincere a Londra. Facevamo affidamento su di lui».

Ma la domanda ora è: quale coscienza hanno questi signori e maestri dell’onestà? Come si può fare uno scarica barile di tali dimensioni? Ora tutti gettano la responsabilità su di lui, alzano le mani tirandosene fuori. Oltre alla già grande delusione che questo giovane ha provato per il suo che, non lo mettiamo in dubbio, è stato un errore madornale, e di una certa gravità, non credo sia necessario gonfiarlo più del dovuto. O forse lo si vuole spingere alla disperazione? Come l’allora campione del ciclismo Marco Pantani? Fino a quando era sul podio osannato dalle folle, e incensato dai giornalisti sportivi e cinque minuti dopo schifato come il peggiore degli assassini per un problema di droga, in primis da questi maledetti media, che riescono a velocità interstellare a distruggere non solo la carriera di uno sportivo ma la vita di un uomo che già deve combattere con i propri gravi errori.

Pare infatti che il già citato presidente del CONI, Gianni Petrucci, non sia nuovo a questo tipo di dinamiche. Infatti, dopo l’oro europeo di pattinaggio sul ghiaccio conquistato a Sheffield da Carolina Kostner (casualmente fidanzata di Alex Schwazer), chiamò l’azzurra per farle i complimenti e di fronte al nuovo successo ha voluto scherzare un pò, anche per dimenticare le polemiche dopo i Giochi di Vancouver in cui la Kostner aveva perso la competizione di pattinaggio sotto lo sdegno di tutti e la delusione generale del CONI che “su di lei aveva puntato tutto”. Si cavalca l’onda del successo degli sportivi, ma si è pronti ad abbandonarli in pasto ai leoni se sbagliano e ci fanno fare figuracce. Dov’è l’etica sportiva?

Stessa storia, stessa dinamica, cambia soltanto che l’errore non è stato fatto nella competizione ma fuori dai campi sportivi. Dov’era il Coni e la Fidal prima che intervenisse con un controllo a sorpresa l’agenzia mondiale antidoping? Perché Schwazer non è stato seguito, controllato, assistito come avrebbe dovuto? Come lo ha gestito la federazione, sulla quale, soprattutto negli anni di preparazione alle olimpiadi, il Coni dovrebbe vigilare?

Ed ora Petrucci autoincensandosi, pretenderebbe porsi a modello delle altre federazioni sportive nazionali per come il CONI ha gestito la spiacevole sorpresa? E’ il colmo!

Il mondo è impietoso, non c’è misericordia né redenzione nello sport, o meglio in questa concezione moderna dello sport, in cui viene accantonata l’umanità per costruire un immagine semidivina di un eroe che non può sbagliare, non deve sbagliare: perfino lo sport ha bisogno di essere risanato dalla Misericordia di Dio.

divisore dans Medjugorje

Doping Schwazer, il racconto di papà Josef: è anche colpa mia
Il Sussidiario.net

“Le responsabilità sono mie, perchè se si vede un figlio, che durante tutto l’anno è stato male, si deve capire e si deve cercare di parlargli”. “L’ultima volta che è partito da qui – ci racconta davanti alla casa di famiglia con una voce rotta dal pianto – era distrutto. Forse l’ha fatto per non deludere gli altri. E’ stata al 100% la prima volta che ha fatto uso di queste sostanze”. “Per fortuna – dice suo padre – ha fatto solo questo. Si è liberato. Così non poteva andare avanti. Spero che adesso possa condurre una vita normale”. Secondo Josef Schwazer, suo figlio “psicologicamente non reggeva più. Si era chiuso in se stesso. Si allenava da solo. Spero di poter rimediare agli errori che ho fatto con lui. Ripeto, la colpa è mia. Nei momenti difficili serve un padre che riesca a stare vicino a un figlio. Per questo chiedo perdono ad Alex. Tireremo avanti”

Per leggere l’articolo completo:  iconarrowti7 OLIMPIADI LONDRA 2012/ Doping Schwazer, il racconto di papà Josef: è anche colpa mia

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Non accusare nessuno

Posté par atempodiblog le 6 août 2012

Non accusare nessuno dans Citazioni, frasi e pensieri

Non è adatto alla vita cristiana chi cerca giustizia contro qualcuno;
Cristo non ha insegnato questo.

Porta con amore le pene degli infermi;
piangi sui peccati dell’uomo;
tripudia del pentimento del peccatore.

Non accusare nessuno.
Stendi il tuo mantello sull’uomo che cade e coprilo perché nessuno lo veda.

di Sant’Isacco di Ninive

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La difficile regola del perdono

Posté par atempodiblog le 6 août 2012

La difficile regola del perdono dans Misericordia

Proviamo a pensare a quante volte, nel sacramento della Penitenza, ci accade lo stesso, come al figlio prodigo. A noi, che ritorniamo a Lui, pentiti, il sacerdote si fa “padre” e rimette ogni colpa. Questo è Dio. E se Dio è così nei nostri riguardi, chiede a noi di essere come Lui verso i nostri fratelli.
Non più dunque il sentimento di “me la pagherà” o il togliere il saluto, come se chi ci ha offeso non fosse più nostro fratello! Sono sentimenti e atteggiamenti inconcepibili per noi, che in Dio siamo fratelli e che dovremmo imitarLo, perché quello che Lui ci perdona è mille volte più grave, di quanto noi dobbiamo perdonare…
Non resta che meditare ed affidarsi alla Parola del profeta Ezechiele: Così dice il Signore: Figlio dell’uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all’empio: Empio tu morirai e tu non parli per distogliere l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà, per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta, perché egli si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo. (Ez. 33, 7-9)
Non ci resta che pregare per ottenere quella generosità di cuore, non solo per non recare offesa al prossimo, ma ancor più per donare amore a chi ci fa del male.
In altre parole, mettere in pratica la Parola del Padre nostro:
“…RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI, COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI”.

di Mons. Antonio Riboldi

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La correzione non sia un atto di accusa

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2012

La correzione non sia un atto di accusa dans Commenti al Vangelo Cantalamessa

Nel Vangelo [...] leggiamo: «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato un fratello». Gesù parla di ogni colpa; non restringe il campo alla colpa commessa nei nostri confronti. In quest’ultimo caso infatti è praticamente impossibile distinguere se a muoverci è lo zelo per la verità, o se non è invece il nostro amor proprio ferito. In ogni caso, sarebbe più autodifesa che correzione fraterna. Quando la mancanza è nei nostri confronti, il primo dovere non è la correzione ma il perdono.

Perché Gesù dice: «ammoniscilo fra te e lui solo»? Anzitutto per rispetto al buon nome del fratello, alla sua dignità. La cosa peggiore sarebbe voler correggere un marito in presenza della moglie, o una moglie in presenza del marito, un padre davanti ai suoi figli, un maestro davanti agli scolari, o un superiore davanti ai sudditi. Cioè, alla presenza delle persone al cui rispetto e alla cui stima uno tiene di più. La cosa si trasforma immediatamente in un processo pubblico. Sarà ben difficile che la persona accetti di buon grado la correzione. Ne va della sua dignità.

Dice «fra te e lui solo» anche per dare la possibilità alla persona di potersi difendere e spiegare il proprio operato in tutta libertà. Molte volte infatti quello che a un osservatore esterno sembra una colpa, nelle intenzioni di chi l’ha commessa non lo è. Una franca spiegazione dissipa tanti malintesi. Ma questo non è più possibile quando la cosa è portata a conoscenza di molti.
Quando, per qualsiasi motivo, non è possibile correggere fraternamente, da solo a solo, la persona che ha sbagliato, c’è una cosa che bisogna assolutamente evitare di fare al suo posto, ed è di divulgare, senza necessità, la colpa del fratello, sparlare di lui o addirittura calunniarlo, dando per provato quello che non lo è, o esagerando la colpa. «on sparlate gli uni degli altri», dice la Scrittura (Gc 4,11). Il pettegolezzo non è cosa meno brutta e riprovevole solo perché adesso gli si è cambiato il nome e oggi lo si chiama «gossip».

Una volta una donna andò a confessarsi da san Filippo Neri, accusandosi di aver sparlato di alcune persone. Il santo l’assolse, ma le diede una strana penitenza. Le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui, spiumandola ben bene lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse: «Adesso torna a casa e raccogli una ad una le piume che hai lasciato cadere venendo qui ». La donna gli fece osservare che era impossibile: il vento le aveva certamente disperse dappertutto nel frattempo. Ma qui l’aspettava san Filippo. «Vedi – le disse – come è impossibile raccogliere le piume, una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare mormorazioni e calunnie una volta che sono uscite dalla bocca ».

Tornando al tema della correzione, dobbiamo dire che non sempre dipende da noi il buon esito nel fare una correzione (nonostante le nostre migliori disposizioni, l’altro può non accettarla, irrigidirsi); in compenso dipende sempre ed esclusivamente da noi il buon esito nel… ricevere una correzione. Infatti la persona che «ha commesso una colpa» potrei benissimo essere io e il «correttore» essere l’altro: il marito, la moglie, l’amico, il confratello o il padre superiore.

Insomma, non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui anzi che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere. Quando vedete una persona ricevere un’osservazione e la sentite rispondere con semplicità: «Hai ragione, grazie per avermelo fatto notare!», levatevi tanto di cappello: siete davanti a un vero uomo o a una vera donna.

L’insegnamento di Cristo sulla correzione fraterna dovrebbe sempre essere letto unitamente a ciò che egli dice in un’altra occasione: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?  (Lc 6, 41 s.).

Quello che Gesù ci ha insegnato circa la correzione può essere molto utile anche nell’educazione dei figli. La correzione è uno dei doveri fondamentali del genitore. «Qual è il figlio che non è corretto dal padre?», dice la Scrittura (Eb 12,7); e ancora: «Raddrizza la pianticella finché è tenera, se non vuoi che cresca irrimediabilmente storta». La rinuncia totale a ogni forma di correzione è uno dei peggiori servizi che si possano rendere ai figli e purtroppo oggi è frequentissima.

Solo bisogna evitare che la correzione stessa si trasformi in un atto di accusa o in una critica. Nel correggere bisogna piuttosto circoscrivere la riprovazione all’errore commesso, non generalizzarla, riprovando in blocco tutta la persona e la sua condotta. Anzi, approfittare della correzione per mettere prima in luce tutto il bene che si riconosce nel ragazzo e come ci si aspetta da lui molto. In modo che la correzione appaia più un incoraggiamento che una squalifica. Era questo il metodo usato da S. Giovanni Bosco con i ragazzi.

Non è facile, nei singoli casi, capire se è meglio correggere o lasciar correre, parlare o tacere. Per questo è importante tener conto della regola d’oro, valida per tutti i casi, che l’Apostolo dà nella seconda lettura: »Non abbiate nessun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole… L’amore non fa nessun male al prossimo». Agostino ha sintetizzato tutto ciò nella massima «Ama e fa’ ciò che vuoi ». Bisogna assicurarsi anzitutto che ci sia nel cuore una fondamentale disposizione di accoglienza verso la persona. Dopo, qualsiasi cosa si deciderà di fare, sia correggere che tacere, sarà bene, perché l’amore «non fa mai male a nessuno».

di Padre Raniero Cantalamessa

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Dio è il Padre che aspetta i suoi figli

Posté par atempodiblog le 10 juillet 2012

Dio è il Padre che aspetta i suoi figli
di Don Bruno Ferrero sdb
Tratto da: Don Bosco Torino

Dio è il Padre che aspetta i suoi figli dans Commenti al Vangelo

Una catechista aveva raccontato ai suoi ragazzi del catechismo la parabola del figliol prodigo, ma si era accorta che dopo un po’ molti si erano distratti. Allora aveva chiesto che gliene scrivessero il riassunto.

Uno di loro scrisse così: « Un uomo aveva due figli, quello più giovane però non ci stava volentieri a casa, e un giorno se ne andò via lontano, portandosi con sé tutti i soldi. Ma ad un certo punto questi soldi finirono e allora il ragazzo decise di tornare a casa perché non aveva neanche da mangiare. Quando stava per arrivare, suo padre lo vide e tutto contento prese un bel bastone e gli corse incontro. Per strada incontrò l’altro figlio, quello buono, che gli chiese dove stava andando così di corsa e con quell’arnese: « È tornato quel disgraziato di tuo fratello; dopo quel che ha fatto si merita un bel po’ di botte! ». « Vuoi che ti aiuti anch’io, papà? ». « Certo », rispose il padre.
E così, in due, lo riempirono di bastonate. Alla fine il padre chiamò un servo e gli disse di uccidere il vitello più grasso e di fare una grande festa, perché s’era finalmente tolto la voglia di suonargliele a quel figlio che gliel’aveva combinata proprio grossa! ».

Il bambino ha dimenticato la conclusione di Gesù e prosegue il racconto con la logica di quello che sente e vede ogni giorno. Perché capire la logica del cuore di Dio è difficile per tutti.
Quando le cose sono difficili da spiegare, Gesù racconta.
Per spiegare il cuore di Dio racconta la parabola che abbiamo ascoltato e che conosciamo così bene: la parabola del padre e dei due figli. Come di solito accade, il problema sono i figli!
Il figlio più giovane parte. Va a stare per conto suo. Se ne va di casa. Ma vuole la sua parte di eredità, che è come dire al padre: « Tu per me sei già morto! »

Il figlio più giovane è un gradasso fanfarone, ma in quanti modi più o meno sottili si preferisce starsene lontani da casa… Quanti « andar via di casa » spirituali!
Andarsene da casa significa ignorare la verità che Dio mi ha « formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra e tessuto nel seno di mia madre ».
Andarsene da casa è lasciare il centro del mio essere dove si può udire la voce che dice: « Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto ».
In qualche modo si diventa sordi alla voce che ci chiama « figlio prediletto ».

Qui la domanda in questione è la seguente: dovendo scegliere tra Dio e questo mondo, chi scelgo?
Quanti sono i figli di Dio che scelgono la via del mondo, lontano da quella casa in cui magari soo cresciuti?
Sotto tutto questo c’è la grande ribellione, il « no » radicale all’amore del Padre, la maledizione non detta: « Ti vorrei morto! » Caro Dio, vorrei tanto che tu non esistessi.

André Comte-Sponville scrive: « Non ho solo ricevuto un’educazione cristiana; ho creduto in Dio, di una fede ardente anche se attraversata dal dubbio, fino a più o meno diciott’anni. Poi l’ho perduta, ed è stato come una liberazione: tutto è divenuto più semplice, più leggero, più aperto, più forte! Come essere uscito dall’infanzia, dai suoi sogni e dalle sue paure, dai suoi sudori freddi e dai suoi languori, come se finalmente facessi il mio ingresso nel mondo reale, quello degli adulti, dell’azione, della verità senza perdono né Provvidenza. E che libertà! Che responsabilità! Che gioia! Sì, ho la sensazione di vivere meglio – più lucidamente, più liberamente, più intensamente – da quando sono ateo ».
Il « no » del figlio prodigo riflette la ribellione originale.

Il figlio maggiore, da buon primogenito, è migliore?
In realtà è più « partito » dell’altro…
Esteriormente fa tutte le cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si è allontanato da suo padre. Fa il proprio dovere, lavora sodo ogni giorno e adempie tutti i suoi obblighi, ma è diventato sempre più infelice e meno libero.
Perduto nel risentimento.
Lo stare con il Padre è come un peso che grava sulle spalle: « Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito ad un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici »
E’ diventato un estraneo in casa sua! Non c’è più autentica comunione.
In questo lamento, l’obbedienza e l’amore sono diventati un peso e il servizio è una schiavitù.
Molti figli e figlie maggiori si sono perduti rimanendo sempre a casa. Questo smarrimento è caratterizzato dalla facilità a giudicare e condannare, dalla rabbia e dal risentimento, dall’amarezza e
dalla gelosia: è dannoso e devastante per il cuore dell’uomo.
Il peccato del figlio minore è facile da capire
Lo smarrimento del figlio maggiore, invece, è molto più difficile da identificare. Dopo tutto fa le cose per bene.
C’è tanto risentimento tra i giusti e i retti. C’è tanta facilità a giudicare, condannare. Esistono tanti pregiudizi tra i « santi ». Senza gioia.
La domanda in questione è « Perché io non sono felice nella casa del Signore? »

Il figlio minore ritorna. Gli amici lo avevano tenuto in considerazione soltanto finché era stato utile ai loro interessi.
Una voce che piange dentro… A casa! Rivendicare la condizione di figlio.
Mentre cammina verso la meta, continua a nutrire dubbi: sarò veramente bene accolto una volta arrivato? La fede nel perdono totale e assoluto non arriva subito.
E’ come dire: « Beh, non ce l’ho fatta da solo devo riconoscere che Dio è l’unica risorsa che mi è rimasta. Andrò chiederò perdono nella speranza di ricevere una punizione minore »
Si accontenta di soluzioni parziali, come quella di diventare un garzone. Come garzone posso ancora mantenere le distanze, ribellarmi, rifiutare, scioperare, scappare via o lamentarmi della paga.

Ma Gesù dice espressamente che la via verso Dio è identica a quella verso una nuova infanzia. « Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli » e a Nicodemo: « Bisogna rinascere! »
Diventare un bambino significa vivere una seconda innocenza: non l’innocenza del neonato, ma l’innocenza a cui si arriva attraverso scelte consapevoli.
Come possono essere descritti coloro che sono giunti a questa seconda infanzia, a questa seconda innocenza? Gesù lo dice molto chiaramente: sulla montagna, raduna i discepoli intorno a sé e dice: beati i poveri. beati i miti, beati gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per causa della giustizia. Le Beatitudini sono la meta del cristiano.

E il figlio maggiore? Entrerà? E’ disposto ad ammettere di non essere migliore del fratello? E’ molto più difficile per il figlio maggiore tornare a casa, capire.
Anche se il Padre va incontro al figlio maggiore proprio come ha fatto con il figlio più giovane:

« Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo »

E’ una dichiarazione di amore incondizionato.
Proprio quello che Dio afferma in Isaia: « Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani ».
Sono le parole di Gesù che riflettono l’amore materno di Dio: « Gerusalemme, Gerusalemme . . . quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli sotto le ali, e voi non avete voluto! »

La domanda non è « come posso conoscere Dio? », ma « come posso farmi conoscere da Dio? ».
E, infine, la domanda non è « come posso amare Dio? » Ma « come posso lasciarmi amare da Dio? »
In tutte e tre le parabole che Gesù racconta per rispondere alla domanda del perché egli mangi con i peccatori pone l’accento sull’iniziativa di Dio.
Dio è il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita.
Dio è la donna che accende la lucerna, spazza la casa cerca ovunque la dramma perduta finché non la ritrova.
Dio è il padre che veglia e aspetta i suoi figli,
Può suonare strano, ma Dio vuole trovare me, se non di più, perlomeno quanto io voglio trovare lui.
Si, Dio ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui.
Un invito alla gioia: vuole che tutti vi partecipino. E’ l’ultima cena. E’ il Paradiso.

Non perdiamo troppo tempo a identificarci con l’uno o con l’altro dei figli: andiamo, facciamo il viaggio!
Diciamo: « Sono qui! Sono tornato! »
Noi vogliamo toccare Dio. Ma Dio ci tocca a sua volta?
Dio fa di più: ci accoglie in un abbraccio eterno!
Tutti sappiamo che cosa significa essere abbracciati e abbracciare.

« Una bambina consegnò alla maestra un foglietto su cui aveva scritto la sua personale « ricetta della vita ». Diceva:
« Ci vogliono quattro abbracci al giorno per sopravvivere;
ci vogliono otto abbracci al giorno per tirare avanti;
ci vogliono dodici abbracci al giorno per crescere ».

Conosciamo tutti quell’abbraccio speciale che dice: « Non è niente! E’ tutto passato! Coraggio… »
Così è l’abbraccio di Dio che possiamo provare concretamente nel Sacramento della Riconciliazione.

Ancora un passo dobbiamo fare: prendere sul serio le parole di Gesù riportate in Luca 6, 36: « Siate anche voi (misericordiosi) pieni di bontà, così come Dio, vostro Padre, è (misericordioso) pieno di bontà ».
Dobbiamo diventare il Padre. Se Dio perdona i peccatori, anche coloro che hanno fede in Dio dovrebbero fare lo stesso.
Diventare come il Padre celeste non è solo un aspetto importante dell’insegnamento di Gesù, ma è il cuore stesso del suo messaggio. Possiamo essere come lui, amare come lui, essere buoni come lui, prenderci cura degli altri come lui. Gesù è categorico su questo punto quando dichiara: « Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso ».
Soltanto i cristiani possiedono la logica del perdono.

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Perdonare è dimenticare

Posté par atempodiblog le 14 mars 2012

Perdonare è dimenticare dans Citazioni, frasi e pensieri

“Perdonare vuol dire dimenticare per sempre”.

San Giovanni Bosco

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Se la madre prega per il ragazzo che stuprò la figlia

Posté par atempodiblog le 4 mars 2012

Se la madre prega per il ragazzo che stuprò la figlia dans Articoli di Giornali e News

E’ stata dimessa dall’ospedale la ragazza che venti giorni fa era stata violentata in modo particolarmente brutale da un giovane militare fuori da una discoteca di Pizzoli, in provincia de L’Aquila, e poi abbandonata sanguinante, seminuda e semimorta nella neve, tanto che se i buttafuori non l’avessero notata non sarebbe sopravvissuta al gelo e alle ferite. Di lei, ovviamente, non si conosce il nome, si sa solo che è stata in grado di rispondere all’interrogatorio e che ora è ricoverata in un luogo di cura segreto. Ha, invece, parlato con i giornalisti la mamma della vittima e i suoi toni sono stati del tutto diversi da quelli che ci si sarebbe attesi da chi ha avuto una giovane figlia massacrata in maniera così barbara. Alla solita e, purtroppo, trita domanda dei cronisti “vorrà perdonare?” con lo sconcerto di molti ella, infatti, ha risposto:
Perdonare il giovane che fatto tanto male a mia figlia? Credo che quel ragazzo sia uno strumento, vengo da una cultura cristiana. Odio, rancore e vendetta non servono a nulla. La giustizia umana è compito degli uomini, farò una preghiera per tutti, anche per il ragazzo”.
Il fatto stesso che si sente il bisogno di scriverne indica quanto insolito, quanto audace e controcorrente, tanto che per certo susciterà delle voci critiche, sia un simile atteggiamento seppure in un paese di secolare tradizione cristiana, e ora che il paese cristiano quasi non è più, o in gran parte solo formalmente, le nobili parole della madre ci fanno risuonare dentro echi di un mondo diverso, migliore quasi si vorrebbe dire, se non si temesse di cadere nella retorica. Un mondo nel quale la pietà, o almeno una parte di pietà è prevista anche per gli aguzzini, perfino per quelli più spietati, e non soltanto per le vittime. Parole nobili e profonde, parole di mamma che sa bene quanto i comportamenti dei ragazzi siano il prodotto delle cose viste, delle cose dette intorno a loro, come di quelle non dette e, infatti, ella ha aggiunto: “Dobbiamo mettercela tutta. Impegnarci e lottare perché queste cose non accadano più. Vorrei dirlo alle famiglie, ai genitori che non si risolve nulla non facendo uscire i figli di casa. L’unica via possibile è l’ educazione, in tal senso tutti siamo un pochino responsabili, genitori, insegnanti, autorità, e non perché non abbiamo fatto, ma probabilmente perché abbiamo omesso qualcosa”.
In realtà ella ha quasi parlato di più dell’aguzzino, il ventunenne militare di origine irpina, chiuso in un carcere con l’accusa di violenza sessuale aggravata e di tentato omicidio, che non della vittima, salvo un’osservazione che riguarda lo tsunami che si è abbattuto sulla sua famiglia, a causa del quale per tutti loro nulla potrà mai più essere come prima. Senz’altro vero, si ha tuttavia l’impressione che, con una madre così, con una famiglia così per l’infelice vittima, purtroppo sotto shock, c’è la speranza che possa un giorno realmente rifarsi una vita, come si usa dire, dopo un pesante tracollo esistenziale, come quello che le è tragicamente toccato, incontrando il suo, in un altro modo, infelice aguzzino.

Isabella Bossi Fedrigotti – Corriere della Sera

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La vita cristiana

Posté par atempodiblog le 17 février 2012

La vita cristiana dans Amicizia

Ciò che ciascuno di noi sta cercando è l’amicizia vera: la verità, l’onestà, l’amore.
Il Signore stesso ci ha dato la nostalgia della comunione, dell’amicizia tra di noi; Lui ha messo dentro di noi la nostalgia del bene, della comprensione, di saper amare, perdonare, ricominciare con gioia.
La vita bella, la vita vera si realizza con cose piccole. I nostri ragazzi sono felici proprio perché si scoprono buoni. E ognuno di noi ha ricevuto il grandioso dono della coscienza, che ci dice la verità. Anche quando siamo cattivi, possiamo rimediare, la coscienza ci dice come fare: chiedendo perdono! Tutti sbagliano ed è naturale, ma non dobbiamo tenerci il “broncio”, covare rancore, rabbia, vendetta.
La nostra è una Comunità in cui ci vogliamo bene e lo facciamo attraverso le nostre povertà, perché tutti sbagliamo e nessuno è autorizzato a puntare il dito. Quando arriviamo al Cenacolo mettiamo in comune le nostre pochezze, non guardiamo chi è più buono, chi è più intelligente, chi lavora di più… mettiamo in comune quello che ci umilia, i nostri sbagli, le nostre povertà, i nostri fallimenti e lasciamo che sia Dio a risollevarci, a perdonarci e a unirci, facendo di noi la Sua famiglia.
Quanti tradimenti hanno subito i nostri giovani, quante lacrime nascoste hanno versato: é lì che sono nate le paure, il mutismo, la solitudine, la timidezza.
Per rendere felici i giovani basta far loro incontrare quello che veramente cercano: la pace, la verità senza maschere, la forza per vivere la bontà, l’umiltà, la pazienza reciproca, il saperci perdonare…. in una parola: la vita cristiana.
I nostri giovani in Comunità hanno sperimentato cosa vuol dire la fatica del lavoro, la misericordia di Dio, l’amore, l’amicizia vera tra di loro, il rispetto. Si sono conosciuti, aiutati, hanno visto che veramente la vita non era solo quella che stavano vivendo prima, hanno incontrato dei ragazzi come loro che volevano bene a loro disinteressatamente, che si correggevano l’un l’altro, che vivevano persino l’ansia di non far fallire il fratello, di lottare a tutti i costi perché non ritornasse nelle tenebre del suo passato. Tutto questo è amicizia! E senza magari neanche pensarci, è nato in loro l’amore per la vita: pensando agli altri, Dio ha donato a loro un amore nuovo alla vita.
Impariamo allora dai giovani che il nostro vero bene, la nostra felicità non è quello che ci esalta, ma è l’essere fratelli, sorelle, amici leali, senza ambizioni di arrivare chissà dove, ma in fondo, da soli! La felicità è fatta di cose semplici, piccole, che fanno stare bene il cuore.

di Suor Elvira Petrozzi – Comunità Cenacolo

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Papa: per quanto siano dure le prove non cadremo mai fuori dalle mani di Dio

Posté par atempodiblog le 17 février 2012

Benedetto XVI torna a dedicare l’udienza generale alla preghiera di Gesù morente. Tre “parole” nelle quali “la prima e la terza sono rivolte esplicitamente al Padre e la seconda al buon ladrone crocifisso con lui”. In quest’ultima, ha detto Benedetto XVI, “c’è la speranza che la preghiera sincera anche dopo una vita sbagliata incontra il Padre”.

Papa: per quanto siano dure le prove non cadremo mai fuori dalle mani di Dio dans Fede, morale e teologia

Pregare per “coloro che ci fanno torto”, affinché “la luce di Dio possa pervadere i loro cuori” e affidarsi totalmente a Dio, nella certezza che “per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele”. Lo insegna la preghiera di Gesù morente – “indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza” – alla quale, anche oggi, Benedetto XVI ha dedicato il discorso per le seimila persone presenti all’udienza generale.

In quella che il Papa ha definito “scuola di preghiera”, egli ha proposto una riflessione sulle parole che Luca riferisce di Gesù morente. Sono tre “parole”, nelle quali “la prima e la terza sono rivolte esplicitamente al Padre e la seconda al buon ladrone crocifisso con lui”. In quest’ultima, ha detto Benedetto XVI, Gesù “dona la ferma speranza che la bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio”.

Nella prima “parola”, “subito dopo essere stato inchiodato sulla croce e mentre i soldati si stanno dividendo le sue vesti” Gesù chiede “Padre perdona loro, perché non sanno quel che fanno”. E’ una “intercessione”, Gesù “chiede il perdono per i propri carnefici, con cio compie in prima persona quello che aveva detto nel Discorso della montagna: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano”. “Adesso non solo perdona i suoi carnefici, ma si rivolge direttamente al Padre intercedendo per i suoi carnefici”. Gesù “non solo chiede il perdono, ma dà una lettura di ciò che accade: non sanno quello che fanno”. “L’ignoranza – ha commentato il Papa – il «non sapere», come motivo della richiesta di perdono al Padre, perché essa lascia aperta la via verso la conversione, come del resto avviene nelle parole che pronuncerà al momento della morte di Gesù: veramente questo uomo era giusto, era il Figlio di Dio”.

La seconda è una “parola di speranza”. “Il buon ladrone rientra in sé e si pente, si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio” al quale chiede di ricordarsi di lui, “quando entrerai nel tuo regno”. Nella risposta “oggi con me sarai nel Paradiso” Gesù “è consapevole di rientrare direttamente nella comunione col Padre e di aprire all’uomo la via per il Paradiso”.

La terza “parola” del Vangelo di Luca: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito, detto questo spirò”. Alcuni aspetti di questa narrazione sono diversi rispetto a quanto dicono Marco e Matteo. “Le tre ore di oscurità in Marco non sono descritte, mentre in Matteo sono collegate con una serie di diversi avvenimenti apocalittici, come il terremoto, l’apertura dei sepolcri, i morti che risuscitano. In Luca, le ore di oscurità hanno la loro causa nell’eclissarsi del sole, ma in quel momento avviene anche il lacerarsi del velo del tempio. In questo modo il racconto lucano presenta due segni, in qualche modo paralleli, nel cielo e nel tempio. Il cielo perde la sua luce, la terra sprofonda, mentre nel tempio, luogo della presenza di Dio, si lacera il velo che protegge il santuario. La morte di Gesù è caratterizzata esplicitamente come evento cosmico e liturgico; in particolare, segna l’inizio di un nuovo culto, in un tempio non costruito da uomini, perché è il corpo stesso di Gesù morto e risorto, che raduna i popoli e li unisce nel sacramento del suo corpo e del suo sangue”.

“La preghiera di Gesù, in questo momento: “Nelle tue mani affido il mio spirito” sono le stesse parole del Salmo 31, ma “non è una citazione, ma una decisione ferma, Gesù si consegna al Padre in atto di totale abbandono, di piena fiducia nell’amore di Dio”. La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui”.

 Fonte: AsiaNews

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Perdonare i nemici

Posté par atempodiblog le 15 février 2012

Perdonare i nemici dans Fede, morale e teologia 

Nulla più mi persuade che è difficile perdonare, quanto l’esperienza che mi insegna che non esiste quasi niente di più raro. Il nostro Maestro ha perdonato lui stesso in faccia a tutti, nella maniera più generosa e nelle circostanze più difficili. I suoi apostoli e i suoi primi discepoli si sono segnalati nell’imitare tanto esempio. Eppure chi di noi compie tanto bene questo dovere? Non parlo dei mondani, che si vantano delle loro vendette e che, lungi dall’obbedire al precetto del Vangelo, si comportano verso i loro nemici come se ci fosse un precetto di odiarli a morte. Perfino tra quanti fanno professione di virtù, c’è cosa più rara che vedere chi perdona sinceramente, chi loda quelli che lo criticano,chi prega per quanti lo perseguitano, chi si affretta a servire quanti turbano la sua quiete e in tutti gli incontri gli mettono i bastoni tra le ruote? Vero è che, una volta che ci siamo impegnati nella vita devota, ci guardiamo bene dal dire che vogliamo vendicarci; ma spesso non tralasciamo di farlo, mai mancando di dichiarare che non vogliamo alcun male al nemico. Ma, come se dopo questa precauzione tutto ci fosse permesso, sparliamo di lui in tutto quello che sappiamo, e spesso anche in quello che non sappiamo; esageriamo l’ingiustizia e la violenza del suo comportamento; ci appaghiamo nel far notare i suoi difetti; rievochiamo il ricordo delle sue azioni passate. Voglio che non si dica nulla che non sia vero, e che non sia già di dominio pubblico; cioè che non vi sia né calunnia né maldicenza; ma certamente la carità non può non esserne ferita; si tratta sempre di vendetta.
I devoti cercano con cura il loro risentimento con qualche pretesto specioso, di zelo o di giustizia. Ma molto pochi sono quelli che cercano di soffocarlo. I viziosi palesi si vendicano apertamente; i devoti di professione qualche volta si vendicano in modo occulto, senza farsene accorgere, e molto spesso senza che loro stessi se ne accorgano; gli uni ricorrono alle armi e alla violenza per darsi soddisfazione, altri talvolta lo fanno col silenzio e con moderazione. Infine, alcuni che sono i meno propensi al vendicarsi personalmente, spesso sono molto lieti di vedersi vendicati: godiamo nel vedere che uno che voleva farci del male è caduto lui stesso nella trappola che ci stava tendendo; apprendiamo con piacere che la sua condotta viene condannata dalla gente onesta; ci rallegriamo delle disgrazie che gli capitano. Non dico soltanto che comportarsi così non è amare come Gesù Cristo ci ordina; è palese che è un odiare e un volere il male; anzi, dico che è compiere una vera e propria vendetta.
La vendetta non consiste nell’uccidere, colpire, spargere sangue; tutte queste cose si possono compiere per un principio di giustizia, e alcune addirittura per un motivo di amore e di carità. Vendicarsi è provare piacere nella sventura di un nemico; è trovare gioia e consolazione in ciò che l’affligge, sia che siamo noi gli autori dei suoi mali, sia che questi vengano da altri. Secondo sant’Agostino: Vindicari non est aliud nisi delectari vel consolari de alieno malo. Ma non è vero che poche persone sono esenti da questi sentimenti, e che è molto difficile difendersene?
Talvolta siamo in difficoltà nel trovare i mezzi di esercitare il nostro fervore; invidiamo ai santi le occasioni che hanno avuto di far brillare la loro virtù; rimpiangiamole persecuzione della Chiesa, che sono state tanto favorevoli ai primi fedeli. Vade riconciliare fratri tuo: andate a riconciliarvi con vostro fratello. Andate verso quel nemico che vi perseguita, che vi maltratta; e senza compulsare le regole del mondo, che vi dispenseranno da compiere il primo passo, senza dar retta alla natura che vi sollecita vendetta, convincetelo: con la vostra mitezza, con la vostra facilità nel cedergli su tutto, con ogni genere di arrendevolezza, a desistere dalla sua collera e ad amarvi in Gesù Cristo. Se poi non avete nemici, o se le circostanze sono tali che la prudenza non vi permette di comportarvi così, imponete a voi stessi questa legge indispensabile di vivere con quanti no vi amano, che invidiano la vostra fortuna, o la vostra gloria, che vi disprezzano, che parlano di voi con poca carità e riservatezza; di vivere, dico, con loro come se voi ignoraste tutte queste cose, come se foste persuaso del contrario. Vagliate le loro virtù e le loro buone qualità per poterne parlare nelle conversazioni; cercate le occasioni per rendere loro servizio, e consideratevi fortunati quando ne avrete trovate; eccitate il vostro cuore ad amarli, ad augurare loro il bene, ad affliggervi dei loro mali, rallegrarvi dei loro successi; fateli oggetto delle vostre preghiere; chiedete per loro ciò che credete sia loro più necessario e più utile; rendete mille grazie a Dio per tutti i beni che ha loro dato; infine, che l’amore di Gesù Cristo vi induca a fare per loro tutto quello che l’amore naturale più sincero e più tenero vi farebbe compiere per un amico o un fratello. Ecco come conquistarvi il cuore di Dio, come presto arrivare a una santità molto eminente.
Sono buone opere una messa ascoltata, elemosina fatta con un’intenzione molto pura, un servizio reso per carità cristiana; ma un servizio reso a un nemico; un’elemosina data per lui, una messa ascoltata per ottenergli qualche grazia, sono azioni eroiche, capaci di attirare su di noi le più grandi benedizioni.E per difficile che sia, questo mezzo è pur sempre nelle nostri mani e alla portata di ogni genere di persona. Non tutti hanno beni a sufficienza per essere molto generosi con i poveri;; le austerità suppongono la salute, Che Dio non a tutti data; occorre tempo libero, per fare lunghe preghiere, e alcuni sono impegnati in occupazioni che non danno loro questo tempo;ma per perdonare e per amare i nemici, per cercare di accattivarseli, per pregare per loro, per parlarne bene in ogni occasione, per prendere parte a tutto ciò che li riguarda, basta il cuore. Vero è che bisogna averlo grande: i cuori meschini non sanno cos’è perdonare.
Nessuna mente creata può comprendere quanto un peccato mortale irriti Dio. La punizione di Adamo e di tutta la sua discendenza condannata a morte per una semplice disubbidienza; Gesù Cristo abbandonato e consegnato al furore degli uomini e dei demoni per essersi reso simile al peccatore, benché fosse del tutto esente dal peccato; infine l’inferno, dove Dio ha precipitato gli angeli per tormentarveli eternamente, insieme agli uomini colpevoli: tutto ciò ci fa comprendere quanto il peccato lo adira contro quelli che lo commettono.
Non bisogna meravigliarsene. Non è molto strano che una piccola creatura tratta dal nulla si sollevi contro colui che l’ha plasmata; che un uomo osi prendersela con il suo Dio; che disprezzi questa Maestà infinita; che non tema di offendere l’Onnipotente?
Se un motivo c’è di meravigliarsi, è che tolleri con tanta pazienza che tutti i giorni si specchi con incredibile audacia, e che non distrugga con l’uomo tutto l’universo, da lui creato soltanto per l’uso dell’uomo stesso.
Ma più sorprendente è che, pur essendo in effetti tanto e tanto giustamente irritato, egli dimentica tutta la sua collera non appena noi stessi abbiamo dimenticato le ingiurie che ci sono state fatte, o che le abbiamo perdonate: Dimittite et dimittebitur vobis. Volete sapere come potete piegare la mia giustizia, dopo aver offeso la mia misericordia? Lasciatevi piegare voi stessi in favore dei vostri nemici; sacrificatemi il vostro risentimento. Con questo solo sacrificio espirete le vostre colpe: Dimittite et dimittetur vobis.San Claudio de la Colombière s.j.

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L’amore per il prossimo

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2012

L’amore per il prossimo  dans Citazioni, frasi e pensieri Jean-Marie-Baptiste-Vianney-Curato-d-Ars

Tutta la nostra religione non è che religione falsa e tutte le nostre virtù non sono altro che fantasmi; e siamo soltanto degli ipocriti agli occhi di Dio, se non abbiamo quella carità universale per tutti, per i buoni come per i cattivi, per i poveri come per i ricchi, per tutti quelli che ci fanno del male, come per quelli che ci fanno del bene.
No, non c’è virtù che meglio ci faccia conoscere se siamo i figli del buon Dio, come la carità. L’obbligo che abbiamo di amare il nostro prossimo è così grande, che Gesù Cristo ce ne fa un comandamento, che pone subito dopo quello col quale ci ordina di amarlo con tutto il cuore. Ci dice che tutta la legge e í profeti sono racchiusi in questo comandamento di amare il nostro prossimo.
Sì, dobbiamo considerare quest’obbligo come il più universale, il più necessario e il più essenziale alla religione, alla nostra salvezza. Osservando questo comandamento, mettiamo in pratica tutti gli altri. San Paolo ci dice che gli altri comandamenti ci vietano l’adulterio, il furto, le ingiurie, le false testimonianze. Se amiamo il nostro prossimo, non facciamo niente di tutto questo, perché l’amore che abbiamo per il nostro prossimo non può tollerare che facciamo del male.

S. Giovanni M. Vianney – Curato d’Ars

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