Papa Francesco all’Angelus: la Chiesa non è rifugio per gente triste, è la casa della gioia

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2013

“La Chiesa non è un rifugio per gente triste”: così Papa all’Angelus nella terza domenica di Avvento, permeata dalla gioia dell’avvicinarsi del Natale. Francesco saluta e chiede preghiere ai tanti bambini, oggi in piazza San Pietro per far benedire i bambinelli dei loro presepi.
di Roberta Gisotti – Radio Vaticana

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Nella “domenica della gioia” ci si rallegra “perché il Signore è vicino”. “Il messaggio cristiano” è infatti la ‘buona notizia’ “per tutto il popolo”.

“La Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia!”.

“Ma quella del Vangelo – ha chiarito il Papa – non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio”, che “viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore”.

“La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida: e quando diventa arida la nostra vita? Quando è senza l’acqua della Parola di Dio e del suo Spirito d’amore”.

Per quanto siano grandi i nostri limiti e i nostri smarrimenti, ha rassicurato Francesco:

“non ci è consentito essere fiacchi e vacillanti di fronte alle difficoltà e alle nostre stesse debolezze”,

“Al contrario, siamo invitati ad irrobustire le mani, a rendere salde le ginocchia, ad avere coraggio e non temere” – ha detto Francesco – perché “Dio mostra sempre la grandezza della sua misericordia”.

“Grazie al suo aiuto noi possiamo sempre ricominciare da capo: come ricominciare da capo? Qualcuno può dirmi: “No, Padre, io ne ho fatte tante… Sono un gran peccatore, una grande peccatrice… Io non posso rincominciare da capo!”. Sbagli! Tu può ricominciare da capo! Perché? Perché Lui ti aspetta, Lui è vicino a te, Lui ti ama, Lui è misericordioso, Lui ti perdona, Lui ti dà la forza di ricominciare da capo! A tutti! Siamo capaci di riaprire gli occhi, superare tristezza e pianto e intonare un canto nuovo”.

“E questa gioia vera rimane anche nella prova, anche nella sofferenza”:

“perché non è superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui”.

“Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli”.

“Perciò, quando un cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù. Ma allora non bisogna lasciarlo solo! Dobbiamo pregare per lui, e fargli sentire il calore della comunità”.

Poi l’invocazione alla Madonna perché “ci ottenga di vivere la gioia del Vangelo in famiglia, al lavoro, in parrocchia e in ogni ambiente. “Una gioia intima, fatta di meraviglia e tenerezza”.

“Quella che prova una mamma quando guarda il suo bambino appena nato, e sente che è un dono di Dio, un miracolo di cui solo ringraziare!”.

E tanta meraviglia si è vista negli occhi dei bimbi rivolti verso la finestra del Papa, venuti in piazza San Pietro per far benedire i ‘bambinelli’ dei loro presepi, e grande tenerezza si è sentita nelle parole di Francesco, che li ha salutati dopo la preghiera mariana:

“Cari bambini, quando pregherete davanti al vostro presepe, ricordatevi anche di me, come io mi ricordo di voi. Vi ringrazio, e buon Natale!”.

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Se Dio esiste non può che perdonare

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2013

Se Dio esiste non può che perdonare
di Don Fabio Bartoli - La fontana del villaggio

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Oggi ho aiutato un uomo a morire.

Non è una cosa così straordinaria.

Succede ogni tanto nella vita di un prete.

Non era un uomo buono, anzi. Nella vita ne ha fatte più di Bertoldo, diciamolo. Una volta perfino, tanti anni fa, mi cacciò via da casa con una doppietta in mano.

Ma oggi in punto di morte ha chiesto di me.

E il Signore si è preso cura di lui, ha steso sulla sua paura e sulla sua sofferenza il velo della santa unzione e tutti i suoi peccati sono stati perdonati, ma proprio tutti.

Ed è entrato nella Gloria, e dalla porta principale, come fosse un san Pietro o un san Paolo, come una madonna portata in processione. Portato in processione dagli angeli e dai santi, e da tutti quelli che nella sua vita ha fatto soffrire, e ha umiliato e disprezzato e forse perfino ucciso.

Lo hanno portato loro perché nella comunione dei Santi le cose funzionano così e non c’è tra loro alcun rancore né vendetta, ma solo la gioia del perdono reciproco. E lo stupore di fronte alla manifestazione dell’amore incondizionato di Dio nella vita di uno che li ha fatti morire, eppure era loro fratello.

Oggi ho aiutato un uomo a morire.

Ho recitato su di lui una breve formula, ho steso sulla sua fronte un velo d’olio. Ed è entrato nella Gloria. Con la naturalezza di un “cucchiaio” di Totti, di una “voleé” di Federer, come se fosse nato per quello. Ed era nato per quello in effetti.

Anni ed anni di rancore, di rabbia, di sofferenze subite ed inflitte, di umiliazioni subite ed inflitte, di coltellate date e ricevute. Anni di violenza, di soprusi, di contraffazioni, di meschinità, di bugie colossali, di doppiezza e di inganno cancellati in un giorno, in un’ora, in un minuto.

Tutto così facile? Sì tutto così facile, ed anche di più. Perché la Fatica non l’ha fatta lui, ma un Altro al posto suo e il dolore, la paura, l’angoscia, il male l’ha preso su di sé, tutto su di sé e per lui, e per me, e per te che leggi non è rimasto più.

Non c’è più male, non c’è. Ne resta solo l’eco forse, il ricordo, una cicatrice magari, ma che dopo il perdono non è più memoria di un dolore, ma di una vittoria, non è più il segno di una sconfitta, ma la celebrazione dell’amore.

Tutto così facile? Sì, così. Come per Dizma, quel ladrone che poi non doveva essere tanto buono, visto che in croce andavano i terroristi e gli assassini, eppure con quell’unico e solo gesto di pietà in punto di morte si è guadagnato l’onore di essere l’unico santo canonizzato in diretta. E da Gesù stesso.

Non c’è stato bisogno di complicate penitenze per Dizma, nè per il mio penitente. Nessun percorso di riabilitazione, nessun bisogno di rieducazione, nessuna fatica, nessuna dilazione. Accoglienza piena, perdono totale ed incondizionato.

E pensavo che se Dio esiste non può che agire così.

Se Dio c’è non può che perdonare in questo modo.

Per questo esistono i sacramenti. Questa logica meravigliosa e scioccante di Dio che a un certo punto mette tutto da parte e nella sua fame di salvarti dimentica ogni calcolo che giustamente diciamo umano, ogni ragionamento di convenienza e prudenza, perfino ogni sapienza teologica (e che se ne fa Dio della teologia dopotutto?).

Dio ci ama incondizionatamente e ci perdona sempre, ci perdona prima. Ci ha perdonato ancor prima del nostro peccato. E tutto ciò che dobbiamo fare è accorgercene, e stendere la mano per prenderlo questo perdono e farlo nostro.

Sia pure in punto di morte, sia pure dopo una vita sbagliata dal principio alla fine.

Se non fossi cattolico impazzirei, non potrei vivere senza credere al Dio che ha inventato la confessione. E l’unzione degli infermi.

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Il Papa: la porta del Signore è sempre aperta, il cristiano non perda mai la speranza

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2013

Quando Gesù si avvicina a noi, sempre apre le porte e ci dà speranza. E’ quanto affermato da Papa Francesco, martedì mattina, nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non dobbiamo avere paura della consolazione del Signore, ma anzi dobbiamo chiederla e cercarla. Una consolazione che ci fa sentire la tenerezza di Dio.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

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“Consolate, consolate il mio popolo”. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia soffermandosi su un passo del Libro del Profeta Isaia, Libro della consolazione d’Israele. Il Signore, ha osservato, si avvicina al suo popolo per consolarlo, “per dargli pace”. E questo “lavoro di consolazione” è così forte che “rifà tutte le cose”. Il Signore compie una vera ri-creazione:

“Ricrea le cose. E la Chiesa non si stanca di dire che questa ri-creazione è più meravigliosa della creazione. Il Signore più meravigliosamente ricrea. E così visita il suo popolo: ricreando, con quella potenza. E sempre il popolo di Dio aveva questa idea, questo pensiero, che il Signore verrà a visitarlo. Ricordiamo le ultime parole di Giuseppe ai suoi fratelli: ‘Quando il Signore vi visiterà portate con voi le mie ossa’. Il Signore visiterà il suo popolo. E’ la speranza di Israele. Ma lo visiterà con questa consolazione”.

“E la consolazione – ha proseguito – è questo rifare tutto non una volta, tante volte, con l’universo e anche con noi”. Questo “rifare del Signore”, ha detto il Papa, ha due dimensioni che è importante sottolineare. “Quando il Signore si avvicina – ha affermato – ci dà speranza; il Signore rifà con la speranza; sempre apre una porta. Sempre”. Quando il Signore si avvicina a noi, ha tenuto a ribadire, “non chiude le porte, le apre”. Il Signore “nella sua vicinanza – ha soggiunto – ci dà la speranza, questa speranza che è una vera fortezza nella vita cristiana. E’ una grazia, è un dono”:

“Quando un cristiano dimentica la speranza, o peggio perde la speranza, la sua vita non ha senso. E’ come se la sua vita fosse davanti ad un muro: niente. Ma il Signore ci consola e ci rifà, con la speranza, andare avanti. E anche lo fa con una vicinanza speciale a ognuno, perché il Signore consola il suo popolo e consola ognuno di noi. Bello come il brano di oggi finisce: ‘Come un pastore egli fa pascolare il gregge, e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri’. Quell’immagine di portare gli agnellini sul petto e portare dolcemente le madri: questa è la tenerezza. Il Signore ci consola con tenerezza”.

Dio che è potente, ha proseguito, “non ha paura della tenerezza”. “Lui si fa tenerezza, si fa bambino, si fa piccolo”. Nel Vangelo, ha osservato, Gesù stesso lo dice: “Così è la volontà del Padre, che neanche uno di questi piccoli si perda”. Agli occhi del Signore, ha aggiunto, “ognuno di noi è molto, molto importante. E Lui si dà con tenerezza”. E così ci fa “andare avanti, dandoci speranza”. Questo, ha detto ancora, “è stato il principale lavoro di Gesù” nei “40 giorni fra la Risurrezione e l’Ascensione: consolare i discepoli; avvicinarsi e dare consolazione”:

“Avvicinarsi e dare speranza, avvicinarsi con tenerezza. Ma pensiamo alla tenerezza che ha avuto con gli apostoli, con la Maddalena, con quelli di Emmaus. Si avvicinava con tenerezza: ‘Dammi da mangiare’. Con Tommaso: ‘Metti il tuo dito qui’. Sempre così è il Signore. Così è la consolazione del Signore. Che il Signore ci dia a tutti noi la grazia di non avere paura della consolazione del Signore, di essere aperti: chiederla, cercarla, perché è una consolazione che ci darà speranza e ci farà sentire la tenerezza di Dio Padre”.

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«Anche il Papa è un peccatore e si confessa ogni 15 giorni»

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2013

«Anche il Papa è un peccatore e si confessa ogni 15 giorni»
Francesco all’udienza ha parlato della remissione dei peccati: «La Chiesa non è padrona ma serva del ministero della misericordia». E poi ha pregato per la Sardegna

di Domenico Agasso jr – Vatican Insider

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«Ciao Francesco!». «Ti voglio bene Francesco!». Sono sempre tante le persone che, sentendo realmente vicino il Papa venuto «quasi dalla fine del mondo», non esitano a urlare i loro saluti e affetto rivolgendosi al Pontefice con il “tu”. È avvenuto anche questa mattina mentre il Papa faceva il suo consueto giro tra la folla accorsa in piazza San Pietro per l’udienza generale, durante la quale Francesco ha continuato la catechesi sul tema della remissione dei peccati, riferendosi oggi al cosiddetto “potere delle chiavi”, simbolo biblico della missione che Gesù Cristo ha consegnato agli Apostoli.

«Anzitutto», ha affermato, «dobbiamo ricordare che il protagonista del perdono dei peccati è lo Spirito Santo. Lui è il protagonista! Nella sua prima apparizione agli Apostoli, nel cenacolo… Gesù risorto fece il gesto di soffiare su di loro dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23)».

Il Figlio di Dio, «trasfigurato nel suo corpo, ormai è l’uomo nuovo, che offre i doni pasquali frutto della sua morte e risurrezione»; e questi doni sono «la pace, la gioia, il perdono dei peccati, la missione, ma soprattutto dona lo Spirito Santo che di tutto questo è la sorgente».

Francesco si è soffermato poi su un secondo aspetto: «Gesù dà agli Apostoli il potere di perdonare i peccati». Questo elemento «è un po’ difficile»: è complesso «capire come un uomo può perdonare i peccati. Gesù dà il potere. La Chiesa è depositaria del potere delle chiavi: così da aprire o chiudere, di perdonare. Dio perdona ogni uomo nella sua sovrana misericordia, ma Lui stesso ha voluto che quanti appartengono a Cristo e alla sua Chiesa, ricevano il perdono mediante i ministri della Comunità».

Il Pontefice qui ha precisato e sottolineato: «La Chiesa non è padrona del potere delle chiavi: non è padrona, ma è serva del ministero della misericordia e si rallegra tutte le volte che può offrire questo dono divino».

Il Papa ha notato che «tante persone, forse, non capiscono la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina sempre l’individualismo, il soggettivismo, e anche noi cristiani ne risentiamo. Certo, Dio perdona ogni peccatore pentito, personalmente, ma il cristiano è legato a Cristo, e Cristo è unito alla Chiesa. E per noi cristiani c’è un dono in più, e c’è anche un impegno in più: passare umilmente attraverso il ministero ecclesiale».

Senza leggere il testo preparato ha aggiunto: «E questo dobbiamo valorizzarlo! E’ un dono, è anche una cura, è una protezione e anche la sicurezza di quello che noi diciamo sempre: “Dio sempre ci perdona! Non si stanca di perdonare!”». E poi ha ribadito un appello: «Noi dobbiamo non stancarci di andare a chiedere perdono. “Ma, padre, a me dà vergogna andare a dire i miei peccati…”. “Ma, guarda, le nostre mamme, le nostre donne dicevano che è meglio diventare una volta rosso e non mille volte giallo!”», e, sorridendo, ha detto: «E tu diventi rosso un volta, ti perdona i peccati e avanti».

«Il sacerdote strumento per il perdono dei peccati» è l’ultimo ambito approfondito dal Pontefice. «Il perdono di Dio che ci viene dato nella Chiesa, ci viene trasmesso per mezzo del ministero di un nostro fratello, il sacerdote», il quale, anche lui, è «un uomo che come noi ha bisogno di misericordia».

«Il servizio che il sacerdote presta da parte di Dio nel sacramento della confessione è un servizio molto delicato, che esige che il suo cuore sia in pace, che abbia il cuore in pace, che non maltratti i fedeli ma che sia amico fedele e misericordioso, che sappia seminare speranza nei cuori e soprattutto sia consapevole che il fratello e la sorella cerchi il perdono e lo faccia come le tante persone che si accostavano a Gesù perché le guarisse». «Il sacerdote che non ha questa disposizione di spirito – ha avvertito – è meglio che, finché non si corregga, non amministri questo sacramento». «I fedeli penitenti hanno il dovere? – ha chiesto il Papa – No, hanno il diritto di trovare nei sacerdoti dei servitori del perdono di Dio».

E, di nuovo a braccio, ha messo in evidenza: «Anche i sacerdoti devono confessarsi, anche i vescovi: tutti siamo peccatori». E «anche il Papa si confessa ogni quindici giorni, perché il Papa anche è un peccatore! E il confessore sente le cose che io gli dico, mi consiglia e mi perdona, perché tutti abbiamo bisogno di questo perdono».

Al termine dell’udienza ha dedicato un momento ai morti della Sardegna: «Non possiamo non ricordare le vittime dell’alluvione. Preghiamo per loro e per i familiari», ha detto, invitando a essere «solidali con quanti hanno subito dei danni». Il Papa ha pregato in silenzio e recitato un Ave Maria «perché la Madonna aiuti tutti i fratelli e le sorelle sardi».

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Il Papa: anche quando ci rimprovera, Dio ci accarezza e mai ci ferisce

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2013

Il Papa: anche quando ci rimprovera, Dio ci accarezza e mai ci ferisce
Affidiamoci a Dio come una bambino si affida alle mani del suo papà. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il Signore mai ci abbandona e ha sottolineato che anche quando ci rimprovera, Dio non ci dà uno schiaffo ma una carezza.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

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“Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità”, ma “per l’invidia del diavolo è entrata la morte nel mondo”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulla Prima Lettura, un passo del Libro della Sapienza che ricorda la nostra creazione. L’invidia del diavolo, ha affermato il Papa, ha fatto sì che iniziasse questa guerra, “questa strada che finisce con la morte”. Quest’ultima, ha ribadito, “è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”. E’ un esperienza che tutti facciamo:

“Tutti dobbiamo passare per la morte, ma una cosa è passare per questa esperienza con una appartenenza al diavolo e un’altra cosa è passare per questa esperienza dalla mano di Dio. E a me piace sentire questo: ‘Siamo nelle mani di Dio dall’inizio’. La Bibbia ci spiega la Creazione, usando una immagine bella: Dio che, con le sue mani ci fa dal fango, dalla terra a Sua immagine e somiglianza. Sono state le mani di Dio che ci hanno creato: il Dio artigiano, eh! Come un artigiano ci ha fatto. Queste mani del Signore… Le mani di Dio, che non ci hanno abbandonato”.

La Bibbia, ha proseguito, narra che il Signore dice al suo popolo: “Io ho camminato con te, come un papà con suo figlio, portandolo per mano”. Sono proprio le mani di Dio, ha soggiunto, “che ci accompagnano nel cammino”:

“Nostro Padre, come un Padre con suo figlio, ci insegna a camminare. Ci insegna ad andare per la strada della vita e della salvezza. Sono le mani di Dio che ci carezzano nei momenti del dolore, ci confortano. E’ nostro Padre che ci carezza! Ci vuole tanto bene. E anche in queste carezze, tante volte, c’è il perdono. Una cosa che a me fa bene pensarla. Gesù, Dio, ha portato con sé le sue piaghe: le fa vedere al Padre. Questo è il prezzo: le mani di Dio sono mani piagate per amore! E questo ci consola tanto”.

Tante volte, ha proseguito, sentiamo dire da persone che non sanno a chi affidarsi: “Mi affido alle mani di Dio!”. Questo, ha osservato Papa Francesco, “è bello” perché « lì stiamo sicuri: è la massima sicurezza, perché è la sicurezza del nostro Padre che ci vuole bene”. “Le mani di Dio – ha commentato – anche ci guariscono dalle nostre malattie spirituali”:

“Pensiamo alle mani di Gesù, quando toccava gli ammalati e li guariva… Sono le mani di Dio: ci guariscono! Io non mi immagino Dio dandoci uno schiaffo! Non me lo immagino. Rimproverandoci, sì me lo immagino, perché lo fa. Ma mai, mai, ci ferisce. Mai! Ci accarezza. Anche quando deve rimproverarci lo fa con una carezza, perché è Padre. ‘Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio’. Pensiamo alle mani di Dio, che ci ha creato come un artigiano, ci ha dato la salute eterna. Sono mani piagate e ci accompagnano nella strada delle vita. Affidiamoci alle mani di Dio, come un bambino si affida alla mano del suo papà. E’ una mano sicura quella!”.

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Il Papa: nessun peccato può cancellarci dal cuore di Dio, lasciamoci trasformare da Gesù

Posté par atempodiblog le 3 novembre 2013

“Non c’è peccato o crimine” che possa “cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli”.
E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro, gremita di fedeli come di consueto la domenica. Il Papa si è soffermato sull’incontro tra Gesù e il pubblicano Zaccheo narrato dal Vangelo per ribadire che Dio sempre aspetta di veder rinascere nel cuore dei peccatori “il desiderio del ritorno a casa”.

di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Il Papa: nessun peccato può cancellarci dal cuore di Dio, lasciamoci trasformare da Gesù  dans Commenti al Vangelo j8fzUn incontro che cambia la vita per sempre. Papa Francesco si è soffermato all’Angelus sull’incontro tra il Signore e il pubblicano Zaccheo. Incontro che avviene a Gerico, mentre Gesù è in cammino verso Gerusalemme:

“Questa è l’ultima tappa di un viaggio che riassume in sé il senso di tutta la vita di Gesù, dedicata a cercare e salvare le pecore perdute della casa d’Israele. Ma quanto più il cammino si avvicina alla meta, tanto più attorno a Gesù si va stringendo un cerchio di ostilità”.

Eppure, ha proseguito, proprio a Gerico accade “uno degli eventi più gioiosi narrati da san Luca: la conversione di Zaccheo”. Quest’uomo, ha detto il Papa, “è una pecora perduta, è disprezzato e scomunicato, perché è un pubblicano”, “amico degli odiati occupanti romani, ladro e sfruttatore”. A Zaccheo viene dunque impedito di avvicinarsi a Gesù per la sua cattiva fama, ma lui non si dà per vinto e si arrampica su un albero per poterlo vedere passare. “Questo gesto esteriore, un po’ ridicolo – ha osservato – esprime però l’atto interiore dell’uomo che cerca di portarsi sopra la folla per avere un contatto con Gesù”. Zaccheo stesso, ha soggiunto, “non sa il senso profondo del suo gesto” e “nemmeno osa sperare che possa essere superata la distanza che lo separa dal Signore”. Si rassegna “a vederlo solo di passaggio”:

“Ma Gesù, quando arriva vicino a quell’albero, lo chiama per nome: ‘Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua’ (Lc 19,5). Quell’uomo piccolo di statura, respinto da tutti e distante da Gesù, è come perduto nell’anonimato; ma Gesù lo chiama, e quel nome, Zaccheo, nella lingua di quel tempo, ha un bel significato pieno di allusioni: ‘Zaccheo’ infatti vuol dire ‘Dio ricorda’. E’ bello: ‘Dio ricorda’”.

Gesù va, dunque, nella casa di Zaccheo, “suscitando le critiche di tutta la gente di Gerico” perché invece di visitare “le brave persone che ci sono in città, va a stare proprio” da un pubblicano. Ed il Papa ha chiosato: “anche in quel tempo si chiacchierava tanto”. A costoro, Gesù risponde che va da Zaccheo proprio “perché lui era perduto”. “Anch’egli è figlio di Abramo”, aggiunge, e da ora nella sua casa, nella sua vita, entra la gioia:

“Non c’è professione o condizione sociale, non c’è peccato o crimine di alcun genere che possa cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli. ‘Dio ricorda’, sempre, non dimentica nessuno di quelli che ha creato; Egli è Padre, sempre in attesa vigile e amorevole di veder rinascere nel cuore del figlio il desiderio del ritorno a casa. E quando riconosce quel desiderio, anche semplicemente accennato, e tante volte quasi incosciente, subito gli è accanto, e con il suo perdono gli rende più lieve il cammino della conversione e del ritorno”.

Guardiamo Zaccheo oggi sull’albero, ha esortato Papa Francesco: “è ridicolo”, ma il suo “è un gesto di salvezza”:

“Ed io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti, pensa che Uno ti aspetta, perché mai ha smesso di ricordarti, di pensarti. E questo è il tuo Padre, è Dio, è Gesù che ti aspetta. Arrampicati, come aveva fatto Zaccheo; sali sull’albero della voglia di essere perdonato. Io ti assicuro che non sarai deluso. Gesù è misericordioso e mai si stanca di perdonare. Ricordartelo bene, eh! Così è Gesù”.

Anche oggi, ha detto ancora il Papa, lasciamoci come Zaccheo “chiamare per nome da Gesù”. Anche noi, ha riaffermato, “ascoltiamo la sua voce che ci dice: ‘Oggi devo fermarmi a casa tua’”, “nella tua vita” e “nel tuo cuore”.

“E accogliamolo con gioia: Lui può cambiarci, può trasformare il nostro cuore di pietra in cuore di carne, può liberarci dall’egoismo e fare della nostra vita un dono d’amore. Gesù può farlo. Lasciati guardare da Gesù”.

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Il Cardinal Federigo Borromeo, testimone della tenerezza della Chiesa

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2013

L’Innominato e il Cardinal Federigo
Proviamo ad immedesimarci con lo stato d’animo dell’Innominato; anzi entriamo nella scena sostituendoci a lui.
di Maria Vittoria Pinna. Curatore: Don Gabriele Mangiarotti – Cultura Cattolica

Il Cardinal Federigo Borromeo, testimone della tenerezza della Chiesa dans Alessandro Manzoni ynjeIl cuore è sconvolto, non capisco nulla, quell’uggia iniziale si è trasformata, dopo l’incontro con la fragile Lucia, in disperazione. Poi, quando tutto sembrava finire in una resa totale al nulla, quello strano duplice pensiero: e se l’altra vita non esiste?… e se invece esiste?
Era un’oscurità davvero insopportabile che un colpo di rivoltella non avrebbe risolto… Poi quell’immagine inspiegabilmente autorevole che sembrava schiacciarmi e ripeteva a voce non più supplichevole, ma decisa, autorevole e foriera di una strana speranza: Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia… Quindi il proposito di liberare la giovane: ma la pace all’animo tormentato non arrivava. Non ho nemmeno fatto in tempo a ripiombare nella disperazione che quello scampanio, quella folla gioiosa per le strade proprio sul far dell’alba, lungi dall’infastidirmi come un ostacolo al mio rimuginare, mi incuriosisce, nonostante il dispetto. Il bravo incaricato, mi spiega l’arcano: è in visita pastorale al paese il cardinal Federigo… un uomo… ma chissà cosa avrà quest’uomo che sembra dar tanta gioia alla gente… Ma… può darsi che abbia la capacità di dirmi qualcosa che plachi anche il mio tormento… (che strano: sono tanti piccoli fatti, ma passano in un secondo e mi resta soltanto il cuore pieno di angoscia e… di una speranza inspiegabile…)

Ebbene, ci andrò. Cammino inquieto senza la mia solita scorta e non mi importa della stranezza della cosa per chi mi vede: nessuno ha in cuore il diavolo che mi tormenta…
Son qui nell’atrio in mezzo a una brigata di tonache nere che mi guardano con sospetto. A dire il vero nemmeno me ne accorgo, meglio: non mi preoccupo affatto. Voglio vedere quest’uomo e lo vedrò (ho sempre fatto quello che volevo e nessuno me lo ha impedito!)
Ecco che il Cappellano crocifero mi introduce nella stanza in cui il Cardinale aspetta di celebrare gli uffizi divini. Non so cosa farò, non so cosa dirò, ma ora sono davanti a lui . Un attimo e lui mi viene già incontro con fare premuroso e pieno d’affetto a braccia spalancate, come con una persona desiderata.
Non ho parole, ma anche lui mi guarda e tace: ma perché sono qui? Il tormento mi dilania… ma non ho nemmeno voglia di parlare. Sollevo lo sguardo e… avverto un… sentimento di venerazione imperioso e insieme soave, che, aumentando la fiducia, mitiga il dispetto, e senza prender l’orgoglio di fronte, l’abbatte, e… gli impone silenzio.
Ha anche lui uno sguardo penetrante e dopo un po’ mi dice: “Oh!(…) Che preziosa visita è questa! E quanto vi devo esser grato di questa preziosa risoluzione; quantunque per me abbia un po’ del rimprovero!”.
“Rimprovero” ,
ma cosa mi dice… “Certo, m’è un rimprovero (…) ch’io mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante volte, avrei dovuto venir da voi io”.
Ma lo sa chi sono io? Sì, lo sa, ma come può essere così accogliente per me? Ecco, mi parla: ma cos’è questo strano sentimento che mi allarga cuore e polmoni togliendomi quella oppressione insostenibile? e come mai non mi indispettisce il sentirmi ricordare le mie malefatte?… Nella sua voce non c’è rimprovero, c’è una dolcezza, una pacatezza, una sicurezza che nemmeno la mia cattiveria possono turbare… Mi accoglie per quello che sono!!! No, non lo merito… che faccio: piango? Ma come è liberante questo pianto… mi conosco… ora, ora capisco cosa sono stato veramente… Dio mio, perdono… ma come potrò rimediare a tanto male fatto?

Ormai la conversione per l’Innominato ha avuto il sigillo del confronto con una Presenza carica di messaggio: dentro la Chiesa questo tipo di conforto avviene dentro un sacramento, segno efficace del perdono di Dio alla nostra miseria.

Ciò detto invito tutti a leggere con attenzione queste pagine bellissime che testimoniano la tenerezza della Chiesa, incaricata da Dio di accogliere e abbracciare nel perdono tutti i suoi figli.
Con una raccomandazione. Non lasciatevi impressionare dalle espressioni del cardinale, che paiono un po’… auliche: tenete presente che siamo nel ’600 e gli ecclesiastici parlavano allora così. Quello che conta e commuove e dà speranza a chiunque è quell’atteggiamento pieno di premura, di attenzione, di accoglienza, di perdono, che solo la presenza di Cristo, vivo e presente nella Chiesa può dare.

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Capitolo XXIII de I Promessi Sposi freccetta.jpg L’Innominato e il Cardinal Federigo

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Dio giudice e Misericordioso

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2013

Dio giudice e Misericordioso dans Alessandro Manzoni cfbw

Si parlava della celebre frase di Dostoevskij: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”. La pensava così anche il suo contemporaneo Alessandro Manzoni.

Nei “Promessi sposi”, infatti, uno dei personaggi più riusciti è utilizzato dal Manzoni proprio per rendere visibile questo concetto. Parlo dell’Innominato. Quest’uomo malvagio, indurito, ma non per sempre, dai suoi crimini, viene infatti introdotto dal poeta attraverso il paesaggio che lo circonda. L’Innominato infatti abitava “a cavaliere a una valle angusta e uggiosa” e “dall’alto del castellaccio non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto”. Questa breve descrizione, apparentemente geografica, dice già tutto quello che Manzoni pensa di Dio e della morale: l’uomo che non vede nulla “al di sopra di sé”, cioè l’uomo che si pone al di sopra del bene e del male, eliminando Dio dal suo orizzonte, vive già tutti i presupposti per divenire una creatura senza scrupoli e piena solo di se stessa. L’uomo che scarta Dio, in altre parole, siede al suo posto e rifiuta un giudizio su di sé, in nome della sua completa autonomia.

All’Innominato avviene dunque come ad un personaggio di  Dostoevskij, Sigalev: “Sono partito dalla libertà illimitata e finisco nel dispotismo assoluto”. Non vendendo mai alcuno “al di sopra di sé, né più in alto”, l’Innominato finisce inevitabilmente per porre se stesso sopra i propri simili.

Diciamolo subito. Si può finire male anche credendo in Dio. Don Abbondio ne è un esempio, così come lo è un personaggio di Chesterton che è solito passeggiare nella parte sopraelevata della sua chiesa, essendo un pastore. Di lì osserva, dall’alto al basso, tutti gli altri. Sino al punto di ritenere che la sua “bontà” gli permetta di ergersi a giudice di un suo fratello, ubriacone e peccatore; sino al punto di fulminarlo, dall’alto, lasciandogli cadere un martello in testa. 

Perché chi crede in Dio può benissimo farne una sorta di soprammobile, come fa don Abbondio, oppure può essere tentato di sentirsi buono e giusto (lui), in un mondo di peccatori (gli altri). La superbia, male per eccellenza, è dunque sempre in agguato. Per questo Dostoevskij fa dire a padre Zosima, ne “I fratelli Karamazov”: “Amate l’uomo anche con il suo peccato, perché questo riflesso dell’amore divino è il culmine dell’amore sopra la terra”. Non facile, certo.

Ma torniamo al nostro Innominato. Manzoni ne descrive in modo esemplare la conversione. Dice infatti che all’epoca del rapimento di Lucia da lui ordinato, l’Innominato è pervaso da una certa “paura”, “terrore” , “una non so qual rabbia di pentimento”. Cosa è successo di nuovo? Manzoni lo fa capire bene: ci si può credere dio, sino ad un certo punto; si può fare come se Dio non esistesse, finché si è forti, finché si ha successo, finché si calca la scena tra gli applausi del mondo.

Ma poi arriva la vecchiaia, si incomincia ad intravedere la morte, e sentirsi ancora dio si fa difficile. Come Dorian Gray: si può mettere la coscienza del peccato in soffitta per tanto tempo, ma poi ad un certo punto diventa insopprimibile la domanda: e poi?

L’Innominato vorrebbe scacciare i suoi pensieri, vorrebbe rituffarsi nell’azione, che tacita il rimorso e la paura, ma si trova “ingolfato nell’esame di tutta la sua vita”. Finché è colto da una considerazione che ci riporta all’inizio: ma se Dio esiste, quale sarà la mia sorte nell’eternità? Però, “se quella vita (nell’aldilà) non c’è, se è una invenzione dei preti; che fo io? Cos’importa quello che ho fatto? Cos’importa?”.

Se Dio non c’è, infatti, esiste solo la giustizia umana; ma sulla terra vince spesso la forza, l’ingiustizia: e l’Innominato, che lo sa, se lo chiede: “io vinco, che importa dunque il pentimento, il rimorso? Nessuno potrà mai chiedermi conto della mia vita. Neppure dopo la morte”. Ma il dubbio, la paura sono forti. E se invece Dio esiste?

Manzoni descrive sapientemente questi dilemmi, e decide di descrivere l’Innominato sul punto di suicidarsi, in preda alla disperazione. La tentazione umana, come quella di Giuda, è la mancanza di speranza; è la tentazione di fare ancora una volta come se Dio non esistesse, ergendosi a padroni della propria vita sino all’ultimo.  E’ stato il demonio a suggerirti il suicidio, dirà infatti Federigo Borromeo all’Innominato. Come avviene, allora la conversione? In due fasi. Anzitutto la disperazione di chi si riconosce finalmente malvagio, viene incrinata da una frase di Lucia: “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”.

E’ una frase dolcissima, teneramente cristiana: perdono e misericordia sono possibili al Dio che è giudice, quando non sembrano neppure più possibili all’uomo che sta, per la prima volta, giudicando se stesso. La verità di Dio Giudice, non può però essere separata dalla verità di Dio Misericordioso. Pronto a perdonare chiunque, sempre, sino all’ultima ora. Se c’è pentimento.  Poi, dopo le parole di Lucia, che riaccendono la speranza, un incontro: con Federigo che lo abbraccia e rende presente quel perdono. La Fede si diffonde per contagio.  Contagiano coloro che vivono un Dio giusto e misericordioso. Contagiano talora anche coloro che per una vita si sono seduti sul trono di Dio.

Francesco Agnoli – Il Foglio

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Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

 Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita dans Diego Manetti due-solitudini-che-pensano-di-completarsi

Tre anni fa, al termine di un incontro in Piemonte, mi avvicina una donna e mi dice che vorrebbe parlarmi. Mi racconta del figlio che si è suicidato a 19 anni, si è impiccato, lasciato dalla ragazza.

Purtroppo questo qua dell’affettività è un motivo ricorrente per il semplice fatto che i nostri giovani che non hanno un centro nella vita si attaccano l’uno all’altro, due solitudini che pensano di completarsi. E spesso l’altro diventa tutto… “sei la mia vita”, “sei il mio tutto”… son sciocchezze. Ma che sei il mio tutto? Il mio Tutto è Dio. E’ l’Infinito. Tu sei una cosina piccola come me, come fai ad essere il mio tutto? Appena appena me ne rendo conto vado in crisi e se tu mi rifiuti io mi sento perso. Per queste persone così fragili il suicidio è l’unica scelta.

Bèh, questa donna mi chiama e mi dice “puoi venire a casa mia a parlare?” e così ci siam trovati lì a parlare. Sapete la cosa che mi ha stupito? Uno dice “ma chi più di una madre può amare un figlio?”, ma io ho notato una cosa, che questa donna aveva risentimento nei confronti del figlio. Non me l’ha detto, lo sentivo dalle parole… come dire: “come ti sei permesso di toglierti la vita e lasciarmi qui!”, che poco poco è quello che pensiamo quando diciamo “perché ho perso i miei cari?” e li vorremmo tirare indietro.

Io mi son permesso di dire a questa signora “preghi per poter perdonare suo figlio”, lei si è arrabbiata e ha detto “ma come? Io amo mio figlio! Tu non sai…” e io di rimando “ma scusi, scusi… si fidi. Dica una piccola preghiera, ogni giorno, ‘Gesù mio, perdonami’, ‘Gesù mio, perdonami’. Avvolgi tutti nel perdono”. E lei: “io ho già perdonato!”. Io “perdonare è una cosa che solo Dio sa fare, chiedi, ogni giorno, la grazia di perdonare”. Ha masticato amaro e me ne sono andato a casa.

Dopo un anno mi telefona e mi dice: “avevi ragione, io ho cominciato a fare questa preghiera senza crederci e poco a poco è venuto fuori che io avevo rabbia verso mio figlio perché se n’era andato. Dopo un po’ che pregavo ‘Gesù mio, perdonami’, ‘Gesù mio, perdonami’, ho cominciato a sentirmi in pace. Sono andata a confessarmi, sono ritornata a Messa, adesso canto nel coro”.

E’ un mistero che ci lega a quelli che non ci sono più e spesso lo prendiamo dalla parte degli uomini e non dalla parte di Dio. Detto questo, preghiera per tutti quelli che hanno finito la vita nel suicidio. […] Noi non sappiamo nella coscienza di chi si toglie la vita quale possibilità si gioca nell’ultimo istante. Una donna andò a confessarsi da Padre Pio in preda all’angoscia perché il marito si era tolto la vita e Padre Pio la ricevette e questa donna sfoga il suo dolore da Padre Pio e dice: “mio marito è perso” e Padre Pio gli dice “no”, lei “ma si è buttato dal ponte” e lui “ah no, perché tra il ponte e l’acqua c’è stato il tempo di un ‘Gesù mio’”. La Misericordia di Dio è un mistero. Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita, perché la Misericordia di Dio è più grande della nostra misura. Non diamo per perso nessuno.

Tratto da una catechesi audio di Diego Manetti

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Odiare distrugge

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

Il caso Priebke ce lo dimostra
Odiare distrugge
di Marina Corradi – Avvenire

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Le immagini da Albano di una folla che sputa sul feretro del centenario Priebke, e prende a calci il carro funebre che lo trasporta, lasciano addosso un malessere, un’ombra di sgomento a chi le guarda nei telegiornali. Viviamo in un Paese generato da un tessuto antico, e uno dei fili di questa trama è il virgiliano parce sepulto, pietà per chi è morto. E ben sapendo chi era il capitano delle SS Erich Priebke, e che cosa orribilmente ha fatto, e che 335 furono le vittime innocenti alle Fosse Ardeatine, colpisce che settant’anni dopo la rabbia sia tanto viva e cocente da non fermarsi, incontrollabile, davanti a una bara.

Ma per capire i tafferugli di Albano occorre pensare che Erich Priebke, sì, è morto, ma gli ambienti neonazisti a lui vicini volevano usare il suo funerale per far rumore tra i vivi; e che lo stesso capitano delle SS e primo responsabile della strage delle Fosse Ardeatine, si è lasciato dietro una intervista-testamento in cui in sostanza nega l’Olocausto e afferma di volere restare fedele a ciò che è stato. Allora si intuisce come la richiesta di un pubblico funerale in chiesa cercasse non pietà, ma un palcoscenico per una rivendicazione politica, e perché la Chiesa di Roma non abbia acconsentito a questa richiesta.

Saggiamente, si può dire, guardando la gazzarra attorno a un morto, e i saluti fascisti da una parte, e dall’altra la furia della piazza che gridava: «Fatelo benedire a noi». E tra quelli che alzavano una mano nel saluto romano c’erano facce di ragazzi, così fieri, così certi di aver capito la storia; e tra quelli che sputavano sul carro funebre c’erano uomini con i capelli grigi, da cui ti aspetteresti, davanti alla morte, una frazione di istante almeno di silenzio. Chiunque sia il morto, e qualunque cosa abbia fatto, silenzio. Non tanto per lui, quanto per il mistero che ha varcato; e l’arrestarsi delle parole e delle ingiurie, nella certezza che ora chi è morto è davanti a ben altro giudizio.

Invece, quella piazza di Albano è sembrata il teatro di una parallela amnesia.

Proprio alla vigilia dell’anniversario della deportazione degli ebrei romani, oltre mille dei quali non fecero ritorno, una indecente amnesia del vertiginoso male che è stato il nazismo e dell’immane crimine che è stata la Shoah. Ma, dall’altra parte della piazza, pure smemoratezza: dell’anima cristiana, del parce sepulto, dell’antico imperativo di smettere di ingiuriare, quando il nemico è morto.

Che Erich Priebke, classe 1913, nazista a vent’anni, non fosse pentito e anzi rivendicasse con orgoglio la sua storia, lo dimostra il « testamento » con cui sembra volere vivere, e provocare, anche da morto. Accettabile allora che nell’ultimo viaggio al suo feretro abbiano sputato addosso? No, e forse anche quelli che l’hanno fatto, ripensandoci, ne provano una confusa vergogna. In fondo, è un mondo come se Dio non esistesse, quello che ad Albano è stato rappresentato nell’ora di un funerale.

Con uomini che senza timore di Dio inneggiano al male, e altri che si scagliano contro un morto. Il mondo come sarebbe senza Dio e senza più umanità, proprio secondo il disegno di Hitler, dentro a una storia definita solo da uomini testardi nella ferocia e implacabili nell’odio. Ci è venuta in mente, guardando quella scena, una frase di Etty Hillesum, ebrea olandese morta ad Auschwitz a 29 anni, ricordata da Benedetto XVI in una delle sue ultime udienze.

Per le strade di Amsterdam, mentre già le deportazioni erano iniziate, Etty discuteva appassionatamente con un amico, vecchio militante comunista: «Vedi Klaas – dice Etty – non si combina niente con l’odio. Ognuno deve distruggere in se stesso ciò che vorrebbe distruggere negli altri. (…) Ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende più inospitale». Quei calci, quegli sputi su una bara, di che capacità di violenza raccontano, in una folla di onesti cittadini. E gli altri, con la mano lugubremente alzata nel saluto romano, settant’anni dopo. In una piazza italiana, il dramma di una smemoratezza parallela.

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Il Papa: una preghiera fatta col cuore apre la porta a Dio e produce miracoli

Posté par atempodiblog le 8 octobre 2013

Un cuore che sa pregare e sa perdonare. Da questo si riconosce un cristiano. Lo ha spiegato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta in Casa Santa Marta. E proprio dal Vangelo dedicato alla Santa cui è intitolata la sua residenza, il Papa ha preso le mosse per ricordare che la “preghiera fa miracoli”, purché non sia frutto di un atto meccanico.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Il Papa: una preghiera fatta col cuore apre la porta a Dio e produce miracoli dans Commenti al Vangelo ailf

Marta e il profeta Giona. Queste figure plastiche del Nuovo e dell’Antico Testamento, presentate dalla liturgia odierna, erano accomunate da una identica incapacità: non sapevano pregare. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia su questo aspetto, partendo dalla famosa scena del Vangelo in cui Marta chiede quasi in tono di rimprovero a Gesù che la sorella l’aiuti a servire, invece di rimanere ferma ad ascoltarlo, mentre Gesù replica: “Maria ha scelto la parte migliore”. E questa “parte”, ribadisce Papa Francesco, è “quella della preghiera, quella della contemplazione di Gesù”:

“Agli occhi della sorella era perdere tempo, anche sembrava, forse, un po’ fantasiosa: guardare il Signore come se fosse una bambina meravigliata. Ma chi la vuole? Il Signore: ‘Questa è la parte migliore’, perché Maria ascoltava il Signore e pregava col suo cuore. E il Signore un po’ ci dice: ‘Il primo compito nella vita è questo: la preghiera’. Ma non la preghiera di parole, come i pappagalli; ma la preghiera, il cuore: guardare il Signore, ascoltare il Signore, chiedere al Signore. Noi sappiamo che la preghiera fa dei miracoli”.

E la preghiera produce un miracolo anche nell’antica città di Ninive, alla quale il profeta Giona annuncia su incarico di Dio l’imminente distruzione e che invece si salva perché gli abitanti, credendo alla profezia, si convertono dal primo all’ultimo invocando il perdono divino con tutte le forze. Tuttavia, anche in questa storia di redenzione il Papa rileva un atteggiamento sbagliato, quello di Giona, più disposto a una giustizia senza misericordia in modo analogo a Marta, incline a un servizio che esclude l’interiorità:

“E Marta faceva questo: faceva cosa? Ma non pregava! Ci sono altri come questo testardo Giona, che sono i giustizieri. Lui andava, profetizzava, ma nel suo cuore diceva: ‘Ma se la meritano. Se la meritano. Se la sono cercata!’. Lui profetizzava, ma non pregava! Non chiedeva al Signore perdono per loro. Soltanto li bastonava. Sono i giustizieri, quelli che si credono giusti! E alla fine – continua il Libro di Giona – si vede che era un uomo egoista, perché quando il Signore ha salvato, per la preghiera del popolo, Ninive, lui si è arrabbiato col Signore: ‘Tu sempre sei così. Tu sempre perdoni!’.

Dunque, conclude Papa Francesco, la preghiera che è solo formula senza cuore, come pure il pessimismo o la voglia di una giustizia senza perdono, sono le tentazioni dalle quali un cristiano deve sempre guardarsi per arrivare a scegliere “la parte migliore”:

“Anche noi quando non preghiamo, quello che facciamo è chiudere la porta al Signore. E non pregare è questo: chiudere la porta al Signore, perché Lui non possa fare nulla. Invece, la preghiera, davanti a un problema, a una situazione difficile, a una calamità è aprire la porta al Signore perché venga. Perché Lui rifà le cose, Lui sa arrangiare le cose, risistemare le cose. Pregare è questo: aprire la porta al Signore, perché possa fare qualcosa. Ma se noi chiudiamo la porta, il Signore non può far nulla! Pensiamo a questa Maria che ha scelto la parte migliore e ci fa vedere la strada, come si apre la porta al Signore”.

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Misericordia e conversione

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2013

Riallacciandosi ai due predecessori, papa Francesco sottolinea la verità della Divina Misericordia, specialmente nella nostra epoca, come lotta contro il male e come via di conversione.
de Il Timone

Misericordia e conversione  dans Fede, morale e teologia hebw

Nel nome della Divina Misericordia è cominciato il pontificato di Francesco. In particolare, nella seconda domenica dopo Pasqua, in occasione della festa liturgica della Divina Misericordia, papa Francesco ha ricordato «questa realtà della fede per la nostra vita» durante l’omelia per l’insediamento nella Cattedrale del vescovo di Roma, la basilica di san Giovanni in Laterano. Il Pontefice ha rievocato tre passaggi della Scrittura per indicarci «lo stile» di Dio, cioè la sua «pazienza»: l’apostolo incredulo Tommaso, il Padre misericordioso che aspetta e abbraccia il figlio minore che aveva abbandonato la casa paterna e i discepoli di Emmaus, che avevano perso la speranza. Tutte queste situazioni hanno in comune la debolezza umana e in tutte queste circostanze «Dio risponde alla nostra debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della nostra speranza».
Appare evidente, che il Santo Padre (che usa le parole del «grande teologo » del Novecento Romano Guardini) ha in mente l’uomo del nostro tempo con le sue debolezze e infedeltà. Quest’uomo, ciascuno di noi, deve fare una cosa sola: «deve trovare […] il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella [sua] vita». Il Papa ne è fermamente convinto: «Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato». Quello che vale per gli uomini, per analogia può valere per le società; se ritorneranno a Dio, troveranno la pace.

Che cos’è la Misericordia?
Spesso con la Misericordia si “scherza”, attribuendole falsità buoniste. Lo aveva detto Benedetto XVI nell’omelia della Messa pro eligendo Pontifice, prima di entrare nel Conclave dal quale sarebbe uscito Papa, il 18 aprile 2005: «La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24)».
Papa Francesco riprende questa idea, anche a conferma di una continuità che molti si ostinano a negare: «Anche noi credo che siamo questo popolo che, da una parte vuole sentire Gesù, ma dall’altra, a volte, ci piace bastonare gli altri, condannare gli altri. E il messaggio di Gesù è quello: la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia. Ma Lui stesso l’ha detto: Io non sono venuto per i giusti; i giusti si giustificano da soli. Va’, benedetto Signore, se tu puoi farlo, io non posso farlo! Ma loro credono di poterlo fare. Io sono venuto per i peccatori (cfr Mc 2,17)» (omelia nella chiesa di sant’Anna in Vaticano, 17 marzo 2013).
Parole simili le aveva pronunciate anche il beato Giovanni Paolo II: «In tal modo, in Cristo e mediante Cristo, diventa anche particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto quell’attributo della divinità che già l’Antico Testamento, valendosi di diversi concetti e termini, ha definito “misericordia”. Cristo conferisce a tutta la tradizione vetero-testamentaria della misericordia divina un significato definitivo. Non soltanto parla di essa e la spiega con l’uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifica. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia. Per chi la vede in lui – e in lui la trova – Dio diventa particolarmente “visibile” quale Padre “ricco di misericordia” (Ef 2, 4)» (enciclica Dives in misericordia, n. 2).

La storia della salvezza come storia della Misericordia

Cristo dunque ci permette di vedere la Misericordia. Come scrive padre Livio Fanzaga, «che Dio sia divenuto uomo è già di per sé l’atto più grande di misericordia che il Cielo potesse darci» (La divina misericordia, p. 34). Tuttavia, è nel nostro tempo che appare un bisogno speciale di un intervento divino affinché la divina misericordia elevi un argine al dilagare del male. Proprio questa infatti sembra la strategia di Dio: «Nell’Antico Testamento mandai al Mio popolo i profeti con i fulmini. Oggi mando te a tutta l’umanità con la Mia Misericordia. Non voglio punire l’umanità sofferente, ma desidero guarirla e stringerla al Mio Cuore misericordioso. Faccio uso dei castighi solo quando essi stessi Mi costringono a questo; la Mia mano afferra malvolentieri la spada della giustizia. Prima del giorno della giustizia mando il giorno della Misericordia» (Faustina Kowalska, Diario, n. 1588).

La “segretaria della divina misericordia”
Tutto comincia in Polonia negli anni Trenta, attorno alla breve vita di una suora polacca, Faustina Kowalska (1905-1938), che Dio sceglie per diffondere nel mondo la devozione alla divina misericordia. Non che prima la Misericordia non operasse, ma nella modernità sembra necessario un richiamo esplicito e una maggiore evidenza dell’opera misericordiosa di Dio nella storia, forse perché l’uomo moderno ne ha un particolare bisogno in conseguenza del suo disprezzo, o della dimenticanza, dell’azione di Dio nella storia: «La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr. Gn 1, 28). Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia» (Enciclica Dives in misericordia, 2).
Può apparire paradossale, ma più gli uomini si allontanano da Dio, più smettono di credere nella Sua Misericordia. Più peccano, più lo considerano un Giudice feroce incapace di perdonare. Era così anche durante la vita terrena di Gesù, come dimostra la fine di Giuda, apostolo e traditore.

Il limite al male

La Divina Misericordia nel nostro tempo appare come il limite posto da Dio al dilagare del male. Lo disse il card. Ratzinger l’8 aprile 2005 nell’omelia della Messa per le esequie del beato Giovanni Paolo II riprendendo una tesi del suo predecessore. Noi non sappiamo come avverrà la conversione di questa epoca storica. Sappiamo dalle parole di Maria a Fatima che «infine il Mio cuore immacolato trionferà», ma non sappiamo come e quando. Ma il recente insegnamento della Chiesa ci dice che l’uomo contemporaneo non verrà, ordinariamente, convinto da un ragionamento, perché non ne è più capace. Non verrà convinto da una tradizione, che non gli viene più trasmessa. Potrà convertirsi se si convincerà che Qualcuno è morto per salvarlo e così si lascerà invadere dalla misericordia incredibile di Dio, oppure dalla bellezza del cristianesimo, reso visibile in qualche modo dal pensiero o dalla mano dell’uomo. E allora ritroverà la verità che non ha mai conosciuto veramente e la Tradizione che ha abbandonato. Questo mi sembra essere l’itinerario di conversione proposto dal Magistero di papa Francesco.

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Colei che ha capito Dio

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013

“Non abbandonare senza amore un uomo o la speranza in lui, poiché è possibile che anche il figlio più perduto si salvi, che anche il nemico più accanito possa ritornare tuo amico; è possibile che colui che è caduto così in fondo si risollevi; è possibile che l’amore che si è raffreddato torni ad ardere: perciò non abbandonare mai un uomo, neppure nell’ultimo momento, non disperare, no – spera tutto!”. (Soren Kierkegaard)

Colei che ha capito Dio dans Canti 68ty

«Quando nell’ombra cade la sera». Sono le parole che compongono la prima frase dell’omonimo canto popolare ed evocano pensieri che ci rimandano alla sera intesa come fine della giornata o come conclusione di un cammino difficoltoso o ancora come termine del cammino della vita; una sera, però, che si rischiara dall’immagine luminosa di Maria alla quale l’uomo può aprire il suo cuore nella ricerca di conforto, coraggio, aiuto. Il futuro del mondo in cui siamo immersi è incerto: la febbre dell’egoismo ha ormai contaminato tutto ciò che ci circonda, ma la certezza che Maria è speranza è ancora viva e forte.

I valori umani indicati da Maria sono le virtù basilari per guarire dall’incomprensione, dalla rivalità, dall’avidità. A un mondo schiavo del denaro Maria richiama la povertà, a un mondo provocatore e astuto consiglia la semplicità di cuore; a un mondo vecchio e indurito dall’odio porta il sorriso addolcito di giovinezza. L’uomo che affida la sua vita alla maternità di Maria è guidato verso i misteriosi legami dello Spirito che lo portano gradualmente a creare un contatto sempre più intenso con il Dio dell’amore, della misericordia, del perdono.

Nel corso dei secoli la devozione mariana ha trovato numerose espressioni: si sono sviluppati pensieri individuali in armonia con profondi sentimenti di fiducia e di speranza. In questo contesto un ruolo importante va riservato ai canti popolari mariani che hanno arricchito la preghiera della Chiesa e impresso il loro carattere alla cultura dei popoli. Le origini di queste lodi non ci sono note e oggi la maggior parte di esse sono cadute in disuso, ma bisogna riconoscere che le melodie e i testi di questi canti coinvolgono e trascinano.

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T. Grassi, Incoronazione della Vergine (1692), chiesa Madonna del Popolo, Romagnano Sesia (Novara).

«Quando nell’ombra» è un canto semplice, strutturato con strofe e ritornello; la conduzione ritmica si presenta uguale nel corso del brano, creando regolarità e continuità. La melodia delle strofe rispecchia, pur nella sua brevità, un percorso di quattro battute ascendenti, in progressione, a cui corrispondono altrettante battute, sempre in progressione, ma discendenti. È un percorso che richiede delicatezza nell’esecuzione; la graziosità melodica non va disturbata dall’appoggio sulla croma: tutto procede con linearità e spontaneità, privilegiando una sonorità delicata e leggera.

Il ritornello inizia con due battute che, data la scelta ritmica, interrompono l’atmosfera precedente. Le tre semiminime di Fa’ pura introducono una successione melodica più marcata che fa esplicito riferimento a una richiesta di aiuto, a un’invocazione resa ancora più convincente dall’apertura verso l’acuto che può essere accompagnata, anche, da un’intensità sonora maggiore.  È qui il punto che maggiormente si presta alla coralità con la possibilità di aggiungere alla melodia principale altre voci che danno rinforzo e grandiosità al ritornello. Dalla terza battuta del ritornello, poi, si riprende il ritmo iniziale, seppur leggermente variato nell’ultima parte, con un evidente richiamo melodico che conduce a una conclusione dolce e riservata.

Quando nell’ombra…
Quando nell’ombra cade la sera,
è questa, o Madre, la mia preghiera:
fa’ pura e santa l’anima mia.
Ave Maria, Ave.
Di stelle e d’angeli incoronata,
da mille popoli sempre invocata:
ave, divina bianca Regina.
Avvolta in splendida candida veste,
cinta da un serico nastro celeste:
ave, divina bianca Regina.
Nel duol, nel gaudio da mane a sera
s’innalzi unanime una preghiera
alla divina bianca Regina.

di Luisa Tarabra
a cura di Mario Moscatello e Giuseppe Tarabra – Madre di Dio

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Che bello seguire Francesco! Quello che ci insegna (anche sui valori): i cristiani leggono i segni dei tempi. Una storia che inizia.

Posté par atempodiblog le 24 septembre 2013

Che bello seguire Francesco! Quello che ci insegna (anche sui valori): i cristiani leggono i segni dei tempi. Una storia che inizia.
di Antonio Socci- Libero

Che bello seguire Francesco! Quello che ci insegna (anche sui valori): i cristiani leggono i segni dei tempi. Una storia che inizia. dans Antonio Socci 00yj

C’è lo stupore e la compassione nella splendida intervista di papa Francesco. Lo stupore di chi si è sentito perdonato e amato dal Salvatore, come il pubblicano Matteo, l’evangelista della celebre tela di Caravaggio. Che il papa evoca.
E c’è la compassione per questa umanità di feriti. Il desiderio di portare a tutti quello sguardo di misericordia che lui ha incontrato nel volto di Gesù e quindi nella Chiesa.

COSA SIAMO
In effetti siamo un mondo di feriti. Le cronache parlano di guerre sanguinose, di repressioni crudeli, di una crisi economica che imperversa e porta all’angoscia, di società piene di odio. Parlano di violenza perfino in quei rapporti affettivi personali che dovrebbero essere segnati dall’amore.

Siamo tutti creature ferite dalla vita. Non lo si può negare.
Il recente Festival della filosofia di Modena, dedicato appunto all’amore, è stato concluso dalla lezione magistrale della sociologa israeliana Eva Illouz, nota per il suo best-seller, “Perché l’amore fa soffrire”.
La Illouz, sebbene femminista e liberal, ha fotografato – a cinquant’anni dalla rivoluzione sessuale che doveva renderci tutti liberi e felici – un panorama di rovine.
Ha spiegato che l’amore “ormai è divenuto un problema, preso in carico dalle comunità terapeutiche”. Ha aggiunto: “l’amore ha sempre fatto soffrire, ma oggi lo fa molto più di prima”. E lo sappiamo tutti.
E’ l’ennesima eterogenesi dei fini. Come il marxismo, anche la rivoluzione sessuale promise la felicità e ha prodotto l’infelicità (così pure potremmo dire per il mito scientista o quello del benessere).

L’OSPEDALE DI DIO
Dunque la nostra società è piena di feriti. Ecco perché papa Francesco vede la Chiesa “come un ospedale da campo dopo la battaglia”. Essa si sente chiamata a “curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli”.

Siamo tutti feriti senza distinzione di credo o di filosofia o di fede politica. La battaglia che ci ha messo a terra e di cui parla il Papa è quella della vita, ma anche quella che la modernità aveva intrapreso per emanciparsi da Dio.
E’ evidente che la Chiesa ha perso quella battaglia (umanamente e storicamente parlando).
Ma i “morti e i feriti” distesi sul terreno sono i vincitori, cioè tutti noi moderni. La Chiesa non combatteva per sé, ma per noi. Noi moderni abbiamo prevalso e ora siamo al tappeto.
Perciò essa, come una madre premurosa, che aveva messo in guardia i suoi figli, si china su di loro, pietosa e se li carica sulle spalle.
Papa Francesco fa come il padre del figliol prodigo. Che non rinfaccia al figlio i suoi errori, che non inveisce e non punisce.
Anzi, “quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”, poi – interrompendo il mea culpa del figlio – “disse ai servi: presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi… facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15, 20-24).

IL FRATELLO INDIGNATO
Diciamo la verità, l’atteggiamento del figlio maggiore che, tornando dai campi, vede tutti questi festeggiamenti e s’indigna col padre, somiglia un po’ a quello di alcuni di noi cattolici verso papa Francesco.
C’è chi pretenderebbe che si stesse ogni giorno a condannare, a recriminare e a far proclami. Mentre il padre vuole anzitutto riabbracciare l’errante e riaverlo come figlio.
Questo non significa affatto approvare gli errori o sottovalutarli. No, significa amare i figli.
Del resto è ciò che la Chiesa ha fatto fin dalle origini. La “bella notizia” (perché questo significa la parola “Vangelo”) non è l’elenco dei peccati, nemmeno un catalogo di valori morali, ma è l’annuncio che Dio ha avuto pietà degli uomini ed è venuto a prenderseli sulle spalle, a curarli, a guarirli, a salvarli.
Gesù entrò nel mondo così: “Non incriminò, non accusò nessuno. Salvò. Non incriminò il mondo. Salvò il mondo. Questi altri” scriveva Péguy “vituperano, raziocinano, incriminano. Medici ingiuriosi che se la prendono con il malato”.
Il grande convertito francese usava la stessa metafora di papa Francesco: siamo una umanità malata, un mondo di feriti. E il medico non può prendersela col malato. Il suo compito è curarlo e guarirlo.
Si dirà che oggi però c’è la secolarizzazione dilagante. Ma già Péguy rispondeva a questa obiezione: “anche al tempo di Gesù c’erano il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, sulla sabbia del secolo scorreva una fonte, una fonte inesauribile di grazia”.
Pure Gesù fu accusato di essere indulgente e perfino connivente con peccatori, pubblicani e prostitute. Ma era venuto per loro (cioè per tutti noi). E proprio la sua misericordia, la bellezza della sua umanità, commuoveva i peccatori che si convertivano e cambiavano vita.

LA GUERRA DEI VALORI
Chi oggi lamenta la fine della battaglia per i valori non negoziabili non ha compreso. A parte il fatto che tali valori non sono l’essenza del cristianesimo e considerarli tali sarebbe una nuova, pericolosa ideologia.

Chiarito ciò è sbagliato pensare che Francesco rinneghi quanto hanno insegnato i suoi due predecessori. Perché ha sempre ribadito quell’insegnamento (anche ieri lo ha fatto su inizio e fine vita).
Certo, non sta a ripeterlo ogni giorno. Ma non perché quei principi, ai suoi occhi, non siano importanti.
Solo perché a Francesco preme anzitutto sottolineare il primo, vero, grande e basilare “principio non negoziabile” (la base di tutti gli altri): l’essere umano concreto, quello in carne e ossa, con le sue ferite, anche con i suoi peccati. La sua salvezza.
Agli occhi di Dio le persone concrete sono il fondamentale “principio non negoziabile”, tanto che per ognuno di loro si è fatto uomo, si è fatto crocifiggere ed è risorto.
Ecco perché nell’esortazione missionaria di Francesco a “curare” le ferite dell’umanità, rientra pienamente fare centri di aiuto alla vita, accogliere le persone travolte dal crollo di legami affettivi, sostenere chi vive malattie terminali o ha persone care in condizioni estreme, aiutare poveri e infelici. Si apre una grande stagione di carità per i cristiani.

COSA CAMBIA
Certo, cambia qualcosa: lo sguardo su questo momento storico. Più che battaglie culturali con intellettuali e politici, ci si prenderà cura degli esseri umani.
Non perché sia sbagliato o inutile dire la verità e cercare il bene pubblico: è doveroso (lo stesso Francesco ha dialogato con Scalfari).
Ma perché – come diceva don Giussani – a vincere la cultura nichilista non sarà una contrapposta cultura cattolica, ma la commozione personale per Gesù, la sua carità: “La Chiesa è proprio un luogo commovente di umanità, è il luogo della umanità… La lotta col nichilismo, contro il nichilismo, è questa commozione vissuta” (Giussani).
Del resto è sempre stato così. Il mondo è sempre stato una distesa di feriti. Perché tale è la condizione umana. Nasciamo come naufraghi che cercano il senso della vita, avvolti dal mistero dell’universo, desideriamo amare ed essere amati, subiamo il male e lo facciamo, bramiamo ogni giorno la felicità e non la troviamo.
Così ci vedeva Gesù. Così ci rappresentò nella parabola del Buon Samaritano: noi siamo quell’uomo “spogliato, percosso” e lasciato “mezzo morto” sul ciglio della strada. Mentre lui è il buon samaritano che “ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”.
Quella “locanda” è la Chiesa. E come Gesù cura le nostre ferite? Ce lo dice il profeta Isaia: “per le Sue piaghe noi siamo stati guariti”. Ci guarisce soffrendo al posto nostro. Ci riscatta dando se stesso.
I santi ce lo ricordano. Pensiamo a padre Pio, alle sue stigmate, alle sofferenze con cui otteneva tante grazie. Il suo confessionale è stato un grande ospedale da campo delle anime. E accanto ha voluto far costruire un grande ospedale dei corpi: “la casa sollievo della sofferenza”. Per capire papa Francesco guardate i santi come padre Pio.

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La fatica della decisione

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La misericordia è la vera forza

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2013

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La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!

Papa Francesco

Una città... da favola: Bergamo, gioiello dell'Alta Italia dans Viaggi & Vacanze sb0nxu

2e2mot5 dans Diego Manetti Angelus, 15 settembre 2013

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