La fede di una mamma salva il figlio dalla droga

Posté par atempodiblog le 10 novembre 2014

La fede di una mamma salva il figlio dalla droga
Grazie alla Comunità Cenacolo e a Maria, Andrea che era perduto ora è libero dalla droga e aiuta gli altri
Roma, 08 Novembre 2014 (Zenit.org)
Fonte: Comunità Cenacolo

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Sono Andrea e ho trent’anni. Quando sono nato a Perugia mia madre aveva diciannove anni, e per occuparsi di me smise di studiare. Dopo due anni scoprì che mio padre la tradiva e che era tossicodipendente; tuttavia, io ero un bambino sereno, stavo spesso con i nonni perché mia madre lavorava. A cinque anni mia madre incontrò un altro uomo: per stare con lui e allontanarci dai problemi siamo andati a vivere a Marsiglia, in Francia. Essendo piccolo non capivo questo cambiamento, non avevo punti di riferimento e tutto era nuovo sia per me che per mia madre; ricordo che a volte piangevo perché volevo ritornare in Italia. Dopo due anni nacque mia sorella: tutte le attenzioni erano orientate su di lei e io mi sentivo solo e trascurato. Dentro di me sentivo crescere fortemente il rifiuto verso mio padre a causa del suo abbandono, e anche questo mi ha portato ad essere sempre più irrequieto e bugiardo. Nonostante questo mondo interiore già sofferente, a scuola sapevo farmi accettare da tutti. Quando la sorella minore di mia madre morì a causa della droga avevo dieci anni: ero il suo primo nipote e l’amavo tanto. Per la mia sensibilità non riuscii ad accettare la sua morte e iniziai a ribellarmi in famiglia, litigando spesso con mia madre che ritenevo responsabile di tutti i miei problemi. A tredici anni iniziai a frequentare ragazzi più vecchi di me che mi portarono a fare le prime esperienze con l’alcool, la droga… Per non sentirmi inferiore a loro, anzi, per sentirmi più forte ho iniziai a rubare e a spacciare. La mia voglia di indipendenza mi faceva spesso cambiare scuola e lavoro perché rifiutavo qualsiasi forma di autorità.

Dopo una forte delusione affettiva iniziai con le droghe pesanti: non credevo più nell’amore. Tradivo chiunque mi desse fiducia, diventando violento e falso, mentendo anche a me stesso. Ebbi problemi con la polizia che mi arrestò per spaccio. Decisi così di tornare in Italia per “girare pagina”. Mio nonno cercava di aiutarmi facendomi fare dei colloqui in varie comunità, nonostante io non volessi. Dopo diversi anni, ritrovai un giorno per strada mio padre in pessime condizioni. Confrontandomi con lui, capii che ciò che avevo cercato in quegli anni nelle false amicizie e nelle cose del mondo era quello che non avevo avuto da lui: il suo amore. Mi ritrovai a vivere una vita fatta di illusioni, schiavo di una sostanza e pieno di paure. Pensando a mia zia in cielo, gridai a Dio per chiedergli aiuto. Tornai da mia madre che nel frattempo si era convertita; lei mi fece conoscere un sacerdote che mi indicò la Comunità Cenacolo come mia unica speranza. Fin dai colloqui e dalle giornate “di prova” sentii che avevo trovato il mio posto, grazie ai sorrisi dei ragazzi e all’amore di un’anziana suora, suor Piera, che a mia madre disse: «Non preoccuparti, mamma, tuo figlio ce la farà: la tua fede l’ha salvato!».

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Sono entrato nella fraternità “Pastorelli di Fatima” a Pagno. Il primo anno è stato molto difficile, ma il sostegno dei fratelli mi ha dato la forza di andare avanti. Piano piano mi sentivo sempre meglio. Iniziavo a riaprire gli occhi accorgendomi delle cose belle della vita. I fratelli, con la loro amicizia, mi hanno insegnato a non scappare più davanti alle difficoltà, ma a mettermi in ginocchio affidando tutto a Dio. Attraverso i nostri sacerdoti nel sacramento della Confessione ho incontrato la Misericordia del Signore ed il Suo perdono. Dopo un anno sono stato trasferito a Lourdes, dove sono rimasto per più di tre anni “vicino” alla Madonna. In questo luogo benedetto, attraverso i vari impegni quotidiani, la vita di fraternità e l’amore di Maria, ho trovato finalmente il senso della mia vita. Ho capito che per essere felice dovevo donarmi agli altri. Facendo l’“angelo custode”, aiutando i ragazzi giovani a ritrovare una vita piena di speranza e di gioia, ho imparato anch’io a portare la mia croce ogni giorno con il sorriso. Alla grotta di Massabielle ho sempre trovato la pace nei momenti di lotta, l’amore e la consolazione di una buona Madre che mi ha fatto sentire di essere un figlio suo amato.

In questi anni ci sono stati tanti miracoli: uno dei più grandi è stata l’esperienza con mia madre, nella quale abbiamo potuto condividere tutto il nostro passato; l’altro miracolo è stato aver ricevuto una lettera da parte di mio padre in cui mi chiedeva perdono. E poi, la possibilità di poter passare una giornata in Comunità insieme a lui, dandogli quell’abbraccio di perdono che Madre Elvira ci ha insegnato. Ringrazio Madre Elvira per il suo sì che mi ha ridonato la gioia di vivere e tanti desideri puliti. Qui ho imparato ad accogliere la croce, abbracciando la mia vita e quella di chi vive con me.

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Papa Francesco: abolire pena di morte, no a carcere disumano

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2014

Cristiani e uomini di buona volontà “sono chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte”, in “tutte le sue forme”, ma per il miglioramento delle “condizioni carcerarie”. È uno dei passaggi centrali del discorso tenuto da Papa Francesco in Vaticano a un gruppo di giuristi dell’Associazione penale internazionale. La voce del Papa si è levata anche contro il fenomeno della tratta delle persone e della corruzione. Ogni applicazione della pena, ha affermato, deve essere fatta con gradualità, sempre ispirata dal rispetto della dignità umana.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

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L’ergastolo è una “pena di morte coperta”, per questo l’ho fatta cancellare dal Codice Penale Vaticano. L’affermazione a braccio di Papa Francesco si incastona in una intensa, particolareggiata disamina di come gli Stati tendano oggi a far rispettare la giustizia e a comminare le pene. Il Papa parla con la consueta schiettezza e non risparmia critiche a tempi come i nostri in cui, afferma, politica e media incitano spesso “alla violenza e alla vendetta pubblica e privata”, sempre alla ricerca di un capro espiatorio. Il passaggio sulla pena di morte è molto sentito. Papa Francesco ricorda che “San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte”, come pure il Catechismo, non solo punta il dito contro il ricorso alla pena capitale, ma smaschera in un certo senso anche quello alle “cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali”, che lui chiama “omicidi deliberati”, commessi da pubblici ufficiali dietro il paravento dello Stato:

“Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, anche, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte coperta”.

Lo sguardo e la pietà di Papa Francesco sono evidenti in tutta la sua esplorazione sia delle forme di criminalità che attentano alla dignità umana, sia del sistema punitivo legale che talvolta – dice senza giri di parole – nella sua applicazione legale non è, perché quella dignità non rispetta. “Negli ultimi decenni – rileva all’inizio il Papa – si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina”. Questo ha fatto sì che il sistema penale abbia varcato i suoi confini – quelli sanzionatori – per estendersi sul “terreno delle libertà e dei diritti delle persone”, ma senza un’efficacia realmente riscontrabile:

“C’è il rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative”.

Papa Francesco definisce ad esempio il ricorso alla carcerazione preventiva una “forma contemporanea di pena illecita occulta”, celata dietro “una patina di legalità”, nel momento in cui procura a un detenuto non condannato un’“anticipo di pena” in forma abusiva. Da ciò – osserva – deriva sia il rischio di moltiplicare la quantità dei “reclusi senza giudizio”, cioè “condannati senza che si rispettino le regole del processo” – e in alcuni Paesi sono il 50% del totale – sia, a cascata, il dramma della vivibilità delle carceri:

“Le deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà”.

Ma Papa Francesco va oltre quando, parlando di “misure e pene crudeli, inumane e degradanti”, paragona a una “forma di tortura” la detenzione praticata nelle carceri di massima sicurezza. L’isolamento di questi luoghi, ricorda, causa sofferenze  “psichiche e fisiche” che finiscono per incrementare “sensibilmente la tendenza al suicidio”. Ormai, è la desolante constatazione del Papa, le torture non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere “la confessione o la delazione”…

“…ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena”.

E dalla durezza del carcere, insiste il Papa, devono essere risparmiati anzitutto i bambini, ma anche – se non del tutto almeno in modo limitato –anziani, ammalati, donne incinte, disabili, compresi “madri e padri che – sottolinea – siano gli unici responsabili di minori o di disabili”. Papa Francesco si sofferma con alcune considerazioni su un fenomeno da lui sempre combattuto. La tratta delle persone, sostiene, è figlia di quella “povertà assoluta” che intrappola “un miliardo di persone” e ne vede almeno 45 milioni costrette alla fuga a causa dei conflitti in corso. Quindi, osserva con durezza:

“Dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale”.

Il capitolo sulla corruzione è ampio e analizzato con grande scrupolo. Il corrotto, secondo Papa Francesco, è una persona che attraverso le “scorciatoie dell’opportunismo”, arriva a credersi “un vincitore” che insulta e se può perseguita chi lo contraddice con totale “sfacciataggine”. “La corruzione – afferma il Papa – è un male più grande del peccato” che “più che perdonato”, “deve essere curato”:

« La sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare. Le forme di corruzione che bisogna perseguire con [la] maggior severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale – come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione – come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o [per] quelle di terzi”.

Al tirare delle somme, Papa Francesco esorta i penalisti ad usare il criterio della “cautela” nell’applicazione della pena”. Questo, asserisce, “dev’essere il principio che regge i sistemi penali”:

“Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana”.

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2e2mot5 dans Diego Manetti Discorso del Santo Padre Francesco alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale

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I peccati miei e degli altri

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2014

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Se il mio peccato mi sembra in qualche modo inferiore a quello degli altri, meno ri­provevole, non riconosco affatto il mio esser peccatore. Il mio pecca­to deve per forza essere il più grande, il più grave, il più riprovevole di tutti.

Per i peccati degli altri ci pensa l’amore fraterno a trovare sempre qualche scusante, mentre per il mio non ce ne sono. Per questo è il più grave. A questo livello di umiltà deve giungere chi voglia servire i fratelli nella comunione.

Come potrei infatti non es­sere ipocrita nel servire umilmente anche colui che in tutta serietà mi risulta peccatore più di me? Non è inevitabile che mi metta al di sopra di lui? Mi è consentito avere ancora speranza per lui? Sa­rebbe un servizio ipocrita.

«Non credere di aver fatto progressi nella tua santificazione, se non hai un profondo sentimento della tua infe­riorità rispetto agli altri».

di Dietrich Bonhoeffer - Vita comune

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La ballata degli impiccati

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2014

Nel Medioevo gli impiccati restavano appesi alla forca per qualche giorno, per servire da monito. Villon – che era in prigione e si vedeva già in loro compagnia – li fa parlare durante la loro danza macabra.

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La ballata degli impiccati
di François Villon

Fratelli umani, che ancor vivi siete, non abbiate per noi gelido il cuore, ché, se pietà di noi miseri avete, Dio vi darà più largo il suo favore. Appesi cinque, sei, qui ci vedete: la nostra carne, già troppo ingrassata, è ormai da tempo divorata e guasta; noi, ossa, andiamo in cenere e polvere. Nessun rida del male che ci devasta, ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

Se vi diciam fratelli, non dovete averci a sdegno, pur se fummo uccisi da giustizia. Ma tuttavia, sapete che di buon senso molti sono privi. Poiché siam morti, per noi ottenete dal figlio della Vergine Celeste che inaridita la grazia non resti, e che ci salvi dall’orrenda folgore. Morti siamo: nessuno ci molesti, ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

La pioggia ci ha lavati e risciacquati, e il sole ormai ridotti neri e secchi; piche e corvi gli occhi ci hanno scavati, e barba e ciglia strappate coi becchi. Noi pace non abbiamo un sol momento: di qua, di là, come si muta, il vento senza posa a piacer suo ci fa volgere, più forati da uccelli che ditali. A noi dunque non siate mai uguali; ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

O Gesù, che su tutti hai signoria, fa’ che d’Inferno non siamo in balia, che debito non sia con lui da solvere. Uomini, qui non v’ha scherno o ironia, ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

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È misericordioso chi cerca misericordia

Posté par atempodiblog le 8 octobre 2014

“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”

È misericordioso chi cerca misericordia dans Citazioni, frasi e pensieri 2lmxc9u

Nella nostra esperienza di tutti i giorni…, normalmente sono un iroso, uno che reagisce male…: prego sempre con intensità il II° mistero doloroso dove Gesù viene catturato e flagellato alla colonna e gli chiedo: “quando mi darai mitezza, quando risponderò mitemente alle persone, come tu mi rispondi mitemente?”.

Offendi un uomo e vediamo come ti risponde, anche se è un uomo che prega sempre; tu prova ad offenderlo e vedrai quale è la sua reazione: sarà violenta, risponderà male e se tirerà fuori dal suo sacco ciò che ha dentro veramente, la giustizia, rabbia, allora non ha capito il perdono.

Dobbiamo pregare costantemente perché Dio ci dia una reazione mite come il Signore Gesù Cristo, perché i nostri conti con Dio non sono in pareggio; non so come voi siete messi, ma se Dio facesse i conti con me, io non me la cavo.

Se Dio applicasse con me i conti come deve, come sono, mi fulmina davanti a voi, perché è quello che mi merito, e non parlo per parlare; i miei peccati sono molto concreti, sono brutti e, nel passato, quando guardo la croce, vedo le mie impronte digitali, vedo come ho lasciato alcune persone della mia vita, come ho ferito e sono stato freddo con alcuni, quello che ho fatto a mio fratello e via dicendo.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.

È misericordioso chi cerca misericordia, esercita il perdono chi cerca perdono; la misericordia nasce dalla coscienza della nostra povertà, del nostro debito, di un debito impagabile; se noi fossimo nella verità, se noi – semplicemente quelli che siamo qui – fossimo nella pura e semplice verità, oggi chi ci incontra incontrerebbe solo tenerezza, solo misericordia, solo benevolenza… perché siamo tutti molto indietro coi conti!

di don Fabio Rosini (audio)
Tratto da: Collevalenza, Santuario dell’Amore Misericordioso

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“Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia”

Posté par atempodiblog le 11 septembre 2014

Questa è la prima e più grande forma di misericordia che noi dobbiamo avere per il nostro prossimo, così come vorremo che sia per noi stessi. E noi siamo minacciati di giudizio di Dio senza misericordia se noi stessi non mostriamo misericordia.
Quando veniamo a conoscenza di un errore, una colpa del nostro prossimo ci assicureremo che la sua conoscenza rimarrà sepolta in noi, e quell’idea morirà in noi, tanto più ne siamo coinvolti, in un mare di misericordia e compassione.

Ognuno dovrebbe essere consapevole del fatto che il Signore permette che veniamo a  conoscenza di un errore o colpa di un fratello così che possiamo caricarcene noi davanti al Signore, e lavarlo con la preghiera e il Sangue di Gesù. Riguardo a riferirlo al superiore, dovremmo astenercene, con l’eccezione di casi che sono moralmente contagiosi o una minaccia al bene comune; chiunque occupa un ufficio, quando sia possibile, dovrebbe provare a risolvere le cose da solo, senza riportarlo alle più alte autorità.

Se ognuno, al primo indizio di qualsiasi problema, porterà la sua preoccupazione al Signore e cercherà un rimedio attraverso la preghiera e il Sangue di Gesù, non ci sarà bisogno di riportarlo a nessuno.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

“Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia” dans Don Giustino Maria Russolillo Beato-Russolillo

Papa Francesco: “Per questo chi giudica sbaglia, semplicemente perché prende un posto che non è per lui. Ma non solo sbaglia, anche si confonde. E’ tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona – tanto, tanto ossessionato! – che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!’… E non si accorge della trave che lui ha. Confonde: crede che la trave sia quella pagliuzza. Confonde la realtà”. (23/06/2014)

Papa Francesco: “Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia; siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Soltanto con un cuore misericordioso potremo fare tutto quello che il Signore ci consiglia. Fino alla fine. La vita cristiana non è una vita autoreferenziale; è una vita che esce da se stessa per darsi agli altri. E’ un dono, è amore, e l’amore non torna su se stesso, non è egoista: si dà”.

Gesù, ha ripreso, ci chiede di essere misericordiosi e di non giudicare. Tante volte, ha detto, “sembra che noi siamo stati nominati giudici degli altri: chiacchierando, sparlando … giudichiamo tutti”. E invece il Signore ci dice: “Non giudicate e non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati”. E alla fine chiede di perdonare e così saremo perdonati. “Tutti i giorni – ha rammentato Francesco – lo diciamo nel Padre Nostro: ‘Perdonaci come noi perdoniamo’. Se io non perdono, come posso chiedere al Padre: ‘Mi perdoni?’”. (11/09/2014)

Tratto da: Radio Vaticana

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L’eroismo e la fede dei padri e delle madri è la speranza del nostro paese

Posté par atempodiblog le 29 juin 2014

Sembrano così lontani il nostro Meridione e il nostro Settentrione. Invece nel profondo sud di Scampia e nel profondo nord di Brembate Sopra, ci sono padri e madri che hanno lo stesso cuore, che condividono lo stesso dolore per lo strazio di un figlio ucciso e sanno dire parole cristiane, parole di amore, dove tutto griderebbe rabbia e vendetta.
di Antonio Socci – Libero

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I primi passi, di Vincent Van Gogh

LUCE A SCAMPIA
Ventimila persone erano presenti ai funerali di Ciro Esposito, il giovane napoletano che il 3 maggio era andato a Roma per vedere una partita di calcio ed è stato assurdamente ammazzato senza motivo (è stato in agonia per cinquanta giorni).
La madre Antonella si è espressa così davanti a tutti:
“Noi abbiamo tanto pregato, abbiamo pregato da prima che sapessimo che Ciro era il ferito grave. Quando l’ho saputo non ho perso la pace che ho trovato con la preghiera. Questo ragazzo aveva mille motivi per bestemmiare e invece ringraziava e onorava il Signore. Ed anche io oggi ringrazio Dio per la forza che ha dato a me e alla mia famiglia. Voglio ringraziare le migliaia di persone che ci sono state vicine lì al Gemelli, dalle più umili alle più importanti. La memoria di Ciro porti gioia, pace ed amore. Grazie a tutti, mantenete alta la bandiera dello Sport e dell’Amore”.
Anche la fidanzata, Simona, ha fatto appello alla tifoseria napoletana – “Sotterrate la violenza!” – perché non ci si abbandoni a una spirale di odio e vendette per la morte di Ciro (e speriamo che queste testimonianze di pace facciano breccia nel cuore di tutti).

LUCE A BREMBATE
In circostanze e luoghi del tutto diversi – nella bergamasca – il giorno dell’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, per l’uccisione di Yara Gambirasio, il papà della ragazzina, Fulvio, ha detto a don Corinno, il parroco di Brembate Sopra: “prega per tutti, anche per la famiglia della persona fermata, anche per lui, c’è bisogno di preghiera”.
Pochissime parole, confidate al suo parroco, ma sconvolgenti sulle labbra di un padre che ha vissuto una tragedia così crudele.

Non hanno nemmeno bisogno di essere spiegate e commentate. Sono parole semplici e vertiginose, da rileggere e custodire nel cuore.
Ricordano quelle scritte da uno scultore trecentesco su una piccola pergamena nascosta poi dentro un crocifisso ligneo che egli aveva scolpito: “abbi pietà di tutta l’umana generazione”.
Nel primo caso, la madre di Ciro ha dovuto e voluto parlare pubblicamente per prevenire e scongiurare qualunque tipo di violenza e vendetta fosse progettata da certi ambienti nel nome del ragazzo napoletano.
Nel secondo caso, in cui non c’era da calmare bollenti tifoserie calcistiche, i genitori di Yara si sono negati totalmente ai riflettori. Ma in entrambi i casi si è manifestata la stessa pietà.
Lo stesso desiderio di sottrarre i propri figli al circo della violenza o al circo mediatico della chiacchiera e del rimestare nel fango.
Infatti ore e ore di trasmissioni televisive sono state dedicate al caso di Yara Gambirasio (di nuovo in questi giorni, per l’arresto di Bossetti e la svolta delle indagini), ma mai, nemmeno per un nanosecondo, il padre e la madre di Yara si sono concessi ai microfoni e alle telecamere.
Fiumi di inchiostro sono corsi sulle pagine dei giornali in questi anni sulla ragazzina di Brembate, scomparsa e poi ritrovata crudelmente uccisa, ma nemmeno una parola si è potuta attribuire fra virgolette alla povera e dolente famiglia della vittima.
Dei due genitori si hanno solo pochissime immagini catturate durante i loro fugaci e silenziosi passaggi nei giorni in cui entravano nella caserma dei carabinieri o in procura.
Quel papà e quella mamma, sempre gentili nei modi (mai irritati o infastiditi), hanno costantemente rifiutato con ferma decisione di rilasciare dichiarazioni.
Con un passo svelto e con un mesto sorriso di cortesia che impedisce alle telecamere di “rubare” loro perfino un’espressione del volto da cui traspaia l’immensità del dolore che hanno nel cuore e che hanno sofferto fino ad ora.
Nella società del frastuono mediatico e della spettacolarizzazione del crimine, il loro silenzio è stato rivoluzionario. Non voglio certo puntare il dito moralisticamente sui media o sui colleghi che fanno il loro lavoro.
Ma – almeno per un momento – bisognerebbe riuscire a soffermarsi su quel silenzio e sulla scelta dei genitori di Yara.
Soprattutto quando poi – per interposta persona – veniamo a conoscere parole immense come quelle che papà Fulvio ha detto al suo parroco.
Antonella, la madre di Ciro, Fulvio, il padre di Yara, con le loro famiglie, sono persone meravigliose. Altri come loro – andando a ritroso in questi anni – ci hanno commosso per lo stesso amore, la stessa pace interiore e la stessa pietà. Penso al signor Carlo Castagna o alla signora Margherita Coletta.

LUCE A ERBA E A NAPOLI
Ricordate? Il signor Castagna nel delitto di Erba, l’11 dicembre 2006, aveva perduto la figlia, la moglie e il nipotino.
Ma, pur dentro il suo immenso dolore, quest’uomo buono e profondamente cristiano, disse: “Li perdono e li affido al Signore. Bisogna perdonare in questi momenti. Bisogna finirla con l’odio”.
Commosse tutto il Paese anche la testimonianza di Margherita Coletta, vedova del brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta, ucciso il 12 novembre 2003 nella strage di Nasiriyah con altri diciotto colleghi: “Se amate quelli che vi amano che merito avete? Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”.
Era il giorno della strage e a ricordare a tutti queste parole di Gesù davanti alle telecamere era una giovane sposa e madre, di 33 anni, che già aveva perso un bambino per leucemia e che aveva appena appreso dell’uccisione del suo uomo in missione di pace.
La signora Margherita, davanti ai giornalisti che avevano invaso la sua casa di Napoli, quel giorno, con una figlia di due anni in braccio, pur soffrendo in modo spaventoso, volle ricordare quelle parole e indicando il Vangelo aggiunse: “La nostra vita è tutta qua dentro”.
Poco tempo dopo ha spiegato: “E’ Gesù che ha fatto sì che io potessi rispondere con l’amore all’odio. Non mi sono domandata chi avesse ucciso mio marito. Senza perdono non siamo cristiani”.
Certamente sono parole così immense che non vanno considerate per nulla ovvie o automatiche. Non c’è nulla di automatico in esse, sono un miracolo, sono un dono di grazia. Noi uomini da soli non ne saremmo capaci.
Infatti ricordando poi la morte del figlio Paolo, a sei anni, per leucemia, Margherita aggiunse:
“Dio mi ha sorretto in questi dolori; davanti a mio figlio con grossi aghi sulla schiena per la chemioterapia, davanti a mio marito che non c’è più. Le difficoltà sono tante, forse ce ne saranno anche altre, ma io mi sono aggrappata a Cristo e alla sua Croce, unica salvezza per tutti”.

Periodicamente la cronaca ci spalanca davanti agli occhi questa Italia profonda, forte e buona, piena di fede e capace di perdono e di compassione. Un’Italia commovente e veramente eroica nella vita quotidiana.
Un’Italia che normalmente sembra non esistere nelle nostre cronache. E invece è quella che resiste. E’ un immenso tesoro di sapienza e di amore. Spesso bistrattata con disprezzo certe élite intellettuali e politiche. E’ lì la speranza per tutti.

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Fulvio Gambirasio: pregate per il fermato

Posté par atempodiblog le 25 juin 2014

CHE COMMOZIONE QUANDO ARRIVA UN CRISTIANO!!!! UN ALTRO MONDO!!!! (Antonio Socci)

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Fulvio Gambirasio: pregate per il fermato

Sembrerebbe tutto da buttare se non fosse per una persona, il padre della bimba uccisa: Fulvio Gambirasio. L’unico che ha avuto la forza di prendere una posizione da uomo…. Una posizione fuori dal teatrino mediatico. «Prega per tutti», ha detto a don Corinno, il parroco di Brembate Sopra, «anche per la famiglia della persona fermata, anche per lui, c’è bisogno di preghiera». Dal settimanale Vita
http://www.vita.it/societa/giustizia/fulvio-gambirasio-pregate-per-il-fermato.html

Tratto da: Antonio Socci Facebook

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Una storia di perdono e di carità

Posté par atempodiblog le 19 juin 2014

Una storia di perdono e di carità
La reazione che non ti aspetti di una madre di fronte all’assassino di sua figlia
di Lucandrea Massaro – aleteia

Una storia di perdono e di carità dans Articoli di Giornali e News xql64p

Era il novembre del 2012 quando Jordyn Howe per uno stupido gioco mostrò la pistola di suo padre ai suoi amici. L’arma, teoricamente scarica, esplose un proiettile che colpì al collo la sua amica Jina mentre erano in autobus sulla via di casa. La ragazza – immediatamente condotta in ospedale – morì poco dopo. Jordyn si dichiarò colpevole di omicidio, ma in un gesto incredibile di perdono e di altruismo la madre della ragazza ha però voluto cambiare l’esito della condanna qualche giorno fa, accettando un patteggiamento che ha consentito ad Howe di evitare il carcere. Al ragazzo ora toccherà frequentare una scuola di riabilitazione.

“Howe era troppo amico di Jina – ha spiegato la madre della vittima ai giornalisti – e so che lei non avrebbe voluto il peggio”.

Anche in aula, dopo la sentenza, il gesto della donna ha sorpreso tutti i presenti, il ragazzo, tra le lacrime ha detto solo: “Mi dispiace”. Anche il giudice Sue Ellen Venzer ha confessato stupore ed emozione: “In 20 anni ho visto qualsiasi tipo di tragedia umana in quest’ aula, non avrei potuto mai immaginare di assistere ad una scena del genere”.

Un’altra bellissima storia di perdono e di carità da parte di una madre.

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Beati quelli che…

Posté par atempodiblog le 9 juin 2014

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Beati quelli che perdonano, misericordiosi. Perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono.

Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella.

Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati”.

Papa Francesco

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Il Papa ordina 13 sacerdoti: siate misericordiosi, Gesù è venuto a perdonare non condannare

Posté par atempodiblog le 11 mai 2014

“Ma io vi dico, davvero, a me fa tanto dolore quanto trovo gente che non va più a confessarsi perché è stata bastonata – male – sgridata; hanno sentito che le porte delle chiese gli si chiudevano in faccia! Per favore, non fate questo: misericordia, misericordia!”.
“Non  stancatevi mai di essere misericordiosi”: così, Papa Francesco nella Messa di ordinazione di 13 nuovi presbiteri, nella Basilica di San Pietro. Tra questi 6 italiani, 4 originari dell’America Latina, uno dal Pakistan, uno dalla Corea del Sud, uno dal Vietnam. Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Papa Francesco ha chiesto la “capacità di perdono” sottolineando che i sacerdoti non sono “padroni della dottrina” ma alla dottrina piuttosto devono essere fedeli. Francesco ha quindi espresso il suo dolore per quanti nella Confessione hanno sentito “che le porte delle chiese gli si chiudevano in faccia”.
di Fausta Speranza – Radio Vaticana

Il Papa ordina 13 sacerdoti: siate misericordiosi, Gesù è venuto a perdonare non condannare dans Fede, morale e teologia 2afd2fd

“Configurati a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote”. Così, Francesco fotografa la missione dei sacerdoti. Per poi raccomandare loro di conformarsi
alla Misericordia di Dio:

Qui voglio fermarmi e chiedervi, per l’amore di Gesù Cristo: mai stancatevi di essere misericordiosi! Per favore! Abbiate quella capacità di perdono che ha avuto il Signore, che non è venuto a condannare, ma a perdonare! Abbiate misericordia, tanta! E se viene in voi lo scrupolo di essere troppo perdonatori, pensate a quel santo prete del quale vi ho parlato, che andava davanti al
Tabernacolo e diceva: ‘Signore, perdonami se ho perdonato troppo. Ma sei Tu che mi hai dato il cattivo esempio!’. E’ così… »

Poi, Papa Francesco torna sulla responsabilità della Confessione:

“Ma io vi dico, davvero, a me fa tanto dolore quanto trovo gente che non va più a confessarsi perché è stata bastonata – male – sgridata; hanno sentito che le porte delle chiese gli si chiudevano in faccia! Per favore, non fate questo: misericordia, misericordia!
Il Buon Pastore entra per la porta e la porta della misericordia sono le piaghe del Signore: se voi non entrate nel vostro ministero per le piaghe del Signore, non sarete buoni pastori”.

Predicatori del Vangelo, pastori del Popolo di Dio e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore. Lo ricorda mettendo l’accento sull’esercizio del ministero della sacra dottrina, per poi sottolineare:

“Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, che non è vostra e voi non siete padroni della dottrina! E’ la dottrina del Signore e voi dovete essere fedeli alla dottrina del Signore! Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina. Gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa”.

Partecipi della missione di Cristo, che – sottolinea Francesco – è “unico Maestro”. Dispenserete a tutti quella Parola di Dio, – dice ancora – che voi stessi avete ricevuto con gioia, dalle vostre mamme, dalle vostre catechiste”. Anche qui una raccomandazione:

Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato”.

E poi l’invito alla fedeltà alla Parola:

“Riconoscete ciò che fate, imitate ciò che celebrate”.

“Il  Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche  tutto il Popolo Santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale”. Lo ricorda Papa Francesco sottolineando che “non di meno fra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa il suo nome e l’ufficio sacerdotale a favore di tutti gli uomini continuassero la sua personale missione di Maestro, Sacerdote e Pastore”. Dunque prosegue: “Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro per attendere alle cose di Dio esercitate in letizia e in carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo”. Ancora un’esortazione: “unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi”:

“E pensate quello che diceva Sant’Agostino dei pastori che cercavano di piacere a se stessi, che usavano le pecorelle del Signore come pasto e per vestirsi, per indossare la maestà di un ministero che non si sapesse che fosse di Dio. Infine partecipando alla missione di Cristo, Capo e Pastore, in comunione filiale con il vostro vescovo, impegnatevi ad unire i fedeli in un’unica famiglia per
condurli a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire e per cercare di salvare ciò che era perduto ».

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Papa Francesco: la misericordia di Dio è una carezza sulle ferite dei nostri peccati

Posté par atempodiblog le 7 avril 2014

La misericordia divina è una grande luce di amore e di tenerezza, è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati: è quanto ha affermato Papa Francesco durante la Messa presieduta stamani a Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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Il Vangelo dell’adultera perdonata ha dato lo spunto al Papa per spiegare cosa sia la misericordia di Dio. L’episodio è noto: i farisei e gli scribi portano a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli chiedono cosa farne, visto che la legge di Mosè prevedeva la lapidazione, in quanto peccato considerato gravissimo. “Il matrimonio – afferma il Papa – è il simbolo ed è anche una realtà umana del rapporto fedele di Dio col suo Popolo. E quando si rovina il matrimonio con un adulterio, si sporca questo rapporto di Dio con il popolo”. Ma gli scribi e i farisei pongono questa domanda per avere motivo di accusarlo: “Se Gesù avesse detto ‘Sì, sì, vai avanti con la lapidazione’, avrebbero detto alla gente: ‘Ma questo è il vostro maestro tanto buono… Guardate cosa ha fatto con questa povera donna!’. E se Gesù avesse detto: ‘No, poveretta! Perdonatela!’, avrebbero detto ‘non compie la legge!’ … A loro non importava la donna; non importavano gli adulteri, forse qualcuno di loro era adultero… Non importava! Soltanto importava fare una trappola a Gesù!”. Di qui la risposta del Signore: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei!”. Il Vangelo, con una “certa ironia”, dice che gli accusatori “se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani’. Si vede – osserva il Papa – che questi nella banca del cielo avevano un bel conto corrente contro di loro”. E Gesù resta da solo con la donna, come un confessore, dicendole: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Dove sono? Siamo soli, tu ed io. Tu davanti a Dio, senza le accuse, senza le chiacchiere. Tu e Dio! Nessuno ti ha condannata?”. La donna risponde: “Nessuno, Signore!”, ma non dice: “E’ stata una falsa accusa! Io non ho fatto adulterio!”, “riconosce il suo peccato”. E Gesù afferma: “Neanche io ti condanno! Va’, va’ e d’ora in poi non peccare più, per non passare per un brutto momento come questo; per non passare tanta vergogna; per non offendere Dio, per non sporcare il bel rapporto fra Dio e il suo popolo”. « Gesù perdona! – afferma il Papa – Ma qui è qualcosa di più del perdono »:

“Gesù passa la legge e va oltre. Non le dice: ‘Non è peccato l’adulterio!’. Non lo dice! Ma non la condanna con la legge. E questo è il mistero della misericordia. Questo è il mistero della misericordia di Gesù”.

“La misericordia – osserva Papa Francesco – è qualcosa di difficile da capire”:

“’Ma, Padre, la misericordia cancella i peccati?’. ‘No! Quello che cancella i peccati è il perdono di Dio!’. La misericordia è il modo come perdona Dio. Perché Gesù poteva dire: ‘Io ti perdono. Vai!’, come ha detto a quel paralitico che gli avevano condotto dal soffitto: ‘I tuoi peccati ti sono perdonati!’. Qua dice: ‘Vai in pace!’. Gesù va oltre. Le consiglia di non peccare più. Qui si vede l’atteggiamento misericordioso di Gesù: difende il peccatore dai suoi nemici; difende il peccatore da una condanna giusta. Anche noi, quanti di noi, forse dobbiamo andare all’inferno, quanti di noi? E quella è giusta, la condanna… e Lui perdona oltre. Come? Con questa misericordia!”.

“La misericordia – afferma il Papa – va oltre e fa la vita di una persona di tal modo che il peccato sia messo da parte. E’ come il cielo”:

“Noi guardiamo il cielo, tante stelle, tante stelle; ma quando viene il sole, al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono. E così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza. Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza, carezzando le nostre ferite del peccato. Perché Lui è coinvolto nel perdono, è coinvolto nella nostra salvezza. E così Gesù fa il confessore: non la umilia, non le dice ‘Cosa hai fatto, dimmi! E quando lo ha fatto? E come lo hai fatto? E con chi lo hai fatto?’. No! ‘Va’, va’ e d’ora in poi non peccare più!’. E’ grande la misericordia di Dio, è grande la misericordia di Gesù. Perdonarci, carezzandoci!”.

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Papa Francesco: la misericordia è la via della pace nel mondo

Posté par atempodiblog le 17 mars 2014

Perdonare per trovare misericordia: questo è il cammino che porta la pace nei nostri cuori e nel mondo: è quanto, in sintesi, ha detto Papa Francesco nell’omelia di stamane durante la Messa presieduta a Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa Francesco: la misericordia è la via della pace nel mondo dans Fede, morale e teologia 2n6erk4
Cristo e l’adultera, Certosa di San Martino, Napoli

“Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”: il Papa commenta l’esortazione di Gesù, affermando subito che “non è facile capire questo atteggiamento della misericordia” perché siamo abituati a giudicare: “non siamo persone che danno naturalmente un po’ di spazio alla comprensione e anche alla misericordia”. “Per essere misericordiosi – osserva – ci sono necessari due atteggiamenti. Il primo è la conoscenza di se stessi”: sapere che “abbiamo fatto tante cose non buone: siamo peccatori!”. E di fronte al pentimento, “la giustizia di Dio … si trasforma in misericordia e perdono”. Ma è necessario vergognarsi dei peccati:

“E’ vero, nessuno di noi ha ammazzato nessuno, ma tante piccole cose, tanti peccati quotidiani, di tutti i giorni… E quando uno pensa: ‘Ma che cosa, ma che cuore piccolino: ho fatto questo contro il Signore!’. E vergognarsi! Vergognarsi davanti a Dio e questa vergogna è una grazia: è la grazia di essere peccatori. ‘Io sono peccatore e mi vergogno davanti a Te e ti chiedo il perdono’. E’ semplice, ma è tanto difficile dire: ‘Io ho peccato’”.

Spesso – osserva Papa Francesco – giustifichiamo il nostro peccato scaricando la colpa sugli altri, come hanno fatto Adamo ed Eva. “Forse – ha proseguito – l’altro mi ha aiutato, ha facilitato la strada per farlo, ma lo ho fatto io! Se noi facciamo questo, quante cose buone ci saranno, perché saremo umili!”. E “con questo atteggiamento di pentimento siamo più capaci di essere misericordiosi, perché sentiamo su di noi la misericordia di Dio”, come diciamo nel Padre Nostro: “Perdona, come noi perdoniamo”. Così, “se io non perdono, io sono un po’ fuori gioco!”.

L’altro atteggiamento per essere misericordiosi – ha poi affermato il Papa – “è allargare il cuore”, perché “un cuore piccolo” ed “egoista è incapace di misericordia”:

“Allargare il cuore! ‘Ma io sono peccatore’. ‘Ma guarda cosa ha fatto questo, quello…. Io ne ho fatte tante! Chi sono io per giudicarlo?’. Questa frase: ‘Chi sono io per giudicare questo? Chi sono io per chiacchierare di questo? Chi sono io per? Chi sono io che ho fatto le stesse cose o peggio?’. Il cuore allargato! E il Signore lo dice: ‘Non giudicate e non sarete giudicati! Non condannate e non sarete condannati! Perdonate e sarete perdonati! Date e vi sarà dato!’. Questa generosità del cuore! E cosa vi sarà dato? Una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo. E’ l’immagine delle persone che andavano a prendere il grano con il grembiule e allargavano il grembiule per ricevere più, più grano. Se tu hai il cuore largo, grande, tu puoi ricevere di più”.

Il cuore grande – ha detto Papa Francesco – “non condanna, ma perdona, dimentica” perché “Dio ha dimenticato i miei peccati; Dio ha perdonato i miei peccati. Allargare il cuore. Questo è bello! – esclama il Papa – Siate misericordiosi”:

“L’uomo e la donna misericordiosi hanno un cuore largo, largo: sempre scusano gli altri e pensano ai loro peccati. ‘Ma hai visto cosa ha fatto questo?’. ‘Ma io ne ho abbastanza con quello che ho fatto io e non mi immischio!’. Questo è il cammino della misericordia che dobbiamo chiedere. Ma se tutti noi, se tutti i popoli, le persone, le famiglie, i quartieri, avessimo questo atteggiamento, quanta pace ci sarebbe nel mondo, quanta pace nei nostri cuori! Perché la misericordia ci porta alla pace. Ricordatevi sempre: ‘Chi sono io per giudicare?’. Vergognarsi e allargare il cuore. Che il Signore ci dia questa grazia”.

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Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con le bastonate

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2014

Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con le bastonate
Tratto da: News.va

Il Papa nella Chiesa del Gesù: il Vangelo si annuncia con dolcezza e amore, non con le bastonate dans Fede, morale e teologia 20u6cco

Papa Francesco ha presieduto stamani nella Chiesa del Gesù la Messa nel giorno della ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù. La celebrazione ha un carattere di ringraziamento per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 dicembre scorso, di Pietro Favre, primo sacerdote gesuita. Sono presenti il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale vicario Agostino Vallini, il vescovo di Annecy, mons. Yves Boivineau, nella cui diocesi è nato Favre, e circa 350 gesuiti.

Nell’omelia il Papa ha ricordato quanto dice San Paolo: «Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 5-7).  “Noi, gesuiti – ha rilevato – vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo.  Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui.  Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore”.

“Il cuore di Cristo – ha proseguito – è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato».  Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso.  Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati».  Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa.  E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta.  Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta.  E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine!”.

Il Papa ha quindi proseguito: “Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio.  Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre.  Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio.  È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica.  Senza inquietudine siamo sterili”.

“È questa l’inquietudine – ha osservato – che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele.  Favre era un «uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere» (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 aprile 2006).  Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto.  Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni.  Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti.  Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301).  Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo.  Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio?  Siamo anche noi audaci?  Il nostro sogno vola alto?  Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)?  Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio?  Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio.  E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. Quello di Sant’Agostino: ‘Pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore’. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio.  Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore.  Nelle Costituzioni si dice che «si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore» (Costituzioni, 638)”.

“Favre – ha ancora detto il Papa -  aveva il vero e profondo desiderio di «essere dilatato in Dio»: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo” E a braccio ha aggiunto: “.Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore”.  Quindi ha proseguito: “La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme.  Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di «desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore» (Memoriale, 63).  Favre prova il desiderio di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68).  Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo!  E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362).  Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore.  Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci. Quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste pazzie apostoliche …”.

Il Papa così ha concluso la sua omelia: “Noi siamo uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti.  Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù.  Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù.  Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, «non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù» (Memoriale, 205).  E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio”.

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Un cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2013

Atto di carità
“Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa; perché sei bene infinito e nostra eterna felicità;
e per amore tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese ricevute.
Signore, che io ti ami sempre più”.

Un cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono dans Cardinale Angelo Comastri 2ytnoysAndando a fare il prete nel carcere mi sentii nuovamente libero, nuovamente realizzato come prete e, soprattutto, come strumento della misericordia e del perdono di Dio.

[…] Mi dissero che nel settore dove prestavo il mio servizio di sacerdote c’era un detenuto piuttosto pericoloso, aveva sgozzato con le forbici da cucina la sua amante dopo aver avuto con lei diversi figli.

In occasione del Santo Natale dell’anno 1969, chiesi al direttore del carcere di poter entrare nelle singole celle per portare l’augurio di buon Natale ai detenuti, insieme a un pacchetto di sigarette e un pacco di biscotti. Ottenni il permesso.

Quando giunsi alla cella dove c’era il detenuto pericoloso, provai un po’ di paura ed esitai prima di entrare, pur essendo accompagnato da una guardia carceraria. Varcai la soglia e dissi: “Buon Natale a tutti! Vi lascio un piccolo segno di amicizia nel ricordo dei Magi che portarono i loro doni a Gesù nella grotta di Betlemme”.

Non feci in tempo a finire il mio saluto, che un denso sputo mi raggiunse dritto sul volto e mi lasciò quasi paralizzato. Non veniva dal detenuto pericoloso, ma da un giovane, lo seppi dopo, che con un calcio aveva ucciso la sua donna e il bambino che portava in grembo. Feci un passo indietro, pulii il volto con il fazzoletto e poi, un po’ impacciato, balbettai: “Sono venuto nel nome di Gesù e nel Suo nome rinnovo l’augurio di ogni bene. Arrivederci e buon Natale”. In quel momento vidi il detenuto pericoloso alzarsi dal tavolaccio sul quale era coricato e venirmi incontro con passo deciso. Esclamai dentro di me: “Mio Dio! Che ho detto di male?” e mi preparai a ricevere qualche altro insulto, se non peggio. L’uomo invece si fermò davanti a me e mi fissò con uno sguardo non cattivo e poi mi disse: “Perché non hai reagito? In questo mondo se non ti difendi vieni schiacciato, reagisci e non fare il coniglio”.

Io risposi: “Credo nel perdono, credo che la bontà è più forte della cattiveria, questo è l’insegnamento di Gesù e io voglio viverlo fino in fondo”. Il detenuto pericoloso esclamò: “Gesù! Gesù! Ma chi è Gesù?” E aggiunse: “Ma perché non mi chiami a colloquio quando ritorni qui?”. Risposi: “Lo faccio volentieri. Ci vediamo mercoledì prossimo”.

Il mercoledì successivo lo feci chiamare e mi ritrovai davanti a lui, che era quasi un gigante, per riprendere il colloquio aperto in un contesto drammatico. Gli tesi la mano per stringere la sua, ma egli rifiutò, diceva: “Con questa mano ho ucciso, è sporca di sangue e non posso stringere la tua mano che tocca il Corpo del Signore”. Questo gesto mi impressionò e mi commosse profondamente.

A quel primo colloquio ne seguirono altri, nei quali mi raccontò la sua triste storia e mi spiegò come era arrivato al feroce delitto, concluse: “la strada del male è in discesa. Bisogna fermarsi subito, altrimenti accade l’irreparabile, come è accaduto a me”.

Dopo vari incontri, ebbi l’ardire di dirgli: “perché non ti confessi? Gesù è felice di perdonarti”. La sua reazione fu: “Mai! Gesù non può perdonarmi. Io sono peggio di Giuda”.

[...] Dopo vari mercoledì, finalmente decise di inginocchiarsi per fare la Santa Confessione, mi raccontò tutta la storia del delitto e, a un certo punto, i suoi singhiozzi erano così intensi che le sue spalle sussultavano violentemente. A me sembrava in quel momento di rivivere la scena di Gesù che dalla Croce perdona il ladrone pentito. Mi sentivo indegno di quell’ora di luce e di misericordia. Dissi tra me: “Valeva la pena di diventare prete solo per vivere questo momento”. Salutando il detenuto pericoloso gli dissi: “Domenica prossima vieni alla Santa Messa nella rotonda, farai la tua prima nuova Comunione”, “non lo so se verrò. E’ troppo quello che ho ricevuto, perché io…” e mi mostrò ancora una volta le mani, nelle quali vedeva impresso il terribile delitto.

La domenica successiva venne alla Santa Messa e, al momento della Comunione, si avvicinò all’Altare. Quando mi trovai davanti a lui e alzai la mano dicendo: “Corpo di Cristo”, il detenuto pericoloso mi prese improvvisamente la mano e la riempì di lacrime dicendo: “Padre, non posso, non sono degno!”. E io: “Gesù ti ha perdonato. La tua anima è stata lavata dal Sangue di Cristo”. Restammo per alcuni minuti in quell’atteggiamento, tra lo stupore di tutti e poi finalmente Gesù entrò in quel cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono.

Dopo la Santa Mesa lo chiamai, e gli dissi ancora parole di fiducia e di speranza. Egli replicò: “Ora  la vita che mi resta devo spenderla per dire grazie a Gesù per il perdono che mi ha regalato”.

del Cardinale Angelo Comastri – Dio scrive dritto. L’avventura umana e spirituale di un cardinale

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